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articolo_educazione_rousseau.docEDUCAZIONE. Giornale di pedagogia
critica, I,1 (2012), pp. 73-94 ISSN 2280 - 7837 © 2012 Edizioni
Anicia, Roma, Italia
Giugno 1762. Rousseau in fuga Emma Nardi
Dipartimento di Progettazione educativa e didattica Via Madonna dei
Monti 40 - 00184 Roma Università Roma Tre -
[email protected]
Nel 2012 ricorre un duplice anniversario: quello della nascita di
Jean-Jacques Rousseau, che vide la lu- ce a Ginevra il 28 giugno
1712, e quello della pubbli- cazione dell’Emilio, avvenuta il 22
maggio 1762. La rivista Educazione, che prende avvio nel giugno
2012, dedica un omaggio a Rousseau ricostruendo le difficili
giornate che seguirono alla condanna dell’Emilio, nel giugno di 250
anni fa.
Émile ou de l’éducation è l’opera con la quale l’in- fanzia esce
dal limbo della “non adultità” per diventare una fase della vita
con caratteristiche proprie. Questo libro rivoluzionario suscitò
reazioni contrapposte, dal- l’ammirazione fanatica del pubblico
alla riprovazione senza appello delle autorità. La condanna
dell’Émile rappresenta un punto nodale nella vita di Rousseau, che
è costretto ad abbandonare casa e famiglia per affron- tare un
percorso costellato di rifiuti. Ripercorrere le sue peregrinazioni
nel drammatico giugno 1762 consente di capire gli sviluppi del suo
pensiero e i suoi atteg- giamenti futuri nei confronti di un’opera
«scritta per compiacere una buona madre in grado di
pensare»1.
1 J.-J. Rousseau, Emilio o dell’educazione, Edizione completa
a
cura di E. Nardi, Firenze, La Nuova Italia, 1999, p. 3.
Emma Nardi
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La mattina dell’8 giugno 1762 Rousseau, come al solito, si era
svegliato all’alba. Aveva scostato le pe- santi cortine di indiana
che proteggevano il suo letto dal freddo della notte, si era
infilato la veste da camera ed aveva tirato il berretto di lana
fino a coprirsi la fron- te e le orecchie. La casa era ancora
immersa nell’inti- mità notturna, le imposte chiuse, il focolare
spento con la cenere del giorno prima e qualche ramo contorto e
annerito. Presto anche Thérèse si sarebbe alzata. Con pochi gesti
sicuri avrebbe acceso il fuoco per scaldare il bricco del latte
che, con un po’ di pane e qualche frutto, costituiva il loro pasto
del mattino. Poi avrebbe preparato la pentola d’acqua in cui una
libbra di carne e una cipolla irta di chiodi di garofano avrebbero
len- tamente bollito fino all’ora del desinare, riempiendo la
stanza di un profumo rassicurante e familiare2.
Rousseau aprì le imposte. In quella primavera a- vanzata, l’aria
era ancora fresca, ma la natura fremeva in un tripudio che
preludeva all’estate. Gli uccelli ave- vano già incominciato a
cantare e una lieve brezza agi- tava le fronde degli alberi. La
giornata si annunciava limpida. Presto il sole avrebbe cominciato a
riscaldare la terra e la foresta di Montmorency, che Rousseau po-
teva scorgere dalla sua finestra, sembrava invitarlo alla sua
passeggiata quotidiana. Camminare tra il fitto degli alberi verso
gli squarci di luce che indicavano le radure gli era divenuto
indispensabile. Camminando il suo pensiero si accendeva, come se il
ritmo dei passi desse ordine e rigore logico alle idee, che
annotava poi su
2 Tutti i dettagli della vita quotidiana di Rousseau citati
nel-
l’articolo sono documentati nella corrispondenza e nelle opere
autobiogra- fiche. Per la cronologia ho consultato R. Trousson - F.
S. Elgeldinger, Jean-Jacques Rousseau au jour le jour. Chronologie,
Paris, Honoré Champion, 1998.
Giugno 1762. Rousseau in fuga
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carte da gioco. Doveva sempre averne qualcuna in ta- sca, perché la
sua scarsa memoria non gli consentiva di ricordare l’articolazione
degli argomenti che, mentre camminava, si componevano nella sua
mente, con l’armonia di una partitura musicale. La natura, poi, lo
incantava in ogni stagione per lo spettacolo sempre di- verso che
offriva ai suoi occhi. Gli piaceva ascoltare il suono del vento tra
le piante, il fruscio dei suoi passi sull’erba, i versi lontani
degli animali che popolavano numerosi la foresta. Non li temeva,
perché non crede- va, come i suoi presunti amici affermavano, che
fosse pericoloso inoltrarsi da solo in luoghi selvaggi e privi di
qualsiasi testimonianza della mano dell’uomo. Anzi, era convinto
che l’apparente ferocia dei lupi derivasse dalle leggi stesse della
sopravvivenza e che, in quanto tale, fosse necessaria e addirittura
benefica per la con- servazione della grande macchina della natura.
