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Anno 21 (Nuova Serie) – n. 11 - Novembre 2013 - € 5,00
Crisi economica o crisi antropologica?
CRISI DI APPARTENENZA,
UNA SPECIE DI ALZHEIMER Quando Traiano fermava l'esercito per ascoltare la vedova
di Rossano Onano
RISI economica, oppure crisi antropologica? Le parole chiave, economia e antropo-
logia, mi sembrano onnicomprensive e quindi vaghe, ciascuno può intendere e soste-
nere ciò che gli pare. La cosa mi tranquillizza: anch'io posso dire la mia.
Crisi economica è locuzione riferi-
ta all'attività produttiva, l'unità di mi-
sura è il PIL. La crisi è caratterizzata
da livelli di attività produttiva (PIL)
più bassi di quelli che si potrebbero
ottenere usando in maniera ottimale
tutti i fattori produttivi a disposizio-
ne. Negli USA, la crisi diventa reces-
sione quando il PIL reale diminuisce
per almeno due trimestri consecutivi.
In Europa, specialmente in Italia, gli
economisti sembrano avere atteg-
giamento più elastico. A seconda dei
canali informativi offerti al pubblico,
la recessione è spostata al terzo-
quarto-quinto-anche sesto semestre
negativo. Sembra che tutti possano
alzare l'asticella a piacere.
Crisi antropologica è locuzione
ancora più difficile da definire, dal
momento che antropologia è la →
C
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.2
All’interno:
Con Lionello Fiumi a spasso per Verona, di Ilia Pedrina, pag. 5
La Natura, l’Uomo e il Sacro, di Giuseppe Leone, pag. 9
Andrea Zanzotto, di Aldo Cervo, pag. 11
Vita e opere di Domenico Defelice, di Luigi De Rosa, pag. 14
Anna Magnavacca, di Nazario Pardini, pag. 18
Silvano Demarchi: Occaso, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 22
Ignazio Buttitta, di Nicola Lo Bianco, pag. 25
Gioacchino Belli, di Leonardo Selvaggi, pag. 27
Carlo Cipparrone: Il poeta è un clandestino, di Elio Andriuoli, pag. 30
Paola la piccola, di Paola Insola, pag. 32
Luci della capitale (Il cambiamento, Lizzani, Gemma), di Noemi Lusi, pag. 33
I Poeti e la Natura (Publio Virgilio Marone), di Luigi De Rosa, pag. 37
Notizie, pag. 54
Libri ricevuti, pag. 55
Tra le riviste, pag. 57
RECENSIONI di/per: Tito Cauchi (Diamanti al sole, di Silvana Andrenacci Maldini, pag.
40); Tito Cauchi (Ubaldo Riva Alpino, poeta, avvocato, di Liana De Luca, pag. 40); Tito
Cauchi (Commiato, di Silvano Demarchi, pag. 42); Tito Cauchi (Percorsi, di Giuseppe Me-
lardi, pag. 43); Roberta Colazingari (Eleuterio Gazzetti cantore della Valpadana, di Do-
menico Defelice, pag. 44); Mariano Coreno (I simboli del mito, di Nazario Pardini, pag.
45); Aldo De Gioia (Domenico Defelice Un poeta aperto al mondo e all’amore, di Anna Ai-
ta, pag. 45); Aurora De Luca (Barcollando nell’indicibile, di Salvatore D’Ambrosio, pag.
46); Laura Pierdicchi (Domenico Defelice Un poeta aperto al mondo e all’amore, di Anna
Aita, pag. 47); Andrea Pugiotto (Il grido della terra, di Fabio Clerici, pag. 48); Andrea
Pugiotto (Storie di Forlì, di Umberto Pasqui, pag. 49); Roberto Tassinari (Lessico
d’amore, di Paola Insola, pag. 49).
Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 57
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Lorella Borgiani, Colombo Conti,
Mariano Coreno, Domenico Defelice, Liana De Luca, Luigi De Rosa, Salvatore
D’Ambrosio, Giovanna Li Volti Guzzardi, Flavia Lepre, Adriana Mondo, Teresinka Pereira,
Leonardo Selvaggi, Serena Siniscalco
Si ricorda che questo mensile può essere sfogliato sul link issuu.com/domenicoww/docs/
scienza che riguarda l'uomo in tutte le sue e-
spressioni, dall' evoluzione biologica al pro-
gredire delle sue espressioni culturali. Fortu-
natamente, accorre a soccorso il Centro Studi
Investimenti Sociali (CENSIS), che da qual-
che tempo licenzia relazioni tese a delineare
ciò che definisce Fenomenologia di una crisi
antropologica. Il prestigioso Istituto lamenta
la mancanza di visione del futuro da parte de-
gli Italiani, che sembrano sempre più impri-
gionati nel presente, con uno scarso senso
della storia e senza visione nel futuro. Al de-
siderio si è sostituita la voglia, alle passioni
le emozioni, conta solo quello che si prova
nel presente, non la tensione che porta a
guardare lontano. I giovani italiani sarebbero
così rattrappiti in un individualismo egoistico
teso alla sopravvivenza, in attesa che passi la
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.3
nottata. Ecco perché, spiega il CENSIS, oggi
i giovani italiani sono anche quelli in Europa
che meno hanno intenzione di avviare una
propria attività autonoma. Del resto, ammet-
te l'Istituto, è difficile che un giovane italiano
possa avviare una propria attività autonoma
quando manca un capitale di investimento i-
niziale e un mercato fiorente dove investire.
Insomma, la mancanza di visione del futuro
(crisi antropologica) è causa determinante gli
scarsi investimenti e la bassa produttività
(crisi economica). D'altra parte, gli scarsi in-
vestimenti e la bassa produttività (crisi eco-
nomica) sono causa determinante la mancan-
za di visione del futuro (crisi antropologica).
Il cane si morde la coda.
Quando si parla dell'uomo e del tempo,
prima e meglio del CENSIS sono arrivati gli
artisti.
L'uomo che ha perso tutto, tranne il fu-
turo (Chagall). Ebreo, intellettuale e russo,
Chagall abbandonò il paese natale a seguito
della rivoluzione d'ottobre. Per tutto il resto
della vita dipingerà la terra e gli affetti perdu-
ti. Il violinista verde (1923) suona alle porte
del villaggio di Vitebsk, la sua anima vola sui
tetti verso un futuro di libertà. Giobbe (1975):
autoritratto nelle vesti del profeta biblico, il
fantasma della moglie Bella alle spalle, il po-
polo in cammino su fondo di nuvole, l'angelo
azzurro su cielo livido che lascia intravedere
un percorso di speranza. L'uomo di Chagall
vive nella dimensione futura. L'uomo della
crisi attuale, incapace di futurizzare, non è
l'uomo di Chagall.
L'uomo che ha perso tutto, tranne il pre-
sente (Warhol). Il rapporto che l'uomo intrat-
tiene con l'economia produttiva è illustrato
da Warhol, anche per questo motivo forse il
più popolare pittore contemporaneo. Pittore,
per la verità, sarebbe termine improprio.
Warhol utilizza fotografie, cui aggiunge pen-
nellate o segni bizzarri su fondi policromi. Le
fotografie utilizzate riguardano personaggi
(Marilyn, 1964 e ancora 1967) oppure oggetti
(bottiglie di Coca-Cola e zuppe Campbell's,
1962) serialmente ripetuti, a significare l'os-
sessiva presenza percettiva nell'uomo di og-
getti riferiti all'attualità. L'uomo di Warhol
non ha coscienza del passato, né proiezione
futura. Si limita a consumare il presente. E' la
sua salvezza, dalle brutture della storia. E' la
sua condanna alla dipendenza dagli oggetti.
Si chiamava consumismo, a partire dagli anni
'60 di Warhol, quando gli oggetti sembrava-
no, e forse erano, a portata di mano. L'uomo
della crisi attuale, costretto a lottare per acce-
dere ai beni primari di consumo, non è l'uomo
di Warhol.
L'uomo che ha perso tutto, tranne il pas-
sato (De Chirico). A cavallo della Grande
Guerra, De Chirico licenzia i suoi quadri me-
tafisici, ove l'uomo è sostituito da manichini
con testa a birillo vestiti di peplo greco. Inter-
rogato sul perché di quelle presenze, l'artista
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.4
stentava a rispondere. Si limitava a dire che
l'uomo muore, mentre i manichini restano.
Nelle Muse inquietanti (1916), due manichini
sono attorniati da oggetti che richiamano la
storia collettiva (una statua antica, il Castello
Estense di Ferrara) e personale (le scatole co-
lorate dell'infanzia, un enorme bastone di
zucchero filato). Ettore e Andromaca (1917)
sono due manichini abbracciati. Siamo alle
Porte Scee, la sposa saluta per l'ultima volta il
marito prossimo a morire per mano di Achil-
le. L'uomo di De Chirico ha perso tutto, tran-
ne la memoria del passato. Ma i dati della
memoria non sono più rapportati al presente,
né rapportati al futuro: perché prossima è la
morte.
Nella Malattia di Alzheimer, siamo soliti di-
re, il dato patogeno consiste nella perdita del-
la memoria. Non è del tutto esatto. L'uomo di
Alzheimer, prima di affondare nel marasma
conclusivo, conserva invece la memoria. Sol-
tanto, non sa collocare i fatti e le persone del
passato nell'esatta dimensione storica, perso-
nale e collettiva. Fatti e persone sono così
rievocati caoticamente in un presente fittizio,
una commedia rappresentativa che prevede
falsi riconoscimenti, sovrapposizioni, lacune,
deliri (“Le Muse inquietanti”). L'uomo di De
Chirico ha perso tutto, tranne il passato: ma
ha perso la capacità di utilizzarlo. L'uomo di
De Chirico è l'uomo di Alzheimer. In attesa
delle Porte Scee.
De Chirico era un pensatore originale. So-
steneva che l'uomo finge di ragionare, in real-
tà si limita ad accostare le immagini che la
memoria porta spontaneamente alla coscien-
za. Il quadro mentale precede, e condiziona, il
ragionamento. Infatti, la scrittura di questo ar-
ticolo è stata preceduta da due immagini
mentali. La prima è riferita ad una trasmis-
sione televisiva, uno dei tanti quiz tesi a pre-
miare cultura e conoscenza dei concorrenti.
Due giovani, un ragazzo e una ragazza, devo-
no rispondere a una domanda: è più antica la
Torre di Pisa o il Colosseo? I due giovani
sanno benissimo che la Torre di Pisa è a Pisa,
e ne mimano la forma disegnando con le ma-
ni una struttura lunga e storta. Il Colosseo è a
Roma, ed è rotondo. Non sanno però rispon-
dere: quale delle due strutture è stata costruita
per prima?. Nella stessa trasmissione due
giovani non sanno rispondere a questa do-
manda: è nato prima Giulio Cesare o Carlo
Magno? Trasmissioni di questo tipo sono
molto istruttive. Ci informano che l'uomo at-
tuale conosce i personaggi e le opere dell'
uomo, ma non è in grado di collocarli nella
storia. Come l'uomo di De Chirico, come l'
uomo di Alzheimer, ricorda caoticamente, la
storia non esiste.
Come nell'Alzheimer, la perdita delle coor-
dinate temporali porta a falsificazioni, a falsi
riconoscimenti. La seconda immagine menta-
le è riferita a un film, Il gladiatore, ove l'im-
peratore Commodo è rappresentato così catti-
vo da essere caricaturale. La cinematografia
d'oltre oceano, del resto, ha sempre rappre-
sentato gli imperatori romani come persone
inette e forse avvinazzate, nell'atto di tramare
nefandezza tenendo sempre una coppa di vi-
no fra le mani. L'imperatore romano della
memoria storica è una cosa diversa. E' Traia-
no che ferma l'esercito in marcia per ascoltare
una vedova che chiede giustizia. La farò al
mio ritorno, dice Traiano. E se non torni? Fa-
rà giustizia il mio successore. In questo caso,
il merito sarà del tuo successore, e non tuo.
Traiano smonta da cavallo, ascolta, ammini-
stra la giustizia.
E' nato prima Traiano o Socrate?, prima
Traiano o Gesù Cristo?, prima Traiano o
Gandhi? In fondo non ha importanza. La sto-
ria propone continuamente personaggi che at-
tribuiscono all'uomo i giusti attributi della
grandezza d'animo, della giustizia, della pietà.
Crisi economica o crisi antropologica? A me
sembra una crisi di appartenenza alla sto-
ria. La ricetta dovrebbe essere questa: ritor-
nare allo studio meticoloso della storia, allo
studio delle materie umanistiche.
Non è una ricetta originale. E' quanto, sul
tema, sono in grado di dire.
Rossano Onano Immagini:
Pag. 1: Giorgio De Chirico: Ettore e Andromaca.
Pag. 3: Marc Chagal: Il violinista verde.
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.5
CON LIONELLO FIUMI A SPASSO PER VERONA
di Ilia Pedrina
RA prosa, poesia, critica letteraria e
giornalismo culturale, Lionello Fiumi
emerge ancora oggi con interessante
rilievo e rappresenta per la città di Verona
un punto di riferimento ineliminabile. Per le
investigazioni di piccola geografia degli
spazi e delle emozioni, che qui andrò a rile-
vare, mi servo del bel volume, donatomi dal
dott. Agostino Contò, direttore del Centro
Studi Internazionale intitolato a questo poe-
ta: 'Lionello Fiumi - Opere poetiche', curato
dalla vedova del poeta, Beatrice Fiumi Ma-
gnani, fino a quando è rimasta in vita e dal
prof. Gian Paolo Marchi e pubblicato a Ve-
rona nel 1994, con in copertina il ritratto del
poeta, alto e dalla folta capigliatura, fatto dal
suo caro amico Angelo Zamboni.
Il Fiumi nasce a Rovereto il 12 Aprile
1894, abita palazzi antichi e tra questi si in-
sinua anche in un salone dove Mozart aveva
dato il suo primo concerto in Italia, al piano
nobile di Palazzo Todesco: sogna e si diver-
te e tra libri e giornali e forme colorate da
copiare, viaggia con la fantasia e con il cuo-
re. E' la nonna paterna Fanny a dargli forse
quella forte attrazione verso il mondo fem-
minile che mai lo abbandonerà e sarà la ma-
trice primaria delle sue poesie in canto libe-
ro ed a lei si deve il lascito della villa di Ro-
verchiara, sua proprietà ed ora sede del Mu-
seo di Casa Fiumi.
Arriva a Verona da Rovereto all'età di
quattordici anni e siamo nel 1909. I suoi pa-
renti acquistano un palazzo in via Vescova-
do 9 e ne abitano un piano intero: il clima
culturale è di livello importante e l'aspetto
scientifico della conoscenza viene sempre
privilegiato. Compagni di scuola ed amici
sono spesso ospiti da lui e si suona musica e
si recitano poesie. E' dichiaratamente contro
il Futurismo e tali contenuti sono stati pre-
sentati in sintesi, stringata ancora, nell'arti-
colo “Il D'Annunzio di Lionello Fiumi prima
e dopo l'impresa di Fiume”, apparso nel
mese di Ottobre su questa stessa Rivista. A
Verona tanti i riconoscimenti, tante le im-
prese di giovanile ingegno, tanti gli studi di
poesia, che lo affascina certo più delle
scienze chimiche, specialità professionale
del padre Giovanni, degli esperimenti di fo-
tochimica delle immagini, che pure lo vedo-
no al lavoro, delle ricerche di astronomia e
di musica. Cito dall'Introduzione del prof.
Gian Paolo Marchi, che ha curato il bel vo-
lume 'Lionello Fiumi: Opere Poetiche', Ve-
rona 1994':
“ 1909-1910 . Frequenta, con ottimi risul-
tati, l'Istituto Tecnico 'Lorgna', classe II, Se-
zione di Fisica e Matematica. Continua la
sua collaborazione con le riviste citate so-
pra. Riceve un premio dal 'Corriere Fotogra-
fico'. Completa le ricerche di Fotochimica.
Alcuni cartoncini mostrano l'evolversi dei
vari esperimenti, come l' 'Autografia senza
luce di un fregio eseguito su carta colofo-
nia'. Ma l'interesse per la poesia sta preva-
lendo su quello per le scienze esatte: 'Da-
vanti l'Arena di Verona' (Alcaica) è la prima
poesia che ha il coraggio di conservare. At-
tento studio del vocabolario con esercitazio-
ni mnemoniche delle parole che più colpi-
scono la sua fantasia. Studio del Rimario di
Girolamo Ruscelli, Napoli, Stamperia Sal-
vatz, 1824, che egli postilla ed integra...”
(Lionello Fiumi: Opere Poetiche, Introdu-
zione e Cronologia a cura di B. Magnani
Fiumi e Gian Paolo Marchi, Grafiche Fiori-
ni, Verona, 1994, pag. XLII).
Lo studio assiduo lo fa ammalare ed i suoi
si preoccupano: l'adolescenza necessita d'av-
T
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.6
venture e così, dopo il fallimento delle terapie
a Monaco di Baviera, la salute gli verrà resti-
tuita a Göhren, nell'isola di Rüghen, sul Mar
Baltico, scrivendo poesie! Allora adesso ci
possiamo fidare, perché il giovane Fiumi ama
la vita, le ragazze e le compagnie dei coeta-
nei, Verona e dintorni e con lui come guida
possiamo arrivare fino all' “Avancittà”, quella
zona di periferia che cinge dall'esterno il cuo-
re della città scaligera e pure fino alla “cam-
pagna circondaria”, termine assai caro al
Fiumi e da lui coniato per indicare tutta la zo-
na geografica, libera e dai colori cangianti a
seconda della stagione, posta al confine quasi
con l' 'Avancittà', che egli ama e che obbliga
gli amici, accompagnandoli quasi con una ri-
tualità fissa, ad amare e ad apprezzare. E' dal
1912 che inizia la stesura di alcune liriche che
passeranno poi ad essere inserite nella sua
prima raccolta 'Pòlline', che sarà data alle
stampe il 14 Luglio del 1914 per i tipi dello
Studio Editoriale Lombardo di Milano, che
già ha pubblicato lavori di Pirandello, Papini,
Lucini, Panzini.
In questo mio lavoro sciolto ed a passi ve-
loci, mi intratterrò soltanto su alcune delle
liriche che cantano Verona, perché conten-
gono un fascino speciale, anche se certo og-
gi la città è di molto mutata.
Parto da 'Impressione dopo una pioggia
d'aprile, al tramonto, in Piazza Brà':
“Che luccicore che freschezza e sfarzo
di tinte pure! come quarzo
è il cielo! Ed anche, là la vecchia Arena,
mummia gialligna d'una civiltà, ha la schie-
na
ringiovanita
e si fa ròggia
come porfido all'ultima luce violastra che vi
s'ostina!
Appresso, tra la mole smeraldina
degli alberi
s'accampana
la fontana
che aguzza
spruzza
come un giubilo
di diamanti
tremolanti!
E per ovunque, al suolo, le pozzanghere, a
miriadi,
mute,
sono intessute
di cielo, cerule e liliali
quali
squamme d'onice!
e un romore buono ha il carro che passa
cricchiando,
ha il carrozzone elettrico che scivola spraz-
zando
verdi scintille!
….
Verona, 28 Aprile 1913.”
(Lionello Fiumi, Pòlline, op. cit. pag. 72).
Tanti i colori evocati in parole per rappre-
sentare il vero, tante le assonanze che detta-
no il ritmo vario e libero dei versi, tante le
similitudini che accalorano l'immaginazione
e che il giovane Lionello ci sciorina senza
preoccuparsi di annoiare, perché all'epoca, e
non solo allora, le emozioni si cantano così!
Da Piazza Brà passo a 'Piazza delle Erbe',
in quattro lunghe sezioni, quasi un dialogo
tra l'antico luogo degli incontri e degli
scambi da mercato e il poeta, che tutto os-
serva e per tutto vibra:
“ 1
Volgo, e se tieni vana l'arte io t'irrido!
Nell'antica piazza, qui, snido
e t'agito sul grugno mercantesco un rami-
cello fiammeo
di vecchi simboli del Canto, appunto mentre
più il mercanteggiare fermenta
in grasso bulicame!,
e, come il letame
liévita il lezzo,
l'occhiuta violenta
cupidigia del rame
liévita rauca nelle gole coriacee
del girovago e del merciaio
le voci innumeri d'acciaio
che si mischiano, s'arruffano ed a tratti
fanno aspri grappoli di grida!
2
Nella cintura di case
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.7
stupendamente disformi e maculose,
sotto la superbia paonazza
della torre,
è pure una simpatica villanìa di colori,
la piazza,
ove la varia
cibaria
s'avvicenda sotto la bianca distesa
d'ombrelli che la coprono come coorte di
leggeri scudi
a difesa
dei raggi maschi e nudi
d'un sole di maggio!
….
S'inasta
col possente respiro,
e sovrasta,
la superbia paonazza
della torre dei Lamberti,
quel trofeo
d'un'età.
Ma là!...
Bellezza più gagliarda,
là!, e m'inebria. Oh! Ch'io ti arda
una strofa robustissima,
o chioma
di fili metallici
che parli fulminëo idioma!
lira vivace
che l'Elettricità s'intesse pel suo canto su-
perbo
e che ha per fondo l'acerbo
azzurrissimo
d'un cielo italico!
Elettricità,
e mi glorio d'essere virgulto della tua età!
Virgulto
selvatico e gemmante
ancor che occulto
nel putidore del folto tumulto!
Io passo nella piazza ove passa chino
il vecchio contadino
arrugginito,
che sarà presto la Morte;
ove passa come viva esca
la popolana rotondetta e forte,
ch'è l'Amore: fresca
come germoglio,
con gli occhi nerisssimi
come gocciole di seppia,
con le labbra rosse su cui il buon dialetto
veneto
è una fiorita grassa e indolente e iridata.
Io passo, che sono il Canto....
…..
3
L'Arte è necessaria.
4
Canto.
Io sento i miei diciannov'anni come un fre-
sco manto
di petali primaverili,
e tutto me come un pòlline d'oro!
….
Verona, maggio 1913.”
(Lionello Fiumi, Pòlline, op. cit. pp. 11-15).
E' chiarissimo l'ardore del giovane a sentirsi
Poeta a tutti gli effetti, perché ha letto il D'
Annunzio e ne ha colto la vigorìa d'espressio-
ne, perché è come lui, il Vate, il Maestro, au-
dace e deciso e sa cogliere da questo momen-
to storico energie preziose per abitarne senza
sforzo le trame: si, proprio come l'elogio all'
Elettricità, personificata e resa quasi simbolo
di una stagione frenetica ed in inarrestabile
divenire, quale è quella che lui riesce a pre-
vedere e a vivere, cavalcandola senza sforzo,
fin dai primi decenni del '900.
E poi esiste l'Adige, a Verona, che scorre
inarrestabile come il tempo, da tempi imme-
morabili, è ampio e carico di verdi fiancate,
in trasparenza: mi piace camminare a lungo e
scoprire aspetti inconsueti dei profili che vi si
innalzano oltre gli argini e di quelle chiese e
campanili che, in gran numero, scandiscono
ancora la vita di chi passa, anche senza so-
starvi. Ponti eleganti lo attraversano e sono
tanti perché la città, quella antica, è protetta
da più porte. Ascolto il poeta:
“ Lamento consueto
Dittico
1. Molini sull'Adige.
Immensità della sera queta!
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.8
E il frusciante fluire di seta
dell'onda
di quest'Adige,
come una chioma profonda,
bionda
nel purpureo
crepuscolare!
E il fluire continuo continuo del fiume,
che par tessere aureo il filo del Tempo,
ne la sera queta, armoniosa
d'una gamma
di rosa!
Su l'acqua
l'ultima luce si squamma
nervosa.
Rigido contro l'ampia fiamma
che orla il cielo,
sta sul fiume
un rozzo volume
di baracche di legno nere di bitume;
vecchi molini.
Esce sul ponticello a quando a quando
un uomo polveroso e zufolando
guarda la riva ove per terra un bambino
ruzza e s'impiastriccia.
La grondante ruota nera del molino
gira veloce
e arriccia
l'acqua d'un fermento
lieto
innumerevole e irrequieto
d'argento.
…
Verona, aprile 1912.
(Lionello Fiumi, Pòlline, op. cit. pp. 35-36)
Nella seconda parte del 'Dittico', 'La clessi-
dra maligna', il giovane Lionello s'abbandona
a tristezze e malinconiche connessioni a cui
sono avvezzi tutti i poeti, che associano Amo-
re e Morte insieme, gioia spericolata e inetto
senso d'un totale nulla. Così s'erge a cantare:
“.... 2. La Clessidra maligna.
Ma la Vita
è un pugno di sabbia sanguigna
pesato
dal Fato
e gittato
dentro una Clessidra ben maligna:
perché alla ghiotta boccia
inferiore
il tristo Inventore
ha tolto il fondo.
…”
(Lionello Fiumi, Pòlline, op. cit. pag. 37).
Quando gli è possibile, e le circostanze
sono tante, in città nelle stanze a pagamento
o nella 'Avancittà' o nella 'Campagna Cir-
condaria', che ormai conosce benissimo, il
giovane Lionello inebria di parole giovinette
d'ogni tipo e le porta a coricarsi con lui, e le
descrive nei suoi versi e le ama, solo lui sa
come. Non ha né timore né tremore di co-
municarlo a noi e a chi altro si inoltri negli
ansimanti dettagli del suo dannunziano ero-
tismo, più brioso e scaltro insieme però, ben
s'intende, attento com'è a raccogliere tutto di
sé, per mettersi in scena e darsi così ai gio-
vani ed a tutti gli altri d'ogni tempo.
Ilia Pedrina
OCCHIO DI LUNA
Guardo in cielo e ti trovo
Occhio di luna,
tra due nuvole d’argento
dalla forma di mandorla.
Rimango d’incanto,
svanisce ogni pensiero,
la luce purifica il sentimento
come il moto con l’onda
che filtra e sedimenta.
C’è solo pace in me
è il frutto della tua magia
che mi avvolge e protegge,
che cancella tristezza,
manifesta mestizia che apparve
quando sei andata via.
Ho bisogno di te,
ma basta osservarti
per rivivere ancora,
per sentire calore in questa umida notte.
Colombo Conti
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.9
LA NATURA,
L’UOMO E IL SACRO in una riflessione di Paola Ruminelli
di Giuseppe Leone
ON una dedica alla propria madre
“per i suoi cento anni”, Paola Rumi-
nelli, già docente di materie letterarie
e autrice di articoli e saggi sul pensiero esi-
stenziale, tra i quali “Per un nuovo Umanesi-
mo, La ricerca filosofica, Tra finito e infinito,
tanto per ricordarne alcuni, ha pubblicato nel
luglio 2013 con la Armando Editore di Roma
La natura, l’uomo e il sacro. Studi per una fi-
losofia dell’esistenza. Si tratta di un “saggio
che vuole essere” – sono parole dell’autrice –
“un sia pur modesto contributo all’invito alla
riflessione per il nostro tempo in cui i prodigi
della tecnologia sembrano aver sostituito la
realtà naturale, coinvolgendo l’interesse dell’
uomo in maniera totalizzante” (9). Un invito
a riflettere che nasce dalla constatazione che
l’uomo
contempo-
raneo non
si meravi-
gli più da-
vanti agli
eventi na-
turali, ma
solo da-
vanti ai
“miracoli”
della tec-
nica. Ne
discute nel
corso di
80 pagine
che suddi-
vide in due parti: una prima, dove l’ autrice si
sofferma intorno al mistero dell’essere, con
un excursus sulla natura, alla luce ora delle
concezioni sul cosmo e il caos quali ci sono
giunte dall’antichità, ora delle ipotesi che fi-
losofia e scienza hanno formulato in tempi
più vicini a noi; e una seconda parte, dedicata
all’uomo, alle sue origini e al suo linguaggio,
alla sua autonomia fra trascendimento e tra-
scendenza; e al sacro, con relativo discorso
sull’esistenza di Dio e il senso della vita. Il
tutto attraverso un’ esposizione chiara ed es-
senziale, frutto a un tempo di lucida razionali-
tà e sincera passione, in uno stile affabile e
colloquiale. Un pamphlet, si direbbe, con il
quale la scrittrice esorta il lettore a riflettere
per il nostro tempo, un modo di dire che sem-
brerebbe rimandare, per analogia s’intende, a
un verso di una lirica di Vittorio Sereni, a
quell’esortazione sussurrata da qualcuno alle
sue spalle a pregar per l’ Europa mentre è
prigioniero in un campo di concentramento,
affinché l’Europa oppressa e in rovina possa
essere finalmente liberata. Con la differenza
che il poeta non può far nulla, perché morto
alla guerra e alla pace, mentre l’autrice è an-
cora nella condizione di poterlo fare, appel-
landosi alla metafisica, quale è diventata, da
Kant a Levinas, orientandosi nel segno dell’
etica. In nome di questa libertà del volere
nell’uomo, allora, che nessuno può impedire
e che la filosofia continua a rivendicare tra i
suoi oggetti assieme all’immortalità dell’ a-
nima e l’esistenza di Dio, ecco la studiosa in-
vocare chi per lungo silenzio parea fioco, la
metafisica, di cui inizia ad elencare subito i
vantaggi, e non solo in quanto scienza ordina-
trice e moderatrice di un dialogo altrimenti
impossibile fra i sostenitori dello scientismo
che vogliono spiegarsi ogni cosa alla luce del-
le conoscenze razionali e i sostenitori della
fede che sostengono il contrario, riportando le
ragioni di tutte le cose alla causa del divino,
ma anche per il riverbero che ne potrebbe a-
vere la fede, in difficoltà in momenti come
questi di globalizzazione, “dal momento che
essa non può essere più un dato acquisito per
tradizione e come tale assolutamente certo,
ma come un momento che per la sua matura-
zione non esclude l’inquietudine della ricerca,
ma presuppone un avvio di pensiero che la
fondi sulle strutture ultime della coscienza”
(53). E ne giustifica anche la sua necessità,
dicendo che “l’uomo può penetrare nella na-
tura con gli strumenti della sua scienza e della
sua tecnica, che gli permettono, sia pure in
C
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.10
piccola misura, di dominarla e di adattarla ai
suoi bisogni, ma la scienza e la tecnica non
possono dare risposta alla sua più profonda
ansia di conoscenza, che mira all’ essere stes-
so del mondo e della sua vita…” (55). Solo la
metafisica come scienza che indaga sulle re-
altà ultime – risponde la Ruminelli - può per-
venire alla risposta sull’origine del mondo,
sul perché del divenire e del susseguirsi di
forme mortali, nonché sul desiderio e l’ ango-
scia di vivere che tutti i viventi condividono.
