Università e Società - Umbria

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unifontaneSommario

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Sia consentito, ancora una volta, ritornare sul tema dei regolamenti, già affrontato nel febbraio scorso proprio su queste colonne, allorchè lo statuto adottato dal Senato Accademico nell’ottobre 2011 era in attesa del vaglio ministeriale (poi concretizzatosi nei rilievi pervenuti nell’ultimo giorno utile per il Miur, ai sensi della riforma Gelmini) prima della sua approvazione definitiva. Nel precedente articolo era sembrato opportuno soffermarsi sulla mancata predisposizione di una bozza di regolamento generale di Ateneo, contestualmente al

Editore:SIFA S.r.l.Via Pievaiola, 4506128 Perugiawww.sifa.itAmm.re Delegato: Andrea Brizi

Direttore Responsabile:Giancarlo Ferraris

E-mail:[email protected]

Comitato editoriale:Franco Baldelli, Giovanni Belardelli, Floriana Falcinelli, Fabrizio Figorilli, Anna Torti

Ideazione: Retologia di Alfredo Mommi

Hanno collaborato a questo numero:Fabrizio Figorilli, Franco Cotana,Michele Bilancia, Barbara Maccari

Stampa:FILTI S.r.l. Perugia

Aut. Trib PG R.P. n. 47 del 14/09/2010

progredire dei lavori statutari (nonostante le ripetute sollecitazioni di alcuni membri della Commissione Statuto più sensibili, ratione materiae, alle questioni giuridiche), al fine di evitare ritardi nel dare concreta attuazione alle regole che sarebbero entrate in vigore nel luglio scorso. E ciò in considerazione della precisa percezione dell’importanza dell’attività regolamentare, attraverso la quale disciplinare, come noto, alcuni momenti della vita universitaria che non possono essere affrontati in sede statutaria, pena l’inevitabile appesantimento della carta

fondamentale dell’Ateneo.Non essendosi orientati in tal senso, solo nel luglio scorso il Senato Accademico ha ritenuto, su proposta del Rettore, di affidare ai propri componenti (divisi in Commissioni liberamente composte) il compito di preparare delle bozze (Regolamento generale, Regolamento didattico, Regolamento per i contratti e la contabilità) da sottoporre agli Organi competenti per la relativa approvazione dei regolamenti generali di Ateneo.Pur non potendo disporre di alcun testo, neppure in forma provvisoria (sebbene la

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L’importanza e la delicatezzadei regolamenti di Ateneo

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L’Università: molto più che un’istituzione

ASN, grande caos 8

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Dopo il diploma cosa faccio?Le scelte degli studenti umbri

di Fabrizio Figorilli

L’imPortanza e La deLicatezza dei regoLamenti di ateneo quaLe momento di attuazione deLLo Statuto

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commissione coordinata dalla Prof.ssa M. Raveraira abbia raggiunto un accordo di massima su una bozza che, al momento in cui la rivista va in stampa consterebbe di circa novanta articoli, stando ai commenti informali che sono seguiti alle riunioni tenutesi nonostante le elevate temperature estive), sia consentito spendere qualche parola sulle tematiche che sembrano attirare le maggiori curiosità da parte degli appartenenti alla comunità universitaria. Per sua natura, la stesura di un atto così complesso come il Regolamento generale, tanto dal punto di vista giuridico-formale, quanto sul piano sostanziale, impone agli organi chiamati ad approvarlo di affrontare e risolvere numerosi problemi strettamente connessi alla vita di ciascuna delle tante strutture che vivono all’interno dell’Ateneo. Tale compito, inoltre, appare ancora più significativo, tenuto conto delle novità introdotte dal nuovo Statuto il quale, giovi sottolinearlo, non si è limitato ad introdurre le sole modifiche imposte dalla legge Gelmini, ma ha ridisegnato profondamente gli

organi dell’Università di Perugia e le rispettive competenze. Di qui l’impossibilità di procedere in pochissimi giorni al varo dei tre regolamenti (quello per la didattica pare avere raggiunto una sua struttura semidefinitiva, risultando in questo sufficientemente avvantaggiato dalla materia oggetto di disciplina, mentre nulla si sa di quello di Contabilità, per sua natura intimamente connesso a numerose problematiche disciplinate dal Regolamento generale).Ciò non di meno, al fine di evitare gli inconvenienti a cui si è fatto cenno in apertura del presente intervento, si potrebbe comunque adottare qualche iniziativa concreta, sganciata dall’iter di approvazione formale dei vari regolamenti, in grado di assicurarne quanto prima la reale attuazione delle nuove prescrizioni. Si pensi al caso dei Dipartimenti che andranno a sostituire le attuali Facoltà, così come imposto dalla L. n. 240/2010. Ebbene, come molti di noi sanno, in quanto direttamente chiamati a scegliere la struttura a cui afferire al momento in cui tale trasformazione andrà

a regime, ciascun nuovo Dipartimento sarà la conseguenza di un progetto che ne giustifichi la nascita (contenente al proprio interno gli obiettivi didattici e di ricerca che i promotori intendono perseguire), il personale docente che ne consentirà l’istituzione, quello non docente

che sarà utilizzato per il raggiungimento di detti obiettivi, nonché gli spazi nell’ambito dei quali dette attività potranno essere svolte.Trattasi di operazioni a prima vista scontate ma che, a ben vedere, comportano scelte che si potrebbero rivelare piuttosto complesse se solo si pone attenzione all’ipotesi della istituzione di due o più Dipartimenti in luogo di un’unica Facoltà (si pensi, a puro titolo esemplificativo, alla regolazione dei rapporti attivi e passivi in essere finora imputabili alle Facoltà che hanno sottoscritto accordi e convenzioni e che in futuro dovranno essere imputati a questo o quel Dipartimento alla luce delle competenze scientifiche e didattiche che andranno a comporlo). In buona sostanza, si tratta di riprendere il metodo virtuoso già immaginato in occasione dell’istruttoria avviata dal Senato Accademico con propria delibera del novembre/dicembre 2011, con la quale era stata avviata (con ben sei mesi di anticipo rispetto alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del nuovo Statuto e prima che il Miur formulasse i propri rilievi) la ricognizione dei costituendi Dipartimenti che ragionevolmente sarebbero sorti dalle ceneri delle Facoltà attualmente esistenti. Trattandosi di un procedimento iniziato prima dell’approvazione (definitiva) dello statuto ed essendo oramai prossime le nuove direttive ministeriali in materia di attività didattica (si pensi alla procedura di accreditamento dei corsi di laurea secondo le linee guida dettate dall’ANVUR) si potrebbe

