S tu d i e ricerche
Istituzioni e ordine pubblico nell’Italia giolittianaLe forze di polizia in provincia di Bologna
di Jonathan Dunnage
Il presente saggio prende in esame i rapporti tra le forze di polizia di Giolitti e il movimento operaio socialista, sulla base di uno studio campione della provincia di Bologna. Particolare attenzione viene prestata allo sviluppo dei sindacati contadini socialisti e al ruolo delle forze di polizia nei conflitti agrari che contraddistinsero il periodo 1901- 1914 nelle campagne bolognesi1. Vi si mette
in discussione il fatto che Giolitti sia riuscito a liquidare il tradizionale sistema, in auge negli anni novanta, del ricorso all’esercito e alle leggi eccezionali per la tutela dell’ordine pubblico, come appunto testimoniato dai frequenti ma perlopiù falliti scioperi bracciantili della provincia di Bologna2. Vi si esamina fino a che punto il nuovo ministro dell’Interno (nominato il 15 febbraio 1901) e
1 Per una ricostruzione dettagliata dello sviluppo del movimento socialista bolognese dalla fine dell’Ottocento al periodo fascista, si vedano: Antony Cardoza, Agrarian Elites and Italian Fascism: the Province o f Bologna, 1901- 1926, Princeton, 1982; Franco Cavazza, Le agitazioni agrarie in provincia di Bologna dal 1910 al 1920, Bologna, 1940; Pier Paolo D’Attorre, Gli agrari bolognesi dal liberalismo al fascismo, in Bologna 1920. Le origini del fascismo, a cura di Luciano Casali, Bologna, Cappelli, 1982, pp. 115-167; Brunella Dalla Casa, Composizione di classe, rivendicazione e professionalità nelle lotte del "biennio rosso” a Bologna, ivi, pp. 179-201; Tra fascismo e reazione, in II sindacato nel Bolognese: le Camere del lavoro di Bologna dal 1895 al 1960, a cura del Centro di documentazione archivio storico della Camera del lavoro territoriale di Bologna, Roma, 1988; Angela De Benedictis, Note su classe operaia e socialismo nel primo dopoguerra, in Movimento operaio e fascismo nell’Emilia Romagna, 1919- 1923, a cura di Luciano Casali, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 69-134; Nazario Sauro Onofri, La strage di palazzo D'Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese 1919-1920, Milano, Feltrinelli, 1980; Luigi Preti, Le lotte agrarie nella valle padana, Torino, Einaudi, 1955; Luisa Scagliarini, Proprietari e contadini a San Giovanni in Persicelo, 1919-1924, in Movimento operaio, cit., pp. 135-174.2 Carte di polizia e articoli di stampa attestano che le truppe inviate a Molinella durante gli scioperi bracciantili del 1898 non solo protessero i lavoratori non sindacalizzati dalle possibili violenze delle leghe, ma anche intimidirono gli scioperanti con arresti in massa (un’interpretazione estensiva degli articoli 165 e 166 del Codice penale che permetteva le interruzioni del lavoro purché non accompagnate da minacce di violenza). Gli scioperi vennero soffocati a seguito della chiusura d’imperio delle sedi sindacali e delle cooperative socialiste ordinata dalle autorità prefettizie, che fecero anche arrestare i capilega e confiscare la stampa fiancheggiatrice. A tale scopo furono invocati diversi articoli del Codice penale del 1889 originariamente destinati a perseguire il movimento anarchico (istigazione a delinquere, art. 246; apologia di reato, incitamento alla disobbedienza e all’odio di classe, art. 247; associazione a delinquere, art. 248; associazione diretta a commettere apologia di reato, art. 251 e così via), come pure l’art. 3 della Legge comunale e provinciale del 1859 che autorizzava il prefetto a sciogliere le associazioni ritenute pericolose per l’ordine pubblico. La dichiarazione della legge marziale nel maggio 1898, a causa dello stato di effervescenza del paese, fu ben presto seguita dal decreto del 22 giugno del generale Pelloux che disponeva lo scioglimento di tutte le associazioni “sovversive” e questo segnò la disfatta dello sciopero bracciantile di Molinella. Si veda Archivio di stato di Bologna, Gabinetto Prefettura (ASB.GP), Cat. 7 e 6, nonché parecchi numeri dell’ “Avanti!” , “Il resto del Carlino” e “La gazzetta dell’Emilia” .
Kalia contemporanea”, dicembre 1989, n. 177
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più tardi primo ministro (3 novembre 1903) abbia cambiato la mentalità repressiva del poliziotto, evitando l’impiego della forza militare, e soprattutto dell’esercito, nelle operazioni di polizia, con l’intento di ridurre il numero delle vittime nel corso di scioperi e dimostrazioni, così come auspicato dai parlamentari socialisti. La questione rimanda direttamente a un complesso di problemi interni all’organizzazione e all’amministrazione del sistema di polizia italiano (organici insufficienti, strutture gerarchiche complicate, rivalità tra i diversi corpi, inefficienza operativa, metodi di prevenzione arcaici, ecc.), problemi già ben presenti all’epoca in cui Giolitti andò al potere3. Questo saggio intende pertanto esaminare in che misura il ministro competente abbia cercato di risolvere tali problemi interni, che naturalmente influivano sulla maniera in cui le forze dell’ordine fronteggiavano gli scioperi e le dimostrazioni.
Uno dei nodi principali dello studio della politica giolittiana dell’ordine pubblico sta nella carenza di norme istituzionali a fondamento degli indirizzi perseguiti dallo statista di Dronero. Secondo Fiorenza Fiorentino la spiegazione andrebbe ricercata nei profondi divari socio-politici intercorrenti tra le regioni italiane, per non dire tra le singole province, divari tali da rendere impraticabile una linea strategica uniforme. Giolitti doveva trattare ciascuna delle sessantanove prefetture come un caso a sé stante4. Un esame attento della linea da lui inizialmente adottata verso gli scioperi dei braccianti bolognesi, esame imperniato sul comune di Molinella ai confini nordorientali della provincia (cuore del locale movimento sindacale), induce a ri
tenere che, senza modificare le norme legislative sugli scioperi e le associazioni politiche, egli fondasse la sua strategia su di una interpretazione più elastica della legislazione servita in precedenza per soffocare l’azione sindacale. Anche laddove giunse a fronteggiare i metodi di lotta socialista più avanzati (boicottaggio, sciopero generale, ecc.) ritoccando tali norme, i documenti ci mostrano come la lentezza dei procedimenti legislativi costringesse i prefetti e i commissari di polizia a usare il più delle volte i propri poteri discrezionali.
È fuor di dubbio che nei suoi anni di governo Giolitti varò diversi provvedimenti legislativi miranti a incrementare il numero dei carabinieri e delle guardie di città (a riprova del suo tentativo di porre fine al tradizionale ricorso all’esercito per la tutela dell’ordine pubblico), nonché a migliorare le condizioni di lavoro e la qualità del personale di polizia. Come si dimostrerà al termine di questo saggio, tuttavia, la consistenza numerica delle forze dell’ordine sotto Giolitti rimase sempre insufficiente, vuoi per difetto di finanziamenti adeguati vuoi per la mancata copertura dei posti fissati per legge, e la vita del poliziotto continuò a trascinarsi nella desolazione come per il passato. Il che induce a dubitare della serietà dell’impegno di Giolitti nell’affrontare la crisi delle forze dell’ordine.
Un esame degli archivi di polizia per il periodo considerato rivela che almeno inizialmente il ministro dell’Interno cercò di modificare l’atteggiamento delle autorità di polizia verso l’arma socialista dello sciopero. Egli raccomandava infatti ai prefetti di distinguere tra scioperi politici e scioperi eco-
3 Per i problemi interni delle forze dell’ordine alla fine dell’Ottocento si vedano i seguenti articoli comparsi sulla “Nuova antologia” : Un ex-ministro dell’Interno, La polizia e la sua unificazione, vol. CIX, 1890, pp. 733-744; G. Codronchi, Sul riordinamento della Pubblica sicurezza in Italia, vol. CXLIII, 1895, pp. 215-222; G. Alongi, Polizia e criminalità in Italia, vol. CLI, 1897, pp. 118-137; Id., L ’organizzazione della polizia in Italia, vol. CLIII, 1897, pp. 249-268; G. Sensales, L ’anagrafe di polizia, vol. CLXXVII, 1901, pp. 218-249.
Un resoconto della politica dell’ordine pubblico sotto Giolitti è fornito da Fiorenza Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, Roma, Carecas, 1978.
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nomici, invitandoli a mostrarsi più tolleranti nei confronti di questi ultimi, purché non fossero accompagnati da violenze — dunque un’interpretazione più corretta degli articoli 165 e 166 del Codice penale del 1889. In effetti chiedeva spesso al prefetto ragguagli sui livelli salariali e sugli orari di lavoro per i quali gli scioperanti protestavano. E là dove giudicava fondate le rivendicazioni dei lavoratori, come a Molinella nel maggio 1901, ordinava al prefetto di sollecitare un atteggiamento più equo da parte dei datori di lavoro, rifiutando di inviare i soldati come in passato5. Egli raccomandava al prefetto di agire con prudenza affinché si raggiungessero degli accordi tali da rasserenare gli animi, in conformità al suo desiderio di risolvere le controversie prima che sfociassero in disordini e alla sua idea del nuovo ruolo del prefetto quale mediatore nelle vertenze di lavoro. Si doveva far leva sulla persuasione per impedire che le richieste delle leghe diventassero eccessive, specie se l’eventuale fallimento della trattativa rischiava di provocare disoccupazione l’inverno successivo, e all’oc- correnza andavano consultati i deputati socialisti. Giolitti evidentemente riteneva che Bissolati avesse un forte ascendente sulle masse, se in più di un’occasione ordinò al prefetto Caravaggio di convincerlo a tener buoni gli scioperanti, evitando imbarazzi al governo, che poteva tollerare solo scioperi economici pacifici6. Il nuovo ruolo di mediatore del prefetto risulta altresì evidente se si pensa alla sua tolleranza verso le frequenti manifestazioni pacifiche dei disoccupati, so
litamente inscenate di fronte alla locale stazione di Pubblica sicurezza o al municipio per reclamare lavoro e sussidi, nonché alle sue pressioni sul governo affinché fossero avviati dei programmi di lavori pubblici (e in particolare l’esecuzione dei tanto sospirati piani di bonifica). Come Caravaggio faceva notare a Giolitti nel settembre 1901, peraltro, i provvedimenti a difesa dell’occupazione servivano altresì a ridurre i rischi di dimostrazioni violente — illuminante indizio di come le nuove misure conciliative sotto Giolitti fossero forse intese più a salvaguardare l’ordine pubblico che a risolvere annosi problemi sociali7.
