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La democrazia che non c’è Paul Ginsborg Indice Prologo 3 Parte prima 1. Il primo paradosso: democrazia diretta e dittatura comunista 21 2. Il secondo paradosso: trionfo e crisi della democrazia liberale 31 3. Il deficit democratico dell’Unione Europea 41 Parte seconda 1. Democrazia al bivio 51 2. Soggetti attivi e dissenzienti 54 3. Dalle famiglie atomizzate a un “sistema di connessioni” 57 4. La sfida della società civile 60 5. Democrazia deliberativa 70 6. Il governo locale è il rinnovamento della democrazia 76 Parte terza 1. Democrazia economica 97 2. Democrazia e genere 114 3. Tempi e scala 126 4. Torniamo all’Unione Europea 140

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La democrazia che non c’èPaul Ginsborg

IndicePrologo 3

Parte prima

1. Il primo paradosso: democrazia diretta e dittatura comunista 212. Il secondo paradosso: trionfo e crisi della democrazia liberale 313. Il deficit democratico dell’Unione Europea 41

Parte seconda

1. Democrazia al bivio 512. Soggetti attivi e dissenzienti 543. Dalle famiglie atomizzate a un “sistema di connessioni” 574. La sfida della società civile 605. Democrazia deliberativa 706. Il governo locale è il rinnovamento della democrazia 76

Parte terza

1. Democrazia economica 972. Democrazia e genere 1143. Tempi e scala 1264. Torniamo all’Unione Europea 140

Finale semi-serio 147

Prologo

Pg. 6

Marx aveva grande fede nei vantaggi e nelle potenzialità di progresso insite nella produzione capitalista. Per capirlo basta leggere il famoso brano del Manifesto Comunista in cui rende omaggio agli straordinari successi economici della borghesia che, in un secolo scarso, aveva <<assoggettato le forze della natura all’uomo>> e <<creato ben altre meraviglie che le piramidi d’Egitto, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche>>. Per Marx la borghesia moderna aveva creato forze di produzione più imponenti di quanto avessero fatto tutte le generazioni precedenti messe insieme.

Pg. 7

Mill era più cauto e, potremmo dire, più moderno. Cercò di spiegare a Marx che la crescita illimitata rappresentava un rischio reale. Nei paesi capitalisti avanzati bisognava invece determinare una “stasi” dell’economia, per frenare la crescita inutile.

Pg. 9

[…]Mill aveva anche la netta impressione che gli uomini e le donne delle classi lavoratrici non fossero ancora pronti, né sufficientemente istruiti, per l’esercizio della democrazia. Temeva la tirannia di una maggioranza mal informata e affetta da pregiudizi e insistette, quanto meno in una certa fase, su un sistema elettorale in cui ai voti dei cittadini venivano attribuiti pesi diversi, per conferire maggiore rappresentatività alle classi colte.

Pg. 10

[…] accesso differenziato al potere.

Pg. 12

admin, 12/06/2014,
Una preoccupazione che caratterizza normalmente il conservatorismo delle élite dominanti, o di quelle colte come ad esempio in “La ribellione delle masse” di Ortega y Gasset. Ma al nascere e dilagare dei populismi recenti, soprattutto il M5S, ed avendo avuto un riscontro diretto delle preoccupazioni di Mill, quali l’ignoranza ed i pregiudizi, si è levata istintivamente in me questa difesa a scapito della equazione paritaria nella democrazia partecipativa. Questo è per me un nodo fondamentale: come equilibrare partecipazione estesa e qualità della partecipazione.

[…] entrambi tendevano ad attribuire status politico privilegiato e funzioni di leadership a una sola classe

Pg. 16

Nel 1989 la democrazia liberale trionfò senza riserve sul suo, ormai impresentabile, avversario. Ma, nel momento della vittoria globale, molte delle prassi fondamentali della democrazia liberale si sono rivelate carenti e molti dei suoi più orgogliosi vanti infondati. Oggi la democrazia liberale è, almeno in parte, un re nudo.

Pg. 17

Ciò in riferimento alla democrazia in generale, ma con attenzione particolare alle democrazie europee e al destino dell’Unione Europea.[…] la necessità di inventare nuove forme e prassi che combinino la democrazia rappresentativa con quella partecipativa, al fine di migliorare la qualità della prima tramite il contributo della seconda.

La democrazia ha molti nemici in attesa tra le quinte, politici e movimenti per il momento costretti a giocare secondo le sue regole ma il cui intento reale è tutt’altro – populista, di manipolazione mediatica, intollerante e autoritario. Conquisteranno molto spazio, se non riformeremo rapidamente le nostre democrazie. E non c’è ambito in cui questa riforma sia più necessaria che in seno alla stessa Unione Europea.

Parte Prima

Il primo paradosso: democrazia diretta e dittatura comunista.

Pg. 21

Nei primi decenni del XX secolo il concetto di democrazia come <<autogoverno dei produttori>>, descrizione di Marx della Comune di Parigi, era ancora in fase di espansione, in varie guise.

Pg. 21

[…] i Soviet, ovvero i consigli democratici autogestiti degli operai, dei contadini e dei soldati. La loro consanguineità politica con la Comune di Parigi era evidente a tutti. Se Lenin nel 1905 aveva nutrito diffidenza nei confronti dei Soviet, giunto alla primavera del 1917 ne era entusiasta. Nell’aprile di quell’anno, rientrato in Russia dall’esilio, dichiarò che l’immediato obiettivo del proletariato russo era porre <<la produzione sociale e la ripartizione dei prodotti sotto il controllo dei Soviet dei delegati dei lavoratori>>.

Più tardi, quello stesso anno, Lenin pubblicò un famoso ed enigmatico pamphlet, Stato e rivoluzione. Il terzo capitolo inneggia alle varie iniziative della Comune di Parigi – la democratizzazione dell’esercito e della magistratura, l’elezione di delegati con retribuzione pari al salario di un operaio, l’abolizione delle alte cariche dello Stato ecc., tutte mirate alla radicale semplificazione delle funzioni dello Stato e a subordinare l’amministrazione pubblica al controllo della gente comune.

Pg. 24

Nei mesi convulsi intercorsi tra la prima rivoluzione di febbraio del 1917 e l’inizio dell’estate del 1918, in tutto l’ex impero russo si diffuse il sistema sovietico di democrazia […]. Nella loro forma originale i Soviet furono luogo di un celere apprendistato delle prassi democratiche.

Pg. 25

Proprio le esigenze imposte dalla guerra civile e dal crescente isolamento dell’Unione Sovietica su scala mondiale costituiscono infatti i fattori più spesso addotti a spiegare la presa di distanza comunista dalle forme democratiche, in direzione di un sistema politico sempre più centralizzato e autoritario.

Pg. 26

La democrazia non fu mai una condizione sine qua non del loro sistema politico […]

Pg. 26

Scrivendo sulla rivista viennese <<Neue Zeit>> nel 1904, la socialdemocratica tedesca Rosa Luxemburg aveva previsto con acume straordinario l’evoluzione del processo storico sovietico: dalla dittatura del

admin, 15/06/2014,
Riduzione dello Stato, ma attraverso i Soviet. Ed è un ambito di discussione notevole visto che la riduzione dello Stato dovrebbe passare attraverso l’istituzione di apparati.

partito, che si sarebbe sostituito al proletariato, alla dittatura del Comitato Centrale, che si sarebbe sostituito al partito. E trent’anni prima della Luxemburg John Stuart Mill aveva già puntato le sue finissime antenne libertarie sulle probabili conseguenze derivanti da un governo centrale che si impossessava di tutte le proprietà del paese con la pretesa di amministrarle per il bene comune.

