Vita ed opere di Jean Genet

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Vita e opere di Jean Genet 1 VITA ED OPERE DI JEAN GENET Je suis né à Paris le 19 décembre 1910. Pupille de l'Assistance Publique, il me fut impossible de connaître autre chose de mon état civil. Quand j'eus vingt et un ans, j'obtins un acte de naissance. Ma mère s'appelait Gabrielle Genet. Mon père reste inconnu. Jétais venu au monde au 22 de la rue d'Assas. Come lui stesso ci racconta in una delle prime pagine di Journal du voleur, Genet nasce la sera di lunedì 19 dicembre 1910 nel VI arrondissement di Parigi. La madre, Camille Gabrielle Genet, una giovane cameriera nubile di 22 anni, viene ricoverata in ospedale molti giorni prima del parto. Questa donna rappresenta nella vita di Genet una figura molto ombrata; spesso nei suoi romanzi citerà questa madre sconosciuta, o fantasticando su di lei, come in Journal du voleur, Je ne sais rien d'elle qui m'abandona au berceau, mais j'espérai que c'était cette vieille voleuse qui mendiait la nuit. oppure, come in Miracle de la rose, ammettendo di aver sentito la mancanza di questa figura materna: Il m'arrive de parler de la Colonie en disant: «La vieille», puis «La sevère». Ces deux expressions (…) elles me vinrent (…) alors que j'étais las de ma solitude d'enfant perdu et que mon âme appelait une mère. Genet sente la propria nascita coincidere con un gesto di rifiuto multiplo: dapprima da parte del padre, con la sua assenza, poi della madre, infine della stessa società. E come Divine, il protagonista del suo primo romanzo Notre-dame des-fleurs, Genet sente di essere l'escremento della madre: Divine ne se disait jamais: c'est pourtant celle là qui m'a chié Il 28 luglio 1911 il piccolo Jean di sole 30 settimane viene abbandonato dalla madre, che lo consegna al Bureau d'Abandon de l'Hospice des Enfants-Assistés di Parigi. La legge sull'adozione stabiliva che i bambini abbandonati sarebbero stati affidati ai genitori adottivi fino all'età di 13 anni e che la famiglia adottiva avrebbe percepito in cambio del servizio prestato alla società, un piccolo salario mensile. Il 29 luglio 1911 Jean viene affidato a Eugénie Regnier, titolare di una tabaccheria e moglie di un falegname, residente nel villaggio di Alligny-en- Morvan. Al momento dell'affidamento nella casa della madre adottiva che ha già 53 anni, vivono altri due figli , Berthe e George, di 24 e 18 anni, e un'altra figlia adottiva di 12 anni, Lucie. Il motivo dell'adozione del piccolo Jean è quindi il fatto che l'altra figlia adottiva stava per raggiungere il tredicesimo anno d'età e la famiglia Regnier avrebbe quindi presto perso l'assegno dell'Assistenza pubblica. I primi anni dell'infanzia sono molto belli perché Jean cresce molto coccolato in un ambiente familiare formato in prevalenza da donne. Nell'autunno del 1916 inizia a frequentare la scuola e, interessandosi molto alla lettura, a prendere in prestito dei libri alla biblioteca. Proprio grazie a questo suo amore per i libri, si distingue come migliore allievo della sua classe. Allevato da una matrigna che sogna di vederlo diventare prete, Jean riceve in questi anni una solida, ma non durevole, educazione cattolica, che abbandonerà già durante l'adolescenza, quando cioè imparerà a ridere di se stesso e a scherzare sugli argomenti sacri: Elevé dans la réligion catholique, j'avais juste autant, ou juste aussi peu de foi qu'un jeune paysan de mon âge. Mais vers quinze, seize ans, je compris que la fois avait disparu, et que sa disparition coïncidait avec l'apparition de ma capacité à rire de moi-même et plaisanter au sujet de choses sacrées. Cet évanouissement de la foi ne donna lieu à aucun drame, ni en moi-même ni autour de moi. Que s'était-il donc passé? Cette foi était probablement si fragile, si tenue, que je ne trouvai aucune difficulté à m'en détacher. Durante gli anni della guerra il piccolo Jean è già affascinato dal cinema, che avrà una grande influenza su di lui: Genet infatti, come molti autori francesi della sua epoca, scriverà seguendo l'esempio della tecnica cinematografica; i suoi libri saranno cioè costruiti attraverso un montaggio, le immagini non saranno statiche ma sempre in movimento, con l'utilizzazione di flashbacks e sequenze spezzate; il metodo sequenziale e cronologico dei romanzi classici francesi sarà così eliminato a favore di un formato più cinematografico. Genet trova così il modo per fare dei soggetti classici qualcosa di nuovo. Nel novembre del 1918 la guerra è finita, e questo significa il rientro a casa sia del marito di Berthe che del fratello George: l'attenzione delle donne di casa adesso quindi non è più solo diretta al piccolo Jean. Già a dieci anni Genet inizia a provare attrazione fisica per i suoi compagni maschi: per questo rifiuterà poi l'immagine che Sartre vorrà attribuirgli, quella della povera vittima delle situazioni che è divenuto omosessuale a causa degli eventi sfavorevoli della sua esistenza. Anche la sua passione per il furto affonda le sue radici nell'infanzia: già da piccolo infatti Genet non sente alcun rimorso a rubare dalle persone che ama anche se sa che sono povere: A' dix ans, je volais sans remords des gens que j'aimais et dont je connaissais la pauvreté. Genet ruba, come dice Sartre , per possedere, come possiedono coloro che gli stanno accanto, per potersi così integrare ad una società che fino ad ora non lo ha mai sentito come uno dei suoi; «una società che lo ha aiutato, protetto, sfamato, ma sempre come un diverso, come un errore. » E' lo stesso Genet a collegare i suoi primi furti a desideri omosessuali: per lui l'omosessualità è una forma di appropriazione proibita, quindi un'altra forma di furto: D'être un enfant trouvé m'a valu une jeunesse et une enfance solitaires. D'être un voleur me faisait croire à une singularité du métier de voleur. J'étais, me disais-je, une exception monstreuse. En effet mon goût et mon activité de voleur étaient en rélation avec mon homosexualité, sortaient d'elle qui déjà me gardait dans une solitude inhabituelle. Nell'aprile del 1922 muore la madre adottiva; la sorellastra Berthe e suo marito diventano i suoi genitori. Grazie ai suoi meriti scolastici al raggiungimento del tredicesimo anno di età non è mandato a lavorare in campagna come tutti gli altri orfani, ma a Parigi per frequentare un'altra scuola dell'Assistenza pubblica. Due settimane dopo il suo arrivo Jean scappa, annunciando ai suoi compagni la volontà di recarsi in Egitto o in America; pochi giorni dopo però

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VITA ED OPERE DI JEAN GENET Je suis né à Paris le 19 décembre 1910. Pupille de l'Assistance Publique, il me fut impossible de connaître autre chose de mon état civil. Quand j'eus vingt et un ans, j'obtins un acte de naissance. Ma mère s'appelait Gabrielle Genet. Mon père reste inconnu. Jétais venu au monde au 22 de la rue d'Assas. Come lui stesso ci racconta in una delle prime pagine di Journal du voleur, Genet nasce la sera di lunedì 19 dicembre 1910 nel VI arrondissement di Parigi. La madre, Camille Gabrielle Genet, una giovane cameriera nubile di 22 anni, viene ricoverata in ospedale molti giorni prima del parto. Questa donna rappresenta nella vita di Genet una figura molto ombrata; spesso nei suoi romanzi citerà questa madre sconosciuta, o fantasticando su di lei, come in Journal du voleur, Je ne sais rien d'elle qui m'abandona au berceau, mais j'espérai que c'était cette vieille voleuse qui mendiait la nuit. oppure, come in Miracle de la rose, ammettendo di aver sentito la mancanza di questa figura materna: Il m'arrive de parler de la Colonie en disant: «La vieille», puis «La sevère». Ces deux expressions (…) elles me vinrent (…) alors que j'étais las de ma solitude d'enfant perdu et que mon âme appelait une mère. Genet sente la propria nascita coincidere con un gesto di rifiuto multiplo: dapprima da parte del padre, con la sua assenza, poi della madre, infine della stessa società. E come Divine, il protagonista del suo primo romanzo Notre-dame des-fleurs, Genet sente di essere l'escremento della madre: Divine ne se disait jamais: c'est pourtant celle là qui m'a chié Il 28 luglio 1911 il piccolo Jean di sole 30 settimane viene abbandonato dalla madre, che lo consegna al Bureau d'Abandon de l'Hospice des Enfants-Assistés di Parigi. La legge sull'adozione stabiliva che i bambini abbandonati sarebbero stati affidati ai genitori adottivi fino all'età di 13 anni e che la famiglia adottiva avrebbe percepito in cambio del servizio prestato alla società, un piccolo salario mensile. Il 29 luglio 1911 Jean viene affidato a Eugénie Regnier, titolare di una tabaccheria e moglie di un falegname, residente nel villaggio di Alligny-en-Morvan. Al momento dell'affidamento nella casa della madre adottiva che ha già 53 anni, vivono altri due figli , Berthe e George, di 24 e 18 anni, e un'altra figlia adottiva di 12 anni, Lucie. Il motivo dell'adozione del piccolo Jean è quindi il fatto che l'altra figlia adottiva stava per raggiungere il tredicesimo anno d'età e la famiglia Regnier avrebbe quindi presto perso l'assegno dell'Assistenza pubblica. I primi anni dell'infanzia sono molto belli perché Jean cresce molto coccolato in un ambiente familiare formato in prevalenza da donne. Nell'autunno del 1916 inizia a frequentare la scuola e, interessandosi molto alla lettura, a prendere in prestito dei libri alla biblioteca. Proprio grazie a questo suo amore per i libri, si distingue come migliore allievo della sua classe. Allevato da una matrigna che sogna di vederlo diventare prete, Jean riceve in questi anni una solida, ma non durevole, educazione cattolica, che

abbandonerà già durante l'adolescenza, quando cioè imparerà a ridere di se stesso e a scherzare sugli argomenti sacri: Elevé dans la réligion catholique, j'avais juste autant, ou juste aussi peu de foi qu'un jeune paysan de mon âge. Mais vers quinze, seize ans, je compris que la fois avait disparu, et que sa disparition coïncidait avec l'apparition de ma capacité à rire de moi-même et plaisanter au sujet de choses sacrées. Cet évanouissement de la foi ne donna lieu à aucun drame, ni en moi-même ni autour de moi. Que s'était-il donc passé? Cette foi était probablement si fragile, si tenue, que je ne trouvai aucune difficulté à m'en détacher. Durante gli anni della guerra il piccolo Jean è già affascinato dal cinema, che avrà una grande influenza su di lui: Genet infatti, come molti autori francesi della sua epoca, scriverà seguendo l'esempio della tecnica cinematografica; i suoi libri saranno cioè costruiti attraverso un montaggio, le immagini non saranno statiche ma sempre in movimento, con l'utilizzazione di flashbacks e sequenze spezzate; il metodo sequenziale e cronologico dei romanzi classici francesi sarà così eliminato a favore di un formato più cinematografico. Genet trova così il modo per fare dei soggetti classici qualcosa di nuovo. Nel novembre del 1918 la guerra è finita, e questo significa il rientro a casa sia del marito di Berthe che del fratello George: l'attenzione delle donne di casa adesso quindi non è più solo diretta al piccolo Jean. Già a dieci anni Genet inizia a provare attrazione fisica per i suoi compagni maschi: per questo rifiuterà poi l'immagine che Sartre vorrà attribuirgli, quella della povera vittima delle situazioni che è divenuto omosessuale a causa degli eventi sfavorevoli della sua esistenza. Anche la sua passione per il furto affonda le sue radici nell'infanzia: già da piccolo infatti Genet non sente alcun rimorso a rubare dalle persone che ama anche se sa che sono povere: A' dix ans, je volais sans remords des gens que j'aimais et dont je connaissais la pauvreté. Genet ruba, come dice Sartre , per possedere, come possiedono coloro che gli stanno accanto, per potersi così integrare ad una società che fino ad ora non lo ha mai sentito come uno dei suoi; «una società che lo ha aiutato, protetto, sfamato, ma sempre come un diverso, come un errore. » E' lo stesso Genet a collegare i suoi primi furti a desideri omosessuali: per lui l'omosessualità è una forma di appropriazione proibita, quindi un'altra forma di furto: D'être un enfant trouvé m'a valu une jeunesse et une enfance solitaires. D'être un voleur me faisait croire à une singularité du métier de voleur. J'étais, me disais-je, une exception monstreuse. En effet mon goût et mon activité de voleur étaient en rélation avec mon homosexualité, sortaient d'elle qui déjà me gardait dans une solitude inhabituelle. Nell'aprile del 1922 muore la madre adottiva; la sorellastra Berthe e suo marito diventano i suoi genitori. Grazie ai suoi meriti scolastici al raggiungimento del tredicesimo anno di età non è mandato a lavorare in campagna come tutti gli altri orfani, ma a Parigi per frequentare un'altra scuola dell'Assistenza pubblica. Due settimane dopo il suo arrivo Jean scappa, annunciando ai suoi compagni la volontà di recarsi in Egitto o in America; pochi giorni dopo però

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viene ritrovato a Nizza. Questo periodo della sua vita è caratterizzato da numerosi tentativi di fuga all' estero, la polizia lo ritrova sempre nelle stazioni ferroviarie o nelle città portuarie, dove il giovane Jean si reca sperando di trovare il modo di lasciare la Francia, mentre invece viene sempre ricondotto a Parigi. Nell'aprile del 1925 viene affidato al compositore non vedente René de Buxeuil, il quale nota e incoraggia la passione del quattordicenne Jean per la poesia. Nell'autunno dello stesso anno Genet è accusato dal suo tutore di furto. In quella circostanza il ragazzino implora invano perdono all'uomo che decide invece lo stesso di consegnarlo alle autorità. Dopo la fuga dalla scuola e il fallimento di questa esperienza adottiva, l'Assistenza Pubblica decide di sottoporre il ragazzo ad un esame psichiatrico: il 5 novembre 1925 un medico definisce Jean Genet una persona debole e instabile dal punto di vista mentale, bisognosa quindi di una supervisione speciale. Viene così collocato in un nuovo riformatorio l'11 dicembre 1925. Nel febbraio dell'anno seguente Jean tenta un'altra fuga ma viene arrestato due giorni dopo a Marsiglia; dopo breve tempo ci riprova ma viene catturato su un treno diretto a Bordeaux, e, in seguito a quest'ennesimo tentativo di fuga, viene affidato al riformatorio della Petite Roquette. Dopo soltanto qualche giorno di reclusione, viene mandato in una città del nord per effettuare, attraverso l'avviamento al lavoro, un altro tentativo di recupero; ma dopo un mese soltanto sparisce di nuovo nel nulla, per essere poi arrestato nel luglio del 1926 e messo stavolta in prigione. Viene dunque affidato al riformatorio di Mettray, fino al raggiungimento della maggiore età. Mettray sarà per alcuni anni il suo universo, lì Genet si sentirà, paradossalmente, come a casa sua: se fuori era stato rifiutato da tutti, considerato un ragazzo diverso, ora a Mettray lui è come gli altri, è accettato dagli altri. E' qui in riformatorio che Genet conoscerà le sue prime esperienze omosessuali, vissute segretamente di notte, nonostante l'obbligo di mantenere le luci accese nel dormitorio, tra i vari ospiti della colonia: …dans la maison de correction de Mettray l'homosexualité était réprouvée, évidemment; mais puisqu'il n'y avait pas de filles, il fallait bien. Tous les garçons avaient quinze et vingt et un an; il n'y avait recours que dans l'homosexualité passagère ou qui devait le demeurer, en tout cas dans l'homosexualité, et c'est ce qui m'a permis de dire qu'en maison de correction, j'étais vraiment heureux. Il 1 marzo 1929 si arruola come volontario nell'esercito. L'anno seguente, il 28 gennaio 1930, si imbarca per Beirut, dove ha la possibilità di vedere gli effetti devastanti del colonialismo francese, e non può fare a meno di paragonare l'oppressione francese sulle Colonie alla repressione che aveva subito nel riformatorio. Raggiunge poi Damasco, in Siria, dove resterà per undici mesi. E' il primo contatto con il mondo arabo, al quale resterà, lungo tutto il corso della sua vita, profondamente attaccato. Dopo un attacco di itterizia che gli costa il ricovero in ospedale, ritorna in Francia con, come lui stesso ammette, una carriera militare