Oltre che per il mutato atteggiamento governativo verso gli scioperi e le dimostrazioni pacifiche a sfondo economico, il periodo giolittiano si contraddistingue per l’inedita tolleranza nei confronti delle dimostrazioni e dei comizi politici, benché ancora una volta fosse lasciato alla discrezione del prefetto stabilire se tali atti costituissero o meno un pericolo per la sicurezza pubblica. I documenti ci dicono che, quantunque i funzionari di polizia tenessero il prefetto informato circa il contenuto dei comizi socialisti, solo l’aperta e rumorosa contestazione dell’operato del governo veniva considerata illegale. Nell’aprile del 1902, ad esempio, Caravaggio informava Giolitti di non avere intenzione di vietare un comizio anarchico sulla legislazione del domicilio coatto, in quanto “il comizio medesimo [poteva] ritenersi non un atto di vilipendio ad una legge dello stato, ma solo un esame obbiettivo e
5 II 20 maggio 1901 Giolitti incaricò il prefetto Caravaggio di avvisare gli agrari di Molinella che non avrebbero potuto contare sull’appoggio del governo in quanto i salari che offrivano ai braccianti erano i più bassi di tutta la provincia. Egli aggiunse che se le trattative fossero fallite avrebbero rischiato di perdere il raccolto dell’intero anno. ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, dimostrazioni, congressi [...] Molinella e altri comuni (d’ora in avanti Agitazioni Molinella, 1901).6 Cfr. Agitazioni Molinella, 1901, cit., telegrammi di Giolitti a! prefetto di Bologna, 24 aprile, 5, 22 e 26 maggio 1901.7 ASB.GP, Cat. 6, Avvenimenti straordinari, inaugurazioni, ecc., 1901, prefetto di Bologna a Giolitti, 4 settembre 1901; Cat. 6, Agitazioni operaie, dimostrazioni, scioperi, congressi, 1902, prefetto di Bologna a Giolitti, 16 febbraio 1902.
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sereno di disposizioni legislative da correggere”. Come già per gli scioperi, anche per l’attività politica pare affermarsi con Giolit- ti un’interpretazione più corretta della legislazione vigente in materia. E invero il 21 maggio 1901 Caravaggio ordinava al delegato di polizia di Molinella di procedere all’arresto degli “eccitatori” socialisti solo qualora i loro discorsi violassero la legge, la qual cosa lascia supporre che in passato l’interpretazione delle leggi regolanti le associazioni politiche e le loro attività fosse ben più estensiva8.
Dove tuttavia gli scioperi diventavano violenti, o assumevano carattere politico o ancora superavano la dimensione locale diffondendosi in altre parti della provincia, Giolitti non esitava a ricorrere alla repressione militare per proteggere i lavoratori non sindacalizzati dalle intimidazioni delle leghe, né ad arrestare all’occorrenza i caporioni, a conferma dei limiti della sua svolta politica. Egli sottolineava peraltro che i soldati dovevano fungere solo da elemento di dissuasione e non schierarsi a sostegno degli agrari. Come appunto Caravaggio doveva rammentare al delegato di PS di Molinella, il quale naturalmente interpretava l’invio di rinforzi militari come un ritorno ai tradizionali metodi di repressione ottocenteschi, il compito dei soldati era solo quello di mantenere la legge e l’ordine, gli scioperi non andavano soffocati e la difesa a oltranza dai datori di lavoro avrebbe pregiudicato qualsiasi possibilità di negoziato fruttuoso (il delegato ave
va infatti informato Caravaggio che, d’accordo con le autorità militari, intendeva provocare violenze da parte della lega in modo da giustificare la repressione)9. Ancora, il prefetto poteva avvalersi dell’articolo 3 della Legge comunale e provinciale, che contemplava il divieto di pubblici assembramenti e cortei in situazioni di emergenza. Il 23 aprile 1901 Caravaggio scriveva a Giolitti per motivare il suo decreto in tal senso con l’argomento che scioperanti armati di attrezzi agricoli giravano per le campagne in atteggiamento minaccioso10.
Dalle denunce della stampa socialista e da diverse lettere di protesta di Bissolati a Giolitti si può tuttavia desumere che i nuovi indirizzi del ministro dell’Interno non influivano più di tanto sull’atteggiamento dei poliziotti verso il movimento operaio. Come notava Bissolati, gli scioperanti continuavano a vedersi arrestati per aver pacificamente incitato i braccianti non sindacalizzati a sospendere il lavoro. Massarenti, il capo socialista di Molinella, nei suoi telegrammi inviati all’ “Avanti!” imputava alla polizia il ferimento di alcuni scioperanti, e il fatto veniva in seguito riconfermato da Bissolati, il quale lamentava come la polizia, richiamata al dovere di porre fine agli arresti in massa, avesse fatto ricorso alle armi da fuoco, uccidendo un bracciante nel corso di dimostrazioni avvenute a Molinella11.
La cosa può trovare diverse spiegazioni. Si deve innanzitutto tener conto del senso di smarrimento causato dalle nuove e alquanto
ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, dimostrazioni, scioperi, congressi, 1902, prefetto di Bologna a Giolitti, 14 aprile 1902; ASB.GP, Agitazioni operaie, dimostrazioni, scioperi, senatori e deputati, 1901, prefetto di Bologna a delegato di PS (Molinella), 21 maggio 1901.9 ASB.GP, Agitazioni operaie, dimostrazioni, cit., 1901 delegato di PS (Molinella) a prefetto di Bologna, 30 aprile 1901; prefetto di Bologna a delegato di PS (Molinella), 5 maggio e 10 giugno 1901.10 ASB.GP, Agitazioni Molinella, 1901, cit., prefetto di Bologna a Giolitti, 23 aprile 1901.11 Archivio Centrale dello Stato, ministero dell’Interno, Pubblica sicurezza (ACS.PS), Busta 2, f. 5, Bissolati a Giolitti, 18 maggio 1901: Il deputato socialista ricordava a Giolitti che “l’eccitamento pacifico allo sciopero non è reato”, aggiungendo che peraltro “così non intendono né prefetto, né delegati, né carabinieri, i quali si sono evidentemente assunti il compito di fare l’interesse dei padroni”; si veda anche Bissolati a Giolitti, 25 maggio 1901; per i telegrammi di Massarenti all’ “Avanti!” , si veda ASB.GP, Agitazioni Molinella, 1901, cit.
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ambigue direttive nel personale dei ranghi inferiori, specie tra le file della polizia. In effetti, come nel caso appena ricordato, l’uso delle armi da fuoco dipendeva quasi sicuramente dal senso di insicurezza del poliziotto, impossibilitato a eseguire arresti in massa come in passato e tuttavia tenuto a rispettare l’ordine di impedire le violenze dei socialisti. Nella situazione sopra descritta, è probabile che i poliziotti fossero stati presi dal panico di fronte al comportamento violento o all’apparenza minaccioso degli scioperanti. Fiorentino sostiene in effetti che episodi del genere, in cui drappelli di carabinieri o di guardie di città sparavano sui dimostranti in attesa dell’arrivo di rinforzi, sono abbastanza comuni in epoca giolittiana12, e tale parrebbe appunto essere anche il nostro caso, visto che il ministro dell’Interno aveva autorizzato l’impiego delle truppe nella zona soltanto il giorno prima della lettera di Bissolati. Se il prefetto aveva giudicato superfluo l’invìo di rinforzi in quella particolare situazione, forse ritenendo l’opera di mediazione più adatta a riportare alla calma gli scioperanti, non ne consegue che le forze in loco fossero in grado di tenere a bada folle di dimostranti considerati nemici dello stato, senza ricorrere alla violenza o ad altri metodi arbitrari impiegati in passato. E in realtà, se prendiamo il caso del comune di Budrio, il locale delegato di polizia aveva avuto modo di manifestare la sua grande costernazione nel vedersi rifiutati dal prefetto i rinforzi insistentemente richiesti, vista l’impossibilità di controllare il movimento socialista del luogo con non più di cinque carabinieri13. Ovviamente là dove i poliziotti non erano molto abituati a fronteggiare scioperi e dimostrazioni con metodi interlocutori, il rischio che ci scappassero delle vittime era assai forte, anche perché il prefet
to non tollerava il benché minimo segno di debolezza o d’inefficienza da parte dei sottoposti. Va inoltre ricordato un dato costante di quegli anni, e cioè la scarsità di uomini anche per quanto riguarda i rinforzi militari, sicché le zone dove minore era la conflittualità sociale rimanevano sguarnite a seguito del concentramento delle forze disponibili nelle zone a più alta conflittualità. Budrio poteva appunto rappresentare un caso del genere. L’arrivo dei rinforzi, tuttavia, non riduceva il rischio di spargimenti di sangue, come dimostra l’esempio del delegato di Molinella, che istigava i soldati a usare i vecchi sistemi di repressione.
Un altro aspetto importante era costituito dai pericoli insiti nei poteri discrezionali conferiti al prefetto da Giolitti, il quale raccomandava la linea della mediazione, senza peraltro escludere ove necessario il ricorso agli opportuni strumenti di repressione. Perché questa strategia funzionasse occorreva naturalmente che i prefetti sapessero accortamente valutare le mutevoli situazioni. Tale capacità di valutazione era tutt’altro che scontata, sicché l’autonomia loro concessa dava sicuramente adito ad abusi. Un esame della corrispondenza di Giolitti con le altre prefetture fa tuttavia ritenere che la stessa severità da lui dimostrata verso quei prefetti che non riuscivano a sedare le violenze e le illegalità commesse nel corso di scioperi e manifestazioni possa aver favorito il perdurare di abusi e di metodi repressivi di stampo pregiolit- tiano. Com’egli rammentava al prefetto di Foggia nel giugno 1902, un governo più liberale non voleva dire un governo più debole. E invero egli riteneva i prefetti responsabili degli episodi di violenza che si potevano verificare, minacciandoli all’occorrenza di trasferimento o di congedo14.
12 F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, cit., p. 26.13 ASB.GP, Agitazioni Molinella, 1901, cit., delegato di PS (Budrio) a prefetto di Bologna, 23 maggio 1901.14 Per un esame della strategia seguita da Giolitti nella gestione della Pubblica sicurezza si veda Giampiero Carocci (a cura di), Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, vol. II: Dieci anni al potere 1901-
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Una delle ragioni principali del fallimento del tentativo giolittiano di cambiare la mentalità del poliziotto, ovvero di limitare il ricorso a strumenti militari di repressione, sta nelle difficoltà da lui incontrate nel trattare con i settori più reazionari delle classi dominanti e con le gerarchie militari, che potevano indirettamente minacciare il suo potere parlamentare. Inoltre, fattori strutturali insiti nel sistema della pubblica sicurezza restringevano le possibilità di cambiamento. Il potere effettivo del ministero dell’Interno (e quindi dei prefetti) sui carabinieri reali, ad esempio, era discutibile, e ciò per motivi sia gerarchici che territoriali. Nelle campagne i carabinieri costituivano le sole forze di polizia effettive, suddivisi in piccoli nuclei dislocati nella maggior parte dei paesi e dei borghi della provincia, e operativamente sottoposti alla giurisdizione delle poche delegazioni di PS situate nelle zone rurali (alla delegazione di PS di San Giovanni in Persice- to, ad esempio, facevano capo le stazioni dei carabinieri dello stesso San Giovanni, di Sala Bolognese, Anzola Emilia e Sant’Agata Bolognese). Tali delegazioni, a loro volta dipendenti dalle autorità prefettizie di Bologna, Imola e Vergato (la prima tramite il questore, le altre tre tramite i sottoprefetti), molto presumibilmente esercitavano un controllo alquanto limitato su ampie porzioni di territorio, ciò che di per sé finiva per conferire un certo margine di autonomia ai cara
binieri. Si aggiunga che questi ultimi occupavano una posizione ambigua, trovandosi a dipendere a un tempo dai propri superiori militari e in definitiva dal ministero della Guerra sotto il profilo disciplinare, e viceversa dal ministero dell’Interno in materia di ordine pubblico. La limitata dipendenza dei carabinieri dai funzionari di polizia appartenenti al ministero dell’Interno trova riscontro in un telegramma inviato dal questore al prefetto Dallari, nel quale quel funzionario comunica di aver dato disposizione ai sinda- ci della giurisdizione di informare la Questura di tutti i fatti concernenti l’ordine pubblico, “non essendo l’arma dei Rrcc tenuta, per proprio regolamento, a riferire su tutti indistintamente gli avvenimenti che si svolgono nel territorio delle stazioni sparse nel circondario”15. Ciò ovviamente rendeva problematico il controllo della provincia da parte del ministero dell’Interno, e da ciò si può anche desumere come l’influenza di Giolitti sul comportamento dei carabinieri dovesse avere dei limiti ben precisi. Quantunque egli considerasse un più ampio ricorso all’arma dei carabinieri come possibile alternativa all’impiego dell’esercito, il carattere fondamentalmente militare del corpo quasi certamente riduceva le possibilità di cambiamento.