Pg. 27

I Soviet furono riconosciuti come organismi di autogoverno a livello locale […].

Pg. 28

Il sistema elettorale sovietico cozzava anche con il fondamentale principio democratico di “una persona, un voto”.

Pg. 29

Quindi in rapporto a tre aspetti fondamentali della teoria democratica il sistema sovietico sceglieva la soluzione sbagliata: elezioni indirette, piramidali, invece che dirette, disuguaglianza, non parità, del peso elettorale di ogni voto, esclusione dal voto di diverse fasce della popolazione invece del tentativo di creare cerchi sempre più ampi di inclusività.

Mi sono soffermato ad analizzare la soluzione adottata da Lenin e dai comunisti russi sul tema della democrazia in quanto essa riveste un immenso significato su scala mondiale. Sarebbe stata scelta, naturalmente adattandola ai vari paesi, in tutto il mondo comunista tra il 1921 e il 1989. Le niove “democrazie socialiste” si basavano tutte su stati autoritari a partito unico, governati in nome delle masse lavoratrici da oligarchi di partito privilegiati – l’esatto contrario della Comune di Parigi.

Il secondo paradosso: trionfo e crisi della democrazia liberale

Pg. 31

La tradizione liberale, a sua volta, stabilì ben presto la sua ortodossia, da cui furono bandite le simpatie socialiste e molti degli elementi più progressisti del pensiero politico di Mill.

admin, 15/06/2014,
Ricorda qualche cosa? M5S? “Uno vale uno”?...

Pg. 32

Fu un progresso notevole ma va osservato che in tali democrazie lo spazio concesso in teoria e in pratica alla partecipazione diretta la governo era minimo. La democrazia era rappresentativa tout court. Il governo e il processo decisionale erano affidati ai rappresentanti mentre il compito dei cittadini era di andare alle urne saltuariamente, benché regolarmente, per eleggerli.

Pg. 34

Alla fine del suo intervento [di Benjamin Constant] nel 1819 esortò i cittadini a esercitare una <<vigilanza attiva e costante>> sui loro rappresentanti e ammonì in tono profetico: <<Il rischio della moderna libertà è che, assorbiti nel godimento della nostra indipendenza privata e nel perseguimento dei nostri interessi particolari, rinunciamo con troppa facilità al nostro diritto di partecipazione al potere politico>>.

Pg. 34

Così il pensiero politico liberale assunse gradualmente alla sua forma distintiva. La sfera politica e quella privata erano nettamente separate. Lo stato liberale si impegnava a tutelare i diritti civili e la privacy dei cittadini ma questi ultimi non avevano in esso parte attiva. Erano invece chiamati a eleggere i propri rappresentanti in parlamento, i quali, avendo il compito di decidere su complesse questioni nazionali, dovevano necessariamente godere di notevole libertà di azione e di opinione rispetto all’elettorato.

Pg. 35

La vera sorpresa, quantomeno per la maggioranza dei commentatori, fu la crisi immediata e diffusa della forma di democrazia vincente nel decennio successivo alla caduta del muro di Berlino.

Pg. 36

La crisi era piuttosto di carattere qualitativo. Mentre la democrazia formale, elettorale, si espandeva con grande rapidità in tutto il mondo, nei paesi tradizionali, roccaforti della democrazia liberale, cresceva la disaffezione. Essa si manifestava con tutta una serie di sintomi: calo dell’affluenza alle urne, calo del tesseramento nei partiti, perdita di fiducia nelle istituzioni democratiche e nella classe politica in generale.

Pg. 37

In questa sede intendo concentrarmi su un certo numero di cause di fondo.

La prima è sempre stata implicita nella democrazia rappresentativa, ma ha assunto ora carattere drammaticamente esplicito: la delega della politica a una sfera separata, abitata da professionisti, organizzata dalle élite di partito, protetta dal linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e in vastissima misura impermeabile alla generalità del pubblico.

Nel lontano 1861 Mill era convinto che l’essenza della democrazia nella sua nascente forma rappresentativa sarebbe stata del tutto diversa:

Il senso del governo rappresentativo è che tutto il popolo o una numerosa parte di esso eserciti, tramite deputati periodicamente eletti, il potere di controllo ultimo che in ogni costituzione deve trovare il suo soggetto. Deve possedere tale potere nella sua pienezza. Deve essere padrone, a suo piacimento, di tutte le funzioni del governo.

admin, 15/06/2014,
Mi viene in mente un libretto credo di Baumann che parla di politica che da area appartenente all’opinione pubblica, aperta, è diventata progressivamente una proprietà privata.

Pochi si arrischierebbero a sostenere che la democrazia odierna corrisponde in qualche misura alla definizione di Mill.

In secondo luogo, l’esilio strutturale della politica in una sfera privilegiata e remota è stato intensificato da rapidi mutamenti nelle abitudini culturali e sociali. Il capitalismo del consumo ha avuto forte impatto sulla natura delle nostre democrazie: la celebrazione della vita domestica, dei modelli improntati al “lavora e spendi” che rendono le nostre società ricche in termini di comfort, ma povere in termini di tempo disponibile, l’autoreferenzialità dell’individuo e della famiglia, l’aumento delle ore passate davanti al video e la dipendenza dalla televisione si sono combinati a produrre una straordinaria passività e disinteresse per la politica.

[…] membri del mercato, non cittadini […]

In terzo luogo […] In presenza di enormi sovvenzioni private, il processo democratico è fortemente esposto a quello che viene chiamato “crony capitalism”, un capitalismo basato sulle amicizie strumentali. Si vincono le elezioni così da poter assegnare redditizi appalti ai finanziatori o per collocare gli amici e, in molte democrazie, i familiari, in posizioni di potere e di prestigio. Il sistema dei partiti incontra grande difficoltà a restare immune da questi processi, né in molti paesi riesce a sviluppare anticorpi sufficienti a resistere alla sdrucciolevole china che porta alla corruzione. A fronte di tutto questo il cittadino comune critica ferocemente la classe politica ma segretamente (o apertamente) aspira a salire su una delle numerose scale clientelari che costituiscono il meccanismo nascosto di numerosi stati democratici contemporanei.

Il deficit democratico dell’Unione Europea

Pg. 42

Ma l’Unine Europea pratica la democrazia in forma limitata, indiretta e fortemente insoddisfacente.

Pg. 43

Fin dall’inizio il progetto europeo e il linguaggio da esso adottato privilegiarono i bisogni dell’economia politica e tributarono scarsa attenzione a quelli della democrazia liberale. A prendere le decisioni erano le élite amministrative e di governo, per nulla desiderose di renderle risultato di un processo democratico esteso o di dibattito politico pubblico. In questo ordine di cose al Parlamento Europeo venne in origine assegnato solo un ruolo limitato e consultivo e si procedette alla sua elezione diretta solo a partire dal 1979. Dovendo equilibrare dinamismo e democrazia, un dilemma su cui tornerò in seguito, i fondatori dell’Europa privilegiarono chiaramente il primo.