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utilizzare il tempo necessario per l’ultimazione dei regolamenti per anticipare quanto prima gli adempimenti di natura sostanziale da ultimo accennati, verificando ed eventualmente integrando il lavoro fin qui svolto al riguardo. Ed è forse alla luce di analoghe considerazioni che la Commissione incaricata di predisporre la bozza di Regolamento generale sembra essersi orientata (sempre sulla base di impressioni ricavate dal colloquio con qualche esponente di tale organismo) distinguendo, molto opportunamente, la fase di istituzione dei Dipartimenti rispetto a quella di attivazione dei medesimi. Se così fosse, si potrebbero raggiungere alcuni obiettivi senza perdere tempo.In primo luogo, l’anticipazione degli adempimenti sopra sinteticamente descritti permetterebbe, una volta completata la procedura formale di approvazione dei regolamenti (ai quali, non va dimenticato, la normativa vigente riserva lo stesso iter previsto dallo Statuto, ivi compresa la fase del controllo da parte del Ministero, con la relativa facoltà di formulare dei rilievi), una loro immediata applicazione attraverso il mero recepimento di scelte effettuate e concordate con la Direzione amministrativa (rectius generale ai sensi della riforma del 2010) al fine di assicurarne la praticabilità e compatibilità con riferimento al personale ed ai mezzi necessari ad assicurare un corretto svolgimento delle attività delle singole strutture. Secondariamente, l’attività ricognitiva e prodromica all’istituzione dei nuovi Dipartimenti creerebbe altresì

i presupposti per operare le scelte più appropriate anche in ordine al modello organizzatorio di cui l’Ateneo dovrà dotarsi, tenuto conto delle novità che il legislatore ha voluto introdurre in materia di bilancio unico (elemento questo di non secondaria importanza che impone un adeguato e consistente ripensamento di gran parte della struttura amministrativa dipartimentale sperimentata negli ultimi anni). Infine, la ricordata istituzione dei Dipartimenti consentirebbe altresì di quantificare con precisione il numero delle componenti elettive dei relativi Consigli (rappresentanti del personale tecnico e amministrativo, nonché degli studenti, ai sensi dell’art. 40, lett. b) e c) contribuendo così, indirettamente, alla formazione del corpo elettorale chiamato a scegliere il nuovo Rettore (art. 13 Statuto). Solo in seguito all’entrata in vigore del Regolamento generale di Ateneo, contenente la disciplina puntuale delle modalità di elezione di dette componenti oltre a quelle relative ai Direttori di Dipartimento ed ai membri elettivi di Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione, la composizione degli organi potrà dirsi completata. Si tratterebbe, tuttavia, di una fase rapida e limitata ai tempi necessari per la presentazione delle candidature e dello svolgimento concreto delle operazioni elettorali.Fin qui i problemi di natura prevalentemente tecnici ed organizzativi, superabili, come ho cercato di illustrare, ricorrendo ad un sano buon senso.Ben diversa, invece, la scelta

politica che il Senato sarà chiamato a svolgere con riferimento al momento di entrata in carica dei nuovi organi, alla luce delle regole che ci siamo dati con il nuovo Statuto. Intendo fare riferimento al delicato aspetto dell’attivazione dei Dipartimenti e dell’entrata in carica degli organi di governo dell’Ateneo. Ed infatti, avendo calibrato l’intero sistema su mandati (ad eccezione del Rettore che rimane in carica per sei anni come imposto dalla legge Gelmini) di tre anni, non rinnovabili per più di una volta consecutivamente, parrebbe opportuno non alterare tale scelta di fondo mediante l’attivazione di alcuni organi per il triennio 2012/2015, osservando invece per altri organi un mandato spalmato sul triennio 2013/2016. Senza tener conto altresì che, a norma dell’art. 57, co. 2, dello Statuto, l’entrata in carica del neoeletto in corso d’anno comporta comunque l’abbreviazione del mandato in quanto “… il periodo residuo del relativo anno accademico è considerato equivalente a tutti gli effetti un intero anno accademico”.Trattasi dunque di una scelta da meditare con molta attenzione al fine di non vanificare quella coerenza sistematica dell’impianto statutario costruito su regole che sarebbe un peccato alterare già in sede di prima applicazione, provocando di fatto un disallineamento dei mandati destinato a coinvolgere tutti gli organi di governo, con indubbie ripercussioni sugli equilibri astrattamente immaginati in sede di elaborazione dello Statuto.

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FocusF La Legge gelmini ha introdotto il

merito nella valutazione

La Legge Gelmini (L. n. 240/2010) ha introdotto il merito nella valutazione delle strutture universitarie, dei docenti e dei ricercatori per la loro progressione di carriera.Purtroppo la fase applicativa sta comportando distorsioni ed ha tradito le iniziali buone intenzioni. Non bastava che i criteri ANVUR fossero frutto di algoritmi lobbistici e cervellotici! Anche le mediane dei parametri ANVUR sono state pubblicate tardivamente rispetto al bando e ripubblicate per ben due volte, creando disagi e caos nel mondo universitario.In questi giorni i docenti universitari dei vari settori scientifico-disciplinari si riuniscono a livello nazionale e discutono sulle ultime novità introdotte dall’ANVUR stessa per le Abilitazioni Scientifiche Nazionali.Il 4 settembre si è riunito a Roma anche il mio settore con i colleghi provenienti da tutta Italia. Sono emerse numerose critiche ai criteri poco oggettivi e parziali che sono stati introdotti sia per i candidati nelle

di Franco CotanaOrdinario di Fisica Tecnica Industriale

aSn, grande caoS

delle strutture universitarie, dei docenti e dei ricercatori. Purtroppo la fase applicativa

sta comportando distorsioni ed ha tradito le iniziali

buone intenzioni.

commissioni giudicatrici, sia per i candidati che si sottopongono all’abilitazione.Raccogliendo l’invito di molti colleghi, ho annunciato la costituzione del CNTMU Comitato Nazionale per la Tutela del Merito Universitario.Contestualmente, ho avvisato il Ministro Profumo dell’iniziativa, il quale mi ha risposto con un messaggio sottolineando l’esigenza di fare i concorsi, ma anche preannunciando correttivi.

