Viaggio di Solidarietà - V Edizione (Diario di Viaggio)

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[Mire se vini ne Kosove] beloverevolution.org Diario del V Viaggio di Solidarietà 11 – 20 agosto 2012 di CORRADO SIRAGUSA

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Già la quinta edizione. Da una necessità pratica – quella di portare a destinazione gli aiuti raccolti – i Viaggi di Solidarietà sono tramutati, nel corso del tempo, in uno degli aspetti essenziali per il sostegno e lo sviluppo delle stesse azioni di solidarietà. Sotto il profilo umano e di percorso personale garantiscono un’esperienza unica, a poche ore di auto da casa, dove poter ricollocare le proprie priorità in fatto di valori e di cose veramente importanti; l’aspetto sociale garantisce invece il fiorire di nuove amicizie, anche – e soprattutto – tra persone con diversi retroterra culturali, visioni del mondo e atteggiamenti, che ‘a casa’ avrebbero avuto difficilmente l’occasione di confrontarsi, soprattutto con quel pathos e sincerità che si creano naturalmente durante la visita e l’esperienza di contesti difficili, di povertà e di violenza; l’aspetto solidaristico è quello che, più di tutti, rende il viaggio, non il semplice macinare 3.500 km in poco più di una settimana, ma una meta metafisica e simbolica che altro non è che il trovare sé stessi, centrarsi, una metafora che riesce a coniugare l’essere utili a qualcuno che ne a bisogno con l’essere utili a sé stessi. Niente di nuovo, comunque: io ho quel che ho donato, recita il motto dannunziano. Corrado è uno dei ragazzi che da deciso di mettersi in discussione in un viaggio di otto giorni tra esperienze nuove, con compagni di viaggio sconosciuti, in una terra che aveva studiata grazie al suo percorso di studi, culminando in una tesi “Kosovo, una storia balcanica” che affronta la storia della regione dall’etimologia del nome fino ai fatti di violenza degli ultimi anni. La sua esperienza e le sue emozioni li restituisce in questo diario di viaggio. È un pensiero personale la cui condivisione riteniamo importante, non solo per il racconto in sé, ma anche per lo slancio che può dare ad altre persone a voler intraprendere una strada di ricerca personale e di aiuto verso gli altri. A lui va il nostro ringraziamento per avere trasferito su carta i pensieri e le emozioni, permettendoci di poterli quindi condividere con tutti. Cogliamo l’occasione per rivolgere un sincero ringraziamento a Giorgio De Rocchis, instancabile e prezioso nella creazione di relazioni e la raccolta di materiali e aiuti; a Davide, Guido, Muppet, Elisa (fotografa eccezionale), Massimo, Simone, José, Carlo, Michael, Matteo e Chiara, Jacopo, Marcello, Daniele, Stefano e Benedetta per la compagnia, la pazienza e il pensiero che giornalmente dedicano alle famiglie delle enclavi. BeLoveRevolution “L’essenziale è invisibile agli occhi” Il Piccolo Principe Antoine De Saint-Exupéry

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08 Autunno

[Mire se vini ne Kosove]

b e l o v e r e v o l u t i o n . o r g

Diario del V Viaggio di Solidarietà 11 – 20 agosto 2012

di CORRADO SIRAGUSA

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Sommario Introduzione ........................................................................................................................ 3 Da Palermo al Kosovo ....................................................................................................... 4 In viaggio, dai libri e lo studio, alle persone e i territori

Aeroporto di Palermo, 9 agosto 2012 Ti con nu, nu con Ti ........................................................................................................... 5 Montenegro: Perasto e Cattaro

12 agosto 2012 Mire se vini ne Kosove ...................................................................................................... 7 Peć - Goradzevac

13 agosto 2012 Nelle Enclavi ....................................................................................................................... 9 Dečani – Villaggio Italia – Velika Hoca

14 agosto 2012 Mondi balcanici ................................................................................................................ 12 Velika Hoca – Prizren

15 agosto 2012 Jelika, coraggio e umanità oltre ogni limite .................................................................. 15 Prizren – Silovo

16 agosto 2012 Da qui non si torna indietro ............................................................................................ 17 Cucine popolari – Grazanica – Mitrovica

17 agosto 2012 Belgrado ............................................................................................................................ 20 Settimo giorno

18 agosto 2012

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Introduzione

Già la quinta edizione.

Da una necessità pratica – quella di portare a

destinazione gli aiuti raccolti – i Viaggi di

Solidarietà sono tramutati, nel corso del tempo, in

uno degli aspetti essenziali per il sostegno e lo

sviluppo delle stesse azioni di solidarietà.

Sotto il profilo umano e di percorso personale

garantiscono un’esperienza unica, a poche ore di

auto da casa, dove poter ricollocare le proprie

priorità in fatto di valori e di cose veramente

importanti;

l’aspetto sociale garantisce invece il fiorire di

nuove amicizie, anche – e soprattutto – tra

persone con diversi retroterra culturali, visioni del

mondo e atteggiamenti, che ‘a casa’ avrebbero

avuto difficilmente l’occasione di confrontarsi,

soprattutto con quel pathos e sincerità che si

creano naturalmente durante la visita e

l’esperienza di contesti difficili, di povertà e di

violenza;

l’aspetto solidaristico è quello che, più di tutti,

rende il viaggio, non il semplice macinare 3.500

km in poco più di una settimana, ma una meta

metafisica e simbolica che altro non è che il

trovare sé stessi, centrarsi, una metafora che riesce

a coniugare l’essere utili a qualcuno che ne a

bisogno con l’essere utili a sé stessi.

Niente di nuovo, comunque: io ho quel che ho

donato, recita il motto dannunziano.

Corrado è uno dei ragazzi che da deciso di

mettersi in discussione in un viaggio di otto giorni

tra esperienze nuove, con compagni di viaggio

sconosciuti, in una terra che aveva studiata grazie

al suo percorso di studi, culminando in una tesi

“Kosovo, una storia balcanica” che affronta la

storia della regione dall’etimologia del nome fino

ai fatti di violenza degli ultimi anni.

La sua esperienza e le sue emozioni li restituisce

in questo diario di viaggio.

È un pensiero personale la cui condivisione

riteniamo importante, non solo per il racconto in

sé, ma anche per lo slancio che può dare ad altre

persone a voler intraprendere una strada di ricerca

personale e di aiuto verso gli altri.

A lui va il nostro ringraziamento per avere

trasferito su carta i pensieri e le emozioni,

permettendoci di poterli quindi condividere con

tutti.

Cogliamo l’occasione per rivolgere un sincero

ringraziamento a Giorgio De Rocchis, instancabile

e prezioso nella creazione di relazioni e la raccolta

di materiali e aiuti; a Davide, Guido, Muppet,

Elisa (fotografa eccezionale), Massimo, Simone,

José, Carlo, Michael, Matteo e Chiara, Jacopo,

Marcello, Daniele, Stefano e Benedetta per la

compagnia, la pazienza e il pensiero che

giornalmente dedicano alle famiglie delle enclavi.

BeLoveRevolution

“L’essenziale è invisibile agli occhi” Il Piccolo Principe

Antoine De Saint-Exupéry

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Da Palermo al Kosovo In viaggio. Dai libri e lo studio, alle persone e i territori

Aeroporto di Palermo, 9 agosto 2012

Sono circa le venti e sono in procinto di

imbarcarmi per Venezia, destinazione Sacile,

bellissima cittadina friulana già appartenente alla

Serenissima.