Stupisce, man mano che si va avanti nella let-
tura, come l’autrice accordi così tanta fiducia
alla metafisica, dandola più che mai per viva,
quando filosofi come Severino avevano for-
temente dubitato dell’efficacia dei suoi rimedi
contro il male di vivere; e ancora prima di lo-
ro, Nietzsche e la non trascurabile schiera dei
materialisti ne avevano dichiarato la morte.
Molti, per la studiosa, sarebbero ancora i doni
che essa può elargire tra la gente. Tra questi,
il sentimento della meraviglia che l’umanità
postmoderna ha smarrito da quando il prima-
to della conoscenza non è stato più ricono-
sciuto al pensiero e la felicità, anch’essa per-
duta, ma che potrà essere recuperata se l’
uomo riprende ad affidarsi alla ragione. Me-
raviglia e felicità, a condizione che gli uomini
ricomincino di nuovo a guardare lontano con
il pensiero, oltre i piccoli recinti dove essi e-
spongono i prodotti della loro tecnica, per
scrutare gli interminati spazi e i sovrumani si-
lenzi, la profondissima quiete, il nulla eterno,
i campi eterni, luoghi virtuali che nessuno po-
trà mai raggiungere a piedi o volando. Mondi,
che, dando a chi li immagina la misura di
quanto è dentro di noi e quanto si estende
fuori, forniscono le proporzioni della res e-
xtensa e della res cogitans, della natura,
compresa la realtà corporea, e della realtà
pensante. Fragile, quanto si vuole, quest’ ul-
tima, rispetto al gigante dell’universo, ma
prodigiosa perché oltre a fare avere all’uomo
la coscienza del mondo, gli dà anche autoco-
scienza della propria finitudine, del provviso-
rio, della propria piccolezza di fronte al creato
e dell’alterità della sua esistenza rispetto alla
Natura e a Dio. E non solo, citando un pen-
siero della Weil, che “la precarietà delle cose
belle è preziosa, perché è rivelazione di esi-
stenza”, la Ruminelli può aggiungere che
“anche la morte può essere considerata un
bene, in quanto facendoci capire la nostra
provvisorietà, matura in noi la virtù dell’ u-
miltà radice dell’amore” (75). Un manuale
sulla metafisica, allora, questo saggio di Pao-
la Ruminelli, un illuminante testo che la stu-
diosa propone ai lettori allo scopo non solo di
“richiamare la loro attenzione sui problemi di
fondo che inquietano l’umana coscienza, qua-
li il mistero dell’essere e il senso della vita”,
ma anche di far presente quanto sia necessa-
rio “il ricorso al Pensiero” affinché l’umano
sopravviva alla sfida mortale della tecnica.
Giuseppe Leone Paola Ruminelli - LA NATURA, L’UOMO E IL
SACRO - Studi per una filosofia dell’esistenza -
Armando Editore Roma 2013, pp. 80. € 9,00
IL TELEFONINO
E all’improvviso il silenzio.
La voce che prima vibrava
nel corpo robusto
si tace, la luce
che dentro l’illuminava
si spenge.
Resta il buio
più nero e completo,
il distacco
dal circostante mondo,
la perdita della memoria.
E la disperazione.
Ma basta un breve intervento.
un semplice tocco
di chi conosce i misteri
che l’aria rinchiude
e ritorna la luce, ritorna la voce.
Il mio telefonino che era morto
è gloriosamente risorto
ed io ne riascolto felice
il suo gioioso segnale.
Sarà così un giorno
Anche per me ? Lo spero.
Mariagina Bonciani Milano
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.11
ANDREA ZANZOTTO ATTI DI UN CONVEGNO
di Aldo Cervo
L volume è la raccolta degli Atti del
convegno svoltosi il 6 ottobre 2012 pres-
so l’Abbazia di Praglia, sulla produzione
letteraria di Andrea Zanzotto, voluto e curato
– il convegno - da Maria Luisa Daniele Tof-
fanin, scrittrice nativa di Padova, con la quali-
ficata collaborazione di Mario Richter, do-
cente universitario, noto studioso del Rina-
scimento francese e italiano, nonché della
stagione europea del Decadentismo, e del
Surrealismo. L’iniziativa, concepita per il
primo anniversario della morte di Andrea
Zanzotto, patrocinata dall’Associazione Levi-
Montalcini, nasce dall’amore – condiviso –
del poeta di Pieve di Soligo e della Toffanin
per il paesaggio dei Colli Euganei, oltre che
dall’amore – condiviso anch’esso – per la po-
esia, in virtù del quale fiorì e si protrasse ne-
gli anni un’amicizia “leggera”(secondo la de-
finizione della poetessa di Selvazzano) ma
feconda di idee e di reciproco, interiore arric-
chimento.
Prefato dal Richter, il volume esordisce con
la relazione di Antonio Daniele, ordinario di
Storia della lingua italiana all’Università di
Udine, nella quale si sottolinea – a volerci li-
mitare all’essenziale - la sacrale incidenza
del paesaggio dei Colli Euganei nella creati-
vità poetica di Zanzotto.
Il secondo intervento critico, di Silvio Ra-
mat, docente ordinario, fino a qualche anno
fa, di Letteratura italiana contemporanea
presso l’Università di Padova; ampio e curato
– l’intervento - nei minimi dettagli, fornisce
invece tutto quanto in termini di frasario è
contiguo - nell’Opera del poeta - al Sacro in
senso lato, o vi è di desunto dalle Sacre Scrit-
ture.
A seguire poi, con Mario Richter, si accan-
tona l’indagine estetica a favore di quella
sull’uomo Zanzotto, sulla sua umiltà e sulla
varietà della cultura posseduta, che diremo “a
largo spettro”, che ne fecero un inesauribile
quanto gradevole “affabulatore”.
Ma l’analisi sull’ars scribendi di Zanzotto
torna con Francesco Carbognin. Il critico, fi-
lologo ed italianista dell’Università di Bolo-
gna, affronta il problema della controversa
fruibilità della parola poetica in Zanzotto; pa-
rola che si fa “ambivalente” per veicolare una
duplice significanza, di “fisicità” e di “meta-
fisica”.
Ma non fu lo stesso già per Dante e per tutta
la produzione letteraria d’ogni tempo conno-
tata dall’allegoria e dal simbolismo?
Le pagine di Padre Espedito D’Agostini,
teologo, sono invece la testimonianza dell’ in-
tenso rapporto amicale e culturale che inter-
corse tra il poeta e Padre David Turoldo, la
cui idea di religione, che trascende – per così
dire – i limiti di un rigido dogmatismo, confe-
rì legittimità spirituale al “Sacro” di che si
permea l’opera di Zanzotto. Bello, in proposi-
to, il pensiero di Turoldo posto in apertura di
relazione:
Tu non sai che i poeti sono anche dei reli-
giosi…?
Il testo accoglie, in chiusura, il contributo
umano, ma anche letterario, di Marisa Mi-
chieli, vedova dello scrittore, la quale, nel ri-
cordare la visita resa ad Andrea da mons.
Giuseppe Zenti all’indomani della sua nomi-
na a Vescovo della diocesi veronese di Cene-
da, ne ricava, sottolineandolo, l’interesse che
il marito ebbe per la Chiesa Cattolica, ferma
restando in lui l’assenza di “ogni forma di
pedissequa e adulatrice acquiescenza nei con-
fronti dei più diversi dogmatismi”.
C’è poi – al testo – un’appendice dove, a
conferma della vocazione sacra del mondo in-
teriore zanzottiano, si pubblica – preceduta da
I
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.12
una nota introduttiva del citato Richter – la
traduzione che il poeta curò della Lettera di
San Paolo ai Colossesi, cui fa seguito – e
chiude per davvero il libro – il contributo
dell’encomiabile organizzatrice del conve-
gno, la poetessa Maria Luisa Daniele Toffa-
nin, che riepiloga con accenti commossi quel-
la che si può definire Storia di un’amicizia.
Nata da un incontro, promosso dalla Toffa-
nin, di Andrea Zanzotto con una scolaresca di
un Istituto Superiore di Abano, l’amicizia,
nella sua “levità”tutta interiore, non ebbe mai
termine e non v’è dubbio che produsse posi-
tivi effetti nelle vicende letterarie di entrambi
i poeti.
Di tanto costituito, il volume si correda di
un CD (non so se dico bene)contenente la de-
clamazione da parte del bravo dicitore, Fede-
rico Pinaffo, di alcune liriche di Zanzotto,
quelle, precisamente, che il volume stesso,
pubblicandole, sistema – mi si passi l’ espres-
sione latina – per intervalla sermonum.
Il problema del “Sacro” come motivo do-
minante nella genesi della poesia di Andrea
Zanzotto non si sarebbe nemmeno posto se
fosse stato – Zanzotto - un credente collocato
all’interno di una determinata Confessione.
Senonché il Poeta, per un interiore bisogno di
libertà, non prese – a volerla dire così - alcuna
tessera di appartenenza, preferendo inseguire
un’idea laica del “Sacro”che ne ha fatto uomo
di fede, magari dubitante, ma di certo iper-
sensibile ai valori eterni dello spirito, che ha
potuto coltivare senza l’assillo della precetti-
stica ecclesiastica. Codesta religiosità di gior-
no in giorno ridiscussa e verificata gli valse
l’amicizia e la stima di un altro Spirito libero
della Fede, Padre David Maria Turoldo, cri-
stiano di apertura ecumenica, che seppe leg-
gere nell’opera e nella vita di Andrea Zanzot-
to i segni di una religiosità maturata attraver-
so itinerari personali, forse contraddittoria, si-
curamente sofferta ma profonda tanto da non
aver nulla da invidiare a quella che altri con-
seguono secondo i tradizionali tracciati delle
religioni organizzate in gerarchie.
Nell’interessante convegno di Praglia, i cui
Atti – pubblicati - son destinati a diventare
un passaggio obbligato per i futuri studi sul
Poeta di Soligo, oltre al confronto sul “Sa-
cro”- tema centrale dei diversi contributi cri-
tici – è emerso, come era prevedibile, anche
quello sulla non immediata fruibilità della
poesia (non di tutta, s’intende) del famoso
Poeta veneto. Riferendosi infatti alla lirica
“Sopra i Colli d’Este”, Antonio Daniele – a
voler fare qualche esempio – scrive: Non si
tratta di un componimento di facile interpre-
tazione: un certo orfismo è connaturato a
Zanzotto. Ma nessuno vorrà negare il senso
di dolorosa partecipazione alla perdita del
fratello… E Francesco Carbognin non dice
cose diverse là dove, parlando del “tipo di
scrittura” in Zanzotto, afferma: Si tratta, a
ben vedere, del “sentimento” avvertito da chi
si trova al cospetto di una dimensione sostan-
zialmente ineffabile, suscitato dalla consape-
volezza dell’insanabile contrasto tra vita e
linguaggio: tra quella che Zanzotto definisce
“vita-ustione-immediatezza” e la cifra lingui-
stica delegata, di volta in volta, a renderne
testimonianza..
Tema non nuovo, quello della “impermea-
bilità”, che già da tempo divide contrapposti
interpreti della poesia zanzottiana.
Nel merito qualche anno fa, nel N° 105 di
“La Nuova Tribuna Letteraria”, Stefano Va-
lentini scriveva:Chi, tra i sostenitori, afferma
di comprendere l’intera opera di Zanzotto, a
nostro giudizio, non dice la verità, per studio-
so illustre e competente che sia. Dall’altro la-
to chi, tra i detrattori, afferma che poiché la
comprensione è ardua o impossibile allora la
sua poesia vale poco o nulla, o addirittura
non è poesia, certamente non si è mai seria-
mente impegnato ad approfondirne la cono-
scenza, limitandosi ad una scorsa superficia-
le.
E ancora il Valentini nello stesso articolo
proponeva, per comprendere la genesi del
linguaggio poetico di Zanzotto, di partire da
una sua lirica degli anni sessanta, titolata
“L’elegia in petèl”.
Ma cos’è per Zanzotto il petèl?
E’ – il petèl – quel linguaggio pregramma-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.13
ticale che ogni bambino inventa nell’età che
precede le prime articolazioni foniche assunte
poi per imitazione dagli adulti.
Se ne potrebbe ricavare un vocabolario!
E al petèl, a un petèl che – come il fanciul-
lino del Pascoli – perdura anche nella creatura
divenuta adulta, Zanzotto, prescindendo dalle
codificate connessioni logiche e sintattiche
del discorso, cerca di rimanere legato, nella
prospettiva di conseguire un linguaggio pri-
mordiale che sia immediata traduzione in
suono della percezione del paesaggio, di quel
paesaggio fisicometafisico che è motivo do-
minante di larga parte della sua opera.
Chi scrive ritiene, in tutta modestia, che il
petèl, se è connaturato alla primissima infan-
zia, è poco immaginabile che lo si possa per-
cepire e dargli forma con eguale “verginità”
linguistica in età adulta, date le contamina-
zioni inevitabili della quotidiana comunica-
zione verbale. Ma se per assurdo fosse possi-
bile, ogni poeta non potrebbe che creare per
se stesso non potendosi ipotizzare un petèl
convenzionale che nel farsi tale contraddireb-
be se stesso!
Quanto ad Andrea Zanzotto, è da ritenersi
che, al di là di talune esasperazioni ellittiche
pur presenti nelle sue sillogi, guardasse al pe-
tèl come al segno attestante l’esistere negli
abissi del nostro subconscio (non a caso Pa-
dre David Turoldo definisce Zanzotto “rab-
domante della parola”) di uno sterminato
“giacimento”, stratificatosi a partire dalle
primissime età preistoriche, di fonemi comu-
nicativi, in cui scavare al fine di dar luogo a
un rinnovamento linguistico, che superando
tradizionali forme e schemi espressivi, gettas-
se le basi per un poetare nuovo, da mettere
meglio a punto nei tempi a venire.
Voglio tuttavia concludere fornendo un e-
sempio di come Zanzotto sapesse essere im-
mediato ed emotivamente coinvolgente anche
senza ricorrere a soluzioni linguistiche neces-
sariamente inedite. Vediamolo nel breve ri-
cordo, in prosa, del suo “loco natio” non an-
cora irrimediabilmente deturpato da un irrive-
rente progresso:
D’estate, gli abitanti di quel mondo da fia-
ba, ormai scomparso, si sedevano lungo la
via improvvisando filò all’aperto; e il dialetto
correntemente parlato dai suoi abitanti, sor-
tiva l’incanto di un continuum che fondeva
armoniosamente il linguaggio della natura al
linguaggio umano…
Lo stralcio è uno splendido esempio di poe-
sia in prosa e nasce, a parer mio, da un petèl
sotterraneo tanto più vivo quanto meno ri-
messo ad assemblaggi, per nulla evocativi, di
artificiose costruzioni fonemiche. Esso mi fa
venire a mente, per il tono malinconico che lo
pervade, il diario - ricordato dal Leopardi a
premessa del Canto notturno di un pastore
errante dell’Asia - di M. de Meyendorff,
viaggiatore russo, titolato Voyage d’ Oren-
bourg à Boukhara, fait en 1820, pubblicato a
Parigi nel 1826, dove si dice della consuetu-
dine dei Kirghisi, popolazione nomade dell’
Asia centrale, di passare le notti di plenilunio
seduti su dei massi a guardare la luna e a im-
provvisare versi tristi su motivi di pari tristez-
za.
Aldo Cervo M. Richter – M.L. Daniela Toffanin (a cura di), Il
Sacro e altro nella poesia di Andrea Zanzotto, Ed. ETS, Pisa, giugno 2013
AVRÒ OCCHI D’ANIMA
Eppur ci credo. Allora che il mio corpo
si solverà nel tetro della terra
e non avrò più occhi per vedere,
come godrò le eterne meraviglie
del nuovo mondo che mi fu promesso,
oltre questo cielo su di me sospeso,
oltre i voli silenti di rapaci,
oltre i superni tetti del pianeta?
Ebbene, avrò occhi d’anima, lo sento;
pupille intente a voli sensoriali,
vive d’intelligenza ed appagate
da prodigi, immagini, visioni,
trasalimenti edenici e stupori.
L’apparizione, sempiterna grazia,
gioirà l’approdo, senza più ritorno.
Serena Siniscalco Aprica, settembre 2013
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.14
VITA E OPERE DI
DOMENICO DEFELICE NELL'ULTIMO LIBRO DI
ANNA AITA di Luigi De Rosa
UESTA recente monografia di Anna
Aita, poetessa e scrittrice, “figlia d'ar-
te”, si rivela quanto mai utile e prezio-
sa anche per chi, come me, possiede nella
propria libreria tutte le opere di Defelice. Si
tratta di una monografia scritta con affetto ed
efficacia letteraria, ma soprattutto con accura-
tezza e precisione. Il che facilita ulteriormen-
te gli studi su Defelice, sulla sua attività poe-
tica e artistica di una vita, sulla sua instanca-
bile iniziativa di promozione culturale. Dopo
una Introduzione di Angelo Manitta, critico e
saggista, presidente della Accademia “Il
Convivio” nonché direttore editoriale della
omonima Rivista e di “Cultura e prospettive”,
la monografia si articola, ordinatamente, in
sei Capitoli: La vita 2) Le opere 3) Pubblica-
zioni di Domenico Defelice 4) Opere teatrali
5) “Pomezia-Notizie 6) Monografie per Do-
menico Defelice.
1) Il racconto della vita del poeta si snoda
dalla nascita ad Anoia (Reggio Calabria),
avvenuta il 3 ottobre 1936, fino al trasferi-
mento a Roma, poi a Pomezia, alle porte di
Roma, fino ai nostri giorni. Anzi, fino alla
gioia immensa procuratagli dalla nascita e
dalla crescita dell'adorato nipotino Riccardo
Carnevalini Milano. Il capitolo si chiude con
una toccante poesia (una delle tante già dedi-
cate a Riccardo dal nonno poeta) intitolata In
voi spontaneo, naturale che ci fa toccare con
mano la rivoluzione-sistemazione avvenuta
nell' animo e nel cuore del nonno, in uno
scambio esemplare del “testimone” fra appar-
tenenti a diverse generazioni:
“T'incanta lo schermo del computer.
Mi scruti digitare.
Seduto sulle mie ginocchia
cerchi imitarmi alla tastiera
battendo le manine alla rinfusa.
Tu e gli altri che verranno
siete figli della tecnologia.
Quel che imparato ho con fatica,
è germe in voi spontaneo, naturale.
Tu e gli altri che verranno
digitate un mio verso fra cent'anni.
Sarà il modo più semplice e discreto
per dire, con il cuor, nonno ti amiamo.”
Ho riprodotto questa poesia per un motivo
ben preciso: Il Defelice di oggi è la prosecu-
zione naturale di quello che in realtà, è sem-
pre stato: un uomo buono, innamorato della
vita e delle cose oneste e positive, un cultore
degli affetti sani, familiari, un cuore nobile,
insomma. Un poeta estremamente sensibile “
offeso dall'andazzo di un'epoca violenta e de-
ludente sotto tanti aspetti”.
Proprio per questo nella sua produzione
letteraria troviamo, così spesso, la rivolta
dell' animo contro la malvagità e l'odio,
l'invettiva o il sarcasmo contro le ingiusti-
zie e gli imbrogli, sia ai danni dei singoli
che ai danni dei popoli.
2) Le opere defeliciane passate in rasse-
gna dalla Aita sono Piange la luna, Con le
mani in croce (1962), Un paese e una ra-
gazza (1964), 12 mesi con la ragazza
(1964), La morte e il Sud (1971), Canti
d'amore dell'uomo feroce ( 1977). Tali ope-
re, più lontane nel tempo, sono rivisitate
non con esame diretto ma grazie ad un pre-
zioso libro di Sandro Allegrini ad esse de-
Q
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.15
dicato: Percorsi di lettura per Domenico De-
felice, con prefazione di Angelo Manitta, edi-
zioni de Il Convivio, 2006.
Viene poi esaminato un altro libro impor-
tante del Nostro, forse fondamentale nell' im-
pianto della sua produzione letteraria globale:
Nenie ballate e canti, Ed. Le petit Moineau
1993. A proposito dell'atroce episodio della
morte di Alfredino Rampi, caduto nel famige-
rato “pozzo di Vermicino”, la Aita scrive ( e
condivido pienamente) . “ ...il Poeta sente di
amare vivamente e profondamente questo
bambino come suo e, oppresso dal dolore,
lamenta in maniera forte il clamore incredi-
bile determinato dai mass media e la disgra-
ziata “cultura dell'apparire” che fa sì che un
tragico evento si trasformi in un'orribile for-
ma di spettacolo...”
Purtroppo da allora i mass media, in serrata
concorrenza tra di loro, non hanno fatto altro
che “peggiorare” con la rappresentazione dell'
orrore, allo scopo di aumentare lo share o la
vendita.
3) Nel terzo capitolo, dedicato alle Pubbli-
cazioni di Defelice, Anna Aita passa in rasse-
gna, con diligente e approfondito esame diret-
to e personale, opere importanti e significati-
ve come Temi umani e sociali in Carmine
Manzi (Ed. Gutenberg 1972), o come Arturo
dei colori ( raccolta di racconti edita da Po-
mezia-Notizie nel 1987). La narrativa di De-
felice è qui immersa nella delicatezza e nella
levità, nella fiaba e nella magia. Segue il gra-
devole poemetto To erase, please ?sulla di-
scrasia e presunta (o vera?) inconciliabilità tra
la spontaneità della Natura e l'artificiosità...
del computer e della Televisione...
Con L'orto del poeta (Le petit moineau,
1991) senza esagerazione, siamo di fronte a
un piccolo, autentico capolavoro. L'ho già
scritto a suo tempo, in un pezzo uscito su un
numero passato di Pomezia-Notizie, e non è il
caso che mi ripeta.
Col poemetto Alpomo (Ed. Pomezia- Noti-
zie 2000) ricordo che a suo tempo mi divertii
molto, ridendo tra me e me, ma di un riso
amaro, perché così voleva quel geniale poeta
satirico ( sì, in Alpomo Domenico è poeta sa-
tirico, e più graffiante che mai). “Alpomo”
sarebbe la povera...Italia, aggredita e violen-
tata dalla corruzione politica ed economica
come non mai nella sua storia...
Alle spalle della povera massa dei “cittadi-
ni” solo la nobiltà non sa che fare/ delle fac-
cende umili del mondo/ blindata nel Palazzo./
S'arrovella a pensare/ a chi muovere guerra,
chi defraudare/ e come suddivider le tangen-
ti,/ con chi recarsi a letto/ come trascorrere
giorni, mesi e anni / della noia al cospetto...
All'inizio dell'analisi di un altro poemetto,
“Resurrectio (viaggio nel dolore)”(Gènesi
Editrice, Torino 2004, ( storia della disavven-
tura ospedaliera del poeta per un intervento
chirurgico) la dolce Anna Aita, che oltre ad
essere una letterata e pubblicista è anche un'
operatrice umanitaria, confessa candidamen-
te: “Come scrissi in una mia recensione sul
poemetto “Resurrectio”, il mondo proposto
da Domenico Defelice, in questa sua raccolta
poetica, mi è molto caro. Sono ormai circa
trent'anni di volontariato in ospedale e ne ho
visto di tutti i colori. Per questo ho avvertito
un interesse immediato e speciale verso que-
ste pagine...”
Segue l'analisi illuminante di un altro libro
di Defelice, definito da Rosario Viola “un tri-
buto di affetto verso l'universo culturale ca-
labrese”, e cioè Pagine per autori calabresi
del Novecento (Ed. Il Convivio 2005), molto
apprezzato, oltre che da Viola, da Francesco
Fiumara, l'indimenticabile direttore de “La
Procellaria”, e da Vittoriano Esposito.
Altro libro importante di Defelice, non solo
dal punto di vista letterario-culturale, è il Dia-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.16
rio di anni torbidi (Edizioni Associate, Roma
2009), scritto e vissuto, dolorosamente, pro-
prio nella Roma degli anni intorno al 1966,
notoriamente difficili, a ridosso del Sessantot-
to.
Scrive acutamente Anna Aita : “ Un diario
vero, così come il nostro Autore ce lo affida,
potrebbe rischiare di essere banale, forse an-
che monotono. Quello del Defelice non lo è
per niente. E', al contrario, una lettura gra-
devole, accattivante, pregnante; ti conduce e
ti spinge per andare avanti per avere, alfine,
la conferma del giusto approdo dopo tanti
sacrifici...” La Aita aggiunge anche, in una
delle tante note integrative a pié di pagina che
corredano il suo saggio, che “...a parere di
Marina Caracciolo (Pomezia-Notizie, agosto
2010) “ c'è tutto intero Defelice in questo li-
bro: la personalità, la cultura, la fantasia, l'u-
manità”.
E siamo al volume di versi Alberi? , uscito
nel 2010 per i tipi della torinese Gènesi con la
prefazione di Sandro Allegrini e la posfazione
del critico-poeta-editore Sandro Gros Pietro.
“Fin dalla prima poesia - scrive la Aita - il
delizioso percorso poetico è un inno alla Na-
tura. Ogni verso profuma di verde ed è tutto
un fiorire di colori e di aromi, un trionfo del-
la terra e della vita: il sospirato Eden”. Per il
critico letterario Giorgio Bàrberi Squarotti
questi Alberi? di Defelice sono “eroticissimi,
fra emblemi e metafore, sono geniali, mirabi-
li”.
In Defelice il rapporto fra Natura e Uomo
(poeta o no) è rappresentato dalla umanizza-
zione della pianta, anzi, dell'albero, creatura
che assomiglia all'uomo anche per il suo de-
stino finale. Ma è tutta la Natura a trionfare.
Mi permetto di rimandare a quanto modesta-
mente ho scritto, con entusiastica ammirazio-
ne, su questo libro, anche in una delle prime
puntate della mia rubrica I poeti e la Natura,
che ogni mese appare su “Pomezia-Notizie”.
4) Nel capitolo quarto, come già detto, la
scrittrice si occupa delle Opere teatrali di De-
felice. E lo fa con felice esegesi, sostanziata
di puntuale documentazione, nei riguardi del-
la commedia Pregiudizi e leziosaggini (v. Il
Croco, settembre 2008). “Defelice è sempre
stato affascinato dal teatro – scrive tra l'altro
la Aita – Risiedendo a Roma, fino al 1970 ha
avuto modo di assistere a tante rappresenta-
zioni teatrali, anche come invitato in qualità
di corrispondente di varie testate: La voce di
Calabria, Il corriere di Reggio, la Voce del
Mezzogiorno, Alla Bottega, e, per ben quin-
dici anni, Avvenire...( specie nel celebre Tea-
tro Ambra Jovinelli)...
L'analisi della Aita si fa ancora più pene-
trante nei riguardi di Silvina Olnaro ( Il Cro-
co, marzo 2009), un dramma in tre atti dedi-
cato alla dolorosa storia di Eluana e di suo
padre che, disperato, aveva staccato la spina
in presenza di un “sonno” che sembrava or-
mai irreversibile. Un tremendo dramma di
coscienza (si può decidere della vita o della
morte di un altro essere umano? Specie se
giovane?), che impegna al massimo la mente
e la sensibilità umana e sociale del Defelice
uomo e scrittore. Giustamente viene notato da
Anna Aita che “la teatralità in Defelice ha
sempre contaminato poesia e prosa. Teatrale
infatti è pure il poemetto To erase, please? E,
ancor di più, Alpomo, come teatro sono tutti i
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.17
brani dei Dialoghi all'esca (Pomezia-Notizie
1989), lavoro apprezzato anche dal grande
Indro Montanelli, che scrisse: soprattutto per
la forma, l'ho trovato originale. I dialoghi dei
personaggi mettono in risalto una ricerca di
linguaggio molto accurata (…) Il tutto esalta
storie che rispecchiano la società odierna;
storie tristi e purtroppo ricorrentissime...”
5) Il capitolo quinto è dedicato alla Rivista
Pomezia-Notizie. “Abbiamo parlato delle o-
pere di Domenico Defelice – conclude la Aita
– e non possiamo certamente prescindere da
un altro grande capolavoro del nostro perso-
naggio: il mensile letterario “POMEZIA-
NOTIZIE, da lui fondato e diretto dal 1973..
.Un giornale puntuale, senza lusso e colori
sgargianti, ma tutto scelto, per evitare inutile
dispendio e offrire al fruitore di tutto e di
più...Nata per la cronaca locale e distribuita
gratuitamente, dopo pochi anni è stata dirot-
tata completamente sulla cultura, mantenen-
do, però, la vecchia testata per non perdere il
suo patrimonio storico. Nel 1990 ha modifi-
cato il suo formato tabloid per assumere
quello attuale, più simile al libro e divenendo
in pochissimo tempo una rivista di nicchia,
apprezzata in ambito non solo nazionale...”