Di seguito riporto il manifesto del Comitato, disponibile anche sul sito internet www.unimerito.it

COMITATO NAZIONALE PER LA TUTELA DEL MERITO

UNIVERSITARIO

CNTMUper la tutela del merito oggettivo

universitario contro i furbetti delle bibliometrie e degli

algoritmi

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FFocus

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FocusFMANIFESTO DEL COMITATO

NAZIONALE

La Legge Gelmini (Legge 30/12/2010 n. 240) ha finalmente introdotto criteri meritocratici nella valutazione delle attività dei docenti universitari e delle strutture universitarie.L’attuazione di tale normativa ha cambiato radicalmente il sistema di progressione delle carriere dei docenti universitari attraverso l’istituzione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, con due atti normativi: il D.P.R. n. 222 del 14/09/2011 (Regolamento per il conferimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale - ASN) e il D.M. n. 76 del 07/06/2012 (Regolamento con criteri e parametri).Nonostante le buone intenzioni della legge, in fase attuativa si è verificato un completo stravolgimento dell’iniziale spirito meritocratico, con ampio spazio a lobbies che hanno gestito e stanno tuttora gestendo questa fase.Il Comitato Nazionale per la Tutela del Merito Universitario, appositamente costituito per tutelare il merito oggettivo, denuncia le aberrazioni e le distorsioni introdotte nell’attuazione del sistema di valutazione del merito, che porteranno grave danno al sistema universitario nazionale, ai professori associati e ai giovani ricercatori che si apprestano ad entrare nel mondo della ricerca.Di seguito si elencano e denunciano le principali e gravi storture che sono state introdotte e che il comitato CNTMU intende far modificare:1) la denominazione Abilitazione

Scientifica Nazionale – ASN fa comprendere come tale abilitazione tenda a valutare esclusivamente l’aspetto della ricerca, senza tenere conto delle

attività didattiche che sono l’altra parte essenziale delle attività di un docente universitario;2) nella valutazione dei parametri bibliometrici, sia per i professori ordinari che desiderano far parte delle commissioni giudicatrici, sia per i candidati che vogliono sottoporsi all’abilitazione, sono presi in considerazione le pubblicazioni, il numero delle citazioni e l’h-index, senza tener conto di un fattore bibliometrico importantissimo e fondamentale in grado di fornire un’indicazione del contributo alla pubblicazione del soggetto di cui si deve valutare il merito scientifico, ossia il numero degli autori;3) il Regolamento per l’accesso alle Commissioni di valutazione per l’Abilitazione Scientifica Nazionale ha individuato le

mediane di tre parametri bibliometrici (pubblicazioni, citazioni e h-index) e il superamento di almeno due di tali indicatori come pre-

requisiti indispensabili per poter accedere alle Commissioni stesse. è evidente e noto a tutti come due dei suddetti parametri (citazioni e h-index) siano il risultato di prevalenti e preponderanti attività lobbistiche: le citazioni infatti consistono prevalentemente in autocitazioni e citazioni fatte da coautori o da amici e colleghi. L’h-index, che in gran parte si basa sulle citazioni, è esso stesso frutto di lobbies e attività poco trasparenti;4) nel Regolamento proposto dall’ANVUR (cfr. Delibera ANVUR n. 50 del 21/06/2012) sono stati individuati, attraverso un “algoritmo” inventato per evidenti esigenze lobbistiche e senza nessuna giustificazione plausibile, valori diversi per le mediane dei tre parametri: ciò è

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FocusFmanifestamente discriminatorio nei confronti dei potenziali candidati Commissari che provengano da diversi Settori Scientifico-disciplinari, in quanto dovendo far parte di una medesima Commissione dovranno evidentemente avere lo stesso grado di professionalità scientifica;5) per la valutazione dell’abilitazione si chiede che i candidati a professore associato o ordinario dimostrino di possedere capacità manageriali, di coordinamento dei progetti di ricerca e di attrazione delle risorse, ma analoga professionalità non è richiesta come prerequisito ai candidati membri delle Commissioni giudicatrici;6) il modo con cui si valuta l’anzianità è di fatto penalizzante per i giovani bravi (viene calcolata a partire dalla prima pubblicazione); ad esempio paradossalmente penalizza coloro che hanno avuto la bravura di vedere pubblicata la loro tesi e poi avendo fatto il dottorato hanno pubblicato relativamente poco, etc.; 7) il fatto che si applichino regole con valore retroattivo, senza prevedere almeno cinque anni di norme transitorie (per poi applicare regole certe), crea una distorsione nelle valutazioni da ricercatore a ricercatore in funzione della propria storia personale e della propria area scientifica;in generale, il Comitato CNTMU rileva che: - i fattori bibliometrici scelti dall’ANVUR e i valori delle mediane non debbano costituire elemento discriminatorio né di selezione aprioristica nella

valutazione del merito della ricerca scientifica e della professionalità didattica che devono caratterizzare un docente universitario;- non si può prescindere dal valutare il docente o ricercatore universitario in relazione al contesto ed ai mezzi con cui opera e sviluppa le proprie ricerche;- sta a cuore a tutti coloro che aderiscono al Comitato la tutela del merito e l’incremento della qualità scientifica e didattica delle Università italiane.Per quanto sopraesposto si ritiene che gli algoritmi e i fattori bibliometrici scelti e determinati dall’ANVUR non rispecchino l’oggettiva meritocrazia e, anzi, siano fortemente dannosi per le selezioni dei candidati a professore associato o ordinario, creando altresì

gravi distorsioni del sistema universitario nazionale in quanto pregiudiziali rispetto ad altri parametri essenziali del merito, quali in particolare la capacità di attrazione delle risorse, la capacità di dirigere gruppi di ricerca, etc.Il Comitato Nazionale per la Tutela del Merito Universitario si riserva di esaminare insieme a tutti gli aderenti, entro i termini di legge, la possibilità di adire tutte le vie legali, politiche ed amministrative per ristabilire il merito nelle carriere universitarie e nel sistema universitario nazionale.

