Voglio una vita part time

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Voglio una vita part time LUNEDÌ 14 LUGLIO 2014 22 Lavorare meno per vivere meglio. Un’utopia che ora ha un sostenitore inaspettato: Larry Page, il fondatore di Google. Le sue parole aprono il dibattito negli Usa Ridurre le ore di impiego è davvero possibile? Chi assume oggi chiede di più che in passato ma lo scenario è destinato a cambiare rapidamente: computer e robot stanno conquistando nuovi spazi IL CASO Cioccolato la Svizzera va alla conquista dell’America FRANCO ZANTONELLI LA CULTURA La letteratura del Novecento raccontata dalle collane ALBERTO ASOR ROSA GLI SPETTACOLI Pop e tropicale è Mayra la nuova voce di Capo Verde CARLO MORETTI MAURIZIO RICCI P RENDETEVELA calma. Dannarsi l’anima a lavorare in ufficio, al computer, in la- boratorio è inutile. Peggio: è superfluo. L’elogio della vita “slow” viene dal più improbabile dei pulpiti e dal meno verosimile dei posti. Sia- mo nella fornace tecnologica di Silicon Valley e chi parla è Larry Page, uno dei due noc- chieri di Google, il gigante im- pegnato nella corsa a perdifia- to dell’innovazione, ma anche nel vorace e spietato rastrella- mento di opportunità finan- ziarie e industriali che, nel gi- ro di pochi anni, gli ha dato quell’egemonia globale che è stata di Microsoft e, prima an- cora, della General Motors. Ma, se Google corre, non è det- to che lo debbano fare anche quelli che ci stanno dentro. Le sedici ore di filato alla scriva- nia, sei o sette giorni su sette, sono una frenesia senza senso, dice l’uomo che, con quegli orari, ha messo insieme una fortuna di 32 miliardi di dolla- ri. «Le cose che contano dav- vero — dice — sono poche: una casa, la sicurezza, oppor- tunità per i figli. Per averle, basta l’1 per cento delle risor- se che impieghiamo». Il resto è superfluo. Doppiata la soglia dei 40 an- ni, Page non è il primo guru di Silicon Valley che, con l’arrivo dei capelli bianchi, sente il bi- sogno di suonare la campanel- la della ricreazione e ripensare una vita bruciata nel forno del- l’ambizione. Molti lo hanno fatto prima di lui, anche a 30 anni, dopo aver realizzato il progetto più desiderato o, semplicemente, una volta rag- giunta una pila di milioni sod- disfacente. Forse, a fargli rive- dere le priorità dell’esistenza ha contribuito quel disturbo nervoso alle corde vocali che, un anno fa, aveva fatto lancia- re l’allarme sulla sua salute. Ma Page, in realtà, non ne fa un discorso individuale, né per sé, né per gli altri. Il suo invito a staccare, ogni tanto, la spina non è isolato. Da tempo, le bib- bie del management indicano i pericoli del “sempre connes- so”, invitano a non portarsi il lavoro a casa, a staccare il te- lefonino quando si esce dall’uf- ficio, a ritrovare un contatto con la realtà, fuori dal lavoro. Page, però, va più in là. «Pro- vate a chiedere in giro — dice — se piacerebbe una settima- na in più di vacanza o una set- timana lavorativa di quattro giorni». Tempo, finalmente, per andare a pescare o in bici con i figli. «Si deve — sentenzia — lavorare meno per vivere meglio». Detta da un america- no, cresciuto sotto la bandiera del “lavorare duro, dare tut- to”, è una sorta di rivoluzione copernicana. Ma non finisce qui. Perché questo ha conse- guenze sociali: se si lavora me- no, qualcun altro troverà da la- vorare. Lo dice un altro boss, questa volta sessantenne: Ri- chard Branson, il patron della Virgin. Page lo cita esplicita- mente: dove lavora uno, posso- no lavorare in due. Part time. Cosa si sono fumati Larry Pa- ge e Richard Branson, ha subi- to cominciato a chiedersi il web? Anche in America, la re- cessione è alle spalle, ma il tas- so di disoccupazione scende perchè il grosso dei disoccupa- ti non ha ancora provato a cer- care lavoro. I dipendenti di Mc- Donald’s riescono a tirare { RICHARD BRANSON Il patron della Virgin è convinto degli effetti positivi della riduzione delle ore di impiego: se si lavora meno, qualcun altro troverà occupazione. Dove lavora uno, sottolinea Page citandolo, possono lavorare in due PAUL KRUGMAN L’economista premio Nobel suggerisce di dare a tutti un reddito minimo per permettere di approvvigionarsi di beni che in futuro saranno prodotti da macchine, computer e robot TYLER COWEN Il mercato del lavoro, avvertono economisti come Tyler Cowen, è un luogo spietato in cui avanzano solo quelli che accettano i lavori più umili o hanno competenze esclusive. Gli altri sono destinati a sprofondare I guru dell’automazione avvertono: le macchine faranno i capitalisti ancora più ricchi LA FRASE “Le cose che contano davvero sono poche: una casa, la sicurezza, opportunità per i figli. Per averle, basta l’1 per cento delle risorse che impieghiamo”