Lì mi aspetta “nonno” Fabio Franceschini, di

LOVE, un’associazione che da un po’ di tempo a

questa parte ha preso a cuore la drammatica

situazione in cui versano i serbi che abitano le

piccole enclavi del Kosovo, regione serba a

maggioranza albanese autoproclamatasi

indipendente quattro anni fa, sotto il bene placito

degli Stati Uniti e buona parte dell’Unione

Europea.

Nonostante la presenza delle forze di “pace” della

Nato, dell’Onu e della stessa Unione Europea, il

Kosovo è ancora oggi una zona molto instabile.

La disoccupazione è altissima e l’economia ruota

quasi del tutto intorno agli affari illeciti:

prostituzione, traffico di armi e di sostanze

stupefacenti.

La cosa più orribile rimane, però, un altro traffico:

quello di organi umani, adesso ristretto solo alle

“donazioni” dei poveri, costretti a questo dalla

fame, ma che in un passato abbastanza recente ha

visto coinvolti centinaia di serbi e dissidenti del

famigerato Uck (comandato da chi oggi siede

sulla poltrona di Premier - il “serpente” Thaci - e

di capo dell’opposizione, Haradjnai), rapiti,

seviziati e, infine, sezionati.

Il viaggio che mi accingo a intraprendere ha inizio

circa sei mesi addietro, quando, preso da

confusione e dubbi, ho scelto di imboccare una

nuova e tortuosa strada.

Del Kosovo sapevo poco. Una piccola regione dei

Balcani tormentata da guerre e violenze, così

come quasi tutte le terre di quella zona, la

polveriera d'Europa per antonomasia.

Non mi vergogno a dire che la mia curiosità e il

mio interesse avevano avuto inizio dopo aver

visto le “gesta” poco gentili di un hooligan serbo

in Italia. Azioni che venivano condannate ma che

non venivano spiegate a fondo. Una bandiera

albanese in fiamme, tanti striscioni inneggianti

alla ‘serbità’ del Kosovo, il saluto a tre dita dei

calciatori serbi verso gli ultras, interpretato come

monito a un'eventuale sconfitta a tavolino.

Ho iniziato a documentarmi e a parlarne con un

mio professore albanese, con il quale è sorto un

piacevole scambio di opinioni e libri, culminato

con una bella tesi di laurea e con un altrettanto

soddisfacente voto finale.

Ma non mi è bastato: quello che sapevo e che ho

riportato nel mio lavoro era comunque qualcosa di

“seconda mano”, non vissuto con la mia pelle né

visto coi miei occhi.

Questo viaggio ha rappresentato dunque il

culmine di questo lavoro, diciamo, intellettuale, e

perché no, il punto di partenza di un nuovo

percorso individuale.

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Perasto

Ti con nu, nu con Ti Montenegro: Perasto e Cattaro

12 agosto 2012

Dopo diciotto ore di traghetto è la dogana

montenegrina a darci il benvenuto tenendoci

impalati un'ora al porto di Bar. Risaliti sul

pulmino, prendiamo la strada che porta a Perasto,

importante città appartenente alla repubblica della

Serenissima e l'ultima ad ammainare il gonfalone

con la bandiera di San Marco all'indomani del

tradimento di Napoleone e conseguente avanzata

in zona delle truppe austro-ungariche1.

1 Da cui la famosa allocuzione del Conte Giuseppe Viscovich, Capitano di Perasto, tenuta il 23 agosto 1797: In sto amaro momento, che lacera el nostro cor; in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, el Gonfalon de la Serenissima Repubblica ne sia de conforto, o Cittadini, che la nostra condotta passada che quela de sti ultimi tempi, rende non solo più giusto sto atto fatal, ma virtuoso, ma doveroso per nu. Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l'Europa, che Perasto ha degnamente sostenudo fino all'ultimo l'onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co' sto atto solenne e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto. Sfoghemose, cittadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultimi sentimenti coi quai In sto amaro momento, che lacera el nostro cor; in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, el Gonfalon de la Serenissima Repubblica ne sia de conforto, o Cittadini, che la nostra condotta passada che quela de sti ultimi tempi, rende non solo più giusto sto atto fatal, ma virtuoso, ma doveroso per nu. Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l'Europa, che Perasto ha degnamente sostenudo fino all'ultimo l'onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co' sto atto solenne e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto. Sfoghemose, cittadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultimi sentimenti coi quai

Il paesaggio che osserviamo risalendo lungo i

fiordi della scogliera montenegrina lascia senza

fiato. Boschi, verde e mare si mischiano, casette

di campagna e piccole chiese sorgono a ridosso di

queste piccole foreste quasi a strapiombo sul mare.

Grosse e pacchiane costruzioni a ridosso della

costa ed enormi scheletri di cemento lungo la via

fanno per un attimo ritornare bruscamente a quella

che da noi è la normalità, sebbene in scala minore.

Ma, si sa, è il progresso.

Perasto è un piccolo borgo veneziano affacciato

su un golfo circondato da ettari di bosco. A circa

cinquecento metri dalla spiaggia sorgono due

isolette con due piccole chiese. Un gioiello,

soprattutto al tramonto.

sigilemo la nostra gloriosa carriera corsa sotto el Serenissimo Veneto Governo, rivolzemose verso sta Insegna che lo rappresenta e su ela sfoghemo el nostro dolor. Per trecentosettantasette anni la nostra fede, el nostro valor l'ha sempre custodìa per tera e par mar, per tutto dove né ha ciamà i so nemici, che xe stai pur queli de la Religion. Per trecentosettantasette anni le nostre sostanze, el nostro sangue, le nostre vite le xe stae sempre per Ti, o San Marco; e felicissimi sempre se semo reputà Ti con nu, nu con Ti; e sempre con Ti sul mar nu semo stai illustri e vittoriosi. Nissun con Ti n'ha visto scampar nissun con Ti n'ha visto vinti o spaurosi! Se i tempi presenti, infeicissimi per imprevidensa, per dissension, per arbitrii illegai, per vizi offendenti la natura e el gius de le zenti, no Te avesse tolto dall'Italia, per Ti in perpetuo sarave stae le nostre sostanze, el sangue, la nostra vita, e piutosto che vederTe vinto e desonorà dai Toi, el coraggio nostro, la nostra fede se avarave sepelio soto de Ti!Ma za che altro no resta da far per Ti, el nostro cor sia l'onoratissima To tomba e el più puro e el più grande elogio, Tò elogio, le nostre lagreme.

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Nonostante l'abbondante presenza di turisti, pace e

tranquillità circondano il tutto, facendoci godere

pranzo e passeggiata digerente, conclusa con la

salita sul campanile del duomo, dove il buon

Fabio, impersonando per un attimo il suo

celeberrimo avo Giuseppe Viscovich, fa

sventolare – mi piace pensare – per la prima volta

dopo duecento anni la bandiera del leone “tibi

pax”.

le bocche di Cattaro

Concludiamo il pomeriggio con la consueta birra

in un simpatico locale sul molo, pieno di serbi e

montenegrini che ci guardano e sorridono,

incuranti del nostro frastuono ed entusiamo.