Roma, settembre 2012 I Promotori e gli Aderenti Il Presidente del Comitato Prof. Ing. Franco Cotana

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Le leggi della moderna economia ci hanno cinicamente abituato al fatto che una mancata crescita oggi equivalga sostanzialmente a una decrescita (recessione, questo è il termine più in voga) e che il vecchio, caro concetto di rivoluzione industriale debba per forza essere sostituito con quello di evoluzione industriale; almeno, se si vogliono allontanare o, meglio, scongiurare gli indesiderati effetti recessivi che da una tale contingenza si ritiene finirebbero inevitabilmente per abbattersi su tutta la filiera produttiva ed economica di pertinenza.Resta tuttavia difficile immaginare che lo stesso metro debba essere applicato anche all’industria del sapere, come, a buon titolo, potrebbe essere chiamata l’Università. E questo perché, se è pur vero che i numeri sono pur sempre un metro oggettivo per misurare le quantità, altrettanto non si può dire per le qualità. Ne consegue che a un maggior numero di Facoltà, di Corsi di Laurea, di Dipartimenti, di Professori o di Studenti non sempre corrisponde un maggior numero di titoli di merito. Quelli, tanto per intenderci, capaci di decretare l’eccellenza

di Michele BilanciaArchitetto

L’univerSità: moLto Più che un’iStituzione

complessiva di un Ateneo e della città che lo esprime. Ateneo e città che, per loro natura, formano un connubio complesso e, almeno sulla carta, inscindibile. Anche se entrambi, a volte, sembrano configurare quasi dei mondi a sé, destinati a non toccarsi mai. Organismi paralleli che, tuttavia, occorre tenere legati a doppio filo tra loro, se non si vuole che l’uno finisca per penalizzare i valori dell’altro e viceversa. Ora, se è scontato che una tale eccellenza debba necessariamente essere giocata sull’eccellenza delle menti (e qui Perugia, per così dire, è messa certamente bene), altrettanto dovrebbe potersi dire per le strutture, le infrastrutture e i servizi che, essendo chiamati a ottimizzare i modelli legati al benessere sociale complessivo e a favorire, di pari passo, l’interazione e l’integrazione di ogni componente (tecnica o umana che sia), di fatto, dovrebbero concorrere anche all’ottimizzazione dei modelli di fruizione del sapere e, di conseguenza, di diffusione dei risultati. Solo che non è sempre così. Anzi.La gran parte delle città universitarie italiane, infatti,

pur evitando generalizzazioni facilmente smentibili, oggi non sembrano ancora pronte a rispondere adeguatamente, in ogni caso, a tali sollecitazioni. Né, apparentemente, sembrano volerlo o, quanto meno, sembrano rendersene conto. Eppure, è da questo che dipende la loro capacità di rinnovamento e di valorizzazione.A questo proposito, puntando l’attenzione su Perugia (che, poi, è l’argomento che c’interessa), a giudicare almeno dalla frammentarietà ed eterogeneità delle situazioni, c’è da dire che la città, pur avendone avuta l’occasione, non solo, non si è interrogata sul merito delle variabili in gioco, ma sembra addirittura non averle mai prese seriamente in considerazione. Eppure è un tema caldo quello dell’ottimizzazione delle risorse.La città, in sostanza, non sembra oggi essere capace o, meglio, non sembra essere più capace di dare risposte adeguate alle aspettative di un organismo, quale quello universitario, diventato ormai così profondamente complesso e variegato. Eppure, è proprio in queste circostanze che servono piani organici, capaci di mettere insieme tutti i fili. Piani strategici, questo è il nome. Programmi

Perugia per dare risposte adeguate alle aspettative dell’organismo universitario,

diventato ormai così profondamente complesso e variegato, deve adottare piani

strategici capaci di mettere insieme i filidello sviluppo futuro della città.

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che, in urbanistica, diventano Piani di Attuazione, se sorretti da una seria intelligenza degli sviluppi che la città è chiamata a governare nel presente e, a maggior ragione, nel futuro.Ora, se le potenzialità produttive di un’azienda qualsiasi (tanto per tornare a metafora d’inizio) fossero costantemente mortificate da una mancata ottimizzazione delle risorse, dalla costante insoddisfazione dei Quadri, dall’errata o inefficace valutazione delle logiche aziendali o dal mancato adeguamento delle infrastrutture, oggi, con i tempi che corrono, i mercati se ne accorgerebbero immediatamente e correrebbero senz’altro ai ripari, pena la chiusura. Perché, allora, non dovremmo considerare che anche l’Industria del sapere, in definitiva, soggiace alle stesse regole?Del resto, dall’epoca di Ermini e Nicolosi molte cose sono cambiate, sia nella struttura, che nella più complessiva visione di quale debba essere l’evoluzione e della città e dell’Ateneo nel suo complesso. Se è vero,

com’è vero, che il Progetto di espansione dei due illustri predecessori ha contribuito, e non poco, a formare e, per certi versi condizionare (Si guardino le trasformazioni profonde della Conca e della parte di acropoli che gravita sul Verzaro) lo sviluppo cittadino, non si può certo dire che quel disegno, oggi, sia ancora capace di reggere il passo con i tempi. Non a caso, infatti, si sta già pensando al progressivo smantellamento delle strutture extramoenia gravitanti in quell’area. Ci si sta rendendo conto, cioè che quel modello non è più in grado di contenere e soprattutto, di guidare il processo inevitabile dell’ulteriore e più complessa espansione di una città universitaria che, nel frattempo, ha raggiunto fisionomie tentacolari.è sotto gli occhi di tutti, del resto, che le potenzialità accademiche di Perugia, oggi, non collimino affatto con le dotazioni e, soprattutto con filosofie e strategie di stampo, come dire, aziendale. Ne consegue che l’Industria del sapere perugino deve essere, urgentemente,