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di Maurizio RicciLavorare meno per vivere meglio

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Voglio una vitapart time

LUNEDÌ 14 LUGLIO 201422

Lavorare meno per vivere meglio. Un’utopia che oraha un sostenitore inaspettato: Larry Page, il fondatoredi Google. Le sue parole aprono il dibattito negli UsaRidurre le ore di impiego è davvero possibile?Chi assume oggi chiede di più che in passatoma lo scenario è destinato a cambiare rapidamente:computer e robot stanno conquistando nuovi spazi

IL CASO

Cioccolatola Svizzerava alla conquistadell’AmericaFRANCO ZANTONELLI

LA CULTURA

La letteraturadel Novecentoraccontatadalle collaneALBERTO ASOR ROSA

GLI SPETTACOLI

Pop e tropicaleè Mayrala nuova vocedi Capo VerdeCARLO MORETTI

MAURIZIO RICCI

PRENDETEVELA calma.Dannarsi l’anima alavorare in ufficio,al computer, in la-boratorio è inutile.

Peggio: è superfluo. L’elogiodella vita “slow” viene dal piùimprobabile dei pulpiti e dalmeno verosimile dei posti. Sia-mo nella fornace tecnologicadi Silicon Valley e chi parla èLarry Page, uno dei due noc-chieri di Google, il gigante im-pegnato nella corsa a perdifia-to dell’innovazione, ma anchenel vorace e spietato rastrella-mento di opportunità finan-ziarie e industriali che, nel gi-ro di pochi anni, gli ha datoquell’egemonia globale che èstata di Microsoft e, prima an-cora, della General Motors.Ma, se Google corre, non è det-to che lo debbano fare anche

quelli che ci stanno dentro. Lesedici ore di filato alla scriva-nia, sei o sette giorni su sette,sono una frenesia senza senso,dice l’uomo che, con quegliorari, ha messo insieme una

fortuna di 32 miliardi di dolla-ri. «Le cose che contano dav-vero — dice — sono poche:una casa, la sicurezza, oppor-tunità per i figli. Per averle,basta l’1 per cento delle risor-se che impieghiamo». Il restoè superfluo.