Non si trattava di una crudeltà che, come quella degli uomini,
scaturiva dal desiderio di prevaricare i propri simili, di colpirli
attraverso la calunnia, di annientarli distrug- gendone l’immagine
pubblica e privata. La relazione a tre con l’amata Madame de Warens
e il parrucchiere Wintzenried sfumava nei ricordi lontani di una
giovi- nezza avventurosa. Aveva solo 26 anni allora e tutto il
mondo ancora davanti. Tuttavia gli accadeva di pensa- re con timore
ai cinque figli abbandonati, nati dalla re- lazione con Thérèse
che, davanti ai numerosi ospiti che lo visitavano, si ostinava a
far passare per la sua go- vernante. Che cosa sarebbe accaduto se
queste notizie scandalose fossero trapelate proprio ora che si
atteg- giava a grande educatore? Sarebbe stato sufficiente di-
chiarare che lo aveva fatto nello spirito di Platone che
considerava compito della repubblica provvedere all’e- ducazione
delle nuove generazioni? In quei pensieri inquieti ma confusi c’era
forse il presentimento di ciò
Emma Nardi
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che l’odiato Voltaire avrebbe osato fare un paio d’anni dopo:
rivelare al vasto pubblico, con una battuta ful- minante, che
Rousseau si era sbarazzato dei figli per fare di Emilio un
falegname. La boutade fece ridere mezza Francia e non poteva
esserci nulla di più deva- stante di una risata di scherno per un
carattere come quello di Rousseau.
Scese a piano terra e Turc gli corse incontro sco- dinzolando.
Rousseau lo accarezzò sulla testa mentre, come al solito, ricordava
con una fitta di imbarazzo perché gli aveva cambiato nome. Quando
lo aveva ac- colto in casa, gli era sembrato che avesse un
portamen- to così fiero e maestoso da meritargli di essere chiama-
to Duc. Poi il timore di offendere qualche suo illustre visitatore
lo aveva indotto a ripiegare su un nome me- no impegnativo. Ancora
adesso provava un rabbioso stupore ricordando come avesse ceduto a
una precau- zione da cortigiano indegna di chi, in un paese di sud-
diti come la Francia, aveva il coraggio di definirsi or-
gogliosamente “cittadino di Ginevra” nel frontespizio di ogni sua
opera. Ma doveva arrendersi all’evidenza: neppure il suo angoscioso
bisogno di assoluto poteva sempre prescindere dalle regole di una
società rigida- mente gerarchica.
Si sedette alla sua scrivania. La vecchia gatta Mi- nette spuntò
silenziosamente dal nulla e gli saltò in grembo strofinandoglisi
addosso con garbo. Turc corse ad accovacciarsi ai suoi piedi,
mentre la gatta lo osser- vava con sdegnosa sufficienza dalla sua
posizione pri- vilegiata. Accarezzando distrattamente Minette,
Rous- seau riprese in mano la lettera che madame de Créqui gli
aveva scritto alcuni giorni prima. Lei sì che era una cara e fedele
amica! Aveva anche lei i suoi torti, che derivavano però da una
sollecitudine eccessiva e certo non dal desiderio di ferirlo. Lo
irritava, per esempio,
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quando gli mandava i suoi doni troppo generosi. Come avrebbero
potuto lui e Thérèse, con le loro abitudini frugali, consumare da
soli le quattro grosse pollastre del Mans che madame de Créqui
aveva inviato loro lo scorso Natale? Queste gran dame non capivano
che per lui era umiliante accettare doni che, data la sua preca-
ria condizione economica, non avrebbe potuto ricam- biare. Ma
madame de Créqui andava perdonata per la comprensione che gli
dimostrava, per il suo ruvido af- fetto, per la pazienza con cui
accettava i suoi scatti di impazienza. Per questo l’aveva inclusa
nell’elenco del- le persone alle quali voleva far pervenire una
copia dell’Emilio appena pubblicato. E la sua vecchia amica, non
appena aveva ricevuto i tre volumetti in ottavo, si era subito
immersa nella lettura e, arrivata alla fine, si era affrettata a
scrivergli le sue impressioni. «Ho letto il vostro romanzo
sull’educazione. Lo chiamo così perché mi sembra impossibile
realizzare il vostro me- todo. Tuttavia vi è molto da imparare, su
cui meditare e trarre profitto. Mi ha fatto venire dei dolori di
nervi insopportabili: è il miglior segno del mondo per la vo- stra
opera. Quando ciò che leggo non mi fa stirare il naso, vuol dire
che il testo è freddo; ma quando non riesco a muovere le zampe,
quando mi si strizzano gli occhi e, soprattutto, quando mi sento
tirare la punta del naso, allora vuol dire che mi trovo di fronte
ad uno sti- le superiore: ecco dunque lo stato in cui mi trovo al
momento e che non vi rimprovero perché, pur preve- dendo il
pericolo, ho accettato di espormici»3. Madame
3 J.-J. Rousseau, Correspondance complète, édition critique éta-
blie et annotée par R. A. Leigh, Genève - Madison - Oxford,
Institut et Musée Voltaire - The University of Wisconsin Press -
Voltaire Foun- dation, voll. I-LI, 1967-1995. D’ora in avanti
l’opera sarà citata come CC. La citazione è tratta dal volume XI,
1823. La traduzione dei passi tratti dalle lettere è curata
dall’autrice.
Emma Nardi
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de Créqui aveva intuito lo sforzo che il libro gli era co- stato.
«Se i miei nervi soffrono tanto nel leggervi – gli aveva detto – i
vostri devono lacerarsi a scrivere»4. Ed era vero. Mai un suo
scritto aveva avuto una gestazio- ne tanto lunga e complessa. Per
più di vent’anni aveva meditato, in circostanze e da punti di vista
diversi, sul- le pratiche educative del suo tempo. Giovane
precetto- re, si era scontrato con l’arroganza e la stupidità dei
nobili allievi che gli erano stati affidati; più tardi, quando
aveva ormai raggiunto la celebrità, era stato pregato da madri
sollecite di indicar loro la strada di un’educazione riuscita.
