LEZIONE 1 LE BASI COMUNI: INNOVAZIONE, PRODUTTIVITA’,
POPOLAZIONE. LA RIVOLUZIONE NEOLITICA
SOMMARIO. Informazioni sul corso. I grandi mutamenti nella storia dell’umanità nascono nella sfera economica. Tre grandi fasi e tre “salti” nella storia dell’umanità. Il primo dei cambiamenti strutturali: la Rivoluzione neolitica
e i suoi effetti
1.1. Informazioni sul corso
L’esame di Storia Economica è normalmente scritto e si basa su una conoscenza molto accurata e completa del contenuto delle dispense. In un corso come quello di Economia un esame del genere può dare infatti l’impressione di essere un esame semplice e leggero, ma non è così: la media dei respinti oscilla regolarmente tra il 35 e il 50% e la media dei voti non è mai alta. Si suggerisce quindi di affrontare l’esame solo dopo essersi preparati in modo adeguato.
Lo scritto è costituito da tre domande aperte, in genere su singole lezioni ma talvolta anche su argomenti più ristretti. Per rispondere alle domande sono concesse due ore e la lunghezza del compito è a discrezione della studentessa o dello studente, ma bisogna aggiungere che elaborati troppo sintetici, di poche righe, non consentono quasi mai di raggiungere la sufficienza. Nel momento della correzione dello scritto a ciascuna risposta viene attribuito un voto in trentesimi: la media di questi voti – sempre ammesso che si sia risposto almeno a due domande – costituisce il voto finale dell’esame.
1.2. I grandi mutamenti nella storia dell’umanità nascono nella sfera economica
LA STORIA DELL’ECONOMIA AL CENTRO DELLA STORIA DELL’UMANITÀ
La storia economica è una disciplina di estrema importanza, sia all’interno degli studi di economia sia per la conoscenza generale del mondo in cui viviamo.
Per quanto riguarda il nostro percorso formativo, la storia economica offre una visione molto ampia e articolata dei processi e dei fatti economici che integra e arricchisce le conoscenze delle discipline più tecniche. Essa permette ad esempio di conoscere una gran varietà di forme di organizzazione economico‐sociale, molte delle quali non di mercato; di comprendere i percorsi storici che hanno portato all’attuale livello tecnologico e agli attuali equilibri di ricchezza e di potere mondiale; di connettere gli aspetti sociali, culturali ed economici di ciascuna fase e vicenda storica; di comprendere meglio i legami tra innovazione tecnologica, crescita, cambiamento sociale, redditi e consumi; di studiare il
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posto delle risorse – cioè della natura – e della loro trasformazione nell’attività produttiva e nella sua evoluzione.
Per quanto riguarda la conoscenza generale del mondo in cui viviamo la storia economica è una materia basilare perché sono stati proprio i cambiamenti nei modi in cui le società umane hanno trasformato la natura a loro vantaggio e aumentato la ricchezza a loro disposizione a determinare le svolte più importanti della storia dell’umanità. Questo è stato vero a partire dal momento dalla comparsa della specie Homo habilis1, circa 2,5 milioni di anni fa, ed è ancor vero oggi. La comparsa della specie umana coincide in questo senso con la nascita dei fenomeni economici come li conosciamo oggi.
Il tempo trascorso da allora appare come molto lungo se misurato col metro della vita di una singola persona ma anche con quello di una civiltà: lo Stato più “vecchio” oggi esistente con la storia più lunga, la Cina, ha circa 2.200 anni di vita, che equivalgono ad appena un millesimo della storia umana. E tuttavia è bene anche rendersi conto che questo lunghissimo periodo in cui la specie umana si è evoluta e ha “conquistato” il mondo è una frazione estremamente piccola della storia del pianeta.
STORIA DELL’UMANITÀ E STORIA DELLA TERRA
Le tappe fondamentali della storia del mondo così come le conosciamo oggi ci dicono infatti che:
. la Terra si forma circa 4,6 miliardi di anni fa
. le prime elementari forme di vita si manifestano attorno a 3,8 miliardi di anni fa
. attorno a 700 milioni di anni fa compaiono i primi organismi pluricellulari
. tra 500 e 430 milioni di anni fa compaiono i primi vertebrati
. attorno a 5 milioni di anni fa compaiono i primi antenati dell’uomo
. circa 2 milioni di anni fa si segnalano degli ominidi bipedi in grado di costruire e utilizzare strumenti.