Questo deficit democratico iniziale doveva pesantemente gravare sulla storia successiva dell’Unione. La separatezza della sfera decisionale, già spiccata nelle democrazie rappresentative nazionali, divenne macroscopica nel caso delle istituzioni europee. Il Consiglio dell’Unione Europea , l’organismo più potente, composto dai ministri di ciascun paese, è stato definito più una consorteria che un gabinetto, più una conferenza diplomatica che un senato. Non risponde direttamente a nessuno e tuttavia legifera abbondantemente. L’intergovernamentalismo che ne è principio guida non combacia facilmente con la democrazia parlamentare.

In generale il rapporto fra i tre principali organismi decisionali dell’Unione – il Consiglio, la Commissione e il Parlamento – vede tutt’ora il Parlamento in posizione subordinata. Il proliferare di una schiera di cosiddette “istituzioni non maggioritarie”, come la Banca Centrale Europea o l’Europol, nonché di numerose nuove

admin, 19/06/2014,
Cercare info
admin, 19/06/2014,
Non va confuso con:il Consiglio europeo: un'altra istituzione dell'UE, che riunisce i capi di Stato e di governo all'incirca quattro volte l'anno per discutere le priorità politiche dell'Unioneil Consiglio d'Europa: non è un'istituzione dell'UE.

autorità regolatorie, indica che le decisioni fondamentali vengono prese costantemente da organismi privi di doveri democratici.

Pg. 45

Il Parlamento europeo ha visto un graduale incremento dei suoi poteri e il Trattato di Amsterdam [scarica il PDF] del 1997 segnò un forte impegno a una maggiore trasparenza nel processo decisionale.

Parte Seconda

Democrazia al bivio

Pg. 52

[…] uno dei fattori fondamentali […] ossia la passività e l’indifferenza alla politica.

Pg. 52

La crescente concentrazione del capitale su scala mondiale, conseguente a continue fusioni e acquisizioni, un processo che Marx aveva previsto con grande chiarezza, ha prodotto nuove oligarchie, straordinariamente potenti.

Le compagnie transnazionali non sono l’unica forma economica di organizzazione presente nel capitalismo contemporaneo, ma in termini simbolici e di prospettiva futura ne sono le migliori rappresentanti. Nel 2001 cinquantuno delle cento maggiori economie del mondo erano imprese transnazionali mentre solo quarantanove erano stati nazionali, e le cento maggiori corporation oggi controllano circa il 20 per cento dei capitali esteri globali.

Pg. 52

Al contempo la straordinaria crescita del capitalismo consumista è fortemente servita a compensare la condizione di impotenza, percepita e reale, che il neo-liberismo ha contribuito a creare. Come accennavo prima, le famiglie e gli individui hanno cercato conforto, protezione, distrazione e intrattenimento nelle gioie della vita domestica e nell’acquisto di merci di ogni sorta che contribuiscono a crearla. Non c’è nulla di male, in sé, in tutto questo. Tutt’altro. Preoccupa moltissimo però che nella vita quotidiana sia assente, o molto poco presente, una corrispondente sfera pubblica, che i cittadini mantengano in linea di massima privati i loro pensieri, le loro abitudini e prassi quotidiane.

Infine, benché in tutto il mondo i livelli di istruzione siano in crescita e, grazie a Internet e a molti altri strumenti, l’accesso all’informazione si stia democratizzando, il mezzo che più influenza culturalmente le famiglie e, nella maggioranza dei casi, l’unico strumento culturale presente nell’ambiente domestico resta la televisione. Data la struttura oligarchica e la cultura conformista della televisione globale – l’impero mediatico di Rupert Murdoch è il classico esempio di impresa mediatica transanazionale -, c’è poco da sperare da queste fonti in termini di seria trasmissione di valori pluralistici, democratici e partecipativi. Spesso accade esattamente l’opposto.

Soggetti attivi e dissenzienti

Pg. 54

Non è Marx, bensì Mill, intensamente concentrato sul potenziale degli individui, a darci le prime indicazioni circa la via da percorrere. È lui ad avere più chiari in mente i requisiti che la democrazie esige ed è in grado di promuovere negli individui. Scriveva che i cittadini devono essere self-dependent, ovvero <<basarsi su ciò che sono capaci di fare in prima persona, separatamente o in concerto, piuttosto che su ciò che gli altri possono fare per loro>>. Non è affatto una virtù, affermava Mill, che i cittadini siano <<un gregge di pecore che brucano quiete fianco a fianco>>.

Devono invece essere attivi, critici, capaci di organizzarsi e di esprimere autonomia e autodisciplina. Per Mill nessuno doveva adeguarsi per pigrizia e abitudine ai costumi sociali vigenti. Preferiva gli eccentrici ai conformisti, voleva che le decisioni di ciascuno si fondassero sull’informazione e la riflessione . Aborriva quel genere d’individui che <<lascia al mondo o alla parte del mondo in cui vive il compito di scegliere in sua vece il progetto, [che] non ha bisogno di altre facoltà se non l’imitazione, la facoltà delle scimmie >>. È superfluo evidenziare come queste riflessioni si applichino alla nostra società, basata com’è sulla sottomissione al consumo di massa e alla dilagante passività nella sfera pubblica.

Al termine del famoso terzo capitolo di La libertà, intitolato Dell’individualità, come uno degli elementi del benessere, Mill scriveva: <<Se per opporci aspettiamo che la vita sia ridotta quasi completamente a un unico tipo uniforme, qualsiasi deviazione da quel tipo verrà considerata empia, immorale, e addirittura mostruosa e contro natura. Gli uomini perdono rapidamente la capacità di concepire la diversità, se per qualche tempo si sono disabituati a vederla>>.

Dalle famiglie atomizzate a un “sistema di connessioni”

Pg. 57

[…] la famiglia è stata la scuola del dispotismo […]

Pg. 59

Tuttavia è pressoché indubbio che nell’ambito del moderno capitalismo consumista le famiglie, per i motivi cui ho accennato, sono in maggioranza preponderantemente conformiste (nell’accezione di Mill) e assorbite dalla propria realtà.

admin, 20/06/2014,
Argomento ampiamente discusso nella sessuoeconomia di Wilhelm Reich.
admin, 20/06/2014,
La libertà, L’utilitarismo, L’asservimento delle donne, Rizzoli, Milano 1999, p. 145
admin, 20/06/2014,
Numerosi sono i collegamenti ad altri saggi sulla disobbedienza, sulla soggettività morale. Mi va di citarne proprio uno che parla di disobbedienza all’interno dell’ambiente più conservatore, la chiesa, ed è Obbedienza e libertà. Critica e rinnovamento della coscienza cristiana, di Vito Mancuso. Se anche in questo rigido, autoritario e dogmatico ambiente è necessaria una soggettività morale a maggior ragione dovrebbe essere percepita come necessità anche altrove.
admin, 20/06/2014,
Considerazioni sul governo rappresentativo, a cura di P. Crespi, Bompiani, Milano 1946, p. 55

Pg. 59

A mio avviso l’unico mezzo per compiere una trasformazione simile è quello che definirei un sistema di connessioni. Le famiglie devono essere collegate alla società civile tramite robuste reti di associazioni autonome.

La sfida della società civile

Pg. 60

Prima di procedere oltre vorrei subito dissipare un equivoco che potrebbe essere sorto nella mente di alcuni lettori. Non mi faccio qui paladino di una sorta di iperattivismo che esige il sacrificio della vita privata e familiare degli individui e che vede le ragioni della sfera privata cedere gradualmente il campo a quelle della sfera pubblica. Un modello di cittadinanza così giacobino, fortemente orientato a richiedere una presenza costante nella sfera pubblica, ha poco da offrire alla moderna politica democratica. Invece di stabilire un sistema di connessioni, minaccia di instaurare rigide separazioni, più spesso lungo demarcazioni di genere. Le famiglie, la società civile e lo stato democratico devono coesistere in un equilibrio che si rinnova e si ridefinisce costantemente.

