La
metacognizione
e la motivazione Dr.ssa M.Luisa Boninelli
Centro Studi Erickson
Mantova, 7 Gennaio 2013
Metacognizione
Il termine “metacognizione” può essere definito come l’insieme delle attività psichiche che sovrintendono il funzionamento cognitivo.
Per metacognizione si intendono tutte quelle idee, intuizioni etc. che riguardano una determinata area di funzionamento cognitivo e che possono essere considerate anche indipendenti dall’effettiva attività cognitiva.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
Tre Livelli di metacognizione Si possono distinguere almeno tre livelli di
metacognizione (Cornoldi et al., 2001):
1. Atteggiamento metacognitivo generale: sfera emotiva, tendenza a riflettere sul funzionamento mentale o sull’uso appropriato di strategie etc.;
2. Conoscenze metacognitive specifiche: conoscenze specifiche legate ad una particolare attività cognitiva (ad es. la memoria) o all’apprendimento (dallo studio alla comprensione del testo).
3. Processi metacognitivi di controllo: operazioni con cui l’individuo effettivamente sovrintende alle esecuzioni dei propri processi cognitivi.
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Metacognizione
- Compito
Prestazione
Processi di
controllo
Conoscenze specifiche di strategie
• Ripetizione
• Organizzazione
• Elaborazione verbale
• Abilità di riassumere
Strategie
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Le strategie scegliere le strategia più idonea al tipo di compito
orientarla agli scopi
sostituirla se inadeguata
Se’ Compito Strategie
Pianificazione Controllo Verifica
IL MODELLO TRICOMPONENZIALE Flavell (1981)
CONOSCENZE METACOGNITIVE
ESPERIENZE METACOGNITIVE
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Le conoscenze Metacognitive
sono rivolte a se stessi, al compito e alle strategie per risolverlo. In particolare, le conoscenze che riguardano se stessi possono essere:
Intra-individuali, ossia ognuno conosce l’ambito in cui può riuscire meglio;
interindividuali, ossia una persona sa di essere migliore delle altre nell’esecuzione di un compito;
universali, ossia sapere che per svolgere un certo tipo di compito sono necessarie determinate attività che consentano e rafforzino l’esecuzione.
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Modello Metacognitivo
Uno dei modelli metacognitivi più recenti e importanti è quello di Borkowski e Muthukrishna (1994), che considera la metacognizione come un sistema complesso e multicomponenziale, in cui le componenti principali sono:
cognitiva
metacognitiva-strategica
motivazionale-attributiva
emotiva
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Analisi del Modello Metacognitivo
dal rigo centrale partano tutta una serie di conseguenze (rappresentate dalle frecce) che non solo riguardano l’ambito dell’apprendimento, ma che toccano anche la sfera del Sé e degli stati emotivi personali e motivazionali. Il rigo principale indica la situazione-tipo di uno studente che deve affrontare un compito:
compito —> viene affrontato attraverso l’uso di alcune strategie —> questo dà come effetto una prestazione, che può essere più o meno positiva —> quindi lo studente riceve un feedback dal contesto (solitamente l’insegnante).
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Analisi del Modello Metacognitivo
All’inizio della scuola secondaria di secondo grado l’alunno ha un bagaglio piuttosto limitato di strategie che conosce per affrontare un compito. Di solito queste strategie sono state apprese a partire dalla spiegazione di uno studente più grande o dall’insegnante.
E’ solo attraverso l’esperienza, le informazioni di ritorno (feedback) dell’insegnante e dai risultati, che l’alunno impara a verificare l’efficacia di ogni strategia in base al tipo di compito e al tipo di stile cognitivo che lui stesso possiede.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
Analisi del Modello Metacognitivo
Attraverso l’esperienza l’allievo, acquisisce
sempre nuove strategie e una maggiore
flessibilità nel loro utilizzo. Tutto questo stimola
lo sviluppo di processi metacognitivi di
controllo grazie ai quali apprendere in
maniera efficiente, ottenendo un miglior
risultato senza uno spreco eccessivo di
energie.