Doppiata la soglia dei 40 an-ni, Page non è il primo guru diSilicon Valley che, con l’arrivodei capelli bianchi, sente il bi-sogno di suonare la campanel-la della ricreazione e ripensareuna vita bruciata nel forno del-l’ambizione. Molti lo hannofatto prima di lui, anche a 30anni, dopo aver realizzato ilprogetto più desiderato o,semplicemente, una volta rag-giunta una pila di milioni sod-disfacente. Forse, a fargli rive-dere le priorità dell’esistenzaha contribuito quel disturbonervoso alle corde vocali che,un anno fa, aveva fatto lancia-

re l’allarme sulla sua salute.Ma Page, in realtà, non ne fa undiscorso individuale, né per sé,né per gli altri. Il suo invito astaccare, ogni tanto, la spinanon è isolato. Da tempo, le bib-bie del management indicanoi pericoli del “sempre connes-so”, invitano a non portarsi illavoro a casa, a staccare il te-lefonino quando si esce dall’uf-ficio, a ritrovare un contattocon la realtà, fuori dal lavoro.Page, però, va più in là. «Pro-vate a chiedere in giro — dice— se piacerebbe una settima-na in più di vacanza o una set-timana lavorativa di quattrogiorni». Tempo, finalmente,

per andare a pescare o in bicicon i figli. «Si deve — sentenzia— lavorare meno per viveremeglio». Detta da un america-no, cresciuto sotto la bandieradel “lavorare duro, dare tut-to”, è una sorta di rivoluzionecopernicana. Ma non finiscequi. Perché questo ha conse-guenze sociali: se si lavora me-no, qualcun altro troverà da la-vorare. Lo dice un altro boss,questa volta sessantenne: Ri-chard Branson, il patron dellaVirgin. Page lo cita esplicita-mente: dove lavora uno, posso-no lavorare in due. Part time.

Cosa si sono fumati Larry Pa-ge e Richard Branson, ha subi-to cominciato a chiedersi ilweb? Anche in America, la re-cessione è alle spalle, ma il tas-so di disoccupazione scendeperchè il grosso dei disoccupa-ti non ha ancora provato a cer-care lavoro. I dipendenti di Mc-Donald’s riescono a tirare

{RICHARD BRANSONIl patron della Virgin è convinto degli

effetti positivi della riduzione delleore di impiego: se si lavora meno,

qualcun altro troverà occupazione.Dove lavora uno, sottolinea Page

citandolo, possono lavorare in due

PAUL KRUGMANL’economista premio Nobel

suggerisce di dare a tutti un redditominimo per permettere di

approvvigionarsi di beni che in futurosaranno prodotti da macchine,

computer e robot

TYLER COWENIl mercato del lavoro, avvertono

economisti come Tyler Cowen, è unluogo spietato in cui avanzano solo

quelli che accettano i lavori più umilio hanno competenze esclusive. Glialtri sono destinati a sprofondare

I guru dell’automazioneavvertono: le macchinefaranno i capitalistiancora più ricchi

LA FRASE

“Le cose che contanodavvero sono poche:una casa, la sicurezza,opportunità per i figli.Per averle, basta l’1per cento delle risorseche impieghiamo”

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avanti, solo perché allo stipen-dio uniscono i sussidi di po-vertà, altro che part time. Un li-ceale guadagna l’11 per centoin meno, rispetto a quantoprendeva suo fratello, subitodopo essersi diplomato, quin-dici anni fa. Un laureato il 5 percento in meno. Il mercato del la-voro, avvertono economisti co-me Tyler Cowen, è un luogospietato in cui avanzano soloquelli che accettano i lavori piùumili o hanno competenzeesclusive. Gli altri, le classi me-die di una volta, sono destinatia sprofondare. “Lavorare menoper vivere meglio” suona piùaccattivante del “lavorare me-no per lavorare tutti” che, 30anni fa, chiedeva Pierre Carni-ti. Ma chi ci ha provato per dav-vero, come la Francia con la leg-ge con cui, a fine anni ‘90, Lio-nel Jospin imponeva alle azien-de le 35 ore settimanali, sta fa-cendo marcia indietro.