Pg. 65

Sembra che alla splendida idea dell’individualità di Mill manchi un corrispondente contesto organizzativo in cui collocare gli individui. Il suo intento è che siano questi ultimi a controllare il governo, ma concedeva loro pochi o nessuno strumento per farlo.

Pg. 65

[…] Non è forse vero che il popolo di cui parla Mill sceglie i “migliori” a parlare al suo posto come rimedio alla sua incompetenza?

Pg. 67

Dopo la débacle del periodo 1920-26, Gramsci era sempre più convinto del ruolo necessario e omnicomprensivo del machiavelliano “Principe moderno”, di cui nell’età contemporanea il Partito comunista sarebbe stato l’incarnazione collettiva.

Democrazia deliberativa

Pg. 71

L’insuccesso [le mobilitazioni civili degli anni ‘70 per la democratizzazione] è parte riconducibile al mutato equilibrio di forze alla fine degli anni Settanta – l’esaurimento dei movimenti sociali, la ripresa del controllo esclusivi da parte dei datori di lavoro nelle fabbriche e l’ascesa di una forte ideologia neo-conservatrice dal fascino universale. Ma in non piccola parte il fallimento derivò anche dall’incapacità e dalla mancata volontà dei partiti politici di sinistra di canalizzare la grande spinta dal basso in nuove forme di governance, a ripensare la partecipazione democratica e a rompere con un modello di politica in cui la loro posizione risultava rafforzata ma la democrazia rappresentativa nel complesso era indebolita.

Pg. 72

admin, 22/06/2014,
Sappiamo che Marx non la pensa così dal 1843, vedi La democrazia contro lo Stato di Abensour.

[…] creare cerchie sempre più ampie di cittadini critici, informati, partecipi, che dialoghino con politici e amministratori su una determinata base di eguaglianza e rispetto reciproco. […] dalla misura in cui le prassi deliberative contribuiscono a mutare il comportamento stesso dei politici e l’idea che essi hanno delle loro prerogative e dei loro doveri.

Pg. 73

Non è un bene, per porre la questione nella sua forma più semplice e brutale, che i politici propongano il vecchio modello della democrazia rappresentativa con un briciolo di consultazione aggiunto ogni tanto.

Pg. 74

La democrazia deliberativa vanta un certo numero di prerogative. Luigi Bobbio ne evidenzia tre, particolarmente importanti.

Innanzitutto essa è potenzialmente, pur se non necessariamente, in grado di generare decisioni migliori, poiché nel corso del dibattito si procede a una ridefinizione dei problemi e si propongono nuove mediazioni e soluzioni. In secondo luogo le decisioni acquistano maggiore legittimità se derivate dal processo di deliberazione, in quanto non prodotte separatamente da un piccolo gruppo ma da una pluralità di persone, alcune delle quali possono anche non condividere la decisione finale, ma tutte riconoscono le legittimità della procedura attuata. Terzo in ordine di citazione, ma non di importanza per i nostri obiettivi, la deliberazione promuove le virtù civiche insegnando alle persone ad ascoltare, a essere più tolleranti e spesso a costruire rapporti di fiducia reciproca.

Il governo locale è il rinnovamento della democrazia

Pg. 76

Se la Comune di Parigi del 1871 fosse sopravvissuta, la democrazia avrebbe senza dubbio incontrato notevoli problemi di organizzazione e di principio che avrebbero dovuto trovare soluzione. Uno di questi era la necessaria separazione di poteri e l’equilibrio tra di essi, un altro la vulnerabilità dei delegati, sempre soggetti alla revoca dell’incarico con il conseguente rischio di mancanza di continuità o paralisi nell’azione governativa.

Pg. 77

Nella prima versione del suo lavoro sulla Comune di Parigi, La guerra civile in Francia, Marx descrive il modo in cui la Comune è riuscita a <<sbarazzarsi totalmente della gerarchia statale rimpiazzando gli arroganti padroni del popolo con i suoi servitori, sempre revocabili dall’incarico, sostituire una responsabilità fittizia con una responsabilità autentica, garantire che essi agiscano continuamente sotto il controllo pubblico>>.

Responsabilità, accessibilità, agevole sostituibilità, parità di retribuzione economica sono alcune delle caratteristiche fondamentali che Marx identifica nella sfera pubblica democratica e che da tempo sono andate perdute nella moderna democrazia.

Pg. 78

La democrazia invece verterà sempre sul pluralismo e il dissenso senza mai raggiungere la perfezione.

Pg. 79

Sembra che Mill si faccia qui paladino di una versione arcaica del governo locale, in cui il potere è affidato principalmente a un ristretto gruppo di facoltosi. Il contrasto con Marx non potrebbe essere più forte.

Pg. 79

Gli esperimenti e le proposte di democrazia deliberativa hanno assunto una gamma di forme talmente ampia che non mi è possibile rendere giustizia a tutte in questa sede. Mi riferisco alla tedesca Planungszelle , alle Giurie dei Cittadini americane e britanniche, ai Town Meeting, alle Consensus Conferences, alla proposta di James Fishkin negli Stati Uniti di indire una giornata nazionale della deliberazione, agli esperimenti di partecipazione dei cittadini alla gestione dell’ordine pubblico e delle pubblica istruzione a Chicago, al sito e.the-People, all’empowerment dei genitori danesi nelle scuole elementari e così via.

Pg. 81

Un’iniziativa simile, benché numericamente più ambiziosa, è il Town Meeting. In questo caso centinaia, qualche volta perfino migliaia di cittadini si riuniscono per un periodo di tempo più limitato, un giorno al massimo, per deliberare su una questione di pubblica importanza. […] Anche in questo caso si ricorre al campionamento casuale per garantire il coinvolgimento di un adeguato spaccato della cittadinanza locale, ma viene lasciato spazio anche ai rappresentanti dei gruppi della società civile. Il Town Meeting ha una

admin, 22/06/2014,
Die Planungszelle. Processi di coinvolgimento deliberativo e forme di amministrazione partecipativa di Giovanni Tonella
admin, 22/06/2014,
E’ esattamente il concetto espresso ne La democrazia contro lo Stato di Abensour

struttura complessa, pensata per dare a tutti i partecipanti la sensazione di contribuire alla formulazione delle scelte finali. Un gran numero di piccoli gruppi, diversi per composizione sotto il profilo demografico e sociale, si mettono ciascuno attorno a un tavolo e deliberano animatamente. I frutti del loro dibattito vengono trasmessi via computer a una banca dati centrale e i membri di un “theme team” ne distillano i temi o i messaggi fondamentali.

Questi vengono quindi ripresentati al Meeting nel suo complesso. Ne scaturisce alla fine una serie di indicatori di policy, anch’essi in genere sotto forma di raccomandazioni non vincolanti.

Pg. 84

Spesso è vero l’opposto. I cittadini attivi e dissenzienti sono raramente riconosciuti da politici, amministratori o esperti come un dono prezioso per una rinnovata sfera pubblica democratica.

Pg. 85

[…] esistono scarsi strumenti istituzionali per costringerli a rispettare le opinioni espresse da un campione causale di cittadini.