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Analisi del Modelllo Borkowski
e Muthukrishna
I processi di controllo influenzano le
conoscenze specifiche sulle strategie e,
indirettamente, le conoscenze di tipo
specifico legate all’ambito
dell’apprendimento. Tutto ciò ha effetti
sui propri stati emotivi e sugli stati
motivazionali (motivazione intrinseca o
estrinseca nei confronti di un compito) e
sul senso di autoefficacia.
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Perché un approccio metacognitivo allo studio?
Una impostazione metacognitiva nello studio
può valorizzare la capacità di pensare (“learning
to think”), la capacità di apprendere (“learning
to learn”) e di sostenere la motivazione
all’apprendimento e la propria autorealizzazione
intellettuale.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
Perché un approccio metacognitivo allo studio? Un approccio metacognitivo allo studio non si limita ad
insegnare delle nozioni nuove o diverse ma vuole insegnare allo studente come fare ad imparare delle nuove nozioni o delle nuove conoscenze, in maniera più strategica e funzionale.
Come?
rendendo lo studente più sensibile ai propri problemi di studio
insegnandogli a padroneggiare varie strategie di studio
insegnandogli un atteggiamento positivo e motivato verso lo studio
rendendolo consapevole del proprio stile cognitivo.
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Lo scopo di un approccio
metacognitivo
Lo scopo di incoraggiare un atteggiamento
metacognitivo nello studente, quindi, è quello di
stimolare in lui un senso di maggior
consapevolezza delle proprie abilità e della loro
modificabilità, di conseguenza della possibilità di
migliorarle.
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Lo scopo di un approccio
metacognitivo
Un approccio metacognitivo nei confronti dello studio aiuta il ragazzo ad avere un atteggiamento più consapevole nei confronti delle proprie abilità e dei propri successi e insuccessi.
Il successo scolastico, infatti, non deve essere inteso solo in termini di risultato di apprendimento ma anche e soprattutto come soddisfazione per i percorsi fatti e le tappe raggiunte, seppure intermedie o parziali. Allo stesso modo l’insuccesso scolastico non deve essere inteso come un fallimento irreparabile, dovuto alla sorte avversa o alle proprie immodificabili scarse abilità.
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Scopo di un approccio
metacognitivo per lo sviluppo
di..
Un atteggiamento più consapevole
un processo intenzionale volto
all’apprendimento consapevole e motivato di
qualcosa che non si conosce.
Un atteggiamento metacognitivo inteso in questi
termini avrà certamente un’influenza positiva
sulla propria efficacia, percepita dallo studente
stesso.
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Uno studente metacognitivo è
uno studente strategico, cioè che sperimenta
l’utilizzo costante e consapevole di adeguate
strategie di apprendimento: ottenendo buoni
risultati scolastici.
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Uno studente metacognitivo
Affinché uno studente sia uno studente di successo sono necessarie molte componenti:
le abilità possedute,
le diverse conoscenze metacognitive,
le abilità di controllo, la conoscenza di strategie e il loro uso flessibile e
consapevole,
la consapevolezza metacognitiva dei processi mentali e la capacità di riferirli e controllarli.
Esiste però un’altra componente di fondamentale importanza: l’aspetto emotivo-motivazionale correlato all’apprendimento.
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Motivazione La parola motivazione deriva dal latino “motus” che
significa movimento, quindi motivazione vuol dire
spinta, movimento verso un qualcosa, verso un
obiettivo.
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Motivazione Una più completa definizione di motivazione
potrebbe essere la seguente: “una configurazione organizzata di esperienze soggettive che consente di spiegare l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento diretto a uno scopo” (De Beni et al., 2003, p. 217).
Se pensiamo alle attività scolastiche, la motivazione allo studio ci spiega perché uno studente studia più di altro, perché insiste dopo un fallimento, come studia e così via.