La Aita riporta anche numerosi giudizi posi-
tivi espressi su Pomezia-Notizie da parte di
altre Riviste letterarie italiane, prima fra tutte
“La Nuova Tribuna Letteraria”, di Padova (
fondata da Giacomo Luzzagni, un valoroso
insegnante siciliano trapiantato in Veneto, ed
ora diretta dal figlio Natale e da Stefano Va-
lentini) una rivista che offre i suoi ricchi con-
tenuti in una veste graficamente molto ele-
gante. Ebbene, secondo NTL Nuova Tribuna
Letteraria, “Pomezia-Notizie, nonostante la
veste dimessa, è una delle riviste culturali e
letterarie più interessanti d'Italia”, giudizio
ulteriormente ribadito dal Direttore responsa-
bile Stefano Valentini, secondo il quale “Po-
mezia-Notizie è una delle riviste migliori in
assoluto che si pubblichino in Italia. La veste
grafica è essenziale, d'accordo, ma la ric-
chezza e la qualità dei contenuti hanno dav-
vero pochi eguali, come dimostra anche l'ec-
cellenza dei nomi dei collaboratori...”
6) L'ultimo capitolo del libro della Aita è
dedicato alle “Monografie per Domenico De-
felice”, con l'esame delle opere di Sandro Al-
legrini (Percorsi di lettura per Domenico De-
felice), di Leonardo Selvaggi ( Domenico De-
felice e le sue opere etico-sociali) di Orazio
Tanelli (Domenico Defelice) e di Eva Barza-
ghi (tesi universitaria intitolata Domenico De-
felice: introspettivo coinvolgimento poetico-
letterario dell'animo umano, con cui la Bar-
zaghi si è laureata in Letteratura Italiana e
Contemporanea nel 2009 presso l'Università
di Roma-Tor Vergata.
Ovviamente, all' elenco delle Monografie si
dovrà ora aggiungere questo libro di Anna
Aita.
Luigi De Rosa Anna Aita - “Domenico Defelice, un poeta aperto
al mondo e all'amore” - Ed. Il Convivio, Castiglio-
ne di Sicilia, Catania, giugno 2013, pagg. 94, € 12.
Immagini: 1) Roma, Sala dell’Immacolata, Piazza SS. Aposto-
li: Domenico Defelice e lo scrittore e poeta Angelo
Manitta, il 28 ottobre 2006.
2) Roma Eur, Palazzo delle Esposizioni: Domenico
Defelice mentre firma un suo volume alla poetessa e scrittrice Rosangela Zoppi Tirrò, il 10 dicembre
2004.
3) Pomezia, Aula Magna dell’Istituto Statale d’Arte, 18 ottobre 1986: Domenico Defelice pre-
mia la poetessa romana Patrizia Fontana Roca.
4) Roma, Centro Letterario del Lazio, in via Meru-lana, il 27 gennaio 1987. Da sinistra a destra: il Pre-
side prof. Giacomo Mangano, la scrittrice e poe-
tessa Ada Capuana - pronipote di Luigi Capuana - e Domenico Defelice.
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.18
Le promesse dei giorni di
ANNA MAGNAVACCA di Nazario Pardini
vventure verso significanti che vanno
oltre gli etimi.
Mi piaceva la luna d’avorio che baciava
prima del sonno i fiori del ciliegio
Plaquette di due sillogi, questa nuova av-
ventura letteraria di Anna: Le promesse dei
giorni e altri versi e Madre; trae il titolo dalla
raccolta eponima. Devo dire innanzi tutto che
il dipanarsi del dettato lirico si mantiene su
livelli di alto spessore per architetture tecnico
verbali e per varietà di contenuto. Un’opera
che evidenzia gli stilemi tipici della vis crea-
tiva della poetessa, e che segna una tappa di
continuità nel percorso artistico della stessa.
Percorso connotato da una maniera di sentire
e di dire che rende unica, inconfondibile, e
personale la sicurezza del ductus poetico. Sil-
loge arrivante, quindi, coinvolgente per il tat-
to delicato con cui l’autrice mette a nudo il
suo essere donna, il suo vivere e il suo vissu-
to. Per la coscienza inquietante di veleggiare
su un fiume segnato da correnti ora ripide, ora
placide e trasparenti, ora rilucenti di guadi da
cui appaiono ristagni di antiche memorie. E l’
anima di questa poesia è tutta in una simbio-
tica fusione fra abbrivi meditativi e versifica-
zione che, per contenere tanto pathos, si av-
venturano in iperboli di acribia speculativa
che vanno oltre le stesse regole della comune
sintassi. Il verbo si fa ora duttile, ora nervoso,
ora placido, ora audace in questo suo adatta-
mento, in questo suo farsi corpo per abbrac-
ciare l’anima del canto. Veri azzardi lingui-
stici, dunque. Elegie semantiche colorite da
tanto sentire. Avventure verso significanti che
vanno oltre gli etimi. E’ così che prendono
forma tante figure care. Evocazioni ad inva-
dere gli spazi sottostanti del pensiero:
“(…)
Coperta il mio cuore
su pezzi di dolore, vento la mia voce.
Oltre il sole messaggi a mia madre, a mio
padre,
a quanti ho amato e perso
e mi tocca contare – aggiungere le perdite
in questo cerchio mai chiuso…” ( Un giorno
d’autunno),
in un linguismo che fa della semplicità l’arma
vincente. Linguismo che si avvale di incastri
e di nessi creativi che raggiungono “pointes”
di grande valenza partecipativa. Con un ardo-
re allusivo di metafore che si apre ad una po-
lisemica significanza ora di tensione orfica,
ora, anche, dai toni epico-lirici:
“(…)
Resto sola,
sento lo scricchiolio di una stella
che s’arrampica sull’alba” (Un sabato);
“(…)
Sento il silenzio
chiede di bere al calice di madreperla
della notte” (Una domenica);
“(…)
Avanza il buio.
Voglio pensarti libera barca
in cerca di un faro di bianco corallo” (Un
giorno di lutto);
“(…)
Appoggio il mio cuore
sull’orlo di una pietra” (Un giorno di prima-
vera).
E tutto si svolge in forma ampia e narrativa.
Come se la poetessa sentisse la necessità di
un modus dicendi disteso per ri/vestire un re-
soconto di totale intimità. Un resoconto da
redde rationem, zeppo di vicissitudini uma-
namente infinite. Umanamente troppo umane
nel loro aveu diretto. Nel loro sperdimento
evocativo. Nel loro abbandono ad una realtà
osservata, captata, e decantata in un animo di-
sposto a farla rivivere contaminata del suo pa-
tema. Del suo senso della vita. Di una certa
stanchezza, anche, per come corrono le cose:
A
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.19
“Non devo, non voglio
oggi giorno qualunque
fare bilanci della mia vita
altrimenti lancerei tutto
su un arcobaleno,
uno di quelli che vedi
un batter d’ali
e poi ti chiedi dove può essere finito
così, senza avvisaglie.
Negli occhi quei colori scomparsi
così in fretta…” (Un giorno qualunque).
Qui presente, passato, e futuro si embrica-
no indissolubilmente in una soluzione di reale
impatto quotidiano:
“… Sul tavolo
alta la zuppiera dall’orlo d’oro
bollicine nei concavi bicchieri.
Fuma e crepita il caldo intingolo,
accese sono le luci
il melo ha messo i fiori
(…)
Il gatto ha già mangiato
e si è addormentato” (Un giorno di festa);
“(…)
Questa mia vita
non mi dà grave avviso
ma quell’insistente corrosiva stanchezza
delle stesse notti…” (Un giorno qualunque).
Una consuetudine quasi scontata. Un vivere
i fatti come se si succedessero senza novità
alcuna, come se si presentassero con quella
abitudinaria quotidianità a cui è d’uso parte-
cipare. Ed è da questi fatti che la Nostra sente
la necessità di svincolarsi per azzardare voli
oltre, oltre certi spazi che segnano il limen del
nostro vivere, che segnano notti che lacerano-
consumano:
“(…)
E’ un cielo con l’arcobaleno fermo
che io cerco,
mi sussurra di una farfalla su un ramo
della pensierosa bianca fronte della luna
dello sposalizio della sera con il silenzio
e salire salire salire…” (Un giorno qualun-
que).
Sì, è là che la Nostra vorrebbe volare, oltre
la terra, in cuore all’azzurro, in braccio ad un
arcobaleno da cui mirare la terra rimpicciolita
nei suoi travagli e nelle sue sottrazioni. Ed è
l’imperfetto che spesso domina con il suo
fervore nostalgico, per cui tutto sembra liscia-
to e ingentilito da una memoria che fa persino
presente un tempo sfuggito. Che fa di un con-
fronto, una lirica di struggente richiamo:
“Mi piaceva avere capelli rossi labbra ver-
miglie
occhi di canto sbavati di rimmel,
sentire il passo pieno, il fiato caldo della vita.
Mordere sulla pelle il vento il fuoco
(…)
Mi piaceva sdraiarmi nella rugiada
(…)
Mi piaceva la luna d’avorio che baciava
prima del sonno i fiori del ciliegio.
Adesso mi offro da bere latte caldo
metto all’orecchio una conchiglia bruna,
profumo d’incenso il mio scialle (labirinto di
rose)…” (Donna ieri – oggi).
Realtà cruda, di cui la poetessa si ciba per
concludere bilanci di amare sottrazioni. Ma
reagire con il sogno è forza umana. Ed il so-
gno fa parte della vita, ne è nerbo essenziale.
Ed è meravigliosamente umano abbandonarsi
ad orizzonti senza confini:
“Mi piace inventare primavere improvvise
sognando aperti orizzonti.
Vorrei fare collane di pietra” (ibidem).
C’è in questi versi la piena coscienza del
senso eracliteo del tempus fugit, della fuga
del giorno. Ed è così che la Nostra si intrufola
nei minimi particolari, nelle cose più sempli-
ci, nelle piccole occasioni dell’esistere per
farne poesia a pieno titolo etico-estetico. E’ la
vita con tutta la sua portata che si fa serbatoio
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.20
di un realismo lirico convincente, votato a
sottrarre le bellezze agli annichilenti artigli
del tempo con la poesia. Poesia in cui una
malinconia sotterranea fa da terreno fertile
per la fioritura di un canto sintonizzato alle
corde di ogni cuore:
“Oggi non ride il mio mare,
nere vele
stendono parole ferite.
(…)
Arrivano battono chiudono…
volto mani cuore
madre mia.
Ultimo appuntamento.
Senza pietà .
Avanza il buio.
Voglio pensarti libera barca
in cerca di un faro di bianco corallo” (Un
giorno di lutto).
Sì, le cose semplici, quelle di ogni giorno:
la camicia di lino, il treno, il gatto, le fette bi-
scottate, una ninna nanna, il latte caldo, tacchi
a spillo, un fazzoletto bianco ad animare e a
rendere umile questo messaggio di vita e di
amore che tiene in sé la complessità dell’ es-
ser/ci: il tempo, i luoghi, i perché, il memoria-
le, il rimpianto e la piena coscienza di questo
breve spazio che impietoso logora e consuma
anche quelle bellezze che pensavamo eterne.
Bellezze che la natura potente, colorita, irru-
ente, dolce, di pulcritudine ammaliante, con-
tribuisce a rendere visive, pronta a favorire l’
effusione sentimentale della poetessa. A ren-
dere patologico il di lei mondo interiore, av-
volgendolo ora di un mare che non sorride,
quando si fa più triste il pathos del canto, ora
di rivoli di neve e rosse case, di fusione di
cielo e ciliegi, quando il verso è frutto di una
tale esplosione estatica da fare appoggiare il
cuore sull’orlo di una pietra. Sì, un mondo di
amore, soprattutto. Quell’amore che si vive a
pieno leggendo les pièces più crude, più ama-
re; perché la Magnavacca ama la vita, ed un
risentimento è umano quando la vita stessa
sembra tradirci. Risentimenti che, però, non
esistono nelle liriche rivolte a “una madre”
che “Nel mistero della vita/ in sconosciuti la-
birinti/ sa andare/ giada e sole”, o a madri che
“sognano aquiloni colorati/ per i loro figli”
anche se “soltanto pochi/ riescono poi a tene-
re l’aria”. Una serie di liriche rivolte alla ma-
dre senza cadere nella retorica. Riuscendo la
poetessa a non scivolare in quel campo mina-
to in cui potrebbe portare questo tipo di ar-
gomentazione. E lo dimostra in quel X Inter-
mezzo della II sezione (Madre) che nella sua
essenzialità condensa il focus di un Poema:
“Ancora madre
chiamerò
nella memoria gli anni belli”
XXI poesie dal sapore elegiaco, anche que-
ste, che si snodano su un tessuto confidenzia-
le e intenso di riflessioni e repêchages di qua-
dri e spaccati che mettono in gioco madre e
madri senza mai cadere di tono sia a livello
emozionale che strutturale. Una andatura eti-
mo-fonico, di euritmica musicalità che prende
sostanza e vigoria lirica ex abundantia cordis.
Che sboccia nei giardini ora del reale, ora del
sogno per decollare verso dolci e delicati ap-
prodi a convertire in gaudio le lacrime. Con il
solito dire narrativo, dal respiro ampio e me-
ditato, espanso ad abbracciare un’anima tutta
volta all’amore, la poetessa sviscera tutto il
suo sentire, sostanziato da fatti ed episodi che
la memoria riporta a galla con grande traspor-
to. Ed è in questi ritorni che la Nostra trova
tutto il riposo del suo essere. Che trova l’ al-
còva dei suoi spazi esistenziali. Perché sono
proprio le immagini che assumono connotati
e dimensioni completamente rielaborate in
seno alla scrittrice. D’altronde la realtà è una
cosa, ma l’immagine viene dopo, dopo anni,
ingrandita, trasformata, a lievitare dentro per
farsi vera poesia:
“(…)
Anche mia madre mi aspettava
ma come i figli
delle amiche di mia madre
molte volte restavo impigliata
in sogni di mare
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.21
mentre mia madre
riempiva la mia assenza di dolce stupore.
Amavo mia madre
e adesso ancora amo mia madre
che non è più (Erano tutte madri…).
Ed è questa semplicità sconcertante, trapun-
ta di impennate creative, a nutrire un “Poe-
ma” monotematico che riprende fra le mani il
bandolo di un passato, cristallizzandolo in
poesia. Memorialità, stupefazione, un po’ di
tristezza, anche, per dei propositi incompiuti:
“Dicevo a mia madre
che l’avrei portata
con me
in viaggio –
Parigi o Vienna o Londra.
(…)
Mia madre
non ha visitato
né Parigi né Vienna né Londra.
Le è bastato il sogno.
(…)
E’ stato avaro il tempo…
esalava umido odore di terra
e in mano stringeva
un mazzo di crisantemi” (Dicevo…).
E si succedono liriche di grande intensità
umana, di grande coinvolgimento emoziona-
le: un climax tematico che tende ad ampliare
sempre più gli orizzonti forse non completa-
mente ultimati, irraggiunti; orizzonti di una
vita in cui le sottrazioni, anche se arginate dal
sogno, vincono sulle realizzazioni:
“(…)
Mia madre
aveva il respiro nelle sue mani,
un respiro
fatto di fatica di anni di dolore
e di quell’esplosione di bellezza
delle madri.
E le sue lentiggini…
Impietoso il tempo.
Quelle lentiggini
le ritrovo oggi nelle mie mani (Non posso
dimenticare).
Quel tempo che ritorna impietoso nei versi
della nostra a logorare le cose più sacre. E
quando si tratta di vedere questa decadenza
negli occhi e nel viso di una madre ancora più
forte, quasi indicibile, il sentimento d’ impo-
tenza che proviamo di fronte al potere peren-
torio dell’ora e del giorno sulla materialità del
nostro esistere. Sul naturale evolversi dei pro-
cessi naturali.
Ed essere madre a sua volta permette ad
Anna, forse, di comprenderne con più tensio-
ne e maggiore intensità il ruolo. Anche se re-
sterà sacro nel nostro cuore, insuperabile, e-
semplare nella nostra mente, quello di una
mamma scomparsa, la cui immagine conti-
nuerà a brillare di una luce diamantina sui
percorsi del nostro vivere:
“(…)
Figli che amo,
forse ricambiata
ma
a volte li sento lontani-stranieri
come fiori
in un sogno invernale
(…)
Riusciranno poi a rubare
musica all’oscurità, luce alle stelle
voce all’aurora?
(…)
E’ difficile essere madri,
anch’io lo sono
e so quanto è tortuosa
la strada di una madre” (Anch’io sono ma-
dre).
Nazario Pardini Anna Magnavacca: Le promesse dei giorni e altri
versi - Edizioni Helicon. Arezzo. 2013. Pp. 66
AVVISO AGLI ABBONATI
Giacché questo Periodico
oggi è anche on line,
issuu.com/domenicoww/docs/
preghiamo gli abbonati,
ai quali non dovesse interessare più il cartaceo,
di comunicarcelo. Grazie
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.22
SILVANO DEMARCHI
Occaso di Liliana Porro Andriuoli
CCASO (Salerno, Edizioni Cronache
Italiane, 2012) è il titolo di una recen-
te raccolta di versi di Silvano Demar-
chi, un titolo che esplicitamente allude al
momento del “tramonto” della nostra vita:
evento per tutti carico di intensa drammatici-
tà. Demarchi, infatti, che negli anni giovani
era portato, in quanto uomo, a guardare alla
morte come cosa estremamente lontana, quasi
non lo riguardasse, ora, giunto al suo “occa-
so”, prende coscienza che la parabola terrena
assegnatagli sta ormai per completarsi e che
tra non molto dovrà scomparire dalla scena
del mondo. Ed è appunto quello della tristez-
za per la brevità della nostra vita (insieme a
quello del rimpianto per gli anni della giovi-
nezza, che con tutti i suoi beni sempre più si
allontana) che costituisce uno dei motivi fon-
damentali di questo suo nuovo libro. Emble-
matici risultano a tale proposito i versi di
Friedrich Hölderlin, da Demarchi posti in e-
sergo al volume: “A noi non è concesso / po-
sare in nessun luogo. / Scompaiono, cadono /
i miseri mortali, ciecamente / travolti da una
in altra ora, come l’acqua / che precipita di
roccia / in roccia nell’ignoto, / per sempre”
(Quando il sole tramonta).
Allo stesso motivo del veloce fuggire del
tempo, e quindi della precarietà e labilità del
nostro esistere, è ispirata anche la poesia d’
apertura della silloge, Fiore solitario, nella
quale la visione di un magnifico fiore
all’apice del suo “splendore” (ancora più bel-
lo per il suo ergersi “solitario” sopra i “bassi
arbusti” che gli stanno intorno) ricorda al
poeta che, fra pochi mesi l’estate sarà finita
ed anche quello splendido fiore (come, d’altra
parte, “ogni altro fiore”) comincerà “ad av-
vizzire”. È questo un pensiero che lo rattrista,
in quanto sa perfettamente che, simile a quel-
la del fiore, è la vita dell’uomo, costretto a
“nascere, splendere nella giovinezza / e len-
tamente appassire…”: un destino che incom-
be su tutti noi.
Un concetto, questo, che d’altra parte s’ af-
faccia pure in altre poesie della silloge; si ve-
da ad esempio Tutto è scomparso, dove il po-
eta, dopo aver rievocato momenti felici un
tempo vissuti, tristemente constata come “col
volgere degli anni” tutto sia andato perduto; o
si vedano ancora Franz e Declino, due poesie
nelle quali a rattristare Demarchi è l’aspetto
irrimediabilmente mutato che hanno assunto,
a causa dell’avanzare dell’età, due suoi cari
amici. Avviene così che, incontrando per la
strada Franz, l’amico che un tempo gli era più
caro1, quasi non lo riconosca e non abbia
nemmeno “il coraggio” di fermarlo: “Ti tene-
vo/nella memoria giovane, snello/e di sorri-
dente aspetto./…/Ed ora che ti ho visto passa-
re/così diverso da allora, dolce amico, / non
ho avuto il coraggio di chiamarti” (Franz).
Sorge spontanea la domanda, qui come al-
trove, se a Demarchi manchi il “coraggio” di
accettare la vecchiaia dell’amico oppure, a
fargli paura, sia invece la propria, riflessa in
quella dell’amico. Difficile a dirsi: innega-
bilmente viva (anche se forse non completa-
mente scevra da un senso di immedesimazio-
ne nell’altro) è, però, la sua tristezza; e altret-
tanto sincero, il sentimento di umana simpatia
che prova di fronte a colui che da giovane “Si
guardava compiaciuto allo specchio” per pre-
pararsi “alla gara”, mentre “Ora”, che il tem-
po lo ha irrimediabilmente cambiato e il suo
aspetto ha perduto il passato splendore, “allo
specchio non si guarda più” (Declino).
Tuttavia accanto a queste poesie in cui
prende campo la tristezza per ciò che la vec-
chiaia irrimediabilmente comporta (in verità
numericamente inferiori a quelle di alcune
sue precedenti sillogi, quali ad esempio Fo-
glie d’autunno2 e Luci al crepuscolo3), ne
troviamo altre in cui il nostro poeta dimostra
di possedere ancora una sorprendente vitalità,
che si manifesta non solo nel fluire limpido e
1 “Du bist mein enziger Freund”, “Tu sei il mio u-
nico amico”. 2 Cassino, Ed. Centro studi “Eugenio Frate”, 2003. 3 Recco, Genova, Le mani 2006.
O
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.23
sicuro del verso, ma anche nel modo in cui
affronta una tematica vasta e differenziata.
Così, da vero poeta quale egli è, Demarchi sa
nuovamente darci, anche in questo suo recen-
te libro, testi nei quali predomina l’aspetto
luminoso del mondo.
Si veda in proposito l’esultante gioia che ci
comunicano gli “agili pattinatori” di Feldkir-
che (“… nel bosco di betulle / su uno spec-
chio di cristallo / agili pattinatori esultano /
nell’ora della gioia”)4. Si veda anche la sere-
nità che emana dai versi di Limpido lago, una
poesia che si apre con una splendida visione
naturalistica: “Passeggiando nel bosco / di
carpini e pini, d’improvviso, / si dischiuse un
limpido lago”, dove bimbi “saltellavano vispi
/ con gridi di gioia” e giovani si pavoneggia-
vano trionfanti, mentre alcune fanciulle, “a-
dagiate” in riva al lago, prendevano il “sole
del mattino”. Tutti erano lieti di poter godere
del dono di una serena giornata estiva (“Per
tutti si annunciava / una giornata di calma fe-
licità”).
E la gioia che può far vivere la natura a
quanti sappiano apprezzarne l’eloquente fa-
scino s’incontra sovente nei versi del nostro
autore. Neve ad esempio si apre con la descri-
zione della profonda pace comunicata dalla
visione della neve di recente caduta sul pae-
saggio circostante: “Questa notte a sorpresa /
è caduta la neve, / si è posata sui tetti, / ha co-
perto i campi e le vie”. Unico desiderio del
poeta in quel momento così tranquillo è di
poter “Dormire come il pino / incappucciato”
e “silente” e “godere la pace di quest’aria /
immobile e fredda…”.
D’altra parte, come il motivo dell’amore
per la natura, affiorava sovente in molte poe-
sie di Demarchi fin dalle sue prime prove, co-
sì anche ora corre sotterraneo in molte di que-
sta sua nuova silloge. Si leggano ad esempio
aperture quali: “E’ gremito di stelle il cielo /
in questa notte di agosto” (Notturno) o “Sulla
costa protesi i lecci guardavano / l’abisso del
4 Può essere divertente ricordare che Feldkirch, una
cittadina medioevale situata nell’Austria occidenta-le, è famosa per il suo team di hockey su ghiaccio,
vincitore della Coppa dei Campioni nel 1997/1998.
mare” (Capri), che ci rendono intatti il suo
stupore e la sua meraviglia di fronte alla natu-
ra.
Quasi con prepotenza lo stesso motivo ri-
torna in Vita nel bosco, un testo suddiviso in
sei strofe, dove il rispecchiarsi dell’animo
dell’autore nel mondo esterno dà luogo ad e-
siti di freschissima resa poetica, come: “Sulla
soglia ascolto / il frusciare delle fronde / e tut-
to si placa dentro di me” (Ho affittato una ca-
panna); “Rivedo gli alberi, il sentiero / che lo
scorso autunno ho lasciato / nella loro muta
presenza” (Filtrano i raggi del sole); “Un ba-
gliore di fiamma / è il tramonto” (Un bagliore
di fiamma); ecc.
La perdurante vitalità di Silvano Demarchi
si manifesta inoltre intatta nel suo “irrefrena-
bile” desiderio di viaggiare: nel suo insop-
primibile desiderio, tuttora immutato, di co-
noscere terre nuove e nuove genti: “Esilaranti
sorprese / ci riserva il domani / e forte è il ri-
chiamo / di terre lontane, / perché / conoscere
è vivere” (Andiamo!). Una delle sue poesie
più riuscite in tal senso è Istanbul, nella quale
il suo pensiero corre a questa città da lui visi-
tata anni addietro e nella quale ebbe modo di
ammirare non soltanto i meravigliosi tesori d’
arte, ma anche di godere lo splendido pano-
rama sul Corno d’oro, come avvenne a To-
pkapi: “Vorrei tornare a Topkapi / su quell’
aerea terrazza / da cui si apre la vista / di I-
stanbul coi suoi tetti / che diventano oro al
tramonto / e la tremula marina del Bosforo”.
Sempre viva s’affaccia poi in lui la sugge-
stione delle memorie che la visione di quei
luoghi gli ha saputo suscitare: “… ci apparve-
ro / nel cielo di ardesia galoppanti / guerrieri
saraceni e cristiani / e opulenti sultani attor-
niati / da splendide schiave, Gran Visir / astu-
ti e potenti, ed anche / gli Armeni condotti in
catene / a morte”.
Anche altri sono tuttavia i motivi, da De-
marchi abitualmente sviluppati in passato,
che vengono qui felicemente ripresi, quale ad
esempio quello della solidarietà verso il pros-
simo, che emerge però in questa silloge in
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.24
modo un po’ diverso dall’usuale (forse più
paterno) in una poesia come Georg, nella
quale l’autore racconta di come riuscì a salva-
re un giovane tedesco inesperto da una brutta
avventura in cui stava cadendo ad Alessan-
dria d’Egitto: “Ti salvai parlando nel tuo i-
dioma / e portandoti via. Era un’afosa / sera
d’estate dall’aria tremolante, / dal colore di
perla”. Oppure in poesie come Girovagare di
notte, dove incontriamo “uomini / che hanno
stampata sul volto / la solitudine” e, senza al-
cuna precisa meta, si aggirano nella notte, i
quali molto da vicino ci ricordano alcuni in-
dimenticabili clochard di precedenti sillogi e
soprattutto l’“umanità rassegnata, gettata alla
deriva”5 che il poeta era solito incontrare not-
tetempo girovagando per gli “angiporti” delle
città visitate (che erano quasi sempre città di
mare).
In un libro dalla varia tematica come Occa-
so non potevano mancare poesie di ispirazio-
ne religiosa. Ad esse è infatti dedicata l’ ulti-
ma sezione, intitolata L’Amato, che si svilup-
pa in sette testi. Qui la Divinità assume vari
aspetti e la sua spasmodica ricerca dà luogo a
liriche ricche di una forte tensione e portatrici
di felici esiti, com’è specialmente della se-
conda, nella quale Essa appare nella veste di
un pellegrino che, “lacero e stanco”, beve
“l’acqua alla fontana / dal cavo della mano”.
Egli è addolorato per tutti coloro che lo hanno
abbandonato nel suo faticoso cammino, fatto
di notti trascorse all’addiaccio e di percorsi
che lo hanno condotto a varcare “il limite vio-
la dei monti”, inoltrandosi su vie che andava-
no “contro tramonti d’oro”. Ora egli è solo,
ma sa che il suo destino è quello di dover an-
dare avanti, anche se nessuno lo segue.
Particolarmente significativa appare inoltre
la quarta di queste poesie, nella quale l’autore
così si esprime: “Ogni mattina / Lo attendo /
sulla sponda / vestita di rugiada. / E mentre
stremato passa / (esile zattera / che uno stuolo
di nere / anatre sorvola) / segretamente Lo
5 Stupore, Cerro al Volturno (IS), Ed. Centro studi
“Eugenio Frate”, 2000.
guardo, / finché le pupille / bruciano. // Per
questo / l’anima trema / quando fa giorno”.
Com’è evidente il Dio incontrato da Silvano
Demarchi è un Dio sofferente a causa dell’
indifferenza degli uomini; ma il poeta che ne
avverte la presenza Lo ama e a Lui si affida,
attendendo con ansia che Egli giunga. Così
nella settima ed ultima composizione può
confessargli: “E ora che dei miei giorni / sono
giunto alla fine, / aspetto paziente / il Tuo ab-
braccio mortale” (Tu sei il Signore a cui mi
sento). “Allora, Tu sarai sulla soglia, / ad a-
spettarmi” egli dice: e sarà quello il giorno
del suo ingresso nell’Eternità.
Come sempre, un libro di alto livello, que-
sto Occaso di Silvano Demarchi, ed anche di
profondo sentire, che degnamente viene ad
aggiungersi ai suoi numerosi già editi.
Liliana Porro Andriuoli
VIOLETA PARRA
4 de octubre*
"Por suerte tengo guitarra
para llorar mi dolor." Violeta Parra
No te olvidamos, reina
de la canción chilena,
musa de cuantos te han oído
cantar por la revolución socialista.
No la alcanzaste a ver,
pero inundaste la tierra
de poetas y cantautores revolucionarios
y tu destino ha sobrevivido
en la patria fecundada con tu canción.
Algún día despertaremos
con el ideal de la justicia para todos
y viviremos sin las clases económicas
que separan el pueblo y las naciones.
Violeta Parra, ¡feliz cumpleaños!
Teresinka Pereira USA
*La cantautora chilena Violeta Parra nació el 4 de
octubre de 1917 y se suicidó el 5 de febrero, 1967.
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.25
IGNAZIO BUTTITTA
Il poeta in piazza di Nicola Lo Bianco
UANDO si pensa a Ignazio Buttitta, la
prima immagine è quella di una piazza,
di un pubblico, di un attore che occupa
prepotentemente la scena. Si pensa ad un e-
vento teatrale.