Pg. 86

Invece nell’arco di più di quindici anni (non la settantina di giorni di vita della Comune di Parigi) si è stabilita un’impressionante tradizione di deliberazione popolare e non ai margini, bensì nel cuore del sistema di governo locale – il controllo su una parte del bilancio cittadino e sull’equa distribuzione delle scarse risorse disponibili. Il processo attraverso il quale queste priorità sono stabilite e poste in atto è noto come “ bilancio partecipativo”.

Nel promuovere e sostenere l’OP (Orçamento partecipativo) [in riferimento all’esperienza di Porto Alegre] ha avuto un ruolo importante il partito politico attualmente al potere in Brasile – il Partito dei lavoratori (Partito dos Trabalhadores).

admin, 22/06/2014,
Sito governativo: http://www.urp.gov.it/Sezione.jsp?idSezione=1908Comune di Roma:http://www.comune.roma.it/wps/portal/pcr?jppagecode=municipio_ix_par_bil8_cbp.wpComune di Torino:http://www.bipart.it/data/uploads/op%20A5%20bilancio%20deliberativo%20p%2024%20.pdfComune di Capannori:http://www.comune.capannori.lu.it/node/9066Comune di Novellara:http://www.comunedinovellara.gov.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=647&idCat=745&ID=745
admin, 22/06/2014,
Vedi:http://www.comune.palermo.it/partecipa.php?sel=5http://www.regione.toscana.it/-/town-meeting-progettuale-sul-paesaggio-2010?redirect=http%3A%2F%2Fwww.regione.toscana.it%2Fsearch%3Fp_p_id%3D3%26p_p_lifecycle%3D0%26p_p_state%3Dmaximized%26p_p_mode%3Dview%26_3_groupId%3D0%26_3_keywords%3Dtown%2Bmeeting%26_3_struts_action%3D%252Fsearch%252Fsearch%26_3_format%3D%26_3_y%3D0%26_3_x%3D0Strumenti di partecipazione:http://www.parterre-project.eu/?electronic_town_meeting=1http://participedia.net/en/methods/21st-century-town-meeting

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Una delle peculiarità del “bilancio partecipativo” è il carattere annuale. Esso si articola in varie fasi in corrispondenza di diversi momenti dell’anno solare. Non si tratta di un dibattito a tempo indeterminato, né di una semplice consultazione, ma di una serie di decisioni assunte secondo uno scadenziario stagionale ben noto a tutti. Così nel mese di marzo si tiene una serie di riunioni preparatorie di micro-livello in tutto il territorio cittadino. In aprile e a maggio si riuniscono le assemblee territoriali e tematiche per votare le priorità relative all’anno successivo e per eleggere i quarantotto delegati al Consiglio di bilancio. Sarà questo organismo, che incapsula in modo fecondo gli elementi sia partecipativi sia rappresentativi presenti nel modello di Porto Alegre, a stabilire le priorità di spesa del governo locale per l’anno successivo.

Pg. 87

L’ultimo atto di questo iter annuale è l’adozione del bilancio partecipativo da parte del consiglio municipale e del sindaco a fine anno.

Pg. 88

Mi sono limitato qui a una sintesi essenziale di un processo complesso. Esso offre alcuni spunti alla riflessione. Il primo riguarda il fatto che gli eletti attraverso la democrazia rappresentativa prendono la decisione finale assumendone la responsabilità ma solo a seguito di un processo della durata di un anno in cui le due forme di democrazia si intrecciano. Un altro è costituito dalla partecipazione sempre crescente di cittadini – da appena 1300 del 1989 a 31300 nel 2002. Rivelatrice è anche la composizione sociale e di genere dei partecipanti, con una netta maggioranza di donne e di non abbienti. Un numero significativo di partecipanti appartiene alle minoranze etniche della città, esclusi fino a poco tempo fa perfino dai supermercati frequentati dai cittadini bianchi.

Pg. 91

I tentativi di introdurre forme di bilancio partecipativo in Europa hanno incontrato finora riscontri poco esaltanti35.

35 Yves Sintomer pubblicherà un saggio sull’argomento alla fine del 2006.

Pg. 92

È stata d’ostacolo al clientelismo e alla corruzione che impregnano la politica brasiliana.

Parte terza

Democrazia economica

Pg. 97

Ma se, come nel caso americano, sono caratterizzate [ le democrazie] da drastiche ineguaglianze economiche che si ripercuotono direttamente e incisivamente sulla democrazia politica attraverso meccanismi quali i finanziamenti elettorali e le lobby imprenditoriali, meglio forse allora definirle “troppo mature”.

Pg. 98

Robert A. Dahl, uno dei più valenti teorici americani della democrazia, è molto esplicito circa l’esigenza di una connessione tra le due sfere. Arriva addirittura a sostenere la tesi, argomentandola per esteso, che <<se la democrazia è legittimata a governare lo stato, deve esserlo anche a governare le imprese economiche […]>>.

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admin, 22/06/2014,
http://www.libreriauniversitaria.it/democrazia-economica-dahl-robert-mulino/libro/9788815020574
admin, 22/06/2014,
Con la crisi finanziaria in atto, in Europa il tema delle risorse è sempre più al centro del dibattito pubblico: la percezione diffusa è che, da sola, la democrazia rappresentativa non sia capace di far fronte alle nuove sfide. In questo panorama, l’espressione «bilancio partecipativo» offre un ancoraggio alla speranza. Che cambiamenti promette questa utopia concreta? Quali metodi suggerisce per affrontare collettivamente alcuni mali del nostro tempo? Per rispondere, il libro presenta una sintesi della prima ricerca comparativa condotta nel vecchio continente sui bilanci partecipativi. Approfondisce una cinquantina di esperienze e amplia l’orizzonte ad oltre 150 pratiche sviluppatesi dall’inizio del millennio. Alla base della ricerca c’è un’ipotesi forte: le esperienze analizzate dimostrano che, affinché i servizi pubblici possano superare la ristrettezza delle logiche di mercato, essi devono mettersi davvero al servizio del pubblico. La sfida cruciale sta dunque nel capire come la modernizzazione amministrativa e la partecipazione possano procedere insieme.Con la collaborazione di Carsten Herzberg e Anja Röcke.

Come scrive abilmente Dahl, <<gli americani non si sono mai posti stabilmente e su ampia base l’interrogativo se un’alternativa al corporate capitalism potesse essere più coerente con il loro impegno democratico>>.

Pg. 99

Per Marx, in altri termini, abbracciare il modello della Comune di Parigi equivaleva a riconoscere che la democrazia politica ed economica potevano e in realtà dovevano avanzare di pari passo.

Pg.100

Secondo Marx, i campi dell’attività umana in cui si manifestava l’alienazione erano molteplici e diversi (religioso, politico ed economico), ma comune a tutti era il concetto che l’uomo aveva abdicato a favore di qualcuno o di qualcosa a una parte di ciò che era essenziale alla sua natura di “specie”. Fondamentalmente, l’uomo aveva alienato la capacità di controllare le proprie attività, di farsi soggetto del processo storico.

Per Marx questa tesi trovava conferma soprattutto nel sistema di produzione capitalista. In esso l’operaio subiva una duplice alienazione, in primo luogo rispetto al prodotto del suo lavoro, che assumeva la fisionomia di un <<essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce>>. In secondo luogo nel processo stesso di produzione l’operaio non aveva controllo sul suo tempo e il suo lavoro era di proprietà altrui: <<L’attività come passività, la forza come impotenza, la procreazione come svirilimento>>.