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Esempi di motivazione
intrinseca ed estrinseca
Esempi di motivazione intrinseca sono la
curiosità, l’interesse il desiderio di sentirsi
competente e realizzato in qualcosa.
Esempi di motivazione estrinseca invece
sono quei comportamenti spinti dal
desiderio di ricevere una ricompensa, una
lode, l’approvazione sociale etc.
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Dal tipo di motivazione che
spinge un ragazzo a studiare
e ad impegnarsi, dipendono
gli obiettivi che lo studente
stesso si pone.
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Obiettivi di prestazione e di padronanza
In primo luogo cerchiamo di definire il termine obiettivo di apprendimento. Con questo termini ci si riferisce alle mete che gli studenti si prefiggono di realizzare. Queste mete possono riguardare sia la quantità che la qualità dell’apprendimento: ad esempio il fatto di voler leggere un libro in un fine settimana è un obiettivo di apprendimento riferito alla quantità.
In riferimento alla qualità invece, ci sono diversi aspetti che possono entrare in gioco, come ad esempio il valore che si dà ad un compito, oppure la possibilità di mostrare o esibire le proprie conoscenze o competenze.
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Obiettivi di prestazione )Gli studenti che sono spinti da motivazione
estrinseca, e quindi hanno come obiettivo del loro studio quello di mostrare le proprie conoscenze e di ottenere l’approvazione sociale, si pongono un obiettivo di prestazione. In altre parole, si ha un obiettivo di prestazione quando lo scopo è quello di dimostrare le proprie conoscenze e capacità al fine di ottenere un giudizio positivo e di evitare quello negativo. L’esempio più comune è quello degli studenti che si impegnano solo per ottenere un buon voto, per ricevere un premio, per “far contenti” i genitori.
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Obiettivi di padronanza
Coloro invece che si pongono degli obiettivi di padronanza e quindi si impegnano per acquisire delle nuove competenze o delle nuove conoscenze.
Il lavoro di questi ragazzi è indipendente dal ricevere o meno una ricompensa o un giudizio sociale, ma è mosso da un interesse intrinseco.
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Obiettivi per Padronanza Infatti coloro che si pongono degli
obiettivi di padronanza non temono il fallimento, poiché la loro prestazione non ha alcuna conseguenza da un punto di vista sociale, quindi non temono il giudizio negativo.
Piuttosto un fallimento o un esito negativo può venire interpretato come un insuccesso dovuto ad uno scarso impegno o ad una difficoltà tecnica (ad es. una cattiva strategia di studio) che ha impedito di riuscire bene nel compito. Il fallimento può essere vissuto un insegnamento per il futuro.
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Obiettivi per prestazione Negli obiettivi di prestazione, invece, corrispondono una interpretazione dell’insuccesso come
un fallimento personale,
incapacità,
Uno studente con una motivazione estrinseca, e quindi con obiettivi di prestazione, teme il fallimento perché teme che questo implichi un giudizio negativo su di sé. Gli esiti negativi sono interpretati come una carenza di abilità, come la mancanza stabile di competenze per affrontare quella determinata situazione che ha avuto uno scarso risultato.
La paura del fallimento porta all’evitamento.
ABBANDONO
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Obiettivi e scelta delle difficoltà del compito
Dato che la motivazione è strettamente
legata anche all’immagine di sé di uno
studente, il tipo di motivazione e di
obiettivo di apprendimento avrà delle
conseguenze anche nei confronti
dell’atteggiamento generale verso lo
studio e anche verso la scelta dei compiti.