ridisegnata e, con essa, deve essere riprogrammata l’intera interfaccia che avvicini e connetta la città col suo centro del sapere. È in quest’ottica che Perugia sarà un giorno chiamata a rispondere delle dinamiche di crescita immaginate per il suo futuro. In alternativa, le leggi della crescita di cui s’è detto all’inizio saranno spietate e, all’impennata della curva chiamata a misurare i numeri, rischia di seguire la battuta d’arresto di quella destinata a misurare l’eccellenza. Come dire che ci sarebbero molte meno menti in “fuga”, probabilmente, se i fattori legati al soddisfacimento della sfera sociale ed economica potessero godere di infrastrutture in grado di supportare di più e meglio i fattori legati alla qualità della ricerca e del benessere dei portatori d’ingegno che la esprimono. Come dire, altresì, che l’Università non dovrebbe essere altro che lo specchio che riflette le qualità della società che l’uomo intende costruire e della vita di relazione che vuole raggiungere.Da questo, è facile intuire come una tale prospettiva non possa non andare anche di pari passo con l’esigenza o, meglio, con il dovere delle Università di promuovere tout court una qualità di vita (civica, sociale o intellettuale che dir si voglia) che sia a sua volta sorretta da un’adeguata qualità urbana. L’unica capace di assecondare, supportare e valorizzare compiutamente tali istanze. Così come, di contro, l’urbanistica cittadina non può e non deve disattendere le necessità sottese dalle sue Università; deve proporsi, semmai, come punto d’incontro e di sintesi tra le varie

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anime, universitarie e non, che ne scandiscono la vita. Del resto, anche i modelli da calare nel tessuto civico dell’urbano sono, o dovrebbero essere, prerogativa della ricerca e, quindi, dell’Università. Prerogativa difficile da contemperare e risultato difficile da raggiungere, ma non impossibile.Qualità urbana, si diceva, da non tenere disgiunta dalle altre, in ogni caso. Solo così la città e la sua Università saranno in grado, insieme, di farsi realmente interpreti dello sviluppo armonico di tutti i fattori che concorrono al risultato finale; intercettando, interpretando e rimettendo in gioco, a beneficio di tutti, le risorse messe in campo da ciascuno.La città universitaria, infatti, non è una città come le altre. Per certi versi, è una sorta di fabbrica dell’etica; o, se si preferisce, di etica urbana che aleggia nella fabbrica: quella del Sapere. Etica in virtù della quale l’Università e, quindi, la Scienza che ne rappresenta l’anima, hanno il dovere di sperimentare in primo luogo su se stesse la qualità di tutti i processi che promuovono e che, coerentemente, sono chiamate istituzionalmente a guidare e mettere in pratica e in relazione tra loro. A cominciare dalle interconnessioni che esistono sempre tra le varie anime legate alla ricerca; per finire, attraverso i luoghi in cui la ricerca si fa, a tutti quelli con cui la ricerca di ciascuno finirà, almeno in prima battuta, col relazionarsi con tutti gli altri attori: ossia, la società e, pertanto, la città che ne è la prima espressione.È qui che il processo s’innesca. Ed è qui che città e Università si toccano. Che le loro storie

s’incrociano o, meglio, è qui che dovrebbero incrociarsi. È stupefacente infatti constatare che, viceversa, nella stragrande maggioranza dei casi ciò non avviene. Fenomeno che lascia davvero interdetti, specie quando accade in una città come Perugia, dove i destini dell’uno e dell’altro organismo interagiscono da almeno settecento anni tra loro.Perugia e le sue Università: un organismo complesso da armonizzare e rendere efficiente – un sodalizio antico da valorizzare.E allora, guardiamo in proposito proprio l’Università di Perugia o, meglio, le Università del capoluogo umbro e vediamo se e in che modo una tale simbiosi (come detto, allo stato irrisolta) sia ancora possibile, oltre che auspicabile, ovviamente. Se sia ancora percorribile, in sostanza, la strada capace di dar vita a una sintesi alta e costruttiva, anzitutto, tra Università e Università e, quindi, tra la città e tutte le sue Università; un obiettivo, questo, dal profilo alto, capace di riannodare i destini di tutti, da troppo tempo sfilacciati e logori.Si, le Università, come si è appena detto. E questo perché, quando si parla dell’Ateneo perugino, spesso e volentieri si dimentica di metterne in gioco il valore complessivo, determinato dalla presenza di ben cinque Istituti di Formazione universitaria: l’Università Statale, ovviamente; quella per Stranieri, certamente. Ma, anche, quella di Lingue dell’Esercito, il Conservatorio di Musica

e l’Accademia di Belle Arti. Senza contare le altre realtà educative e formative, come l’Onaosi, il Centro Universitario del Teatro o l’Università dei Sapori ad esempio, o altre istituzioni similari che, in ogni caso, concorrono anch’esse a misurare lo spessore di ciò che ruota attorno alla curiosità conoscitiva di Perugia e, conseguentemente, attorno alla sua vivacità culturale, vista ovviamente nel suo complesso. Se a questo si aggiunge, poi, il contributo di tutti gli altri centri dove la formazione inizia e si dipana, a cominciare da quella dell’obbligo, ebbene, si dovrebbe quasi sentire il respiro di una città che, attorno al tema della formazione, scandisce la sua esistenza nella maniera più capillare e trasversale che ci possa essere. Un unicum che attraversa trasversalmente e coinvolge la quotidianità della gente. È per questo che, di fronte a una presenza così permeante, ci si aspetterebbe un approccio, una risposta corale della città e non, viceversa, uno stillicidio di situazioni, di particolarismi,