Benché il ministero dell’Interno si mostrasse ufficialmente sensibile alle denunce di arresti arbitrari o persino di atti di bruta-
1909, Milano, Feltrinelli, 1962. Il 23 febbraio 1902 a esempio egli ordinava l’arresto di tutti i capi dello sciopero dei ferrovieri, minacciando il prefetto di ritenerlo responsabile dell’eventuale protrarsi dell’agitazione, (Dalle carte di Giovanni Giolitti, cit., vol. II, p. 175 e p. 239 per il telegramma di Giolitti al prefetto di Foggia, 2 giugno 1902).15 ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1908, questore a prefetto di Bologna, 17 novembre 1908. Secondo l’on. Casertano (sottosegretario agli Interni nel governo di Facta), “la carriera degli ufficiali dei carabinieri reali non dipende in alcun modo dall’apprezzamento che i prefetti possono fare del servizio da essi prestato: tutto è invece rimesso alle autorità militari i cui criteri sono del tutto opposti. [...] Proprio quella dipendenza dal ministero della Guerra è all’origine di una perniciosa disorganizzazione per cui [...] l’arma dei carabinieri reali finisce col funzionare come un corpo extravagante non inquadrato mai con norme e criteri precisi nel complesso ordinamento della polizia”. G. Corsi, L ’ordine pubblico, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 25. In base al Regolamento di PS del 18 maggio 1865, “Digesto italiano”, vol. II, 1906-1912, p. 517, “l’azione delle autorità e degli ufficiali di PS verso l’arma dei carabinieri si esercita per iscritto e in forma di richiesta... Se il comandante l’arma dei carabinieri reali, per ragione di altri urgenti servizi si trova nell’impossibilità di aderire in tempo debito [...] alla richiesta deve prontamente riferire all’autorità” .
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lità compiuti dalla polizia a Bologna nel corso di scioperi, scarsa è la traccia di serie misure dirette a prevenire o a punire tali comportamenti. Inoltre, il prefetto tendeva ad assicurare Giolitti di aver raccomandato moderazione ai suoi funzionari, autorizzando l’arresto solo nei casi di violazione degli articoli 165 e 166, e tacciava le proteste di Massarenti di esagerazione, difendendo l’operato dei suoi sottoposti con l’argomento che gli scioperanti avrebbero violato la legge. Certo è che Giolitti, come afferma Fiorentino, in pubblico era solito prendere le difese dei poliziotti accusati di abuso di potere e persino di atti di brutalità. Ne è un esempio la sua difesa davanti al parlamento di Caravaggio, accusato dai deputati socialisti di schierarsi immancabilmente dalla parte degli agrari durante gli scioperi16. Lo scagio- namento del comandante di truppa che nella vicina provincia di Ferrara aveva ordinato ai suoi uomini, nel giugno 1901, di aprire il fuoco contro i dimostranti, provocando due morti, per pretese ragioni di legittima difesa, venne riguardato dal capo del Psi Filippo Turati come la prova definitiva dell’incapacità di Giolitti a resistere all’ “urto combinato delle forze reazionarie politiche e degli interessi della casta militare”17.
La reazione degli agrari, quale si desume dalle pagine della “Gazzetta dell’Emilia” , fa tuttavia ritenere che, pur con tutti i limiti della politica giolittiana dell’ordine pubbli
co, qualcosa in provincia di Bologna era cambiato. Stando al quotidiano degli agrari, infatti, Giolitti era ormai tenuto in pugno dall’estrema sinistra parlamentare. Costringeva i prefetti ad assistere inerti alle violazioni degli articoli 165 e 166 da parte degli scioperanti, nonché a spingere gli imprenditori a trattare anziché far intervenire l’esercito come in passato. Riprendendo un discorso parlamentare di Panzacchi, il giornale avvertiva che tollerare gli scioperi era pericoloso, in quanto “a centinaia e centinaia, in pochi giorni, tavolta in un giorno solo, i contadini diventano socialisti perché si sono fatti scioperanti”18. Come si dimostrerà più avanti, tuttavia, i resoconti degli agrari tendevano a distoreere la realtà della situazione, e ciò il più delle volte per indurre i responsabili dell’ordine pubblico a esigere da parte dei loro sottoposti maggior intransigenza nei confronti del movimento operaio, propiziando in tal modo un ritorno ai metodi polizieschi pregiolittiani.
Dall’esame dei documenti di polizia e delle fonti di stampa degli anni successivi si può arguire come la strategia giolittiana fosse inevitabilmente influenzata, nel meglio come nel peggio, da taluni fattori esterni quali l’evoluzione politica del Psi e i suoi rapporti con le classi dirigenti, nonché dalle nuove forme assunte dal conflitto agrario nella stessa Bologna. La rottura tra Psi e governo nel marzo 1903, per fare un esempio,
16 Cfr. F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, cit., p. 11.17 II 20 maggio 1901, ad esempio, Giolitti chiedeva a Caravaggio di indagare su presunti atti di brutalità compiuti da un brigadiere dei carabinieri su delle donne in sciopero. ASB.GP, Agitazioni Molinello, 1901, cit., Giolitti a prefetto di Bologna, 20 maggio 1901; Caravaggio rispondeva a Giolitti il giorno dopo sostenendo che si trattava solo di esagerazioni da parte di Massarenti (ivi, 21 maggio 1901); il 18 maggio, anticipando la consueta lettera di protesta di Bissolati a seguito delle esagerazioni dell’ “Avanti!”, egli aveva già comunicato a Giolitti che gli arresti effettuati dai carabinieri ad Alberino (Molinella) erano legittimi, in quanto giustificati dal comportamento aggressivo degli scioperanti (ivi, 18 maggio 1901). Di particolare interesse appare nello studio di Fiorentino il fenomeno, rimasto irrisolto nel periodo del potere giolittiano, dei cosiddetti “eccidi proletari”, quando le forze dell’ordine, ivi compresi i soldati in servizio di ordine pubblico, sparavano sui dimostranti, di solito perché aggrediti a sassate. Pur aprendo delle inchieste, Giolitti quasi sempre prendeva le difese dei responsabili invocando il diritto alla “legittima difesa”. Si veda F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, cit., p. 30. Per i commenti di Turati sugli incidenti di Berra (Ferrara) si veda Girolamo Sotgiu, L ’Italia di Giolitti, Cagliari, Fossataro, 1972, p. 58.18 “La gazzetta dell’Emilia”, 13, 15, 24, 25 maggio 1901 e 18 marzo 1902.
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sul problema dei continui “eccidi proletari”; l’entrata nel governo di elementi di destra, chiamati dallo stesso Giolitti, nel novembre di quel medesimo anno; la crescente influenza della corrente dei sindacalisti rivoluzionari tra i socialisti, l’affermarsi sul piano nazionale dell’arma dello sciopero generale e sul piano locale, per iniziativa della Federterra, di un’alleanza tra braccianti e mezzadri accompagnata dal ricorso al boicottaggio, tutte queste novità influirono sicuramente sulla conduzione della politica dell’ordine pubblico nell’area bolognese19.
Dai documenti risulta che nel corso del 1904 le autorità prefettizie ritornarono a forme di repressione di stampo pregiolittiano. Il settimanale socialista “La squilla” ne addossava la responsabilità al nuovo prefetto Dal- l’Oglio, nominato nel luglio di quell’anno20. Certo, almeno inizialmente Dall’Oglio non si trovò d’accordo con Giolitti sul modo di affrontare gli scioperi agrari nella provincia, il che induce a dubitare che il suo arrivo a Bologna fosse solo una mossa tattica del primo ministro, in sintonia con il mutato clima politico. Giolitti, ritenendo gli agrari responsabili degli scioperi di agosto, a seguito del loro rifiuto di riconoscere la rappresentatività delle leghe, ordinò al prefetto di informarli che il governo non li avrebbe sostenuti. Dall’Oglio obiettò tuttavia che gli agrari non potevano riconoscere le leghe, perché così fa
cendo avrebbero sottoscritto l’obbligo ad assumere solo i lavoratori designati dai socialisti, fatto giudicato lesivo del diritto di proprietà21. La documentazione relativa all’anno successivo rivela di nuovo l’adozióne di un atteggiamento decisamente filoagrario da parte del prefetto, ben poco preoccupato per le ripercussioni disastrose che ne sarebbero derivate per la condizione economica delle masse rurali. Ciò è messo in particolare risalto dal suo appoggio alla politica antibracciantile perseguita dagli agrari, politica il cui succo era la promozione di associazioni agrarie, uffici di collocamento e patti mezzadrili che vietavano la partecipazione ad azioni di sciopero. Mentre i dirigenti politici e sindacali socialisti lamentavano che il proletariato locale moriva di fame per la mancanza di adeguati programmi di opere pubbliche e per il fatto che gli agrari erano disposti persino a perdere il raccolto pur di evitare di scendere a patti con le leghe, Dall’Oglio replicava che i datori di lavoro avevano ragione di associarsi per difendersi dalle violenze delle leghe ed esortava i lavoratori a cedere accettando le condizioni della controparte agraria. Analogamente, nell’ottobre del 1905 egli giustificava lo sfratto di un gruppo di mezzadri della zona di Crespellano con la motivazione che i capi socialisti li avevano istigati a rivoltarsi contro i propri datori di lavoro22.
L’abbandono da parte del prefetto del ti-
19 Sulla rottura tra Psi e governo Zanardelli si veda Maria Malatesta, “Il resto del Carlino”. Potere politico ed economico a Bologna dal 1885 al 1922, Milano, Guanda, 1978, pp. 159-175. Sull’evolversi dei conflitti agrari nell’area bolognese dopo il 1902 si vedano A. Cardoza, Agrarian Elites, cit., pp. 88-107 e P.P. D’Attorre, Gli agrari bolognesi, cit., pp. 118-121.20 Servizi comparsi il 13 e il 20 agosto 1904 davano notizia del divieto di assembramenti e cortei e del ritorno agli arresti in massa di scioperanti. A Medicina i poliziotti avrebbero impedito a dei braccianti di abbandonare il lavoro per unirsi agli scioperanti, incitando altresì alla violenza contro le leghe. La polizia era inoltre accusata di gonfiare gli episodi di violenza imputati ai socialisti in modo da giustificare il ricorso alla repressione militare. Questo ritorno alla repressione veniva messo in relazione con la nomina del nuovo prefetto Dall’Oglio.21 ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, disoccupazione ecc., 1904, Giolitti a prefetto di Bologna, 30 agosto 1904; risposta del prefetto, 31 agosto 1904.22 ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, comizi, scioperi, ecc., 1905; in merito al sostegno dato alle posizioni degli agrari, vedi sindaco di Baricella a prefetto di Bologna, 11 aprile 1905, e risposta del prefetto, 12 aprile 1905, nonché prefetto a delegati di PS (Minerbio, Baricella, Malalbergo), 14 aprile 1905, prefetto a ministro dell’Interno, 15 aprile 1905; per lo sfratto dei mezzadri di Crespellano vedi questore a prefetto, 26 ottobre 1905, prefetto a ministro dell’Interno, 27 ottobre 1905 e sindaco di Crespellano a prefetto, 31 ottobre 1905.