. cinquecentomila anni dopo essi saranno anche in grado di addomesticare il fuoco. siamo qui alla nascita della vera e propria specie Homo
. circa 100.000 anni fa ‐ alla fine di una ulteriore evoluzione durata circa 1,9 milioni di anni ‐ compare l’Homo sapiens sapiens, un essere vivente non solo in grado di acquisire e trasmetter[e comportamenti non innati e di utilizzare un linguaggio vero e proprio, ma anche di elaborare forme artistiche e di pensiero piuttosto raffinate.
. circa 12.000 anni fa, infine, subito dopo la fine delle glaciazioni, gruppi di Homo sapiens imparano a coltivare alcune specie vegetali e ad addomesticare
1 [Nella classificazione scientifica la specie Homo sapiens fa parte del genere Homo che nel tempo ha
compreso diverse altre specie umane oggi estinte (ad esempio Homo habilis, Erectus, Neanderthalensis, eccetera). Il genere Homo fa a sua volta parte della famiglia degli ominidi che comprende anche le scimmie antropomorfe come gli oranghi, gli scimpanzè e i gorilla.]
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alcune specie animali: come si vedrà tra poco, questa è la Rivoluzione neolitica.
Questa rapida carrellata sulle fasi più remote della storia della Terra ci dice almeno tre cose importanti.
La prima cosa è che la vicenda dell’uomo sulla terra (2,5 milioni di anni) è una minuscola frazione di quella della vita sulla terra (3,8 miliardi di anni) o anche della sola vicenda degli animali vertebrati (500 milioni di anni). La seconda cosa è che la vicenda della nostra specie, Homo sapiens, è a sua volta una piccola frazione della vicenda del genere Homo (100.000 anni su 2 milioni di anni). La terza cosa è che, infine, la vicenda dell’economia come la intendiamo noi oggi è a sua volta soltanto una piccola frazione della storia dell’Homo sapiens: circa 10.000 anni su 100.000 anni.
Possiamo aggiungere infine che l’economia globale in cui viviamo sarebbe impensabile senza una serie di processi e di eventi verificatisi appena 250‐300 anni fa: la Rivoluzione agraria anglo‐olandese e la rivoluzione industriale inglese.
La storia umana e soprattutto il mondo in cui viviamo sono insomma frutto di una lunga vicenda evolutiva che inizia con la formazione del nostro pianeta e ne costituiscono una parte piccolissima.
Va notato che ciascuna delle grandi fasi indicate più sopra è molto più breve delle precedenti. Questo vuol dire che i grandi fenomeni di trasformazione della natura e della società hanno teso sempre di più ad accelerare, e questo è stato ancor più vero da quando è comparso il genere Homo e, al suo interno, la specie Homo sapiens. Con la comparsa del genere Homo, unico essere vivente capace di riflessione, si innesca infatti un meccanismo che favorisce il cambiamento e che tende quindi ad accelerare i ritmi della storia.
Il genere Homo, come già detto, si distingue molto presto da tutti gli altri esseri viventi
per la loro capacità di dotarsi di strumenti
per la loro capacità di trasmettere attraverso il linguaggio le conoscenze e competenze acquisite e, di conseguenza,
per la loro capacità di raffinare progressivamente scoperte e invenzioni.
IL MECCANISMO DELLA CRESCITA ECONOMICA E DEMOGRAFICA
Il meccanismo che si innesca, detto in modo estremamente schematico, è il seguente:
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Vediamo separatamente ciascuno di questi elementi.
PRIMO: IL MIGLIORAMENTO DELLE COMPETENZE E DELLE TECNICHE
Quello che nel grafico è stato definito “miglioramento delle tecniche e delle competenze” gli storici economici lo definiscono di solito come “cambiamento tecnologico”, e cioè l’insieme di quei cambiamenti che i gruppi umani sperimentano applicando la conoscenza ai processi di produzione e che chiamiamo spesso anche innovazioni.