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FocusFdi equilibrismi logistici, come la ricerca cronica di spazi adeguati o di servizi efficienti e raggiungibili. Di una piattaforma coerente di aree connesse tra loro e non occasionalmente determinate, d’infrastrutture calibrate ed equidistanti, di accorpamenti tematici che rispondano alle esigenze similari da condividere anche con più soggetti (interuniversitari e trasuniversitari), come i trasporti, la residenza, la lettura, la consultazione e lo studio o, ancora, il tempo libero, lo sport, la salute. Di luoghi da condividere con più soggetti, di dotazioni accorpate, di pluralità che cerca una base comune e condivisa per sapersi esprimere al meglio. Di questo ci sarebbe bisogno, in realtà. E, invece, attraverso la parcellizzazione miope dei ruoli e delle funzioni cui a volte si assiste, la frammentazione mortificante delle risorse e l’egocentrismo che spinge ogni singola istituzione a pensare soltanto a se stessa, troppo spesso si finisce per dimenticare la sintesi finale che, viceversa, dovrebbe essere costruita sulle fortune di ciascuna singola realtà. Dimenticando, con ciò, o sottacendo, che è giusto questa – l’Università – la vera, unica forza produttiva di Perugia. E che questa, unitamente all’immenso patrimonio storico, artistico e ambientale, costituisce la sua unica fonte di ricchezza. In mancanza di un tale patrimonio, Perugia sarebbe altrimenti priva di risorse altrettanto significative. Poca industria, poco commercio. Poco di tutto. Quel patrimonio, invece, quello sì che è affidabile; il solo fulcro, in realtà, su cui la città possa oggi contare per fare leva per innalzare davanti a sé i destini del proprio futuro.

Una forza e una ricchezza – si diceva – che, tuttavia, oggi appaiono fortemente frammentate, sostanzialmente prive di risorse dedicate e di strategie comuni; prive delle “sinapsi”, in ogni caso, capaci d’interagire nella diversità, sia con i propri punti di forza, che con quelli della collettività e, quindi, con l’intera vita cittadina.Eppure, qui si tratta di realtà e di ricchezze che, viceversa, trarrebbero ben più linfa proprio dalla diversità e dalla molteplicità degli orizzonti che ogni portatore di tali risorse è in grado di mettere in campo per sé e per tutti. Intrecciare le sorti dell’Università, della Ricerca, dei Beni culturali: è questa la piattaforma su cui si potrebbe costruire il benessere della città. Indirizzare le scelte urbanistiche a sostegno di tale piattaforma, è questo l’obiettivo prioritario verso cui tendere. Questa, ci sembra, la parola d’ordine.E allora, perché non lo si fa? Perché ogni Istituzione viaggia per conto suo? Perché non si mettono in comune le risorse per creare infrastrutture utili a ciascuno? Perché quelle che esistono non sono affatto indirizzate alla soluzione dei nodi di cui qui si parla? E, soprattutto, perché la città, per così dire, non si piega a soddisfare prioritariamente le esigenze di questi due immensi giacimenti (quello della formazione

universitaria, cioè, e quello dei Beni culturali) che, come detto, ne rappresentano i punti di forza trainanti e di maggior impatto civico ed economico? Quelli, cioè su cui si può affidare tranquillamente il destino della città e le dinamiche della sua crescita e della sua valorizzazione. Eppure, si tratterebbe di punti di forza che non “bruciano” le proprie cartucce in pochi giorni, come quelle legate a eventi pur nobilissimi e di grande impatto, quali Umbria Jazz o Euro Chocolate. Non a caso, durante il dibattito messo in piedi dalla città sul futuro di Monteluce, tali esigenze sono state in qualche modo prospettate. Un centro congressi integrato. Questa, in sintesi, la proposta. Dove la parola “congressi” definiva l’ambito d’azione degli interessi cittadini da legare alle sorti dell’Università. Delle Università. E il termine integrato stava a indicare quale approccio avrebbe dovuto avere tale organismo con la città. Le cose, come è noto, sono tuttavia andate in tutt’altra direzione: Monteluce si è proposta alla città come

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FFocus

l’ennesimo quartiere, magari d’eccellenza, ma simile in tutto e per tutto agli altri esistenti. Un po’ di abitazioni, un po’ di sanità, un po’ di commercio, un po’ di direzionalità e, per non farci mancare niente, anche un po’ di centro congressi, con un po’ d’albergo, naturalmente. Ebbene, siamo certi che il Quartiere nascerà e che sarà quello d’eccellenza, come desiderato. Sarà un organismo, tuttavia, l’ennesimo, ben lungi dall’essere capace di dare risposte strutturali proprio ai due fattori di punta della città: Università e Beni culturali. Almeno sotto questo profilo, un’occasione mancata. Eppure, avrebbe potuto rappresentare una scelta capace di dare impulso a entrambi, oltre che, ovviamente, a Perugia nel suo insieme. Trecentosessanta giorni l’anno, e non due o tre settimane. Peccato.Non v’è dubbio, tuttavia, che per far tutto ciò che qui trapela occorra un’intelligenza sovraordinata, capace di un disegno complessivo che sappia guardare ben oltre la frammentazione. Questa è materia da affidare alla politica, ovviamente; almeno per quanto attiene al dare attuazione agli indirizzi. Ma agli indirizzi chi ci pensa? Occorrerà pure che qualcuno si faccia carico delle questioni e avanzi delle proposte. Ed è in questa constatazione, in sostanza, il secondo punto di perplessità: non dovrebbe essere proprio il ruolo dell’Università quello di avanzare proposte? Di

delineare strategie e soluzioni? E se la sfera accademica rinuncia a questa prerogativa o glissa, che si fa? è possibile, in sostanza, che scelte così “pesanti” e strategiche debbano essere demandate solo al vecchio buon senso della gente? Eppure i dati, il metodo, le risorse intellettuali sono appannaggio delle Università. E, almeno sotto questo aspetto, ci si sarebbe aspettato che questioni come, ad esempio, la valorizzazione delle mura etrusche di Perugia attraverso la candidatura