Obiettivi e scelta delle difficoltà del compito
Motivazione
estrinseca
Compiti
semplici Paura di
commettere errori
Nuovi
contenuti
Perdita di occasioni
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Obiettivo per padronanza Motivazione
intrinseca
Compiti
sfidanti
Non è sicuro
di riuscire
Mette alla
prova le
proprie
competenze
Ricerca
della sfida
ottimale
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MOTIVAZIONE
INTRINSECA
MOTIVAZINE
ESTRINSECA
Legata agli
obiettivi di
padronanza
Atteggiamento
positivo
Legata agli
obiettivi di
prestazione
Atteggiamento
Negativo
Motivazione intrinseca
La motivazione intrinseca ha origine
all’interno dell’individuo, come dice la
parola stessa, e questo fa sì che il
soggetto si impegni ad affrontare un
compito per se stesso, senza finalità
esterna, poiché il raggiungimento dello
scopo è di per sè una grande
ricompensa.
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Motivazione intrinseca
Secondo Berline (1971) la motivazione intrinseca origina da quella che lui definisce curiosità epistemica, ossia dal bisogno universale di conoscere e di apprendere, che si manifesta nell’ esplorazione dell’ambiente motivata dal solo desiderio di conoscere e di sapere. Se si pensa ad un ragazzomolto piccolo, verrà facilmente in mente la scena in cui egli scruta l’ambiente, i volti che gli stanno intorno, gli oggetti che vede per la prima volta. Questo comportamento di esplorazione è presente non solo nei neonati ma anche nel mondo animale e ha lo scopo non solo di conoscere, ma pure di padroneggiare e controllare l’ambiente circostante per sentirsi competente ed efficace. Questo bisogno è stato definito bisogno di competenza (effectance).
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Teoria della curiosità epistemica
La teoria della curiosità epistemica sottolinea inoltre l’importanza dell’ambiente e delle caratteristiche degli stimoli, come novità complessità, incongruenza, che favoriscono la curiosità. Se volessimo applicare questi concetti all’ambito scolastico dovremmo tener presente con attenzione anche le modalità con cui vengono presentati i materiali di studio, la tipologia dei testi e così via, per cercare di mantenere attivo un atteggiamento di curiosità epistemica.
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Teoria della curiosità epistemica
Le esperienze di successo e insuccesso, nei tentativi di padronanza, e la presenza/assenza del mondo degli adulti rivestono un ruolo molto importante.
Se uno studente viene sostenuto nei suoi primi tentativi di esplorazione e di padronanza, egli tenderà a sviluppare un sistema di auto ricompensa che renderà superflua l’approvazione esterna e agevolerà lo sviluppo della motivazione intrinseca e di obiettivi di padronanza.
Tutto ciò farà sentire il ragazzo competente e gli farà interiorizzare una percezione di controllo personale che a sua volta permetterà l’aumento della motivazione alla competenza.
Dr.ssa M. Luisa Boninelli
Teoria della curiosità epistemica
Lo studente che invece non viene incoraggiato o che viene disapprovato nei tentativi di padronanza, svilupperà un bisogno di approvazione esterna che lo porterà a sentirsi dipendente dall’approvazione dell’adulto: gli obiettivi di prestazione saranno caratterizzati dal desiderio di mostrare le proprie abilità e dal timore di fallire e mostrarsi incapace.
Tutto ciò farà sentire il ragazzomeno competente e più soggetto ad ansia, per paura di fallire. Lo studente tenderà ad evitare situazioni in cui teme il fallimento, situazioni che non ritiene alla sua portata e così via (Harter, 1978).
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Tuttavia si può verificare anche il contrario, ossia che un processo di motivazione intrinseca diventi estrinseca. Un causa possibile è la presenza, a volte eccessiva, di gratificazioni o lodi, quando queste non sono necessarie.
Gli studi di Lepper, Greene e Nisbett (1973) e di Lepper e Greene (1975), condotti su bambini, hanno dimostrato che l’introduzione di un premio può ridurre una pre-esistente motivazione intrinseca. Infatti ragazzi cui veniva promesso un premio per attività che già svolgevano spontaneamente, come ad esempio disegnare, successivamente si rifiutavano di affrontare quelle stesse attività qualora il premio non venisse più dato.
