VIVRÒ SEMPRE SULLA VOSTRA SPALLA - WONDY SONO...

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19.04.2017 VANITY FAIR I 111 VANITY RESILIENZA/1 VIVRÒ SEMPRE SULLA VOSTRA SPALLA Quattro mesi senza WONDY. Suo marito, ALESSANDRO MILAN, torna al primo appuntamento (avvenuto quasi per caso), ai viaggi fatti nonostante tutto, a un piccolo quaderno lasciato per casa e ai progetti (almeno tre) per il futuro di SILVIA NUCINI foto ALESSIO JACONA WONDER WOMAN Francesca Del Rosso, collaboratrice di Vanity Fair e autrice del libro Wondy (Bur), morta lo scorso 12 dicembre a 42 anni per un cancro al seno, e il marito Alessandro Milan, 46. 15 MILAN.indd 111 08/04/17 08.25

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VANITY RESILIENZA/1

VIVRÒ SEMPRE SULLA VOSTRA SPALLA

Quattro mesi senza WONDY. Suo marito, ALESSANDRO MILAN, torna al primo appuntamento (avvenuto quasi per caso),

ai viaggi fatti nonostante tutto, a un piccolo quaderno lasciato per casa e ai progetti (almeno tre) per il futuro

di SILVIA NUCINI foto ALESSIO JACONA

WONDER WOMAN Francesca Del Rosso,

collaboratrice di Vanity Fair e autrice del libro Wondy (Bur),

morta lo scorso 12 dicembre a 42 anni per un cancro al seno, e il marito Alessandro

Milan, 46.

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Nella sto-ria d’amore di Alessandro e Francesca di sbagliato c’è stato il cocktail (negroni con spumante invece che gin) bevuto in ab-bondanza la prima volta che si sono bacia-ti, e il fatto che Francesca se ne sia andata lo scorso dicembre, portata via, a 42 an-ni, dalle conseguenze di un tumore al seno con il quale conviveva («combatteva» a lei non sarebbe piaciuto) da 6 anni. Tra questi due errori, una vita: progetti, valigie, libri, Angelica e Mattia, centinaia di foto con le loro quattro teste bionde e le facce chiare arrossate dal sole. «Voleva sempre anda-re, la Franci», dice Alessandro Milan, suo marito. Sorride.Quando è morta Wondy, così la conosce-vano in tanti: un nomignolo guadagnato all’università e poi tornato buono quan-do il destino le ha richiesto i superpoteri – usato anche come pseudonimo per il suo blog sul sito di Vanity Fair e poi come ti-tolo del suo libro –, Alessandro l’ha salu-tata anche su Facebook, con un post che è stato condiviso da 7 milioni e mezzo di persone. «Mi vivi dentro», ha scritto Ales-sandro in quella lettera e sulla sua lapide. E anche «mi hai insegnato a vivere. Non imparerò mai, puoi scommetterci, ma ce la metterò tutta». Si erano conosciuti a Radio 24, tutti e due fidanzati e, dopo poco, tutti e due single. «Una sera mi chiama e mi chiede se vo-glio andare con lei al cinema, mi propone Le fate ignoranti di Özpetek. Io avevo una partita di calcetto a cui tenevo tantissimo, ma dico ok. Solo dopo mesi mi confesserà che quella a me era stata la sesta telefona-ta che faceva per trovare qualcuno con cui andare al cinema. I primi cinque le aveva-no dato buca. Per fortuna, dico ora».Parliamo nella loro casa colorata, sulla porta della cucina un cartello con una scrittura infantile: Ristorante di Fami-glia. Qua e là le foto. La sensazione di

stare dentro una barca sopravvissuta al naufragio.«Francesca si era scoperta, suo malgrado, una grande forza. Diceva – e scriveva sem-pre che quella forza, anche se non lo sap-piamo, ce l’abbiamo dentro tutti. E che al momento buono viene fuori e ci fa anda-re avanti. Io, anche se lei non c’è più, sento un’energia che non pensavo di possedere. Poco dopo la sua morte, Angelica mi ha detto: papà, io non viaggerò mai più senza la mamma. La mattina dopo mi sono sve-gliato e ho pensato: adesso ti sistemo io. Sono andato in un’agenzia di viaggi e ho preso tre biglietti aerei per le Maldive. Un gesto d’impulso, una follia sotto ogni pun-to di vista. Siamo partiti il 25 dicembre, è stato bello e importante per tutti noi».

Quindi aveva ragione Francesca.«La vita ti impone di andare avanti. Se ti fermi, per quanto lo fai? Chi, o cosa, de-cide quando puoi tornare a vivere? Ma c’è una cosa in più, ed è questo che mi ha insegnato lei: bisogna andare avanti con passione. Per questo ho pensato di fonda-re l’associazione Wondysonoio e di istitu-ire, e dedicare a lei, un premio letterario

per scritti pubblicati sul tema della resi-lienza. È stato come per il viaggio: mi so-no svegliato una mattina e ho deciso. Mi sembra un modo bello per celebrare la sua passione per le parole e ricordare il suo coraggio».Avevate parlato del «dopo»?«Credo che Francesca abbia fatto i con-ti con la possibilità di non farcela solo nell’ultimo mese e mezzo di vita. Prima a ogni brutta notizia – la recidiva, le me-tastasi – rispondeva con coraggio e spe-ranza. Quando mi hanno detto malamen-te – ed è stata la prima volta in sei anni in cui non ho trovato umanità in un medico – che sarebbe stata solo questione di tem-po, sono scappato dallo studio, stravolto. Camminavo nel corridoio dell’ospedale e non vedevo niente. A un certo punto sono andato a sbattere contro un medico, e so-lo allora mi sono accorto che con lui c’e-ra Francesca. Mi ha guardato e mi ha sor-riso. Come dire: lo so. Come dire: ma va bene. Tornati a casa ha iniziato a scrivere una specie di libricino, che lasciava in gi-ro. Si intitola: “Le piccole volontà di Fran-cesca Wondy”. Ci ha lasciato le istruzioni: cosa fare dei libri, dei vestiti, ha scritto di