A cena ci spostiamo nella città di Cattaro,

distante poco meno di venti minuti da Perasto. Sul

lungo mare svettano gli yatch pluripiano degli

sceicchi dell'est, i russi, abili a far propria questa

splendida zona dell'Adriatico. Di fronte, in una

piazzetta, un gruppo folk inscena un balletto

intonando un canto popolare balcanico, dalle

melodie simili a quelli delle feste nuziali di Grecia.

Oltrepassiamo il gruppo e ci troviamo davanti le

mura dell'antica città e una porta ad arco , che

anticamente portava sul frontone lo stemma del

leone veneziano, sostituito nel 1942 da una poco

discreta stella comunista.

Entrati all'interno, rimango quasi senza parole alla

vista che mi si presenta davanti: una bellissima e

grande piazza lastricata in marmo e una

moltitudine di case antiche che si affacciano su di

essa, quasi a far perdere ogni concezione di tempo

e luogo.

Proseguendo tra viuzze e vicoli, lo spettacolo che

si fa avanti è sempre più bello e affascinante:

chiese, cappelle votive, negozi artigianali, locali

vari, tutti all'interno di questa suggestiva cornice.

Solo i maxi-schermi dei bar che trasmettono le

Olimpiadi rompono un po' l'atmosfera, ma si può

benissimo chiudere un occhio e far finta di niente.

La serata termina con l'ennesima bevuta e la

miliardesima battuta sulla bravura delle ragazze

autoctone. È l'una e siamo quasi tutti a letto.

Domani la sveglia è prevista alle 5.

Ci aspettano circa sei ore di viaggio, oltrepassare

la frontiera e giungere in Kosovo.

Dove, quasi certamente, voglia di stare allegri ce

n'è ben poca,

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sul Passo di Kula, tra Montenegro e Kosovo

Mire se vini ne Kosove Peć - Goradzevac

13 agosto 2012 La levataccia all’alba ci fa mettere subito in

marcia per il Kosovo. Percorrendo le montagne

del Montenegro i panorami che si susseguono

sono sempre più suggestivi e affascinanti: boschi,

colline, scogliere ed enormi foreste, su fino al

confine kosovaro.

Circa otto ore di pulmino ci fanno arrivare

finalmente a destinazione, dopo un percorso

montanaro a dir poco ardito. Giungiamo alla

dogana e un cartello scritto in albanese,

accompagnato dalla bandiera blu a sei stelle (che

raramente incontreremo nel nostro soggiorno) ci

dà il benvenuto in Kosovo. Al posto di frontiera

abbiamo modo di assistere ad una scena

emblematica: un gruppo di bambini che vendono

bibite in lattine ormai scolorite, accerchiano i

nostri mezzi cercando di venderci qualcosa.

Immediatamente, i pochi spiccioli raccolti,

finiscono nelle mani del loro capo, un ragazzino

di dodici anni seduto a bere e a fumare all'ombra

di un albero.

Riprendiamo il tragitto e arriviamo dopo qualche

minuto a Peć, città sede del Patriarcato di Serbia.

Anche qui la prima impressione non è delle

migliori: bandiere americane e albanesi un po'

ovunque, monumeti all'Uck e cimiteri nei giardini

di casa, decine e decine di autolavaggi e pompe di

benzina.

Pranziamo e ci mettiamo in cammino per visitare

il bellissimo monastero, già patrimonio

dell'Unesco.

Ad attenderci all'ingresso una pattuglia di soldati

sloveni della KFOR2, un blindato e diversi metri

2 La forza di intervento che a seguito della campagna aerea è entrata e si è dislocata in Kosovo è denominata Kosovo FORce (KFOR). L'Italia partecipa alla Forza sotto comando NATO con una Multinazional Task Force - West (MNTF-W) insieme a Spagna, Ungheria, Slovenia e Romania. L'area di responsabilità affidata alla MNTF - W è il settore Ovest del Kosovo. La Missione Internazionale a guida NATO è stata autorizzata dalla Risoluzione n. 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 10 giugno 1999. La forza della Missione è di circa 16.000 uomini suddivisi fra le seguenti nazioni: Estonia, Ungheria, Olanda, Norvegia, Portogallo e Regno Unito nell'ambito del

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di cavallo di frisia. Anche questo luogo di culto,

come tanti altri sparsi in Kosovo, ha subito le

violenze degli scontri recenti, costringendo le

monache a far costruire un enorme muro di cinta a

protezione.

tra le mura affrescate della chiesa del Patriarcato

La serenità e la pace respirate all'interno si

scontrano brutalmente con quello che la città di

Peć ci offre fuori: sporcizia, fogne a cielo aperto,

povertà e macchinoni targati Germania o Svizzera.

Ci fermiamo a pranzare per poi ripartire

immediatamente alla volta di Goradzevac, la

seconda meta del nostro viaggio odierno. Qui il 13

agosto del 2003 un commando di terroristi

albanesi fece fuoco su un gruppo di persone che

facevano il bagno nel vicino torrente3. Il bilancio

fu atroce: due ragazzini uccisi e diversi feriti. Comando Kfor a Pristina; Repubblica Ceca, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Slovacchia e Svezia nell'ambito della MNTF - C; Francia, Belgio, Danimarca, Grecia, Luxemburgo, Marocco, Estonia nell'ambito della MNTF - N; Germania, Austria, Azerbaijan, Bulgaria, Georgia, Svizzera e Turchia nell'ambito della MNTF - S; Italia, Ungheria, Romania, Slovenia, e Spagna nell'ambito della MNTF - W; Stati Uniti d'America, Armenia, Grecia, Lituania, Polonia, Romania e Ucraina nell'ambito della MNTF - E. Un totale di 34 Nazioni. Il Comando della MNTF - W, a guida italiana, è dislocato a Belo Polje (PEC). Iniziata il 12 giugno 1999 la missione è tutt'ora in corso. 3 Per un gruppo di ragazzi serbi, l’unica speranza di trovare qualche ora di refrigerio e di divertimento (si fa per dire, siamo in Kosovo…) è quella di prendere le biciclette, percorrere pochi metri ( anche se il rischio è alto, altissimo, quando si varcano i “confini” di quella “riserva indiana” che è l’enclave) e bagnarsi nel fiume, il Bistric, che passa appena fuori la piccola enclave di Goradzevac, unico abitato serbo (circa 800 persone) nella parte occidentale del Kosovo, ormai territorio quasi completamente monoetnico albanese, dopo la “fine” della guerra e l’intervento “umanitario” della NATO. Una corsa in bicicletta, una nuotata nel fiume … un’idea “normale”: ma in Kosovo per i Serbi non c’è niente di “normale”, non c’è alcun dirittto, alcuna garanzia, neanche quella elementare, per dei ragazzi, di fare il bagno in un fiume in un caldo giorno d’estate. Così “l’imprudenza” di ragazzi innocenti ha come immediato risultato la pronuncia (forse decisa da ragazzi come loro, della stessa età) di una condanna a morte collettiva: estremisti albanesi fanno fuoco contro i ragazzi, dalla riva opposta del fiumicciatolo. Due ragazzi serbi, uno di 11 anni, Pantelja Dakic, e uno di 19, Ivan Jovovic, muoiono subito, altri tre sono feriti gravemente; uno, Bogdan Bukumiric, di 15 anni, è in coma. Gli ospedali gestiti da medici albanesi si rifiutano di accoglierli; i feriti sono trasportati all’ospedale militare di Belgrado, mentre ai monaci di Decani e alle suore di Pec viene impedito di raggiungere il luogo dell’eccidio. Una strage senza precedenti, dalla cosiddetta “fine” della guerra a oggi. (Maria Lina Veca, Tibereide, agosto 2003)

L'atmosfera in questa enclave è surreale, come del

resto lo sarà in tutte le altre che avremo modo di

visitare. La sera, dopo aver cenato nella locanda

del grande Berti, ex-nazionale jugoslavo di sci ed

irriducibile compagno comunista, ci spostiamo in

quattro verso il centro di Goradzevac. I primi

sguardi a metà tra curiosità e diffidenza degli

abitanti del luogo, si sciolgono brevemente in una

bevuta rilassata e goliardica. Ci dicono di essere

tifosi della Stella Rossa. Li conquistiamo parlando

di calcio, è ovvio, e del nostro viaggio. Dusan,

uno dei ragazzi presenti, parla un buon italiano.