Le innovazioni possono essere – e sono effettivamente state ‐ molto diverse tra loro: possono applicarsi direttamente alla trasformazione della natura come ad esempio la sostituzione degli aratri in legno con quelli in metallo oppure alla trasformazione dei materiali semi‐lavorati come nel caso dell’adozione del carbonato di sodio, alla fine del Settecento, per la sbiancatura dei prodotti tessili. Ma si può trattare anche di cambiamenti che non riguardano la produzione materiale in sé ma i trasporti, come nel caso dell’adozione della ruota, della vela o della navigazione a vapore, o addirittura i meccanismi dello scambio commerciale, come nel caso del danaro, delle cambiali fino alle sofisticate tecnologie informatiche che permettono oggi il funzionamento in tempo reale degli scambi finanziari globali.
Se ritorniamo ai nostri ominidi, che sembrano così lontani da noi e fuori luogo in un corso di economia, possiamo osservare che l’Homo abilis di 2 milioni di anni fa con i suoi rudimentali utensili in pietra scheggiata è già protagonista del cambiamento tecnologico. Il suo successore, l’Homo erectus, è decisamente più raffinato e i suoi strumenti (asce, lance) assieme all’uso del fuoco gli permettono di cacciare gli animali commestibili e di difendersi meglio da quelli pericolosi, oltre che dalle intemperie.
Allora come oggi, insomma, l’uomo applica le conoscenze ereditate e la propria capacità inventiva per ottenere la stessa quantità di beni con minore fatica o disagio oppure per creare prodotti nuovi.
SECONDO: L’AUMENTO DELLA PRODUTTIVITÀ
Questa capacità di “ottenere la stessa quantità di beni con minore fatica o disagio” viene normalmente definito “aumento della produttività”: e siamo con questo al secondo elemento del meccanismo, innescato dal primo.
Ma a questo punto è necessario chiarire cosa si intende per produttività. Vediamo in che termini ne parla uno storico economico (Paul Bairoch):
La produttività è il rapporto tra la produzione e i fattori che ad essa concorrono. Tali fattori comprendono il complesso degli elementi che concorrono a far variare la produzione, ovvero: il lavoro, i capitali, le
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materie prime, l’energia, ecc2. Allo stesso modo in cui si può calcolare la produttività di aggregati diversi [un impianto, un settore, una nazione], così il calcolo può riguardare una parte soltanto dei fattori della produzione; l’energia, per esempio, e soprattutto il lavoro, che è sempre stato, e continua a essere, il principale fattore della produzione. In quest’ultimo caso si parla di produttività del lavoro quando il calcolo della produttività riguarda esclusivamente questo fattore.
Ma l’osservazione che qui più ci interessa è quella finale:
La produttività è la vera misura del progresso economico, poiché se rimane stabile, cioè se si registra un’evoluzione parallela di produzione e fattori della produzione, ciò implica stagnazione delle possibilità di consumo, dato che non si produce maggiormente per quantità di lavoro.
L’autore, per far comprendere meglio quest’ultimo passaggio, porta un esempio di aumento della produttività del lavoro nel corso di un lunghissimo periodo di tempo, tra l’altro in un settore chiave per la crescita, cioè il settore alimentare.
Si è infatti calcolato che per produrre una tonnellata di grano sono state via via necessarie:
in generale fino al XVIII secolo, tra le 1200 e le 1800 ore di lavoro
negli Stati Uniti nel 1840, 86 ore
negli Stati Uniti nel 1900, 40 ore
negli Stati Uniti nel 1990, 2 ore
Ciò vuol dire che tra il 1840 e il 1990 la produttività assoluta del lavoro negli Usa in campo agricolo si è moltiplicata per 43 volte mentre tra l’epoca preindustriale e il 1990 essa si è addirittura moltiplicata tra le 600 e le 900 volte. Se si tiene conto fatto che tale aumento di produttività è stato dovuto anche a fattori di produzione diversi dal lavoro come i concimi chimici e i macchinari che prima non esistevano, l’aumento di produttività si ridimensiona, ma resta dell’ordine di 400/700 volte. Per avere un termine di paragone si può ricordare come nei circa 12.000 anni trascorsi tra la Rivoluzione neolitica ‐ di cui parleremo tra un poco ‐ e l’inizio del Settecento l’aumento di produttività complessivo in campo agricolo a livello mondiale può essere stimato tra 1,4 e 1,8 volte
Quello del grano statunitense è un caso estremo perché proviene che tra Otto e Novecento ha avuto un eccezionale sviluppo tecnologico in tutti i settori, ma in gran parte dei paesi industrializzati i dati non sono molto lontani da questi: se negli Usa il rapporto tra
2 [per esemplificare: posto un quantitativo di prodotto – poniamo cento chili di acciaio – quante ore di
lavoro, quanta corrente elettrica, la produttività ci indica quante unità di danaro sono necessarie per produrlo in una situazione data. nel caso occorressero 5 ore di lavoro avremo ad esempio che 100/5 = 20 chili di acciaio l’ora. se in una situazione diversa, con tecnologie diverse, ne occorressero invece 3 avremmo 100/3 = 33,3 chili di acciaio l’ora. la produttività, nel secondo caso, sarebbe maggiore. stesso calcolo si può fare anche per l’energia o i capitali o altri fattori impiegati nella produzione]
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la produttività complessiva attuale e quella di inizio Settecento è infatti di circa 90‐100 volte, nel complesso degli altri paesi industrializzati è in media di circa 40‐50 volte.