Forse, ironizzano i blogger,Page vive su un altro pianeta. E’la tesi che un filo unisca appellicome quello di Page e osserva-zioni come quella sui “bamboc-cioni” italiani che non escono dicasa, pronunciata, a suo tem-po, da Tommaso Padoa-Schiop-pa, allora ministro dell’Econo-mia. In sostanza, che le élites

considerino normali e ordinariopportunità e percorsi, abitua-li nel loro mondo — si tratti diSilicon Valley, con i suoi alti fat-turati e alti stipendi o dell’altaborghesia internazionale —ma proibitivi al di fuori. Insom-ma, una conferma del fossato,anche psicologico, che semprepiù divide l’1 per cento dei ric-

chi, diventati, negli ultimi 30anni, sempre più ricchi, dal re-sto della società.

Ma sarebbe ingeneroso ver-so Page. Il fondatore di Googlesi muove su una lunghezzad’onda diversa. In sintonia conpredecessori illustri. Era il1930, nel pieno di una crisi eco-nomica paragonabile all’attua-le, quando John Maynard Key-nes si chiedeva cosa avrebbefatto l’umanità della “abbon-danza economica” che l’aspet-tava entro cent’anni. Il libro è“Le possibilità economiche deinostri nipoti” e Keynes partivadai progressi tecnologici dei de-cenni precedenti — elettricità,automobili, meccanizzazioneagricola — per disegnare un fu-turo in cui il denaro non sareb-be più stato la forza traente del-la società e la scarsità sarebbestata sostituita dall’abbondan-za. Tanto da preoccuparsi di co-me impiegare il tempo di chi

non volesse solo divertirsi: «Do-vremo adoperarci a spalmare ilpane in strati sottili sul burro,in modo che quel po’ di lavoroche c’è ancora da fare possa es-sere distribuito fra il maggiornumero di persone possibile.Orari di tre ore al giorno o quin-dici ore a settimana possono ri-solvere il problema per un belpo’». Forse Page ha letto Key-nes o, forse, ha soltanto trovatoi passi rilevanti su Google. Maanche lui parla, in contrasto conla crisi intorno a noi, di “tempodi abbondanza” e, soprattutto,di tecnologie: «Un mucchio di co-se che la gente faceva sono state— nell’ultimo secolo — rimpiaz-zate dalle macchine e continue-ranno ad esserlo».

Keynes non ha certo indovi-nato la previsione. Ma Pageva, probabilmente, preso piùsul serio dell’illustre economi-sta. Siamo sul crinale di un’al-tra rivoluzione tecnologica —quella dell’automazione — inatto e il visionario di MountainView è in una posizione mi-gliore di tutti noi per intrave-derne gli sviluppi. In questosenso, le riflessioni di Page sul“lavorare meno”, in un paeseabituato ad idolatrare il lavo-ro, sono un segnale importan-te. Dopo una fila di economistie di accademici, il cofondatoredi Google è il primo industria-le a provare a disegnare il fu-turo che ci aspetta, con la ine-sorabile avanzata di compu-ter e robot nei posti di lavoro.Prima sono saltati i posti ope-rai nelle fabbriche, poi quellidelle classi medie — dalla dat-tilografa al contabile — negliuffici. Ora i lavori pregiati, daldesigner all’avvocato, al tra-der di Borsa. All’informatico.Ma anche l’infermiera e lospazzino. Non è un caso chel’uomo al quale, con la macchi-na Google senza guidatore,

tassisti e camionisti devono laloro imminente scomparsa,cominci a porsi il problema.

E la conclusione di Page èche si può “vivere meglio”. Mail boss di Mountain View siguarda bene dall’entrare nelparticolare di cosa significhi,in termini di salario, “lavoraremeno”. Forse, a Silicon Valleyla busta paga non è il principa-le problema. Ma gli economistiche seguono l’automazione inmarcia ci sono già arrivati.Computer e robot aumente-ranno la produttività del siste-ma, che diventerà più ricco. Ibenefici, però, andranno nelletasche dei capitalisti, cioè dichi possiede computer e robot.Ma questo crea un corto circui-to, un vicolo cieco economico.Chi comprerà beni e serviziprodotti in massa da computere robot se la gente, estromessadal lavoro da computer e robot,