Mi racconta delle difficoltà a vivere in un luogo

che non offre nulla a un giovane, costretto solo a

scappare da lì. Lui ha 22 anni, così come Darko, il

proprietario del minuscolo chioschetto di plastica

e lamiera che sorge su Piazza Italia. Ci parlano

benissimo degli italiani della Kfor, che qui han

fatto un ottimo lavoro di protezione e che, da poco,

riescono a garantire qualche posto di lavoro anche

ai serbi, su a Villaggio Italia. Vedo un sacco di

giovani guardarci e alzare la voce per farsi notare.

Dusan mi spiega come per loro sia impossibile

andare a Peć o semplicemente allontanarsi dal

villaggio. Hanno amici albanesi, ma il vederli

assieme causerebbe parecchie rogne a tutti.

Facciamo una foto insieme mentre sullo sfondo

gli altri ragazzi ci salutano in italiano.

So che questa serata sarà per loro motivo di

conversazione per tanto e tanto tempo ancora.

So che questa serata sarà un'esperienza che non

scorderemo più.

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il Monastero di Visoki Dečani

Nelle Enclavi Dečani – Villaggio Italia – Velika Hoca

14 agosto 2012

Salutato Berti e il suo amico a quattro zampe

Fidel, ripartiamo col pulmino alla volta di Dečani.

Alla denominazione ufficiale di Kosovo si associa

il secondo nome di Metochia, terra dei monasteri.

È proprio qui, a Dečani, che sorge forse il

monastero più importante della Serbia e per i serbi.

Da qui è nata la storia di questo popolo e di questa

terra, è qui che si respirano arte, storia e tradizione.

Ed è qui che anche il più ateo al mondo corre il

serio rischio di fare alcuni passi indietro.

Francesco ci accompagna. È siciliano come me,

ha circa cinquant’anni, una moglie e figli e da

qualche tempo ha deciso di intraprendere la via

dell'ortodossia. Ha un carisma e un'arte oratoria

talmente forte che è difficile non rimanere

ipnotizzati dalle sue spiegazioni.

Spesso si reca a Dečani, dove vive con i monaci

del monastero. È membro e attivissimo

organizzatore di eventi dell’associazione “Amici

di Dečani” di cui fan parte, tra gli altri, anche il

filosofo Massimo Cacciari e Vittorio Sgarbi.

Oggi ci ha fatto da guida, spiegandoci passo passo

e per più di un'ora la magnifica storia di questo

luogo quasi incantato e immune al passare del

tempo.

La chiesa custodisce uno dei pezzi di storia ai

quali i serbi sono legati a doppio filo, la battaglia

di Kosovo Polje4.

4 La battaglia della Piana dei Merli, venne combattuta il 15 giugno 1389 (il giorno di San Vito) dall'esercito serbo contro l'esercito ottomano, nella "Piana dei Merli", (odierna Kosovo Polje a nord di Pristina. L'esercito cristiano, guidato dal principe serbo Lazar Hrebeljanović, contava circa 25.000 uomini ben armati. L'esercito ottomano era guidato dal sultano Murad I e contava circa 50.000 uomini. La battaglia iniziò favorevolmente per i serbi, ma gli Ottomani furono raggiunti da cospicui rinforzi e la situazione ribaltò. Pressoché tutta la nobiltà serba si fece uccidere sul posto insieme al Knez Lazar.

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Nel 1392, la regina Milica, moglie del principe

Lazar, alla morte del proprio amato e dei suoi due

figli in battaglia, fece raccogliere tutte le armi dei

guerrieri serbi sparse nella piana dei merli, le fece

fondere e col ferro ottenuto fece costruire un

grandissimo lampadario circolare, sul quale

campeggiano le quattro “S” simbolo di Serbia e i

nomi dei più illustri guerrieri caduti in quella

battaglia.

l’incontro con il col. Longo

Il tempo passato in compagnia di Francesco nel

monastero vola inesorabile, diamo l'arrivederci ai

monaci per la cena e ripartiamo alla volta di

Villaggio Italia, la base militare dei nostri soldati

in Kosovo.

Colonnello, capo missione e cappellano ci

attendono all'ingresso, salutandoci molto

calorosamente.

Parlare davanti al cibo è sempre la cosa migliore,

si sa, e così andiamo con loro nella mensa, ad

In seguito gli ottomani annetterono il resto del Regno di Serbia, completandone la conquista nel 1459. La fine dell'indipendenza serba fu l'evento che diede la possibilità all'esercito ottomano di arrivare fino alle porte di Vienna. La battaglia della Piana dei Merli è considerata dai Serbi uno degli eventi più importanti della loro storia, fonte di gran parte del loro sentimento nazionale. La battaglia e la sorte dei cavalieri cristiani divennero il soggetto di molta poesia epica medievale serba, parte della quale composta presso la corte della vedova di Lazar, Milica. Il principe Lazar venne canonizzato dalla Chiesa ortodossa serba.

appurare che – effettivamente – il cibo dei militari

non è come quello di casa.

L’incontro è cordiale e istruttivo e, dopo un caffè,

salutiamo e ringraziamo per l’ospitalità.

Usciamo dalla base e, attraversando nuovamente

Peć, ci dirigiamo verso un'altra enclave serba,

quella di Osojane, mentre un altro gruppo riprende

la strada del monastero per andare a visitare gli

eremi affrescati.

in cammino verso gli eremi

A Osojane e Zac Visitiamo tre famiglie che ci

accolgono come fossimo vecchi amici. Nella

prima troviamo tre splendide bambine di quattro e

due anni e una appena nata.

Al padre hanno bruciato il garage, ma lui è fiero

di mostrarmi il suo raccolto e il suo trattore, e non

bada di certo a quelle chiazze annerite sul soffitto

e ai muri. Ci sorride, ci abbraccia e ci versa della

rakija, naturalmente.

Attraversiamo il marciapiede e ci troviamo ospiti

di un'altra famiglia, quattro bambini dai sette ai

quindici anni e il padre che ci saluta snocciolando

due parole in italiano e offrendoci l'ennesima

rakija, naturalmente.

A Nikola, il secondo uomo di casa, il nostro

Michael regala la maglia della squadra di rugby di

cui lui è l'orgoglioso e vulcanico presidente.