rovinata. Nel mese di giugno riparte per il Marocco dove si arruola nuovamente nell'esercito, restandoci per diciannove mesi. A 22 anni ritorna in Francia e per la prima volta cerca di avere notizie riguardo alle sue origini anche se nell'ospedale dove è nato rifiutano di fornirgli qualsiasi informazione sulla sua nascita e sull'identità dei genitori. E' proprio in questo periodo che Genet fa la conoscenza di André Gide a Parigi. Seguono poi dei viaggi in Spagna e un periodo di permanenza a Barcellona, dove convive prima con lo spagnolo Salvador e poi con il serbo Stilitano, un disertore della legione straniera. Secondo quanto racconta nel romanzo Journal du voleur Genet viene arrestato una sera a Barcellona per prostituzione, e si trova protagonista di un'umiliante scena che resterà profondamente impressa nella sua memoria per molti anni: il ritrovamento da parte dei poliziotti di un vasetto di vaselina nella sua tasca, con la conseguente derisione e umiliazione da parte degli agenti. Nel 1934 Genet è costretto dalle sue precarie condizioni economiche a riarruolarsi nell'esercito. Due anni dopo diserta ancora e per un anno, dal '36 al '37, viaggia per circa 8500 Km attraverso l'Europa per sfuggire all'autorità militare francese dalla quale è ricercato per diserzione: sarà in Albania, in Italia, in Austria, in Cecoslovacchia, in Polonia e infine in Germania; questa resta ancora oggi la parte più oscura della sua vita, che Genet racconterà, sotto forma di epopea, nel suo romanzo Journal du voleur. Ma dopo un lungo soggiorno tra i tedeschi decide di ritornare in Francia perché considera la Germania una nazione di ladri, che ha fatto del crimine una virtù, un dovere civico, e dove per realizzare la sua natura criminale sarebbe entrato all'interno di un normale ordine di cose: non sarebbe riuscito a commettere del male, non avrebbe disturbato o scandalizzato nessuno. C'est un peuple de voleurs – sentais-je en moi-même. Si je vole ici je n'accomplis aucune action singulière et qui puisse me réaliser mieux: j'obéis à l'ordre habituel. Je ne le détruis pas. Je ne commets pas le mal, je ne dérange rien. Le scandale est impossible. Je vole à vide. Nel luglio del 1937 Genet torna in Francia: il 16 settembre viene arrestato per un tentativo di furto; tre giorni dopo essere stato rilasciato viene arrestato di nuovo e nonostante i documenti falsi viene identificato come disertore e rinchiuso in una prigione militare, dove uno psichiatra lo giudica instabile e amorale. Aumenta così in lui il disprezzo per il suo Paese e per i suoi connazionali, fino al punto di essere felice quando li vedrà tremare tutti, terrorizzati, durante la seconda guerra mondiale dinanzi alla invasione nazista: J'étais heureux de voir la France terrorisée par des enfants en armes, mais je l'étais bien plus quand ces enfants étaient des voleurs, des gouapes. Nella primavera del 1939 conosce Maurice Reynald: è in un momento della sua vita in cui non ha un soldo e non sa nemmeno dove dormire. In questo momento per lui così difficile Maurice gli viene incontro, dandogli in prestito il suo appartamento. Genet dedica all'amicizia di quest'uomo Notre-dame-des-fleurs e Querelle de Brest. Nel corso del 1939 viene arrestato diverse volte sempre per furto, e durante la permanenza in prigione inizia a

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sentire il bisogno di scrivere. Nell'agosto del 1940 Genet incontra Jean Decarnin, un adolescente eterosessuale, molto impegnato politicamente al fianco della sinistra. Il ragazzo lo introduce nell'ambiente degli studenti del Quartier Latin a Parigi, dove iniziano a circolare anche le prime poesie di Genet manoscritte, copiate a mano dagli studenti. La tendenza a sinistra del giovane Decarnin lo spingerà a schierarsi dalla parte della resistenza durante la seconda guerra mondiale: e sarà proprio in combattimento a Parigi che il giovane perderà prematuramente la vita. Mentre è nella prigione di Fresnes, nel settembre del 1942, durante una delle sue numerose detenzioni per furto, Genet pubblica a sue spese un centinaio di copie di un libretto intitolato L'homme condamné à mort dedicato a Maurice Pilorge, un assassino di vent'anni giustiziato nel 1939. Notre-dame des-fleurs, il primo romanzo di Genet, è scritto tra il 1941 e il 1942, un periodo di tempo estremamente breve per un libro così lungo e denso. Genet racconta come abbia iniziato, tra mille difficoltà, a scrivere il suo romanzo mentre era in prigione, utilizzando i fogli che gli erano stati consegnati per la fabbricazione di sacchetti di carta: Je vous disais que j'ai commencé mon premier livre sur des feuilles de papier destinées à fabriquer des sacs en papier. Et j'ai écrit sur ces feuilles à peu près les cinquante premières pages de Notre-Dame-des-Fleurs. Et puis, j'ai été appelé au palais de Justice pour l'instruction de mon affaire (…) et j'avais laissé les feuilles de papier sur la table. Le chef d'atelier avait les clefs, il pouvait entrer dans toutes les cellules à n'importe quel moment et pendant que j'étais au palais de Justice, il est entré dans ma cellule, il a vu les feuilles de papier couvertes d'écriture. Il les a emportées et les a remises au Directeur de la prison de la Santé. (…) on lui a apporté les feuilles et le lendemain soir, quand je suis rentré dans la cellule, les feuilles avaient disparu. Donc le début de mon roman avait disparu. J'ai été appelé chez le Directeur le lendemain et il m'a condamné à trois jours de cellule et à trois ou six jours de pain sec. Et on m'a fichu les feuilles de papier en l'air. Alors, qu'est-ce que j'ai fait? Au bout de trois jours, quand je suis sorti de cellule, j'ai commandé à la cantine, comme j'en avais le droit, un cahier. Je me suis mis sous les couvertures et j'ai essayé de me souvenir des phrases que j'avais écrites et j'ai recommencé ce que j'avais fait. Nascosti dietro una trama apparentemente circolare, ci sono in quest'opera tre diversi percorsi narrativi. La narrazione inizia infatti con la scena del funerale di Divine, il protagonista, e ripercorre, attraverso una cronologia piuttosto irregolare e bizzarra, caratterizzata da bruschi trapassi temporali, tutta la vita del protagonista, la sua infanzia provinciale, la sua vita da «prostituto» parigino, i suoi numerosi amori, per ritornare poi alla fine del libro di nuovo all'episodio della sua morte. La storia si articola lungo due linee temporali ben distinte: l'infanzia rurale e provinciale di Louis Culafroy, e la sua maturità vissuta a Parigi con il nome di Divine. Queste due linee si intrecciano a una terza dimensione

temporale, e cioè quella in cui si trova lo scrittore al momento stesso della stesura dell'opera, con le sue riflessioni, i suoi ricordi e i suoi numerosissimi interventi: Ce livre, j'ai voulu le faire des éléments transposés, sublimés, de ma vie de condamné, je crains qu'il ne dise rien de mes hantises. I personaggi di questo romanzo prendono vita come dei pupazzi nelle mani dell'autore, ma poi gradualmente guadagnano la loro indipendenza: il protagonista Divine ha infatti dei pensieri, delle abitudini e persino un destino che Genet spesso non può controllare. La società mostrata è l'esatto contrario della società tradizionale, è un'anti-società, tutti valori sono capovolti e tra questi anche l'amore che è necessariamente connesso alla violenza. La nostra società è infatti abituata a guardare alla componente violenta dell'amore come ad un aspetto secondario di questo sentimento, subordinato alla tenerezza e all'affetto. Genet inverte questo rapporto: la violenza diviene l'essenza della relazione, la sua componente maggiore. In questa anti-società, quindi, anche l'amore diventa anti-amore. Il capovolgimento dei valori implica anche quello del valore degli oggetti e delle parole che, in quest'opera come nelle prossime, arrivano ad assumere un significato diverso da quello originario: Genet infatti mette in evidenza l'arbitrarietà del rapporto tra significante e significato, sconvolgendo il significato tradizionale delle parole e attribuendo ad esempio a termini come crasse, vol, meurtre, il senso di noblesse, beauté, saintété. Le scene di Notre-dame-des-fleurs si muovono attraverso un tempo e uno spazio con una libertà che all'inizio può sembrare quasi caotica. Ma in realtà questo movimento, che non è determinato né dalla logica della narrativa, né da alcun trattamento schematico del tempo, è esattamente l'opposto del caos, è al contrario molto controllato e deriva da un principio di associazione: un incidente, una nota, un oggetto, un gesto, richiamano un'immagine di qualcosa di simile posta però in un altro tempo e in un altro spazio. Il tempo utilizzato è quello della dissolvenza cinematografica: nell'universo romanzesco di Genet infatti non si arriva mai alla fine, le cose non finiscono, prima di sparire si dissolvono in altre scene. Il centro di tutto questo è Genet che scrive il suo libro, come lui stesso spiega nel corso della narrazione, solo nella sua cella della prigione di Fresnes. I suoi personaggi sono dipinti dai ricordi dei suoi vari amanti, dei compagni di prigionia, «prostituti», ladri e assassini. Tuttavia quello che noi leggiamo non è autobiografia, ma solo storie di un prigioniero che racconta scene della sua vita interiore; e poiché «bisogna mentire per dire la verità», il lettore non dovrà aspettarsi altro che un gioco: Ne criez pas à l'invraisemblance. Ce qui va suivre est faux et personne n'est tenu de l'accepter pour argent comptant. La vérité n'est pas mon fait. Mais il faut mentir pour être vrai. Et même aller au delà. De quelle vérité veux-je parler? S'il est bien vrai que je suis un prisonnier, qui joue des scènes de la vie intérieure, vous n'exigerez rien d'autre qu'un jeu. La realtà si costituisce dunque attraverso il modo in cui l'autore ne parla, essa non esiste prima che egli le abbia dato forma attraverso il linguaggio, «il reale diventa tale solo

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attraverso la sua impronta semiotica.» Solo le messinscene e gli artifici letterari scriveranno la storia, una storia «teatralizzata dall'immagine» . L'idea del romanzo è quella del prigioniero solitario che tira fuori dalla sua mente queste figure, questi intrighi e queste fantasie che stimolano il suo desiderio, in modo che lui riesca, attraverso l'immaginazione-narrazione, a portarsi all'orgasmo. L'opera nasce quindi dalle fantasie di un onanista, un omosessuale che, come Genet stesso ci suggerisce nel corso della narrazione, intende masturbarsi mentre pensa ai più bei ragazzi che ha conosciuto. Dopo ogni racconto propriamente romanzesco, la narrazione torna infatti al suo punto di partenza, al narratore nella sua cella. La particolarità della struttura di Notre-dame-des-fleurs è l'alternato trasferimento dei personaggi nell'universo del narratore, e del narratore in quello dei personaggi. Genet, infatti, dopo aver affermato la natura fittizia dei suoi eroi, non esita a presentarli come persone reali che avrebbe effettivamente conosciuto in prigione, e a suggerire persino che alcuni elementi del suo racconto gli siano stati forniti proprio dal protagonista, limitando il proprio ruolo a quello di confidente e trascrittore. Questo realismo che circonda la presentazione dei suoi personaggi, l'ambiente in cui vivono, il carattere, l'aspetto fisico, viene però spezzato e deriso dai numerosi interventi dell'autore che, nel presentarci dettagliatamente i suoi eroi, ci descrive sì il loro aspetto come se leggesse un documento segnaletico, ma ci informa anche sulla lunghezza del loro organo sessuale in erezione: Signalement de Notre-dame-des-fleurs: taille 1,71m, poids: 71 Kg, visage ovale, cheveux blonds, yeux bleus, teint mat, dents parfaites, nez rectiligne, membre en érection: longuer 0,24 m, circonférence 0,10 m. Simmetricamente, nella parte propriamente romanzesca dell'opera, grazie a una serie di bruschi trapassi dalla terza alla prima persona, è il narratore a inserirsi nella storia, a confondersi con le sue creature, mescolando la propria voce alla loro e assumendone talvolta direttamente le vicende: …en fin de compte, c'est mon destin, vrai ou faux, que je mets (…) sur les épaules de Divine Genet incontra per la prima volta Jean Cocteau il 15 febbraio del 1943; divenuti amici, Genet gli fa leggere il manoscritto del suo primo romanzo, Notre-dame des-fleurs, che ha iniziato a scrivere durante il suo soggiorno nella prigione di Fesnes e il giudizio di Cocteau si rivela molto positivo: The book is here, in the apartement, extraordinary, obscure, unpublishable, inevitable. (…) For me it's the great event of the epoch. It disgust me, repels me, astonishes me, it poses a thousand problems. (…) Jean Genet's eye embarasses and disturbs you. He's right and the rest of the world is wrong. E' infatti Cocteau a volere la pubblicazione del libro, nonostante sappia che dovrà essere pubblicato clandestinamente. Il primo marzo del 1943 Genet firma così il suo primo contratto da scrittore con Paul Morihien, il segretario di Cocteau. Per lui la pubblicazione di questo libro non sarà solo l'inizio di una carriera, ma la redenzione di un'intera vita; poiché

fino a questo momento non aveva mai fatto niente di importante, non aveva amici e non aveva denaro. Ma l'amicizia con Cocteau finirà ben presto, anche perché per Genet rifiutare Cocteau era un modo per affermare la propria indipendenza, così come lo sarà il suo legame con Olivier Larronde, un precocissimo poeta a cui Cocteau aveva consigliato di abbandonare la poesia, e il cui genio colpirà invece profondamente Genet. Così, negli ultimi giorni di quest'anno, viene pubblicato clandestinamente il primo romanzo di Genet ad opera di Paul Morihien e Robert Denoël, ma vengono vendute solo poche copie. In uno dei periodi di prigionia alla Santé Genet si lega molto ad uno dei suoi compagni detenuti, Guy, che servirà da modello sia per il personaggio di Bulkaen in Miracle de la Rose, sia per il personaggio di Guy in Journal du voleur. L'affetto tra i due deriva principalmente dal fatto che entrambi hanno vissuto l'esperienza del soggiorno nel riformatorio di Mettray. Sempre in prigione in questo stesso anno Genet riceve la visita di un giovane editore di Lione, Marc Barbezat, che diventerà presto il suo principale editore; infatti nel 1943 viene pubblicato anche il suo secondo romanzo, Miracle de la rose dalla stessa casa editrice L'Arbalète. L'opera presenta la stessa struttura fluida di Notre-dame-des-fleurs, ma stordisce meno il lettore rispetto al romanzo precedente perché i luoghi dell'azione sono soltanto due: la prigione di Fontevrault e il riformatorio di Mettray. Anche questo romanzo, come gli altri di Genet, non è diviso in capitoli: Genet scrive facendo susseguire dei testi che spesso non hanno niente a che vedere gli uni con gli altri, passando bruscamente da un personaggio all'altro, da un momento del passato a un altro momento del passato, da una prigione a un'altra prigione. Anche quest'opera, come la precedente, ci presenta una trama circolare: il racconto inizia infatti con l'arrivo del narratore alla centrale di Fontevrault poco dopo la condanna a morte di Harcamone, e finisce con la descrizione della decapitazione di quest'ultimo. I personaggi principali del romanzo sono quattro: Divers, che è stato l'amante di Genet circa quindici anni prima a Mettray; il giovane Bulkaen, di cui Genet si innamora profondamente, e che è descritto come un uomo di grande bellezza dotato di un bellissimo sorriso, oggetto della gelosa passione del narratore; Harcamone, condannato a morte e poi giustiziato per aver ucciso una guardia, e Genet stesso, le cui passioni sono il soggetto del libro. Il narratore Genet, infatti, trasforma il mondo della prigione, duro e freddo, in un «universo di dolcezza e di fiori, l'universo miracoloso dell'amore.» Le rievocazioni della vita di prigione, sia quella vissuta dall'autore a Mettray che quella vissuta a Fontevrault, sono di una straordinaria vitalità. Genet descrive minuziosamente l'abbigliamento dei detenuti, i rituali notturni, i legami d'amicizia e d'amore e persino le celebrazioni dei «matrimoni» tra ragazzi, l'importanza dei gesti simbolici e dei tatuaggi, e soprattutto la venerazione degli altri detenuti nei confronti dei condannati a morte: Je crois savoir que mon amour pour la prison est peut-être le subtil bien-être à me plonger dans une vie au milieu d'hommes que mon