Pg. 104

Ripetutamente nella storia, sosteneva Mill in un passaggio tipicamente anticonformista, le <<opinioni dell’umanità […] tendenzialmente hanno consacrato le realtà esistenti, dichiarando ciò che ancora non esiste o pericoloso o inattuabile>>. Al contrario egli riteneva necessario contestare e andare oltre l’opinione consolidata. <<Le classi lavoratrici, - scriveva Mill, - hanno diritto a esigere che l’intero campo delle istituzioni sociali sia riesaminato e che ogni problematica venga discussa come se insorgesse ora la prima volta>>.

Pg, 107

L’aspetto che più colpisce dell’odierno confronto sul tema della democrazia economica è quanto sia gretto rispetto al dibattito del XIX secolo. Mill non sarà certo un Leveller, ma è un gigante della riforma economica e sociale in paragone ai suoi epigoni liberali del nostro tempo. Oggi siamo davvero lontanissimi da una qualsiasi forma di democrazia economica. A dire il vero siamo palesemente regrediti, in alcuni campi in misura drammatica.

Sono tre i modi principali di definire la democrazia economica. Il primo e più radicale è quello dello stesso Marx. Consiste nell’esproprio rivoluzionario della classe capitalista e nello stabilire il controllo del proletariato nel suo insieme all’interno delle fabbriche e degli altri luoghi di lavoro. Si tratta come abbiamo visto, di un modello che ha esercitato un fortissimo fascino sia sui lavoratori sia sugli intellettuali per più di un secolo ma che in termini storici non ha condotto affatto a una maggior democrazia, né politica né economica.

Il secondo, che troviamo più fortemente presente nella storia della socialdemocrazia, definisce la democrazia economica innanzitutto in termini di maggiori diritti sociali dei lavoratori e di aumento del loro reddito complessivo. Le socialdemocrazie mature e responsabili, come quelle scandinave, hanno fatto grandi sforzi per limitare le sperequazioni macroscopiche di reddito e ricchezza accompagnandoli con la

admin, 22/06/2014,
Ancora una volta, vedi La democrazia contro lo Stato di Abensour. La Democrazia Insorgente è il perno del suo saggio.
admin, 22/06/2014,
preciso ulteriormente: per Marx la democrazia è il risultato di un processo che nasce da una impostazione egualitaria dei rapporti sociali che in prevalenza sono rapporti produttivi, quindi economici. vedi La democrazia contro lo Stato di Abensour.

creazione di forti diritti di cittadinanza in campo sociale. […] Ma dovremmo essere cauti e non sopravvalutare la valenza democratica di queste misure. Per quanto preziose ed essenziali si tratta pur sempre di riforme calate dall’alto, dirette a una cittadinanza riconoscente ma ampiamente passiva e atomizzata.

La terza definizione di democrazia economica è quella su cui intendo concentrarmi. Equivale al tipo di partecipazione politica che ho descritto in riferimento a Porto Alegre e nutre, potremmo dire, le stesse aspirazioni. Ha attinenza con una maggiore democrazia e empowerment sul posto di lavoro, con la possibilità di chi lavora in fabbrica o nel terziario di far sentire la propria voce. I cittadini attivi e dissenzienti non possono operare solo in un movimento di riforma all’interno della società civile e delle istituzioni politiche. Devono anche, secondo modalità ancora da inventare e definire, farsi portatori degli stessi valori democratici all’interno della loro esperienza lavorativa quotidiana. Le due sfere, economia e politica, non possono essere a compartimenti stagni.

Pg. 109

Ma come cittadini europei faremmo un grave errore a dimenticare la notevole tradizione di riflessione e azione esistente su questo tema nella nostra storia recente, L’Ordine Nuovo di Gramsci all’esperienze di consigli di fabbrica italiani dal 1969 in poi, dagli esperimenti di autogestion del sindacato cattolico in Francia negli anni Settanta del Novecento alle originali proposte di Rudolf Meidner in Svezia nel 1975.

Vorrei illustrare più approfonditamente due di questi esempi per rendere meglio l’idea di ciò che la democrazia economica potrebbe significare in pratica. Il primo ha a che fare con l’attività partecipativa, il secondo con la modificazione strutturale dei diritti di proprietà. In Italia negli anni Settanta l’istituzione dei consigli di fabbrica e di una rete di delegati di reparto(nel 1973 si registravano 16.000 consigli e più di 150.000 delegati) servì sia a rafforzare la presenza dei sindacati nel confronto con i datori di lavoro sia a consolidare il loro rapporto con la base operaia. Diversamente dalle prime esperienze gramsciane degli anni 1919-20, il sistema dei consigli e dei delegati non era un movimento di minoranza ma venne adottato dalla totalità del movimento sindacale. Un recente articolo di Renato Lattes dedicato alla Torino di quegli anni sintetizza in modo esemplare la portata del sistema in termini di democrazia economica quotidiana:

Dal punto di vista della contrattazione, forse il punto più alto del potere di intervento del delegato, certamente in Fiat, probabilmente anche nella maggior parte delle aziende sindacalizzate torinesi, è quello che va dal 1971 al 1977: ritmi, organici, tempi di lavoro, pause, cadenze delle linee;

miglioramento dell’ambiente, diminuzione dei rischi, quattro fattori di nocività, libretto di rischio; qualifiche, ricomposizione / rotazione mansioni; contrattazione dei turni, riduzione dei turni di notte; introduzione della mensa “fresca”, ecc. Si tratta, ormai, di delegati cresciuti, molti dei quali, spesso, hanno una formazione sindacale e politica alle spalle; a volte anche tecnico/scientifica (“150 ore” all’Università); inoltre con una contrattazione in fabbrica lunga e affinata; spesso leader affermati e selezionati nelle numerosissime assemblee di fabbrica e di reparto e nella stessa contrattazione.

La descrizione di Lattes ci apre per un momento una visione, fuggente ma dettagliata, di quella che potrebbe essere la partecipazione democratica sul luogo di lavoro. In termini milliani conduce alla formazione di rappresentanti validi e istruiti delle classi lavoratrici, presenti e attivi nei luoghi di lavoro, che deliberano su base paritaria con i datori di lavoro. In termini marxisti sono presenti qui i primi passi significativi per superare l’alienazione, rivendicare il controllo sul processo produttivo, benché non ancora sulle merci prodotte.

Il secondo esempio è lo schema dei fondi di investimento collettivi di Rudolf Meidner, sempre negli anni Settanta del Novecento. Meidner, insieme a Gosta Rehn, era stato co-architetto del welfare state svedese del dopoguerra. In base al suo schema, ogni grande impresa svedese doveva annualmente emettere a favore dei dipendenti azioni pari al 20 per cento dei suoi profitti. Tali azioni non dovevano essere di proprietà individuale, ma affidate a comitati regionali di gestione. I comitati dovevano essere organi democratici e avevano la responsabilità di utilizzare i rendimenti azionari per promuovere priorità sociali e l’interesse pubblico. Le azioni non potevano essere cedute e con il crescere del peso della partecipazione azionaria della comunità alle grandi imprese sarebbe cresciuta la sua capacità di influenzarne il processo decisionale. Lo schema di Meidner attrasse grande attenzione, ma non venne mai posto in atto. In parte ciò è attribuibile all’intransigente ostilità dei datori di lavoro svedesi a ogni iniziativa che ponesse in discussione i diritti di proprietà, in parte al riflusso, nei tardi anni Settanta, della grande ondata di energia partecipativa alla quale ho fatto riferimento in precedenza.