La terza e ultima famiglia ci aspetta qualche

centinaio di metri più avanti. Bimbi sorridenti ci

corrono incontro insieme ai loro cani, i genitori ci

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attendono pronti ad abbracciarci. Anche qui il

lavoro svolto dalle associazioni LOVE, Comunità

Giovanile e Amici di Dečani è ben visibile. Grazie

a un nuovo progetto pronto a partire le nuove case,

ricostruite dopo gli atti terroristici perpetrati dagli

estremisti albanesi, saranno finalmente dotate di

un cappotto e colorate; anche la scuola può

contare sul fondamentale aiuto del generatore di

corrente, donato per sopperire costantemente ai

frequenti black out di energia elettrica, e di

un’aula computer per gli studenti.

in visita a Osojane

Salutiamo quest'ultima famiglia, non prima di

aver dato fondo all'ultimo bicchiere di rakija5,

naturalmente.

Ritornati al monastero, abbiamo l'onore di poter

cenare nel refettorio dei monaci.

Cena tutta a “km 0”, come direbbero i nuovi

esperti di marketing e turismo.

Tutto straordinariamente semplice e squisito.

Prima di andare via mi fermo due minuti a parlare

con Padre Damaskin, l'addetto allo shop del

monastero. Acquisto un paio di splendide icone

fatte a mano e iniziamo a chiacchierare alla cassa.

5 La rakija è un superalcolico simile alla grappa, creato per distillazione o fermentazione di frutta, molto popolare nei Balcani. Il suo contenuto alcolico è normalmente del 40%, ma nella rakija fatta in casa può essere superiore, tipicamente dal 50 al 60%. È rakija è considerata la bevanda nazionale della Serbia. Nella forma più comune, Šljivovica, è prodotta con la prugna. Altri frutti comuni sono l'uva, le pesche, albicocche, le mele, i fichi e le amarene. La rakija fatta con le prugne e quella con l'uva possono essere mischiate dopo la distillazione con altri aromi, come erbe, miele, mele acerbe e noci. Il 70% delle prugne raccolte in Serbia vanno a finire nella produzione della Sljivovica.

Nota le mie spalle e mi chiede se faccio

sollevamento pesi. Gli mostro alcuni miei video di

allenamento e si gasa, raccontandomi di alcuni

suoi forti amici sollevatori.

Gli racconto della mia tesi, della mia passione per

i canti popolari dei Balcani e di quanto mi piaccia

la loro storia. Mentre faccio per salutarlo e andare

via, mi invita a prendere un cd da uno scaffale, me

lo regala e mi dice: “portaci sempre nel cuore”.

Impossibile descrivere l'emozione a quelle parole.

Ripartiamo per Velika Hoca, il posto in cui

passeremo la notte.

Anche Velika è un'enclave di circa cinquecento

serbi e la strada per raggiungerla è buia e spesso

deserta.

Incontriamo solo Djiacovica sul nostro percorso,

una cittadina buia illuminata dalle insegne dei

seicento autolavaggi e dei bar eternamente pieni.

Dečani

Page 12: Viaggio di Solidarietà - V Edizione (Diario di Viaggio)

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foto di gruppo davanti alla scuola di Velika Hoca, in prima fila Jovanka e il piccolo Jovan

Mondi balcanici Velika Hoca – Prizren

15 agosto 2012

Sono da poco passate le due e passeggio da solo

nell'enclave di Velika Hoca dopo aver bevuto e

chiacchierato tutta la sera con Giorgio, Braz e gli

altri ragazzi del gruppo. La serata è piacevole, il

cielo è solo stelle ma il buio della strada dà

sempre quella sensazione di smarrimento e

sconforto.

Trovare una strada illuminata in Kosovo è un

fenomeno quasi paranormale, figuriamoci nelle

enclavi dimenticate ed emarginate. Eppure qui si

respira un'aria più umana e più vera di tutte le

altre zone vissute. Perfino migliore – per certi

tratti – della nostra quotidianità.

Il bello di questi posti credo sia il sorriso e la

vivacità dei bambini. Non hanno niente, ma

possiedono uno sguardo che ti conquista e che ti

fa riflettere. Anche gli adulti mi hanno colpito. Al

di là di ogni romantico slogan, di terra, patria e

nazione, i serbi che ho incontrato finora hanno un

carattere orgoglioso sì, ma spesso goliardico e

molto autoironico. Tutto il contrario della cupezza

e dell'aggressività incontrate spesso in altre zone

dei Balcani. Che, tuttavia, mi affascinano

ugualmente.

Stamattina, dopo aver affrontato e battuto la

colazione offerta da Padre Marko, abbiamo

incontrato il preside e i bambini della piccola

scuola di Velika. Tanto è stato fatto e tanto ancora

verrà realizzato da Love, da Comunità Giovanile,

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13

Amici di Dečani e tutte le altre realtà e persone

che hanno a cuore questo lembo di terra, per

questo piccolo istituto, così come per tanti altri

sparsi qui in Kosovo. Tanti bambini sono venuti a

salutarci e a “saccheggiare” lo scatolone pieno di

giocattoli raccolti per loro in Italia. In cambio

sorrisi belli e grandi come il sole e tante foto

scattate insieme.

Lasciamo temporaneamente Velika e ci

incamminiamo per Prizren. A metà tragitto Fabio

e Francesco ci fanno scendere a osservare tre

grosse case, apparentemente in costruzione (come

appaiono realmente quasi tutte quelle abitate del

Kosovo albanese, totalmente prive di intonaco e

parapetti esterni), ma che invece nascondono un

lugubre mistero. Sul terreno dove sono state

edificate sorgeva un cimitero serbo. Dal momento

in cui sono ripresi gli scontri etnici e i serbi

cacciati via, qualcuno ha pensato bene di

appropriarsi di quel lotto di terreno, profanare e

buttare sul ciglio della strada vicina i cadaveri e

alzare queste tre case. Due di esse sono state

abitate per un paio di mesi, la terza è rimasta

incompleta. Si dice che rumori, urla, oggetti che si

spostavano, porte che si aprivano e altri fenomeni

simpatici, abbiano indotto i poveri inquilini a far

le valigie e scappare. Mai sottovalutare i serbi,

neppure da morti.

Un po' sconvolti riprendiamo la via per Prizren.

È quasi ora di pranzo e ci rechiamo presso il

monastero dei Santi Arcangeli, dove ci aspetta

impaziente il monumentale Padre Mihaijlo. Ci

mostra la parte nuova dell'edificio, appena

ricostruito dopo che un terribile incendio lo aveva

distrutto quasi del tutto.

È incredibile come fede e forza d'animo riescano a

trionfare sull'odio e sulla violenza più becera.

Terminato il piccolo tour, ci accomodiamo sotto

un bellissimo gazebo di legno di fresca fattura.

Dopo la benedizione, ci viene servito uno dei più

strani ma straordinari pranzi di ferragosto che

abbia mai mangiato. Zuppa di fagioli e olive,

formaggi, insalate varie e trote affumicate.

Il tutto ovviamente preceduto dalla quarta rakija

della giornata e annaffiato sapientemente con

ottimo vino prodotto in luogo.

Anche questo monastero ha una storia terribile da

ricordare. Uno dei suoi ultimi abati, Padre

Ariton Lukic, durante una delle recenti feroci

ondate di violenza antiserba, venne rapito mentre

faceva la spesa e il suo corpo fu ritrovato

decapitato solo qualche giorno dopo.

La Serbia lo volle fortemente Santo, perché qui il

popolo può decidere chi amare e pregare, senza il

passaggio burocratico-lucroso di tribunali e

sPećialisti vari.

La grossa mano di Padre Mihaijlo ci stringe la

mano e ci augura buona fortuna per il futuro.