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imagination et mon désir veulent d'une rare beauté morale Genet non è attratto dal mondo comune, non vuole mescolarsi con la società che l'ha bollato per sempre; nella sua immaginazione la prigione diviene altro, si trasforma in un luogo di salvezza e di santità. A queste condizioni nel carcere è possibile vivere, ed è possibile celebrarvi il rifiuto del mondo. La prigione diventa quindi per Genet quel che è la chiesa per i credenti: luogo di meditazione, di preghiera, di incontro con il divino. E in questo mondo di prigionieri tutti i valori sono invertiti: ciò che è più basso diviene più alto, la maschera è più vicina alla realtà di ciò che essa copre, la salvezza è nel peccato, e la perseveranza nel male è l'unica strada per la santità: Et peut-être me laissai-je si bien aller à cela parce que ainsi je m'éloigne du monde. Je suis emporté dans cette chute qui, coupant par sa vitesse même et sa verticalité tous les fils qui me retiennent au monde, m'enfonce dans la prison, dans l'immonde, dans le rêve et l'enfer pour atterrir enfin dans un jardin de sainteté. Il libro descrive inoltre l'ascetica strada che Genet deve seguire nella disperata consapevolezza di non poter mai raggiungere «l'altezza» di coloro che, come Harcamone, emettono delle radiazioni di tragicità, di «Male» e di sacralità. Questo romanzo rappresenta dunque la presa di coscienza per Genet del più estimabile personaggio che l'ha abitato: il ladro. Je voulus être moi-même, et je fus moi-même, quand je me révélai casseur. Negli ultimi giorni del 1943 Genet viene trasferito alla prigione parigina di Tourelle, in seguito all'approvazione di una legge che permetteva allo Stato di porre in internamento amministrativo qualunque persona considerata pericolosa per la sicurezza nazionale. In questa circostanza Genet si fa aiutare da un amico prefetto, che lo fa scarcerare il 14 marzo del 1944. Genet incontra Jean-Paul Sartre per la prima volta nel maggio del 1944 al Café de Flore a Parigi. Poiché Sartre è un autore molto conosciuto anche all'estero, sarà lui a provvedere alla diffusione della conoscenza di Genet anche in America. Nella primavera del 1945 Genet incontra in prigione il diciottenne Lucien Sénémaud, per il quale scrive qualche tempo dopo il poema Le pêcheur du Suquet. Il titolo del poema evoca il porto della città di Cannes, dove il giovane Lucien da bambino era solito recarsi a pescare, nonostante quella non fosse la sua professione. Genet immagina una processione di pellegrini in miniatura, così piccoli da poter esplorare nei minimi dettagli il virile corpo del giovane con la stessa sacralità adoperata in un pellegrinaggio in un tempio. Insieme al Pêcheur du Suquet vengono pubblicati nel 1948 da Marc Barbezat altri poemi: Marche funèbre, La Galère, La Parade, e Un chant d'amour, in un'unica raccolta dal titolo Poèmes. Pompes funèbres , il suo terzo romanzo, pubblicato da Gallimard nel 1947, è il primo libro che Genet non scrive in prigione: Mes précédents livres, je les écrivais en prison. E'un libro che Genet scrive per celebrare la memoria del suo amico Jean Decarnin, che era stato per un certo periodo il suo amante e che era morto gli

ultimi giorni della seconda guerra mondiale durante i combattimenti per la presa di Parigi: C'est à l'intérieur de cette tragédie que se place l'événement: la mort de Jean D., qui donne prétexte à ce livre. Riflettendo sulla morte dell'amico, inizia a pensare al suicidio: …je veux cesser de vivre. Même si cette décision se détruit et se renouvelle à chaque instant, elle m'empêche d'utiliser le futur. Tout doit s'accomplir dans l'instant, puisque l'instant d'après je serai chez les morts, accroupi dans le champ d'honneur, et parlant à Jean. Genet racconta la storia d'amore tra un tedesco e un soldato che, naturalmente, lo tradisce. Il tradimento è infatti protagonista in quest'opera, specchio perfetto dell'esigenza che Genet aveva di tradire, di sbarazzarsi delle persone nei confronti delle quali provava una certa tenerezza. Improvvisamente ne aveva abbastanza di quest'affetto e doveva allontanarle, tradendole. Il tradimento è infatti per lui la forma più pura del Male, è la sua massima espressione, è il crimine peggiore che possa essere commesso, al di sopra del furto e dell'omicidio. Il tradimento è anche per Genet un'affermazione di libertà assoluta nei confronti di ogni tipo di legame. Il nazismo di Hitler è qui considerato come una forma di banditismo, come la glorificazione della violenza e del male: esso esalta Genet non solo perché è una manifestazione e un esempio di pura violenza, ma soprattutto perché questa violenza è rivolta, in questo preciso momento storico in cui il romanzo è ambientato, contro la tanto detestata Francia e contro i Francesi: Il est naturel que cette piraterie, le banditisme le plus fou qu'était l'aventure hitlerienne, provoque la haine des braves gens, mais en moi l'admiration profonde et la sympathie. Quand, un jour, je vis derrière moi un parapet tirer sur les Français les soldats allemands, j'eus honte soudain de n'être pas avec ceux-ci, époulant mon fusil et mourant à leurs côtés. I personaggi vivono situazioni reali e immaginarie, e Genet, attraverso dei bruschi trapassi dalla terza alla prima persona, si identifica continuamente con loro, e li modella anche, come dei pupazzi di gomma nelle mani dei bambini: Dans ma fatigue entre la veille et le sommeil, entre la douleur et ce qui la combat (…) je suis visité par tout ces personnages dont j'ai parlé et par d'autres encore, que je ne peux saisir. Ils ont l'air de sortir des Limbes, c'est-à-dire d'une région où les corps sont imparfaits, mal formés, un peu malléables, comme les bonshommes de mastic entre les doigts des gosses… Anche la struttura temporale è piuttosto bizzarra, perché il modello a cui Genet guarda non è la realtà, ma il sogno. Questo perché «nel sogno tutto è travestito e tutto è vero; in esso, infatti, anche se in forma simbolica, la verità è un'immagine truccata ma non falsa.» Il racconto così, liberatosi dalle regole della realtà, può procedere per associazioni, per analogie, dando vita ad «un vero che sfugge alla consuetudine.» Pompes funèbres è dunque l'esaltazione del male e del tradimento, che, come abbiamo detto, è una delle sue manifestazioni migliori: Genet confessa infatti al lettore di essersi votato al Male, di aver deciso di compiere azioni riprovevoli per staccarsi dal mondo della morale comune, di rifiutare quella società che per prima lo aveva rifiutato,

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segregandolo nei riformatori e nelle prigioni. Cerca così di sublimare una rappresentazione del mondo completamente agli antipodi di quello reale, dove tutti i valori sono capovolti, e compiere il Male è l'unica via per la «santità»: Je me suis voulu traître, voleur, pillard, délateur, haineux, destructeur, méprisant, lâche. A coup de hache et de cris, je coupais les cordes qui me retenaient au monde de l'habituelle morale, parfois j'en défaisais méthodiquement les noeuds. Monstreusement je m'éloignais de vous, de votre monde, de vos villes, de vos institutions. Après avoir connu votre interdiction de séjour, vos prisons, votre ban, j'ai découvert des régions plus désertes où mon orgueil se sentait plus à l'aise. Après ce travail – encore à moitié fait – qui m'a coûté tant de sacrifices, m'obstinant toujours plus dans la sublimation d'un monde qui est l'envers du vôtre, voici que j'ai la honte de me voir aborder avec peine, éclopé, saignant, sur un rivage plus peuplé que la Mort elle-même. Nello stesso anno Genet pubblica Querelle de Brest , abbandonando l'atmosfera del carcere per ambientare questo romanzo nei meandri di una città reale e mitica, la città di Brest, con i suoi bastioni e le sue mura scavate nel marmo, con il suo porto, i suoi quartieri malfamati, i suoi bistrots. Il protagonista, Querelle, è un marinaio di una nave ancorata nel porto di Brest: c'è più di un omicidio nel suo passato e subito dopo l'inizio della narrazione ne commette un altro. Querelle, pur essendo di estrazione sociale diversa dai protagonisti dei suoi precedenti romanzi, ha in comune con essi il fatto di essere bello, giovane, audace, delinquente. Querelle, infatti, è l'incarnazione dell'autentico criminale il quale, nel commettere un omicidio, è consapevole di essere il «creatore» di un opera d'arte: Ceci demande une courte explication. Si Querelle s'était trouvé, avec des gestes habitués aux situations normales, soudain dans un univers transformé, il eût éprouvé une certaine solitude, un certain effroi: le sentiment de son étrangeté. Mais en l'acceptant, l'idée du meurtre lui était plus que familière, de son corps elle était une exhalation dans laquelle il baignait le monde. Ses gestes n'étaient pas sans écho. Querelle avait donc le sentiment d'une autre solitude: celle de sa singularité créatrice. I personaggi che ruotano intorno al protagonista sono il luogotenente di marina Seblon, segretamente innamorato di Querelle; Mario, il capo della polizia, M.me Lysiane proprietaria di un bordello chiamato La féria, Nono, suo marito, Robert, il fratello di Querelle e molti altri marinai, operai e piccoli ladri. In quest'opera le relazioni di potere sono espresse attraverso delle relazioni sessuali che i personaggi intraprendono tra loro creando un fitto intreccio di segreti e trasgressioni; i personaggi che vivono in questo densissimo e sorprendente racconto, infatti, comunicano tra di loro attraverso i sentimenti dell'odio e dell'amore, e dunque attraverso la violenza e il sesso. Attraverso questi rapporti poi, il potere viene trasferito da una persona all'altra. Nonostante però le relazioni tra i personaggi maschili siano spesso di carattere sessuale, Genet avverte il lettore che non ci

sono omosessuali in questo romanzo, eccetto il luogotenente Seblon; anzi a dire il vero neanche lui è nel romanzo, perché i suoi desideri sono espressi soltanto nelle pagine di un diario segreto, e non nelle sue azioni. Questo personaggio, oltre ad essere l'unico che si dichiara omosessuale, è anche l'unico a scrivere, funzionando come una sorta di «doppio dell'istanza narrativa» : ciò si percepisce graficamente attraverso l'uso di un doppio carattere impiegato nel testo: gli estratti del suo diario, infatti, costituiscono degli intervalli nel corso della narrazione, messi in evidenza dall'uso del corsivo. La scena in cui Querelle, avendo ucciso un marinaio, si incorona nella sua immaginazione sovrano e si condanna a morte, come per ottenere una sorta di espiazione, rappresenta un punto cruciale nel suo percorso verso la libertà e verso la sua identificazione personale: Incapable de savoir s'il sera ou non arrêté, le criminel vit dans une inquiétude qu'il ne peut abolir que par la négation de son acte. C'est- à-dire son expiation. C'est-à-dire encore sa propre condamnation. Il lettore viene continuamente coinvolto dall'autore nel corso della narrazione, e gli viene offerta la speranza, partecipando con Genet al compito di creare e animare queste figure, che il loro potere di corruzione possa essere esorcizzato. Nel giugno del 1947 Sartre fa in modo che Genet vinca le Prix de la Pléiade, un premio letterario per l'assegnazione del quale lui è in commissione. Nello stesso anno, durante una visita a Cannes, Genet incontra il ventiduenne Java, di sangue russo e francese: i due, divenuti amanti, vivranno insieme dal '47 al '54. Java spinge Jean a fare delle nuove ricerche sulle sue origini: i due si recano all'ospedale dove è nato, riuscendo però soltanto a scoprire che Jean Genet è il suo vero nome e che sua madre è deceduta. Nello stesso anno Guerain compra il manoscritto di Querelle de Brest per 50.000 franchi: sono i primi guadagni reali di Genet scrittore. Risale a questo stesso periodo la conoscenza e l'amicizia della pittrice Léonor Fini: Genet è molto colpito dalla personalità piuttosto originale della donna: Léonor Fini è un essere di cui Genet ama sottolineare l'ambiguità e definire la sua pittura sulfurea. Nella sua Lettre à Léonor Fini Genet si augura che l'esigenza estetica della pittrice italiana, sia all'altezza della ferita morale che l'ha fatta nascere; egli spinge l'artista a scoprire nella sua opera l'istanza etica che la fonda, e che si può esprimere solo attraverso la compassione. Negli anni che seguono, nonostante le sue condizioni economiche siano cambiate in meglio, Genet continua ad essere arrestato per furto di libri: nel luglio del 1948 Sartre e Cocteau in una lettera al Presidente della Repubblica Vincent Auriol, pubblicata il 16 luglio nella rivista «Combat», chiedono e ottengono l'anno seguente la grazia per Genet. Questo evento provoca una crisi nello scrittore: fino a questo momento infatti Genet aveva deliberatamente vissuto nell'inquietudine e nell'insicurezza, evitando i controlli e vivendo negli hôtels sotto falso nome. La grazia accordatagli lo tagliava invece completamente fuori dal mondo delle prigioni e della delinquenza al quale aveva scelto di appartenere. In questo stesso anno Genet pubblica Journal du voleur. I temi del libro sono quelli