«MOLTE COPPIE SI SEPARANO DOPO CHE LEI SI AMMALA DI CANCRO. A ME HA AIUTATO

AVERE ACCANTO FRANCESCA, CHE SEI MESI PRIMA DI MORIRE ORGANIZZAVA

UN VIAGGIO IN MALESIA»

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organizzare una festa – che abbiamo fat-to – e anche di chiamarla “Wondy Mar-ket Party”: le sue cose sono andate all’a-sta, abbiamo raccolto fondi per l’associa-zione aBRCAdaBRA, per le donne che, come lei, sono affette dalla mutazione ge-netica BRCA. Il dopo l’aveva organizzato a suo modo: con allegria. Ma questo non significa che non fosse disperatamente at-taccata alla sua vita: voleva veder cresce-re i bambini».I bambini hanno sempre saputo tutto?«Sì, siamo sempre stati convinti che nascondergli la verità fosse sba-gliato. C’è un modo per parla-re ai bambini delle cose diffi-cili, bisogna farlo. Sono con-tento di averli portati all’o-spedale a salutarla, quando ancora era in forze: le hanno portato un disegno, è stato im-portante. Negli ultimi giorni Mat-tia diceva che aveva paura che il mal di testa della mamma – Francesca aveva me-tastasi al cervello – non si potesse cura-re. Gli ho risposto che quella paura l’a-vevo anche io, abbiamo parlato delle no-stre emozioni. Chi li vede, adesso, dice che sembrano bambini sereni, “normali”. Mi dicono: ridono, scherzano. Sono resilien-ti anche loro. Hanno elaborato la morte di Francesca come una cosa che purtrop-po nella vita può capitare. E a loro è capi-tata. Un giorno guardavo una partita del Milan con Mattia e lui mi ha chiesto: “Ma Donnarumma ha la mamma?”. Sì, gli ho risposto. “Allora è più fortunato di me che sono più piccolo e non ce l’ho”».Per sei anni la malattia è stata presente nel-la vita di Francesca. C’è un modo giusto per stare insieme in queste situazioni?«Non è facile, questo va detto. Ma va an-che detto che in una coppia in cui uno dei due è malato e l’altro no, è quello malato che sta peggio. Sembra banale, ma non lo è. Mi ricordo una sera in cui Francesca mi ha allungato un foglio: aveva stampato una ricerca, credo fosse di Veronesi. Dice-va che una percentuale consistente di cop-pie si separano dopo che la donna si è am-malata di cancro al seno. Le ho sorriso. All’inizio non è difficile, dici: l’affrontia-mo insieme questa cosa. Poi quando i me-si diventano anni, diventa complicato. A me ha aiutato molto avere accanto una co-me Francesca che sei mesi prima di mori-re organizzava un viaggio in Malesia, sen-za nessuna tristezza, anzi nel pieno della vita. Esattamente come fece dopo la pri-ma diagnosi di tumore, nel 2010. Sentì il

sassolino, fece gli esami, erano brutti; fis-sò l’intervento, la chemio e poi disse: do-vevamo andare a Minorca, andiamo. Non faceva pesare mai niente, né il dolore né la paura».Nella lettera che ha scritto a Francesca di-ce che rispetterà tutte le sue volontà tranne una. Posso chiederle quale?

«Voleva essere cremata e che le sue ceneri fossero – leggo dal foglio delle sue volontà – “disperse in un posto bello e solare”. Non ho potuto farlo perché avrei dovuto farle firmare un foglio prima che morisse, e non l’ho fatto. Ma io penso che alla fine vada be-ne così, penso che sia importante per noi, per i suoi genitori, avere un posto dove in-contrarla. Io al cimitero non ci sono anco-ra andato, per me non è importante farlo, e nemmeno i bambini mi hanno mai chiesto che li accompagnassi. Ma se un giorno vo-lessero, avrebbero un luogo dove andare».

Quando finiamo di parlare Alessandro mi allunga un quaderno. È l’ultima cosa che Francesca ha scritto per i suoi bambini. Un saluto bellissimo, che finisce così:«...vivrò sempre sulla vostra spalla, non mancherò mai al momento del bisogno, e nemmeno mentre dormirete sonni mera-vigliosi, sappiatelo. Questa è più che una promessa. Vi amo».

T E M P O   D I   L E T T U R A   P R E V I S T O :   9   M I N U T I 

«SIAMO SEMPRE STATI CONVINTI CHE FOSSE SBAGLIATO NASCONDERE

LA VERITÀ. C’È UN MODO PER

PARLARE AI BAMBINI DELLE COSE DIFFICILI. BISOGNA FARLO»

INSIEME Angelica e Mattia,

con il papà Alessandro e la

mamma Francesca.

WONDY CON NOI

Sono tre le iniziative dedicate  alla memoria di Francesca Del Rosso. L’associazione Wondy sono io (ci si  

può associare sul sito Wondysonoio.org),  la nascita di uno spazio sul sito di Vanity Fair con lo stesso nome, dove verranno ospitate storie di resilienza e il Premio 

Wondy di letteratura resiliente, dedicato ai libri già pubblicati nell’anno. 

Presidente di giuria è Roberto Saviano. Tra i giurati: Daria Bignardi, Luca Dini, 

Ferruccio De Bortoli. La prima assegnazione avverrà nel marzo 2018.

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