Aveva poco più di vent’anni, quando aveva scritto la sua prima
memoria su questo argomento, sul quale gli intellettuali del suo
tempo tan- to parlavano senza però mai osare staccarsi da una tra-
dizione ormai obsoleta. Era tempo che qualcuno avesse il coraggio
di smantellare le mistificazioni sociali, di dire ad alta voce che
i privilegi della nascita e del censo non sarebbero stati garantiti
in eterno e che era dunque necessario pensare a riscoprire,
attraverso l’educazio- ne, la vera natura dell’uomo, il suo
carattere universa- le, il valore individuale di ciascuno. Si
compiaceva della passione con cui aveva espresso questa sua idea
fissa, lui che aveva rifiutato una pensione del re di Francia e si
vantava di procacciarsi da vivere copiando musica: «Adattate
l’educazione dell’uomo all’uomo e non a tutto ciò che l’uomo non è.
Non vi rendete conto che dedicando tutti i vostri sforzi a formarlo
esclusi- vamente per uno stato, lo rendete inutile a tutti gli
altri; e che, se la fortuna lo decide, non avrete provveduto che a
renderlo infelice? Che cosa può esservi di più ri- dicolo di un
gran signore ridotto in miseria che conser- va, nella nuova
condizione, i pregiudizi della nascita?
4 Ibidem.
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Che cosa può esservi di più meschino di un ricco im- poverito che,
ricordando il disprezzo con cui si consi- dera la povertà, pensa di
essere diventato l’ultimo degli uomini? Come unico mezzo di
sostentamento, al primo resta il mestiere di pubblico lestofante,
al secondo quello di viscido valletto e ad entrambi il motto: debbo
pur vivere»5. Nella speranza di dar un sia pur fugace brivido di
paura ai suoi illustri lettori, aveva continuato con tono
messianico annunciando niente meno che una rivoluzione. In fondo
non era passato tanto tempo da quando in Inghilterra avevano osato
tagliare la testa a un re: «Voi confidate nell’ordine attuale della
società, senza pensare che questo ordine può essere sconvolto dalle
rivoluzioni e che vi è impossibile prevedere o e- vitare quella che
potrebbe riguardare i vostri figli. Il grande diventa piccolo, il
ricco diventa povero, il so- vrano diventa suddito: i rovesci di
fortuna sono forse così rari che voi possiate confidare di esserne
esenti? Ci avviciniamo allo stato di crisi e al secolo delle rivo-
luzioni. Tutto ciò che gli uomini hanno fatto gli uomini possono
distruggerlo: le uniche caratteristiche inalie- nabili sono quelle
impresse dalla natura, e la natura non crea né prìncipi, né ricchi,
né gran signori»6. Edu- cazione e politica sono due facce della
stessa moneta, l’Emilio ed il Contratto sociale erano per lui opere
complementari. Lo aveva scritto con chiarezza al suo editore
parigino quando, subito dopo la pubblicazione dell’Emilio, si
preoccupava di non aver ancora ricevuto il Contratto sociale:
«Quest’opera, citata più volte nel- l’Emilio che ne contiene anche
un estratto, deve esser- ne considerata come una sorta di
appendice: le due o-
5 J.-J. Rousseau, Emilio o dell’educazione, edizione completa
a
cura di E. Nardi, Firenze, cit., p. 222. 6 Ibid., p. 223.
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pere formano un insieme unico»7. Proprio per questo si era
rifiutato di far cancellare il suo nome dal frontespi- zio di
un’opera che – se ne rendeva perfettamente con- to – non sarebbe
mai potuta circolare in Francia. Del resto, al contrario dei suoi
amici che temevano per lui, Rousseau si sentiva perfettamente
sicuro: «Sono con- sapevole, quanto alla mia persona, alla mia
condotta, ai miei discorsi, all’ubbidienza e al rispetto che devo
al governo e alle leggi del paese in cui vivo, e sarei deso- lato
se, sotto questo rispetto, vi fosse un francese che osservasse i
suoi doveri meglio di me. Ma quanto ai miei principi di dottrina,
in quanto cittadino di una re- pubblica che stampa il suo libro in
una repubblica8, non c’è in Francia né magistrato, né tribunale, né
par- lamento, né ministro, né il re in persona che sia in di- ritto
di interrogarmi e di chiedermi di renderne conto. Se si considera
il libro nocivo per il paese, che se ne vieti l’ingresso, se si
considera che io abbia torto, che mi si confuti: ma questo è
tutto»9. Aveva scritto quelle frasi orgogliose il 23 maggio, ma già
il primo giugno Malesherbes, responsabile della censura sulle
pubbli- cazioni, fece sospendere la vendita dell’Emilio e se-
questrarne le copie superstiti. Eppure un avvocato del tribunale di
Rouen che corrispondeva con lui da molti anni, il 4 giugno invia a
Thérèse un breve messaggio in cui si scorge l’allarme dell’uomo di
legge: «Mademoi- selle, sono venuto a conoscenza di notizie
allarmanti a proposito dell’Emilio. Mi affretto a segnalarvi che ho
qui vicino una casetta libera. La offro con tutto il cuore all’uomo
che amo e stimo, e a voi. Il soggiorno vi è as-
7 CC, X, 1790. 8 Il Contratto sociale fu pubblicato ad Amsterdam,
quindi nella
Repubblica dei Paesi Bassi. 9 CC, X, 1809.
Giugno 1762. Rousseau in fuga
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sai piacevole e potrete mantenere l’incognito che desi- derate.