TERZO: CRESCITA DELLA POPOLAZIONE
Il terzo elemento del meccanismo è costituito dalla crescita della popolazione, innescata a sua volta dall’aumento della produttività.
Aumentare la produttività vuol dire acquisire la capacità di avere a disposizione una maggiore quantità di beni e spesso di qualità migliore. O anche, guardando a un altro aspetto, vuol dire vivere meglio, faticando meno e incontrando una minor quantità di disagi e pericoli. Ciò non è vero sempre e dovunque, però in termini molto generali questo è l’effetto degli aumenti di produttività e del conseguente aumento di beni disponibili.
Ciò, sempre molto in generale, implica che gli esseri umani possono:
nutrirsi meglio
avere una costituzione fisica più robusta e resistente alle malattie, alle intemperie, alle fatiche, ai pericoli
vivere più a lungo
fare più figli
correre meno rischi all’atto della nascita e durante il primo anno di età
Quando tutto ciò si verifica le popolazioni tendono a crescere, cioè il numero assoluto degli esseri umani aumenta.
RIASSUMENDO E CONCLUDENDO SUL MECCANISMO DELLA CRESCITA
Sin dalla comparsa dell’Homo abilis, insomma, la storia dell’umanità si identifica col meccanismo di cui si è discusso sinora:
che in sostanza è un meccanismo squisitamente economico.
Conquistando la capacità di produrre attrezzature sempre più sofisticate, riuscendo ad addomesticare il fuoco e a utilizzarlo per molteplici finalità (riscaldamento, difesa, cottura degli alimenti) ed elaborando linguaggi simbolici la specie Homo riesce lentamente a ottenere due risultati importanti:
. migliora lentamente le proprie condizioni e la propria resistenza fisica
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. rompe per la prima volta i vincoli che incatenano le specie viventi ai propri habitat diventando adattabile a un gran numero di ambienti naturali, anzi potenzialmente a tutti
LA CAPACITÀ DI INNOVAZIONE TECNOLOGICA E LA DIFFUSIONE SULLA TERRA DEL GENERE HOMO
L’efficacia del cambiamento tecnologico anche nelle epoche più remote storia umana è dimostrata dal modo in cui è avvenuta l’evoluzione demografica del genere Homo, cioè il suo aumento quantitativo e la sua progressiva diffusione sulla Terra.
Secondo gli studi più recenti l’attuale specie Homo sapiens si è affermata a partire da un nucleo di ominidi ristretto e ben localizzato che viveva in Africa orientale attorno a 200.000 anni fa. Grazie alle sue caratteristiche psico‐fisiche e alle sue capacità questa specie ha avuto talmente successo da diffondersi progressivamente ‐ nel corso di un periodo molto lungo ‐ in tutti i continenti ma soprattutto in ambienti estremamente diversi dalle zone di origine, che erano umide e calde. Nella più fredda Europa Centrale, ad esempio, che peraltro era già abitata peraltro da altre specie Homo poi estintesi, il Sapiens arriva circa 35‐40.000 anni fa.
Alla fine di questo lungo periodo di colonizzazione del pianeta, attorno al 10.000 avanti Cristo, epoca in cui peraltro terminano le grandi glaciazioni, si stima che sulla terra vivessero tra i 5 e i 15 milioni di Homo sapiens. Un numero di tutto rispetto, considerando che 150.000‐200.000 anni prima la specie era partita da una popolazione forse di poche migliaia di elementi. Il successo dell’Homo sapiens, testimoniato dalla sua capacità di crescere di numero e di colonizzare tutte le terre emerse, è quindi già frutto di una grande capacità di produrre innovazioni tecnologiche e dei conseguenti aumenti di produttività.