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delle opere precedenti, e l'universo narrativo in cui si muovono i personaggi è abitato dagli stessi scarti della società dei primi romanzi: molti degli avvenimenti descritti hanno luogo in Spagna, sebbene molti di essi richiamino Parigi, Marsiglia, la Cecoslovacchia, la Yugoslavia e la Germania. Genet racconta dei suoi viaggi, dei suoi amori, delle sue amicizie e dei suoi arresti. Il periodo della vita che racconta, come lui stesso dice, è quello vissuto tra il 1932 e il 1940. Genet, dicevamo, racconta, ma anche in quest'opera non abbandona i modi tipici del suo narrare, quelli della scomposizione e della sovrapposizione, senza alcun rispetto per la successione cronologica dei fatti. Ancora una volta è l'associazione mentale che li lega fra loro, che li dispone secondo un certo tono e secondo un certo ritmo. Il linguaggio di quest'opera è di grande chiarezza e precisione: «la mia vittoria è verbale», dice Genet, ed ha ragione. Gli avvenimenti narrati, dunque, servono solo per il tono che essi imprimono al libro, servono perché al centro dei fatti ci sono gli uomini, la loro anima e i loro sentimenti. Se negli altri romanzi Genet si è travestito con i suoi molteplici personaggi, stavolta invece presenta intenzionalmente se stesso e la sua vita. Così come Miracle de la rose, infatti, in questo libro non c'è soltanto finzione, ma questo non vuol dire che esso descriva ciò che accadde realmente. Genet asserisce infatti che non scrive per ricreare il passato così come fu da lui vissuto, ma così come adesso lo rivive nella sua mente. L'esperienza è trasformata in memoria e la memoria in parole: Il en serait de même pour tout ce journal s'il devait être la notation de qui je fus. Je préciserai donc qu'il doit renseigner sur qui je suis, aujourd'hui que je l'écris. Il n'est pas une recherche du temps passé, mais une oeuvre d'art dont la matière-prétexte est ma vie d'autrefois. Il sera un présent fixé à l'aide du passé, non l'inverse. Qu'on sache que les faits furent ce que je les dis, mais l'interprétation que j'en tire c'est ce que je suis – devenu. La scrittura gli serve infatti non per raccontare gli episodi della sua vita, ma la loro interpretazione: Par l'écriture j'ai obtenu ce que je cherchais. Ce qui, m'étant un enseignement, me guidera, ce n'est pas ce que j'ai vécu mais le ton sur lequel je le rapporte. (…) Non ma vie mais son interprétation. La scrittura quindi racconta il passato, ma sotto l'angolo di visione del presente; la sua opera sarà dunque la costruzione «presente» di un passato-pretesto, e non la ricerca del tempo passato. La sua vita sarà dunque solo un pretesto per suscitare l'emozione della scrittura, e insieme a questa, quella della lettura: …je refuse de vivre pour une autre fin que celle même que je trouvais contenir le premier malheur: que ma vie doit être légende c'est-à-dire lisible et sa lecture donner naissance à quelque émotion nouvelle que je nomme poésie. Je ne suis plus rien, qu'un prétexte. Il libro si presenta come l'orgoglioso tentativo di accollarsi tutta la miseria morale dei suoi personaggi. A Jean Cocteau, che lo riporta in «La difficulté d'être», Genet confida: Ce n'est pas assez de regarder vivre ses héros et de les

plaindre: nous devons prendre leurs pêchés sur nous et en subir les conséquences. Nel 1948 Genet aveva già scritto i suoi cinque romanzi ed alcune pièces teatrali: negli anni seguenti cadrà in una profonda depressione dovuta all'inattività, forse anche perché ha raggiunto la consapevolezza che con la notorietà è stato ormai escluso da quell'ambiente di ladri e di «diversi» di cui aveva sempre fatto parte. Nel mese di settembre firma un contratto per la traduzione in inglese di Notre-dame-des-fleurs: in questo periodo Frechtman diviene suo traduttore ufficiale e suo agente. Nello stesso anno Genet pubblica una sceneggiatura per un balletto, Adame miroir . Sostiene che l'idea del balletto gli sia venuta dopo aver visto un suo amico, intrappolato nel palazzo degli specchi al Luna Park, guardare arrabbiato la folla che, da fuori, lo osservava ridendo, mentre il proprietario restava a guardare indifferente. L'anno seguente gli viene commissionato un testo radiofonico sui penitenziari: è così che nasce L'enfant criminel . Ma dopo la stesura del testo Genet avrà la delusione della mancata autorizzazione a trasmetterlo. Genet parla dello strano paradosso per cui il pubblico borghese ammira le opere d'arte che glorificano i criminali, ma disprezza i criminali stessi. Questa contraddizione lo spinge a tirare fuori l'eroismo dei piccoli delinquenti. Definisce i riformatori la proiezione sul piano fisico del desiderio di severità sepolto nel cuore dei giovani criminali. L'enfant criminel è colui che ha forzato una porta che conduce a un luogo proibito, e vuole che questa porta si apra sul più bel paesaggio del mondo: esige che il carcere che si è guadagnato sia feroce, che sia degno degli sforzi che ha fatto per conquistarlo. Genet non si rivolge agli educatori ma ai colpevoli, chiedendo loro di non arrossire per quello che hanno fatto e di custodire intatta la ribellione che li ha resi tanto belli. Il mondo si divide in colpevoli e non colpevoli: questi ultimi sono stati condotti dall'altra parte della sbarra da un'intera esistenza. Lui ha fatto la sua scelta: starà dalla parte del crimine, e aiuterà i ragazzi non a rispettare i canoni della società tradizionale, ma a violarli. Tra l'aprile e il giugno del 1950 scrive Un chant d'amour , uno scénario per un film ambientato in una prigione, che presenta tra i protagonisti il suo ex-amante Lucien Sénémaud; una volta realizzato però il film, diretto dallo stesso Genet, avrà soltanto una distribuzione clandestina a causa di alcune scene considerate pornografiche. Nel 1951 scrive un altro soggetto cinematografico intitolato Mademoiselle, mai pubblicato in volume, che racconta la storia di un'isterica insegnante di scuola alla prese con le sue repressioni e le sue frustrazioni sessuali. Nell'aprile dell'anno seguente il quarantaduenne Genet incontra un giovane «prostituto» romano di vent'anni affetto da tubercolosi, Decimo. Il giovane è il decimo figlio di una famiglia indigente, omosessuale ma totalmente indifferente a Genet, alla sua anima, ai suoi soldi, alla sua celebrità e alla sua intelligenza. Divenuti amanti, con lui Genet nel rapporto di coppia interpreterà per la prima volta nella sua vita la parte «maschile». Al giovane Genet dedica uno scénario per un film che scrive in questo stesso anno, intitolato Le Bagne, anch'esso mai pubblicato in volume. In esso

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Genet annuncia una sorta di teoria della recitazione, chiedendo agli attori di non esprimersi attraverso una gestualità espressiva: i personaggi devono essere rivelati attraverso le loro azioni e non tramite le parole o la mimica facciale, anche se questo deve andare a scapito della spontaneità della rappresentazione. Egli preferisce infatti la rigidità alla stupidità senza arte e senza originalità. In questo stesso anno esce il libro di Sartre Saint Genet comédien et martyr . Prima di Sartre, solo Jean Cocteau, come abbiamo visto, aveva amato e ammirato Genet. La critica di quegli anni infatti era solo occupata a registrare l'aberrazione e la trasgressione dei contenuti dei suoi libri. Contro di lui, tra gli altri, si erano schierati Jean-Jacques Gautier e il cattolico François Mauriac, il quale aveva dichiarato, nell'articolo «Le cas Jean Genet», che «c'è di peggio del vizio e del crimine, ed è l'utilizzazione letteraria del vizio e del crimine.» Sartre affronta diverse tematiche riguardanti l'autore: quella dell'omosessulità, del tradimento, del furto, della scrittura, dell'uso della lingua, del rapporto con la madre, in un'apologia che è insieme dell'uomo e dello scrittore: Montrer les limites de l'interprétation psychanalitique et de l'explication marxiste et que seule la liberté peut rendre compte d'une personne en sa totalité, faire voir cette liberté aux prises avec le destin, (…) prouver que le génie n'est pas un don, mais l'issue qu'on invente dans les cas désesperés, retrouver le choix qu'un écrivain fait de lui même, de sa vie et du sens de l'univers jusque dans le caractère formel de son style et de sa composition, jusque dans la structure de ses images, et dans la particularité des ses goûts, retracer en détails l'histoire d'une libération: voilà ce que j'ai voulu; le lecteur dira si j'ai réussi. Genet, lungi dall'essere riconoscente per la difesa offertagli dal suo amico filosofo, ha una reazione alla pubblicazione di questo libro molto negativa; Sartre sostiene infatti che Genet è diventato omosessuale perché era un ladro: una persona non nasce omosessuale o normale, diventa l'uno o l'altro a seconda degli incidenti della sua storia e a seconda delle reazioni a questi incidenti. Genet invece non è d'accordo: per lui la sua omosessualità gli è stata imposta al momento della sua nascita come il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli. Genet non accetta positivamente il libro di Sartre anche perché, come lui stesso ci dice si è sentito spogliato per la prima volta da qualcun'altro. Nei suoi libri era lui a mettersi a nudo, mentre contemporaneamente si travestiva con le parole. Sartre invece lo mette a nudo completamente, parlando di lui au présent de l'indicatif. Per Genet Sartre gli ha consacrato un saggio solo perché lui è la dimostrazione di una delle sue teorie sulla libertà. In lui ha infatti visto l'immagine di un uomo che, invece di subire, rivendica ciò che gli è stato dato, ed è deciso a spingersi fino alle estreme conseguenze. Sartre suppone infatti la libertà dell'uomo, e che ogni uomo abbia i mezzi a sua disposizione per farsi carico del suo proprio divenire: Je suis l'illustration d'une de ses théories de la liberté. Il a pu connaître un homme qui, au lieu de subir, revendiquait ce que lui a été donné, le

revendiquait et était décidé à le pousser à son extrème conséquence. Il libro di Sartre ha così come conseguenza di creare un profondo senso di vuoto in Genet, un vuoto profondo che gli provoca una sorta di deterioramento psicologico, in seguito al quale egli si sente quasi incapace di continuare a scrivere. Il ritorno alla creatività si ha però alla fine del 1954: se i suoi romanzi infatti erano stati scritti tra il 1942 e il 1948, le sue opere teatrali e i saggi più importanti saranno scritti proprio tra il '55 e il '57. Fragments è pubblicato per la prima volta nell'agosto del 1954 nella rivista di Sartre «Les Temps Modernes» ed è esattamente ciò che il nome suggerisce: frammenti di opere maggiori comprendenti autobiografie, riflessioni estetiche ed astratte e speculazioni universali; è il relitto di un'immensa e ambiziosa opera all'insegna di Mallarmé che Genet intendeva intitolare La mort. Così giustifica al lettore i suoi propositi: Le pagine che seguono non sono estratte da un poema: ad esso, semmai, dovrebbero condurre. Le si potrebbe definire un primo passo, ancora incerto, se non si trattasse di uno dei molti abbozzi di un testo che sarà cammino lento, misurato, verso il poema, giustificazione di questo testo come il testo lo sarà della mia vita. Genet affronta diversi temi, tra cui quello del suicidio e della pederastia, analizzati quasi con rigore scientifico. Dichiara di aver iniziato a pensare al suicidio verso il quarantesimo anno di età, spinto in questa direzione dalla noia di vivere e da un vuoto interiore che nulla, se non lo slittamento definitivo, sembrava in grado di cancellare. Tuttavia non era un impulso drammatico o violento a farlo precipitare verso la morte, bensì un'idea maturata con calma e serenità, accompagnata forse da un lieve sentimento di orrore. La delicata questione dell'omosessualità è affrontata per la prima volta con la lucidità dell'uomo consapevole del fatto che la sua pederastia è stata causa del suo isolamento, nei confronti sia del mondo per così dire «normale», che di quello degli omosessuali, i quali mantengono le distanze tra di loro perché si detestano, in loro stessi e negli altri come loro. La frammentarietà dei loro rapporti – dice – fa sì che l'inversione sia vissuta in solitudine. La pederastia, infatti, comporta un sistema erotico a sé stante, costituito da una sensibilità, da delle passioni e dei cerimoniali che gli sono propri: è una civiltà a sé stante, dunque, che però invece di legare isola, ed è vissuta da ciascuno di loro in solitudine. E la solitudine conseguente all'omosessualità si accompagnerà nel corso della vita alla solitudine dell'artista e a quella dell'uomo che ha scelto di isolarsi dal mondo per seguire un ordine diverso da quello imposto dalla morale comune: Ho scacciato la donna. Fatto mio questo atteggiamento infantile e scontroso, vi rimarrò fedele con rigore coerente. E sia: rifiuto la mia tenerezza a metà del mondo, rifiuto di perseguire l'ordine del mondo, taglio la corda, goffo e innocente: sarà la solitudine. Se Genet diventa il correttore delle sue opere, questo è anche grazie all'incontro con Alberto Giacometti , quell'artista che, secondo Genet, «crea i suoi oggetti non con gli occhi ma con le mani, senza sognarli, ma sentendoli dentro di sé» , e che rappresenta per lui un grande esempio di integrità artistica. Tra i due si instaura

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una bella amicizia; tra il 1954 e il 1957 Giacometti ritrae Genet in quattro disegni e tre quadri, e da questa intensa, vibrante frequentazione nasce il saggio di Genet L'Atelier d'Alberto Giacometti , scritto tra il 1955 e il 1957, e definito da Picasso il miglior saggio sull'arte che abbia mai letto. Così Genet parla dell'arte dell'amico: L'art de Giacometti n'est donc pas un art social parce qu'il établirait entre les objets un lien social, l'homme et ses sécrétions, il serait plutôt un art de clochard supérieur à ce point pur que ce qui pourrait les unir serait la reconnaissance de la solitude de tout être et de tout objet. Je suis seul – semble dire l'objet – donc pris dans une nécessité contre laquelle vous ne pouvez rien. Questo perché, nascondendosi dietro l'oggetto affinché quest'ultimo sia evidenziato, Giacometti rifiuta di porre in esso la minima traccia umana. L'oggetto deve apparire nella sua naturalezza selvaggia, senza lo sguardo deformante dell'osservatore. Esso rappresenta una presenza pura, una «nudità vergine» che deve allontanarsi da ogni presenza umana, per creare un mondo dal quale l'uomo sia escluso. Per Genet Giacometti ha reso l'universo umano ancora più insopportabile, poiché con la sua arte è riuscito a rimuovere il velo che offuscava il suo sguardo mettendo in evidenza ciò che resterà dell'uomo quando ogni apparenza fallace sarà caduta. L'oggetto, nelle mani dello scultore, si libera di tutti i suoi presupposti, e si ritira in se stesso, in quel luogo che Genet definisce solitudine; «ricoprendo lo spazio della loro ferita le statue faranno così sorgere la solitudine intaccabile degli esseri e degli oggetti.» Giacometti è stato il primo ad accorgersi del fatto che qualunque uomo è uguale a qualsiasi altro, che chiunque può essere amato al di là della sua bruttezza, della sua stupidità, della sua malvagità. Egli ha capito tutto ciò e l'ha restituito nella sua arte. Anche Genet prima di conoscere lo scultore era arrivato alla stessa conclusione durante un viaggio in treno, quando aveva colto nello sguardo di un vecchietto sedutogli di fronte, il suo proprio sguardo, rendendosi così dolorosamente conto che ogni uomo ne valeva esattamente un altro. Genet accenna in questo saggio a quest'episodio del treno, che sarà poi ripreso e ampliato nel 1967 nel saggio Ce qui est resté d'un Rembrandt…. Nonostante la profonda amicizia e il rispetto reciproco, però, Genet non riuscirà a trattenersi dal derubare anche l'amico, affermando così ancora una volta il suo rifiuto e la sua incapacità di conservare ogni tipo di legame. La composizione delle sue pièces teatrali più lunghe, Le Balcon, Les Paravents e Les Nègres è concentrata proprio in questo periodo: sono anni di grandi successi e di rappresentazioni delle sue opere in Francia e all'estero. Il teatro offre a Genet non solo un pubblico, ma soprattutto la possibilità di esprimersi in quella forma d'arte che combina due realtà irreali, la magia delle parole e il rituale della rappresentazione. Nello stesso tempo lui si diverte, perché si rende conto che il suo teatro è inopportuno e, in questo senso, esso rappresenta qualcosa di nuovo: …est-ce que c'était un travail neuf, ce théâtre? Je ne sais pas, ce n'est pas à