Possa essere un falso allarme! È un’idea del vo- stro amico
Prémagny»10. Rousseau continua a negare l’evidenza del pericolo. Il
5 giugno scrive al suo edito- re che non pubblicherà più nulla dopo
l’Emilio, ma che non ha intenzione di tagliare la Professione di
fede del vicario savoiardo. E aggiunge: «Si dice che il Parla-
mento ha intenzione di perseguire l’autore [dell’Emi- lio], ma io
non penso che un corpo tanto saggio e illu- minato possa commettere
una tale sciocchezza»11. Il 7 giugno comincia ad ammettere con il
suo amico gine- vrino Moltou che un procedimento a suo carico po-
trebbe aver luogo, ma continua a pensare che non vi sia ragione per
fuggire: «Mi si continuano a offrire dei ri- tiri ma, visto che non
mi si danno per accettarli ragioni che mi sembrino valide, resto:
il vostro amico Jean- Jacques non ha mai imparato a
nascondersi»12.
Consumata la sua frugale colazione, Rousseau si sedette alla sua
scrivania. Ogni giorno gli diventava più gravoso rispondere a tutti
gli oziosi che si rivolge- vano a lui con le più strane richieste,
da quando era di- ventato un autore alla moda. Quel giorno,
inoltre, molti pensieri gravavano sulla sua mente. La pubblicazione
dell’Emilio, con tutto lo scalpore che stava suscitando, lusingava
la sua vanità d’autore. Ricordava con un sor- riso soddisfatto il
messaggio che aveva ricevuto da madame de Luxembourg, la sua
potente protettrice, al- la quale aveva mandato una copia del
trattato sull’e- ducazione, preziosamente rilegata in marocchino
rosso. Persino lei, abituata da sempre al lusso, si era meravi-
gliata della raffinatezza di quel regalo: «Siete molto
10 CC, XI 1828. 11 CC, XI 1830. 12 CC, XI 1835.
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generoso e fate davvero tanti doni, proprio voi che non volete mai
riceverne»13 . Non poteva capire, la gran dama, che cosa fosse
l’orgoglio di un uomo, social- mente equiparato a un valletto,
quando poteva mostra- re non solo il genio della sua opera ma anche
la squisi- tezza del suo gusto. D’altra parte si esaltava all’idea
di aver assunto un tono così drastico rispetto alla minac- cia di
un imprigionamento. Risponde sullo stesso tono anche a madame de
Créqui, che lo scongiura di fuggi- re, ma si affretta a togliere il
sigillo da tutte le lettere ricevute da una corrispondente che non
voleva com- promettere, nel caso le sue carte fossero state
confisca- te. Afferma con sicurezza di non aver nulla da temere, ma
ammette che è pronto a sacrificarsi per la verità. Del resto non
era già dal 1759 che aveva scelto il mot- to vitam impendere vero?
Nelle Confessioni ripercorre- rà il suo stato d’animo di quel
giorno fatidico: «Aspet- tavo tranquillamente gli eventi, certo
della mia dirittura e della mia innocenza in tutta quella faccenda
e, qual- siasi persecuzione mi fosse inflitta, ben felice di essere
chiamato all’onore di soffrire per la verità. Lungi dal temere e
nascondermi, mi recavo tutti i giorni al Ca- stello e facevo tutti
i pomeriggi la mia passeggiata abi- tuale»14.
Dopo aver lungamente divagato, si concentrò e compose un breve
messaggio pieno di dignità per ri- spondere ad una lettera ricevuta
da La Popelinière: «No, Monsieur, i libri non correggono gli
uomini, lo so bene. Nello stato in cui sono, quelli cattivi li
peggiore-
13 CC, X, 1786. 14 J.-J. Rousseau, Œuvres complètes, voll. I-V,
Bibliothèque de
la Pléiade, Paris, Gallimard, 1964-1995. D’ora in avanti l’opera
sarà citata come ŒC. La citazione è tratta dal volume I, p. 579. La
tradu- zione dei passi tratti dalle Œuvres complètes è curata
dall’autrice.
Giugno 1762. Rousseau in fuga
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rebbero, se fosse possibile, senza che quelli buoni riu- scissero a
migliorarli. Ecco perché, prendendo in mano la penna, non mi sono
mai ingannato sull’inutilità dei miei scritti, ma ho dato
soddisfazione al mio cuore, rendendo omaggio alla verità. Parlando
agli uomini per il loro bene reale, rendendo gloria a Dio,
strappando ai pregiudizi del vizio l’autorità della ragione, mi
sono messo in condizione, al concludersi della mia vita, di rendere
conto all’autore della mia esistenza dei talenti che mi ha
accordato. Ecco, Monsieur, tutto ciò che po- tevo fare; nient’altro
dipendeva da me. Del resto ho concluso il mio breve compito; non ho
più nulla da dire e taccio. Me felice, Monsieur, se presto
dimenticato dagli uomini e tornato nell’oscurità che mi si addice,
vi con- servo ancora un posto nella vostra stima e nel vostro
ricordo»15. In questo messaggio toccante si intrecciano temi cari a
Rousseau: la contrapposizione tra la malva- gità degli uomini e la
sua personale rettitudine, l’idea ricorrente della morte, la
conclusione della sua carriera di autore. Queste parole sono le
ultime (per quello che si sa) che Rousseau scrisse prima
dell’esilio.