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Ruolo delle gratificazioni
le gratificazioni non hanno sempre la
funzione di incentivo: a volte rischiano di
produrre l’effetto opposto.
Questo non vuol dire comunque che non
bisogna più gratificare gli alunni , anche
perchè nella maggioranza dei casi le lodi
hanno degli effetti molto positivi e sono
molto apprezzate.
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Ruolo delle gratificazioni Una questione importante da porci è quindi quella di
cercare di capire le caratteristiche di una gratificazione che sia efficace e non controproducente.
Da alcune ricerche è emerso che una gratificazione efficace dovrebbe essere (O'Leary e O' Leary, 1977; Schloss e Smith, 1994):
1. specifica 2. credibile 3. espressa in maniera contingente all’esecuzione del
compito 4. relativa al comportamento e non alla persona
5. informativa, in modo da dare anche dei suggerimenti per un eventuale miglioramento.
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Ruolo delle gratificazioni
Ad esempio, quando diciamo “Bravo!” ad un
studente, stiamo dando una gratificazione
generica che premia più lo studente in sé
piuttosto che il comportamento positivo che
deve essere premiato. Non è raro infatti
vedere l’espressione stupita di uno studente
quando viene lodato in maniera impropria,
poiché non ne capisce il motivo.
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Ruolo delle gratificazioni
Una lode efficace invece deve essere specifica e contingente ad una situazione precisa appena accaduta, ad esempio: “Sei stato bravo!
Ti sei concentrato tanto e sei riuscito a risolvere l’espressione senza commettere errori!”.
In questo modo non solo si loda il comportamento specifico che si ritiene responsabile del successo, ma si dà implicitamente il suggerimento strategico secondo cui è necessario concentrarsi, porre molta attenzione per non sbagliare le espressioni.
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Ruolo delle gratificazioni
Sempre gli stessi autori, che hanno studiato quali sono le caratteristiche delle gratificazioni efficaci, danno indicazioni sul modo in cui utilizzare gli incentivi senza demotivare i ragazzi.
In particolare, suggeriscono di non stimolare la competizione, ma fare riferimento a standard esterni, premiare l’impegno, piuttosto che le abilità, offrire incentivi interessanti e rendere coinvolgenti i compiti proposti.
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Ruolo efficace delle lodi
LODI
CONTROLLANTI
LODI
INFORMATIVE
PER CONTROLLARE
IL
COMPORTAMENTO
DEL RAGAZZO
PER CONTROLLARE
IL
COMPORTAMENTO
DEL RAGAZZO
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Una distinzione simile è stata proposta anche dalla Dweck (2000), la quale ha individuato tre tipi di lode:
1. orientata al sé: la lode si focalizza sulle abilità possedute rispetto a quel dato tipo di compito (“Bravo!”, “Sei proprio intelligente!”)
2. orientata al risultato: la lode riguarda principalmente il risultato (“L’esercizio è stato svolto correttamente!”)
3. orientata alle strategie: la lode aspira al miglioramento rispetto a situazioni precedenti (“Hai applicato la regola corretta!” “Si vede che questa volta ti sei impegnato!”).
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Analizziamo il tipo di lode: (“Bravo!”,
“Sei proprio intelligente!”)
Come si potrà intuire, il primo tipo di lode
tende a demotivare, poiché esprime un
giudizio sulle abilità, competenze e
conoscenze possedute dall’individuo, e
non sulle capacità, che possono essere
migliorate. E’ come se si volesse dire: “Sei
bravo, quindi è inutile che ti impegni
tanto, perché tanto riesci lo stesso,
perché sei bravo”.
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Analizziamo il tipo di lode: (“L’esercizio
è stato svolto correttamente!”)
Il secondo tipo, invece, è alquanto neutro
perché non considera né le abilità,
eventualmente possedute, né l’impegno
esercitato.