moi de le dire, mais en tout cas, ça m'a amusé. C'est un théâtre qui, s'il n'est pas neuf, était certainement maladroit. Étant maladroit, il gagnait peut-être quelque chose de nouveau. Parce qu'il était maladroit. Genet rifiuta assolutamente le convenzioni sceniche: egli vuole rappresentare il reale così come appare in quel gioco di specchi deformanti che costituisce l'evento teatrale. Una pièce non deve imitare la realtà o l'attualità, il suo compito è semplicemente quello di trasformare il mondo in spettacolo. Il teatro di Genet è infatti «una festa sacra, dove l'attore viene chiamato ad essere ciò che rappresenta, ad assumere in sé lo spirito per farlo rivivere con tutto se stesso.» La prima pièce scritta da Genet, pubblicata per la prima volta nel 1947 da Jean-Jacques Pauvert, è Haute surveillance . L'azione ha luogo in una cella di prigione: una luce proiettata dall'alto è diretta con violenza sulle divise bianche e nere dei detenuti. Il personaggio principale, Yeux-verts, ricorda fortemente il personaggio di Harcamone di Miracle de la rose; gli altri due, Maurice e Lefranc, formano con il terzo detenuto un triangolo, al cui apice si situa appunto Yeux-verts nei confronti del quale gli altri nutrono una sorta di reverenza per la sua potenza di omicida. Il continuo processo di mutevoli alleanze e di influenze arricchiscono il desolato clima della vita di prigione. Maurice con i suoi diciassette anni è il più giovane del gruppo, Lefranc è il più grande e ne ha ventitré. I due nutrono un diverso tipo di venerazione per Yeux-verts: Maurice è prostrato spiritualmente, mentre il desiderio di Lefranc sarebbe quello di rimpiazzare Yeux-verts nella sua posizione di preminenza, essere oggetto di adorazione e dividere con lui il suo destino di omicida. Yeux-verts è analfabeta, e Lefranc scrive alla moglie per lui. Ma Yeux-verts teme e sospetta che il compagno gli si voglia sostituire. Se Lefranc mira a sostituire Yeux-verts, non lo fa perché gli interessa la donna, quanto per spingere il compagno di cella verso quella solitudine, quel distacco dal mondo che, tanto ricercato da Genet, è il solo segno distintivo della vera regalità, della vera grandezza. Lefranc cerca in ogni modo di deviare la stima di Maurice da Yeux-verts, ma alla fine, non essendoci riuscito, uccide il giovane Maurice. Yeux-verts da parte sua disprezza Lefranc per il gesto compiuto, non perché reputi l'omicidio un atto riprovevole, ma esattamente per l'opposto motivo: per Yeux-verts infatti l'assassinio è un gesto talmente sacro da dover essere compiuto «gratuitamente» e non, come ha fatto Lefranc, spinti da qualche motivazione. Haute surveillance può essere dunque definita la drammatizzazione, da parte di Genet, dell'apoteosi dell'autentico omicida. Alla fine della pièce Yeux–verts resta «supremo» come lo era all'inizio, al di sopra delle «piccole vite» degli altri. Quando Maurice muore, il triangolo che era stato distrutto cede il posto ad un altro triangolo, quello formato dai due personaggi superstiti e da un altro detenuto, Boule-de-neige, il negro omicida che occupa il primo posto nella gerarchia della prigione, ma che però non appare mai sulla scena. Les Bonnes , pubblicata per la prima volta nel luglio del 1954 dall'editore J.J. Pauvert, rappresenta l'inizio di quello che S. Torresani ha definito «il teatro rituale di Genet» , il suo

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teatro inteso come il luogo dell'odio dove non è più lecito parlare di tranche de vie . L'opera presenta una caratteristica che la differenzia dalle altre pièce di Genet: i suoi personaggi sono al femminile, anche se nell'intenzione originale dell'autore questi ruoli dovevano essere interpretati da ragazzi travestiti da donne. Anche l'azione di questa pièce fa riferimento ad una relazione «a triangolo», all'apice del quale troviamo Madame, la padrona delle due domestiche. Come era già stato per Haute surveillance, la figura che si trova all'apice del triangolo è intoccabile e provoca gelosie negli altri personaggi. Madame resta sul palco solo per un breve periodo di tempo, ma durante la sua assenza la sua presenza è resa ancora più forte dai pensieri e dalle azioni delle due protagoniste. Il rapporto serva-padrona si fa in quest'opera emblema di un più ampio rapporto umano: di quel contrasto cioè che regge la vita nel mondo, che tiene divisi e distinti gli uomini, da sempre e per sempre. Quando la pièce ha inizio, il pubblico non può capire che Madame è assente dalla scena: vediamo una donna in tenuta da notte che impartisce severi ordini alla sua domestica che chiama Claire. Gradualmente il pubblico diviene consapevole del fatto che la relazione tra queste due donne non è solo quella di padrona-domestica, si percepiscono dei toni erotici, forse la serva adora la sua padrona e accetta il suo potere perché esso stimola in lei un certo piacere masochistico. Da parte sua Madame sembra gradire sadicamente la sua crudeltà nei confronti della serva. Il pubblico si accorge che qualcosa nella scena è falso, la relazione tra le due donne è esasperata, forse le due stanno giocando dei ruoli. All'improvviso la scena è interrotta: c'è una sveglia che suona e le due figure, prese dal panico, cambiano i loro ruoli. Il pubblico, stupito, scopre che nessuna della due è Madame, entrambe le donne sulla scena sono delle serve, il rumore della sveglia che suona significa che Madame sta per tornare. Le due donne iniziano a ripulire e a sistemare tutto ciò che avevano utilizzato per il gioco che interpretano durante l'assenza della loro padrona. Quella che apparentemente è la più forte tra le due sorelle-serve, Solange, interpretava nel gioco il ruolo di Claire, mentre la vera Claire interpretava Madame. Sia Claire che Solange adorano Madame e nello stesso tempo la odiano, perché lei ha un gran potere su di loro e perché ognuna è gelosa dell'altra. Il pubblico è proiettato in un meccanismo in cui l'amore, la gelosia, la vendetta e il desiderio di possesso giocano l'uno contro l'altro. Madame ha un amante che si trova in prigione a causa di una lettera anonima mandata da Solange alla polizia; ma durante la scena quest'uomo telefona comunicando alle due serve che è stato rilasciato. Nel frattempo Madame rientra: le due serve avevano pianificato di ucciderla versando del veleno nella sua tisana: la motivazione di quest'atto sembrerebbe la vendetta ed esso simbolizzerebbe così la ribellione di tutte le serve, di tutti i prigionieri contro i loro superiori. Ma il vero motivo è invece il tentativo delle due serve di ristabilire una relazione tra di loro,

recuperando i loro rispettivi ruoli e annientando i loro reciproci desideri. Il piano è stato ideato da Solange che induce la sorella a somministrare il veleno. Se avrà successo la colpa sarà comunque imputata al potere di Solange. Ma Madame, eccitata dall'idea di rivedere il suo amante, rifiuta di bere la tisana, si cambia e parte. Durante la sua assenza le serve tornano alla loro «mascherata»: Solange diviene di nuovo Claire, Claire diviene di nuovo Madame e invita la sorella a bere la tazza avvelenata; Claire desidera donare se stessa alla sorella, in prigione nessuno saprà che segretamente anche dopo la morte le due saranno ancora insieme. Poi arriva una di quelle magiche trasformazioni in cui Genet è molto abile: Claire, che era sembrata la più debole delle due, si rivela invece la più forte, ordinando, nuovamente nei panni di Madame, che le sia servita la tisana. Solange-Claire prende la tazza fatale, Claire-Madame ne beve il contenuto. Quando Claire sarà morta, Solange avrà ucciso il suo doppio, il suo riflesso, la sua immagine detestata. Madame, dunque, non viene uccisa, perché l'idea della distinzione non può morire. Si uccide così il simulacro del potere, non il potere reale. In Comment jouer les Bonnes in cui Genet dà delle indicazioni sceniche e di recitazione, ci tiene anche a precisare il fatto che la pièce non è assolutamente stata scritta per difendere la categoria dei domestici: …une chose doit être ècrite: il ne s'agit pas de plaidoier sur le sort des domestiques. Je suppose qu'il existe un syndicat des gens de maison – cela ne nous regarde pas. Le didascalie, piuttosto numerose nel corso del testo, e spesso riportate in corsivo, rappresentano uno strumento utilissimo per il lettore e il regista, anche se restano sconosciute per il pubblico che assiste alla rappresentazione. Esse danno innanzitutto delle informazioni sul modo di recitare, e facilitano per il lettore la comprensione dell'opera, presentandogli un'immagine della storia più conforme a quella immaginata dall'autore. Esse forniscono altresì indicazioni sui luoghi, il tempo, il gioco dei personaggi e gli accessori; contemporaneamente riportano numerosi dettagli sulla gestualità e sul tono utilizzato dai personaggi, elementi che hanno il compito di rendere esplicite le loro emozioni. Questi dettagli sono utili oltre che per il lettore, soprattutto per il regista, che ha in tal modo la possibilità di conformarsi all'opera nello stesso modo in cui l'ha immaginata e desiderata l'autore. Esse rappresentano insomma un espediente utilizzato dall'autore per chiarire il modo in cui desidera che la sua pièce sia recitata. Le Balcon , pubblicata nel giugno del 1956 dalla casa editrice L'Arbalète di Lione, è scritta durante i due anni precedenti, ed è la prima opera scritta da Genet dopo aver guadagnato un certo pubblico e acquisito una certa reputazione letteraria. S. Torresani sostiene che con questa pièce il teatro di Genet diviene «immagine nel senso più vero del termine, nel senso di evidenza e di apparenza, con quel che di ambiguo comporta: ciò che appare, ma anche ciò che copre, ciò che nasconde, ciò che falsa. Apparenza allora come finzione. E dunque teatro.» La prima versione comprendeva quindici scene, ma Genet le ha poi ridotte a nove, durante le quali ci

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incarna sul piano della perversione ciò che potremmo definire il bordel nel quale viviamo, dove ognuno viene a cercare una propria dignità, anche se apparente. L'idea per questa pièce è già presente in Querelle de Brest, in cui l'azione ha luogo in una casa di appuntamenti, La Féria, gestita da M.me Lysiane e frequentata da marinai, dal capo della polizia e da una clientela dai gusti particolari. Nella pièce invece il nome della casa è Le Balcon, M.me Lysiane diviene Irma, e anche qui il capo della polizia è uno dei più importanti tra i ventotto personaggi. L'opera è molto più lunga rispetto alle due precedenti: anch'essa però si apre con un «gioco»: il pubblico vede sulla scena un vescovo in poltrona che ha appena ascoltato la confessione di una donna garantendole l'assoluzione. Da un'altra parte c'è Irma, la proprietaria del bordello. Anche per questa pièce, dunque, come era già stato per Les Bonnes, lo spettatore assiste all'apertura dello spettacolo nell'ignoranza riguardo al «gioco nel gioco» che vi si svolge, ignorandone il «raddoppio del grado di illusione». Nella seconda scena un giudice sta punendo una giovane ladra; nella terza un generale cavalca il suo cavallo interpretato da una giovane donna. Nella quarta scena un piccolo vecchietto è cavalcato da una ragazza vestita con un corsetto e degli stivali; nella quinta, ambientata nell'elegante stanza di Irma, inizia a svolgersi l'intreccio. Le Balcon è una casa di illusioni. Il capo della polizia è un amico di M.me Irma, e rappresenta il principale legame tra la casa e il mondo reale al di fuori di essa. Una giovane donna chiamata Chantal ha disertato la casa e ha raggiunto le forze della rivoluzione: i rivoluzionari sono i nemici, vogliono distruggere Le Balcon insieme al governo, alla regina e al palazzo reale. La sesta scena ha luogo fuori dal bordello, in un vecchio caffè gestito dai rivoluzionari. In diretto contrasto con la casa delle illusioni, la rivoluzione è stata concepita come un movimento di ragione e di verità: essa mira a distruggere i simboli dell'autorità reale, la religione e il potere militare. Essa mira a distruggere anche Le Balcon, perché esso sembra fatto apposta per conservare al Potere tutto il suo fascino e tutto il suo prestigio. Ben presto i rivoluzionari capiscono che c'è bisogno di qualcosa che li simbolizzi e scelgono Chantal a simbolo della loro rivoluzione. Roger, il capo dei rivoluzionari, accetta quest'idea e Chantal inizia a cantare; la rivoluzione vive così adottando l'irrazionale appello della sua opposizione. Chantal diviene dunque il tipico personaggio di Genet: il suo compito è infatti quello di opporsi al mondo dei «regolari» e divenire soggetto di trasgressione; il sentimento che la spinge all'azione è l'odio, quello stesso odio che attraversa tutta la drammaturgia di Genet. Una volta che i rivoluzionari hanno eliminato la regina, il governo senza i suoi simboli non può sopravvivere, così M.me Irma viene ad assumere il ruolo di ultima speranza di salvezza per una realtà in pericolo: dovrà sostituire il reale con l'apparenza, sempre che quest'ultima riesca a suscitare il sentimento di una realtà sicura. Irma appare dunque alla folla nei panni della regina

affacciata al balcone del bordello, ripresentando così a tutti l'immagine di un Potere che non muore, che non può morire. Irma è un personaggio che passa dal reale al puro stato di simbolo, poiché, come l'autore stesso ci dice, niente in lei è vero, tranne i suoi gioielli. All'improvviso appare anche Chantal, viene sparato un colpo di pistola su di lei e il generale e la regina la portano via ormai morta. Il partito regale fa una processione attraverso la città alla quale però il pubblico non assiste. La rivoluzione è finita e le false figure sono arrivate al potere. Il nuovo regime è costituito adesso da figure che hanno uno status senza però avere alcuna funzione. E' bastata dunque un'immagine a placare la rivoluzione, perché la vita non è altro che «un gioco delle parti , un banale gioco di immagini.» Irma manda tutti a casa tranne il capo della polizia, spegne le luci e copre i mobili come alla fine di una giornata lavorativa: domani sarà un altro giorno, al pubblico lei dice che …il faut rentrer chez vous, où tout, n'en doutez pas, sera encore plus faux qu'ici… In questo allegorico studio della società, tutti i personaggi recitano dei ruoli, inseguendo l'illusione dell'amore e del raggiungimento di un proprio ruolo, anche se falso, all'interno della società. Il tema principale è che il vero mondo è salvato da un mondo simbolico; privata del suo capo simbolico, la regina, la vera società è infatti obbligata a rivolgersi a Irma, il cui affare è costituito dalla manifattura delle illusioni necessarie per soddisfare tutti i desideri degli uomini. Irma è in un certo senso la personificazione del male, di cui la società non può fare a meno perché non esisterebbe senza di esso. La realtà non esiste, ecco perché il finale di Le Balcon è pura invenzione, il mondo è irreale, e quindi non ci può essere una fine logica o esistenziale. Quest'opera dimostra infatti il mondo chiuso di coloro che rifiutano di agire e optano per il rigore ornamentale, di quelli che rinunciano a ogni funzione a vantaggio soltanto del modo d'essere. In questa casa d'illusione il mondo sociale finisce per «irrealizzarsi», il mondo esiste solo per permettere un gesto. E questo si ricollega a tutta l'estetica teatrale di Genet, un'estetica dell'apparenza, dell'impostura, del trompe-l'oeil, delle metamorfosi; Genet, infatti, come dice R. Brustein, «creates a drama of transformation, the metamorphosis of one object into another.» Anche per questa pièce Genet ci tiene a precisare che essa non rappresenta la satira di qualcosa in particolare; il suo scopo è solo quello della glorificazione dell'immagine e del riflesso: Encore une chose: ne pas jouer cette pièce comme si elle était une satire de ceci ou de cela. Elle est – elle sera donc jouée comme -, la glorification de l'Image et du Reflet. Sa signification – satirique ou non – apparaîtra seulement dans ce cas. Nell'avertissement prima dell'inizio della pièce, Genet avverte il lettore che essa non si propone come un'opera politica che ha come obiettivo la soluzione dei problemi sociali: non è questo, infatti, il compito dell'artista: Aucun problème exposé ne devrait être résolu dans l'imaginaire surtout que la solution dramatique s'empresse vers un ordre social achevé. (…) L'artiste n'a pas – ou le poète – pour fonction de trouver la solution paratique des problèmes du mal. Les Nègres è