L’immagine dell’evento teatrale è immedia-
ta, spontanea, non solo e non tanto per la fi-
gura del “poeta in piazza”, ma perché la poe-
sia di Ignazio Buttitta nasce essenzialmente
per essere, come dice Contini, “eseguita”,
cioè teatralmente rappresentata.
La strofa, la misura del verso, il ritmo, non
sono dettati dalla ricerca di una formalizza-
zione lirica, ma rispondono ad una esigenza
teatrale.
La poesia per Buttitta non sono parole con
le quali riempire la pagina.
La parola è un semplice flatus vocis, fino a
quando non si fa corpo, gesto, voce, fino a
quando non si trasferisce viva e vibrante in
chi ascolta.
Potremmo dire, come accade nei momenti
magici che il teatro riesce a produrre, che la
poesia di Buttitta è corale, nel senso che è po-
esia in atto, creazione, che per reggersi pre-
suppone una componente indispensabile, un
co-autore:lo spettatore.
Come ben sapevano i Greci, anche per que-
sto nostro poeta poesia è poiéo: fare, agire,
suscitare.
E vien fatto di pensare a Lu Hsun, il grande
scrittore rivoluzionario cinese, al suo rovello
per il tragico/ridicolo della parola “spettro”,
della parola che rimane al di qua dell’azione,
e non è nulla finché, appunto, non diventa a-
zione.
C’è un passo nella prefazione a “Il poeta in
piazza” molto significativo.
Dice il poeta:<Pensavo tutte le volte alla
possibilità di trasformare la recita in un di-
scorso più nettamente politico, ma non riu-
scivo a trovare il linguaggio adatto>.
E si capisce:prima di ogni altra avventura
intellettuale, Buttitta, come Lu Hsun, è un
poeta. E’ vero, se avesse potuto, non avrebbe
scritto un solo rigo. Ma naturalmente non po-
teva.
Non poteva ingannare se stesso e con se
stesso quel popolo, dentro il quale era capace,
come ebbe a dire, di “pescare pesci vivi”.
Eppure il dubbio, il cruccio, forsanche il
rimorso del privilegio di essere poeta, di tanto
in tanto percorreva il suo fare poetico: ”U
rancuri”, scritta nel ’69, è la più alta e com-
movente testimonianza di questo suo stato d’
animo.
L’essere il “poeta in piazza”, possiamo
supporre, fu un nobile, incoercibile compro-
messo.
Sappiamo del suo amichevole dispetto
quando, ad es., Sciascia o Vittorini gli chie-
devano di poter leggere con gli occhi in silen-
zio il componimento, prima di ascoltarlo dal-
la sua viva voce.
In questo senso e più profondamente, anche
rispetto all’essere poeta che sta dalla parte del
popolo, Buttitta è poeta popolare, l’ultimo
grande poeta popolare, figlio legittimo della
secolare cultura orale del mondo contadino,
quando, come dice Sciascia, “il poetare coin-
cideva con l’esistere”.Cioè, con la vita quoti-
diana, nell’alternanza di gioie e dolori, di ac-
cadimenti seri o buffi, entro un orizzonte for-
se meno ampio (ma è assunto questo tutto da
verificare), ma sicuramente più autentico e
profondo nel delineare lo stile e il destino di
un popolo.
Non a caso, la più grande poesia di Buttitta
trae spunto dalla cronaca, dalla tragedia di
Portella al ridicolo delle corna del marito tra-
dito.
Il grande merito, la modernità e la grandez-
za di questa poesia è nell’avere innalzato, tra-
sfigurandola, la cronaca a evento storico,
nell’avere tramutato la storia particolare di
questo o quel personaggio, che non fanno sto-
ria, in un emblema di una civiltà superiore, in
simbolo di un riscatto umano e civile.
Turiddu Carnivali o Rosa Scordu, sarebbero
nomi, come i tanti oggi, soprattutto oggi, di-
Q
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.26
menticati.
Il poeta li ha tolti dall’oblio della cronaca e
ne ha fatto portavoce della parte migliore dei
siciliani.
E di loro il popolo si ricorda come epopea
che gli appartiene.
Questo volevamo dire per dire che uno
spettacolo su Buttitta ci sembra l’omaggio più
conveniente per onorare la sua memoria.
Nicola Lo Bianco
POMEZIA-NOTIZIE E I SUOI 40 ANNI
40 Anni di splendore,
40 Anni d’amore
donato dal nostro amato Direttore.
Tutti i suoi numerosi lettori
ogni mese gioiscono
e s’immergono col batticuore
tra le fosforescenti pagine
di POMEZIA-NOTIZIE
che vola con le ali delle parole
dappertutto, per regalare la gioia
della meravigliosa lettura,
in pagine consacrate
alla festa della letteratura.
Una semplice Rivista,
creata 40 anni fa da un Poeta,
Scrittore, Pittore e ammiratore
delle buone notizie
che a braccia aperte diffonde,
il Nostro Insuperabile Domenico Defelice,
che tanta felicità ha sparso per il mondo
con POMEZIA-NOTIZIE
e il suo girotondo.
Son 40 anni che POMEZIA-NOTIZIE
circola a tutto tondo,
da molti anni arriva pure in Australia,
l’isola più grande e più lontana,
ma con la nostra Lingua Italiana,
più vicina che mai alla nostra Italia.
Arriva col cinguettìo
del kookaburra e del parrot,
dei picchi, delle gazze e dei pappagalli
e il venticello ballerino,
POMEZIA-NOTIZIE
canta come un bell’uccellino,
un uccellino che vola tra l’azzurro
cantando l’inno australiano
e l’inno italiano,
sotto questo sole che scaglia
i suoi raggi sulle pagine
del nostro capolavoro,
per ricordarci che è il nostro tesoro.
Giovanna Li Volti Guzzardi Melbourne, Australia, 5 – 9 – 2013
L’INCONTRO
In quella Londra che io tanto amo
e che giorno per giorno io scoprivo
a me vicina per il suo rispetto
di usanze e tradizioni e per l’immensa
varietà di interessi che mi offriva;
in quella vecchia Londra dove allora
mi sono conosciuta ed ho provato
la gioia di vagare alla scoperta
di nuove genti e usanze e nuova lingua;
in quella vecchia Londra ove ogni giorno
in una sala da concerto oppure
in una chiesa o un parco o per la via
sempre ascoltavo musica …
Là ti ho trovato un giorno,
forse in mia attesa dietro una finestra,
at number 90 di West Cromwell Road.
E anche se molto tempo è ormai passato
sempre ricordo il nostro primo incontro,
il tuo sorriso e la tua voce dolce,
e ancora in me rivive oggi il lampo
che illumina da allora la mia vita.
Mariagina Bonciani Milano
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
26/9/2013
Mentre a New York Enrico Letta rappresen-
ta l’Italia, a Roma deputati e senatori del
PdL minacciano le dimissioni in massa per
difendere Berlusconi. Non ci sono più stati-
sti né patrioti, da noi, ma solo buffoni.
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.27
GIOACCHINO BELLI E LA PLEBE ROMANA
di Leonardo Selvaggi
I
IOACCHINO Belli nasce a Roma nel
1791 da famiglia piccolo-borghese. Si
riflettono nella sua tormentata perso-
nalità le tracce lasciate dai contrastanti carat-
teri dei genitori, che perde nel giro di pochi
anni. La madre vivace, elegante, il padre rigi-
do e scontroso. L’infanzia e l’ adolescenza
vissute con periodi alternati di benessere e di
miseria. La fuga da Roma occupata dai Fran-
cesi e la miseria trovata a Napoli, l’agiatezza
subentrata al ritorno del Papa. Rimasto orfa-
no, ha una vita di stenti e di desolazione. Si
adatta ai più umili impieghi, pubblici e priva-
ti. Per molti anni è impiegato in un ufficio
della curia. Inizia la sua attività letteraria.
Frequenta le accademie romane, l’ Ellenica,
l’Arcadia, la Tiberina. Si dedica soprattutto
alla poesia dialettale. Conosce il Porta, quan-
do si intensifica la sua opera di poeta. Il for-
tunato matrimonio con la vedova Maria Corti
gli assicura benessere, la possibilità di viaggi,
di nuove conoscenze. Entra nell’ambiente uf-
ficiale della società romana. La produzione
dei sonetti in romanesco si concentra dal
1831 al 1837, con qualche ripresa fino al
1849, mentre procede in concomitanza con
quella in lingua arcadica e raffinata. I sonetti
in dialetto sono 2279, tutti dedicati alla plebe
romana, pubblicati dopo la morte dell’autore.
Opere minori del Belli sono poesie in lingua,
varie traduzioni, un vasto Zibaldone e un Epi-
stolario.
II
Dopo il ’48 la sua attività di censore teatra-
le, esplicata con esagerato rigore. il Rigoletto,
il Macbeth e il Mosè. Arriva con esasperata
critica a rinnegare gli stessi suoi sonetti. La
sua è una sensibilità di grande umanista con
minuto verismo, nei sonetti ritrae la vita ro-
mana prima del 1849. Contro i vizi, i soprusi,
l’ignoranza dei grandi e del clero. Fuori dai
pregiudizi e dagli schemi vede il reale. Con il
linguaggio violento, spietato del popolo de-
nuncia l’ingiustizia e la miseria che dominano
in Roma papale. La sua è una voce di ironia,
di scetticismo, di ribellione, di rassegnazione
senza speranza, solo nel turpiloquio vede la
via di liberalizzazione dalle esulcerazioni di
un animo esasperato. Nella sua opera si parla
del papa, della bibbia, della religione, della
ricchezza smodata e della povertà diffusa nel
popolino che è interlocutore, primo protago-
nista. Si espongono le condizioni di un popo-
lo negletto, superstizioso. Il Belli non inter-
viene mai né commenta né trae conclusioni,
fa agire i vari personaggi. Il giudizio morale
come risultato delle considerazioni che si
fanno sui falsi, antiquati, abominevoli ordi-
namenti politici e sociali. La raccolta dei so-
netti si ispira soprattutto ai sentimenti di amo-
re e di pietà per gli umili. Uno stato di abban-
dono, i riflessi di un’epoca in rovina. Il lato
moralistico è quello che costituisce la nota
dominante della letteratura del Risorgimento.
Gioacchino Belli è un popolano come il Por-
G
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.28
ta, ma è più amaro. Gli scandali e i modi di
essere delle classi privilegiate formano quadri
delineati con cinismo. Il suo odio è invetera-
to, la sua indignazione è fredda, racconta con
linee essenziali, con una voce rabbiosa, avve-
lenata. Nei sonetti è descritto il Papato che ha
perduto ogni decoro, senza principi, corrotto,
immorale. Un malcostume che penetra negli
strati più bassi della società. Come il Porta, il
Belli va in fondo alle verità, ma con osserva-
zioni più minute e metodiche. E’ un raccogli-
tore di documenti umani.
III
La vita della Roma contemporanea in tutti i
suoi aspetti con la violenta capacità di giudi-
zio. Spirito anticlericale contro il governo
pontificio, presentato con macchiette e figu-
razioni caricaturali. Una vita stagnante, in pu-
trefazione, in pagine fra le più naturali e sati-
riche della nostra letteratura. Con il Belli una
abbonante e molteplice quantità di scene,
siamo lontani dalla sinteticità di Carlo Porta
milanese, che in un numero minore di com-
ponimenti delinea più numerose figure di per-
sonaggi inconfondibili. Anche il Belli ha una
sua originalità in un’opera troppo diffusa e
particolareggiata. I grandi personaggi e la
gente umile formano un tutt’uno. L’odio per
le classi ricche è giustificato dal loro perverso
comportamento e dalle tristi condizioni in cui
si trovano i popolani abbandonati a se stessi,
affamati e disperati. Con estrema oggettività
trattati sia i plebei che i patrizi, i fatti parlano
da sé, davanti agli uni il tono è squallido, da-
vanti agli altri è irruente. Gioacchino Belli, un
grande poeta, con acutezza vede la sua amata
città in un’atmosfera afosa, immobile, ottusa,
tumultuosa. Siamo nell’ultimo periodo del
potere temporale.
IV
I sonetti del Belli costituiscono un monu-
mento di poesia, una testimonianza che rima-
ne fissa nella storia dei costumi della capitale.
Un narratore il Belli di grande efficacia espo-
sitiva, coglie le fasi culminanti, un ritrattista
che sa penetrare in tutti i particolari. C’è della
tragicità nell’espressione violenta. uno stato
di avvilimento si comprime nella sua interio-
rità di elevata sensibilità davanti alle tante
deprecabili disparità sussistenti fra le classi
sociali. Contraddizioni che non si concepi-
scono. Il Belli si è formato sugli illuministi
francesi settecenteschi riformisti. Tanto ana-
cronismo in tempi di romanticismo. Impiega-
to discretamente retribuito, vive con una sua
dignità, per un ventennio con agiatezza, so-
stenuto da una moglie ricca. Se il Porta è in
pieno accordo con l’ambiente culturale in cui
si muove, il Belli, invece, è costretto a vivere
in modo sotterraneo nella Roma papalina che
attraversa una delle fasi più deprimenti della
sua storia sotto il pontificato di Gregorio XVI
(1831 - 1846). Gioacchino Belli è vicino alla
vita, alla mentalità, alle concrete situazioni
della plebe romana, trova in mezzo a questa
quasi un rifugio. L’ambiente è monotono,
non si può agire per niente, oppressive sono
le presenze di alcuni cardinali, reazionari, ti-
rannici. Abbrutimento accanto al popolino
abbattuto, si rendono possibili una saggezza
amara, sconsolata, o una protesta fatta di di-
sperazione. Si ritiene opportuno abbandonarsi
al riso, senza riuscire a liberarsi da certi pre-
sagi di fine, di completo catastrofico dissol-
vimento. Senza remissione ci si scaglia con-
tro il falso, il convenzionale.
V
Il Belli è autentico poeta, la sua arte è
spontanea, rifiuta artifici e ogni forma di ipo-
crisia, si sente popolo con uno spirito di os-
servatore risentito e implacabile. La vita della
Roma del suo tempo la vede come un gran
carnevale, sostanzialmente tenebroso, anche
nei momenti di baldoria. Trae aspetti lugubri,
surreali con espressività sofferta e drammati-
ca. Gioacchino Belli è a volte conservatore, a
volte ribelle, ora anarchico, ora favorevole al
patriziato, ora plebeo. Reazionario e sosteni-
tore dell’uguaglianza. Il tempo della Repub-
blica Romana del 1849 lo trova sconvolto,
nemico di ogni novità, in piena contraddizio-
ne con se stesso, vuole che i suoi stessi sonet-
ti vengano bruciati, è il canonico Tizzani che
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.29
riesce a mantenere salva un’opera letteraria
importante per il momento storico che rap-
presenta. Diverse sono le interpretazioni che
si danno alla sua opera. Alcuni la considerano
fuori del suo tempo, quindi moderna: la me-
diocre Roma di Gregorio XVI non può dare
contenuto alla sua poesia, il suo genio poetico
si sottrae agli aspetti razionali e storici. Altri
critici la legano all’ambiente che si vive, ve-
dendo i sonetti realistici. Il Belli si trova in
una Roma arretrata, fuori di ogni novità e
progresso, vuole per il popolo riforme in mo-
do passivo, senza la sua partecipazione. Una
società meno ingiusta, più confacente alle e-
sigenze degli umili. Al contrario del Porta,
non sa vedere lo sviluppo di una società in
modo integrale. C’è una contraddizione tra
ragione e istinto. La sua satira, quando si av-
venta nella sua volgarità, nell’insulto è frutto
di repressione interiore, viene non da un at-
teggiamento ideologico, ma da un gusto
spontaneo di schernire, da un senso di spirito
anarchico, in piena irruenza personale, con
acerrima avversione alle norme di una società
organizzata. Al popolo plebeo romano il Belli
attribuisce i suoi stessi istinti e i suoi senti-
menti di acrimonia ferocia e di comprensione.
La ribellione che si manifesta nella risata, in
espressioni audaci non costituisce azione. E’
un ribellismo dell’immaginazione. I sonetti
non costituiscono solo un mondo profanatore,
hanno una realtà che va ad incontrarsi con l’
umanità di Gioacchino Belli, la cui arte non è
inerte, ma esprime sete di verità, prende il so-
pravvento sugli istinti, si fa sostanziale ogget-
tività, diventa autentico realismo. Il Belli, rat-
tristato da un umiliante conformismo nei so-
netti ha la forza di una satira bellicosa contro
lo stato miserevole in cui la Roma papale da
secoli si trova condannata a vivere. Gioacchi-
no Belli muore a Roma il 1863.
Leonardo Selvaggi
ESSERCI
Esserci
anche quando
la sofferenza lacerante
ti pulsa dentro
indifesa ... impotente
anonima tra insignificanti pensieri
cammino su un binario d’incertezze
furente
lascio le mie lacrime calde di dolore
a scorrermi sul cuore
pochi i battiti … che intensi
si arrendono alla sorte
fatta di un’assurda realtà
dove la vita è morte
e la morte è vita.
Lorella Borgiani Ardea (RM)
SOGNI
Vanno, vengono si trattengono
come treni veloci, lenti, in sosta,
abbandonati in vecchie stazioni.
Curiosi si affacciano al crepuscolo
entrano, escono, si scambiano
trasportando emozioni, amore, angoscia, tri-
stezza, gioia.
Agitano, paralizzano, cullano, illudono,
la ragione eludono.
Svaniscono come miraggi non appena apri
gli occhi.
Colombo Conti Albano Laziale
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
6/10/2013
La strage di Lampedusa “una tragedia im-
mane” secondo la Rosy Bindi, non colpa del
Governo in carica - come per il passato -,
ma della Bossi-Fini e di Berlusconi non del
tutto ancora sotterrato.
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.30
CARLO CIPPARRONE: IL POETA E’ UN CLANDESTINO
di Elio Andriuoli
AUSTICO nei giudizi ed essenziale
nella forma, il nuovo libro di versi di
Carlo Cipparrone, Il poeta è un clan-
destino (Edizioni Di Felice, Teramo, 2013, €
12,00), si rivela come una penetrante rifles-
sione sulla poesia dei nostri giorni, della qua-
le coglie i mali alla radice in maniera lucida e
convincente.
La raccolta ha un valore essenzialmente sa-
tirico, dato che tende a rivelare tutto ciò che
di falso e di arbitrario è stato fatto nel Nove-
cento in nome della poesia. Si tratta però di
una satira pensosa e sofferta, perché Cippar-
rone ama intensamente l’arte del dire poetico
e si duole per tutto ciò che la ferisce e la sof-
foca.
Il libro si articola in diverse sezioni: Le pa-
role non bastano; Il disordine delle parole;
Le parole non cadano dall’alto; Poesie sulla
poesia di questi anni; Invettive; La comune
strada, ognuna delle quali affronta un argo-
mento nel più ampio discorso sulla poesia e
sulla sua condizione attuale, che dimostra nel
nostro autore una sicura attitudine critica, ca-
pace di scandagliare a fondo l’argomento trat-
tato.
Così, sin dalle prime poesie s’incontrano
versi quali: “Scrivere è opporsi, resistere”
(Scrivere è opporsi) che possono essere intesi
sia come la capacità del poeta ad opporsi alle
intimidazioni di chi vuole arbitrariamente det-
tar legge in poesia sia come la sua capacità di
opporsi al nulla mediante la parola poetica.
La penna “è un’arma sottile / al servizio del
bene e del male” dice Cipparrone, così come
possono esserlo un bisturi o un coltello, capa-
ci di salvare una vita o di distruggerla. E la
poesia può essere per chi la pratica un “amore
taciuto” e persino un vizio; mentre per i più
nasce da un “desiderio di comunicare”, di
tendere le mani verso gli altri.
L’autore ci parla in questo libro di quella
che è la sua idea di poesia e del suo modo di
coltivarla. Egli, ad esempio, ci dice che scrive
“per dar voce ai pensieri” (Scrivo dimenti-
candomene) e che a volte distrugge le sue
“vecchie carte” perché le ritiene superate
(Vecchi versi). E ci dice anche che scrive e ri-
scrive “non per lasciare il segno / ma per sta-
nare il tarlo / dalle fibre del legno” (Togliere i
chiodi) e che vive rinchiuso in se stesso,
sporgendo cauto la testa dal guscio, come la
tartaruga (Come la tartaruga), consapevole
che “la vita ha refusi incorreggibili”. D’altra
parte egli sa che “dalla deriva del corpo / a
salvarsi è solo l’anima / e una tardiva saggez-
za” (L’ora precipita), che “la poesia è
un’immensa casa senza pareti” e che “è pri-
vilegio vivere nella sua libertà”.
Mentre però nella prima sezione, Le parole
non bastano, Cipparrone parla essenzialmen-
te di sé e della sua concezione della poesia,
nella seconda, Il disordine delle parole, passa
a criticare aspramente coloro i quali “impa-
stano parole / come creta informe” (Ci sono
poeti). Si tratta in verità di letterati più che di
veri poeti, i quali all’ordine logico contrap-
pongono “il disordine delle parole”, affastel-
lando immagini e frasi prive di senso e usan-
do frasi “asfittiche”, zeppe “d’oscure metafo-
re” ed “ermetiche allegorie”, sicché alla fine
pervengono ai “funerali della poesia” (Il ca-
davere del significato).
Contro costoro Cipparrone lancia i suoi
strali, osservando che per fare della vera arte
“non vale abolire le virgole, / punti, cambiare
accenti, / scardinare grammatica e sintassi”
(Se il cielo ha le cateratte), e che non è lecito
“violentare il linguaggio” per conquistare no-
torietà (Sperando che la semplicità torni ad
essere stile).
Nelle sezioni terza e quarta della raccolta,
Le parole non cadano dall’alto e Poesie sulla
poesia di questi anni, Cipparrone approfondi-
sce la sua analisi della poesia dei nostri gior-
ni, nella ricerca della poesia eterna, senza de-
terminazione di tempo e di luogo. Interessanti
sono a questo proposito alcuni versi di questi
testi che costituiscono un invito alla consape-
volezza da parte del poeta di quelli che sono i
propri limiti: “Se il nostro vero compito/è
C
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.31
quello di scrivere,/svolgiamolo con umiltà”
(Le parole non cadano dall’alto). E’ noto in-
fatti che ci sono molti avventurieri della poe-
sia che credono di avere un grande talento:
“Ci sono troppi poeti/a screditare il mestiere”
(Resterà calvo il mondo). Cipparrone esorta
poi i poeti a non usare “la metafora per viltà /
per sospetto d’intelligenza” e a non pretende-
re troppo dai propri versi (Altri verrà).
Nelle Invettive, che costituiscono la penul-
tima sezione, la parole del nostro poeta si fa
più pungente e più acuminato il suo verso,
come avviene in Epitaffio per un poeta liber-
tino, che così termina: “Cambiò spesso metro
e stile / così come mogli e amanti” o in A un
poeta logorroico, che così si conclude: “C’è
chi ha il vizio / di fumarsi cento sigarette al
giorno, / chi di scrivere migliaia di versi all’
anno”.
Cipparrone però, da vero poeta, è capace di
fare anche dell’ironia su se stesso: “Poesia,
sono un tuo figlio, / spurio, illegittimo, inde-
siderato / che tuttavia esiste / e invano cerchi
di nascondere; / sono la tua vergogna, / prova
del tuo giovanile peccato” (Anch’io t’ appar-
tengo).
Da ultimo La comune strada, dedicata a
Carlo Betocchi, conosciuto da Cipparrone in
occasione di un viaggio compiuto da questo
noto poeta a Cosenza. Durante il suo soggior-
no in questa città Betocchi confidò a Cippar-
rone che “c’era nell’italica triade / dei sommi
poeti del tempo / chi godeva d’eccessiva fa-
ma” (Betocchi) e gli diede anche altre notizie
su Piovene e sul suo Viaggio in Italia, oltre a
fargli intuire il suo animo di uomo appartato e
schivo. Cipparrone conclude: “Capii allora
che il destino / dei poeti è nascondersi, / che il
poeta è un clandestino” (Ivi, 4).
Un libro profondo quest’ultimo di Carlo
Cipparrone, Il poeta è un clandestino, che,
pur ribadendo il valore incontestabile della
poesia, pungola e ridimensiona molti che la
praticano forse abusivamente, dandoci tutta-
via delle linee guida per coltivarla nel modo
migliore, al fine di raggiungere risultati non
effimeri.
Elio Andriuoli
IL COLORE DEL VUOTO
Attimi di cecità o di silenzio.
Poi, l’arrotolarsi su di sé di ogni cosa,
il dissanguarsi della memoria,
il sonnambulismo e l’amnesia,
lo specchio uniforme e immemore
che sta tra la vita e il sogno,
tra il sogno e il sonno-morte...
E il pensare al domani con distacco.
E la gelida solitudine e il vuoto...
Soprattutto, il colore del vuoto,
che è, di tutti, il più indelebile...
Il colore del vuoto immaginato
come espansione di ghiaccio
sulla vita dell’uomo.
Una vera e propria glaciazione,
che assume varie trasparenze
in questa esistenza che tende,
ora al gomitolo, ora alla spirale,
ora alla martellata lentezza,
ora alla mirabile contemplazione
del nulla...
Il colore del vuoto!
Il più triste, il più amorfo,
il più spento dei colori.
Un sogno negativo ed esasperante.
Un vento che fa evaporare i sogni.
Un distruttore violento
di ogni recidiva speranza.
Flavia Lepre Arona, NO
LA COMETA
Allarmò la notte
la sfera di fuoco
che emerse lacerando il buio
metallica luminosità,
regina del silenzio
un balsamo lento, rugiada d'argento
fino a che l'occhio contemplò
il corpo celeste, la nutrì il tenero cielo,
fra costellazioni afflitte,
vibrò il suo regno di suoni celesti
e pianse sola nell'immenso spazio.
Adriana Mondo Reano, TO
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.32
PAOLA LA PICCOLA di Paola Insola
AOLA non sapeva che il suo nome si-
gnificasse “piccola”, ma aveva pochi
anni e già la sua fantasia si era rifugiata
in quel giardino che si affacciava su una stra-
dina sassosa, percorsa, due volte al giorno, dal-
le pecore in periodico andare verso il pascolo.
Un mondo, il suo, circoscritto da un cancello e,
dentro, i fiori e, tra i fiori, tante vite per la sua
immaginazione.
Spesso si chiedeva come facessero le rose,
che in boccio avevano i petali ben distesi a
formare un cono rovesciato, a sbocciare pie-
gando la corolla all’esterno. Forse, concluse,
per accogliere la rugiada, perché ogni mattina
lei potesse ammirare l’incanto di quelle goc-
cioline sul ricettacolo del fiore. Spesso, con le
manine a conca, accoglieva una rosa e vi af-
fondava le labbra per dare un bacio alla bellez-
za.
Si chiedeva pure dei garofani rosso porpori-
no e del perché dei lembi dentati del fiore. Da
crochi, bianchi e violetti aveva il primato
dell’emozione a primavera, quando i loro peta-
li si schiudevano tra le foglie secche che ave-
vano scaldato la terra in inverno. Amava la pu-
dica riservatezza delle violette che facevano
capolino tra i fili d’erba.
Così piccola, si era impratichita a riconoscere
i profumi del giardino; chiudeva gli occhi per
trovare fino in fondo il cuore dei suoi fiori.
Quando venne il tempo andò a scuola, ma
non si distingueva per profitto. La sua fantasia
volava sui numeri, per lei connessi alle foglie,
ai petali dei fiori, alle zampe degli insetti... So-
lo le poesie erano studiate con particolare de-
vozione e recitate con garbo. Qualche volta
cambiava una parola del testo e quando veniva
ripresa dalla maestra, diceva semplicemente
che la sua versione della poesia aveva un “suo-
no migliore”. Spesso l’ insegnante sorrideva,
ma non sapeva comprendere quella bambina
che nei componimenti non trovava le parole.
Paola aveva difficoltà a descrivere la grande
emozione che ogni giorno viveva nel suo giar-
dino, ad occhi aperti, ad occhi chiusi, a mani
aperte sul velluto dei petali. Lei, ancora così
piccola, sapeva entrare nel talamo dei fiori
foggiati a coppa, nel turbante del tulipano, nel-
la vanità del narciso, nella voluttà della calla.
Le rose erano le sue inseparabili, preziose
amiche. Si fermava incantata su ogni girandola
di corolla, ne fissava le sfumature e con le dita
seguiva la delicatezza dei lobi, fino agli stami
dai lunghi filamenti. Immaginava di poter en-
trare nel fiore lungo il pistillo e di trovare ripo-
so tra i peli cotonati dei semi. Il nido, nell’ ova-
rio della rosa, era la sua immaginaria piccola
dimora, dove poteva trovare la ragione per re-
stare minuta e visitare la bellezza.
Un giorno trovò le parole, ma la strada oltre
il cancello era stata asfaltata. Dietro la siepe di
ligustro il giardino continuava ad offrire un
fantastico indizio di bellezza che i libri non
contenevano.
Paola e il suo piccolo mondo. Paola che non
voleva crescere perché fuori dal cancello le au-
tomobili passavano veloci. Dentro il cancello
la quiete, i petali che s’inarcano, coccinelle sui
calici dei gigli... Cresceva la sua emozione in
un viaggio sempre nuovo con la bellezza.
Incominciò a contemplare i pensieri, unirli in
corimbi per farne dono. Continuò a credere
nella fedeltà delle piccole cose. Imparò ad u-
scire dal silenzio e ritornare al silenzio e poi
compose il tempo che ha un inizio e una fine.
Si nutrì, assaporando a lungo le parole prima di
consumarle. Compose l’accordo tra il senso e
tutti gli altri suoi sensi e armonizzò molecole di
suoni per cantare l’incanto.
Quando scoprì il significato del suo nome,
già sapeva coniugare i pensieri, ma comprese
la realtà velata nel “tragitto di volo di una paro-
la”*. Come la piuma fuggita al passero, così la
parola s’allontana, si impenna, si eleva, ritor-
na... si posa, s’innalza ancora. Se non si appi-
glia a qualcosa il suo volo può essere incessan-
te. Solo un piccolo cuore può catturarla nella
griglia dell’armonia.