non ha più redditi? I capitalistirischiano di restare senza mer-cato. Paul Krugman suggeri-sce di dare a tutti un reddito mi-nimo garantito, a prescindere.Oppure, sulla scorta di Keynes,Branson, Page si può pensaread una settimana corta. Anzi,cortissima. Ma assai ben paga-ta. Per chi, come lo storico se-gretario della Cisl, Pierre Car-niti ha dedicato la vita alla bat-taglia per “lavorare meno, la-vorare tutti” è una dolce ven-detta. Anche se, nella nuovaversione, lo slogan suona di-verso. Lavorare meno per vive-re meglio. Anzi, alla grande.

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In Francia dove neglianni 90 è partita lasettimana cortissimaoggi si torna indietro

«È un dibattito che ha almeno ottant’anni. Lo diceva giàJohn Manfred Keynes, negli anni Trenta davanti alla So-cietà delle Nazioni nel suo celebre discorso su quale eco-nomia lasciare ai nipoti. Che poi saremmo noi: per vincerela disoccupazione non c’è altra soluzione che lavorare dimeno. E occupare il tempo libero che ne deriva incremen-tando le spese per la cultura o altrimenti sarà un dramma».

Altro che dibattito sulle 35 ore. Domenico De Masi, so-ciologo e docente alla Sapienza, va ben oltre. «Sono anniche dico queste cose e tutti continuano a scandalizzarsi:ma Keynes sosteneva che il capitalismo ha un futuro solocon un tasso di disoccupazione al 2 per cento... ».

Professore, quindi non è solo una questione di sceltadi vita. Toccherà a tutti lavorare meno?«Ma è inevitabile. Abbiamo passato secoli a faticare tan-

tissimo per produrre poco. Poi sono arrivate la macchine,sia quelle meccaniche che elettroniche. E stanno sosti-tuendo il lavoro umano. Ma è una tempesta, quella che èin corso, di cui non tutti si rendono conto. Una progressio-ne che la globalizzazione ha accelerato e che sta cancel-lando sia il lavoro fisico ed esecutivo, l’operaio, sia il lavo-ro intellettuale esecutivo, l’impiegato di concetto. Insie-me coprono oltre due terzi dell’occupazione. I quali ver-ranno tutti sostituiti dalle macchine».

Ma è un bene o un male? E la crisi come ha inciso?«Se passa la crisi sarà un vero disastro. Perché l’im-

prenditore che avrà più risorse a disposizione compreràdelle macchine più efficienti e di sicuro non assumerà piùpersone. Perché dovrebbe farlo? Ma da sociologi dico cheè un bene che l’uomo si sia liberato del peso di un lavoronoioso e ripetitivo, alienante. Il problema centrale, sem-mai è un altro: cosa si fa nel tempo libero che rimane a no-stra disposizione? Occorre incrementare le risorse per lacultura, perché solo occupando si cinema, arte, letteratu-ra l’uomo può trovare un senso per riempire il vuoto la-sciato dal lavoro. Altrimenti si fanno danni: guardi a tuttoquello che ha combinato Berlusconi nel tempo libero... »

Ma per continuare a mantenere l’economia occorreconsumare e avere soldi da spendere: è d’accordo neldare comunque un salario a tutti?«Pagare uno stipendio senza lavorare è sbagliatissimo.

Occorre lavorare drasticamente di meno. Invece, conti-nuiamo a pensare al lavoro come se non ci fossero le mac-chine che ci hanno sostituito. Il danno vero lo fanno i ma-nager che da noi si vantano di lavorare 10-12 ore al giorno.C’è uno studio che dimostra che se anche da noi gli ufficichiudessero alle 17 avremmo 500mila posti di lavoro inpiù. In Germania lo fanno e non mi pare che abbiamo unatasso di disoccupazione come il nostro.... »

“Solo così il capitalismopuò salvare se stesso”

LUCA PAGNI

L’INTERVISTA/ IL SOCIOLOGO DE MASI