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pubblicata per la prima volta dalla casa editrice lionese L'Arbalète nel gennaio del 1958. L'anno seguente la pièce vince il Gran premio della critica. Roger Blin non riuscendo a trovare tredici attori professionisti di colore a Parigi, sceglierà un cast di dilettanti, provando per due anni prima di inaugurare la pièce. Ciò indica che Les Nègres è stato scritto prima del 1957, subito dopo la composizione di Le Balcon. Questa è la pièce più ontologica di Genet, concepita ancor più della precedente sulla domanda «Che cosa è reale?». Senza sosta Genet ci tiene al corrente che tutto è truccato, simulato: anche gli spostamenti degli attori evidenziano la messinscena, ricordando il palco invece di tentare di farlo dimenticare: Puisque nous sommes sur la scène, où tout est rélatif, il suffira que je m'en aille à reculons pour réussir l'illusion de vous écarter de moi. E' la pièce di Genet più facilmente interpretata come un commento sociale, ma una tale lettura può essere sbagliata: sembrerebbe infatti che il conflitto razziale sia il solo pretesto per la pièce, mentre il vero soggetto è un altro. I Negri di Genet, infatti, sono semplicemente un altro modo di rappresentare quelle classi emarginate a cui la maggioranza dei personaggi delle sue opere appartiene. E' per questo che all'inizio della pièce Genet ironizza sul concetto stesso di negritudine: Un soir un comédien me demanda d'écrire une pièce qui serait jouée par des noirs. Mais qu'est-ce que c'est donc un noir? Et d'abord, c'est de quelle couleur? La prima è una domanda posta affinché si risponda che «il negro» è un escluso, un reietto, in modo che la seconda domanda possa diventare: «Di che colore sono i reietti»? Di tutti i colori, li chiamiamo negri per utilizzare un linguaggio facilmente comprensibile, per poter evidenziare che da una parte ci sono i «bianchi» e dall'altra «i negri», i diversi dunque, ritornando a quella contrapposizione «uomo del male» e «uomo del bene» che caratterizza tutta l'opera di Genet. Il nero è, in ogni cultura bianca, il colore del Male, e lo è da sempre nella fantasia di Genet; questa è l'idea portante della pièce: l'idea della diversità insopprimibile, che rende i negri orgogliosi della propria identità, forti della loro violenza e della loro bellezza. Quella dei personaggi è una mascherata nera data per l'intrattenimento di un pubblico bianco; si apre con otto neri che danzano la musica di Mozart intorno a un catafalco che contiene il corpo di una giovane donna uccisa. Ci sarà un processo. I giudici, seduti su un palco più in alto, sono cinque bianchi interpretati da cinque neri col volto celato da maschere bianche e rappresentano una regina, un governatore, un missionario, un giudice e un domestico. Questo spettacolo è dunque allestito per la Corte dei finti bianchi e per un pubblico di veri bianchi; ma la cerimonia serve anche ai neri, diviene «lo strumento della loro degradazione, della loro folle abiezione.» Con questo spettacolo i negri si renderanno davvero degni del disprezzo e della punizione dei bianchi; solo la condanna della Corte permetterà loro infatti di sentirsi e di essere diversi, esclusi, degradati e reietti. Nella prima parte della pièce i fatti dell'omicidio sono

accennati, l'identità della vittima sembra cambiare continuamente, e anche il motivo del suo assassinio: è una vecchia mendicante, o una giovane donna molto ricca, o una vergine, o qualche altro tipo di donna bianca; è stata uccisa per denaro, o per rapina o perché era facile, o solo perché ci deve essere una vittima ogni notte. Quando la donna muore sale su un palco superiore che rappresenta il paradiso. La seconda parte della pièce si svolge in contesto di forza, di lotta del nero verso il bianco. Venendo giù dal livello superiore la corte costituita da bianchi va a fare un safari: nella giungla africana neri e bianchi si incontrano su un territorio di proprietà dei neri e lo spirito della negritudine, rappresentato da una negra di sessant'anni, M.me Félicité, intraprende con la regina dei bianchi una battaglia verbale. La pièce finisce come inizia, i neri si radunano intorno al catafalco, prendono da questo un lenzuolo, ridono, danzano Mozart. Il traduttore ufficiale di Genet, Fretchman, ha detto che Les Nègres è una pièce sul potere, ed in particolar modo sull'energia, di cui il potere è la manifestazione primaria. Se in Le Balcon c'era una dialettica tra l'illusione e il nulla, con l'implicazione che alla cima di ogni cosa c'è il niente, in Les Nègres la dialettica è tra l'energia senza forma e la sua organizzazione in forme di rituale e di potere. Ciò che Genet intende mostrare è che la relazione tra gli oppressori e gli oppressi è una relazione che contiene una grande quantità di energia, e quando questa instabile relazione viene cambiata, le energie si riversano in una violenza che è diretta non solo contro le persone, ma anche contro gli ideali umani. Si potrebbe quindi tirare fuori la conclusione che bisogna preservare lo status quo in una società per cercare di evitare il rilascio di tale energie, ma Genet suggerisce che ciò non è possibile. Anche per questa pièce, come era stato per Les Bonnes e Le Balcon, Genet ci tiene a precisare che la funzione del teatro non è quella di risolvere i problemi politici o sociali. Se la sua pièce è servita in qualche modo ai neri, lui non se ne occupa, perché la lotta diretta contro il colonialismo è certamente più utile di una pièce teatrale: Si mes pièces servent les Noirs, je ne m'en soucie pas. Je ne le crois pas, d'ailleurs. Je crois que l'action, la lutte directe contre le Colonialisme font plus pour les Noirs qu'une pièce de théâtre. Questa affermazione comporta due idee diverse. La prima è che Genet ritiene che l'azione diretta sia il solo modo effettivo per trattare le questioni politiche: Il vaut mieux accomplir des actes réels et apparemment de peu d'envergure que des manifestations théâtrales et vaines. La seconda è che il soggetto principale di questa pièce non deve essere cercato nella dura realtà del mondo reale, ma nelle nostre teste: Quand nous voyons les Nègres, voyons-nous autre chose que de précis et sombres fantômes nés de notre désir? Mais que pensent donc de nous ces fantômes? Quel jeu jouent-ils? Dopo aver completato la stesura di Les Nègres e Le Balcon Genet quarantaseienne incontra il diciottenne Abdallah Bentaga , un giovane funambolo figlio di padre algerino e di madre tedesca, l'amante che lascerà in lui il segno maggiore, e al quale Genet dedica Le funambule , pubblicato nel

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1958 dalla casa editrice L'Arbalète.. In esso Genet descrive l'arte del funambolo, mostrando che l'amore per il filo che porta l'artista a danzare sospeso in aria, al di sopra del pubblico, esige una tipologia di vita ascetica e austera, sempre solitaria, riprendendo quel tema della solitudine dell'artista già accennata in Fragments. Genet identifica la figura dello scrittore con quella del funambolo, in una metafora che, prendendo spunto dall'arte circense, ci mostra lo stato d'animo e la solitudine in cui si trova l'artista: Pour acquérir cette solitude absolue dont il a besoin s'il veut réaliser son oeuvre, (…) il écarte tout curieux, tout ami, toute sollicitation qui tâcheraient d'incliner son oeuvre vers le monde. S'il veut, il peut s'y prendre ainsi: autour de lui il lâche une odeur si nauséabonde, si noire qu'il s'y trouve égaré, à demi-asphyxié lui-même par elle. On le fuit. Il est seul. Son apparente malédiction va lui permettre toutes les audaces puisqu'aucun regard ne le trouble. Talvolta questa solitudine gli deriva già dall'infanzia, dal ricordo di un'infanzia miserabile in cui egli si sentiva e si sapeva abbandonato; ed è da essa che l'artista trarrà la forza e l'audacia necessarie alla sua arte: Pour le funambule dont je parle, elle est visible dans son regard triste qui doit renvoyer aux images d'une enfance misérable, inoubliable, où il se savait abandonné. C'est dans cette blessure – inguérissable puisqu'elle est lui-même – et dans cette solitude qu'il doit se précipiter, c'est là qu'il pourra découvrir la force, l'audace et l'adresse nécessaires à son art. E' quella stessa solitudine che caratterizza tutta l'opera di Genet, la solitudine dell'artista, del ladro, del criminale, dell'omosessuale, che deriva dagli altri ma soprattutto da se stessi. Genet vive infatti in un universo che è retto dalla legge della solitudine degli esseri, un universo che prevede l'equazione tra la santità, a cui lui aspira sempre, e la solitudine. La solitudine sarà dunque il criterio assoluto per la creazione dell'opera d'arte, la solitudine mortale dell'artista, della materia, ma anche dello spettatore. Genet suggerisce infatti all'artista tutti gli atteggiamenti da adottare per allontanare da sé tout curieux, tout ami , proponendogli di lasciarsi dietro un odore così nauseabondo, così nero, da scoraggiare chiunque voglia spezzare quella sua solitudine. E così finalmente resta solo, e questa sua apparente maledizione, la solitudine in cui si trova, gli dà la possibilità di permettersi ogni audacia, perché nessuno sguardo può turbarlo. Egli si muove dunque in uno stato simile alla morte, quello del deserto. L'immagine della morte, che rappresenta una costante delle opere di Genet, è qui presente; ma non è la morte degli eroi dei suoi primi romanzi, non è la morte come coseguenza dell'omicidio o come condanna per il crimine commesso, come «premio», come strada per la santità; non si tratta della morte che segue alla caduta: «l'acrobata è morto prima, solo così la sua esibizione potrà essere perfetta; non più legato alla terra, potrà danzare senza pericolo.» Anche il filo su cui cammina l'artista è morto, ma grazie all'amore che gli porta il funambolo, grazie alla sua devozione, «esso riuscirà lo

stesso ad accedere al linguaggio e alla vita.» L'arte, il linguaggio, le parole, per Genet conducono alla morte, una morte che è del mondo e dell'autore, nel senso che le parole di un'opera d'arte riescono a rendere assente, esse permettono una fuga al di fuori del nostro mondo quotidiano, permettono la morte del soggetto nei confronti del mondo profano. Le parole che Genet rivolge al funambolo sono parole che egli dice a se stesso: la morte che anticipa l'esibizione del funambolo è anche la morte di Genet, «giunta negli anni della sua giovinezza ferita, di quella sua vita negata. E' da quella morte che nasce la vita, una vita che continua perché risolta in immagine poetica.» Il funambolo serve dunque da metafora per il poeta. Il rigore del suo mestiere, la precisione dei suoi gesti sono l'abbozzo di un'arte poetica. Le Funambule è infatti il saggio che canta il rigore, la volontà: il funambolo celebra così il coraggio dell'artista la cui volontà trionfa sull'impotenza, il cui impegno eroico supera la paura e la morte. E' un'opera che può essere interpretata come «la sublimazione incantata del quotidiano operare di Genet: una personale introduzione, dunque, a tutta la sua opera.» L'anno seguente Genet scrive Les Paravents , pubblicata nel maggio del 1961 sempre dalla casa editrice L'Arbalète, la cui figura del protagonista, Said, è forse proprio ispirata a Abdallah. Said è il tipico eroe creato da Genet: cerca il male e vi affonda, lo subisce e lo vuole. Questa pièce viene rappresentata per la prima volta nella parte occidentale di Berlino nell'aprile del 1961. Roger Blin, che aiuterà molto Genet nella correzione, sosterrà che la pièce non può essere messa in scena a Parigi poiché, trattando l'argomento della guerra d'Algeria, sarebbe troppo pericoloso. L'opera raggiungerà la capitale francese soltanto il 21 aprile del 1966. In quella circostanza il New York Times riporterà la notizia che, invece di provocare uno scandalo nazionale come molti avevano predetto, la pièce è apparsa come un inequivocabile trionfo teatrale, uno dei maggiori lavori del teatro francese dalla seconda guerra mondiale. Ciò nonostante le rappresentazioni della pièce del 1966 provocano delle discussioni all'interno della Camera dei Deputati, con il pretesto che il teatro nazionale non poteva permettersi di disonorare la bandiera francese. Genet trova lo scandalo provocato molto divertente, perché non c'è niente di più soddisfacente, per uno scrittore che cerca in ogni modo di proclamare la sua ostilità nei confronti della società francese, dello spettacolo di una sua pièce capace di provocare delle liti nella Camera dei Deputati. Quest'opera, che è l'ultima pièce scritta da Genet, coinvolge circa novanta personaggi e si svolge in diciassette scene, di cui l'ultima utilizza nove paraventi disposti su tre diversi livelli, i quali rappresentano sette diverse località, tra cui una prigione, la piazza di un villaggio e una regione della morte. I grandi paraventi usati sul palco sono montati su delle ruote e possono quindi muoversi durante la scena; essi rivestono, nel corso della rappresentazione, la stessa importanza delle persone. Genet ha abbandonato i luoghi dell'azione dei suoi romanzi e delle sue precedenti opere teatrali; adesso l'azione anche se ricorre la presenza