Nel 1977 a Milano fu pubblicato un saggio sulla partecipazione e la democrazia industriale. Esortava a realizzare la “democrazia industriale” in tre settori: nella struttura sociale circostante il posto di lavoro, nella struttura delle imprese stesse e nel processo produttivo. In queste proposte non vi era nulla di straordinario, se non che gli autori non erano sindacalisti né politici di sinistra, ma il comitato centrale dei giovani imprenditori dell’industria. Da allora abbiamo fatto molti passi indietro.

Democrazia e genere

Pg. 122

[…] i sistemi politici delle democrazie moderne, nella forma basilare assunta nel secolo scorso, sono organizzazioni maschili che riflettono principalmente valori, culture e tradizioni maschili.

Tempi e scala

La democrazia rianimata e ripopolata che teorizzo in questa sede incontra ovvie difficoltà e obiezioni. Si tratta di una democrazia particolarmente esigente, che rifiuta di confinare la politica in una sfera professionale separata e distante, cercando invece di combinare rappresentazione e partecipazione, che contesta la condizione per cui gli individui sono cittadini nella sfera politica ma semplici subordinati nel lavoro, e che esige una sfera pubblica le cui attività e priorità siano connotate in base al genere in maniera

admin, 06/07/2014,
Qui viene sostenuta la teoria sessuoeconomica di Willelm Reich.
admin, 06/07/2014,
http://www.cbt.biblioteche.provincia.tn.it/oseegenius/resource?uri=3461877&v=l&dcnr=7
admin, 06/07/2014,
Sull’argomento:http://www.cercareancora.it/wp-content/uploads/2013/10/Eni_ricerca_totale.pdf

radicalmente diversa. Ma non meno è necessaria, a mio giudizio, al fine di resuscitare e soprattutto di proteggere la democrazia per come la conosciamo. Le obiezioni più serie a questa visione sono legate ai tempi e alla scala. Intendo affrontarle una per volta.

a) Tempi

Dove trovare, in una società come la nostra, dominata dai ritmi imposti dal “lavora e spendi”, il tempo da dedicare al tipo di democrazia che ho appena delineato? Esistono vari livelli a cui dare risposta a questo difficile interrogativo. Il primo riguarda gli individui. Come ho sottolineato in precedenza, quella che ho in mente non è una forma di democrazia giacobina, in cui la partecipazione diventa obbligo quotidiano. Nella sfera pubblica democratica la partecipazione è volontaria e va incoraggiata e coltivata, non imposta. Non tutti gli individui vogliono o possono farne parte attiva per l’intero corso della vita. Lo studio dei cicli vitali individuali evidenzia alti e bassi, momenti di grande disponibilità e altri di relativa chiusura. Il problema non è la mancanza di tempo, ma la disabitudine a trovare il tempo per la sfera pubblica. Mill coglie perfettamente il principio generale: <<Quanto è vero che innaturale in genere significa solo inconsueto e che tutto ciò che è usuale appare naturale>>.

Trovare un paio d’ore la settimana da dedicare a questioni di pubblico interesse potrebbe facilmente prendere l’aspetto di una consuetudine soprattutto se coloro che detengono il potere politico nelle democrazie lo reputassero un obiettivo degno di incoraggiamento. Nelle ben oliate routine del capitalismo consumista odierno trascorrere un certo numero di ore ogni settimana negli ipermercati e nei centri commerciali è ormai diventato del tutto “naturale”. A priori non esiste alcun impedimento a inventare altre “naturalità” più aderenti alla sfera pubblica. Una prospettiva simile non offre vantaggi materiali ma con tutta probabilità arricchisce la vita di significato, qualcosa di cui al giorno d’oggi spesso si sente profondamente la mancanza.

Un secondo livello di risposta alla domanda su come ritagliare il tempo necessario alla partecipazione sta nelle sempre crescenti potenzialità insite nella moderna tecnologia informatica. La quantità di informazioni che possono essere raccolte su Internet, la rapidità di comunicazione, la modalità con cui si possono organizzare incontri e mobilitazioni tramite posta elettronica, le possibilità di intervenire nel processo decisionale attraverso il voto via computer sono diventate tutte vantaggi ordinari della rivoluzione informatica.

Però il potenziale della E-democracy, come è stata battezzata, non dovrebbe essere sopravvalutato, né bisognerebbe ignorarne i possibili rischi. Le discussioni via e-mail possono diventare interminabili, privilegiando chi ha più tempo a disposizione ed è più prolisso. Chiunque studi la società civile concorda che nulla può sostituire il contatto locale. La qualità dell’informazione su internet varia molto, e passarla al vaglio può comportare un enorme dispendio di tempo. Non dovremmo ripetere l’errore che Mill commise con le ferrovie – il vero elemento trasformatore non coincide con la tecnologia in sé, ma con l’uso che se ne fa. Di conseguenza se il nostro obiettivo è ben definito, la tecnologia informatica può farsi preziosissimo strumento per aiutarci a risparmiare tempo, a essere meglio informati e più in contatto l’uno con l’altro. Se, invece, non abbiamo un’idea precisa di dove stiamo andando l’informatica potrebbe anche aiutarci solo a girare a vuoto.

Un terzo e ultimo livello di risposta al problema del tempo disponibile risiede nella natura della deliberazione stessa. Se la democrazia deliberativa, nella società civile, in un consiglio di fabbrica, o nelle riunioni organizzate dell’amministrazione locale è lasciata in forma caotica e primitiva, ben presto la disponibilità nei confronti di tale forma scomparirà. Al contrario il tipo di democrazia che ho in mente

admin, 06/07/2014,
E’ quel che sostiene anche Pontremoli, ex Amm. Del. Di IBM: l’informatica non migliora i processi, li velocizza. Se i processi sono sbagliati si arriverà prima al fallimento.
admin, 06/07/2014,
C’è anche l’aforisma di Aristotele “L’abitudine è una seconda natura”.

necessita di rigide scadenze, di obiettivi ben definiti e di una grande quantità di autodisciplina milliana per tutte la parti in causa. Non è una cultura di partecipazione che si apprende dall’oggi al domani. Ma se una classe politica riformata (mi è concesso definirla pentita?) si convincerà del suo valore, allora investirà risorse, in termini di facilitatori, coordinatori, luoghi di riunione, in grado di accelerare il corso del processo.

Pg. 130

Samuel Huntington temeva qualcosa del genere quando a metà degli anni Settanta scrisse del rischio del [di un] <<governo sovraccarico>>. Certamente a prima vista la presenza di un maggior numero di soggetti politici di ambedue i sessi, coinvolti in molteplici arene deliberative, sembra portare in sé la prospettiva di un processo decisionale protratto all’impossibile e soggetto a infiniti compromessi. Il rischio di paralisi è palese.

Pg. 131

C’è una considerazione finale che vale la pena di esporre e discutere. Si riferisce a quanto accade se non si adottano forme di coinvolgimento popolare nel processo decisionale. Gruppi piccoli e distinti di decision-maker lontani dalle realtà sociali spesso arrivano ad assumere decisioni errate, che sfidano i desideri di determinati gruppi di cittadini e talvolta di intere comunità. Il caso della TAV in Val di Susa è a questo proposito emblematico. Circa 30.000 persone hanno bloccato completamente i lavori di costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità. Nelle società moderne le decisioni che non derivano da un processo di coinvolgimento popolare possono facilmente sfociare in un grado di paralisi superiore rispetto a quelle che nascono da un processo di deliberazione coscientemente controllato.