Istituzioni e ordine pubblico nell’Italia giolittiana 13
pico ruolo giolittiano di mediatore tra le parti in conflitto era molto probabilmente dovuto al suo sconcerto di fronte alle nuove strategie che s’andavano affermando in seno al Psi. Benché a Bologna la maggioranza del Psi rimanesse riformista, egli manifestava continui timori di un capovolgimento di rapporti a favore delle correnti anarchiche e rivoluzionarie. Era inoltre preoccupato per l’influenza della propaganda antimilitarista sull’esercito23. In un rapporto a Giolitti del settembre 1904 egli si lagnava delle carenze legislative in materia di boicottaggio, un metodo di lotta spesso usato che a suo parere presentava aspetti violenti e lesivi del diritto di proprietà. È assai probabile che le sue apprensioni fossero dovute al proscioglimento di sei braccianti accusati di aver minacciato di boicottaggio i contadini che si erano rifiutati di aderire alla lega di Budrio; quasi certamente erano alimentate dalle esagerazioni della stampa degli agrari, che nei suoi servizi denunciava lo stato di impotenza dei funzionari di polizia di fronte alle violenze socialiste24. Da tutto ciò presumibilmente era indotto a sollecitare un atteggiamento più duro da parte delle locali forze di polizia. Sussistono tuttavia sufficienti elementi per ritenere che in molti casi la cautela usata per tener buoni gli scioperanti era stata intesa da
gli agrari come segno di arrendevolezza di fronte alle intimidazioni delle leghe25.
L’incertezza di Dall’Oglio sul modo più efficace di fronteggiare il montante estremismo socialista e le nuove forme di sciopero è ravvisabile nell’appoggio da lui concesso agli agrari e nel ritorno ai tradizionali metodi di repressione. Le stesse preoccupazioni d’altronde sembravano suggerire a Giolitti, almeno agli inizi, un atteggiamento più conciliante, come attestano le sue pressioni dirette ad attenuare l’intransigenza degli agrari bolognesi. Il suo timore di un tentativo rivoluzionario aH’indomani della conquista della direzione nazionale del Psi da parte dei sindacalisti rivoluzionari nel congresso di Bologna del 1904 quasi sicuramente influì sul suo atteggiamento verso lo sciopero generale proclamato nel settembre di quell’anno. A Bologna, così come in altri più popolosi centri urbani del Paese, egli ordinò alle forze di polizia di evitare ogni contatto con i dimostranti, essendo l’agitazione destinata a esaurirsi per proprio conto. Una volta ancora Dall’Oglio disattese le disposizioni del primo ministro e fece ricorso alle truppe, stante l’insufficiente presidio di carabinieri e guardie di città. L’intervento dell’esercito fu probabilmente all’origine dei disordini che si conclusero con una quarantina di arresti26.
23 ACS, PS, Busta 25, 1905, prefetto di Bologna a ministro dell’Interno, 9 ottobre 1905.24 ASG.GP, Cat. 6, Agnazioni operaie, cit., 1904, prefetto di Bologna a Giolitti, 11 settembre 1904; in seguito al proscioglimento dei braccianti di Budrio il pubblico ministero comunicò alla Procura di Bologna che il boicottaggio andava considerato alla stregua di una normale azione di sciopero, richiamandosi agli articoli 165 e 166 del Codice penale che vietavano le pratiche intimidatorie o violente (ASB.GP, ivi, procuratore del re a Ufficio R. Procura, 17 maggio 1905). Solo con il ritorno di Giolitti al potere nel 1906 furono varati dei provvedimenti legislativi tesi a punire le forme più estreme di boicottaggio; il “Giornale di Bologna” del 23 gennaio 1904 riferiva che i commissari di polizia inviati nelle zone rurali della provincia finivano per lasciarsi influenzare dai capilega a tal punto da assistere impotenti alle intimidazioni e alle violenze dei socialisti. Tutto ciò naturalmente in assoluto contrasto con quanto scriveva “La squilla” nei servizi già ricordati.25 Un’eco di questa polemica si ritrova nella documentazione concernente gli scioperi di Anzola Emilia del settembre 1905. Il prefetto chiese al questore di spiegare come mai i suoi uomini non avessero fatto cessare le violenze delle leghe. Il questore replicò che gli agrari esageravano con le loro richieste di repressione, e che il commissario di polizia chiamato in causa andava elogiato per l’accortezza del suo comportamento, anche perché i braccianti in sciopero, quantunque infuriati, non avevano infranto la legge. Egli ammise tuttavia di non poter garantire la presenza delle forze di polizia in ogni angolo della provincia. Si veda in proposito ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, cit., 1905, prefetto a questore, 9 settembre 1905, e risposta del questore, 12 settembre 1905.26 L’ “Avanti!” del 21 settembre 1904 denunciava il ricorso alle cariche di cavalleria per disperdere la folla dei di-
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In completo contrasto con il precedente atteggiamento di cautela, a seguito degli avvenimenti del settembre 1904 Giolitti indisse nuove elezioni generali, puntando sui risentimenti antisocialisti suscitati da quegli eventi. A Bologna le autorità prefettizie e militari si dettero da fare per garantire la vittoria alle forze costituzionali. Un telegramma di DalPOglio ai suoi sottoposti delle campagne, nel novembre 1904, disponeva “in nome ministero” la formazione di gruppi di difesa monarchici davanti ai seggi, ufficialmente per proteggere i votanti dalle intimidazioni socialiste. “La squilla”, tuttavia, dava notizia dell’intervento della cavalleria per sciogliere manifestazioni di protesta contro atti di intimidazione compiuti dai clericali e dai moderati all’interno dei seggi durante il rinnovo del voto nel collegio di Budrio nel gennaio 190527. Analogamente, Cardoza28 asserisce che le amministrative dell’estate 1905, le quali restituirono alle forze costituzionali undici municipalità locali delle quindici precedentemente perdute, coincisero con la disfatta delle leghe, costrette a sottoscrivere con le associazioni padronali dei patti le cui condizioni erano rigidamente dettate dagli agrari. Ciò significa che, dopo il fallito tentativo rivoluzionario del settembre 1904, Giolitti — e più tardi
Fortis, che gli succedette nel marzo 1905 — non ebbero più remore a ridimensionare il peso del Psi, dando man forte al prefetto. Tale nuova disposizione trova ulteriore riscontro nelle misure legislative prese per ridurre i margini di legalità dello sciopero generale e limitare ancor più gli scioperi nel pubblico impiego (a cominciare dai ferrovieri)29.
Sarebbe peraltro inesatto arguire da tutto ciò che i nuovi provvedimenti di Giolitti mirassero a liquidare la forza del movimento operaio o a cambiare le linee di fondo della sua politica dell’ordine pubblico. Essi erano semmai diretti a controbilanciare la crescente spinta estremistica proveniente dall’interno del Psi e a mantenere in tal modo l’equilibrio politico di cui Giolitti aveva bisogno per poter continuare a contare su di una maggioranza parlamentare. Ne è una riprova evidente l’allentamento della pressione poliziesca a Bologna per iniziativa del nuovo prefetto Dallari (nominato nell’ottobre 1906) in consonanza con il mutato clima politico. D’accordo con il commissario di polizia di Molinella, Dallari criticava molti datori di lavoro per l’eccessivo ricorso alla manodopera non sindacalizzata e per la pretesa di avere l’appoggio incondizionato delle autorità. Egli si rifiutava di inviare rinforzi mi-
mostranti e impedire i comizi. Le fonti d’archivio parrebbero attestare che Dall’Oglio, conscio di non aver saputo applicare la linea indicata da Giolitti, riscrisse i suoi rapporti ingigantendo le violenze dei dimostranti in modo da giustificare l’azione repressiva. A Milano lo sciopero generale si esaurì per proprio conto dopo l’assassinio di un “borghese” . La polizia intervenne alla fine dell’agitazione per arrestare gli ultimissimi dimostranti (si veda Luigi Albertini, Vent’anni di vita politica, Bologna, Zanichelli, 1950, parte I: L ’esperienza democratica italiana dal 1898 a! 1914-, vol. I: 1898-1908, pp. 143-145).~7 ASB.GP, Cat. 5, Elezioni generali e politiche, 1904, prefetto di Bologna a delegati di PS distaccati, 5 novembre 1904; “La squilla” , 7 e 9 gennaio 1905. Alle elezioni generali del novembre 1904 i socialisti bolognesi persero la maggioranza assoluta.28 A. Cardoza, Agrarian Elites, cit., p. 108.■9 Stando a quanto afferma Guido Neppi Modona, solo dopo lo sciopero generale del settembre 1904 Giolitti avrebbe preso una posizione apertamente contraria a questa forma di sciopero, che egli distingueva nettamente dagli scioperi economici. Il frequente ricorso all’art. 154 (violenza privata), anziché agli articoli 165 e 166 (che prevedevano pene meno severe), per contrastare lo sciopero generale segnava il consolidarsi di un’interpretazione di tale sciopero in chiave decisamente politica (cfr. G. Neppi Modona, Sciopero, potere politico e magistratura, Bari, De Donato, 1969, pp. 100-101). L’iniziativa legislativa di Giolitti mirante a inserire i ferrovieri nella categoria dei pubblici ufficiali, rendendo così illegale qualsiasi azione di sciopero nel settore, venne portata a compimento da Fortis con l’art. 18 della L. 137 del 22 aprile 1905 (ivi, pp. 137-141).
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litari là dove le posizioni dei datori di lavoro gli sembrassero irragionevoli. Il suo sottoposto di Molinella ammetteva che le denunce di invasione dei fondi erano sovente pura invenzione dei datori di lavoro, desiderosi di avvalersi di forme di protezione di stampo pregiolittiano. Egli arrivò al punto di denunciare alla magistratura un imprenditore, un certo Brunelli, che spalleggiato dai suoi scagnozzi aveva istigato i suoi operai non sindacalizzati a insultare e picchiare degli iscritti alle leghe30. Secondo Antony Cardoza la spiegazione di questa decisa svolta politica risiederebbe nella constatazione da parte di Giolitti che l’appoggio dato allo sviluppo delle associazioni imprenditoriali non aveva fatto altro che inasprire il conflitto nelle campagne. Ciò derivava dal fatto che le associazioni erano capeggiate dagli agrari più grossi e più intransigenti, i quali trascinavano anche i piccoli coltivatori in battaglie che questi non si potevano permettere di perdere, sicché alla fine molti dei più moderati e tradizionali datori di lavoro scendevano nuovamente a patti con le leghe31. Pier Paolo D’Attorre rileva inoltre come la sconfitta delle associazioni padronali ad opera dei mezzadri dipendesse dalla forza delle leghe sia socialiste che cattoliche32. Un’altra spiegazione si può ravvisare nel rinsaldato predominio della corrente riformista nel Psi bolognese. Se sul piano nazionale Alberto Ac- quarone ha potuto parlare di un graduale ritorno alla direzione dei riformisti, culminato nella vittoria al congresso socialista del
1907, Dallari segnalava il rafforzamento delle file riformiste a Bologna sin dall’aprile di quell’anno, con l’unificazione della maggioranza delle sezioni comunali del Psi nella Federazione provinciale socialista33.