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della guerra d'Algeria , sembra prendere posto nella vastità dell'universo. Gli arabi sono, nel corso della rappresentazione, romanticizzati; essi vengono cioè fatti apparire superiori ai loro oppressori: a loro infatti, invasati d'odio per i colonizzatori, toccherà la vittoria finale. Les Paravents costituisce un altro esempio del modo in cui la scrittura teatrale di Genet funzioni come una sonda nel tessuto politico, a tal punto che «è difficile per lo spettatore dedurne una posizione politica chiara da parte dell'autore.» Il soggetto di questa pièce è, ma senza esserlo veramente, la guerra d'Algeria, anche se essa non è mai menzionata nel corso dell'opera, allontanandosi così da qualunque referenza storica o geografica. Genet stesso, in alcune lettere pubblicate solo nel 1991, ammette che la guerra fu solo il pretesto per la pièce: …mettre au point une oeuvre ayant sa morale et son esthétique et ne se raccordant que très indirectement à ce qui en fut le prétexte: cette guerre d'Algerie. Anche se poi, in un discorso tenuto il 10 marzo 1970 al Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, dichiara: Les Paravents ne fut qu'une longue méditation sur la guerre d'Algérie Quest'opera è stata spesso ridotta ad una sorta di manifesto in favore degli arabi, ma essa contiene anche una critica della condizione delle donne in quella comunità. Uno dei personaggi principali, infatti, Leila, la moglie del protagonista Said, ci è presentata come una giovane donna vittima del potere patriarcale, che si trasforma in un semplice oggetto di transazione commerciale tra suo padre e il suo futuro marito. La madre di Said, invece, è uno dei personaggi più duri di tutta la pièce. Dopo aver infatti distrutto qualunque immagine positiva concernente la maternità, utilizzando l'espressione «…que j'ai chié un voleur.» , ci appare come l'unico personaggio che commetta un crimine sulla scena, l'omicidio di un soldato francese, suggerendo così al pubblico che lei è l'unica a resistere nella rivolta contro il Colonialismo. La forza di Les Paravents, come pure di Les Nègres sta nel fatto che Genet è il solo scrittore del periodo che, in un momento in cui l'impero del Commonwealth era considerato in termini ingenuamente paternalistici, si dà da fare per dipingere il mondo visto dal punto di vista dei colonizzati e non dei colonizzatori. E soprattutto, come sostiene Torresani, nel fatto di servirsi della figura del reietto per affermare il proprio credo politico, «che è un invito a non cedere alle lusinghe della ragione e a opporsi a quella cattura mascherata che si chiama integrazionismo.» A partire dal 1957, avendo Genet convinto il giovane Abdallah a disertare, i due sono costretti a vivere fuori dalla Francia: viaggiano attraverso il Belgio, la Germania, l'Austria, l'Olanda e la Grecia. Genet ama la Grecia, la definisce il suo Paese preferito dopo i Paesi arabi, perché è un luogo in cui l'erotismo è sentito vivamente: J'ai aimé la Grèce aussi parce que c'est un des seuls pays – avec les pays arabes – où la charge érotique est probablement la plus intense, et c'est peut-être pour ça que je suis resté si longtemps. In questo periodo della sua vita Genet inizia a fare uso di droghe e di sedativi : la sua salute

resta però ancora buona, nonostante i reumatismi e i problemi con i denti. La tranquillità della sua relazione con Abdallah è disturbata da un incidente che causa a quest'ultimo la rottura dei legamenti di un ginocchio, con il conseguente abbandono della carriera di funambolo . Qualche tempo dopo Genet, interrotto il suo rapporto con Abdallah, si sente fortemente attratto dal ventiduenne Jacky Maglia, con il quale inizia una relazione, convincendo anche lui a disertare dall'esercito francese nel 1961. E così anche loro sono costretti a vivere fuori dalla Francia, ma durante un viaggio a Londra Jacky incontra una donna inglese e la sposa. Nel febbraio del 1964 Abdallah si suicida: il corpo viene ritrovato circondato dalle pagine dell'opera di Sarte Saint Genet comédien et martyr e da numerosi testi di Genet. Il 2 aprile dello stesso anno Genet lascia Parigi: sente dei grandi sensi di colpa nei confronti di Abdallah e comunica ai suoi più grandi amici, Monique Lange e Juan Goytisolo, la sua decisione di smettere di scrivere. Gli anni che seguono sono caratterizzati da una fiorente rappresentazione delle opere dell'autore sia a teatro che sullo schermo. Il 18 luglio 1965 Jacky ha un incidente e resta paralizzato ad una gamba; Genet inizia a pensare che l'influenza che ha sulle persone che lo circondano è deleteria: l'anno seguente tenta il suicidio. Le tensioni tra Fretchman e Genet intanto esplodono: Genet inizia a considerare Fretchman un cattivo uomo d'affari, un pessimo traduttore e soprattutto un pessimo uomo. Nel 1967 Genet pubblica sul numero 30 della rivista «Tel Quel» L'étrange mot De… in cui espone le sue idee sul teatro. Il saggio inizia con uno sguardo all'urbanesimo contemporaneo: Genet asserisce che il teatro dovrebbe essere costruito all'ombra di un cimitero e del suo forno crematorio, i quali dovrebbero essere situati nel centro della città. Non un cimitero abbandonato, ma uno in perfetta attività, dove «l'on continue à creuser des tombes et à enterrer des morts» : Le théâtre sera placé le plus près possible, dans l'ombre vraiment tutélaire du lieu où l'on garde les morts ou du seul monument qui les digère. Dovrebbe poi essere data per ogni pièce un'unica rappresentazione, «di tale intensità e sfolgorio da illuminare, in virtù della fiamma che avrà acceso in ogni spettatore, anche coloro che non vi abbiano preso parte, e da suscitare in loro un turbamento.» Per Genet il tempo che scorre da quando ha inizio l'evento teatrale non appartiene ad alcun calendario ufficiale, è un tempo che non ha né inizio né fine, che fa crollare qualunque convenzione storica o sociale, a vantaggio naturalmente non del disordine ma di una liberazione. Genet dà infine una giustificazione della singolarità del suo teatro, affermando che tutto ciò che è stato abbandonato dagli altri autori teatrali si è rifugiato nelle sue pièce, dove ha ricevuto una sorta di diritto d'asilo: Je noterai d'ailleurs que ces mots et les situations qu'ils appellent sont dans mon théâtre si nombreaux parce qu'on les a oubliés dans la plupart des pièces: mots et situations qu'on dit grossiers se sont pressés, réfugiés chez moi, dans mes pièces, où ils ont reçu un droit d'asile. Si mon théâtre pue c'est parce que l'autre sent bon. Ciò che Genet non smette di reclamare, sia in questo saggio che altrove, è

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che il suo teatro deve essere una festa , al di là di ogni obbligo di verosimiglianza e di qualunque proposito di significazione: Les pièces, habituellement, dit-on, auraient un sens: pas celle ci. C'est une fête dont les élements sont disparates. Molto spesso al termine fête sostituisce quello di féerie: Toute représentation théâtrale, tout spectacle est une féerie Il teatro di Genet è infatti, come sostiene V. Bergen, «un teatro senza catharsis né mimesis, un teatro che riposa sulla frattura ambigua della rappresentazione, sulla denuncia dell'illusione referenziale, sul rifiuto dei personaggi a vantaggio dei segni e dei simboli.» Genet fa della scena un microcosmo, lo spazio del mondo, opposto al quotidiano. Sempre nel 1967 Genet pubblica sul numero 29 della rivista «Tel Quel» un testo intitolato Ce qui est resté d'un Rembrandt… , che sarà poi pubblicato l'anno seguente nel quarto volume delle sue Oeuvres complètes. Questo saggio è costituito da due parti diverse tra di loro che, invece di susseguirsi, si fronteggiano. Questo perché il testo è presentato in due colonne disposte l'una accanto all'altra, scritte con due caratteri tipografici differenti. Sia la lettura, quindi, che l'inquadramento del senso, sono radicalmente trasformati, poiché un movimento orizzontale dello sguardo permette di passare da un testo all'altro. La colonna di destra si presenta come un semplice commento sulla vita e sull'opera di Rembrandt. La colonna di sinistra, invece, si presenta come un racconto centrato sull'esperienza dell'incontro del narratore e di un vecchietto nel compartimento di un treno. L'apparente interpretazione autobiografica cede però il passo a una sorta di meditazione sull'identità del soggetto nel suo rapporto con gli altri, una riflessione che provoca al narratore il dubbio che ogni uomo sia identico a qualunque altro. Genet infatti, attraverso lo sguardo del suo compagno di viaggio, che altro non è che il suo sguardo riflesso in uno specchio, arriva alla dolorosa conclusione che questa identità universale fa sì che ogni uomo venga amato né più né meno di qualunque altro, e che venga accettata persino la più immonda apparenza. Nella primavera dello stesso anno Genet passa un po' di tempo in Svizzera dove stila un nuovo testamento in cui indica Jacky Maglia come unico suo erede. Poco tempo dopo, vivendo in un paese in provincia di Domodossola, tenta di nuovo il suicidio con dei tranquillanti. La prima rappresentazione di Les Paravents al teatro Odéon di Parigi il 16 aprile del 1966 ad opera di Roger Blin provoca un grande fermento di critica e pubblico nella capitale: ciò rappresenta una breve parentesi nella depressione di cui l'autore sta soffrendo. Genet entra intanto in contatto con la rockstar inglese David Bowie che interpreterà la parte di Divine in una versione cinematografica di Notre-dame des-fleurs. Nel dicembre del 1967 intraprende un viaggio in estremo oriente, in Giappone e in India, dove resterà molto colpito dalla diversa visione del mondo di quelle popolazioni. Tornando in Europa l'anno seguente si ferma anche in Tailandia, in Pakistan, in Egitto e a Tangeri in Marocco . Intanto in Tunisia ha la possibilità

di leggere dei Pamphlet dedicati all'organizzazione palestinese, e questo rappresenta il suo primo indiretto contatto con questo popolo. Genet torna a Parigi nel 1968, proprio l'anno in cui nella capitale francese sta esplodendo la rivoluzione culturale: En mai 68, je m'apercevais que j'étais tout à fait, et sans le rechercher, du côté des contestataires étudiants et ouvriers. E' in questo periodo che entra in contatto con la letteratura palestinese e con la storia di questo popolo da vent'anni in lotta con lo Stato di Israele. A Parigi la sua amica Paule Thévenin gli presenta il filosofo Jacques Derrida, e i due diventano amici. Nel mese di agosto Genet parte per l'America per scrivere un articolo sulla guerra del Vietnam , che sarebbe dovuto essere pubblicato sulla rivista «Esquire»; ma al momento della consegna dell'articolo l'editore, che aveva in precedenza assicurato a Genet che la sua rivista dava la possibilità agli scrittori di esprimere il loro punto di vista su qualsiasi argomento nel più assoluto rispetto della libertà di parola, rifiuta di pubblicarlo perché traumatizzato dalla crudeltà delle immagini utilizzate dall'autore. La traduzione dell'articolo viene però pubblicata nel numero di ottobre della rivista «Evergreen Review». In questo stesso periodo Genet inizia ad interessarsi al problema degli immigrati algerini e marocchini in Francia e partecipa a molte manifestazioni al loro fianco a Parigi, divenendo amico di Mahmoud El Hamchari, il rappresentante parigino dell'O.L.P. Nel mese di novembre parte nuovamente per il Giappone per raggiungere Jacky Maglia e la sua nuova moglie giapponese coinvolti in problemi politici; durante questo suo secondo viaggio in Oriente resta molto colpito dalla cultura di questo popolo, in particolar modo dal teatro e dal rito Obon, destinato ai defunti, ma molto grottesco e umoristico e per niente solenne. Esso consiste nel prendersi gioco del defunto imitandone i difetti: quest'atto di ironia dà al morto un senso di vitalità, un po' come se si potesse ridare un istante di vita a chi non c'è più, anche se, «risalito dalla tomba» il defunto è presente solo nei gesti volontariamente maldestri dei vivi. Genet rientra a Parigi per la fine dell'anno. Il 25 febbraio del 1970 incontra a Parigi due rappresentanti del partito delle Black Panthers, che lo convincono ad impegnarsi per la loro causa e a partire per l'America. Quest'impegno politico di Genet a fianco delle Pantere prima e dei Palestinesi poi lo aiuterà anche a superare il problema della depressione: egli affermerà addirittura di non aver aiutato i Palestinesi nella loro battaglia, ma di essere stato aiutato da loro a vivere. Genet resta due mesi in America viaggiando molto e pronunciando numerosi discorsi a favore delle Black Panthers, tra cui anche il noto articolo dedicato ad un membro del partito imprigionato, «Here and now for Bobby Seale», una difesa del popolo nero e, nello stesso tempo una giustificazione dell'esistenza del Black Panthers Party: (…) For the black man, Time is short, for him History has been brutally interrupted and modified by the whites, who have done everything to prevent him from having his own, original development. (…) That is how the Black Panther Party was created: first of all to defend the rights of the colonized blacks inside the USA, but also to

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synthesize new ways for blacks to struggle against white oppression. (…) The intelligence and political daring of the blacks makes white people uneasy and indignant.(…) Anche dopo la sparizione del gruppo delle Black Panthers Genet resterà fedele ai loro ideali, ma nel suo ultimo libro Un captif amoureux criticherà talvolta i loro metodi e i loro scopi: …leur mouvement, plus révolte poétique et jouée que volonté d'un changement radical, était un rêve flottant sur l'activité des Blancs. Nel luglio dello stesso anno Genet parte per il Brasile dove scrive l'introduzione a «Soledad brothers: the prison letters of George Jackson» , in favore di questo ragazzo di colore, George Jackson, che pur avendo già scontato la sua pena continua a restare chiuso in prigione . Genet compatisce questo prigioniero che, per soddisfare il suo desiderio di scrivere, è costretto ad utilizzare il linguaggio, le parole, la sintassi del suo nemico bianco, mentre sentirebbe il bisogno di una lingua separata che appartenesse solo alla sua gente. La lingua da lui utilizzata appartiene infatti sia al bianco che al nero, ma il bianco estende su di essa la sua giurisdizione di grammatico; è fonte quindi di angoscia per il nero pensare che se vuole scrivere un'opera d'arte, deve farlo nella lingua del suo nemico, sapendo che il suo capolavoro andrà ad arricchire un patrimonio a lui negato. Egli ha dunque solo una possibilità: accettare questa lingua ma corromperla al punto da spingere i bianchi a lasciare perdere il suo lavoro. In questo stesso periodo Genet prende le difese di Angela Davis, filosofa e militante di colore arrestata negli Stati Uniti per omicidio. Il 31 agosto viene pubblicato nella rivista «Le Nouvel Observateur» il suo articolo «Angela et ses frères» , un attacco alla stampa americana accusata da Genet di riferire i fatti senza spiegarne il senso: …l'information n'existe pas aux États-Unis. Bien sûr, et selon une conception bourgeoise de la vérité, la grande presse décrit avec minutie les faits (…) pour faire croire à son objectivité. Mais elle se garde bien d'expliquer le pourquoi – le pourquoi et non le comment- de ces faits. (…) Surtout s'il s'agit de Noirs révoltés et de militants. Nel mese di settembre Genet decide di raggiungere in Giordania i Palestinesi che stanno vivendo in quel periodo il «Settembre Nero», e cioè lo schiacciamento della resistenza palestinese in Giordania ad opera dell'armata del re Hussein: L'année 1970 troubla tout le monde. (…) L'époque pour plusieurs raisons devait rester sous cette appellation de Septembre Noir. Durante la sua permanenza sulle rive del Giordano Genet ha la possibilità di comprendere ed abbracciare pienamente la causa del popolo palestinese. All'inizio il suo soggiorno doveva durare otto giorni, ma poi decide di rimanerci più a lungo: Autant, plutôt par jeu que par convinction, j'avais répondu à l'invitation de passer quelques jours avec les Palestiniens, j'y resterai près de deux ans… Grazie ad un lasciapassare rilasciatogli da Arafat in persona, Genet si può muovere liberamente nei campi e nelle basi; lui è stato l'unico intellettuale che ha deciso di rimanere lì sul posto malgrado il disordine totale e il panico generale, per