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Analizziamo il tipo di lode:
(“Hai applicato la regola corretta!” “Si vede
che questa volta ti sei impegnato!”).
Il terzo tipo invece è quello più efficace, poiché
è motivante. In questo tipo di gratificazione si fa
un apprezzamento di quanto fatto, dello sforzo,
dell’impegno che il ragazzoha messo nello
svolgere l’attività. In questo modo si sostiene il
desiderio di fare ancora di più in futuro, e di
ricercare nuove strategie e compiti più difficili e
nuovi in cui cimentarsi.
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Riassumendo… Queste distinzioni fra lodi di diverso tipo proposte da Stipek
(1996) e Dweck (2000) mettono in luce come il processo motivazionale non sia relazionato con il tipo di lode in sè, ma dall’interpretazione che un individuo può darne. Il modo in cui una persona interpreta un evento, in particolare una gratificazione, dipende a sua volta da altre variabili quali le proprie credenze, la propria immagine di sè, gli obiettivi, il proprio stile attributivo, insomma tutta quella serie di elementi emotivi motivazionali che si solito si usano per interpretare gli eventi. (Pazzaglia, Moè, Friso, Rizzato, 2002 “Empowerment cognitivo e prevenzione dell’insuccesso, p. 43).
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Teoria dell’autodeterminazione
Non sempre la motivazione è legata ad una gratificazione esterna. É un’esperienza comune quella di provare soddisfazione quando abbiamo la possibilità di scegliere di realizzare qualcosa in assoluta liberà, senza alcun vincolo, ad esempio poter comprare qualcosa, fare una corsa o situazioni simili. Questo senso di soddisfazione è dato dalla possibilità di poter scegliere personalmente le attività da svolgere. Deci e Ryan (1985) hanno studiato questo tipo di motivazione e hanno proposto la teoria dell’autodeterminazione. L
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Teoria dell’autodeterminazione
L’autodeterminazione consiste nella libera scelta, svincolata da bisogni o forze esterne, di condurre un’azione.
Il prototipo di un comportamento autodeterminato è l’azione intrinsecamente motivata che implica curiosità, spontaneità, interesse.
In pratica, l’impegno per l’attività scelta, nel caso del comportamento autodeterminato, è assolutamente svincolato da incentivi esterni, da obiettivi o esiti, ma dipende dal desiderio di svolgere quella particolare attività per le caratteristiche proprie che la caratterizzano.
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Teoria dell’autodeterminazione
Se un individuo vive una situazione come libera scelta, mantiene o accresce la motivazione per quella attività, se invece questa viene percepita come imposta dall’esterno la persona si sentirà meno motivata. Alla base di un comportamento autodeterminato vi è quindi il bisogno di sentirsi artefice delle proprie azioni e di scegliere liberamente il tipo di compito da svolgere e le modalità in cui svolgerlo.
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Vogliamo mantenere vivo il piacere della lettura neglii studenti dobbiamo cercare di trasmettere questo piacere, senza far loro percepire la lettura come un obbligo, un compito scolastico al quale sono costretti.
Quindi è importante lasciare che lo studente sia libero di scegliere il libro che lo interessa di più, in base ai criteri che ritiene più opportuni, come il titolo, l’argomento, o addirittura la copertina.
Approvare le scelte dello studente e stimolarlo ad avere un comportamento attivo e di ricerca nei confronti del libro è sicuramente un atteggiamento appropriato e incoraggiante.
Infine, proporre continuamente verifiche scritte, riassunti, commenti, analisti del testo, rischia di appesantire il processo spontaneo di lettura di un libro e di avvicinarlo ad un “qualsiasi” compito scolastico.