Benché non sia sempre facile interpretare con esattezza la linea di condotta delle autorità prefettizie bolognesi nella seconda metà del periodo giolittiano, l’impressione generale che se ne trae è di una politica prevalentemente diretta a reprimere gli opposti estremismi. Il frequente ricorso alle truppe per fronteggiare scioperi generali, scioperi dei ferrovieri e occupazioni di terre nel bolognese ne è solo una riprova, e si ricollega del resto alle già citate innovazioni legislative degli anni precedenti. Lo stesso può dirsi delle misure prese da Giolitti al suo ritorno al potere nel 1906, allo scopo di porre un freno legale più efficace a certe forme di boicottaggio. Valga a confermarlo il caso dell’arresto della gran parte dei capilega di Cre- spellano nel novembre 1907, e della loro incriminazione in base all’articolo 154 (violenza privata) per aver tentato di imporre l’adesione all’azione di boicottaggio con minacce o sanzioni pecuniarie34.
Alla repressione di certe forme di lotta socialiste fa da contraltare nel periodo 1907- 1914 la legislazione sociale concernente in particolare l’assicurazione sugli infortuni e il sistema pensionistico. Speciale attenzione meritano in questo quadro le nuove leggi sanitarie che attribuivano agli organi periferici dello stato (inclusi i prefetti) le competenze
30 ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, politiche, dimostrazioni ecc., 1907, delegato di PS a prefetto, 23 aprile 1907, 9 e 25 giugno 1907.31 A. Cardoza, Agrarian Elites, cit., pp. 112-115.32 P.P. D’Attorre, Gli agrari bolognesi, cit., p. 119.33 Alberto Aquarone, Tre capitoli sull’Italia giolittiana, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 14-17; ASB.GP, Cat. 7, Partiti politici, associazioni ecc., 1907, prefetto di Bologna a ministro dell’Interno, 7 maggio 1907.34 Per maggiori dettagli sulla lega di Crespellano e il relativo processo si veda “La squilla”, 23 novembre 1907, 1 e 8 febbraio 1908; ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni politiche, comizi ecc., 1908, carabinieri reali (Crespellano) a prefetto, 18 novembre 1907; prefetto a ministro dell’Interno, 21 novembre 1907 e 1 febbraio 1908; si veda inoltre G. Neppi Modona, Sciopero, potere politico e magistratura, cit., pp. 151-159, per i particolari di diversi altri processi riguardanti analoghi casi di boicottaggio.
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in materia di istituzione delle farmacie comunali (dal 1913) e di assistenza medica gratuita ai bisognosi35.
A partire dal 1911 la situazione a Bologna si fece di nuovo tesa allorché l’intransigente direzione dell’Associazione agraria bolognese (Aab), fondata l’anno prima e modellata sull’esempio dei seguaci di Carrara a Parma, incominciò a denunciare i patti colonici e a sfrattare i mezzadri. Questo avveniva mentre sul piano nazionale era in corso la guerra di Libia e si profilava la rivincita dei sindacalisti rivoluzionari all’interno del Psi, rivincita sancita dal congresso di Reggio Emilia del 1912. Dalla documentazione si ricava tuttavia che Dallari, pur paventando i rischi di una radicalizzazione in seno alla Federazione provinciale socialista e alla locale Camera del lavoro, dava un giudizio altrettanto severo dei dirigenti dell’Aab. Come riferiva al ministro dell’Interno nel settembre 1911, la loro attività era “tutt’ora circoscritta nel criterio classico del diritto di proprietà e della sua prevalenza su quello del lavoro. Il jus utendi et abutendi vige senza la minima evoluzione, assoluto ed intangibile, nella concezione padronale ed ogni pretesa o deroga ad esso appare una violazione ed (un) principio rivoluzionario”.
Il prefetto si diceva inoltre contrariato dalle insistenti richieste padronali di protezione armata, quale corrispettivo del pagamento delle imposte. Il difficile rapporto tra Dallari e i capi degli agrari veniva riconfer
mato l’anno successivo, quando costoro ruppero le trattative con le leghe in segno di protesta per l’appoggio dato dal prefetto alle rivendicazioni dei braccianti36. Anche in questo caso si può trovare un riscontro sul piano nazionale nel generale rigetto da parte di industriali e agrari della politica giolittia- na della mediazione, rigetto che con la recessione economica del 1913 sarebbe solo diventato ancor più deciso. Ciò sospinse a sua volta il movimento operaio verso i lidi del sindacalismo rivoluzionario. Merita notare che a Bologna i lavoratori agricoli rimasero fedeli al riformismo, al punto di fondare, nel dicembre 1912, la Camera confederale del lavoro, nata dalla scissione dalla Camera del lavoro controllata dai sindacalisti rivoluzionari, secondo quanto riferiva lo stesso Dallari in un rapporto al ministro dell’Interno37.
Se le variazioni d’accento nella strategia giolittiana dell’ordine pubblico dipendevano dal contesto politico ognora mutevole sul piano sia nazionale che provinciale, come più sopra dimostrato, dai resoconti della Fe- derterra e della stampa socialista si desume che tali variazioni non ebbero peraltro sensibili ripercussioni sul piano strettamente locale. Ciò risulta evidente, ad esempio, per quanto riguarda la sostituzione di Dall’O- glio con Dallari. Benché all’inizio il nuovo prefetto venga elogiato per la sua resistenza alle indebite pressioni degli agrari, le denunce di comportamenti partigiani a carico delle
35 Si veda in proposito A. Acquarone, Tre capitoli sull’Italia giolittiana, cit., pp. 14-17 e 177-185.36 ACS, PS, Busta 23, 1911, prefetto a ministro dell’Interno, 22 settembre 1911; ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, scioperi, manifestazioni ecc., 1912, prefetto a ministro dell’Interno, 21 giugno 1912. Dallari riferiva che durante una riunione del Collegio arbitrale, di cui era presidente, il capo dell’Aab Donini aveva dichiarato di non avere alcuna intenzione di subire le imposizioni di Giolitti o dei suoi prefetti. La sua uscita era stata provocata dal fatto che il prefetto ritenesse giustificata la protesta dei rappresentanti dei braccianti contro le violazioni contrattuali degli agrari di Medicina.37 ACS, PS, Busta 22, 1912. Nella sua informativa del 10 dicembre 1912 Dallari riferiva al ministro dell’Interno che la costituzione della Camera confederale del lavoro segnava la sconfitta della corrente sindacalista. Nel settembre di quello stesso anno egli aveva evidenziato in un altro suo rapporto l’atteggiamento dispotico e intimidatorio dei sindacalisti rivoluzionari, pur precisando che la maggioranza dei lavoratori bolognesi era riformista (ivi, 22 settembre 1912). Merita notare che, mentre i lavoratori agricoli entrarono nell’organizzazione sindacale riformista, la maggior parte degli operai dell’industria rimase nei sindacati rivoluzionari.
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forze dell’ordine non sono meno frequenti che ai tempi di Dall’Oglio. Nel 1911, ad esempio, la Federterra inviava a Giolitti un dettagliato memoriale in cui si stigmatizzava l’indifferenza di Dallari nei confronti delle violazioni contrattuali degli agrari e dei soprusi polizieschi. Un brigadiere dei carabinieri veniva accusato di aver deliberatamente ignorato l’omicidio di un bracciante da parte del datore di lavoro a Sala Bolognese, mentre a San Pietro in Casale un altro brigadiere avrebbe sparato uccidendo uno scioperante e ferendone un secondo. Si accusava infine la locale autorità giudiziaria di ritardare di proposito la celebrazione del relativo processo. Lo stesso anno il sindaco di Sala Bolognese informava il ministro dell’Interno che i soldati avevano brutalmente caricato una dimostrazione di donne che protestavano contro le violazioni padronali dei patti agrari38.
Fonti di stampa socialiste e, più raramente, documenti d’archivio attestano che nell’età giolittiana, al di là dei tradizionali metodi di repressione connessi al ricorso agli arresti in massa, alle cariche di cavalleria, alle armi da fuoco, ecc., la parzialità, in quanto atteggiamento personale del singolo appartenente alle forze dell’ordine, era un fenomeno reale, quanto poi diffuso resta da vedere. Nel 1908, ad esempio, il commissario di polizia di Budrio denunciava a Dallari il fatto che il suo predecessore aveva stabilito con uno degli agrari del luogo, certo Ben- ni, dei rapporti di amicizia tanto stretti che quando le leghe minacciavano di occupare i fondi egli provvedeva ad allontanare i carabinieri dalla presumibile zona del conflitto per poter così giustificare l’uso da parte del
Benni delle armi da fuoco a scopo di legittima difesa e la richiesta di rinforzi militari. In effetti sono proprio il commissario di polizia o il brigadiere dei carabinieri (entrambi comandanti dei contingenti locali) a comparire più spesso in tali denunce, probabilmente perché la loro permanenza in seno a una piccola comunità poteva renderli sensibili all’influenza dell’élite agraria locale39.
Del fenomeno in questione si possono fornire diverse spiegazioni. Può darsi che taluni poliziotti si schierassero dalla parte degli agrari perché intimamente disorientati dalle nuove direttive che limitavano il loro abituale potere repressivo. Può anche darsi che fossero condizionati dal peso della pubblica opinione, la quale sovente riprovava l’arrendevolezza delle forze dell’ordine, come testimonia la stampa degli agrari. Si può addirittura pensare che, come nel caso del commissario di polizia di Budrio, la provocazione dello scontro al fine di giustificare l’impiego delle truppe rappresentasse una sorta di autodifesa preventiva da parte di un poliziotto relativamente inerme. Qui tornerebbe utile uno studio dell’entità effettiva delle violenze socialiste nella provincia. Gli attacchi personali rivolti al commissario di polizia di Moli- nella nel 1907 per il suo atteggiamento ostile nei confronti degli agrari fanno comunque ritenere che le forme di collaborazione del genere sopra descritto non fossero poi così scontate40.
Mentre Dall’Oglio risulta più direttamente coinvolto nell’adozione a livello locale di metodi controversi di repressione, dato anche il particolare contesto politico del periodo in cui resse il suo ufficio a Bologna, l’esame della documentazione lascia pensare
38 ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, politiche ed economiche ecc., 1911, Federterra: memoriale a Giovanni Giolitti, 14 settembre 1911; sindaco di Sala Bolognese a ministro dell’Interno, 29 giugno 1911.39 ASB.GP, Cat. 6-10, Sovrani, ministri, partiti politici ecc., 1908, delegato di PS (Budrio) a prefetto di Bologna, 29 agosto 1908.40 ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, cit., 1907; Dallari invitava il delegato di PS di Molinella a non badare alle critiche della stampa degli agrari (19 luglio 1907).