Come tutti i giorni, il pomeriggio dell’8 giugno Rousseau fece la
sua solita passeggiata. Lo accompa- gnavano due padri oratoriani,
il padre Alamanni e il padre Mandard. Percorsero la foresta di
Montmorency fino al luogo dove oggi sorge il forte omonimo. Ave-
vano portato con sé una merenda che fu consumata con grande
appetito. In mancanza di bicchieri, i tre uomini bevvero il vino
dalla bottiglia, usando cannucce di se- gale e facendo a gara a
scegliere le più larghe per berne di più. Nelle Confessioni
l’episodio è raccontato con una nota di allegria forzata. Rousseau
voleva forse convincersi del suo stoicismo repubblicano e
recitava
15 CC, XI, 1842.
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una parte, proprio lui che si vanterà di scrivere, con la sua
autobiografia, l’unico ritratto di uomo mai dipinto secondo natura
e in tutta la sua verità.
Quella giornata pesante e piena di minacciosa in- certezza era
giunta al termine. Come sempre, Rousseau faticava ad addormentarsi.
Per cercare di trovare il sonno, lesse come di consueto alcune
pagine della Bibbia che, in questo modo, era giunto a rileggere
cin- que o sei volte. Quella notte era arrivato al racconto del
Levita di Efraim. Poco a poco le palpebre gli si appe- santirono.
Allora spense la candela e si assopì, mentre le immagini di ciò che
aveva letto gli attraversavano la mente. Il suo torpore fu
bruscamente interrotto da una luce e dal suono di una voce. Thérèse
illuminava con la sua candela La Roche, uomo di fiducia di madame
de Luxembourg. Che cosa poteva essere accaduto per sve- gliarlo nel
cuore della notte? Rousseau comprese subi- to e si rese conto che
era giunto il momento di mettere alla prova le virtù repubblicane
di cui si era tante volte vantato. Madame de Luxembourg lo
scongiurava di andare immediatamente da lei, che aveva appena rice-
vuto una lettera allarmante dal potente monsieur de Conti. Non
c’era un attimo da perdere: doveva mettere in salvo le sue carte e
partire. Rousseau aveva sempre affermato che non si sarebbe
nascosto, che non si sa- rebbe messo in fuga. Come contraddirsi
proprio ora che era giunto il momento di mettere in atto le sue
fiere risoluzioni? Gli occorreva una motivazione nobile e generosa.
La trovò nella sua amicizia per i Luxem- bourg. Sarebbe partito per
non metterli in difficoltà, per evitare loro l’accusa di ospitare
un sedizioso. Erano le due del mattino del 9 giugno 1762.
Ebbero così inizio ore frenetiche in cui, come in un sogno,
Rousseau passò in rassegna le sue carte per decidere quali
distruggere e quali conservare. Attraverso
Giugno 1762. Rousseau in fuga
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quei documenti, gli scorreva tra le mani tutta la sua vita. Non
immaginava ancora che, due anni dopo, a seguito della pubblicazione
dell’infame libello Sentiment des citoyens che Voltaire aveva
pubblicato anonimo per diffamarlo, si sarebbe deciso a scrivere la
propria auto- biografia costruendola sulle carte che, in quel
momen- to drammatico, decise di salvare dalla distruzione.
Intanto nella Camera Alta del Parlamento di Pari- gi, si svolgeva
la requisitoria del procuratore Omer Joly de Saint Fleury che, in
particolare, accusò Rous- seau di educare gli uomini allo
scetticismo e alla tolle- ranza. Il Parlamento ravvisò nell’Emilio
tre reati prin- cipali: Rousseau vi sottomette la religione
all’esame della ragione e non accetta l’indiscutibilità dei dogmi,
aggiunge all’empietà aspetti indecenti che offendono il pudore,
attribuisce un carattere falso ed odioso all’au- torità del
sovrano. In altri termini i giudici considera- rono che l’Emilio
ledeva principi religiosi, sociali e po- litici. Nella sentenza si
stabilì che il libro dovesse essere pubblicamente lacerato e
bruciato ai piedi dello scalone del Palazzo di Giustizia; vi si
ordinava inoltre l’arresto di Rousseau perché potesse essere
interrogato dai giudici. La sentenza fu eseguita il venerdì 11 giu-
gno. Come il condannato al rogo veniva spogliato pri- ma di essere
legato al palo del supplizio, così il libro doveva essere strappato
prima di essere bruciato 16 . Rousseau commentò così quest’usanza:
«I membri del Parlamento dicevano apertamente che non si risolveva
un bel niente bruciando i libri, quando si sarebbero do- vuti
bruciare gli autori»17.
16 Sulle vicende della condanna dell’Emilio, cfr. E. Nardi,
«Emi-
lio o del paradosso», in J.-J. Rousseau, Emilio o dell’educazione,
Edi- zione completa a cura di E. Nardi, cit., pp. X-XI.
17 ŒC, I, p. 576.
Emma Nardi
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Le sue carte erano così numerose che non era riu- scito a smistarle
tutte per decidere quali conservare e quali distruggere. Monsieur
de Luxembourg gli promi- se di finire lui stesso quel lavoro. Alle
quattro del po- meriggio Rousseau è pronto a lasciare Montmorency.
Madame de Boufflers avrebbe voluto che si rifugiasse in Inghilterra
ed aveva scritto a David Hume, con cui corrispondeva da tempo,
perché lo accogliesse. Tanti amici diversi gli avevano offerto le
loro case, ma il suo desiderio era di avvicinarsi al paese natale,
che aveva lasciato ormai da tanto tempo. Non si illudeva di es-
servi ben accolto, viste le reazioni negative che aveva suscitato
la pubblicazione di alcuni suoi libri, in parti- colare il Discorso
sull’ineguaglianza e la Nuova Eloi- sa. Riteneva tuttavia che la
situazione più dignitosa per il “cittadino di Ginevra” fosse
proprio quella di tornare in patria.
La separazione da Thérèse, che avrebbe dovuto raggiungerlo solo
dopo che egli avesse trovato una si- stemazione, fu composta.