Circa 10.000 anni fa questa dinamica ‐ già estremamente accelerata pur nei suoi tempi ai nostri occhi lunghissimi ‐ subisce un mutamento ancor più radicale, un vero e proprio salto: quella che gli storici dell’economia chiamano la Rivoluzione agraria del Neolitico.
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Per ricostruire questo avvenimento ci aiuteremo con l’analisi dello storico Carlo Maria Cipolla, un’analisi che consente oltretutto di inserirlo entro l’intera vicenda della storia dell’economia, sino ai giorni nostri.
1.3. Tre grandi fasi e tre “salti” nella storia dell’umanità
Cipolla sostiene che la storia dell’economia – e quindi la storia umana – può essere suddivisa in tre grandi fasi:
la fase delle società primitive ‐ prima del 10.000 avanti Cristo – in cui i gruppi umani si procurano le risorse per la propria sussistenza grazie alla raccolta di vegetali spontanei e alla caccia
la fase delle società agricole tradizionali ‐ dal 10.000 avanti Cristo circa al 1750 circa – in cui al centro dell’economia stanno l’agricoltura e l’allevamento
la fase delle società industriali ‐ dal 1750 in poi – caratterizzate dalla produzione di grandi quantità di beni grazie a procedimenti industriali
Queste fasi sono conseguenza di cambiamenti profondi e relativamente rapidi e nel caso della seconda e della terza di un salto tecnologico:
le società primitive sono il frutto della comparsa del genere Homo
le società agricole sono generate dall’addomesticamento di piante e animali, cioè dalla Rivoluzione agraria del Neolitico
le società industriali sono la conseguenza dell’affermarsi della produzione di massa di beni per mezzo di macchine e di energia inanimata entro la fabbrica moderna, cioè della Rivoluzione industriale
Ciascuno di questi tre salti imprime una svolta all’umanità rendendo possibili dei grandi miglioramenti in diversi settori strategici, tutti strettamente collegati tra loro. Possiamo elencarli:
energia a disposizione, come vedremo meglio un po’ più avanti;
(quindi) produttività;
(quindi) capacità produttiva, cioè la quantità massima di prodotto che può essere ottenuta da un sistema economico;
(quindi) disponibilità di beni procapite;
(quindi) struttura demografica della popolazione.
Ogni “salto” provoca inoltre ‐ come vedremo volta per volta ‐ profondi cambiamenti che vanno ben al di là del campo strettamente economico e investono la società, la cultura, la vita quotidiana in generale.
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1.4. Il primo dei cambiamenti strutturali: la Rivoluzione neolitica e i suoi effetti
Se il primo “salto” si verifica in un passato lontanissimo, del quale abbiamo poche e incerte testimonianze, sappiamo invece abbastanza bene che il secondo si è verificato tra i 10 e i 12.000 anni fa e viene comunemente definito come la Rivoluzione agricola del Neolitico per distinguerlo da un’altra “rivoluzione agricola” che ‐ come vedremo a suo tempo ‐ si è verificata in Nord Europa tra la fine del Seicento e la metà del Settecento.
Bisogna ricordare anzitutto che per centinaia di migliaia di anni, a partire dal momento della sua comparsa, l’uomo si è procurato cibo e vestiario come un qualsiasi animale da preda, pur con la notevolissima eccezione data dal fatto che esso disponeva di strumenti e dominava il fuoco. La sopravvivenza di tutti i gruppi umani presenti sulla Terra dipendeva insomma dalla raccolta di vegetali spontanei, dalla caccia e dalla pesca. Ciò significava che gli uomini erano organizzati in gruppi molto piccoli, che vivevano abitazioni o più spesso ricoveri estremamente rudimentali e disponevano di una dotazione di strumenti molto limitata.