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che Dallari fosse più isolato dalle realtà locali. L’ipotesi appare tanto più plausibile se si tiene conto della sua sincera avversione per la dirigenza intransigente dell’Aab. Replicando alle imputazioni di violenza mosse contro i suoi collaboratori, egli soleva sostenere che il comportamento criminoso delle leghe richiedeva in molti casi una dura repressione. In ciò, naturalmente, poteva essere tratto in inganno dai rapporti dei suoi sottoposti. Nel caso già ricordato dell’eccidio di San Pietro in Casale, per esempio, il questore gli riferì che l’operato delle forze dell’ordine era giustificato in quanto gli scioperanti avevano tentato di disarmare i carabinieri41.
Dichiarò inoltre che due braccianti avevano confessato che gli scioperanti progettavano di uccidere i crumiri contro i quali manifestavano e di pestare a sangue i carabinieri. Benché le esplosioni di violenza da parte degli scioperanti fossero cosa tutt’altro che insolita, aggressioni premeditate di questo tipo in genere appartenevano al collaudato repertorio delle invenzioni melodrammatiche degli agrari, che toccarono il culmine con il funesto episodio di Guarda dell’ottobre 191442. Pur ammettendo che Dallari fosse consapevole dell’atteggiamento spesso parziale della polizia, va pur sempre tenuto presente che era una costante della politica gio- littiana non dare credito alle contestazioni socialiste e difendere pubblicamente l’opera
to delle forze dell’ordine. Si spiegherebbero così anche le misure prese dal prefetto per impedire la circolazione dei telegrammi di Massarenti che denunciavano i soprusi polizieschi43.
Indipendentemente dalle posizioni assunte da Dallari nei conflitti agrari, andrebbero altresì tenute presenti le difficoltà da lui incontrate nel mantenere la pace sociale nella provincia a causa della natura contraddittoria del suo stesso ruolo. Come ha osservato Roberto Ruffilli, la figura del prefetto gio- littiano assommava in sé sia i compiti di “un crescente collegamento delle attività prefettizie con quelle locali” (come dimostrato dalla sua funzione mediatoria nelle vertenze e dalle sempre più rilevanti responsabilità assunte nell’ambito delle istituzioni sociali), sia “un potenziamento del ruolo politico del prefetto, del coordinamento orizzontale per suo tramite della vita locale secondo le esigenze elettorali e politiche generali delle forze governative”44. I documenti attestano che il prefetto, anche là dove si mostrava più aperto alle esigenze delle classi lavoratrici, manteneva comunque il suo ruolo di agente elettorale del governo, come già si è visto nel caso di Dall’Oglio per gli anni 1904-1905. Analogamente, Dallari ricevette dal primo ministro la direttiva di assicurare la vittoria delle forze costituzionali nelle elezioni politiche generali dell’autunno 1913. Altrettanto importante fu il ruolo esercitato da entrambi i
41 ASB.GP, Cat. 6, Agitazioni operaie, cit., 1911, rapporto del questore al prefetto, 14 novembre 1911.42 II 5 ottobre 1914 braccianti e mezzadri appartenenti alle leghe uccisero cinque lavoratori non sindacalizzati a Guarda (Molinella). In seguito a questo fatto le leghe di Molinella furono sciolte e i loro capi condannati per omicidio premeditato. Onofri, tuttavia, è dell’opinione che l’incidente sia stato provocato deliberatamente dal prefetto Quaranta (succeduto a Dallari nell’agosto 1914, poco dopo l’avvento di Salandra al potere), nell’intento di giustificare la persecuzione del movimento operaio da parte del governo (N.S. Onofri, La strage di palazzo D'Accursio, cit., pp. 108-129). Documenti posteriori lasciano in effetti pensare che il processo celebrato nel 1916 fosse basato non tanto su concreti elementi di prova, quanto piuttosto sul presupposto dell’immoralità del sistema rappresentato dalle leghe di Massarenti.43 Vedasi ASB.GP, Cat. 4 e 5, Amministrazioni comunali ecc., 1911, prefetto a direttore Ufficio poste telegrafi, 17 agosto 1911.44 Roberto Ruffilli, Problemi dell’organizzazione amministrativa, “Quaderni storici” , n. 18, dicembre 1971, pp. 725-726.
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prefetti nel limitare il potere dei socialisti negli enti locali. Essi riuscirono a comprimere le spese dei comuni, come denunciava Massarenti nel 1910, e più volte intervennero a sciogliere le amministrazioni locali sostituendole con dei commissari prefettizi fino a quando i partiti costituzionali non fossero stati in grado di riprendere il sopravvento45. Il ruolo palesemente ambiguo del prefetto giolittiano non è in effetti concepibile se non nel contesto più generale in cui le classi dominanti facevano alle classi lavoratrici quel tanto di concessioni che dovevano bastare a impedire sbocchi rivoluzionari, senza peraltro intaccare seriamente il potere delle prime. Di qui il ricorso alla corruzione elettorale nel 1913, ad esempio, appena l’anno dopo che la nuova legge elettorale aveva esteso il voto a tutti i maschi alfabeti di più di ventun anni, nonché a tutti i maschi analfabeti che avessero compiuto il servizio militare e superata l’età di trent’anni.
Se la sinistra sosteneva che gli indirizzi gio- littiani incidevano ben poco sull’atteggiamento delle forze di polizia della provincia, come già s’è visto, non va d’altronde dimenticata l’accusa sovente mossa da destra alla polizia di non riuscire a fronteggiare le attività criminose delle leghe socialiste. Gli archivi di polizia in quanto tali ci dicono che i reati politici durante il periodo in questione non erano da nessuna parte così frequenti come pretendevano gli agrari del luogo. Un esame dei
reati commessi nella giurisdizione territoriale della delegazione di PS di San Giovanni in Persiceto, ad esempio, rivela che mentre le autorità tendevano a distinguere tra reati politici (quali le violazioni degli articoli 165 e 166, o le forme più esasperate di boicottaggio) e reati comuni (furto, vandalismo, ecc.), le élites dominanti locali facevano del loro meglio per dipingere di colore politico ogni sorta di illegalità. Capitava così che il quotidiano cattolico “L’avvenire d’Italia” imputasse gli atti vandalici compiuti da alcuni bambini nella chiesa di Sant’Agata alle idee “libertarie” dei loro genitori. Tali accuse non ebbero comunque seguito in quanto giudicate inattendibili dalle locali autorità46. D’altro canto i reati comuni, che erano assai più frequenti, presentavano talune difficoltà d’interpretazione. Se per esempio un contadino appiccava il fuoco alla proprietà del suo datore di lavoro o gli rubava qualcosa, questo si poteva rubricare come un atto politico sotto forma di vendetta personale, pur non costituendo ovviamente un reato commesso in associazione con altre persone, come nell’ipotesi del boicottaggio. Si spiegherebbero così per certi versi le numerose denunce di atti di violenza premeditata sporte a carico delle leghe, pur essendo queste ultime responsabili solo in parte, se non addirittura del tutto estranee agli episodi in questione. Qui giova senz’altro rilevare che la documentazione attesta come questo genere di reati fosse abbastanza diffu-
45 ASB.GP, Cat. 5, Elezioni politiche ecc., 1913. La documentazione mostra che Giolitti scrisse più volte a Dallari dandogli istruzioni circa i candidati da appoggiare. Di particolare interesse un telegramma con cui il prefetto di Ferrara segnalava ‘i ’allontanamento [...] sacerdote Tomaso Gualandi da Reno Centese essendo egli apertamente sostenitore Bussi (candidato socialista)” , 24 ottobre 1913; ASB.GP, Cat. 4 e 5, 1911, cit.; il 12 dicembre 1910 Massarenti si lamentava con Giolitti perché Dallari, come presidente della Giunta provinciale amministrativa, bloccava le iniziative di spesa nel comune di Molinella, a detrimento dei poveri del luogo; ASB.GP, Cat. 4-5-6, Amministrazioni comunali ecc., 1908; il 18 dicembre 1907 Dallari sconsigliava al ministro dellTnterno di autorizzare nuove elezioni nel comune di Budrio, suggerendo la prosecuzione della gestione commissariale, perché 1) non conveniva tenere elezioni durante l’inverno, essendo difficile per molti elettori di parte costituzionale raggiungere Budrio; 2) la forte disoccupazione dei mesi invernali avrebbe corroborato la determinazione dei socialisti a vincere la battaglia e ciò avrebbe indotto molti elettori costituzionali a restare a casa.46 Si veda Teppismo, “L’avvenire d’Italia”, 4 maggio 1910, e ASB. Ufficio di PS di San Giovanni in Persiceto (ASB. San G.), Busta 39, 1910, Parte II, questore a delegato di PS, 18 luglio 1910 e risposta del delegato, 30 luglio 1910.
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so ben prima che le organizzazioni socialiste adottassero certi metodi di lotta. In realtà questi metodi spesso non erano altro che la politicizzazione di vecchie forme di vendetta personale. Va tuttavia notato che a differenza degli agrari le autorità di polizia di San Giovanni in Persiceto non interpretavano in chiave di reati politici i reati comuni.
Lo stesso discorso non vale però necessariamente per le autorità provinciali. Specialmente il questore rimproverava spesso al commissario di San Giovanni la mancata individuazione dei responsabili degli incendi che devastavano le proprietà degli agrari. Taluni elementi autorizzano a pensare che egli fosse sensibile agli argomenti della propaganda di parte agraria, che non di rado puntava a colpire le autorità di polizia nel loro orgoglio. Ne è un esempio la relazione parlamentare Baccheli del 1910, in cui si denuncia lo stillicidio pressoché quotidiano di case di mezzadri date alle fiamme e si accusa la questura di Bologna di non riuscire ad arginare la dilagante criminalità47. Se pochi dubbi sussistono circa i fastigi ai quali potevano assurgere le falsificazioni degli agrari, la scarsa consistenza numerica era un dato di fatto innegabile delle forze di polizia italiane in quel periodo. Si spiegherebbero su questa base i numerosi rapporti relativi a casi di incendio che i commissari di polizia o i brigadieri dei carabinieri di San Giovanni facevano puntualmente risalire a cause naturali o ignote. La mancanza di uomini e soprattutto di tempo poteva rendere inevitabile tale conclusione. Ancora una volta però i documenti attestano che il problema degli incendi e le incertezze delle forze dell’ordine sul modo di affrontarlo esistevano già nel 1901, ben prima quindi che la Federterra venisse accusata di ricorrere all’arma del boicottaggio. Può an
che darsi naturalmente che l’insufficienza di personale inducesse taluni poliziotti a smentire le denunzie di atti di violenza compiuti dai socialisti, qualora ciò servisse a nascondere la loro incapacità di tenere sotto controllo le attività delle leghe.
Benché ovviamente la materia richieda ulteriori approfondimenti, gli elementi sin qui esaminati lasciano supporre che l’atteggiamento delle autorità di polizia locali non fosse affatto uniforme, come del resto risulta dalle denunce dei giornali di parte sia socialista che agraria, ma dipendesse con ogni probabilità da circostanze particolari d’ordine personale e locale. Quest’analisi non sarebbe però completa se non prendesse in esame i gravi problemi interni delle forze dell’ordine a Bologna durante il periodo giolittiano, perché tali problemi — di ordine amministrativo e organizzativo a un tempo — hanno assai verosimilmente contribuito in misura notevole a plasmarne i comportamenti.