Dopo pochi minuti raggiungiamo Prizren, la più

bella città del Kosovo. Importante tanto per gli

albanesi, che qui nel 1878 posero le basi della

costruzione di una Grande Albania, tanto per i

serbi, che qui mandano i loro giovani a studiare

nel seminario più importante della nazione.

Anche in questo caso ci troviamo davanti

un'immagine impietosa. Francesco ci mostra la

Page 14: Viaggio di Solidarietà - V Edizione (Diario di Viaggio)

14

parte nuova del seminario, ove attualmente

studiano sedici ragazzi. Costruzione nuova ed

accogliente, aule di studio e di informatica,

palestre e campi sportivi in costruzione, pronti ad

accogliere nuovi iscritti. Ma proprio di fronte a

questa struttura sorge il vecchio seminario,

interamente distrutto nel marzo del 2004 all'inizio

dei pogrom antiserbi. Prizren venne praticamente

devastata, diverse migliaia di serbi furono costretti

a lasciare di notte e di corsa le proprie case che

andavano in fiamme.

tra le rovine della Bogorodica Ljeviska a Prizren

La cattedrale fu devastata, insieme alla chiesa

della Bogorodica Ljeviska, altro patrimonio

dell'umanità. Andiamo via in silenzio, ma i

commenti di rabbia vengon fuori da soli.

Sederci in un bar vicino non aiuta tanto a rilassare

l'atmosfera. La maglia del nostro gruppo, recante

la scritta “KOSOVO E METOCHIA” urta

particolarmente un tipo vestito anni '70, e con

capelli di trent'anni prima, seduto al tavolo

accanto a noi.

Ci dice che la Metochia non esiste, che questa è

Repubblica del Kosovo.

Inutile quanto insensato cercar di dare una

risposta. Riprendiamo con le battute di sempre e

ritorniamo a Velika.

Una cosa che mi ha colpito del Kosovo è

l'assoluta differenza di cultura di due popoli che

comunque han convissuto insieme a lungo, senza

amarsi ma senza neppure odiarsi così tanto,

almeno fino al recente passato.

Ho notato i cimiteri: sparsi qua e là, spesso anche

nei giardini di casa, quelli kosovari; abbandonati

per ovvie ragioni ma comunque più ordinati,

quelli serbi.

Ho osservato le case. Paradossalmente, quelle

albanesi sembrano essere parte di tante enclavi a

sé, protette da mura enormi e da cancelli quasi

blindati, dove all'interno abitano almeno venti

persone che sembrano non voler avere nulla a che

fare con ciò che succede all'esterno.

Differentemente, le case serbe sono molto più

piccole e più vicine all'idea occidentale di

abitazione, con un giardinetto, un piccolo steccato

e un pezzo d’orto.

Due mondi, due culture, due civiltà opposte.

Riassumendo: Balcani.

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la dottoressa Jelica

Jelica, coraggio e umanità oltre ogni limite Prizren – Silovo

16 agosto 2012

La vita in enclave sembra ferma, irreale, quasi

incantata. Al nostro risveglio troviamo solo padre

Marko e uno sparuto gruppo di anziani a

presidiare la minuscola piazzetta di questa

comunità. Dopo la solita colazione, salutiamo

Marko e le poche persone che intanto han preso

posto sulle panchine e riprendiamo il nostro

cammino. Uscendo da Velika salutiamo in

silenzio il monumento agli scomparsi tra il '98 e il

'99, circa sessanta persone, molti giovanissimi. Si

pensa morti in guerra. Si dice squartati vivi e i

loro organi spediti chissà dove.

Ritorniamo a Prizren, stavolta dall'altra parte, se

vogliamo, della barricata. Portiamo dei giocattoli

in un asilo gestito da suore cattoliche, nel cuore

della città. Sembrerebbe un'oasi di pace, a sentire

le parole della superiora, che ci spiega come qui

bimbi musulmani e cattolici convivano in gioia e

allegria, rispettandosi l'uno con l'altro. C'è

un'unica nota stonate: all'interno dell'edificio non

compare nessun segno religioso cattolico, nessuna

statua di Gesù o della Madonna. Ancora più

sbalorditivo vedere le suore non portare alcun

crocifisso al collo. Chiedo proprio alla superiora il

perché. Mi risponde che è solo una questione di

rispetto verso i membri dell'altra religione che,

altrimenti, si sentirebbero infastiditi alla vista di

taluni simboli sacri “avversi”. Superfluo dire che

mi sia sentito preso dai turchi proprio in una città

turca. Foto di gruppo, salutiamo e andiamo via.

Prizren regala un centro storico ricco di arte e

cultura. Fino a prima della guerra era considerata

Page 16: Viaggio di Solidarietà - V Edizione (Diario di Viaggio)

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la Sarajevo dei bassi Balcani, crocevia di ben

quattro religioni, luogo dove i popoli vivevano se

non in pace, almeno in reciproca indifferenza.

durante la visita dell’asilo cattolico di Prizren

Prima di far sosta obbligata al solito bar, mi fermo

– spinto dalla curiosità e attratto dalla valchiria

sull'uscio – in un negozio d’integratori alimentari.

Scambiamo due parole e le dico che vorrei vedere

altra roba. Ovvio, non il suo bicipite tre volte il

mio, né il suo sedere striato. Mi fa l'occhiolino e

mi porta dietro il bancone, dove con una

naturalezza disarmante tira fuori un paio di flaconi

contenenti diversi tipi di anabolizzanti. Le faccio

simpatia e mi spara il prezzo “buono”. Con

altrettanta simpatia le dico che non mi interessa la

roba e che comunque, sollevando pesi, degli

anabolizzanti gonfia vacche non avrei comunque

che farmene. Ci salutiamo cordialmente e mi dice

di passare ancora. Magari troverò novità…

Bevuto il caffè, montiamo di nuovo sulla LOVE-

machine, recante il logo dell'associazione

pensionati “San Francesco”, e raggiungiamo

Jelica, un medico-coraggio alla Gino Strada, che

rispetto Emergency mi sembra avere un universo

in più di coraggio, lealtà e apertura mentale.

Lavora nell'ospedale di Silovo, altra enclave serba.

I problemi che deve fronteggiare ogni giorno sono

davvero tanti. Mancanza di luce e farmaci,

ambulanze insufficienti, carenza di personale.

Inoltre, dal primo giugno, le sono state revocate le

targhe dell'automobile, senza una spiegazione

valida. A lei poco importa, un'auto viaggia lo

stesso, anche senza targa. Ci racconta tutti i

particolari di quella vita in trincea, di come sia

difficile aiutare tutti e lottare contro un mostro a

cento teste che non dà tregua. Ci dice pure che

quei kosovari che la aggrediscono sono gli stessi

che si affidano alle sue cure o a quelle di Belgrado,

quando tumori e leucemie bussano inesorabili alle

loro porte. Ma c'è un giuramento da onorare, e

un'umanità e una forza che vanno oltre ogni limite

immaginabile.

gli aiuti per Silovo, grazie al prezioso aiuto dei Carabinieri

A tarda serata salutiamo Jelica e la comunità di

Silovo. Ad attenderci ci sono i monaci del

monastero di Draganac, pronti per farci gustare

un'altra ottima cena.

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con Padre Ilarion, durante le visita alle cucine popolari

Da qui non si torna indietro Cucine popolari – Grazanica – Mitrovica

17 agosto 2012

La giornata più intensa è appena terminata.