Pg. 132

b) Scala

Quanto alle proporzioni, torniamo all’obiezione fondamentalmente sollevata da Constant e da Mill: la presenza fisica,diretta, dei cittadini può essere garantita solo nelle piccole comunità, mentre nelle moderne società complesse il governo democratico deve necessariamente acquisire forma indiretta e rappresentativa. Pur essendosi dimostrata efficace in una grande città come Porto Alegre per un prolungato periodo di tempo, l’esperienza di democrazia combinata è in grado di superare il livello e la dimensione locale? Si tratta di un interrogativo importante e dovremmo tenerlo in dovuta considerazione. Ma è

admin, 06/07/2014,
M. Crozier, S. P. Huntington e J. Watamurki, “The crisis of democracy”, New York University Press, New York 1975.

opportuno notare che tale modello, anche se avesse esclusivamente validità locale, rappresenterebbe comunque un significativo progresso al fine di rinvigorire la democrazia municipale.

Credo che possiamo, con cautela, spingerci oltre. Benché numerosi politici e accademici neghino la possibilità di dare vita alla politica transnazionale se non su base elitaria, è in aumento la letteratura che teorizza forme di responsabilità democratica a livello globale e possibilità di creare una democrazia “cosmopolita”. In reazione all’ondata della globalizzazione neo-liberale, che ha concentrato le scelte più importanti nelle mani di ristrettissime élite politiche ed economiche, è stato proposto un gran numero di contromisure, benché pochissime abbiano superato il livello di progetto. Tra le proposte rientrano i referendum continentali, il rafforzamento democratico e la riforma dell’ONU, i parlamenti regionali globali (come in America Latina), una corte transnazionale di Giustizia Umana avente giuridizione su tutti gli stati, addirittura un parlamento mondiale. Benché tutte abbiano attinenza con la democratizzazione e molte costituiscano urgenti priorità per la politica mondiale, poche proposte affrontano il tema della politica partecipata nei termini in cui l’ho descritta. A dire il vero a prima vista è difficile immaginare come potrebbero. L’efficacia dello strumento democratico a nostra disposizione si rivela inversamente proporzionale alla dimensione delle realtà in cui opera.

Tuttavia questa regola generale deve essere rettificata, almeno in parte. Si stanno inventando nuove forme di partecipazione per far fronte alla più ardua delle sfide democratiche. Sono sempre più limitate rispetto alla deliberazione vis-a-vis e al processo decisionale attuabile in una realtà locale, ma tutt’altro che trascurabili. Un referendum continentale, per esempio, si rivelerebbe un meccanismo molto utile in relazione a temi come il riscaldamento globale o gli accordi commerciali internazionali. Se mai in futuro dovesse tenersi un referendum del genere, potrebbe giovarsi delle proposte avanzate recentemente da James Fishkin e Bruce Ackerman riguardo a un Deliberation Day.

Pg. 135

I World Social Forum hanno avuto un ruolo preziosissimo nel creare una cultura diffusa e alternativa al neoliberismo.

Pg. 137

Prendo rapidamente in esame due esempi, uno ben noto, l’altro meno. In termini formali l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) gode di adesione pressoché universale, e al suo interno tutti gli stati nazionali hanno pari diritto di voto. In realtà l’organizzazione conserva alcune importanti caratteristiche tipiche del “club”, ovvero di un modello di cooperazione internazionale basato su decisioni prese da una potente minoranza. Le famose consultazioni nella “sala verde”, tenute nelle occasioni delle conferenze dei ministri finanziari del WTO con partecipazione limitata a soli 10-25 stati membri, sono diventate sinonimo di quelle che vengono a buona ragione definite <<le vie oscure e inaccessibili del processo decisionale internazionale>>. Di queste riunioni non sono mai stati stesi verbali. La contestazione del “modello club” da parte delle Ong, di altri elementi della società civile globale e del movimento internazionale dei Social Forum ha avuto un enorme effetto sotto il profilo dell’assunzione di responsabilità, della divulgazione a un più ampio pubblico delle informazioni in base alle quali le decisioni vengono assunte, dell’ampliamento del numero delle parti in causa efficacemente partecipanti al processo decisionale nell’area cruciale del commercio mondiale.

Torniamo all’Unione Europea

Pg. 141

Gli esempi precedenti hanno rilevanza più che incidentale per l’Unione Europea. Abbiamo lasciato l’Unione nelle prime pagine di questo saggio raffigurata come un “gigante addormentato”, la cui democrazia è costruita in gran parte sulla sabbia e oggetto di crescente disaffezione popolare, un gigante melanconico e incapace di scuotersi dal suo torpore. Questa impressione è confermata se esaminiamo gli articoli del Trattato di Roma del 2004 che istituisce una Costituzione per l’Europa (in seguito bocciata). Lungi dal rappresentare una risposta al problema del disamore diffuso o l’annuncio di un nuovo orientamento per colmare il “deficit democratico” che affligge l’Unione, la Costituzione rappresenta l’ennesima opportunità mancata.

La parte della Costituzione che qui ci interessa (Titolo VI) è intitolata, piuttosto ottimisticamente considerando la modestia dei risultati conseguiti finora, La vita democratica dell’Unione. L’articolo 45, paragrafo I, sancisce inequivocabilmente che il funzionamento dell’Unione si fonda sul principio della democrazia rappresentativa. L’articolo 46, invece, è dedicato al principio della democrazia partecipata, il che a prima vista pare un segnale incoraggiante e innovativo. Tuttavia è presto chiaro che l’attività dell’Unione non è in alcun caso fondata sulla partecipazione, e che esiste una chiara gerarchia di importanza e in effetti di separazione tra i due principi, quello rappresentativo e quello partecipativo. In termini linguistici l’analisi di alcune affermazioni fondamentali contenute nell’articolo 46 è rivelatrice di quanto la partecipazione sia saldamente confinata al campo della consultazione e della discussione. Così le istituzioni dell’Unione <<danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative attraverso gli opportuni canali la possibilità di far conoscere e scambiare pubblicamente le loro opinioni>> (paragrafo I). Le stesse istituzioni <<mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile>> (paragrafo 2). La Commissione promette <<ampie consultazioni delle parti interessate>>, così da rendere note le proprie decisioni (paragrafo 3).

In questi paragrafi non c’è traccia di combinazione o di intreccio tra le due forme di democrazia. L’una è sovrana, l’altra ancora una volta sussidiaria o ausiliaria.

Pg. 142

Inoltre la Costituzione propone una via popolare ma fortemente indiretta al fine di garantire l’attuazione dei suoi vari articoli. Un’”iniziativa” sottoscritta da almeno un milione di cittadini di un “numero rilevante” di stati può costituire un invito alla Commissione a presentare una proposta adeguata. Configurandosi come meno di un referendum europeo e poco più di una petizione, la proposta è stata oggetto di ampie critiche per la sua natura limitata. Non c’è da meravigliarsi che la Costituzione abbia suscitato così scarso entusiasmo iniziale. L’incipit scelto è una citazione da Tucidide: <<La nostra Costituzione […] si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di pochi, ma dei più>>. Sfortunatamente nell’Unione continua a essere vero esattamente l’opposto.

Pg. 143

[…] il coinvolgimento dei lavoratori nelle nuove imprese europee.

Pg. 144

Uno degli approcci a questo problema, proposto da Michael Newman e altri, ribadisce che non si può giungere a una soluzione a livello di Unione Europea se la democrazia non viene innanzitutto rivitalizzata a livello locale.