Paola. Nel suo piccolo mondo ancora la tro-
vate. Offre poesie a quelli che passano sulla
strada asfaltata.
Paola Insola * “Chi può prevedere il tragitto di volo di una pa-rola?” Virginia Wolf
P
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.33
Luci della capitale di Noemi Lusi
IL CAMBIAMENTO...
INVOLONTARIO
UANDO usciamo per andare al lavoro
può capitare che siamo parzialmente
addormentati, lievemente preoccupati
o fortemente stizziti tanto che percorriamo il
nostro tragitto con il distacco apatico che ci
pervade al risveglio.
Le macchine scorrono intorno a noi, ci pre-
cedono o ci seguono come ogni giorno da an-
ni e soltanto un atteggiamento scomposto o
scorretto ci riporta al reale, ma proprio e solo
per il tempo necessario per chiedere scusa se
da noi è dipeso o per incrementare il tasso di
fastidio che langue nel nostro subconscio.
Non diamo occhiate attente né ai negozi che
dovrebbero essere già aperti, né all’edicola
dove qualcuno di fretta scende, paga, prende
e riparte. Insomma ciò che ci circonda ci ri-
sulta ovvio, non stimolante, immutabile, in
qualche modo e quindi non oggetto della no-
stra attenzione.
Dunque, potremmo dire superficialmente e
avventatamente che in fondo tutto intorno a
noi svolge la sua funzione in una serie senza
numero di puntate ripetitive che talvolta sono
dirette da persone semplici, ma che sanno
mantenere il ritmo della normale, pacata vi-
talità.
Se ci concentriamo un attimo di più, se u-
sciamo dal nostro semi-isolamento quotidia-
no, non sfugge al nostro sguardo che le vettu-
re in strada sono certamente diminuite, per-
ché altrimenti continueremmo a rimanere in-
vischiati sul raccordo anulare con maggiore
frequenza di quanto non accada ormai da
tempo.
Posto, poi, che allargando lo sguardo si
conferma in modo netto questa ipotesi, non è
difficile dedurre che forse l’aumento del
prezzo del gasolio e della benzina esercita un
ruolo non marginale.
Poiché l’attenzione attivata si amplia e si ri-
genera, si comincia a notare anche che l’ im-
magine del ristorante di medio livello, che
ancora si sceglie di frequentare anche se
molto più raramente di quanto non fosse pos-
sibile nel recente passato, non è più caratte-
rizzata dall’affollamento di prima. Sovviene
allora che ai molti camerieri che sfrecciavano
nella sala da un tavolo all’altro, se ne sono
ora sostituiti due soltanto, in piedi eretti come
si conviene, ma tendenzialmente inerti.
Diversamente da prima, inoltre, sfila, nel
tempo, personale di ogni età, dal non più gio-
vane trentacinquenne ai vari immigrati, che
vengono evidentemente chiamati occasio-
nalmente, al dignitoso, attento, attempato si-
gnore che lavora con una precisione nei modi
e nelle intenzioni che costituiscono quasi e-
sclusivo retaggio di un ormai non più recente
passato.
Quando ciò o altro è stato notato, si aprono
scenari frequenti a conferma di queste osser-
vazioni. Andando a fare la spesa al supermer-
cato di zona, mi accadeva quotidianamente in
passato di incontrare una persona, presumi-
bilmente padre che, accompagnato da una
bambina, chiedeva l’elemosina davanti alla
porta d’ingresso del grande magazzino.
Certe immagini si ricordano soltanto quan-
do vengono sostituite e quando si nota che al
posto di una persona ce ne sono quattro – an-
che un giovane di colore, una adolescente, un
anziano discreto nell’approccio e qualche
passo più in là, forse per timidezza o speran-
do di colpire di più l’attenzione o, anche
questo è possibile, perché non gli viene per-
messo di avvicinarsi in prossimità degli altri
vista la forte concorrenza in questa attività, si
rimane decisamente scossi.
Sicuramente ad ognuno di noi non è sfuggi-
to il vuoto inquietante negli scaffali che corri-
sponde all’offerta particolarmente vantaggio-
sa di cui evidentemente si avvalgono i clienti
molto mattinieri.
Ci capita, ancora, di rilevare che non tutti i
negozi al mattino aprono per un lungo perio-
do. Non sappiamo il perché ma, da quanto
poi si ha l’occasione di sentire dai vari servizi
Q
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.34
radiofonici e televisivi, deduciamo che forse
quando saranno riattivati non ci saranno gli
stessi venditori, ma altri che a loro volta ten-
tano di avviare un piccolo esercizio commer-
ciale per guadagnarsi la sopravvivenza.
Con l’osservazione della realtà che ci cir-
conda non si intende tracciare un quadro pes-
simista, ma soltanto evidenziare comporta-
menti cui gli italiani sono costretti ad attener-
si non riuscendo a modificarne la causa. Il di-
battito sulla ‘responsabilità’ è sempre aperto
ma, talvolta, si ha l’impressione che non si
giungerà prossimamente ad una soluzione ac-
cettabile in tempi brevi.
Nel frattempo, i giorni passano e ci vedono
operosi tessitori di una tela che, per quanto
ben lavorata, risulta sempre troppo corta,
malgrado l’impegno, le competenze e la vo-
lontà.
Non ci resta che continuare a ‘fare’, osser-
vando e fortemente sperando di non rimanere,
come spesso accade quotidianamente al tele-
fono con servizi di comune utilità, in lunghis-
sima, estenuante, demotivante, assolutamente
sterile, anche se operosa, attesa.
“CIAK - C’ERA UNA VOLTA
UN GENIO... AZIONE...”
UALCHE secondo e scompare un’ a-
nima… Un microsecondo e proprio
non c’è più un punto di riferimento per
il cinema intero, una pietra miliare del fir-
mamento dei grandi di un’ Italia talvolta divi-
sa, ma sempre unita dal e nel coraggio, sem-
pre coesa nel dolore, sempre solidale con chi
soffre…
Incommensurabile tristezza in Via dei
Gracchi. Il grande Carlo Lizzani, noto regista
dei nostri tempi, non c’è più. Dicono che
scompare per sua volontà, ancora una volta,
come sempre, abile artefice del suo destino,
ancora sceneggiatore del suo copione, triste-
mente direttore di sé…
Era una persona che avrebbe voluto diven-
tare scrittore e si è proclamato regista, che
spesso, in più di un’occasione, amava sottoli-
neare che un ragazzo dei suoi tempi viveva il
cinema come dominato dalla figura dell’ atto-
re o da quella della casa di produzione, ma
non certo da chi il film lo dirigeva. Era un
giovane della sua epoca che, appartenente ad
una famiglia della media borghesia, si era av-
vicinato a questo mondo, per sua stessa di-
chiarazione, attraverso frequentazioni dome-
nicali del cinema Barberini di prime visioni di
film a prezzo ridotto.
Era amante della scrittura anche, ma non
solo, perché abituato a vivere la passione nu-
trita dal padre che aveva il piacere di redigere
articoli che venivano pubblicati sul Giornale
d’Italia, la Tribuna, il Messaggero, giornali
del tempo e perché aveva, da anima sensibile,
saputo percepire il dispiacere vissuto dal ge-
nitore per non essersi potuto dedicare, a causa
del suo lavoro, a questa attività in modo più
intenso. Avrebbe voluto in qualche modo, per
sua stessa asserzione, poter portare a compi-
mento il suo desiderio.
Era una uomo che ad un’intervista del mar-
zo 2009 aveva risposto che di progetti ne a-
veva tanti, sia cinematografici che per la tele-
visione che riteneva un veicolo di prodotti di
qualità e di ricerca.
Era un individuo consapevole che alla do-
manda relativa alla sua esperienza di parti-
giano rispondeva che, durante l’occupazione
tedesca a Roma, già in contatto con amici più
grandi di lui, provò a svolgere un’attività di
resistenza, nell’ambito dell’organizzazione
studentesca clandestina, diventando dirigente,
organizzando scioperi e bloccando anche l’
università, attività che fece maturare in lui in-
teresse verso questa tematica tanto da costitu-
ire l’oggetto, nel 1951, del suo primo film
‘Achtung! Banditi!’ sulla situazione a Geno-
va.
Era una figura che vedeva il cinema come
qualcosa che richiede amore sviscerato e no-
tevole sacrificio, forse proprio per la precarie-
tà ad esso inevitabilmente connessa, che con-
sigliava ai nuovi registi, per poter produrre a
livelli di eccellenza, di rimanere assolutamen-
te in ‘collegamento con gli altri linguaggi’,
Q
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.35
con quello dei pittori, dei musicisti, di curare
la scrittura dei copioni per assicurarsi la pos-
sibilità di trovare consensi, di leggere molto,
per poter scrivere in maniera ‘corretta, affa-
scinante’…
‘Una persona serena, distesa, ti mette a tuo
agio’ fu la definizione di Dario Fo di un paio
di anni fa, ‘uno che conosce il cinema, che
ama il cinema, non solo ma anche proprio un
grande storico del cinema’ quella di Giancar-
lo Giannini, ‘un uomo colto e sensibile’ quel-
la di Giuliana De Sio, ‘soprattutto un uomo
vero’ quella di Giovanna Ralli, ‘mi piacque
subito il suo stile, il suo modo di girare…’,
quella di Michele Placido, un uomo che ‘ti dà
una grande tranquillità’ nelle parole di Franco
Nero, che ha ‘una classe tutta sua, tutta parti-
colare’ secondo Stefania Sandrelli, ‘un regista
che sapeva dirigere gli attori molto bene’ co-
me asseriva Virna Lisi…
E’ questo uomo che oggi è venuto a manca-
re e che ha lasciato e lascerà un grande vuoto
non solo presso i suoi familiari, il cui dolore
rispettiamo e cui vanno le nostre più sentite
condoglianze, ma anche presso il suo pubbli-
co, non più giovanissimo, i suoi ammiratori,
che ne hanno osservato le gesta, i suoi colla-
boratori che hanno avuto il privilegio di vive-
re ed assorbire la sua enorme esperienza, la
gente comune che ne ha apprezzato il valore,
gli studenti che hanno avuto modo di ascolta-
re le sue conferenze, il popolo italiano che è
fiero di poterlo annoverare fra i propri grandi.
Ciao, Carlo! Grazie e … sarai sempre con
noi.
UNA “GEMMA” D’UOMO,
UN SIGNORE ATTORE 07 ottobre 2013
RA un appassionato del cinema ame-
ricano, ragazzo nell’epoca in cui le
storie avventurose erano portate sul
grande schermo proprio da attori come Gary
Cooper, Burt Lancaster o, più tardi, da Mar-
lon Brando… La generazione del dopoguer-
ra, finito il fascismo, visse il periodo in cui il
film statunitense ruppe gli argini per inondare
gli italiani di novità e modernità.
Giuliano Gemma si definiva uno del dopo-
guerra, la cui infanzia era stata travagliata,
divisa fra studio e necessario lavoro, lo sport,
la ginnastica artistica, il pugilato e fu proprio
la base atletica in suo possesso che gli permi-
se di farsi notare come valido stuntman dal
cinema italiano, giungendo perfino ad essere
scelto, poi, da Billy Wilder in ‘Ben Hur’,
comparendo quindi fra attori del calibro di
Charlton Heston e Stephen Boyd.
Successivamente lavorò con Blasetti, poi
con Tessari nel famoso film Cult ‘Arrivano i
Titani’, sempre grazie alle sue doti acrobati-
che procedette nella sua carriera con tanti re-
gisti che lui stesso asserì essere stati suoi
grandi maestri.
Si distinse poi nel Gattopardo di Visconti, a
lato di Alain Delon ed in un’intervista asserì
che essere su quel set risultò estremamente
interessante anche per il modo di procedere
del regista, così esigente, come ogni grande
professionista.
Si fece notare nel genere del western all’ i-
taliana, prima snobbato, oggi recuperato a li-
vello mondiale, ma non volle accontentarsi,
continuando a cambiare genere per l’esigenza
di esprimersi in modo diverso, per la curiosità
di cimentarsi in qualcosa di nuovo.
Era un uomo di indubitabile bellezza che
viveva la sua elegante avvenenza con estrema
sobrietà, come se non lo riguardasse. Era un
professionista di indiscutibile talento che na-
vigava lungo i sentieri del cinema, senza fare
rumore, con classe e stile unici.
Tante le personalità di spicco presenti ieri al
Campidoglio, da Carlo Verdone a Nino Ben-
venuti, Stefania Sandrelli, Franco Nero, Ales-
sandro Haber a Carla Gravina che, insieme a
tanta gente del popolo, hanno sentito l’ esi-
genza di rendere omaggio a Giuliano Gemma
nella camera ardente allestita nella Sala della
Protomoteca a Roma.
Sul grande schermo, nella stessa sala, scor-
revano le immagini dei film più noti dell’ at-
tore. Erano quattro i picchetti d’onore allestiti
E
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.36
fra cui quello del Presidente della Repubblica.
Nel salutarlo per un’ultima volta, Benvenuti
lo ha oggi descritto così: "un marito irrepren-
sibile, un amico generoso, per me un fratello,
che non avrei mai pensato di dover lasciare in
questo modo. Non ti dico arrivederci, a pre-
sto, ma credimi, lo vorrei. Buon viaggio e un
abbraccio forte, forte, forte... ciao".
Ciao, Giuliano, attore, gran signore, uomo
che ha saputo, sottovoce, esprimere talento,
fierezza, dolcezza, coraggio, passione, volon-
tà e tenacia con estrema, dignitosissima paca-
tezza.
Mancherai molto anche a noi…
Noemi Lusi
FINESTRE ACCESE
Da quattro fili tesi ha ritirato
Liliana i panni stesi ormai asciutti.
Ceci, l’altra vicina appresso,
i gerani ha irrorato sul balcone.
Io ceno presto.
E la tovaglia ho scosso per i merli
e pei fringuelli del querulo mattino.
Ed è già sera.
Dalla finestra sul retro della casa,
oltre il giardino dal sontuoso cedro,
vedo il palazzo che mi sta di fronte,
dalla facciata con cento finestre,
in parte accese a rischiarar ritorni
dall’opra usata, la famiglia unita,
e fumante la cena sopra al desco.
E poi parole, i soldi per la spesa,
con l’ansie ed i timori, i pianti, i drammi
che pure sempre questa vita impone.
Poi s’annera la sera e si fa notte:
a poco a poco rabbuian le finestre,
la quiete cala nel giardino, mentre
i lampioni accesi levano spettri
d’alberi e cespugli.
S’alluna il nero.
Le luci spengo delle mie finestre:
con l’ombre par s’aggravino i pensieri.
Su quattro note l’usignolo amico,
fido compagno della nera insonnia,
sul ramo di magnolia
mi rinnovella il canto suo notturno
che in parte m’asserena e mi consola.
Serena Siniscalco Milano, settembre 2013
NUOVA CANZONE DELL'AZZURRO
Sembra che il mondo sia fuori di testa
come non mai, e soffra
di antichi e nuovi mali
o comunque, imperterrito, vada
per la sua strada,
senza ascoltare poeti ed artisti
( coi quali, al massimo, ci si “diverte”).
Dopo decenni di telegiornali
ho ancor più bisogno di una pausa d'azzurro,
di respirare aria normale
e di ascoltare musica celestiale,
di fare indigestione di turchino e di glauco,
di zaffìri e lapislazzuli,
di volare a perdifiato in un cielo
banalmente, dolcemente,
ceruleo,
di sprofondare in un crepuscolo
chiazzato di indaco,
in un mare turchese, o cangiante
in tutti i toni di blu.
Basta con le troppe falsità mediali,
coi colori ed i fiori artificiali,
lasciatemi ogni tanto sognare, in giardino,
tra agapanthos e petunie,
convolvoli e fiordalisi,
primule e spadoni,
anemoni e giacinti,
borragine e rosmarino !
Luigi De Rosa ( Rapallo, Genova)
( dalla nuova silloge, di imminente pubblicazione,
“Fuga del Tempo”, vincitrice del Premio “I Mu-
razzi-Città di Torino” - prefazione di Sandro Gros Pietro – Gènesi Editrice, Torino )
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.37
I POETI E LA NATURA - 25
di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
PUBLIO VIRGILIO MARONE
Il poeta dell' “Eneide” è anche l'autore
delle “Bucoliche” e delle “Georgiche”
l poeta latino Publio Virgilio Marone
nacque ad Andes (Mantova) nel 70 a. C. e
morì a Brindisi nel 19 a. C. Visse quindi
per cinquantuno anni, tutti immersi (ovvia-
mente) nella cultura pagana, con un approc-
cio e un'interpretazione della Natura lontani (
ovviamente) dal messaggio cristiano, e quin-
di lontani da quello spirito che avrebbe ani-
mato, invece, nel Milletrecento, un Francesco
d'Assisi, che avrebbe adorato la Natura acriti-
camente e misticamente, come riflesso terre-
no di un Altissimo e Onnipotente Signore.
Virgilio può essere avvicinato ai filosofi greci
che trattarono della Natura, e ad Epicuro, e
soprattutto a Tito Lucrezio Caro, che avrebbe
tradotto nella poesia del De rerum natura la
filosofia di Epicuro. Ma grandi sono le diffe-
renze tra Virgilio e Lucrezio. Mentre questi,
per esempio, dichiara senza remore il proprio
sostanziale ateismo ( non c'è un unico Dio
creatore, ma ci sono vari Dei, che per giunta
passano il tempo immersi nei fatti loro, disin-
teressandosi sia della Natura che della vita
umana), Virgilio canta nei suoi Poemi una re-
ligiosità sana e “ragionata”, una pietas a fon-
damento della famiglia e dello Stato, senza
eccessi né in un senso né nell'altro.
Virgilio visse e crebbe in un ambiente agre-
ste, di contadini proprietari e benestanti, dedi-
ti all'agricoltura in un ambiente naturale ferti-
le e generoso. Fece studi elevati, prima a
Cremona e a Milano, poi a Roma. Conobbe
importanti uomini di cultura tra cui Vario Ru-
fo, e conobbe il poeta Orazio, nonché il gio-
vane Ottaviano, che sarebbe in seguito diven-
tato Augusto, il primo Imperatore romano.
Contemporaneamente all'accrescersi della
cultura, nacque e si rafforzò sempre più, in
lui, la vocazione poetica. I tumulti politici se-
guiti all'assassinio di Cesare, la battaglia di
Filippi, lo fecero cadere in disgrazia agli oc-
chi di Augusto. I suoi terreni nel Mantovano
vennero confiscati e distribuiti ai soldati vete-
rani. Per consolarsi di queste gravi sventure,
che lo avevano particolarmente afflitto, scris-
se le Bucoliche, dal 42 al 39 a. C. Il libro
piacque molto a Mecenate e allo stesso Augu-
sto, che presero l'Autore sotto la loro prote-
zione ( con annessi e connessi vantaggi). In
un clima di ritrovata tranquillità politica e
privata, Virgilio potè comporre in sette anni (
fra il 37 e il 30) una seconda opera poetica, le
Georgiche, ampio e approfondito poema di-
dascalico, che, insieme a Mecenate, lesse
all'imperatore Augusto. Maturavano, così, i
tempi e le condizioni per la concezione e la
stesura del poema capolavoro dell' Eneide,
che avrebbe cantato le peripezie dell'eroe tro-
iano figlio di Venere e Anchise, fuggito
dall'incendio di Troia e sbarcato nel Lazio,
con un destino da “progenitore” di Roma.
Le Bucoliche ( sottinteso Càrmina, canti,
canti di pastori) sono dieci ecloghe o egloghe
( poesie scelte, in esàmetri) ambientate nella
regione montuosa del Peloponneso chiamata
I
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.38
Arcadia. Si tratta di un genere di componi-
mento che ricorda gli Idillii pastorali di Teo-
crito.
I paesaggi non sono reali, ma immaginari e
statici, frutto di fantasia, al di fuori di un tem-
po e di uno spazio ben definiti. La poesia
“bucolica” e il fenomeno letterario dell'Arca-
dia significheranno anche in seguito uno stile
di vita semplice, secondo natura, un mondo
poetico di amore e di amicizia, di pace e di
consolazione dello spirito, lontano dalle ama-
rezze della realtà quotidiana della vita e del
mondo. Nelle loro forme più estreme di a-
strattezza, rischieranno di sfociare in rappre-
sentazioni di affettazione e di inautenticità.
Siamo comunque lontani dalla “scientifici-
tà” e dalla drammaticità dei paesaggi e dei
fenomeni naturali del “De rerum natura” lu-
creziano.
Escono da questo quadro due egloghe, la
Prima e la Nona, nelle quali Virgilio accenna
a dati reali della propria vita, a carattere auto-
biografico. Ma in generale le Bucoliche ri-
chiamano un mondo di dolce consolazione
dell'angoscia ( già allora ! ) di cui è intrisa la
vita degli umani. Questo concetto di angoscia
umana che viene lenita dalla vita pastorale e
agreste costituisce comunque una nota di in-
dubbia originalità, se si pensa che l'angoscia (
Angst) e Sigmund Freud verranno solo molti
secoli dopo. Prima verranno il razionalismo
del Settecento e il pre-romanticismo del Ba-
retti e di Vittorio Alfieri a respingere con de-
cisione la letteratura e la poesia dell” Arca-
dia”, che erano state accettate e seguite, inve-
ce, da altri letterati, fra cui Pietro Trapassi
detto Metastasio.
La seconda opera poetica di Virgilio, come
accennato sopra, è rappresentata dalle Geor-
giche, un poema didascalico articolato in
quattro libri per complessivi 2188 versi esa-
metri. Nel poema (il cui nome deriva dal ver-
bo greco gheorghèin, coltivare i campi) Vir-
gilio descrive i vari tipi di coltivazione e di
allevamento conosciuti e praticati nell'antichi-
tà. Il primo libro è dedicato al lavoro dei
campi, il secondo all'arte e tecnica di coltiva-
re le piante ( specie l'ulivo e la vite), il terzo
libro tratta dell'allevamento del bestiame no-
bile ( come cavalli e buoi ) e del bestiame mi-
nuto. Infine, il quarto libro è dedicato specifi-
camente alle api e all'apicoltura. Ciascuno
dei quattro libri comincia con un prologo e
finisce con una favola mitologica. Gli “inse-
gnamenti” non sono noiosi, ma esposti con
uno stile poetico assai piacevole, e infram-
mezzati da immagini e personaggi del Mito.
Le Georgiche sono un'opera di poesia pura
(didascalica, appunto. Non c'era soltanto la
poesia lirica, ma anche quella didascalica,
quella gnomica, quella elegiaca, etc.)
Poesia sì, ma anche nozioni utili e pratiche.
Per poter scrivere un tale tipo di opera, Virgi-
lio si dovette documentare accuratamente, per
anni, su una vasta bibliografia, tra cui ci limi-
tiamo qui a ricordare il De agri cultura di Ca-
tone, il De re rustica di Marrone, Erga kai
emèra ( Le opere e i giorni, del greco Esiodo,
“fondatore” del poema didascalico), le Geor-
giche del poeta greco Nicandro.
Dobbiamo pensare alla Natura generosa e
“semplice” di oltre duemila anni fa; agli
strumenti e attrezzi agricoli di allora ( in as-
senza di meccanizzazione); alle condizioni
ambientali e alle conoscenze teoriche e prati-
che di quei contadini e allevatori; al rispetto e
all'amore per la Natura, della quale la società
industrializzata e civilizzata di Ottocento e
Novecento hanno poi fatto, troppo spesso,
scempio...
Nelle Georgiche la natura è rappresentata
nella sua semplicità quotidiana, senza le sti-
lizzazioni e le astrattezze delle Bucoliche. A
differenza che in queste ultime, le piante e gli
alberi, gli animali, gli agricoltori e allevatori
sono visti e resi poeticamente nella loro terre-
strità concreta, non già inquadrati in uno
schema astratto e predeterminato. La coltiva-
zione e l'allevamento mirano non solo al be-
nessere materiale dell'uomo, ma alla sua ele-
vazione spirituale. Le doti dell'ingegno e della
forza fisica non sono disgiunte ( anzi!) da
quelle di carattere morale. L'elevazione mora-
le dell'uomo attraverso la Natura, è questo l'
obbiettivo del poeta ed artista Virgilio. Que-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.39
sto metodo spirituale e morale rende il poe-
ma un unicum nonostante l'eterogeneità delle
fonti e dei materiali occorsi per forgiarlo. Se
pensiamo che il tutto è pensato e sentito in
un'epoca così lontana, anteriore al Cristiane-
simo, non possiamo non ammirarne con cuo-
re sincero la potente originalità.
Luigi De Rosa
IL GRIDO
Quando si fa sera
arriva dagli angoli bui
della casa un’ostile angoscia,
che ti attanaglia l'anima, il tuo corpo
è quasi indifferente
a quel freddo gelido che s'insinua nelle tue membra.
Ora si fa tardi, prepari la cena senza entusiasmo,
i tuoi movimenti sono dettati dalla noia quotidiana
che non ti lascia mai.
I tuoi pensieri si accavallano in tante paure
che salgono
dalle tue viscere e vanno al cuore e si sciolgono
in un grido di aiuto, inascoltato.
E',già qui, senti girare le chiavi nella toppa,
IL TUO PADRONE E' ARRIVATO
E' torvo inviso, ti apostrofa subito in modo violento.
Tu neppure lo ascolti, avvolta come sei nel
tuo manto gelido, e non rispondi, tanto è inutile.
Contro la sua malvagità non c'è che l'indifferenza.
Tu pensi già a domani....
Certamente qualcosa farò, lo denuncerò, lo
dirò a tutti,
si domani.....domani
E ti ritrovi a terra, ferita quasi morta di
dolore e paura,
botte sul tuo corpo inerte, tante botte da
quella bestia feroce,
che tutto vuole e nulla dà.
Il tuo futuro, la tua salvezza è nelle tue
mani, coraggio
forse domani risorgerai...
Adriana Mondo Reano, TO
LA NOTTE
La notte si aggira per la casa
attraverso i riflessi;
conosce tutti i posti,
si ferma vicino ai vetri limpidi,
alla penombra che fascia le finestre.
Riempie gli angoli,
sul marmo del pavimento è leggera
appena coperta da una veste discinta.
Quando sembra fuggita
allora più vigile
la sua presenza viene accanto
impudica vedendoti ogni momento;
s’affaccia per sorridere alle cose
che si vogliono nascoste.
L’occhio tacito vaga per la casa,
le righe sulla parete sono nette;
l’ombra si intensifica,
la notte ti è addosso ti sveste.
Sente la mente
il velo della trasparenza.
I pensieri della notte sono setacciati,
le scorie sono rimaste vicino alla porta
sulla pelle delle scarpe.
La notte vuole le parole vere,
è un’amante drammatica, guarda
sulla pupilla afferrandoti per le mani.
Leonardo Selvaggi Torino
NOCHE
Empiezo a vivir
cada noche, esperando
olvidar las tormentas
del día.
En alguna parte del mundo
sé que alguien traspasa
el tiempo con un vendaval
igual que el mío.
Yo sólo quisiera darle
mi mano compañera
esta hora en que las sombras
amenazan el propio verso...
Pero escribo.
Teresinka Pereira USA
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.40
(Disegno di Serena Cavallini)
Recensioni
SILVANA ANDRENACCI MALDINI (e altri)
DIAMANTI AL SOLE Ed. Universum, Rocca di Caprileone (ME) 2005,
Pagg. 28
Diamanti al sole, titolo attraente, di una pubblica-
zione collettanea, a firma di Silvana Andrenacci Maldini, di Giovanni Campisi e di Lisa Choi. Senza
nulla togliere ai singoli poeti, la mia attenzione è
indirizzata alla poetessa Silvana. La collana è cura-ta da Renza Agnelli nelle Edizioni Universum alle
quali la Nostra ha collaborato per diversi anni quale
critico letterario, curando, a sua volta, la rassegna libraria internazionale “libri in vetrina”.
La piccola raccolta di Silvana Andrenacci Maldi-
ni, comprende sette componimenti che palpitano del sentimento d’amore, pur in presenza di una sot-
tile amarezza. Ama la sua Roma, tanto che la prima
poesia, che si intitola Sonetto a Papa Giovanni Pa-olo II, è scritta in romanesco, in cui riporta una fra-
se d’esordio del Pontefice: “Damose da fa, voleme-
se bene.”, aggiungendo, ella: “Sto concetto l’hai detto ner dialetto/ de noantri, che, pe’ carmà le pe-
ne” ecc. Ma soprattutto, amore di incanto dinanzi a
un quadro del pittore Ennio Maldini, in arte Mal-dén, contemplando il quale recita: “C’è un cavallet-
to/ con la tela bianca;/ non c’è l’Artista…/ Ma il
Fuoco Sacro/ riscalda la stanza!”. Grande è il sen-so di solitudine per l’assenza del pittore, ingigantita
dall’ellissi dei puntini di sospensione, che, comun-
que, ha lasciato l’impronta della sua “fiamma che lo
brucia!”. E non poteva essere altrimenti, la perdita
del legame terreno, il cui spirito non è mai sopito.
Compenetrandoci nei suoi versi avvertiamo le fe-rite dell’anima che vengono lenite dalla Poesia, cui
l’Andrenacci fa esplicitamente appello, immagi-
nando la sofferenza come un fiume sempre in mo-vimento eppure capace di dare serenità, o i frutti
della terra che si rinnovano, o gli innamorati che si
scambiano promesse ravvivandone la passione. Un comprensibile velo di malinconia ricopre i sogni
della Nostra all’ombra di querce, in una distesa
verde e fra i campi curati dei contadini. Ma certa-mente non l’abbandona l’amore per la sua Città E-
terna, navigando fra le sue strade e i suoi numerosi
monumenti; o spaziando con lo sguardo nella cam-pagna romana, non meno ricca di reperti archeolo-
gici e di storia: “Gli orizzonti sono cheti e dorati,/ i
monti come Numi par truccati,/ la pace di Vejo è antica e perenne.”