L'ultimo giorno di viaggio in Kosovo regala al

gruppo delle emozioni discordanti. La sveglia,

suonata dai monaci del monastero di Draganc,

dove abbiamo trascorso la notte in camerette con

le brande militari e con doccia fatta a pezzi nella

sorgente sacra, è un po' frastornante. Padre

Ilarion, un monaco sulla quarantina di una

simpatia unica, ci porta a visitare le cucine

popolari, un grosso capannone di un'enclave

vicina molto simile a una mensa per poveri nelle

nostre città. A differenza di queste, però, le cucine

non prevedono una sala dove accogliere i

bisognosi; tocca agli operai girare tra le campagne

e le colline e consegnare il pasto caldo del

mezzogiorno a bordo di furgoncini che percorrono

al giorno circa cento chilometri, in posti non

proprio tranquilli. Seguiamo anche noi uno di

questi mezzi, assistendo a scene che nel 2012 mai

avrei potuto immaginare. Gente che dai boschi e

dalle povere case si riversa in strada all'ora esatta,

come fa un cane affezionato al proprio padrone,

portando con sé i secchi vuoti contenenti un

tempo vernice da riempire di minestra calda.

Tra di noi cala il silenzio, passa la voglia di ridere

e scherzare. Salutiamo questa gente che, come dal

primo giorno a Goradzevac, ci saluta e ci benedice.

Al ritorno, facciamo sosta nuovamente al

capannone per aspettare l'altro gruppo. Una

signora molto anziana mi fa segno di avvicinarmi,

mi chiede da dove vengo, mi saluta e mi mostra la

sua casa.

A occhio, credo che lo scantinato dove io mi

alleno sia più grande e, di sicuro, più confortevole.

Page 18: Viaggio di Solidarietà - V Edizione (Diario di Viaggio)

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Mi mostra il suo armadio ormai distrutto e mi

chiede se al prossimo viaggio posso fargliene

avere uno di più nuovo.

Lui è Milos.

Ha perso il figlio nella guerra del '99 e sua moglie nel 2003 per un tumore probabilmente dovuto all'uranio impoverito per poi

subire le sevizie nell'anno successivo dovute ai pogrom anti-serbi.

Vive da solo in una stalla che gli sta cadendo in testa, senza acqua, servizi sanitari, luce, gas, medicinali, cibo (le pecore che possedeva gli sono state rubate con le cattive, con tanto di mitra usato per spaventarlo). Milos tiene dei sacchetti di plastica in un angolo perchè gli hanno detto che se li mette in testa può morire,

quando ci ha visti portargli un pezzo di pane è scoppiato in lacrime e noi con lui. Alla domanda del perché non volesse

abbandonare la sua "casa" ha risposto: Abito qui da sempre, mio padre abitava qui, il mio cognome è

qui da 700 anni ed è tutto ciò che mi rimane.

Vorrebbe offrirci qualcosa, ma per fortuna Padre

Ilarion ci toglie da quella situazione che per noi è

a metà tra imbarazzo e strazio.

Ripartiamo, ancora in silenzio e divorati da sensi

di colpa che in questi momenti ti assalgono come

leoni su gazzelle indifese.

Ritroviamo un po' di vitalità passando per Pristina

e osservano l'orribile statua di Clinton, tributata al

presidente liberatore dal popolo kosovaro, che

sorge proprio in Bill Clinton boulevard.

Iniziamo a respirare un po' appena fuori la

capitale, andando a visitare la piana dei merli e il

monumento edificato qui poco più di venti anni

addietro da Milosevic in ricordo della storica

battaglia di Kosovo Polje del 1389.

Salendo su questa torre, sulla cui base è incisa la

maledizione del principe Lazar ai traditori del

popolo serbo, è possibile notare – a poco più di

trecento metri – il mausoleo che ospita il corpo

del sultano Murad I, anch'egli caduto in questa

battaglia tra le fila ottomane.

Scattate le foto è tempo di ripartire. A mezz'ora ci

aspetta la città che ogni romantico d'Europa

vorrebbe abitare, se non fosse che oltre alla

facciata, di romantico c'è ben poco.

Entriamo a Mitrovica da sud, lato albanese.

Sporcizia, autolavaggi e cimiteri ovunque, come

in ogni altra parte del Kosovo. Ci addentriamo e ci

accorgiamo che l'atmosfera va gradualmente

cambiando. Improvvisamente ci ritroviamo a nord,

a costeggiare il fiume Ibar. Scendiamo dai mezzi

e facciamo un giro sul ponte dove sorge la più

grossa barricata della città.

Poliziotti kosovari, insospettiti da tale movimento,

ci fermano chiedendoci cosa facciamo lì.

Trasecolano appena si risponde “per turismo”,

quasi vorrebbero ammanettarci, ma capiscono che

di loro ce ne frega ben poco e che l'unico motivo

per cui attraversiamo il ponte verso sud è per

portare un saluto ai Carabinieri che presidiano la

zona.

Kosovoska Mitrovica, il pnote sull’Ibar

Quattro chiacchiere, due occhiate e ti rendi conto

che nel palazzo di fronte vi è una postazione di

cecchini. Gianluca, che ci accompagna, ci

richiama a un comportamento composto.

Mi ha sempre affascinato Mitrovica.

Page 19: Viaggio di Solidarietà - V Edizione (Diario di Viaggio)

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Ne ho parlato nella mia tesi, descrivendola come

la Belfast dei Balcani. E lo è, almeno in parte.

Nell'aria respiri tensione, le scritte contro Nato ed

Eulex sono praticamente su ogni muro, un

bellissimo murales recita in cirillico che “Da qui

non c'è ritorno”.

Rimango folgorato, le bandiere serbe sventolano

alte, la gente ci guarda stupita ma sorride appena

sente che siamo italiani, che conosciamo Krasic e

Milanovic.

Facciamo un giro dopo aver preso il caffè e

cerchiamo l'altra grossa barricata. Con enorme

stupore troviamo la strada libera ma la grossa

croce fissa tra il cemento e i legni che bloccavano

l'accesso alla parte nord adesso è un monumento

circondato da aiuole che formano un piccolo

spartitraffico. La Nato, evidentemente, ha trovato

pane per i suoi denti.

Ci sistemiamo in un grazioso albergo a pochi km

dal centro della città. Cena, risate, commenti,

pareri sul viaggio. E nuovo giro in città. Beviamo

la prima birra, la gente ci guarda incuriosita ma

diffidente. Vediamo passare davanti a noi

centinaia di ragazze, una più bella dell'altra. Le

donne slave hanno un non so che di magnetico,

non legato esclusivamente alla bellezza. Sono

forti, fiere. Dolci ma, allo stesso tempo, dure

come roccia.

Questa serata ha un qualcosa di magico. Siamo

seduti a bere birra a poco più di duecento metri da

una barricata che separa un mondo dall'altro. Un

mondo identitario, orgoglioso, tradizionale, e un

altro mondo che non sa neppure a quale bandiera

votarsi, e se lo fa, è solo per poter sopravvivere

nella convinzione di essere libero.

Il secondo giro per la movida mitrovizese ci porta

in un bar dove suonano musica live.

Immediatamente ci si avvicina un tizio. Ci chiede,

in italiano, se siamo italiani. Poi la butta lì e mi

chiede se siamo ventidue e cosa facciamo.