Thérèse restava per vegliare sulla sorte delle povere cose che
Rousseau lasciava dietro di sé, visto che la sentenza d’arresto
comportava anche il sequestro dei beni del condannato. Rousseau non
le disse dove fosse diretto, per preservarla da qual- siasi
pericolo, nel caso avessero voluto interrogarla. Monsieur de
Luxembourg, pallido come un morto, vol- le accompagnarlo
personalmente fino alla porticina della recinzione del parco, oltre
la quale lo aspettava una carrozza. Nel lungo abbraccio con cui si
salutarono c’era per entrambi la consapevolezza che non si sareb-
bero incontrati mai più.
Appena partito, Rousseau incrociò una carrozza dalla quale quattro
uomini vestiti di nero lo salutarono rispettosamente. Erano le
guardie inviate ad arrestarlo, che evitarono così senza scrupoli
una corvée sicura-
Giugno 1762. Rousseau in fuga
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mente spiacevole. Inizia così un esilio che sarebbe du- rato otto
anni e che lo avrebbe visto errare da Yverdon a Môtiers, dall’Isola
Saint-Pierre a Wootton, da Trye a Bourgoin-Monquin.
Già il primo giorno di viaggio Rousseau sente in lui un’ispirazione
poetica. Ricorda la lettura delle pa- gine della Bibbia della notte
precedente e, di getto, compone il Levita d’Efraim, in uno stile
ispirato agli Idilli di Gessner. Nelle Confessioni si vanterà di
essere riuscito a scrivere un poema in prosa, proprio nelle prime e
più laceranti ore del suo esilio. Per tutta la vita considererà il
Levita, cupa storia di ingiustizia e ven- detta, come una delle sue
opere preferite.
Appena attraversata la frontiera tra la Francia e la Svizzera,
Rousseau si abbandona a un gesto teatrale. Scende dalla carrozza,
si inginocchia e bacia la terra esclamando: «O Cielo protettore
della virtù, io ti lodo perché tocco una terra libera»18. La sua
prima tappa è Yverdon, dove lo accoglie il suo amico Daniel Roguin
e tutta la sua famiglia. In particolare Rousseau si legò alla
nipote di Roguin, madame Boy La Tour con cui ebbe una lunga
corrispondenza. Apprezzandone il sen- so pratico – rimasta vedova,
la donna gestì con succes- so la casa di commercio che il marito le
aveva lasciato –, Rousseau le affidò una somma di mille scudi che
sa- rebbe poi stata ritirata da Thérèse. Durante il suo sog- giorno
a Môtiers, la incaricò spesso di fare per lui ac- quisti che
denotano una certa coquetterie di Rousseau per i suoi abiti e la
sua straordinaria conoscenza di termini tecnici: «Ho già due
cinture, ma me ne servono altrettante. Non si potrebbero trovare
cinture di seta tessuta a bucine come le reti dei pescatori? Sono
le più belle e le più pratiche. Se non si possono trovare, si
18 ŒC, I, p. 587.
Emma Nardi
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dovrebbe comprare un tessuto di seta tra quelli meno soggetti a
sfilacciarsi e che avesse una qualche consi- stenza, come per
esempio la pou de soie19 o qualcosa di simile; se neanche questi
sono disponibili, si potrebbe prendere un tessuto in diagonale o
una sargia di seta, per quanto siano un po’ sottili per farne una
cintura. Ogni cintura dovrebbe essere lunga un’auna e mezzo20 e,
visto che si devono pieghettare come le sciarpe, bi- sogna
utilizzare tutta l’altezza della stoffa; alle estremi- tà di ogni
cintura, deve essere cucita una frangia di quattro dita; manca
anche, per ogni berretto, una nappa dello stesso colore»21.
Daniel Roguin e la sua famiglia accolgono Rous- seau con bontà.
Attorno all’esule si stringono madame Boy La Tour e sua figlia
Madeleine, due donne impor- tanti per il futuro. La madre affitta a
Rousseau la casa di Môtiers che egli occuperà dal 10 luglio 1762
all’8 settembre del 1765. In questo periodo, nonostante a- vesse
dichiarato di voler abbandonare la penna, la ne- cessità di
difendere il suo nome, lo indusse a comporre varie opere, in
particolare la Lettera a Christophe de Beaumont e le Lettere
scritte dalla montagna. Il suo lavoro letterario è inframezzato da
lunghe passeggiate in montagna, nel corso delle quali prende forma
la sua passione per la botanica.
Madeleine, sedicenne al momento del suo primo incontro con
Rousseau, si sposerà e avrà otto figli. Per lunghi anni Rousseau
corrisponderà con lei, chiaman- dola affettuosamente “Cugina”,
lodandone le doti di madre e dandole consigli sull’educazione che
ripren-
19 Il termine non figura nel Dictionnaire de la langue
française
pubblicato dall’Académie nel 1762. 20 L’auna corrispondeva a circa
centoventi centimetri. 21 CC, XIII, 2160.
Giugno 1762. Rousseau in fuga
89
dono temi cari all’Emilio: «Non lo ripeterò mai abba- stanza. Una
buona educazione deve essere puramente negativa. Si tratta meno di
fare che di impedire; il vero maestro è la natura e l’altro non fa
che scostare gli o- stacoli che potrebbero contrariarla»22. Eppure,
contrad- dittorio come spesso gli accade di essere, regala alla
maggiore dei figli di Madeleine, la piccola Madelon, una copia
delle Favole di La Fontaine, l’opera che, nel trattato
sull’educazione, giudicava totalmente inadatta ai bambini.