Unesco o la pedonalizzazione e riuso del loro anello o la riqualificazione, sempre del muro etrusco, nell’area del Verzaro (solo per citare tre cose a me care) sarebbero passate almeno attraverso un dibattito mosso dal mondo Accademico. Così come ci si sarebbe aspettati un maggiore impegno riguardo a Monteluce o una maggiore presenza nel delineare, che so, sinergie utili a mettere, come suol dirsi, a sistema le scelte fatte dalla città, ad esempio, col minimetro.E così veniamo all’ultima proposta. O se si preferisce all’ultima provocazione.Un Campus poliuniversitario per Perugia.Visto che il minimetro è una

realtà e, per certi versi, una presenza d’eccellenza; visto che la sua credibilità e sopravvivenza sono determinate (ahimè) dai flussi di utenza, anziché dal solo fatto che è un’opera d’avanguardia; viste, infine, le considerazioni fin qui condotte circa la necessità delle Università perugine di fare sistema, se non altro, accorpando servizi e ottimizzando dinamiche; allora, non potendo tornare probabilmente all’area di Monteluce, oggi impegnata a costruirsi un’identità tutta

da inventare, perché non pensare a Pian di Massiano come collettore degli interessi comuni a tutte e cinque le Università perugine?Un Campus. Al di là del luogo che è opinabile, ovviamente, anche se molto bene agganciato, come si vedrà appena appresso, a ragioni di opportunità, è questa la riflessione che vorremmo proporre, se non altro, per

innescare un dibattito costruttivo. Esprime, cioè, l’istanza di dotare la città di Perugia di un’area fortemente dedicata, a disposizione della popolazione che gravita attorno all’industria del sapere e che sia capace di quella sintesi che i singoli organismi, per se stessi, non sono stati in grado di proporre. Residenza, sport, tempo libero e tutto ciò, di cui si è accennato, e che esprima un valore condivisibile per tutti. Un centro di vita universitaria da far confluire, sostanzialmente, alla base del minimetro e capace di diventare un collettore di scambio per tutti i luoghi didattici disseminati all’interno di ciascun Ateneo e tra Ateneo e Ateneo.

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ALTRO CANTOAC

doPo iL diPLoma coSa faccio? Le SceLte degLi Studenti umbri

Settembre, mese di scelte per gli studenti postdiploma. Il primo bivio è: “Continuo il percorso di studi o provo ad entrare subito nel mondo del lavoro?”. Gli studenti che hanno appena terminato l’esame di maturità, dopo una breve vacanza, sono posti dinnanzi a questa scelta: per alcuni sarà facile per altri meno, per altri occorrerà guardarsi allo specchio e riflettere sul proprio futuro. Proprio per coloro che sono intenzionati a proseguire il loro percorso di studi la mappatura dell’istruzione è ampia: si parte dalla classica università, ma vanno messi nel carnet anche l’ITS, l’Istituto Tecnico Superiore, l’Istituto Italiano di Design e tutti i corsi di formazioni gratuiti e a pagamento promossi dalla Regione.Università. La prima scelta rimane ancora lei, nonostante i cali vistosi delle immatricolazioni degli ultimi anni. L’Università di Perugia conta 11 Facoltà, Agraria, Economia, Farmacia, Giurisprudenza, Ingegneria, Lettere e Filosofia, Medicina e Chirurgia, Veterinaria, Scienze della Formazione, Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Scienze Politiche. I dati sugli iscritti totali

parlano di 2.127 iscritti in meno nell’anno accademico 2011/2012 rispetto a quello precedente, con un calo del 7,8%. I numeri sono diversificati da facoltà a facoltà. Il calo più importante in percentuale lo fa registrare Lettere e Filosofia, che sfiora un -20%, seguita da Scienze politiche (-15,8%). Sorprendentemente calano del 10% anche Economia e Ingegneria, più di Farmacia e Giurisprudenza (rispettivamente -8,6% e -7,6%). Perde studenti anche Agraria, ma solo 20 unità. Le uniche facoltà con iscritti in crescita sono Veterinaria (6 studenti in più) e Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali (quasi un +4%). Per il 2012/2013 le proiezioni non sembrano migliorare, la crisi economica in atto non giova sicuramente a favore di una ripresa degli iscritti, ma l’Università rimane comunque la più grande azienda dell’Umbria e un patrimonio da tutelare.L’Istituto Italiano Design. è uno fra i principali istituti di livello universitario e postdiploma nel panorama della formazione italiana ed europea nei settori della creatività per eccellenza: design, moda, arredamento, web e comunicazione visiva. Gli studenti vengono affiancati

nel percorso che li condurrà a diventare altamente qualificati e capaci di seguire il progetto in ogni sua fase. Viene trasmesso un metodo operativo in grado di rispondere alle esigenze del cliente e del mercato, si stimola la formazione culturale e critica necessaria per interpretare il gusto del tempo e anticiparne le tendenze. I corsi riguardano l’industrial design, l’interior design, la grafica, la comunicazione sul web, il fashion design – che si fanno combinando tecnologia, novità, invenzione e visione intesa come proiezione sul domani. Per questo si valorizzano i collegamenti tra le varie materie con un metodo interdisciplinare unendo teoria e pratica, cultura e aspetti tecnici. Alle lezioni teoriche sono sempre affiancate esercitazioni, workshop e laboratori, partecipazioni a concorsi ed eventi culturali. I docenti sono professionisti affermati, preparati dal punto di vista culturale e didattico, ma con l’esperienza di chi ha messo a frutto la teoria operando sul campo. Garantiscono perciò un insegnamento sempre aggiornato, concreto oltre che teorico, e sono un punto di collegamento con le

di Barbara Maccari

questo è il periodo di scelte per gli

studenti postdiploma che

devono adottare il profilo più idoneo alle loro esigenze: per

alcuni sarà facile, per altri

meno, per altri occorrerà guardarsi allo specchio e

riflettere sul proprio futuro.