questo Arafat gli ha permesso di rimanere e di girare tra i Palestinesi come se fosse uno di loro nonostante i suoi capelli bianchi e i suoi occhi blu. All'inizio Genet non riesce a spiegarsi perché è così attratto da questo popolo, e soprattutto perché ha deciso di prolungare il suo soggiorno, ma poi, quando attraverso la scrittura riordina e riflette sui suoi ricordi, tutto gli appare più chiaro: Curieux et indécis je restai donc là et peu à peu, comme les vieux couples d'abord indifférents l'un à l'autre, entre les Palestiniens et moi, mon amour et leur tendresse me retinrent à Ajloun. Questo viaggio rappresenta l'inizio di un coinvolgimento di Genet con i Palestinesi che esploderà quindici anni dopo con la redazione del suo ultimo libro, intitolato Un captif amoureux. Genet definisce gli anni dal 1970 al 1972, cioè quelli passati, con qualche interruzione, nei campi palestinesi, come il periodo più felice della sua vita. Ad Amman incontra Nabila Nashashibi: …l'été 1982, elle fut sous les bombes, le chef de médecine préventive au Liban. Nabila diviene la sua guida tra i Palestinesi durante questo primo soggiorno; Genet decide così di seguire i feddayin (parola che in arabo vuol dire «quelli che devono essere sacrificati») che lasciano Amman, familiarizzando con la loro lingua e la loro cultura e interessandosi alla figura della donna palestinese e al suo ruolo in quella società. A novembre Genet incontra Arafat, che gli chiede di scrivere un libro sulla rivoluzione palestinese e gli consegna il lasciapassare per qualunque posto voglia raggiungere dei territori occupati: …et ce fut la même courtoisie que je reconnus dans la voix d'Arafat quand il me dit: Et pourquoi pas un livre? Bien sûr. Durante il Ramadan a Irbid incontra un feddayin che, insieme a sua madre, lo ospita nella sua casa. Questi due Palestinesi saranno poi i personaggi-chiave del suo ultimo libro. Nella primavera del 1971 si intensificano i rapporti tra Genet, che nel frattempo è rientrato a Parigi, e Michel Foucault, il quale non scriverà mai nulla sull'opera dell'amico, anche se la apprezzerà molto. L'occasione dell'incontro tra Genet e Foucault era stata la pubblicazione di un libretto intitolato «Intolérable», che rendeva conto delle inchieste condotte sull'universo carcerario ad opera del Gruppo di Informazione sulle Prigioni, di cui Foucault faceva parte. I membri del gruppo avevano chiesto a Genet di scrivere un articolo riguardo ai prigionieri dei movimenti rivoluzionari dei neri americani. Genet aveva così scritto la «Préface à l'assassinat de George Jackson» , in cui dimostrava che la morte del giovane non era stata né un incidente, né una bravata della polizia penitenziaria, ma un assassinio politico. L'amicizia tra i due, che dura all'incirca dal 1970 al 1972, intensificata dal fatto che entrambi si schierano dalla parte dei prigionieri, finirà a causa di divergenze politiche, tra cui il diverso atteggiamento che essi avranno nei confronti del partito comunista. Nell'aprile del 1972 Genet è a Roma, dove ha numerosi incontri con Alberto Moravia e con il rappresentante italiano dell' O.L.P., Waël Zouaiter: Curieusement l'Italie, si légère autrefois, me sembla pesante comparée à la vie vagabonde des feddayin. Genet programma con quest'ultimo un viaggio in Medio

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Oriente, ma nel mese di ottobre Zouaiter viene ucciso da degli agenti del servizio segreto israeliano. A maggio torna sui campi palestinesi in Giordania, dove resta per quattro mesi rinnovando la sua amicizia con un militante palestinese, Abou Omar. Considerato un agitatore, viene espulso dal Paese nel novembre del 1972. Tornato a Parigi trascorre un anno meditando sull'idea di un libro sulle Black Panthers e sui Palestinesi. Nel mese di settembre, dopo un incontro con sette giovani palestinesi, Genet scrive un testo pubblicato prima in arabo sulla rivista «Shoun Falestine» e poi in inglese nel 1973 sulla rivista «Journal of Palestinian studies», intitolato «Les Palestiniens». In esso Genet, anticipando quelli che saranno i temi del suo ultimo libro, espone le prime impressioni sui lunghi soggiorni nei campi palestinesi dal 1970 al 1972. Genet traccia innanzitutto la storia della Palestina sin dalle sue origini; espone poi le motivazioni che l'hanno spinto a sostenere questa rivoluzione, tra cui, sostiene, innanzitutto bisogna ricordare il suo servizio militare a Damasco. Affronta poi temi delicati come il ruolo della donna nella società palestinese, quello della religione, del linguaggio, della violenza e della sua giustificazione: Si la presse et autres médias s'opposent à la violence, c'est qu'ils comprennent que la violence est à la source de la vie, si bien qu'ils l'assimilent délibérément à la brutalité. Critica profondamente la morale borghese, e la sua tendenza a emarginare qualunque essere che non voglia piegarsi ai valori tradizionali: Un homme, même palestinien, doit avoir la liberté de s'engager dans la quête de son choix; il pourra se tromper, ni lui ni sa quête n'auront d'intérêt pour nous, mais l'exclure de quelque communauté que ce soit, si petite soit-elle, c'est l'exclure de quelque communauté humaine dans sa totalité. C'est exactement ainsi que procède la morale bourgeoise, occidentale ou autre, lorsque tout homme qui ne se plie pas aux valeurs reconnues est tantôt exilé, tantôt emprisonné, tantôt réduit à la marginalité. Introduce l'argomento del Settembre Nero vissuto dai Palestinesi nel 1970, quello del rapporto tra la rivoluzione palestinese e il sessantotto europeo, affronta un discorso politico legato a termini delicati come l'antisemitismo, il sionismo, il colonialismo e il socialismo. Conclude poi il suo discorso analizzando il ruolo della letteratura e dell'arte nelle rivoluzioni. Nella primavera del 1974 Genet rompe il suo silenzio e tiene un discorso sull'emittente radiofonica «France culture» , citando numerosi scrittori arabi tra cui Tahar Ben Jelloun, che, contento delle parole spese da Genet, incontrerà l'autore e ne diverrà presto amico. Poiché le voci di questi autori che si occupano dei problemi dei lavoratori immigrati non sono per niente considerate dagli intellettuali europei e francesi, quelli che Genet definisce nos maîtres à penser, primo fra tutti J. P. Sartre, Genet spinge gli operai ad ascoltarle, per arrivare ad una comprensione della solitudine di questa gente, della loro miseria fisica di lavoratori usa e getta, ma anche della loro miseria intellettuale di uomini scombussolati dalla ferocità della lingua francese. Il

testo dunque, nonostante abbia l'apparenza e il titolo di un commento letterario, scivola velocemente su un registro molto più politico. In questo stesso periodo il sessantatreenne Genet incontra a Tangeri l'ultimo importante compagno della sua vita, il ventiseienne Mohamed El Katrani. Sempre nel 1974 esce il libro di Derrida su Hegel e Genet intitolato Glas , che rappresenta il primo sguardo serio sui romanzi di Genet dopo il testo di Sartre del 1952 ; Glas è però l'unico testo di critica alle sue opere che Genet accetta. Prima di Derrida, infatti, l'opera di Genet era stata sottomessa ad altre due grandi interpretazioni, quella di Sartre in Saint Genet comédien et martyr e quella di George Bataille in La letteratura e il male . Ma, come ha giustamente sottolineato Patrice Bougon, la singolarità dell'apporto di Derrida sta «nell'aver aperto il testo di Genet al suo policentrismo e al gioco interminabile dei suoi effetti grafici e fonici.» Nel 1975 l'attività politica di Genet si arresta: gli è vietato di soggiornare in Giordania, il movimento delle Black Panthers inizia a scomparire, e anche l'ondata di contestazione in Francia sembra essere ormai soltanto un ricordo. Genet si rimette al lavoro, cercando di dare una forma compatta all'insieme di note, di ricordi redatti su dei fogli volanti nei cinque anni precedenti durante i suoi viaggi. Ma poi scoraggiato, convinto di non aver ancora trovato la forma ma soprattutto la chiave del libro che sogna, sospende provvisoriamente la sua redazione e rinuncia a ogni pubblicazione. Nei primi mesi del 1976 Genet inizia a lavorare allo scénario di un film basato su un'idea del suo amante Mohamed, il cui titolo provvisorio è Le bleu de l'oeil, ma che diventerà ben presto La nuit venue. Genet racconta la storia di un arabo arrivato a Parigi, che, presa coscienza dello stato di decrepitezza del mondo occidentale, decide di ritornare in Nordafrica. Nella primavera del '77 Genet pubblica due nuovi articoli nella rivista «L'Humanité» intitolati «La ténacitè des Noirs américains» e «La cathédrale de Chartre», che, più che essere una celebrazione del monumento come gli era stato richiesto, rappresenta una profonda riflessione di Genet sui concetti di Patria e di Nazione, dove però l'ironia è sempre presente. Genet prende in contropiede il soggetto che gli era stato imposto, e lavora per disfare l'idea di Patria. Un altro articolo, intitolato «Violence et brutalité» , esce il 2 settembre sulla prima pagina di «Le Monde» suscitando numerose polemiche e scatenando numerose lettere di protesta indirizzate alla redazione del giornale. Nell'articolo Genet, affrontando la questione nevralgica del terrorismo urbano, opera una fondamentale distinzione tra l'«inutile» brutalità e la «salutare» violenza. La violenza è considerata pressappoco sinonimo di vita: il grano che germoglia, il becco del pulcino che rompe il guscio dell'uovo, la fecondazione della donna, la nascita di un bambino, sono degli eventi che implicano della violenza, ma che non vengono mal giudicati dalla società. Mentre questa stessa società ha giudicato e condannato all'ergastolo i dirigenti della Rote Armee Fraktion, un'organizzazione terroristica tedesca. Il processo e la violenza nascondono dunque un terzo concetto, quello di brutalità, la brutalità

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del sistema, del sistema carcerario; e più la brutalità sarà grande, più la violenza si renderà necessaria. Se Genet si schiera al fianco di questo gruppo di terroristi, è essenzialmente per tre motivi. Il primo è che l'azione della R.A.F. non era diretta solo verso lo stato tedesco, ma anche e soprattutto contro l'America, che rappresenta per Genet il nemico per eccellenza. Il secondo è che la maggioranza dei suoi membri si trovavano all'epoca in prigione, e il problema della detenzione carceraria non aveva mai cessato di preoccuparlo. Infine c'era il fatto che, indiscutibilmente, i terroristi erano indifendibili da chiunque, e questo non può che aver suscitato l'interesse di Genet, difensore delle cause perse per eccellenza, nei loro confronti. Nel settembre dello stesso anno su numerosi giornali francesi appaiono articoli che attaccano il testo di Genet. Nello stesso periodo Tahar Ben Jelloun scrive un articolo in difesa dell'amico intitolato «Pour Jean Genet» , in cui cerca di giustificare la presa di posizione dell'autore con la sua tendenza a schierarsi sempre dalla parte dei diseredati e dei più deboli: On ne lui pardonne pas d'avoir toujours été concrètement, physiquement aux côtés des déshérités, des peuples nus, dépossedés. (…) Comment lui pardonnerait-on aujourd'hui, quand il prend la défense de personnes qui sont allées jusqu'au bout de leurs convictions, absolues dans leur lucidité, leur désespoir? Nel maggio del 1979 Genet scopre di avere un tumore alla gola. Questa notizia lo fa precipitare in una profonda depressione: all'inizio rifiuta ogni terapia fisica, ma poi, a partire dal mese di agosto inizia a sottoporsi alla cobaltoterapia. Nel 1981 firma un contratto per lo scénario di un film, «Le language de la muraille», in cui ritraccia la storia della colonia penale di Mettray; ma anche questo scénario, resterà senza realizzazione. Nel testo, scritto nel 1980, Genet formula una teoria sulla Colonia di Mettray, affermando che cinicamente i gestori dei riformatori sfruttano i detenuti e il governo perché lo Stato paga agli amministratori una certa cifra quotidiana per ogni ragazzo; in realtà però la Colonia spende solo una parte di queste somme per l'abbigliamento, il vitto e l'educazione dei suoi ospiti, intascandone il resto. Definisce inoltre le Colonie penali delle fabbriche di assassini per «l'esercito della colonizzazione». L'età prevista per l'uscita dalla Colonia infatti era 21 anni, ma c'era la possibilità di anticiparla arruolandosi come volontari in Nordafrica . Negli ultimi anni della sua vita, a partire dal mese di marzo del 1982, Genet passa molto tempo in Marocco, dove ha costruito una casa per Mohamed El Katrani e la sua nuova moglie. Nel settembre del 1982 decide di andare in Medio Oriente con la sua amica palestinese Leila Shahid, presidente dell'unione degli studenti palestinesi. I due arrivano a Beirut quando, all'indomani dell'invasione della capitale libanese da parte dell'armata israeliana, vengono perpetrati i massacri nei campi palestinesi di Sabra e Chatila. Il mattino del 19 settembre Genet è il primo testimone europeo a entrare a Chatila e a percorrere le strade ingombrate dai cadaveri. Rientrato a Parigi, per tutto il mese di

ottobre scrive il saggio «Quatre heures à Chatila» , che sarà pubblicato il 1 gennaio 1983 nella «Revue d'études palestiniennes»: Dans la Revue d'Etudes palestiniennes j'ai voulu montrer ce qui restait de Chatila et de Sabra après que les Phalangistes passèrent trois nuits. Sempre nel 1982 viene realizzata la versione cinematografica di Querelle de Brest. Nell'estate del 1983, di nuovo in Marocco, Genet inizia a scrivere Un captif amoureux, dopo aver completato un breve saggio intitolato «Les frères Karamazov» , un omaggio indirizzato al romanziere russo Dostoïevski, che, più volte citato dall'autore nel corso di alcune interviste , sembra rappresentare la referenza letteraria maggiore di Genet. Ma se questo testo propone una lettura precisa e originale del romanzo, esso sfocia anche nell'elaborazione di una teoria del romanzo e dell'opera d'arte in generale: Il me semble, après cette lecture, que tout roman, poème, tableau, musique, qui ne se détruit pas, je veux dire qui ne se construit pas comme un jeu de massacre dont il serait l'une des têtes, est une imposture. Nel mese di dicembre gli viene conferito dal ministro della cultura francese Jacques Lang il Grand prix des arts et des lettres. In questo stesso periodo rompe l'amicizia con Paule Thévénin, perché l'unica cosa che adesso gli interessa è la causa palestinese. Nella primavera del 1984 Genet viaggia attraverso il Medio Oriente alla ricerca del suo amico Hamza, che sarà poi l'eroe del suo ultimo libro. Lo ritroverà qualche tempo dopo in Germania dove era emigrato, sposato e padre di famiglia. Nell'estate del 1985 rilascia un'intervista alla BBC : sarà la sua ultima apparizione pubblica. A novembre Genet rientra a Parigi e consegna al suo editore il manoscritto di Un captif amoureux . Durante le ultime settimane di stesura del libro soffre molto a causa dell'avanzare della malattia, ma rifiuta di prendere antidolorifici perché, dice, gli appannano la mente. Intanto dopo la sospensione della radioterapia le sue condizioni di salute peggiorano enormemente. Nonostante ciò, negli ultimi tempi della sua vita parte per la Spagna in compagnia di Jacky e raggiunge poi il Marocco. Sarà a Tangeri e poi a Rabat per far visita al piccolo Azzedine, il figlio di Mohamed. Genet decide che, alla sua morte, vuole essere sepolto in Marocco. Tornato a Parigi inizia a lavorare al secondo volume di Un captif amoureux. E nella capitale francese muore nella notte tra il 14 e il 15 aprile nella sua camera all'hotel Rubens, ucciso non dal cancro ma da una botta alla testa che si procura cadendo dal letto mentre continua a correggere le bozze del suo ultimo lavoro . Viene sepolto pochi giorni dopo nel vecchio cimitero spagnolo che domina la città di Larache, in Marocco, di fronte al mare. Un captif amoureux esce nel maggio del 1986 edito da Gallimard, un mese dopo la morte dell'autore.