Di grande rilievo è qui la questione della carenza di personale, che ha già fatto capolino a più riprese in queste pagine. I documenti ci fanno sapere che gli organici della polizia erano quasi sempre ben al di sotto dei livelli stabiliti dalla legge, e che nemmeno consistenti aumenti di personale — come nel caso delle guardie di città di Bologna — bastavano a modificare sensibilmente la situazione. Agli inizi del 1910, ad esempio, il questore riferiva a Dallari che su trentadue funzionari di polizia (vicequestori, commissari, ecc.) in servizio nella sua giurisdizione territoriale, quattordici erano addetti in permanenza agli uffici amministrativi e solo diciotto risultavano disponibili per il servizio attivo. Di costoro, quattro erano troppo anziani e sei si trovavano in missione fuori provincia. Rimanevano
47 Sui particolari della relazione Baccheli e sui commenti da essa suscitati si vedano ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1911, questore a prefetto, 17 giugno 1910; “Il resto del Carlino”, 20 giugno 1910; “La squilla”, 18 giugno 1910. Si veda inoltre ASB. San G., Busta 39, 1910, questore a delegato di PS, 24 novembre 1909, per quanto riguarda la mancata individuazione delle cause degli incendi.
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quindi otto funzionari per i compiti straordinari quali la vigilanza notturna, la guardia ai teatri, ecc.48. Similmente egli si lagnava del fatto che l’organico delle guardie di città, portato da 214 a 310 unità nel 1906, era stato ridotto successivamente a 272 perché il comune non aveva i denari per garantire a tutti vitto e alloggio. Nel 1911 lo stesso funzionario asseriva che le missioni spesso riducevano la consistenza numerica delle guardie a meno della metà49. E già nel 1909 aveva fatto presente che “il personale dei carabinieri è assolutamente impari alle ordinarie e normali esigenze di servizio, tanto in città che nel circondario”50.
La carenza di organici durante tutto il periodo giolittiano è pure evidente se si guarda al gran numero di richieste di insediamento di nuove delegazioni di polizia e stazioni di carabinieri. Invero l’assenza di stabili presidi delle forze dell’ordine in certe zone rurali rendeva spesso indispensabile l’insediamento provvisorio di contingenti di polizia. L’inefficacia di tali misure appare tuttavia evidente, giacché il temporaneo trasferimento di un commissario di polizia da un’altra zo
na, tanto per fare un esempio, finiva per lasciare la sua delegazione in balìa delle leghe socialiste, e così via51.
Le carte d’archivio ci dicono che il ministro dell’Interno non era solito accogliere le richieste di rinforzi di personale e di nuovi presidi di polizia avanzate dai prefetti. E invero, a proposito dell’insediamento di una nuova delegazione di polizia a Malalbergo52, il capo della polizia rispondeva da Roma al prefetto Dall’Oglio che non c’erano fondi disponibili per la bisogna. Aggiungeva tuttavia di essere disposto a riprendere in più benevola considerazione la sua richiesta, qualora l’amministrazione comunale si fosse impegnata a provvedere agli indispensabili aspetti logistici nonché a mettere un proprio funzionario a disposizione del ministro dell’Interno53. Analogamente, in risposta alle istanze di Dall’Oglio di poter disporre di più guardie, il capo della polizia nel 1909 obiettava che la cosa non era fattibile, stante la mancanza di più di un migliaio di guardie a livello nazionale54.
La gravità della situazione bolognese sotto il profilo della consistenza numerica delle
48 ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1910, questore a prefetto, 10 gennaio 1910. È degno di nota qui che la Legge 269 del 30 giugno 1901 riduceva in effetti il numero dei funzionari di polizia in Italia di ben 250 unità. La cosa veniva ribadita in una circolare inviata a tutti i prefetti nel febbraio 1902 (si veda “Bollettino del ministro dell’Interno”, 1902), in cui Giolitti sollecitava una più efficiente utilizzazione del personale esistente e proponeva la chiusura delle delegazioni rurali di scarsa importanza.49 ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1909, questore a prefetto, 9 novembre 1909; ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, cit., 1911, questore a prefetto, 31 gennaio 1911.50 ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1909, questore a prefetto, 17 aprile 1909. Disgraziatamente non si sono reperiti dati statistici riguardanti i carabinieri. Un rapporto del prefetto Quaranta al ministro dell’Interno ci informa comunque che i nuclei rurali o suburbani più consistenti contavano tra i cinque (Corticella) e i tredici uomini (Imola); cfr. ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1914, prefetto a ministro dell’Interno, 8 settembre 1914.51 Nell’aprile 1906 a esempio il questore comunicava al prefetto che occorreva insediare una delegazione di polizia permanente a Malalbergo per fronteggiare gli scioperi agrari. Egli asseriva che il distacco temporaneo del commissario di polizia di Baricella non era affatto una soluzione, soprattutto perché la sua momentanea assenza da Bari- cella accresceva la baldanza delle organizzazioni socialiste in quest’ultima zona (ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1906, 29 aprile 1906). Analogamente, la temporanea dislocazione di un nucleo di carabinieri a Mezzolara nel 1903, grazie all’impiego di personale di altre stazioni, è un altro esempio di soluzione inadeguata al problema della insufficienza degli organici (ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1904, Comando divisione carabinieri a prefetto, 4 maggio 1903).52 Vedi nota precedente.53 ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1909, Direttore generale di PS a prefetto, 4 maggio 1906.54 ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1909, Direttore generale di PS a prefetto, 15 novembre 1909.
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forze dell’ordine risulterà evidente ove si consideri che durante le elezioni politiche generali del 1909 furono impiegati rinforzi di guardie di finanza, e che sempre in quel frangente il questore dovette ricorrere ai servigi delle “pattuglie cittadine”55. Ovviamente la cronica inadeguatezza dei corpi di polizia permanenti si scaricava sulle spalle dei rinforzi, con quali risultati è facile immaginare. Stando a Fiorentino, Giolitti fu costretto a riconoscere, di fronte ai continui “eccidi proletari”, che gli spargimenti di sangue erano dovuti principalmente all’impiego dell’esercito. Egli aggiunse (in parlamento, nel marzo 1908) di sperare che il reclutamento di nuovi carabinieri avrebbe limitato l’impiego delle truppe, ma ribadì il concetto dell’importanza del ruolo dell’esercito nella tutela dell’ordine pubblico56. Di nuovo, nel 1911, la sua idea di costituire dei battaglioni di carabinieri come alternativa alle truppe, dato l’atteggiamento più equanime dell’arma verso i dimostranti, non ebbe alcun seguito pratico57. Se ne può dunque arguire, come già s’è fatto più sopra, che uno dei motivi del costante ricorso ai rinforzi di truppa stesse nella riluttanza di Giolitti a scontentare i capi militari con l’abbandono dei metodi di repressione tradizionali.
Naturalmente il reiterato impiego di rinforzi provocava tensioni tra le autorità prefettizie e quelle militari, come Bologna chiaramente insegna. Nel 1902, ad esempio, il
comandante dei carabinieri della provincia si lagnava con il ministro dell’Interno perché la richiesta del prefetto di dislocare un contingente di un centinaio di unità di rinforzo nei comuni della fascia settentrionale non poteva essere soddisfatta per mancanza di uomini. Analogamente, nel 1908 il capo della polizia Leonardi criticava Dallari perché concentrava eccessivi rinforzi di carabinieri in certe zone senza prima consultarsi con i loro comandanti58. A migliorare la situazione non contribuiva tuttavia la generale renitenza di taluni comandanti dell’arma a collaborare con l’autorità prefettizia in materie quali l’insediamento di nuovi presidi di polizia. Quando ad esempio il sindaco di Castiglione dei Pepoli chiese al prefetto, nel dicembre 1914, di istituire una delegazione permanente in paese, visti i buoni risultati conseguiti dal commissario di polizia temporaneamente inviato a controllare le agitazioni contadine dell’estate precedente, il comandante di divisione dei carabinieri intervenne risentito per precisare che le sue forze erano più che bastanti. Nel 1902, allorché il prefetto chiese al comandante di divisione dell’arma il suo parere sulla ventilata soppressione di alcune delegazioni di polizia minori, questi suggerì di chiuderle quasi tutte, in completo contrasto con il parere del questore e dei sottoprefetti di Vergato e Imo- la59. Non si tratta in realtà che di alcuni esempi dell’annosa tradizione di rivalità esi-
55 II 17 maggio 1909 (cfr. ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1909), il prefetto comunicava al ministro dell’Interno che per le elezioni erano state utilizzate a protezione dei seggi venti guardie di finanza a Bologna e quattro a Imola, stante il numero limitato di guardie di città e di carabinieri disponibili in loco. L’8 marzo 1910 (ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1910), il questore riferiva al prefetto sull’impiego, a partire dal novembre 1909, di “pattuglie cittadine” per un totale di 555 uomini. Egli faceva tuttavia notare che a febbraio gli effettivi si erano ridotti a 118 e che il corpo non era di alcun aiuto nella lotta alla criminalità.56 F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, cit., p. 40.57 F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, cit., p. 72.58 ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1902, Comando generale carabinieri a ministro dell’Interno, 21 febbraio 1902; ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1908, direttore generale di PS a prefetto, 13 settembre 1908; per ragguagli sul conflitto tra autorità civili e militari su scala nazionale, si veda F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, cit., pp. 67-72.59 ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1914, Comando divisione carabinieri a prefetto, 3 dicembre 1914; ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1902, Comando generale carabinieri a prefetto, 26 marzo 1902.
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stente tra carabinieri e autorità civili di polizia. Tale rivalità poteva essere stata rinfocolata in quel periodo dal disegno di Giolitti di accrescere il prestigio delle guardie di città60.
Un’altra evidente ragione del mancato rafforzamento degli effettivi di polizia sotto Giolitti sta nelle difficoltà incontrate dallo statista di Dronero a reclutare nuovi agenti. Tali difficoltà traspaiono dalla legislazione, corredata da circolari governative ai prefetti, che non solo aumentava il numero dei posti disponibili ma tentava anche di incoraggiare gli agenti a rimanere in servizio con gratifiche retributive, agevolazioni di carriera, ecc. Le leggi 647 e 648 del 30 dicembre 1906, ad esempio, concedevano particolari benefici economici rispettivamente ai carabinieri e alle guardie che si raffermavano. Lo stesso anno il ministero dellTnterno diramava diverse circolari che offrivano contropartite retributive ai carabinieri operanti in stazioni con organico ridotto o fuori dalla normale sede di servizio. I rapporti concernenti l’area bolognese inducono tuttavia a concludere che il livello qualitativo degli agenti di polizia durante il periodo giolittiano non migliorasse affatto, e che ciò fosse molto verosimilmente dovuto al mancato miglioramento delle loro condizioni di lavoro ad opera del governo. Il questore era altrettanto scontento del basso livello del personale a sua disposizione quanto lo era della sua esiguità numerica. Egli ne denunciava l’apatia, l’assenteismo e l’indisciplina. Sull’ipotesi di reclutare delle guardie di città per speciali compiti di polizia, onde tacitare le lamentele dell’opinione pubblica sul dilagare della delinquenza, egli asseriva nel 1910 che il sessanta per cento degli effettivi lasciava il cor
po dopo due anni di servizio. Del rimanente quaranta per cento, almeno un terzo aveva subito troppo spesso sanzioni disciplinari. Egli dubitava dell’affidabilità di queste guardie, in quanto il fatto d’indossare abiti civili anziché l’uniforme nell’adempimento di compiti speciali poteva indurli ad approfittarne per imboscarsi durante il servizio. Né molto meglio giudicava i loro superiori, ai quali rimproverava di dare il cattivo esempio, essendo in molti casi degli ubriaconi o degli individui “psicologicamente tarati”61.