Silvana Andrenacci Maldini mostra grande inte-
resse per la storia romana, di cui qui sono appena tracciati dei segni, e altrove soffermandosi diffusa-
mente. Mostra, altresì, la sua formazione classica e l’attaccamento al proprio dialetto a dimostrazione
di volere rinvigorire, o di non lasciare morire, le
tradizioni; né i sentimenti di cui si è nutrita.
Tito Cauchi
LIANA DE LUCA
UBALDO RIVA
alpino poeta avvocato Genesi Editrice, Torino 2013, Pagg. 160, € 16,00
Liana De Luca, autrice di origine illirico- parte-nopea, è docente di Lettere; in precedenza vivendo
a Bergamo per molto tempo, vi ha fondato il Cena-
colo Orobico di poesia; attualmente ne è presidente onorario e risiede a Torino; ha al suo attivo diverse
opere di ricerca storica; collabora a quotidiani e pe-
riodici, come recita la bandella di copertina della
monografia dedicata a Ubaldo Riva alpino poeta
avvocato, di cui ci occupiamo.
Il libro nasce sotto il patrocinio di una dozzina di enti amministrativi, culturali e di credito, nel cin-
quantenario della scomparsa dell’illustre personag-
gio, all’età di settantacinque anni (nato in Artogne in Valcamonica, Brescia, alla fine di dicembre
1887, ma registrato il 3 gennaio 1888-deceduto il 5
gennaio 1963). L’opera presente è suddivisa in tre sezioni, rispecchiando le caratteristiche del titolo, è
corredata di ampi riporti in prosa e in versi su cui
Liana De Luca ricalca la sua esposizione sui conte-nuti e sulle caratteristiche stilistiche; arricchita da
alcune iconografie, generalmente legate alla pas-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.41
sione dell’uomo-alpino. Inutile dire che lo scopo è
quello di diffondere la conoscenza dell’Uomo, che
personalmente ritengo esemplare, come si vedrà. Mi soffermo solo su aspetti umani e letterari; meri-
terebbero un commento a parte le poesie e i brani in
prosa riportati. Ubaldo Riva si definiva “eterno monello”, ma
dispose che la sua epigrafe sarebbe stata “Alpino
Poeta Avvocato” (ecco quindi la sua connotazio-ne); era un giocherellone e un caotico apparente,
come dimostrano, fra l’altro, le sue varianti sulle
sue generalità, tanto in lingua italiana, quanto nel dialetto bergamasco. Scherzando si ribattezzava
Ribaldo Uva; Uba, troncamento del nome di bat-
tesimo Ubaldo, che ha assonanza con Uva, diven-ta Öa; ma affettuosamente era anche chiamato
Dino, terminazione di Ubaldino. Giudicava il
proprio nome di battesimo “paladinico”, alla ma-niera di Orlando, Rinaldo e simili. Amava e pro-
muoveva il dialetto e il folclore bergamaschi so-
stenuti dall’Associazione culturale denominata Ducato di Piazza Pontida, fondata nel 1924, della
quale divenne organo ufficiale il Giopì (“masche-ra bergamasca trigozzuta”, 1928-1949). Era diver-
tente e arguto, racconta che amava accostarsi alle
bancarelle, così che una volta ebbe la sorpresa di ritrovarvi la copia di un suo libro, con dedica au-
tografa. Amava intimamente Bergamo, le monta-
gne e il corpo degli alpini; così, benché fosse stato scartato alla leva militare, alla prima occasione si
arruola partecipando alla Grande Guerra vestendo
la divisa dell’alpino (1915-1919). Della esperienza di alpino, Ubaldo Riva lascia
varie testimonianze. Ne La canzone de l’alpino
(1926, poesia), parla della sua convalescenza in Val Camonica, che rinominava Canonica. In
Scarponate (1930, prosa) con riferimento agli
scarponi degli alpini, abbiamo descrizioni sciolte e accattivanti, dei luoghi e dei commilitoni, ma
sempre in modo semplice, lapidario ed efficace
quanto basti, come per esempio: “Il primo ricove-
ro dal gelo dei 30 sottozero: e resistere lassù, in-
vetriati dall’algore, nel deserto senza limiti,
squassati come fuscelli dalle tormente,” (pag. 21); e seguendo, riferendosi alle Dolomiti, poetica-
mente così descrive: “la lussuria esasperata di gu-
glie dai toni di perla di opale rubino di topazio di alabastro. Le colorazioni trionfali dell’ aurora i
cromatismi vendemmiali i neroniani incendi del
tramonto”, ove si può osservare l’uso limitato del-le virgole. Entusiasta della sua divisa, della sua
immersione fra quei luoghi confacenti alla sua na-
tura. Ferito con mesi di degenza in ospedali (meda-
glia d’argento con motivazione da medaglia
d’oro), si attivava con la propaganda alla Resi-
stenza stendendo bandi. Di guerra e di pace
(1934, poesia) è raccolta che Liana De Luca giu-dica tra l’allegro e il tragico: “sempre con toni fra
l’epico e l’elegiaco, il rievocativo e il presago, il
realistico e l’ immaginifico” (pag. 28). In Gli al-pini son fatti così (1935, prosa) oltre che a ripren-
dere le stesse tematiche di guerra, si sofferma su
“scarponi” come venivano soprannominati gli al-pini, sui quali egli stesso vanta il seguente “epifo-
nema di èpico sapore: Quando passano gli alpini
trema la terra” (35). Richiamato alla Seconda Guerra Mondiale con il grado di tenente colonnel-
lo, per alcuni mesi; congedato, prese parte alla
Resistenza trasformando il suo studio professiona-le in un “centro di attività clandestina” e nei radu-
ni annuali degli alpini non mancava la sua voce
patriottica di conferenziere. L’esordio poetico di Ubaldo Riva, risale alla rac-
colta Passatismi (1925). Egli stesso scriveva di sé:
“Io sono un animale contemplativo: e ho fatto l’ al-pino: e ho fatto e faccio l’avvocato.” (47), con ciò
intendeva esplicitare in lui la convivenza delle due o tre anime. In Bambinate (1935), lascia spazio alle
descrizioni paesaggistiche e agli affetti. Egli aveva
una certa predilezione per la cabala perciò Quasi quasi una fantasia (1937), è raccolta che connota il
suo “primo mezzo secolo”, tratta degli affetti fami-
liari e dell’amore per la montagna; così l’ultima raccolta, A 3/4 di secolo (1963), rimarca l’età rag-
giunta dei 75 anni, uscita postuma.
Pure postumi furono pubblicati i Sette saggi (1988) articoli a tema musical-letterario come
specifica la Nostra, che riguardano scrittori di va-
glia internazionale: i francesi Baudelaire, Rim-baud, Mistral; l’inglese Edgard Allan Poe; la po-
lacca Mickiewice; e i nostri Di Giacomo e
d’Annunzio, intorno alla loro musicalità espressi-va e richiamando nei raffronti altri personaggi
della cultura, come Verlaine, Nietzsche, intrec-
ciandosi con gli eventi storici, come nel caso che
ci riguarda più da vicino, con la partecipazione di
volontari polacchi alla Repubblica Romana del
1848. Ubaldo Riva, dal suo lavoro di avvocato, trae
occasione di dialettica forense e investigativa. Co-
sì in Due saggi (1960) imbastisce. Nel primo tre arringhe su le ‘Ultime lettere di Jacopo Ortis’, tri-
partito nei processi politico, alla vita, a Teresa;
uno dei suoi giudizi sul poeta di Giacinto è il se-guente: “Ugo Foscolo è un Jacopo Ortis che non
muore e Jacopo Ortis è un Foscolo che si uccide.
Il motore psichico tanto in Jacopo che in Ugo è uguale, ma in Jacopo evade nella morte, in Ugo
evade nella vita.” (pag. 126). Nell’altro saggio
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.42
abbiamo l’arringa sulle figure di Verdi-Carducci-
S. Francesco. In Bergamascherie prime e seconde
(1957, prosa), racconta delle sue esperienze pro-fessionali, a tal proposito la nostra scrive: “in Ri-
va c’è anche la pietà per i poveri che avevano
commesso colpe di poco conto, magari sospinti dal bisogno, e che venivano giudicati.” (130) e
nota era la generosità dell’ Avvocato che nondi-
meno non richiedeva la parcella e per giunta aiu-tava. Egli rifletteva sulla considerazione negativa
in cui fosse tenuta la professione, da parte dei
clienti e più in generale da parte della gente, rea-gendo con L’avvocato Patisce (testo non rinvenu-
to, avverte la Nostra), e con Io… e Pecora mio
(1931, saggio) ove le due P al maiuscolo personi-ficano stati d’animo di Riva, il suo patimento o la
sua sopportazione di matti e furiosi.
Con Ubaldo Riva alpino poeta avvocato, Liana De Luca ha fatto opera meritoria, per averci fatto
conoscere una persona esemplare. È esaltante l’
umanità dell’Uomo che pur non si professava reli-gioso praticante, ma certamente aveva un alto senso
etico e morale che si evince da molte occasioni. Ri-leva come Egli si schermisse della sua “vigoria d’
ingegno”; afferma che aveva “una certa ritrosia a
mettersi in mostra”, così dopo essere stato fondato-re e presidente di una sezione a Bergamo, non volle
più rivestirne la carica. Lo giudica uomo dai molte-
plici interessi, spiritoso, innamorato della monta-gna; ironico ed autoironico, dalla vasta cultura lette-
raria e conoscenza personale di artisti notevoli, a-
mante e appassionato di musica. Saggista e critico onesto, ancora in Bergamasche-
rie, Riva scrive: “Non essere scortichini e stronca-
tori feroci: pensare quanto sangue e sudore di san-gue costi l’opera: non essere venduti per adulazio-
nismo di scoletta o di interesse” (58). La sua onestà
gli faceva scrivere di Marinetti, a proposito del ‘Fu-turismo’: “Mi ha trattato benissimo e mi ha, con
grande cordialità e amicizia, proposto di entrare nel
Movimento. Io dovetti dirgli di no” (50); e pur go-
dendo della stima del “divino Gabriele” d’ Annun-
zio, interpretandola come indulgenza, rispondeva:
“Adorare il semidio sì: farsi prendere in giro no” (53). Apprendiamo della passione per la musica e il
canto, a partire dal nonno, zio, padre, madre, e
quanto egli fosse fine conoscitore dei compositori come pure dei pittori; temi della musica hanno ispi-
rato alcune poesie. La Nostra riferisce che Ubaldo
Riva “aveva espresso il desiderio di morire ascol-tando l’intermezzo della ‘Cavalleria rusticana’ che
non è stato possibile esaudire (ma questo lui non lo
saprà). In chiusura gli dedica, con consonanza del sentire, il componimento ‘Memory’.
Tito Cauchi
SILVANO DEMARCHI
COMMIATO Ediemme-Cronache Italiane, 2013, Pagg. 64, s.i.p.
La prefazione al Commiato di Silvano Demarchi,
a firma di Antonio Crecchia, si rivela ricca di inte-ressi, per i contenuti e per la forma espositiva. Ri-
conosco subito trattarsi di due autori di talento: en-
trambi docenti di lettere. Il primo è stato anche pre-side, ha all’attivo “venti sillogi poetiche pubblicate
nell’arco di 45 anni di militanza letteraria”; il se-
condo è critico di vaglia. Si richiama la vita sociale deludente in generale; il tentativo del nostro Presi-
dente, Giorgio Napolitano, per quanto abbia potuto
fare per il Paese. Il Nostro, nauseato dalle stanze del Potere, ha trovato nella poesia l’equilibrio men-
tale, anelando alla pace, avendo compassione dei
popoli alla ricerca di una patria. Il Poeta ama la na-tura in tutte le sue manifestazioni, ma questo non
gli impedisce di stare con i piedi per terra e di pro-
vare l’estasi mistica, lenitiva di ogni sofferenza. Il Critico rileva gli scampoli di memoria attraverso i
richiami frequenti alle immagini di bambini gioiosi che giocano e alla sosta esistenziale del Poeta, nella
metafora del cielo rabbuiato o delle ombre. Defini-
sce poesia apollinea per la grazia stilistica, il cui spirito affonda le radici nel pensiero di Platone-
Socrate su cui si basa la civiltà occidentale. La sta-
zione di arrivo, dopo tanti itinerari, reali e metafori-ci, farebbe affermate al Demarchi viaggiatore, di
prendere ‘commiato’.
Nella prima parte, breve, troviamo descritti alcuni viaggi. Le località citate fanno da substrato al pen-
siero di uomini che vi vissero esortando al bene, e a
uomini che sono alla ricerca di una Patria, o che continuano a morire per le ingiustizie sociali. Nei
viaggi del Demarchi, infatti, ritroviamo quel Gan-
dhi, “il più povero dei poveri”, di cui avrà avvertito sulle rive del Gange, sul viso, il soffio che gli “sfio-
rò le guance”; troviamo i kurdi in cui egli si imme-
desima o la “Anatolia, terra di mistici abbandoni!”
Così commenta che tutt’intorno, fin dalle origini,
uomini e natura siamo fatti di “un’unica Sostanza”,
che è l’afflato divino. La seconda parte, molto più ampia, è anticipata da
una citazione di Rainer Maria Rilke, ed è una im-
mersione nella libera natura, a cominciare dal ‘giardino’ che varca in apertura, in cui sogna di
“restare per sempre”. Respirare l’atmosfera festo-
sa, assistere “Allegri sul sagrato/ si rincorrono i bimbi.”, con un senso di amarezza alla ‘Pasqua’ dei
nostri giorni. Osservare la natura nel volgere delle
stagioni: l’orizzonte, ora freddo, di alberi “incap-pucciati di neve”; ora ondulato da fogliami, da
chiome fiorite simili ai capelli fluttuanti di una bella
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.43
donna. Silvano Demarchi pensa alle acque del Pas-
sirio ove “spensierati adolescenti si abbandonava-
no/ al flusso delle onde ed io con loro”, confessan-do quanto debba essere odiosa la vecchiezza. Os-
serva il proprio “crepuscolo” e commenta la distan-
za tra il profumo dei giovani e i propri capelli bian-chi. È il mondo della giovinezza il paradiso, e i
bimbi ne sono gli angeli. Nei campi, a fine raccol-
to, “bruciano gli sterpi;/ anche il lento morire/ ha il suo fascino.” (pag. 31). Si affaccia con discrezione
il desiderio sentimentale “fulvi come rena i capelli/
gli occhi azzurri come il mare” (54) di Casablanca. Il Poeta osserva lo scorrere della vita, fuori dalla
propria: il venditore di meloni Emanuele, che rende
colorito l’invito all’acquisto; Ilario, giovane albane-se, che “per guadagnarsi la vita/ posava all’ Acca-
demia dell’Arte.” (41); o una coppia di turisti stra-
nieri su una gondola a Venezia; ascolta le note di Beethoven provenire da una finestra. I viaggi sono
occasione per arricchire lo spirito, così i tuffi nelle
piscine a Tenerife, o “i giovani mulatti di Tucu-màn,/ gettano le camicie al vento/ e ballano scalzi,
paiono indiavolati.” (40). Ma osserva anche le gru che volteggiano, il cormorano che pesca un pesce:
il loro movimento è espressione di vita, di libertà.
La silloge Commiato, di Silvano Demarchi, per certi aspetti si presenta come un inno, è rivolta alla
natura in ringraziamento al suo Creatore, per la de-
licatezza dei versi, pur in presenza di un velo di ma-linconia che tradisce la maturità inoltrata del Poeta.
I suoi sguardi delusi e mortificati, per le disparità
sociali e per le guerre che martirizzano alcune aree geografiche, sembrano stonature nell’impalcatura
poematica; ma che, invece, hanno lo scopo di de-
nunciare le infrazioni sociali e rendere noto lo stato d’animo dell’uomo, la sua genuinità che lo porta al
‘commiato’.
Tito Cauchi
GIUSEPPE MELARDI
PERCORSI Il Convivio, 2013, Pagg. 52, € 10,00
Giuseppe Melardi nativo di Bronte (Catania), nel
1940, vive in provincia di Treviso, ha diviso l’ e-
sperienza professionale tra la fabbrica e l’ insegna-mento nella Scuola elementare; con Percorsi, è alla
sua terza raccolta. La silloge ha l’introduzione di
Giuseppe Manitta, il quale ne rileva lo stile che si accompagna agli stati d’animo del Poeta, in un an-
damento narrativo, utilizzando strumenti come l’
enjambement, assonanze, anafore e iterazioni; ri-chiama altresì l’essenza della poesia della memoria,
con riferimento a un passo dello Zibaldone leopar-
diano: la mente indaga sulle proprie esperienze di
vita scavando nella coscienza, rasserenandola.
Giuseppe Melardi nell’incipit descrive lo stato psicologico che si accompagna alla emersione dei
ricordi: “Rapidi risalgono/ dei flash/ dal fondo alla
memoria/ con lo stridio della segheria.”, la memo-ria va ai luoghi dell’infanzia, vecchie strade, vico-
letti, agli aromi della cucina misti agli odori del fie-
no; alberi secolari; le feste locali, le sagre. Il pae-saggio muta colorazione con le stagioni, ma rimane
un gran silenzio di abbandono. La nostalgia è
struggente, si radica nel più profondo dell’anima. Il titolo trasparente preannuncia soste di meditazioni;
le descrizioni si sono decantate del residuo materico
per divenire purezza dell’anima. Le pagine emana-no profumi e suoni, palpitano dei sensi umani, han-
no belle le chiuse. Il Nostro ama la notte, mostra
padronanza stilistica, usando un linguaggio dall’ impronta personale.
Si ha nostalgia di un mondo quasi totalmente per-
duto: le persone erano più aperte e disponibili, tutta la famiglia si riuniva intorno al desco nell’ora dei pasti,
mentre oggi di quelle tradizioni sono rimaste solo briciole. Il tempo è un po’ come il vento che “sco-
perchia il passato,/dispiega crudele il presente/ na-
sconde sornione il futuro.” (pag. 14). Si disponeva di poco e lo si faceva bastare, non si sprecava nulla e si
aveva il sorriso ugualmente; mentre oggi disponiamo
di tante cose e non siamo contenti, né siamo capaci di scambiare un sorriso aperto, invitante.
Metafore frutto di osservazioni geopoetiche, ci
portano alla campagna aperta che odora di terra fre-sca e di erba bagnata, ci fanno assistere alle rose
che si aprono, alle lucertole che fanno capolino al
sole, vediamo la scia luminosa che lasciano le lu-mache trascinando la propria casa. È come se ci
provenisse l’eco di un lontano racconto, che sa di
fantasmi. Se si vuole amore, occorre darlo, occorre nutrirsi di questo sentimento, spogliarsi di cattivi
pensieri, dei livori. Il Poeta commenta: “La sete d’
amore/ si spegne bevendo l’amore./ La siccità lo
uccide,/ non l’odio.” (26). Non vorrei citare Papa
Francesco, ma è proprio di questi giorni che il San-
to Padre, invita ad andare a letto la sera rappacifica-ti con se stessi, spogliati da ogni misera incrosta-
zione morale.
Oggi si continuano ad affilare le armi sempre più sofisticate, cosiddette intelligenti, ma il Nostro vuole
schiacciare queste paure, così le esorcizza con la sua
poesia. I percorsi hanno le proprie tappe e i propri protagonisti; ora indicano risalite, vecchie strade, fili
d’acqua, l’acqua della fontana che scorre, il vento e le
nuvole, sorrisi aperti all’ accoglienza, le rondini in volo, pescatori che rientrano; ora abbiamo come una
pietra miliare un vecchio eucalipto che faceva da
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.44
faro di riferimento, tra la campagna e la strada a-
sfaltata, “sentinella alle porte del paese.”.
Giuseppe Melardi chiude con sgomento, si chiede se il mondo non si sia capovolto “Ascolto più voci
dal coro/ e note distinguo stonate./ Il gatto che ab-
baia,/ che miagola il cane.” (47). Sembra che i sui ‘percorsi’ l’abbiano condotto alla considerazione
che tutti quanti nasciamo destinati a morire, a per-
petuare l’originaria avventura del genere umano, i-niziata con Adamo ed Eva: l’uomo ripete le trage-
die, Caino che risorge e commette il fratricidio di
Abele. Melardi ha battuto degli itinerari che per molti di noi costituiscono i percorsi interiori. Tutto
sommato costituiscono una sorta di catarsi, o se si
vuole, una sorta di autocoscienza; e quando manca questa, ci sentiamo un po’ più smarriti.
Tito Cauchi
DOMENICO DEFELICE
ELEUTERIO GAZZETTI
Cantore della Valpadana
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2013
Il numero di maggio 2013 de Il Croco si soffer-
ma, grazie a Domenico Defelice, sulla figura di Don Eleuterio Gazzetti. I più si chiederanno, cosa
ci fa un semplice parroco della Valpadana, su un
foglio letterario. O per lo meno cosa ha fatto di così importante per finire “sulle stampe”. E’ pre-
sto detto. Oltre a curare lo spirito e le anime dei
suoi parrocchiani, cosa che gli riusciva benissimo vista la vocazione, ha lasciato scorrere in sé anche
un’altra vena: quella artistica.
Don Eleuterio Gazzetti ha divulgato la parola di
Dio, non solo attraverso le messe domenicali ai suoi fedeli, attraverso la Comunione, la Confes-
sione etc…, ma ha lasciato anche che penna e
pennello riportassero il suo intenso amore, la sua fede, il sacro.
Già da molto piccolo cominciò ad assecondare
la sua passione nello scrivere e nel dipingere. Molti gli scritti che sono rimasti inediti, perché
per gli editori si sa la parola “gratis” anche quan-
do si tratta di un umile parroco di campagna non esiste. I suoi scritti guardano sempre alla natura
che lo circonda, alla fede e naturalmente all’uomo
con i suoi tormenti, speranze e vita. Un po’ meglio gli è andata con la pittura, per la
quale nella sua vita è riuscito ad organizzare una
ventina di personali. Alla base delle sue creazioni c’è l’ Impressioni-
smo. Nelle sue tele, comunica il suo amore per ciò
che lo circonda: alberi, case dai tetti rossi, piccoli borghi e verde sullo sfondo. Ed ancora neve om-
brata, rive di fiumi, il rosso mattone delle case in
costruzione, piccole barche vuote. Verso l’età matura Gazzetti si rivolge a Maria.
Nascono così le pennellate “La Madonna dei Par-
goli innocenti”, “Omaggio alle madri della Par-
rocchia” e molte altre in cui si ritrova l’omaggio
alla maternità.
In tutta la sua opera, comunque, predomina sempre il richiamo all’acqua: sotto forma di pie-
ne, di piccoli rivoli e molto altro, quasi a simbo-
leggiare lo scorrere della vita con tutti i suoi alti e bassi che gli esseri umani sono chiamati ad af-
frontare e a percorrere ogni giorno.
Roberta Colazingari
Immagini:
Eleuterio Gazzetti - Studio per figura (olio su te-
la 30 x 40). Eleuterio Gazzetti: Paesaggio umbro (olio su te-
la 30 x 40).
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.45
NAZARIO PARDINI
I SIMBOLI DEL MITO
Il Croco , I quaderni letterari di Pomezia-Notizie, 2013.
Nazario Pardini, con la raccolta I SIMBOLI DEL MITO, Primo Premio Città di Pomezia 2013, ci of-
fre delle poesie interessanti come contenuto e come
stile. Nei suoi versi c’e’ ritmo, suono, fluidità e tocco
di classicismo, senso spirituale e storico dove spes-
so il passato si mescola col presente legando il tutto attorno ad un solo ramo, ad un solo centro di vita.
Niente corrosione decadente; ma viaggio sicuro
con la fune che tiene e regge i simboli del mito lun-go il percorso forse una volta tracciato dagli dei, da
Apollo, Saffo e compagnia bella.
“ Amara svenava/ la tua vita, Ifigenia,/ per propi-ziare l’armata degli Achei./ Poteva di cotanto male/
convincere la fede! “
Ifigenia, figlia di Agamennone. Quando i greci mossero alla volta di Troia furono trattenuti, dalla
mancanza di vento, nel porto di Aulide per volere di Artemide, offesa da Agamennone. Calcante, in-
terrogato, rispose che la dea poteva placarsi solo col
sacrificio di Ifigenia. E mentre si apprestava il sa-crificio, Artemide, mossa a pietà, la sostituì con una
cerva e la trasportò in una nube nella Scizia dove ne
fece una sacerdotessa! Nei componimenti del Nostro c’è tanta mitologia,
a partire dall’Odissea di Omero. E non manca, na-
turalmente, Ulisse: “ Siamo andati sui mari,/ a cer-care nuovi lidi,/ abbiamo visto perire/ eroi arsi ed
arditi/ nati/ per conoscere mondi;/ abbiamo sfidato
gli dei/ per avversi sentieri,/ persi compagni / divo-rati/ da mostri o prodigi./ Turbini di grigi cieli,/
scogli di sirene,/ amene voci di malie,/ nostalgie su
labili gusci di bosco. “ Ottima la lunga poesia “ Oltre quel muro” che ci
fa ricordare DEI SEPOLCRI di Ugo Foscolo: “
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne “ endecasil-
labi sciolti di alto livello! Pardini canta: “ La notte/
ai flebili lumi/ e fra le stelle/ belle le mie anime/ sul
prato al cimitero;/ all’ora tarda,/ quando i viventi / sono nei giacigli,/ s’incontrano tra i tigli / ed i ci-
pressi.“ E cosa fanno quando s’incontrano tra i ti-
gli? Escono dai “marmi freddi” per parlare di affetti e di ricordi ai bordi dei sepolcri. Invece, secondo il
Foscolo, i morti non sentono nulla ed è illusione dei
superstiti che i morti sentano e possono essere con-solati dall’affetto dei loro cari.
Cosa può alleviare il lungo sonno dei morti? Con
la morte l’oblio cancella ogni cosa? Difficile, im-possibile, rispondere a queste domande se la spe-
ranza fugge i sepolcri!
In ogni modo, I SIMBOLI DEL MITO sono versi
possenti e le figure mitologiche vengono trattate
bene, con rispetto, le quali in fondo danno colore e calore alla visione poetica di Pardini
Ulisse ritorna alla sua amata Itaca. Al ritorno dal-
la lunga guerra di Troia, incorso nello sdegno di Nettuno, per avergli accecato il figlio Polifemo, an-
dò errando per dieci anni prima di rivedere la pa-
tria e le sue peregrinazioni formano, come sappia-mo, argomento dell’ODISSEA. Leggendo I SIM-
BOLI DEL MITO di Nazario Pardini, abbiamo fat-
to anche un tuffo nel mare della bella mitologia, tanto cara ai poeti.
Afrodite, dalla spuma del mare, tutta festosa, ci
sorride.
Mariano Coreno
Melbourne, Australia
ANNA AITA
DOMENICO DEFELICE
Un poeta aperto al mondo e all’amore
Il Convivio, 2013 - Pagg. 94, € 12,00
Domenico Defelice, narratore di ampio respiro si
pone tra i migliori scrittori dei nostri giorni.
Ancora molto giovane inizia amicizie importanti per il suo destino di scrittore, sia a contatto con am-
bienti popolari, sia esercitando vari mestieri per vive-
re, sia dedicandosi a stimolanti letture, intrecciando rapporti con esponenti della vita intellettuale.
Oggi, notevole esperienza e vasta preparazione si
compendiano nei suoi scritti ricchi di trame sempre ideate sulla base di concreti concetti.
Gli ambienti realizzati sono il risultato di un pro-
fondo e minuzioso studio che gli permette di inseri-re, in ogni più piccolo dettaglio, una inventiva ori-
ginale e, nello stesso tempo, aderente allo spirito
della sua opera. Anche nella poesia Defelice si pone in alte sfere e
il suo discorso si identifica nel tessuto connettivo
tra lo svolgersi degli eventi, la successione degli e-
pisodi raccontati e le immagini che ne derivano.
I diversi piani, in cui si realizzano i vari elementi
narrativi, sono resi ciascuno nella sua preziosa inte-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.46
razione e si evidenziano sia nel senso descrittivo,
che in quello narrativo. Pertanto, i motivi autobio-
grafici, sono assunti a verifica di una inchiesta esi-stenziale, illuminata dalla segreta ansia del destino
soprannaturale dell’uomo.
Non aggiungo altro perché mi è mancato il tempo di studiare a fondo l’opera di Domenico Defelice e
della sua arte.
Mi sono fatto un’idea seguendo il saggio dell’ ot-tima Anna Aita che, al suo attivo, ha una lunga e ri-
levante esperienza narrativa, approdata ormai a più
sicure e mature prove di successo con romanzi rap-presentativi della cultura del nostro tempo. Anna,
con squisita e delicata sensibilità, ha saputo molto
bene illustrare le qualità letterarie del Defelice, scrittore calabrese, che onora la strada del nostro
sapere.
Aldo De Gioia
Immagine: Domenico Defelice a Roma, il 21 aprile
1970 nel Chiostro di S. Giovanni in Laterano.
SALVATORE D’AMBROSIO
BARCOLLANDO NELL’INDICIBILE
Bastogi, Collana di Poesia Il Liocorno - 2009 -
Pagg.55, € 7
“Le lacrime non possono/ l’arido eletto a sostanza
del tempo tuo,/ essere lavacro per rinsanguare/ di anni esultanti il rimasuglio./[..]”
A spasso tra i versi del D’Ambrosio, senza che i-
nizialmente ci si cimenti in una lettura approfondi-ta, il lettore va avanti sbandando, per l’appunto
“barcollando”.
L’equilibro che manca non è quello della poesia, ma quello della quotidianità della vita, dell’ esi-
stenza giorno per giorno.
Questo squilibrio del passo umano, che ormai si appende alle spalle del mondo, è ciò che ispira il
poeta, essere chiamato a vedere oltre e vedere pro-
fondamente.