Proprio Madelon è però la destinataria di un piccolo capolavoro
didattico, composto da Rousseau su richiesta della Cugina: le
Lettere sulla Botanica23. Quest’opera fu composta da Rousseau
quando, dopo otto anni di e- silio, tornò a Parigi e si stabilì
nella strada che oggi porta il suo nome. Era il periodo in cui,
finita la stesura delle Confessioni, si dedicò al compito, da lui
definito molto doloroso, di comporre i Dialoghi. Il suo tempo era
inoltre occupato dall’attività di copista di musica, della quale
viveva, e dalla botanica, passione tardiva in cui però manifestò
una volta di più il suo molteplice ta- lento. Se i botanici del
reale Jardin des Plantes si af- fannavano a inventare un sistema di
nomenclatura che ormai nessuno più segue, il dilettante Rousseau
capì immediatamente la genialità del sistema binomiale messo a
punto da Linneo. In una lettera che gli rivolse nel 1771 si esprime
così: «Ricevete con bontà, Mon- sieur, l’omaggio di un
incompetentissimo ma zelantis- simo discepolo dei vostri discepoli,
che deve in gran
22 CC, XXXIX, 7047. 23 Per le Lettere sulla Botanica, cfr. E.
Nardi, «Un esempio di
scrittura didattica: le Lettere sulla Botanica», in Ead., Oltre
l’Emilio. Scritti di Rousseau sull’educazione, Milano, Franco
Angeli, 2005, pp. 135-186.
Emma Nardi
90
parte alla meditazione dei vostri scritti la tranquillità di cui
gode, al centro di una persecuzione tanto più crude- le quanto è
più nascosta e perché copre con la masche- ra della benevolenza e
dell’amicizia l’odio più feroce che l’inferno abbia mai
provocato»24. Erano gli anni in cui la mania di persecuzione di
Rousseau si era accen- tuata e l’idea di un complotto ordito ai
suoi danni gli sembrava sempre più concreta. Le passeggiate fuori
città, l’osservazione della natura, la costituzione di pic- coli
erbari che destinava alla vendita servivano a di- strarre la sua
mente. È in questo contesto che si inseri- sce la stesura delle
otto lettere, composte tra il 1771 ed il 1774.
Come per l’Emilio, Rousseau si mette all’opera sollecitato da una
madre: «La vostra idea di impegnare la vivacità di vostra figlia e
di esercitarla a prestare at- tenzione ad oggetti gradevoli e vari
come le piante mi sembra eccellente, ma non avrei osato proporla
per ti- more di sembrare il monsieur Josse della situazione25;
visto che la proponete voi, io non solo l’approvo con tutto il
cuore, ma parteciperò alla sua realizzazione, persuaso come sono
che, a qualsiasi età, lo studio della natura smussi il gusto dei
divertimenti frivoli, prevenga il tumulto delle passioni e assicuri
alla mente un nutri- mento che le giova, colmandola del più degno
oggetto delle sue contemplazioni»26. Nel 1771 Madelon aveva solo
quattro anni, ma la madre le aveva già insegnato i nomi di tutte le
piante comuni che le capitava di vede- re. Rousseau approva questo
metodo, ma non può non
24 CC, XXXVIII, 6891. 25 Monsieur Josse è un personaggio della
commedia di Molière
L’amour médecin. Essendo gioielliere di professione, consiglia ad
un padre di curare la figlia malata comprandole monili.
26 E. Nardi, Oltre l’Emilio. Scritti di Rousseau sull’educazione,
cit., p. 144.
Giugno 1762. Rousseau in fuga
91
far riferimento a quanto aveva scritto nell’Emilio a proposito
dell’educazione femminile: «La dissipazio- ne, la frivolezza,
l’incostanza sono difetti che nascono facilmente dai loro primi
gusti, quando si corrompono e vengono seguiti senza freno. Per
prevenire questo abuso insegnate loro a dominarsi»27.
Nelle Lettere Rousseau affronta la descrizione di sei famiglie
(Liliacee, Crocifere, Labiate, Personate, Ombrellifere, Composite),
spiegando a madame Deles- sert come riconoscere le varie specie. Le
assegna i compiti, chiedendole di inviargli esemplari delle piante
che ha raccolto e identificato. Infine, le dà consigli su come
realizzare un erbario. Il grande interesse didatti- co dell’opera
consiste nella capacità di Rousseau di fornire tutti gli elementi
identificativi prescindendo dai nomi scientifici e, naturalmente,
senza l’aiuto di alcuna immagine, ma fornendo descrizioni di grande
precisio- ne ed efficacia: «Prendete una violacciocca semplice e
procedete all’analisi del suo fiore. Vi troverete in pri- mo luogo
una parte esterna che manca nelle Liliacee, ossia il calice. Il
calice è formato da quattro parti che bisogna necessariamente
chiamare foglie o foglioline, perché non disponiamo di un termine
proprio per indi- carle, come la parola “petalo” designa i segmenti
della corolla. Solitamente queste quattro parti sono diverse due a
due, cioè due foglioline opposte l’una all’altra, più piccole ed
uguali tra loro; le altre due, anch’esse uguali tra loro ed
opposte, ma più grandi soprattutto verso il basso dove si
arrotondano formando una pro- tuberanza sporgente abbastanza
vistosa»28. Questo e-
27 Emilio o dell’educazione, Edizione completa a cura di E.
Nar-
di, cit., pp. 451-452. 28 E. Nardi, Oltre l’Emilio. Scritti di
Rousseau sull’educazione,
cit., p. 150.