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Sempre secondo Deci e Ryan (1985), per essere
autodeterminati bisogna soddisfare tre tipi di bisogni
psicologici innati:
il senso di competenza, ossia la percezione di controllo e di capacità di azione sull’ambiente;
l’autonomia, cioè la possibilità di scegliere tra diverse attività e la possibilità di scegliere anche la modalità di svolgerla;
la relazione, che si riferisce al bisogno innato di mantenere relazioni sociali.
l’autodeterminazione si riferisce non solo all’avere la possibilità di fare ciò che si desidera, ma anche al sentirsi competenti e accettati per le scelte compiute.
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UN CASO COMUNE……un apprendista fuori legge
Consideriamo il seguente caso.
Roberto è un studente di prima superiore con una famiglia di condizione socioculturale media, ma senza particolari problemi. Il ragazzo ha sempre incontrato grosse difficoltà scolastiche. Nell’apprendimento della lettura ha sempre palesato notevoli incertezze, per cui i suoi attuali livelli di abilità di lettura sono simili a quelli di un ragazzodi prima media. Ma questi problemi sono
comparativamente ‘leggeri’ rispetto a quelli che incontra in quasi tutte le altre aree scolastiche. In matematica commette continuamente errori gravi, anche in compiti di grande semplicità. Sembra incapace di costruire un ragionamento lineare che gli consenta di risolvere un problema o di costruire un discorso, soprattutto se scritto. Quando è interrogato sui contenuti proposti al suo studio è capace solo di fornire risposte vaghe e poco coordinate.
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I miseri esiti scolastici del ragazzo, già palesati a conclusione del percorso della scuola secondaria di primo grado
e dimostratisi progressivamente sempre più preoccupanti, hanno portato alla richiesta dell’insegnante di
sostegno e alla ricerca di un aiuto presso dei servizi sociosanitari.
L’assegnazione dell’insegnante di sostegno ha costituito un implicito riconoscimento della
condizione di “handicap” di Roberto.
Ma è vero che Roberto è un alunno con disabilità ?
La prima impressione che Roberto offre e’ quella di un ragazzo simpatico, sorridente,
con uno sguardo vivace, che però perde facilmente il filo dei ragionamenti e incontra
difficoltà a organizzarsi.
Questa impressione non corrisponde a quella offerta tipicamente da ragazzi con disturbo
della personalità o con ritardo mentale, mentre offre eventualmente qualche indicatore
associato al disturbo d’attenzione (che però non appare a tal punto presente da
giustificare una diagnosi in questo senso).
Si procede ad un esame clinico che non evidenzia alcun indicatore neurologico particolare
e che, soprattutto, mette in luce un livello intellettivo generale ‘normale’ (il QI ottenuto
da Roberto, di 90, è vicino al QI medio di 100 e ben lontano dal QI di 70 che dovrebbe
costituire il criterio sotto il quale è consentita una diagnosi di ritardo mentale).
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
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Quando viene discusso il caso di Roberto fra gli operatori interessati, vi e’ una certa sorpresa nel conoscere il QI che egli ha ottenuto. Ci si domanda come Robert possa ottenere delle prestazioni scolastiche così basse, pur avendo delle potenzialità intellettive discrete. Si nota inoltre che la diagnosi conseguente per Roberto (quella di ‘disturbo
specifico di apprendimento’) viene spesso associata al caso di ragazzi intelligenti e con difficoltà scolastiche, ove tuttavia queste difficoltà riguardano solo specifiche aree di apprendimento (per esempio lettura, calcolo, ecc.) e non si generalizzano – come nel caso in questione - a tutte o quasi le aree scolastiche. Viene spiegato agli operatori che quest’ultima concezione nasce dal fatto che i disturbi altamente specifici sono quelli che più colpiscono l’attenzione e sono
occasione di più frequente citazione, ma non corrispondono affatto alla maggioranza dei disturbi specifici di apprendimento. Infatti, un disturbo può essere specifico perché altamente selettivo, ma anche perché non interessa le funzioni intellettive di base. In seguito al riesame del caso, gli operatori sono costretti a modificare il loro atteggiamento e gli stessi obiettivi educativi.
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