Molteplici erano i motivi dello stato di decadenza in cui versava la questura. Ovviamente la carenza di personale pesava per la sua parte. Nel suo rapporto del gennaio 1910 sui funzionari di polizia62, ad esempio, il questore rilevava come il ristretto gruppo dei funzionari attivi fosse particolarmente invidioso dei colleghi più giovani che solitamente evitavano il servizio notturno, in quanto inviati in missione fuori dai confini della provincia. Le critiche dell’opinione pubblica avevano inoltre ridotto i funzionari in uno stato di apatia. In campo nazionale, pubblicazioni come il settimanale “La tutela pubblica” testimoniano quanto fosse diffuso il risentimento per le inique normative riguardanti la progressione di carriera e il trattamento pensionistico, nonché per l’umiliante situazione retributiva. Un’altra impressione che si ricava leggendo tali pubblicazioni è che poliziotti e carabinieri ritenessero entrambi alquanto improbabile un positivo interessamento del governo alle loro rivendicazioni63. Nelle carte di polizia troviamo elementi che autorizzano a pensare che in qualche occasione il personale fosse addirittura sul punto di ammutinarsi. Valga
60 II 24 agosto 1903 Giolitti comunicava ai prefetti la sua intenzione di equiparare lo stato giuridico di guardie di città e carabinieri (“Bollettino del ministero dell’Interno”, 1903).61 ASB.GP, Cat. 2, Pratica generale di PS, 1910, questore a prefetto, 1 agosto e 12 gennaio 1910.62 Vedi pp. 20-21 e nota 48.63 “La tutela pubblica”, periodico fondato nel 1909, nel numero datato 12 maggio 1912 conteneva a esempio: un articolo di un ex-questore che denunciava le indecorose condizioni di carriera dei funzionari di polizia, rimproverando a Giolitti la sua sordità alle rivendicazioni di quella che il politico di Dronero riteneva “la parte non buona e che non merita di più” del personale di polizia; diverse testimonianze di carabinieri che esprimevano la propria
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a esempio il caso del paventato sciopero di carabinieri del 1906, per il quale Leonardi chiedeva al prefetto Dall’Oglio di verificare la fondatezza delle voci pervenutegli. Quantunque il prefetto negasse che a Bologna vi fosse un comitato di sciopero, e anzi smentisse le stesse voci di uno scontento serpeggiante tra le file dei carabinieri, i provvedimenti legislativi adottati proprio in quel torno di tempo per aumentare la retribuzione dei carabinieri operanti in condizioni di particolare disagio fanno supporre che vi fosse davvero del malcontento. Fiorentino fa altresì menzione di uno sciopero nazionale dei carabinieri nel 1910, e dell’esistenza di un profondo scontento tra i funzionari di polizia per il fatto che le gratifiche concesse dalla legge dell’agosto 1907 non erano state ancora corrisposte64. Quest’ultimo punto mette a nudo la realtà delle lentezze burocratiche che rendevano praticamente ininfluenti i sopraccitati provvedimenti legislativi. Si ricordi infine che, come notava Sciacca nel suo saggio del 1905, i carabinieri che si rifiutavano di raffermarsi venivano a trovarsi penalizzati dalle basse pensioni65. In realtà tanto Sciacca quanto Fiorentino mettono bene in evidenza come Giolitti non riuscisse a reclutare un numero sufficiente di carabinieri e di guardie, e neppure a riorganizzare la rete dei presidi di polizia su basi di maggior efficienza, sicché l’arcaico sistema dell’ordine pubblico non fu mai in grado di tener testa a un tempo alla crescita dei movimenti di massa e alla criminalità comune, la quale ultima
venne sovente trascurata per concentrare le forze sul primo obiettivo. Stando a Sciacca, i poliziotti idonei ai servizi di vigilanza erano spesso impegnati in attività sedentarie che avrebbero potuto benissimo espletare al loro posto i colleghi più anziani mandati fuori in servizio66. Ci sarebbero voluti anche sistemi di comunicazione migliori. Le stazioni dei carabinieri avrebbero lavorato meglio se fossero state in collegamento diretto con gli uffici telegrafici67. Fiorentino accenna anche alla persistente carenza di strutture idonee a elevare il grado di preparazione professionale dei poliziotti68, nonché a quello che definisce come “un’altra sorta di dualismo”, vale a dire il contrasto tra le prefetture e la direzione di polizia del ministero dell’Interno. Se i prefetti si rendevano conto dell’importanza di aggiornare il sistema della sicurezza pubblica, adattandolo ai tempi nuovi, la rigidità burocratica ai vertici impediva che ciò potesse realizzarsi69.
Quest’ultima considerazione ci rimanda alla questione generale del prefetto giolit- tiano, visto sotto il profilo dei margini di autonomia concessigli e del tipo di funzionario (politico o di carriera) prescelto per tale incarico. Dal punto di vista normativo, sembra che sotto Giolitti i prefetti divenissero, per dirla con Pierfrancesco Casula, “strumenti burocratici di massima rilevanza politica” e “immediati collaboratori del ministro” , come parrebbero confermare le innovazioni legislative di quel periodo. In base al decreto legge 26 del 2 febbraio 1902 i
amarezza per gli ingiusti meccanismi di pensionamento e di promozione, come ad esempio il fatto che mentre un ufficiale poteva congedarsi dopo vent’anni di servizio un semplice milite doveva raggiungere i quarantotto anni; un articolo di protesta contro il prolungamento di due ore dell’orario giornaliero di lavoro imposto al personale d’ordine della Questura di Bologna.64 F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, cit., p. 67.65 Gaetano Sciacca, Organici e servizi di polizia, “Nuova antologia”, vol. CXCIX, 1905, p. 327.66 G. Sciacca, Organici e servizi di polizia, cit., p. 325.67 G. Sciacca, Organici e servizi di polizia, cit., p. 328.68 F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, cit., p. 124.69 F. Fiorentino, Ordine pubblico nell’età giolittiana, cit., p. 125.
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candidati non erano più sottoposti al vaglio di una speciale commissione (come previsto per tutte le altre promozioni), e il ministro dell’Interno non era più tenuto a rispettare l’ordine gerarchico dei candidati secondo la progressione di carriera, ma poteva tener conto anche di titoli d’altro genere. Se queste disposizioni davano al primo ministro il più ampio potere nella scelta dei prefetti, le nuove misure legislative riguardanti la loro rimozione servivano più che probabilmente a tenerli bene in riga. La legge 466 del 14 novembre 1901 autorizzava il governo a tenere i prefetti “a disposizione” per un periodo massimo di sei mesi (elevato a cinque anni nel 1908) prima di collocarli in aspettativa per un anno e poi di nuovo a disposizione del governo per altri due. Per dirla nuovamente con Casula: “La disciplina dettata per l’esonero temporaneo del prefetto per ragioni di servizio veniva così ad assumere un valore dualistico, potendo essa mettere in opera un meccanismo punitivo come un meccanismo di valorizzazione”70.
Secondo Acquarone, Giolitti tendeva a scegliere prefetti di carriera per le province più importanti, in modo da estendere l’influsso dell’apparato statale nel paese. Una brillante carriera prefettizia apriva la strada a posizioni politiche eminenti, quali quelle di senatore o di ambasciatore — anziché l’esatto contrario71. L’esame dei fascicoli personali dei prefetti di Bologna dell’età giolittiana mostra come in effetti essi provenissero tutti quanti dalle file della carriera, ed è anche significativo che Caravaggio fosse nominato senatore nel novembre 1901. Fuori discussione è infine l’eccellente stato di servizio dei funzionari prescelti72.
Uno sguardo complessivo ai documenti induce comunque a concludere che se da una parte Giolitti si attendeva dai suoi prefetti un’adesione ai suoi indirizzi e alle sue regole, dall’altra dimostrava nei loro confronti una notevole pazienza, dati gli errori che inevitabilmente commettevano nell’ap- plicare le sue nuove direttive. La tesi sostenuta da taluni storici secondo cui Giolitti nominava i prefetti ispirandosi a criteri politici (Cardoza, ad esempio, afferma che Dallari subentrò a Dall’Oglio perché meno incline ad appoggiare gli agrari73) è anch’es- sa plausibile, ove si consideri l’abitudine del primo ministro ad adattare risolutamente le sue strategie alle situazioni sempre in movimento. La questione dei prefetti giolittiani merita tuttavia un esame ben altrimenti approfondito.
Quest’analisi della provincia di Bologna dimostra che Giolitti non riuscì pienamente nel suo intento di cambiare gli atteggiamenti e i metodi delle forze dell’ordine. Egli tentò di modificare la tradizionale mentalità repressiva del poliziotto senza tuttavia creare le condizioni necessarie per ottenere lo scopo. Le sue direttive semmai finirono per disorientare i responsabili periferici delle forze dell’ordine, con conseguenze spesso drammatiche. Dopo tredici anni di potere giolittiano il sistema dell’ordine pubblico non era meno in crisi di quanto lo fosse nel 1901, visto che continuava a denunciare gli stessi difetti di carenza di personale, dualismo e rivalità tra i corpi, scarsa efficienza operativa, ecc. La politica giolittiana dell’ordine pubblico era altresì viziata in parte dal fatto che il suo appoggio alle rivendicazioni dei lavoratori era piuttosto tiepido e
70 Pierfrancesco Casula, I prefetti nell’ordinamento italiano. Aspetti storici e tipologici, Milano, Giuffrè, 1972, pp. 104-112 e 139-145.71 A. Acquarone, Tre capitoli sull’Italia giolittiana, cit., pp. 60-61.72 ACS, PS, Personale fuori servizio, Busta 241, f. 4791, Caravaggio; Busta 471, f. 11153, Ferrari; Busta 531, f. 14270, Dall’Oglio; Busta 775, f. 11750, Dallari.73 A. Cardoza, Agrarian Elites, cit., pp. 113-114.
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spesso del tutto incompatibile con i suoi interessi elettorali, motivo che spiega il ruolo alquanto ambiguo del prefetto a livello provinciale. Egli mirava a tenere in scacco il movimento socialista: la sua politica sociale era intesa a smorzare il potere d’attrazione delle forze rivoluzionarie, ma quando le cose si mettevano male era inevitabile che si tornasse ai tradizionali sistemi di repressione o poco meno.
La sconfitta politica di Giolitti nell’aprile 1914, e la sostituzione di Dallari con Quaranta, fedele a Salandra, nell’agosto successivo, rispondevano all’aspirazione delle classi dominanti a porre fine alla mediazione governativa nei conflitti del lavoro e a imbrigliare il potere dei sindacati, come difatti
accadde all’indomani del massacro di Guarda74 e con l’entrata in guerra nel maggio 1915, allorché il diritto di sciopero venne più o meno abolito per tutta la durata del conflitto. A mo’ di conclusione si potrebbe avanzare l’ipotesi che l’incipiente fenomeno dell’autodifesa degli agrari nelle vertenze di lavoro, con la connivenza di singoli appartenenti alle forze dell’ordine, possa aver rappresentato una sorta di prova generale per il successivo dopoguerra, quando il movimento fascista avrebbe fornito la soluzione al problema della rinnovata libertà d’azione dei socialisti, espressasi con l’occupazione delle terre da parte dei contadini.
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74 Cfr. nota 42.
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