92
sempio, tra i molteplici possibili, mostra come le Lette- re siano
non solo un trattato di botanica, ma anche uno strumento di
sviluppo linguistico formidabile: appren- dendo a descrivere i
fiori, la bambina, già a quattro an- ni, imparava la precisione
lessicale e l’ordine logico della descrizione.
Le Lettere, pubblicate per la prima volta nel 1782, ebbero uno
straordinario successo. Goethe, che fu tra i loro primi lettori,
esprime in proposito un giudizio par- ticolarmente lusinghiero:
«Tra le opere di Rousseau si trovano delle gradevolissime lettere
sulla botanica, nelle quali egli espone questa scienza ad una
signora, nel modo più chiaro e grazioso. È davvero un modello di
come si dovrebbe insegnare e un complemento all’Emi- lio. Io ne
traggo spunto per raccomandare nuovamente alle mie belle amiche il
magnifico regno dei fiori»29.
Il clima di amicizia e di affetto che aveva circon- dato Rousseau a
Yverdon non può però proteggerlo dalle notizie sempre più
allarmanti che giungono da Ginevra. Il 18 giugno, quattro giorni
dopo l’arrivo del- l’esule in territorio svizzero, l’onnipotente
Consiglio della città condanna il Contratto sociale e l’Emilio e
già l’indomani i ginevrini assistono al rogo delle due opere.
Rousseau capisce che dovrà presto lasciare il territorio di Ginevra
e, se le autorità glielo consenti- ranno, si dice pronto a
trasferirsi in quello di Berna. Gli ultimi giorni del mese passano
freneticamente. Rousseau viene sollecitato a scrivere al Consiglio
di- chiarando di considerare la religione calvinista supe- riore a
tutte le altre; madame de Boufflers rinnova il suo suggerimento di
recarsi in Inghilterra da Hume; al- cuni suoi sostenitori si
indignano perché Rousseau è
29 Goethes Briefe, K. R. Mandelkow - B. Morawe, Hamburg, 1962, vol.
I, p. 399, trad. mia.
Giugno 1762. Rousseau in fuga
93
stato condannato senza essere stato prima ascoltato ma, a questo
proposito, Voltaire scrive con l’abituale sarca- smo che, se il
Consiglio avesse ascoltato Rousseau, subito dopo lo avrebbe
impiccato.
Rifiutato anche da Berna, Rousseau lascerà Yver- don per stabilirsi
a Môtiers in Val de Travers, una en- clâve del regno di Prussia. Il
29 giugno Federico II, impegnato nell’assedio di Burkersdorf –
siamo nella fase conclusiva e più convulsa della Guerra dei Sette
Anni –, scrive una lettera celebre in cui concede asilo «a
quest’uomo singolare, filosofo cinico che ha la sua bisaccia come
unico bene»30.
La testimonianza preziosa delle lettere consente di ricostruire gli
stati d’animo di Rousseau e le sue rea- zioni alle incalzanti
sventure che lo perseguitarono in quel giugno fatidico,
trasformandolo da intellettuale protetto e osannato
dall’aristocrazia a esule in pericolo per la sua stessa vita. La
corrispondenza è una fonte storica preziosa per dipanare
atteggiamenti e idee, per seguire il dibattito politico e religioso
che la pubblica- zione dell’Emilio scatenò, per indagare la storia
del co- stume e della cultura. Tuttavia le lettere che si sono
conservate costituiscono uno scandaglio per penetrare una
dimensione personale e domestica che non ha nul- la a che vedere
con la grande storia, ma che proprio per questo risulta più
commovente. Apprendiamo così dal- le lettere che madame de Verdelin
ha preso con sé la gatta di Rousseau (del povero Duc o Turc che dir
si voglia non sappiamo nulla: «[Thérèse] ha voluto affi- darmi
Minette che, in questo momento, è sotto il mio letto, così triste
da farmi molto preoccupare. Tuttavia ha cenato e spero che, tra due
o tre giorni, quando si sarà abituata alle mie carezze, potrà
prendere un po’
30 CC, XII, 2047.
94
d’aria in giardino. Per ora la tengo rinchiusa per paura di
perderla»31. Infine, il 17 giugno, Rousseau scrive a Thérèse:
«Sapete che dobbiamo restituire la spinetta e qualche libro;
inoltre dobbiamo pagare monsieur Ma- thas, il macellaio, ed il mio
barbiere. Vi manderò un appunto per spiegarvi tutto. Avrete trovato
nel coper- chio della scatola delle caramelle tre o quattro scudi,
che devono bastare per pagare il macellaio»32. L’affetto per la sua
gatta, la correttezza nell’onorare i suoi im- pegni economici,
anche quelli più minuti: ecco i tratti del carattere di Rousseau
che emergono dalla corri- spondenza e che contribuiscono a rivelare
la dimensio- ne umana del pensatore che ha inventato
l’infanzia.
Riferimenti bibliografici Nardi E., Oltre l’Emilio. Scritti di
Rousseau sull’educazione, Mi-
lano, Franco Angeli, 2005. Rousseau J.-J., Correspondance complète,
édition critique établie
et annotée par R. A. Leigh, Genève - Madison - Oxford, Institut et
Musée Voltaire - The University of Wisconsin Press - Vol- taire
Foundation, voll. I-LI, 1967-1995.
Rousseau J.-J., Emilio o dell’educazione, Edizione completa a cura
di E. Nardi, Firenze, La Nuova Italia, 1999.
Trousson R. - F. S. Elgeldinger, Jean-Jacques Rousseau au jour le
jour. Chronologie, Paris, Honoré Champion, 1998.
31 CC, XI, 1922. 32 CC, XI, 1880.
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