In un libro di molti anni fa rimasto giustamente famoso, lo storico Carlo Maria Cipolla ha proposto di spiegare il passaggio dalla società primitiva a quella agraria (e poi a quella industriale) attraverso il cambiamento dei modi attraverso cui gli uomini si procurano l’energia per sopravvivere e svolgere le proprie attività. E, sempre in questo senso, ha proposto di considerare piante e animali come “convertitori di energia”, cioè come delle “macchine” che trasformano determinati flussi di energia in flussi di tipo diverso. Le piante, in particolare, possono essere considerate come convertitori capaci di trasformare luce, acqua, anidride carbonica e minerali in materie organiche contenenti carboidrati, proteine e grassi assimilabili dall’uomo e convertibili di conseguenza in energia utile alla sopravvivenza e al lavoro umano. Gli animali, invece, possono essere considerati come convertitori capaci di convertire da un lato piante che l’uomo non mangia in proteine pregiate per l’alimentazione umana e da un altro lato – come gli stessi umani ‐ l’energia chimica fornita dal cibo in energia meccanica, cioè in lavoro fisico.
Se guardiamo alle piante e agli animali in questa prospettiva vediamo che per molto tempo il genere Homo “non ha fatto altro che utilizzare questi convertitori prendendoli così com’erano in natura, con grande incertezza e grande dispendio di energie. Nel frattempo esso è riuscito a risparmiare energia e a rendere più efficienti le operazioni di raccolta e di consumo attraverso la scoperta del fuoco e il miglioramento degli strumenti, ma rimanendo nell’ambito dell’uso parassitario dei due gruppi di convertitori biologici”. Le società primitive di raccoglitori e cacciatori si limitavano cioè a prelevare direttamente dalla natura, col rischio di esaurire piante e animali disponibili via via che le tecniche di prelievo divenivano più efficienti.
Nonostante gli Homo sapiens fossero ancora relativamente pochi in assoluto e organizzati in gruppi relativamente piccoli quello dell’esaurimento di piante e animali oggetto di raccolta e di caccia non era un rischio solo teorico: a quanto pare già 40.000
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anni fa i mammuth erano scomparsi dall’Africa e dal Sud‐Est asiatico e 13.000 anni fa in Australia e in Eurasia settentrionale, molto probabilmente proprio per mano dell’uomo, mentre in America settentrionale essi (assieme ad altre specie) furono sterminati appena mille anni dopo l’arrivo degli uomini, attorno all’11.000 avanti Cristo. In molte parti della Terra, insomma, proprio attorno al 10.000 avanti Cristo diverse popolazioni umane cominciavano probabilmente ad avere problemi di approvvigionamento di cibo a causa dell’eccessivo sfruttamento cui sottoponevano piante e animali.
È probabile quindi che non sia stato un caso a partire dal 10.000‐11.000 avanti Cristo – cioè circa 12‐13.000 anni fa ‐ diversi gruppi di uomini in diverse zone del pianeta iniziariono ad addomesticare delle piante e degli animali mediante il controllo del loro ciclo riproduttivo: non si trattava più di prelevare esseri viventi direttamente dalla natura ma di individuarne alcuni che fossero adatti per certi tipi di uso e che potessero essere controllati, fatti crescere in modo artificiale e utilizzati in modo regolare.
A differenza della storia del genere Homo l’invenzione dell’allevamento e dell’agricoltura non si verificò in un unico punto e poi si diffuse progressivamente in tutto il pianeta. A quanto pare essa ebbe luogo in aree diverse del mondo in modo indipendente tra loro, ma in tempi diversi.
Per quel che ne sappiamo oggi le prime di agricoltura e di allevamento comparvero infatti attorno al 10‐11.000 avanti Cristo in Medio Oriente, nella zona tra i fiumi Tigri ed Eufrate, nell’attuale Irak. Un secondo focolaio della Rivoluzione Neolitica furono i bacini dei grandi fiumi cinesi, verso il 9.000 avanti Cristo, seguito da un altro bacino nell’Oceano Pacifico, nell’attuale Nuova Guinea. Tra il 4.000 e il 5.000 avanti Cristo agricoltura e allevamento comparvero anche nella parte a sud del deserto del Sahara, in America Centrale e in America Meridionale. Ultimo focolaio indipendente fu in America Settentrionale tra il 3.000 e il 4.000 avanti Cristo. Da ciascuno di questi focolai la Rivoluzione Neolitica si diffuse verso le aree circostanti in maniera più o meno rapida e con maggiore o minore efficacia come si vede bene dalle frecce della carta.