Rispondo che siamo in otto e che vogliamo

prendere una birra. Ci si presenta, si chiacchiera,

ma la diffidenza rimane alta. Ed è comprensibile.

Scambiate due chiacchiere ritorniamo in albergo.

Mentre scrivo, sento i ragazzi intonare alcune

canzoni, accompagnate dalla chitarra di Chiara.

Mitrovica sullo sfondo è pura bellezza.

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in viaggio verso Belgrado, con sosta presso probabilmente l’unico ristorante serbo messicano del pianeta

Belgrado Settimo giorno

18 agosto 2012

È già tempo di far ritorno verso casa. Salutiamo

Mitrovica, alla quale lasciamo tutti un pezzo di

cuore e la promessa di ritornare presto.

Percorriamo la strada che verso nord porta al

confine serbo, avendo modo di passare per

l'ultima barricata, presidiata – anche questa –

costantemente da gruppi di serbi che ormai da

anni e contro ogni intemperia climatica, e

americana, sono lì a difendere ogni centimetro di

terra e di serbità.

Ci fermiamo a pranzare nell'unico ristorante

serbo-messicano del pianeta, un locale tanto

enorme quanto orribile, ma dal cibo discretamente

commestibile.

Arriviamo a Belgrado intorno alle 16,

incontrando un po’ traffico per le strade del centro.

Doccia veloce e subito in giro, a goderci una delle

città più belle d'Europa. Misto di slavità, di austro

e ungarico, di turco. Trovare una ragazza brutta è

un'impresa, anche le meno appariscenti hanno un

qualcosa di misterioso che ti ipnotizza e non ti fa

abbassare lo sguardo.

Dopo un paio di discese per Knez Mihailova, la

strada dello shopping non invasa ancora dai

marchi e dalle griffe da centinaia di euro, incontro

Marija, mia ex-collega di studi all'università di

Atene.

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Marija ha una storia particolare alle spalle. Serba

della Croazia, insieme alla famiglia è scampata

per un pelo alla pulizia etnica messa in corso dai

croati in quelle zone nella guerra di Jugoslavia dei

primi anni '90. Trasferita a Belgrado, ha avuto

anche modo di vedersi cadere addosso le bombe

del '99, quando la Nato decise che la capitale

serba doveva essere distrutta e che uno stato

mafioso doveva nascere dove le pietre, ancora

oggi, parlano serbo.

La trovo diversa, ma sono felice di rivederla dopo

sei anni. Mi fa da guida e mi fa scoprire le

bellezze di Belgrado.

La basilica di San Sava è un capolavoro che ti

lascia davvero senza parole. Grandissima, si erge

poco fuori il centro della città, su parco

Karadjiorde. È un continuo via vai di turisti da

tutta la Serbia e dai vicini paesi ortodossi, un

punto di riferimento per l'arte, la cultura e la

religione slava qui nel centro dei Balcani.

il Maracàna, lo stadio di Belgrado

Dal sacro al profano, prendiamo un vecchio tram

e arriviamo al Maracàna, il tempio della Stella

Rossa. Un paio di foto ai murales e siamo di

nuovo fuori. Marija mi indica una casa, proprio di

fronte all'ingresso principale dello stadio. È

grande, su più piani, con un paio di macchine nere

blindate posteggiate davanti al cancelletto. E'

l'umile dimora della Tigre Arkan, al secolo Zelico

Raznatovic, il capo delle famigerate Tigri, gruppo

paramilitare che operò durante la guerra di Bosnia

e Kosovo.

Prendiamo la strada del ritorno rigorosamente a

piedi, godendoci il freschetto della sera e le luci

della città bianca. Arrivati al Kalemegdan, ex

fortezza turca, divenuto adesso un luogo di ritrovo

e di osservazione, mi porta davanti al punto in cui

è possibile osservare l'incontro tra i grandi fiumi

di Serbia, il Sava e il Danubio, con gli enormi

barconi, che accolgono ristoranti e discoteche, a

fare la spola da una riva all'altra carichi di giovani

e turisti.

Giungono altri suoi amici, simpatici e molto

accoglienti. A essere sincero non ho trovato fino

ad oggi un serbo scortese.

Prima di bere l'ultima birra della serata, mi

portano davanti ad un enorme edificio bombardato.

Era la sede della televisione di stato, non a caso

rasa quasi al suolo dagli esportatori di democrazia

in quei terribili settantotto giorni di

bombardamenti del 1999. E tra quegli infami

attacchi, purtroppo, c'erano anche i nostri piloti.

Trascorriamo un'oretta tutti insieme,

chiacchierando un po' in greco, tanto in inglese e

provando – invano – a pronunciare qualche parola

in serbo. E ovviamente tanta rakija, chè oggi è il

mio compleanno e non posso far altro che

festeggiare alla serba l'evento.

Un'ultima passeggiata per le vie del centro, ci

salutiamo e ci diamo l'arrivederci a presto.

Resto solo a godermi una Belgrado ormai quasi

deserta. Mi fanno compagnia i venditori

ambulanti di mais e qualche gruppetto di ragazze

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che commentano, vocianti, le vetrine di un

negozio di scarpe italiane.

Passeggiando lentamente torno nel vicino hotel.

Alzo ancora una volta la testa e rivedo da lontano

uno scorcio dell’edificio bombardato.

Mi viene in mente una canzone spagnola:

Has visto las bombas caer a millares

Jóvenes armados Correr por las calles

El fuego avanzar, jamás te rendiste

Voy a morir hoy en belgrado,

Pero mi patria vivirá

No es fácil morir con veinte años,

Yugoslavia triunfará”

Belgrado.

il ritorno verso casa

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Cosa puoi fare tu?

√ contribuire a raccogliere materiale scolastico (quaderni, penne, colori, blocchi, gomme, pastelli,

ecc. …) per le scuole di Velika Hoča, Osojane, ecc…

√ contribuire a raccogliere cibo senza polifosfati o comunque per celiaci per Jovanka, la giovane

mamma di Orahovac;

√ contribuire a raccogliere abiti nuovi e usati in buono stato, di qualsiasi genere e per qualsiasi età;

√ aiutarci a entrare in contatto con qualche supermercato o grande distribuzione che si vuole

impegnare con costanza nel sostegno delle cucine popolari di Svetlana;

√ aiutarci a entrare in contatto con qualcuno che vuole donare o vendere – con una mano sul cuore –

un “caravan caldo” per la distribuzione dei pasti delle cucine popolari;

√ contribuire a raccogliere materiale medico, ospedaliero e medicine per l’ospedale di Osojane (in

particolare: soluzione fisiologica, deflussori, lacci emostatici, aghi a farfalla G21 e G23; ceftriexone

e analgesici);

√ contribuire all’acquisto di un ecografo color doppler con 3 sonde (tiroidea, addominale e cardiaca)

per l’ospedale di Osojane; oppure aiutarci a entrare in contatto con qualche struttura in Italia che lo

sta dismettendo;

√ destinare il 5x1000 a LOVE, non costa nulla, è sufficiente indicare il codice: 93020010224

√ effettuare una donazione una tantum, o un bonifico permanente di almeno 5€ mensili (così da poter

permettere una migliore programmazione delle attività), a LOVE sul cc n.°

IT23X0316501600000011715133 intestato a LOVE. La donazione è deducibile dal reddito

INFORMAZIONI E CONTATTI:

W. beloverevolution.org

M. [email protected]

T. +39.335.7022607