Il poeta diviene qualcuno che sembra delirare. I
suoi testi parlano d’amore, ma l’amore soffre e
spacca in due l’anima; parlano di vita, ma la vita si disfa e ammuffisce, perde la bussola e va delirando;
parlano di profumi e ricordi, ma ben presto essi si
fanno metafora di abbandono e oblio. Da qui l’ in-certezza, il disorientamento, il barcollare in una ma-
teria che diventa poesia indicibile, la profezia di co-
se che il poeta vede e che lo sovrastano. Egli le ama e le odia e diventano così quel qualcosa che non
andrebbe detto.
Ad una lettura più attenta, però il disorientamen-to, ci accorgiamo, non finisce, non si torna affatto
all’equilibro né delle cose né tanto meno dei temi.
Capiamo perciò che il disorientamento, questo “
barcollare”, è un espediente voluto e pensato dal D’
Ambrosio. Il lettore viene messo in condizione di indossare le scarpe del poeta per poter camminare
tra le macerie ideali e concettuali di questa epoca,
viene messo in condizione di calzare i suoi occhiali e portato e vedere il mondo nel modo in cui Egli lo
scandaglia. La parola è il mezzo supremo di porre in
un corpo solo finito ed astratto: le parole di questa raccolta sono il mezzo con cui l’autore mette l’ uno
di fronte all’altra follia e ragione, certezza ed incer-
tezza, il primo e l’ultimo, ordine e disordine. Brandi-sio Andolfi afferma “ L’Autore, allora, si rivela in
questa raccolta veramente figlio del suo tempo e ,
come poeta, cantore fedele di tutti i moti [..]”. Ed è così che accanto a questi versi di immensa
carica quanto mai realistica e che descrivono lo sfa-
celo di una città e della sua dis-umanità “ [..] Intan-to guardi il duro delle tue mani/ e aggiungi a que-
sto/ la nostalgia di un tempo incorrotto/ che forse
non ti avrebbe consegnato chiodi / dietro le porte sgangherate/ dove appendere panni consunti/ pro-
fumati di sudore e lavoro/ della vita tua.” ( da Alle cinque si ferma il cantiere) seguono versi di sogno
e di speranza “[..] non sarò più/ senza l’approdo/ di-
sperato naufrago.” ( da Avrò il mio giardino?) e an-che versi d’amore e di ricordi di felicità come in
“Di te questo” . Ma ogni tema, che il lettore può
annoverare tra quelli cantati, è in realtà la porta d’accesso ad altri temi e spigoli da arrotondare: l’
amore è l’amata, ma anche la madre che scalda, in
un corpo che brucia ( vedi Neve), il ricordo della gioventù e della città amata ( vedi “E ancora altri
profumi”) diviene lo stendardo del poeta , la sua
spada di penna e la sua firma “Lunghi profondi re-spiri/ di chi ha cose infinite da dire”.
Una scrittura metaforica ed intrinseca, che cura la
forma esterna perché sia l’accesso a quella interna e profonda delle parole, scrittura che sa essere mor-
bida e descrittiva ma anche rude e spoglia; innalza
il lettore attraverso rari e vibranti versi per poi spe-
gnerlo nel nero giornaliero.
Aurora De Luca
Stampare un giornale ci vuole coraggio, ma è più dif-ficile farlo vivere: composizione, bozze, carta, stam-
pa, buste, francobolli… se non volete che
POMEZIA-NOTIZIE
muoia, diffondetelo e aiutatelo con versamenti volon-
tari (specialmente chi trova la propria firma, o scritti che lo riguardano, dovrebbe sentirsi moralmente ob-
bligato. L’abbonamento serve solo per ricevere la ri-
vista per l’intero anno). C/c. p. n. 43585009 intestato
al Direttore
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.47
ANNA AITA
DOMENICO DEFELICE
Un poeta aperto al mondo e all’amore
Il Convivio – 2013 Pag. 96 € 12,00
Credo che per uno scrittore o artista in generale, una delle gratificazioni più importanti sia quella che
altri s’interessino di lui e del suo lavoro; ciò deter-
mina che per il valore delle sue opere ha acquisito una gran notorietà. Di questo può vantarsi Domeni-
co Defelice, che ha dedicato la sua vita alla lettera-
tura e all’arte, non solo per se stesso ma aprendo la porta a tutti gli amanti della cultura, come attesta la
sua Rivista Pomezia-Notizie, in vita (e ancora pro-
spera) sin dal lontano 1973, dove moltissimi poeti e scrittori hanno avuto la possibilità di collaborare e
farsi conoscere.
Ciò che distingue Defelice da altri nomi altiso-nanti sono proprio la disponibilità e la cordialità
che lo rendono semplice e umano, quindi, una per-
sona squisita. Ormai si perde il numero delle tante sue opere, che denotano inoltre una versatilità non
comune. Defelice è poeta, prosatore e scrittore di testi teatrali, critico e saggista, collaboratore di nu-
merose testate; inoltre, ama la pittura (e in Rivista si
possono ammirare sovente i suoi disegni). Un arti-sta dunque completo.
Ai numerosi personaggi che gli hanno dedicato
un saggio monografico, si aggiunge Anna Aita con
questo suo volume “Domenico Defelice – Un poeta
aperto al mondo e all’amore”. Già dall’inizio si
comprende l’impegno di Aita, che presenta Defeli-ce sin dalla nascita e lo segue a passo a passo per
dar modo al lettore di comprendere appieno la sua
personalità. Possiamo quindi immaginarlo negli anni infanti-
li, al pascolo delle pecore, per aiutare i genitori che
vivevano grazie alla coltivazione della terra. Sono anni poveri e di guerra, ma decisivi per il suo con-
nubio con gli amici animali e la natura. Lo trovia-
mo ragazzo, a seguire gli studi a Reggio Calabria, dove incontra una giovane per la quale scriverà “Un
paese e una ragazza”, ma il primo vero amore sarà
Marcella, conosciuta tempo dopo, alla quale dedi-cherà molti versi e un poemetto. Seguono altri in-
contri (uno di questi finito tragicamente) finché non
trova la donna della sua vita, la sua sposa, ancora oggi felicemente al suo fianco. Anche le occupa-
zioni sono diverse: lavori che gli permettono di se-
guire gli studi ma non gli offrono certamente una vita agiata, anzi, molti sono i disagi e le costrizioni.
La sua ispirazione artistica però è ben viva e Defe-lice continua a scrivere e a collaborare con varie te-
state.
Quando deciderà di stabilirsi definitivamente a Roma avrà modo di far amicizia con importanti let-
terati e nonostante le varie vicissitudini, la lonta-
nanza dai suoi cari, lo stipendio esiguo d’ insegnan-te (che dopo, grazie alla sua bravura, aumenterà
sempre di più), Defelice impronterà la sua vita sia
sul piano professionale sia su quello artistico. Molte sono, infatti, le sue opere scritte con i relativi suc-
cessi letterari. Riguardo all’amore vi sarà un cam-
biamento radicale: il matrimonio con Clelia e il tra-sferimento definitivo a Pomezia, dove fonderà il
periodico Pomezia –Notizie.
Terminata l’analisi dettagliata della storia bio-grafica di Defelice, Aita svolge un’esegesi sulle sue
opere, pubblicazioni e testi teatrali; si occupa
inoltre di Pomezia-Notizie e delle varie monografie
scritte per lui. Un’indagine senz’altro impegnativa
vista la sua copiosa produzione. In questo modo il
lettore può seguire gradualmente l’ispirazione e la maturazione di Defelice, ammirarne la scrittura, la
fervida immaginazione, la versatilità, la costanza di
tenere in vita il suo periodico anche in tempi difficili come il nostro, nonostante gli anni che
avanzano e un continuo assillante lavoro.
E’ impossibile soffermarsi su ogni edizione di Defelice, poiché ci vorrebbe un vasto spazio, e non
si può nemmeno generalizzare sul suo operato poi-
ché ogni lavoro è diverso dall’altro e meriterebbe un suo approfondimento; si può soltanto affermare
che Aita, con questa sua esaustiva monografia, ha
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.48
sviscerato il mondo di Defelice dando la possibilità
al lettore di conoscere appieno sia l’uomo sia l’ ar-tista. E’ un’altra importante attestazione che avva-
lora l’importanza di questo personaggio, già d’ al-
tronde tradotto in nove lingue e conosciuto in cam-po internazionale.
Sono da rilevare inoltre le interessanti fotografie
di Defelice, dalla prima infanzia in poi, che deline-ano l’evolversi della sua immagine nel corso degli
anni, il suo ambiente familiare, momenti di relazio-ni pubbliche ecc., che nell’insieme rendono l’ at-
mosfera del testo ancor più pregnante.
Laura Pierdicchi
Immagini: - Pomezia, 18 ottobre 1986, palestra Isti-
tuto d’Arte: Domenico Defelice, con accanto il
Sindaco della Città Filippo Walter Fedele, stringe la mano all’ad della Sigma-Tau, dott. Pietro Anne-
si, sponsor del Premio Internazionale Città di Po-
mezia, VII Edizione. Pomezia, settembre 1985: Domenico Defelice con
il corrispondente del quotidiano Il Tempo, Franco
Di Filippo, presso la Tomba di Enea, sito archeolo-gico nella tenuta del principe Borghese in località
Pratica di Mare (RM).
FABIO CLERICI
IL GRIDO DELLA TERRA
Missione Emilia
Associazione Culturale TRACCEPERLAMETA,
2013, pagg. 136
L’Italia è una terra a rischio. Non certo dal punto
di vista politico (diecimila bocche che masticano e nessun cervello che pensa davvero), ma da quello
fisico-geologico sì. Considerando che è la terra vul-
canica per antonomasia, nel Sud Europa, essa è pe-rennemente a rischio sismi, con debite conseguenze
per l’ambiente e gli abitanti dello stivale.
Purtroppo, i terremoti in Italia sono come i we-stern di Sergio Leone e Bruno Corbucci: visto uno,
visti tutti.
La terra trema, senza preavvisi di sorta, il panico
si diffonde ovunque, le case ed i monumenti crolla-
no (due cose delle quali l’amministrazione se ne frega, mussolinianamente: le case si rifanno, in e-
conomia, ed i monumenti non sono che Cultura del
passato), la gente muore o resta ferita in modo più o meno grave. Chi non ha avuto la fortuna (!) di finire
al cimitero o all’ospedale, è costretto a vivere da
sfollato senza casa, in baraccopoli d’emergenza provvisorie (niente è più duraturo del provvisorio,
in Italia!), mentre le Autorità continuano a latrare
che non si dimenticheranno dei poveri cittadini e si provvederà presto e bene (e cioè: il commissario
Ambrosio si ammazza di fatica sul posto, mentre l’
onorevole De Ficiente va a far fine settimana a Por-to Cervo).
Ci sono poi atti di valore o umanitari fatti effetti-
vamente dalle forze dell’ordine o da gruppi di vo-lontari ed i giornali fanno servizi di due, tre, quattro
pagine, con moltissime foto.
Ma tutto questo è solo Storia, in via ufficiale. Ma cos’è davvero un terremoto e quel che ne con-
segue? Fabio Clerici (classe 1961), scrittore, poeta, viag-
giatore appassionato e grandissimo amatore della
montagna ci racconta la vera storia del terribile ter-remoto che colpì l’Emilia il 20 maggio 2012 (poco
più di tre anni esatti dopo la tragedia analoga che
colpì L’Aquila).. E ce la racconta con voce appas-sionata, da essere umano, non da scrittore profes-
sionista o da giornalista d’assalto, sperando di fare
uno scoop che gli valga un Pullitzer (l’Oscar dei giornalisti).
Io dico che è una storia VERA in quanto che
quanto ho affermato sopra è solo un terremoto IN VIA UFFICIALE, raccontato in terza persona, dall’
esterno, con tono gelido e professionale. Nessun
coinvolgimento emotivo e tutte le virgole al posto giusto. Un servizio completo di tutto che ignora il
dolore di chi ha perso un parente o un amico nella
tragedia, che ignora il pianto dei bambini, terroriz-
zati da un evento imprevisto, o i versi delle bestie,
non meno spaventate dei cuccioli d’uomo.
Questa è una storia vista “da dentro”, narrata in prima persona attraverso le azioni di un gruppo di
agenti della Polizia Locale (già Vigili Urbani), in
trasferta sul luogo della disgrazia per prestar soc-corso, in ogni modo (materiale e spirituale) alle vit-
time ed ai sopravvissuti, non importa se bestie o
umani. Può piacere oppure no, questa storia, ma certo non
è una vicenda da prendersi alla leggera. Non è un
servizio televisivo da godere, attendendo L’Isola dei Famosi, sgranocchiando patatine e pensando,
con indifferenza: Povera gente (meglio loro che i-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.49
o)! Stavolta è un fatto personale e nel momento in
cui lo si legge si capisce che questo è Dolore vero,
autentico sangue caldo, disperazione non di frutto letterario. Un vero schiaffo in piena faccia.
Può piacere o no, ripeto. Dipende dalla natura e
dal temperamento del lettore, ma non è un libro da prendere in sottogamba. E’ una testimonianza effet-
tiva, diretta e personale, fatta sulla pelle nuda. E
non per modo di dire. E, inoltre, è un libro che vale il doppio, in quanto che Clerici è innanzitutto ed es-
senzialmente un poeta (ha firmato numerose, bellis-
sime sillogi in passato. Il risvolto di copertina ne dà ampia lista) e questo suo sforzo letterario, in prosa,
è un raro e non disprezzabile esempio di abilità e di
sensibilità artistica. Non è facile davvero, come ar-gomento da presentare ai lettori, vecchi o nuovi che
siano.
Non intendo commentare oltre. Troppo ci sarebbe da dire e questa è sempre e solo una recensione. Ma
chi leggerà questo testo non rimarrà deluso e dovrà
rendersi conto che le tragedie mostrate dalla tv non sono un lavoro teatrale a firma Goldoni o Brecht.
Qui si fa sul serio! Buona lettura.
Andrea Pugiotto
UMBERTO PASQUI
STORIE DI FORLÌ
Non c’è bisogno di presentare Pasqui. Tutti i letto-
ri dell’ottima rivista Poeti nella società lo conosco-no già, mercé le accurate recensioni da lui redatte
su testi dei generi più diversi. La sua professionali-
tà, come recensore, non è certo messa in discussio-ne.
Ma stavolta l’amico Pasqui è dall’altra parte della
barricata, come si dice, poiché stavolta è nel ruolo di scrittore. Anzi, di curatore.
Storie di Forlì ci parla di questa bellissima metro-
poli emiliana, vecchia già di 2.200 anni (portati be-
nissimo, in verità), che ne ha vedute, sentite e vis-
sute di tutti i colori.
Il titolo del testo potrebbe far supporre ad un’ an-tologia di fiabe popolari inerenti Forlì o di novelle
di Autori nati in quella bella città. Tutti sarebbero
autorizzati a pensarla in tal senso, giacché prece-denti, nell’uno come nell’altro senso, non ne man-
cano davvero. E invece, questa antologia fa parte
del genere Favole vere del grande fiume, di guare-schiana memoria. Storie meravigliose, realmente
accadute a Forlì ed immediati paraggi, che ci parla-
no di santi e di guerrieri, di strade e di piazze, di gente piccola e meschina ed anche di grandi fatti
che mutarono il corso della Storia.
Pasqui offre un ritratto a tutto tondo di Forlì dalle
prospettive più diverse: Luoghi; Personaggi; A-
neddoti; Dintorni, trattando ogni argomento con dovizia di particolari… a costo di essere reputato
odioso, dovendo anche presentare persone discuti-
bili e che si preferirebbe dimenticare! Ma Pasqui vuole cantare Forlì nel Bene e nel Ma-
le, senza negare le ombre né esaltare in modo ipo-
crita e sperticato le luci, facendo apparire bellissimo ciò che è solo passabile. Forlì è sotto gli occhi di
tutti i lettori, nuda e scoperta in ogni dettaglio. Può
piacere o no, può essere considerata una gran si-gnora o una puttana di origini incerte. Dipende
sempre dal punto di vista del lettore.
Pasqui – rendiamogli giustamente questo merito – è stato meravigliosamente obiettivo: non ha né ag-
giunto né tolto nulla. Forlì è sulla bilancia, nuda co-
sì com’è. Il giudizio spetta al lettore. Ma nel criti-carne i difetti, non scordate i pregi. Dopotutto, si
dovrebbe essere sempre grandi, nel Bene e nel Ma-
le. E Forlì forse lo è stata. Io, come recensore, ne sono rimasto affascinato.
Come lettore, posso solo dire: il giudizio a chi lo leggerà dopo di me. Il mio parere, pur se modesto,
qui non vale nulla, giacché ogni testa la pensa a
modo suo, diversa l’una dall’altra. Per fortuna. Da leggere con attenzione, per non farvi sfuggire
le più incredibili meraviglie riposte negli angoli più
impensabili.
Andrea Pugiotto
PAOLA INSOLA
LESSICO D’AMORE
Lorenzo Editore, 2012 - Pagg. 96, € 18
Cara Paola,
Ho letto con piacere il tuo Lesico d’amore (Lorenzo Editore, Torino 2012), raccolta antologica
destinata ad abbracciare ben trentacinque anni di
attività poetica (1977 - 2010). La prima sezione,
non a caso intitolata Il segreto della crisalide, è
giocata sullo sfiorarsi e talvolta sull’incontrarsi di
tematiche quali l’immersione totale nella natura e una religiosità ora palese, ora sottesa. La lirica
introtuttiva, alla quale la sezione è debitrice del
titolo, unisce mirabilmente lo stupore di fronte all’ eterno miracolo di una nuova vita che sboccia alla
presa di coscienza di quella precarietà destinata a
permeare l’intera esistenza mentre la successiva Basterebbe un colpo d’ala canta la contraddizione
del nostro viver perennemente sospesi tra umano e
divino: “Percorriamo/sentieri poveri di slanci/poi stupiti reggiamo nuvole/per la sosta dei gabbiani”.
Di fronte all’errore, alla caduta sempre in agguatto
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.50
la lirica Cronaca ci indica l’unica vera via d’uscita:
“...il Vangelo/è ancora Speranza/e la Parola/
dissipa dubbi/oltre la giungla/delle contraddizioni./ DIO perdona / ubriaco d’AMORE”. Ritorno
propone la metafora della poesia intesa come pane
(“Sarà vittoria di braccia/aggrappate alla ragione /a scrivere un paragrafo/sul pulviscolo del grano
/che stagiona nei versi: mio pane per un giorno”).
Una delicata sensualità permea infine Momento d’ amore e Sogno.
Anche nella seconda sezione, Confluenze,
introdotta da una citazione tratta da Goethe e da un frammento critico del compianto Silvio Bellezza, la
natura è protagonista, palcoscenico di una umanità
afflitta dal “male di vivere”: “Il mare aveva il colore/della luna e il vento smarriva/un cammino
di offerte/aggrappate ai polsi/nel sopore di vite
stremate” e ancora “Nessun rancore per il tributo /della resa, solo l’aggrottare/di ciglia per fierezza
grande./Misuri il cielo tra gli orli/discreti delle
foglie/ti pieghi sul fieno, mentre/sul tuo corpo rotola la luna”.
Il messaggio è chiaro: andare avanti nonostante tutto come attesta la lirica Navigare necesse est
abbinata all’acquarello proposto in copertina,
realizzato da Annamaria Zerbetto: “Per i naviganti dell’ora saremo/diafane vele trafugate alla notte/
ma dell’intreccio di una logora tela/siamo l’ordito
che resiste/al gorgo del destino:Navigare/(o amare?) necesse est”.
Lo spirito di ricerca, la voglia di saper ascoltare
Oltre le note animano la quarta sezione, sino a quella summa di tematiche insoliane costituita da
Incontro: “Nel colmo cesto delle labbra/furono il
dolce e l’asprigno/dei giorni che vorticano infinite ipotesi./Nuovo fermento ci prese per mano./Poi il
vento scompaginò le rime/e il racconto si fece mi-
nuto/liberando polvere d’amore”, con lo sguardo comunque proteso, ancora una volta, verso il futu-
ro: “Staremo bene sottovento/dopo aver guardato
indietro e concluso/senza darci il tempo di capi-
re/quali giorni salvare e quanti gesti/reinventare
sui rintocchi/che segnano ore nuove” (Dentro il
vento). A Una manciata di parole fanno seguito i Corim-
bi, sezione nella quale talvolta sei onirica, talvolta
contemplativa (Non muove sul mare) e a tratti quasi maliziosa (Fu l’improvvisa ventata). A volte emer-
ge la fisicità del rapporto (La tua bocca, Amore su-
dato e Dopo la parola: “parlarono i nostri corpi/al consenso della notte/vestita di fragranze. Ci de-
stammo/al singulto dell’alba/lievitati d’amore”).
Alcune liriche si ammantano di spiritualità (Tra-spari) e forte si avverte ancora una volta il contra-
sto tra il timore che tutto possa presto finire (Abita-
vi nei miei occhi) e lo stupore di fronte alla genesi
di nuovi sogni, sbocciati da quella necessità d’ ama-
re unico baluardo in grado di fronteggiare l’ ineso-rabile scorrere del tempo: “Sei nel mio stupore/nel
viaggio che fiorisce/dal deserto: miraggio/nel lento
miracolo/dell’alba”; “Proveremo a tenerci stret-ti/nel balenio/di notti generose/disposte a stempe-
rare/la curva/delle ore in fuga” (Il bisogno di ri-
trovarti), camminando in precario equilibrio sul filo “che separa promesse/calde d’estate/da svoli in-
cauti/di falena” (Questa sera inseguo).
Infine, la trilogia del Lessico d’Amore; Mia cara Turin, innanzi tutto, scritta in piemontese con la ri-
uscita immagine di quella collina che “...desfend
motobin/ij seugn ed j’innamorà” (“...difende molto bene/i sogni degli innamorati”), quindi la poesia
Per Gaia, composta l’8 marzo 2010 in occasione
della nascita della tua nipotina, ideale trait d’union con la lirica conclusiva, Lessico d’Amore, dedicata
passando dalla sfera privata a quella di respiro uni-
versale “alle donne del mondo” nella certezza che “Può accadere/guardandoci allo specchio/di smar-
rire/le certezze degli opposti/incapaci/di trovare differenze”.
Complimenti!
Roberto Tassinari
ACCAREZZARTI DI PAROLE
Nel fluire del tempo
mi persi navigando nei giorni
lenti i passi … mi accompagnavano
con furore per il cuore.
Sentivo la mia voce
percorsa da brividi
accarezzarti di parole
suadenti … persuasive
sino all’inverosimile.
Come foglia
non lasciavo mai il mio ramo
in attesa dell’inverno
cercavo di eludere l’autunno
per non staccarmi da te
che eri linfa per la mia essenza.
Generosa la stagione ascoltò
con compostezza il mio volere
turbando i colori previsti
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.51
dal suo proposito
si accostò a me ricercando
comprensione
che
subito accolsi
per smarrirmi in un’emozione.
Lorella Borgiani Ardea (RM)
TRA POCO È NATALE
Tra poco
è Natale.
Gesù è già
in cammino
per venire
in soccorso
all’Umanità
perché non si perda
in cose vane
e nel giorno
di Natale
ritorna
bambino
per rallegrare
i bambini
di tutto il mondo.
E suoneranno
le campane
vicine e lontane
per far festa
a Gesù
nel giorno di Natale.
Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, Mi
TRA POCO È SERA
Tra poco
è sera.
Il cielo
è in preghiera
e le rondini
tornano al nido
con il grido
esterrefatto
per i misfatti
che succedono
ogni giorno
e piangono
gli alberi
incamminati
per la via
per questo giorno
che si oscura.
Loretta Bonucci
ALLELUIA
DELLA CREATIVITÀ
Brent, uno scimpanzé artista di 37 anni, ha
composto un quadro astratto e vinto 10.000
$ a un concorso di pittura. Al posto del pen-
nello, lo scimpanzé usa la lingua per appli-
care i colori. Niente da fare. La brava scim-
mia Brent ne deve mangiare, di pastasciutta,
per raggiungere l'originalità creativa dell'
uomo. Andy Warhol, già negli anni '70, di-
pingeva orinando affettuosamente sulla tela.
Rossano Onano
Anche s’è antigienico
i colori spalmare con la lingua
e se si ostina a non usar la zampa,
io sto con Brent, caro il mio amico Onano.
Che sia sempre così:
scimmia giocosa, estrosa, al naturale,
eternamente scimmia,
giammai essere umano,
se negli anni settanta
Andy Warhol pisciava sulla tela.
Ma non fu il primo e solo originale,
ché già, alla romana Galleria d’Arte
Moderna, una Palma Bucarelli,
sfrontata ed arrivista,
circondata di bonzi,
col mio e col tuo denaro,
comprava per esporre un po’ di stronzi:
l’ormai celebre assai Merda d’Artista!
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.52
DEL POETA LA DIGNITÀ
Signore, al ristorante
non vado che ad ogni morte di papa;
in discoteca
da che avevo trent’anni.
Molto viaggio con la fantasia,
poco su treni ed autostrade
e paura ho del volo.
Non ho Suv, né iPhone, non ho iPad.
Niente prebende, non son cavaliere.
Vesto modesto, non ho conti in banca,
non ho la villa con la piscina.
La bellezza mi incanta alla mia età
- ed ancora la donna! -.
Ho del poeta la dignità.
Domenico Defelice
SEMPRE HO AVUTO UN SOGNO
Sempre avuto ho un sogno, caro Stefano,
in parte oggi da te realizzato:
sì, da te che convoli a giuste nozze
con la tua Emanuela.
L’ha già fatto Gabriella,
dalla quale un bel fiore anche è sbocciato.
Chiuderlo spetta a Luca,
sebbene pure lui ha le sue stanze.
Ho avuto sempre un sogno
ed a lungo per esso ho lavorato.
L’augurio è che il buon Dio nei suoi giardini
or non mi chiami subito,
prima ch’io veda almen le vostre case
tutte fiorite d’occhi di bambini.
Domenico Defelice Pomezia, 14 settembre 2013
AD ALESSANDRO
Da questo scoglio lambito
dall'acqua,
il vento canterino delle onde
fa vibrare l'aria
vela oltre vela
veleggiar io sogno
nella bellezza corrosa.
In punta di piedi
il desiderio entra in scena
e la fine non svela il suo sorriso
nell'oblio di perenne canto
Adriana Mondo
POEMAS SUELTOS
Mis poemas nacen del espanto
pero son pensamientos
palpitantes de razón.
Después de echar los versos
en el papel en blanco
mi ser reposa en las sombras
mientras en mis venas
corre la noche vacía
en busca del alba.
Anhelo volar a la distancia,
visitar amigos con quienes
mirar la luna triste
que muere sola esperando el sol.
Teresinka Pereira USA
PICCOLI FUOCHI
Odore pungente di stoppa bruciata,
si alimenta al calar della sera,
piccoli fuochi nella notte stellata
avanzano lenti tra la fresca brezza.
E’ un lasso di tempo tra l’estate e l’autunno
in cui si sente odore di terra,
primordiale profumo che penetra le narici,
ossigena il sangue rendendoti vivo,
creativo,
così da dar senso alla vita.
Colombo Conti
UN ALTRO CANTO DI SAFFO
Il viola voluttuoso della viola
è il viola del velluto dei tuoi occhi
mentre vibrante al verso della viola
vagheggio il tuo veleno che violenta.
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.53
Vendicativa per un voto violo
viziosamente la vergine viola
e mi vesto di viola e intreccio viole
per il tuo ventre dalle vene viola.
Viola di vaso viola di vallata,
ti voglio vaporosa di violetta.
Vieni vessillo veloce nel vento
dalla tua viola vedova d’amore.
Liana De Luca Torino
Nota – Le tre parole che non iniziano con la lette-
ra V, una per strofa, cioè occhi – intreccio –amore
aggiungono n ulteriore significato al testo.
IL VENTO
A Melbourne
tira vento:
chiudo porte e finestre
e resto dentro!
Mariano Coreno
QUANDO…
Quando chiuderò gli occhi
vi prego, figlie mie,
di mettere nella bara
anche le mie poesie!
Mariano Coreno
NIENTE È MIO
Quel poco che ho
e’ soltanto mio
fino a quando vivo.
Mariano Coreno Melbourne, Australia
CASE
Uova come i pigri insetti
ho lasciato nelle crepe dei muri
delle tante abitate case.
Mi torna a volte
qualche profumo-invito
e le vedo ancora lì nascoste
non schiuse.
Braccio sulla fronte
gioco a nascondino numerare
correre risate argentine
allontanarsi.
Il fuoco di mia madre attizzato
che dentro ancora brucia,
le silenziose stanze
senza echi di voci alterate,chiamare.
Non so se mio padre sapesse gridare
non l’ho mai sentito
solo caldissima la mano
stupore ancora oggi, come la mia.
Mano nell’insistenza dei richiami
prigioniera in una fotografia
con la piccola dagli occhi imbronciati.
Intrepida cerchia di quattro
felici e perfetti nell’attesa
per tornare all’attacco e conquistare
i tempi originari perduti.
Un profumo rincorre un suono,
un suono una voce
che dall’invisibile ridona
illusione d’ossa e di carne
pensiero che si sfalda
dove fiato in gola si perde.
Sognai
ero nella casa prima
quella che più amai.
Salvatore D’Ambrosio Caserta
PERDUTI SEGNI
Non si perde
sotto palpebre chiuse senza notti
l’appreso.
Rimane come di candela tenue lume
a farsi al riaffiorare in superficie
improvviso abbaglio.
Nulla è rimasto o è rimasto poco
quello che non c’è più però
e più manca come una preghiera
all’accendersi delle luci al crepuscolo
il buona sera.
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.54
L’ostilità del giorno rotta dal gesto
in accordo con le voci
a consumare la pace nelle case
come per dire:questa è l’eternità.