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Riguardo alla velocità e all’efficacia della diffusione bisogna tenere conto del fatto che la Terra ha aree diverse per clima e quindi per tipi di suolo e di vegetazione, non tutte egualmente favorevoli all’agricoltura e all’allevamento. Vastissime estensioni di superficie terrestre, anzi, non le consentono in alcun modo. Per questo motivo i focolai situati al centro o ai margini di vaste aree favorevoli hanno potuto trasmettere con relativa rapidità e con grande efficacia le nuove tecnologie verso l’esterno mentre altre meno: il caso della diffusione delle tecniche agricole dalla Mesopotamia verso il bacino mediterraneo da un lato e verso l’India dall’altro è forse il caso più fortunato e di maggior successo, mentre la diffusione dell’agricoltura in America Centrale e Meridionale si è scontrata con le formidabili barriere costituite dai deserti e soprattutto dalle grandi foreste tropicali.
Le piante commestibili “addomesticate” variarono a seconda del focolaio: in Mesopotamia anzitutto grano, ma anche orzo, legumi e lino; in Cina miglio e in seguito anche riso e soia; in Nuova Guinea il taro, la patata dolce e quindi la banana e lo zucchero; nelle Americhe dapprima mais, fagioli e zucca e successivamente anche patata e manioca. Per quanto riguarda gli animali, i primi ad essere addomesticati furono la pecora, la capra, il maiale e il dromedario, tutti in Mesopotamia, quindi il cane in Estremo Oriente. Coltivazione e allevamento garantirono via via quantità di cibo più abbondanti e più sicure nel tempo, tipi di cibo più vari che in precedenza, materie tessili più abbondanti e meglio lavorabili, molta energia meccanica aggiuntiva nel campo agricolo e in quello dei trasporti grazie al lavoro di bovini, cammelli, dromedari e cavalli. Ciò che forse più conta è che la disponibilità complessiva di energia (chimica dai commestibili, termica dalla legna delle piante, meccanica dalle bestie da soma) aumentò in proporzioni inconcepibili in precedenza.
Le conseguenze di questi cambiamenti lenti ma irreversibili furono enormi:
. la popolazione dei gruppi che adottavano queste innovazioni tecnologiche crebbe a ritmi molto più rapidi che in precedenza
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. questi gruppi umani abbandonarono il nomadismo ‐ cioè la pratica dello spostamento periodico indispensabile per “seguire” i ritmi di piante e animali selvatici e per compensare l’eccessivo sfruttamento di essi – e adottarono uno stile di vita prevalentemente stanziale, legato alla terra.
. i raggruppamenti umani divennero più ampi, non solo a causa della crescita demografica ma anche per esigenze legate alla gestione della terra e degli animali
. sorsero i primi villaggi e successivamente le città, caratterizzate da un numero alto di abitanti e da una struttura edilizia complessa e gerarchizzata
. si formarono delle eccedenze agricole non indispensabili al consumo immediato e che potevano essere scambiate anche su distanze medio‐lunghe, attivando quindi le prime forme di scambio e le prime catene commerciali
. per poter gestire in modo più efficiente le nuove attività economiche, quelle burocratiche e l’esercizio del potere nelle grandi città a partire dal 3.000 avanti Cristo furono inventate la scrittura e i sistemi di numerazione che devono essere considerate a tutti gli effetti come delle innovazioni tecnologiche
. la società diventò più articolata, con diversi tipi di ruoli sociali e complesse gerarchie interne. comparvero anzi presto delle classi che erano esentate dalla ricerca del cibo e dallo stesso lavoro fisico. anche nei piccoli gruppi di raccoglitori e cacciatori precedenti alla Rivoluzione Neolitica esistevano delle gerarchie e delle mansioni specifiche, ma il fatto che nelle società agricole le comunità fossero molto più ampie, la ricchezza molto maggiore e le attività molto più complesse fece in modo che si creassero delle disparità di potere economico, politico e culturale incomparabilmente più grandi che in passato.
Tanto l’agricoltura e l’allevamento quanto tutte queste trasformazioni economiche, sociali e culturali si diffusero progressivamente su aree sempre più vaste, con ritmi diseguali a seconda degli ostacoli e delle difficoltà che incontravano sul loro cammino ma in modo irreversibile. Lo schema che segue mostra in quali fasi successive l’agricoltura e l’uso dei metalli hanno raggiunto le varie aree del mondo.