ALTRO CANTO

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AC

aziende e il mondo del lavoro. Per assicurare la massima attenzione ad ogni allievo, i corsi sono a numero chiuso, con massimo 15 allievi per classe. Tutti i corsi dell’Istituto Italiano Design rispondono ai requisiti richiesti dalla legge 845/78, che regolamenta il settore della formazione professionale. I corsi durano due anni più uno di specializzazione. Requisito minimo di accesso al primo anno è il diploma di maturità. Tuttavia chi ha maturato un’adeguata esperienza didattica o professionale può chiedere una valutazione personale ed, eventualmente, di essere inserito ad un anno successivo al primo. I corsi iniziano a fine ottobre, terminano a giugno e sono con obbligo di frequenza. Al termine di ogni anno di corso una commissione di nomina regionale svolgerà un esame di valutazione per il rilascio dell’attestato di qualifica professionale e dopo la formazione, la pratica sul campo con un periodo di tirocinio in azienda o in studio. La sede è a Perugia.ITS. Gli Istituti Tecnici Superiori sono strutture speciali di alta tecnologia costituite con l’intento

di riorganizzare il canale della formazione superiore non universitaria. Gli ITS sono stati introdotti nell’ordinamento nazionale dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 gennaio 2008 e offrono la possibilità di

conseguire il Diploma di Tecnico Superiore, con conseguente accesso al mondo del lavoro nell’ambito del settore di specializzazione. Ma anche la possibilità di proseguire gli studi all’Università per il conseguimento del titolo di laurea con appositi CFU riconosciuti al termine del percorso biennale degli ITS (come previsto dalla legge 240/2010 di riforma universitaria). All’ITS si accede per selezione allo scopo di accertare un alto potenziale di competenze di base tecniche e tecnologiche, una adeguata conoscenza della lingua inglese di alto livello e una competenza informatica avanzata. Ci sono sei aree tecnologiche degli ITS: efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie della vita, nuove tecnologie per il “Made in Italy” (meccanica, moda, alimentare, casa, servizi alle imprese), tecnologie innovative per i beni e le attività culturali, tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Gli Istituti Tecnici Superiori costituiti sono 57 e l’Umbria ne ha uno con sede a Perugia. La durata degli ITS è

di 4 semestri per 1800/2000 ore didattica in laboratorio, tirocini obbligatori per almeno il 30% del monte orario complessivo, anche all’estero. Possono accedervi giovani e adulti in possesso di un diploma di istruzione secondaria superiore previo superamento di prove per l’accesso in relazione ai posti disponibili. Il titolo finale che viene conseguito è quello di “Diploma di Tecnico Superiore” con l’indicazione dell’area tecnologica e della figura nazionale di riferimento (V livello del Quadro europeo delle qualifiche – EQF). Corsi formazione. Un tema a parte è rappresentato dai corsi di formazione, in questo caso la regola d’oro è che siano riconosciuti ed autorizzarti dalla Regione, altrimenti si rischia la truffa come è accaduto recentemente a Foligno quando il Nas dei carabinieri ha scoperto corsi falsi per operatore sanitario con una frode da 140 mila euro e 3 denunciati. Sul portale della Regione Umbria esiste il catalogo unico regionale dell’offerta formativa individuale che raccoglie tutti i corsi di formazione proposti nell’ambito del territorio regionale per i quali è previsto al termine il rilascio di un attestato secondo quanto previsto dalla normativa regionale vigente (frequenza, frequenza con profitto, qualifica). Il catalogo è diviso in due, quello relativo alla provincia di Perugia e quello relativo a quella di Terni. La scelta è ampia, si va dal corso di lingua a quello di contabilità aziendale ordinaria, dal montaggio video per cinema e tv a quello di insegnante di autoscuola, da ricostruzione unghie a pizzaiolo.

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Studenti/DocentiS/D

Prevista dal programma HyMeX la campagna denominata SOP (Special Observing Period) vuole studiare, attraverso l’utilizzo di modelli numerici e di differenti stru-menti per osservazioni locali e remote, i sistemi meteorologici in grado di produrre forti piogge e alluvioni, in particolare nelle aree montuose vicine alle coste. HyMeX mira ad approfondire l’indagine su un’area estesa, interessandosi in particolare della formazione di intensi sistemi convettivi (forti temporali organizzati e insistenti a lungo su una determinata località) in grado di provocare in breve tempo alluvioni devastanti. Dopo un’intensa attività di preparazione, coordinata dal Dott. Silvio Davolio dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC), anche l’Italia si prepara a partecipare alla fase culminante del progetto che terminerà a novembre. Diversi istituti del CNR (ISAC, IBIMET, IRPI, IMAA, ISMAR) partecipano alla cam-pagna con altri enti nazionali (CETEMPS, CIMA, ENEA, ISPRA) e diverse Università (Padova, La Sapienza, Parthenope, Basilicata), numerosi servizi meteorologici e centri funzionali regionali e il Dipartimento della Protezione Civile Nazionale.

Presso la sede della Confindustria di Perugia si svolgerà il 5 ottobre dalle ore 15:00 uno workshop sul tema della vali-dazione dei progetti illustrando il ruolo del project management nella proget-tazione dei sistemi di gestione e della certificazione degli studi di progettazio-ne. Verranno illustrate le modalità della qualificazione dei soggetti interessati per la verifica di progetto ai fini della valida-zione. Di seguito verranno presentate le novità introdotte dal nuovo regolamento DPR 207/2010 in vigore dal 08/06/2011 di esecuzione del decreto legislativo del 12 aprile 2006, n .163 concernente il codice dei contratti pubblici ed in partico-lare l’attività di verifica del progetto e sua validazione ai fini dell’idoneità all’appal-to delle opere pubbliche. L’obiettivo è quello di approfondire come la verifica e la conseguente validazione del progetto possano avvenire in concomitanza con lo sviluppo della progettazione e siano effet-tuate, a seconda degli importi, da strut-ture tecniche della stazione appaltante, studi di ingegneria o enti abilitati.

a Settembre inizia La camPagna internazionaLe di miSure meteoroLogiche e idroLogiche

convegno SuL Project management, organizzato daLLa facoLtà di ingegneria