Consapevole canaglia
tenue lume
m’incendi la notte di perduti segni
mentre cresce sotto il silenzio di palpebre
concerto d’irrealizzabili promesse.
Salvatore D’Ambrosio
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE Premio “Filoteo Omodei” e “Pensieri in versi”
2014 - Scadenza 31 gennaio 2014. L’Accademia
Internazionale “Il Convivio” bandisce la quinta
edizione del premio “Filoteo Omodei” e la dodi-
cesima edizione del premio ‘Pensieri in versi’,
cui possono partecipare autori sia italiani che
stranieri nella propria lingua o nel proprio dia-
letto. Per i partecipanti che non sono di lingua
neolatina è da aggiungere una traduzione italia-
na, francese, spagnola o portoghese. Il premio
“Pensieri in versi” è diviso in sei sezioni: 1) Poe-
sia inedita a tema libero in lingua italiana. 2) Sillo-
ge di poesie senza limiti di versi, ma che compren-da almeno 10 liriche, (ordinate in 5 fascicoli, pena
l’esclusione). 3) Poesia inedita a tema libero in lin-
gua dialettale (con traduzione nella lingua naziona-le). 4) Libro edito in lingua italiana o in dialetto:
poesia, romanzo o raccolta di racconti, saggio (in-
viare tre copie, di cui una con generalità). 5) Pittura
e scultura (si partecipa inviando due foto chiare e
leggibili di un’opera pittorica o scultorea). 6) Alle
sezioni precedenti possono partecipare anche gli studenti delle scuole primarie e secondarie. Il pre-
mio “Filoteo Omodei” è diviso in tre sezioni: 1)
Poesia inedita in lingua italiana a tema religioso. 2) Poesia inedita a tema religioso in lingua dialettale.
3) Racconto inedito. Premiazione: a Verzella, in
provincia di Catania, nel mese di giugno 2014. Si può partecipare a più sezioni, ma con una sola ope-
ra per sezione, dichiarata di propria esclusiva crea-
zione. Gli elaborati vanno inviati in cinque copie (tranne per la sezione libro con tre copie e sezione
pittura con due copie), di cui una con generalità, in-
dirizzo e numero telefonico, alla Redazione de “Il Convivio”: Premio “Filoteo Omodei”, Via Pietra-
marina–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia
(CT) - Italia. La partecipazione al concorso è gra-tuita per i soci dell’Accademia Il Convivio e per gli
studenti che partecipano tramite scuola. È richiesto
invece da parte dei non soci, per spese di segreteria, un contributo complessivo per partecipare a tutte le
sezioni di euro 10,00. Per informazioni tel. 0942-986036, cell. 333-1794694, e-mail: enzaconti@ il-
convivio.org; [email protected]. Sito: www. il-
convivio.org
*** COMUNICATO STAMPA DELLA LECTURA
DANTIS METELLIANA - Primo appuntamento
per gli appassionati e gli studiosi dell’Alighieri.
Martedì 15 ottobre alle ore 18, nell’Aula Consiliare del Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, nell’ambito
del 40° ciclo di letture dantesche organizzato dalla
Lectura Dantis Metelliana, Eugenio Ragni, dell’Università di Roma Tre, “ha letto” il canto
XXVII del Paradiso. Ha introdotto il presidente
dell’Associazione, Fabio Dainotti. Ha coordinato i lavori il direttore Paolo Gravagnuolo. Il canto 27°
è l’ultimo dei canti ambientati nel Cielo Stellato;
in esso S. Pietro esprime un violento biasimo con-tro i suoi successori, che si servono della Chiesa per
i loro bisogni materiali. Nel canto si assiste anche
all’ascesa di Dante e Beatrice al Cielo Cristallino. Il professor Ragni, che ha firmato numerose voci per
l’Enciclopedia dantesca, si è occupato anche della
letteratura del Novecento; attualmente dirige i suoi interessi agli aspetti numerologici della Divina
Commedia. In occasione dell’evento è stato confe-
rito il Premio di laurea “ Fernando Salsano” e sono state esposte opere di un artista contemporaneo.
*** PREMIO ALIAS, VENTESIMA EDIZIONE -
Nella foto: Console Dr. Marco Maria Cerbo – An-gelo Mario Cianfrone – Giovanna Guzzardi - Da-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.55
niel D’Appio - Premiazione 30 settembre 2013.
Melbourne – Giunto alla sua ventunesima edizione,
il concorso letterario internazionale dell’Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori ha premiato la
siciliana Enza Sangiorgio con la Medaglia d’ Ar-
gento del Sommo Pontefice e Angelo Cianfrone con la Medaglia d’Argento del Presidente della Re-
pubblica. I due hanno partecipato e vinto grazie
a due toccanti composizioni. L’ Accademia ha
selezionato la poesia di Enza Sangiorgio, intitola-
ta Salsedine, per il lirismo con cui l’autrice si rela-
ziona al mare, elemento a lei familiare in virtù delle sue origini isolane. La poetessa, infatti, è nata a
Melbourne e attualmente vive a Perth, nell’ Austra-
lia Occidentale, ma ha origini siciliane. Angelo
Cianfrone, invece, ha ottenuto il riconoscimento
del Presidente della Repubblica per un racconto, L’
Alpino, che narra la storia di un soldato di ritorno dalla campagna di Russia, il quale, pur cadendo in
disgrazia, non abbandona il proprio sentimento pa-
triottico. Angelo Cianfrone è nato in provincia di Chieti ed ora risiede ad Adelaide. I premi sono sta-
ti consegnati nel corso di una serata di gala dal
Console Generale d’Italia a Melbourne, Marco
Maria Cerbo, che si è complimentato con gli autori
vincitori per aver mantenuto forte il legame con la terra e la lingua d’origine.
Foto di Lorenzo Cambieri.
Domenico Defelice - Scaffale (1964)
LIBRI RICEVUTI
VALERIO MASSIMO MANFREDI - Il mio
nome è Nessuno - Il giuramento - Romanzo,
Numeri Primi Mondadori, 2012 - Pagg. 354,
€ 13,00. **
VALERIO MASSIMO MANFREDI - Il mio
nome è Nessuno - Il ritorno - Romanzo, Mondadori, 2013 - Pagg. 336, € 19,00. Vale-
rio Massimo MANFREDI è un archeologo
specializzato in topografia antica. Ha insegna-to in prestigiosi atenei in Italia e all’estero e
condotto spedizioni e scavi in vari siti del
Mediterraneo pubblicando in sede accademi-
ca numerosi articoli e saggi. Come autore di
narrativa ha pubblicato con Mondadori quin-
dici romanzi: “Palladion”, “Lo scudo di Ta-los”, “L’ Oracolo”, “Le paludi di Hesperia”,
“La Torre della Solitudine”, “Il faraone delle
sabbie”, ”Alèxandros” (trilogia), “Chimaira”, “L’ultima legione”, “L’Impero dei draghi”,
“Il Tiranno”, “L’armata perduta”, “Idi di
marzo”, “Otel Bruni”, “Il mio nome è Nes-suno - Il giuramento”, nonché raccolte di rac-
conti e saggi. Ha vinto prestigiosi premi, Dino
De Laurentis ha tratto un film da un suo ro-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.56
manzo, conduce programmi culturali televisivi e
collabora con “Il Messaggero” e “Panorama”.
** MARIO RICHTER - MARIA LUISA DANIELE
TOFFANIN (a cura di) - Il sacro e altro nella poe-
sia di Andrea Zanzotto - Indagini e testimonianze a firma di: Francesco Carbognin, Padre Espedito D’
Agostini, Antonio Daniele, Silvio Ramat, Mario
Richter, Maria Luisa Daniele Toffanin - allegato CD-Rom dei testi di Federico Pinaffo - Edizioni
ETS, 2013 - Pagg. 126, € 14,00. Francesco CAR-
BOGNIN lavora come Assegnista presso il Dipar-timento di Filosofia Classica e Italianistica dell’
Università di Bologna. Autore dei volumi “<L’ Al-
tro spazio”>. Scienza, paesaggio, corpo nella poesia di Andrea Zanzotto” (2007); “Le armoniose disso-
nanze. “Spazio metrico” e intertestualità nella poe-
sia di Amelia Rosselli” (2011) e di studi sulla poe-sia del Novecento. Organizzatore di diversi Conve-
gni nazionali e internazionali, curatore dei relativi
Atti, di Andrea Zanzotto ha curato l’edizione di “Sull’Altopiano” (2007), di “Il mio Campana”
(2011) e di diversi altri saggi a stampa e video. Ha collaborato all’edizione e al commento dell’”Opera
poetica” di Amelia Rosselli (2012). Con N. Loren-
zini ha curato “dirti “Zanzotto” “ (2013). Padre E-
spedito D’AGOSTINI è nato a Moriago della Bat-
taglia (Treviso) nel 1944. Licenza in teologia pres-
so gli istituti dell’Ordine dei Servi di Maria. Ha vis-suto nei conventi di Venezia fino al 1990, promuo-
vendo iniziative culturali legate al ruolo e alla vo-
cazione secolare della Serenissima. Nel 1990 si tra-sferisce presso il Priorato di S. Egidio in fontanella
di Sotto il Monte (BG), dove, fin dal 1964, David
Maria Turoldo aveva fondato una comunità aperta all’incontro, al dialogo, all’impegno civile ed eccle-
siale di rinnovamento. Ed è tramite Turoldo che e-
gli conosce Zanzotto. Al Priorato tuttora conduce i quaderni di spiritualità “Servitium”. Antonio DA-
NIELE è nato a Padova nel 1946 e ha insegnato
nelle università di Vienna, Padova e Cosenza. E’
ordinario di Storia della lingua italiana all’ Univer-
sità di Udine. Autore di numerosi saggi e monogra-
fie sulla lingua e la letteratura dal Trecento al Sei-cento e un’attenzione al più recente Novecento.
Silvio RAMAT è nato a Firenze e dal 1976 al 2012
è stato professore ordinario di letteratura italiana contemporanea all’università di Padova. Premiato
dall’Accademia dei Lincei, ha pubblicato: “L’ er-
metismo” (1969), “Storia della poesia italiana del Novecento” (1976), “Protonovecento” (1978), “La
poesia italiana 1903 - 1943. Quarantuno titoli e-
semplari” (1997), “I passi della poesia” (2002), “Il lungo amore del secolo breve” (2010). Poeta fin
dall’età di vent’anni, nel 2006 ha riunito in “Tutte
le poesie” (1.400 pagine, 2006) i libri editi a quella
data. Sono apparsi, poi, “Il canzoniere dell’amico
espatriato” (2009 e 2012) e “Bachi di prova” (2011). Mario RICHTER è nato a Valdagno nel
1935, libero docente dal 1966 e professore ordina-
rio dal 1972, ha insegnato letteratura francese nelle università di Lecce, Parma, Milano e per 30 Anni a
Padova. Fa parte di alcune fra le maggiori accade-
mie venete. Autore di numerosi studi sul Rinasci-mento franco-italiano e sulla poesia moderna, da
Baudelaire al Surrealismo. Al suo commento delle
“Fleurs du Mal” (1990 - 1997), pubblicato anche in Francia (2001) è stato assegnato il Premio “Natali-
no Sapegno”. Tra i suoi libri ricordiamo “La for-
mazione francese di Arderngo Soffici” (1969. Re-centemente ha curato una nuova traduzione italiana
del “Port-Royal” di Sainte-Beuve. Maria Luisa
DANIELE TOFFANIN è nata a Padova, docente di italiano e storia negli istituti superiori. Dedita alla
poesia e alle attività culturali, promuove, nell’ am-
bito dell’Associazione Levi-Montalcini, nelle scuo-le incontri letterali, momenti di poesia, laboratori di
scrittura. Partecipa a convegni organizzati dall’ U-niversità di Udine. Pubblica poesie su riviste nazio-
nali e internazionali. Ha pubblicato: “Dell’azzurro
ed altro” (1998, 2000), “A Tindari” (2000, 2001), “Per colli e cieli insieme mia euganea terra” (2002),
“Dell’amicizia - my red hair” (2004 - 2006), “Iter
ligure” (2006), “Fragmenta” (2006), “E ci sono an-geli” (2011), “Appunti di mare” (2012).
**
LEONARDO SELVAGGI - Antonio Angelone e
il suo mondo ideale - EdiAccademia, Isernia 2013
- Pagg. 44, s. i. p. Leonardo SELVAGGI è nato a
Grassano (MT), ma vive a Torino, dove è stato di-rigente superiore del Ministero per i Beni Culturali.
Collaboratore di svariate Riviste, ha ottenuto premi
e riconoscimenti. Curatore di importanti Antologie di Poesia contemporanea, ha pubblicato diecine di
volumi tra prosa, poesia e saggistica, tra i quali si
ricordano: Le ombre; Diario Poetico; Frammenti;
Desiderio di vivere; Venti anni di Poesia; La tran-
sizione; Lo sradicato e altri scritti; Pagine di un
anno; Le radici dell’essere; La croce caduta; L’ ul-timo dei romantici; Le feste degli altri; Franti pen-
sieri d’autunno; Il mattino dell’ufficio; Immigrato a
Torino; Poesie in due tempi; Eterne illusioni; Sti-molazioni e colloqui; I giorni del baratro; Realtà e
Poesia; Francesco Lomonaco; Saggi sulle “poe-
sie” di Ferruccio Brugnaro; Le ultime pagine del Duemila; Lontano è il tempo della notte; Andrea
Bonanno pittore e saggista dell’uomo nella sua es-
senzialità primordiale; L’amore sopra il precipizio; Poesie nella tempesta; Nicola Festa il classicista
sommo della Basilicata; Vita e Pensieri; Sugli asse-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.57
tati di Ordine e Giustizia; Noi e il Terzo Millennio;
I tempi felici; L’altra valle; La terra tutta ci prende;
L’anima e gli echi lontani; Ruggero Bonghi; La poesia di Carmine Manzi nella sua ultima evolu-
zione; Luigi Pumpo – Poeta della vita e della natu-
ra; Domenico Defelice e le sue opere etico-sociali; Pantaleo Mastrodonato nella vita e nell’arte. Profi-
lo critico di scrittore e poeta; eccetera, dei quali si
sono interessati numerosi critici. Nel 1988, il Cen-tro di Studi e Ricerche “Mario Pannunzio” gli ha
conferito il Premio Speciale del Presidente della
Repubblica per la letteratura e il 2 giugno del 1989 gli è stata conferita l’ onorificenza di Ufficiale dell’
Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”.
** AA. VV. - Presentazione dello Scrittore Antonio
Angelone Chiostro del Comune di Forlì del San-
nio 2 Agosto 2013 - All’interno, fotografie in bian-co e nero - EdiAccademia, 2013 - Pagg. 44, s. i. p.
**
ALDO DE GIOIA - ANNA AITA - La lunga not-
te. Le quattro giornate di Napoli - Rogiosi edito-
re, 2012 - Pagg. 80, € 12,50. **
ALDO DE GIOIA - Sogni lontani - Poesie -
RCEMultimedia Communication Company, 2013 - Pagg. 124, € 12,00. Aldo DE GIOIA, storico di
Napoli, poeta, giornalista. Ha scritto su importanti
quotidiani italiani: “La Repubblica”, “L’Avanti”, “Napoli Notte” e “Libero” quando la prima reda-
zione era diretta da Aldo Bovio. Ha collaborato con
giornalisti di vaglia come Arturo Fratta, Max Vairo, Mimì De Simone e Pietro Gargano. Ha fatto parte
della Commissione Toponomastica del Comune di
Napoli, ha dettato lapidi commemorative e varie. Per motivi storici è stato nominato cittadino onora-
rio di Atella (NA), Benemerito dell’Università de-
gli Studi di Salerno, Grande Ufficiale della Repub-blica Italiana.
**
ANNA AITA - Aldo De Gioia. Quando la storia
diventa poesia - In copertina, a colori, ritratto di
Aldo De Gioia; all’interno, a colori e in bianco e
nero, 98 foto, più numerosi documenti - RCEMul-timedia Communication Company, 2013 - Pagg.
158, € 18,00. Anna AITA è nata e vissuta in un
ambiente di musica e poesia. Suo padre era piani-sta, lo zio paterno tenore del S. Carlo, mentre al
nonno materno, Antonio Cinque, poeta, fondatore e
direttore de “La piccola Fonte” (primo cenacolo let-terario), è stata intestata una strada a Napoli. Aita
ha pubblicato: “Riflessi dell’anima” (poesie), “Sul
filo della memoria” (narrativa), “Soltanto una ca-rezza” (poesie), “Trasparenze” (quaderno di poesie
ottenuto in premio con votazione nazionale), “Il co-
raggio dell’amore” (romanzo verità), “In tre andan-
do verso” (poesie), “Così la vita” (poesie), “Sintesi
e commento di alcune opere di Carmine Manzi” (monografia), “Don Giustino tra storia e poesia”
(biografia), “La lettera smarrita, La lunga notte”,
“Domenico Defelice. Un poeta aperto al mondo e all’amore” (monografia).
TRA LE RIVISTE IL CENTRO STORICO - Organo dell’ Associa-
zione Progetto Mistretta, Presidente Nino Testa-
grossa, responsabile Massimiliano Cannata - via
Libertà 185 - 98073 Mistretta (ME) - Riceviamo il
n. 8 - 9 (agosto-settembre 2013) e rileviamo gli in-terventi di Massimiliano Cannata (“Cocchiara e l’
Inghilterra: mondi ed esperienze a confronto”),
Francesco Saverio Modica (“La chiesa di Santa Caterina”), Aldo Antonio Cobianchi (“Bianca di
Villamena, di Francesco Rampolla Del Tindaro”),
Lucio Bartolotta (“Pirandello e Sciascia: la “sicili-tudine” “).
*
IL FOGLIO VOLANTE/LA FLUGFOLIO - men-sile di cultura varia, direttore Amerigo Iannacone,
responsabile Domenico Longo - via Annunziata
Lunga 29 - 86079 Venafro (IS) - Sul n. 10 (ottobre 2013), poesie di Loretta Bonucci.
*
SOLOFRA OGGI - Dr. responsabile Angelo Pica-
riello - via Casapapa 1 - 83029 Solofra (AV) - Ri-
ceviamo il n. 8 - 9 (agosto-settembre 2013).
LETTERE
IN DIREZIONE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice)
Carissimo,
mi hai permesso su Lionello Fiumi uno spa-
zio importante nel numero di Ottobre della
tua 'bella creatura' Pomezia Notizie, ora più
che mai splendente nei suoi primi quarant'a-
nni ed oggi, Domenica 13 Ottobre, mi lascio
sbalzare a Roverchiara dalla 'Peugeot' del mio
Amico Gianluigi, di colore verde metallizza-
to: con lui alla guida mi sento sicura e talora
volgiamo lo sguardo su queste terre lungo il
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.58
corso dell'Adige, carta stradale alla mano,
perché non si sa dove sia. Si pensa, si riflette,
le parole non bastano a segnalare il nostro
stato d'animo perché tanto, troppo rimane so-
lo nel pensiero, per pudore e per rabbia in-
sieme, perché gli italiani non sono solo 'brava
gente', ma hanno anche, prima di tutto una
dignità, che va rispettata. Anche lui, il prof.
Gianluigi Bellin, docente all'Università di Ve-
rona nei Corsi di Logica, Matematica e Filo-
sofia della Scienza, ha trovato spazio nella
tua Rivista, per temi che riguardano la Giusti-
zia e con una 'Lettera Aperta', concentrata sul
problema dei ricercatori universitari e non so-
lo: ama la Poesia, quella d'Italia e d'ogni do-
ve, è musicista e Monteverdi lo prende den-
tro, con i suoi madrigali. 'Tu sei Poeta clande-
stino', gli dico spesso io, usando un'espressio-
ne che Giulio Caprin ha utilizzato per desi-
gnare se stesso all'amico Fiumi e che lo scrit-
tore Gianfranco Casaglia ha così bene evi-
denziato nell'opera 'La scoperta di un Poeta -
Il poeta clandestino scrive al poeta giu-
stamente palese - Lettere di Giulio Caprin a
Lionello Fiumi presenti nel Centro Studi Inter nazionale 'Lionello Fiumi' Biblioteca Civica
di Verona' che ti farò mandare, un'intensa cor-
rispondenza fra i due, ma mancano le lettere
di Fiumi al Caprin e il dott. Contò ne ha cura-
to la Prefazione.
Qui, nel piccolo Comune di Roverchiara, nel-
la casa dei nonni paterni, il Fiumi veniva a
passare le vacanze, dopo essere stato a Parigi
ed altrove e qui, proprio oggi si svolge la ce-
rimonia della premiazione dei vincitori del
PREMIO LIONELLO FIUMI POESIA E
TRADUZIONE. Arriviamo in ritardo, tutti
sono già seduti e la sala del Municipio è gre-
mita, alle pareti foto che non ho potuto guar-
dare. Il Sindaco Loreta Isolani è Presidente
Onorario e siede al centro, alla sinistra del
dott. Contò, che è il responsabile del Centro
Studi di Verona e Presidente del Premio, poi
Cinzia Bigliosi, traduttore, Enzo Saggioro,
critico letterario, e poi l'Assessore alla Cultu-
ra della Provincia di Verona e Stefania Guer-
rini, responsabile della Biblioteca
'Lionello Fiumi' di Roverchiara, Se-
gretaria del Premio e sua anima pul-
sante, perché carica di entusiasmo e di
intelligenti emozioni.
La presentazioni dei premiati viene
intercalata da esecuzioni musicali per
pianoforte e violino, brevi ma intense,
partendo da Vivaldi, attraversando
Dvorak per arrivare a Massenet. Ti
manderò tutto il materiale pubblicato
su Fiumi ed il Premio, perché ne ho
fatto precisa richiesta proprio alla si-
gnora Stefania che, slanciata ed ele-
gantissima in una mise Chanel, ha ri-
cordato commossa il suo contatto te-
lefonico con Alberto Bevilacqua,
quando lo ha avvertito, poco prima
che morisse, che aveva vinto il Pre-
mio: con questo intervento lei lo ha
voluto 'rassicurare', si, perché verrà ri-
cordato ed il suo mondo d'anima vivrà
ancora. Anche in questi tempi di 'resa
dei conti pubblici' strettissima ed as-
sillante, il Sindaco Isolani ha fatto in
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modo tale da trovare i fondi per la XIII Edi-
zione del Premio, perché nulla viene chiesto
ai partecipanti, che sono stati moltissimi,
suddivisi nelle tre sezioni, le poesie in raccol-
ta edita, premio vinto da Giovanni Trimeri, le
poesie in raccolta inedita, vinto da Ivan Fede-
li ed il Premio 'Martha Leroux' per un'opera
edita in versi o in prosa tradotta dalla lingua
francese, vinto da Francesco Bergamasco. Si,
caro Direttore, perché Martha era la prima
moglie parigina del poeta ed è morta prema-
turamente: ne abbiamo visto la dolce bellezza
quando il dott. Contò, a conclusione dell'in-
contro ed alla presenza del nipote del Fiumi,
Giovanni Fiumi, ha mostrato una selezione di
immagini che loro due hanno scelto, tra esse
un 'interno' familiare raffinato e tristissimo ad
un tempo perché coglie Martha e Lionello,
con alle spalle il padre di lui, Giovanni ed in
primo piano un bambolotto di celluloide, di
quelli grassocci e nudini di una volta... Mi ha
preso un nodo alla gola!
Puoi immaginare il mio imbarazzo quando,
poco prima dell'inizio della premiazione e
della lettura delle poesie degli Autori selezio-
nati, lui, il dott. Contò, mi ha citata pubbli-
camente come colei che sta portando avanti
uno studio sull'amicizia tra Fiumi e Carême
ed io ti ho pensato subito perché è solo grazie
a te che ho potuto pubblicare le prime impor-
tanti tappe di questo percorso coinvolgente
che mi ha colto da anni in ricerche, viaggi e
lavoro: sei stato tu darmi il coraggio, costan-
temente scandito mese dopo mese dalle pub-
blicazioni su questi temi, utilizzando materia-
le del Fondo Fiumi di Verona, e segnalato con
emozione forte nelle 'Lettere' a te, perché si
sappia che un'opera è esperienza di vita e non
solo di studio; perché si vibri ancora di fronte
al fenomeno estetico della Poesia; perché si
capisca che un legame profondo scaturisce tra
due Amici ed è la Poesia stessa che li unisce e
ne alimenta la linfa vitale. Tu, Poeta illumina-
to e in palpito, tu che guidi da ventitré anni,
si, da ben ventitré anni, il PREMIO CITTA'
DI POMEZIA, tu sai che la Poesia non è solo
'dono' di rime e ritmi ma è esperienza e vita e
abbandono e risorgiva ad un tempo... Quando
ho mostrato la tua Rivista al prof. Francesco
De Piscopo, docente di Letteratura Italiana
all'Università di Napoli Federico II, mi ha
detto che ti stima tantissimo e sa cosa vuol di-
re coordinare lavori ed autori in tempi così
difficili!
Ma torniamo a noi. La cerimonia si è poi
conclusa e tutti si sono spostati nella villa del
Fiumi, posta di fronte al Municipio di Rover-
chiara e da lui donata al Comune, per un
buffet all'aperto, tra vini delle terre veronesi,
vivande in piccoli piatti ed un risotto alla sal-
siccia che ci ha lasciato sapore antico in boc-
ca, sacro. Torneremo qui ancora, per tutti i
dettagli fotografici sulla vita del Poeta, ma in-
tanto ti abbraccio, riconoscente.
Ilia
Ilia Carissima,
Roverchiara (somiglia tanto alla mia “Quer-
cia” in Alberi?: “Sulla collina/ solitaria/le
braccia ampie stendeva/in un canto altissimo
di foglie,/turbinio di specchi solari”) è ancora
- a quel che sembra - una speciale isola feli-
ce, se Sindaco - e non poteva che chiamarsi
Isolani! -, assessori di provincia, studiosi, cri-
tici letterari e d’Arte, innamorati della Bel-
lezza, collaborano in armonia e portano a-
vanti il Premio intestato a Lionello Fiumi.
Pomezia è, invece, mare comune della corru-
zione e dell’intrallazzo. Città sorta dal nulla
nel 1938 ad opera del Fascismo, è divenuta
improvvisamente, negli anni 1960 - 1970 at-
traverso la Cassa per il Mezzogiorno, il polo
più industrializzato del Lazio (solo da Roma,
giungevano a prestare la loro attività, ogni
giorno, 25 mila pendolari). Aggredita e poi
divorata a brani da politici e impresari diso-
nesti e d’assalto, oggi (e conta circa 70 mila
abitanti), Pomezia è ridotta a un agglomerato
di case sorte alla rinfusa in cui vive - si fa
per dire! -, accanto a un gruppo assai consi-
stente di facoltosi che meriterebbe di godere
della sorveglianza costante della Guardia di
Finanza - gente disperata per mancanza di
lavoro. Pomezia, deserto desolato in fatto di
cultura: la sua biblioteca non è in grado di
conservare e di valorizzare neppure quello
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che ha richiesto e che i cittadini le hanno do-
nato; il suo teatro è solo una fabbrica man-
giasoldi, da decenni in costruzione. Pomezia,
dalle migliaia di capannoni vuoti, soffocati
dalle erbacce e dalle spine. Pomezia,il cuore
mio lacerato per i tanti giovani e i tanti vec-
chi a rovistare nei cassonetti anche in pieno
mezzogiorno.
Il Comune è gravato da più di 150 milioni di
euro di debiti e il Premio Internazionale Città
di Pomezia, da me fondato e diretto, grava
totalmente sulle mie misere spalle. Vivendo
con una pensione da mille euro, non posso
permettermi lussi; viaggio solo con la fanta-
sia e ho dovuto ridurre il Premio al solo edi-
toriale, abolendo, cioè, la bella cerimonia di
premiazione che, negli anni passati, riuniva
migliaia di persone dall’Italia e dall’estero.
Dico migliaia, perché la cerimonia si svolge-
va in due tempi, intervallati da avvenimenti
come, per esempio, la sfilata degli abiti da
sposa o dei gruppi folcloristici nazionali, che
richiamavano autentiche folle. Un Premio
conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo
(tra i vincitori stranieri si ricordano, Solange
De Bressieux, della Sorbona di Parigi e Ora-
zio Tanelli della Rutgers University, N. J.,
USA), riportato anche nel volume Premiopoli
di Cinzia Tani, edito dalla Mondadori. Opera
legata al Premio era pure l’Antologia Pome-
tina (tre volumi: 1985, 1986, 1987), della
quale il 21 settembre 1989 è stato omaggiato
anche SS. Giovanni Paolo II.
Allora, un applauso futurista-lirico* e meri-
tatissimo al Sindaco Loreta Isolani, al dott.
Agostino Contò, a Cinzia Bigliosi, Enzo Sag-
gioro, Stefania Guerrini. E un grazie anche a
te, dal cuore, perché, amando svisceratamen-
te la Cultura, corri da un capo all’altro
l’Italia, vai all’estero e leghi d’amicizia e di
fattiva partecipazione studiosi di vaglia. Dar-
ti spazio sulle pagine della mia creatura di
carta è, dunque, non soltanto un dovere, ma
un vero godimento dell’anima.
Stimo anch’io il prof. De Piscopo e gradita
mi sarebbe la sua collaborazione.
Un fraterno e caloroso abbraccio.
Domenico
*Non credere - cara Ilia - al Fiumi quando si dichiara
antifuturista: certi suoi versi e immagini, se proprio
non lo sono, del Futurismo hanno ...odori e sapori!
AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-
dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione) composti con
sistemi DOS o Windows su CD, indicando il si-
stema, il programma ed il nome del file. E’ ne-
cessaria anche una copia cartacea del testo.
Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per
cartella si intende un foglio battuto a macchina
da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale
di 1.800 battute. Per ogni materiale così pubbli-
cato è necessario un contributo volontario). Per
quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-
zione. I testi inviati come sopra AVRANNO LA
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