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Come si vede, attorno al 4.000 avanti Cristo l’Europa Mediterranea e Centrale era stata conquistata dall’agricoltura mentre tutte le grandi aree del pianeta stavano ormai da tempo sperimentando le due nuove tecnologie, comprese le Americhe, l’Africa e l’Estremo Oriente. L’aumento di produttività in
campo agricolo, favorita da innovazioni tecnologiche come ad esempio la lavorazione dei metalli (5500 a.C., nei Balcani), i sistemi di irrigazione (5000 a.C., Mesopotamia) e la ruota (3500 a.C. Mesopotamia, Cina ed Europa centrale) determina una disponibilità di prodotti alimentari che va sempre più oltre la capacità di consumo dei soli agricoltori. Queste crescenti eccedenze – come abbiamo visto – possono essere immagazzinate e poi utilizzate per gli scambi commerciali oppure investite per aumentare le superfici coltivabili o lo stock di animali domestici. Tutti questi fenomeni, uniti all’aumento di popolazione e alla creazione di eserciti capaci di dominare aree relativamente vaste favoriscono la creazione di centri abitati sempre più grandi e organizzati, con un tessuto viario regolare, monumenti, funzioni diverse a seconda delle zone: le città. I primi centri abitati con queste caratteristiche appaiono probabilmente tra il 9000 e il 6500 a.C. in Medio Oriente, ma le prime grandi città ben documentate e abitate da decine di migliaia di persone sorgono tra il 3800 e il 2600 a.C., sempre nell’attuale Medio Oriente per diffondersi successivamente verso oriente, in Pakistan e in Cina.
La diffusione del fenomeno urbano, cioè la nascita delle città, segue di qualche millennio la comparsa dell’agricoltura. Nella mappa che segue e nella sua didascalia se ne può vedere la progressione.
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Le città, a loro volta, sono la premessa indispensabile per la formazione delle civiltà, società caratterizzate da grandi dimensioni demografiche e territoriali ma soprattutto da stati potenti e ben organizzati e da una cultura sofisticata, ben definita e duratura nel tempo. Anche se il concetto di civiltà non è definibile con grande precisione, ci sono molte società che nella storia hanno sicuramente avuto le caratteristiche appena dette, basti pensare all’Egitto antico, alla Cina, all’Islam, alla Roma antica, alle tre grandi culture precolombiane.
Questo rapporto agricoltura > città > civiltà mostra insomma la straordinaria importanza della rivoluzione agricola del Neolitico per le storia dell’umanità.
Quanto si è detto finora riguardo alla diffusione delle città e alla formazione delle civiltà mostra oltretutto come a partire dal 2000‐1500 a.C. si viene costituendo una sorta di “allineamento di civiltà” che va dalla penisola iberica (cioè dal Portogallo) al Giappone e che comprenderà via via l’Egitto dei faraoni, la civiltà greco‐romana, l’Europa cristiana, il Mediterraneo islamico, l’India, l’impero cinese e altre civiltà tutte in rapporti intensi e continui le une con le altre nonostante le enormi distanze e le differenze culturali.
In questa ampia cintura euro‐asiatica la nascita di città, di grandi stati e di culture molto sofisticate coincide – come è ovvio, considerato tutto quanto si è detto ‐ con la presenza della forma di agricoltura più avanzata: quella con l’aratro, mostrata in marrone nella carta seguente. Città e civiltà divengono infatti a loro volta efficaci propulsori e disseminatori dell’agricoltura, dell’allevamento e del commercio nelle aree circostanti.
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E, infine, il livello tecnologicamente più avanzato dell’agricoltura non può che corrispondere, nelle aree più fertili, con un’alta densità di popolazione che oltretutto in Cina e in India è rimasta la più alta del mondo fino a oggi.
Col passare dei millenni la potenza economica e militare delle società tecnologicamente più avanzate e dinamiche finirà col diffondere l’agricoltura su superfici sempre più ampie del pianeta, relegando i cacciatori‐raccoglitori in aree marginali. Carlo Mario Cipolla osserva come “verso il 1780 quasi tutto il genere umano aveva ormai abbandonato da lungo tempo lo stadio dell’economia predatoria”. Alle soglie della Rivoluzione Industriale, insomma, la quasi totalità degli abitanti della Terra vivrà in società agricole più o meno avanzate tecnologicamente mentre solo pochi gruppi umani vivranno ancora di caccia, raccolta e pesca anche se in aree di spesso di grandi dimensioni come quelle del Circolo Polare Artico, della Foresta Amazzonica o dei deserti australiani.
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