TUTTO IN UN GIORNO - maccioni.files.wordpress.com · veramente farmi cambiare, forse avevo trovato...

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Storie di adolescenti 1 Tutto in un giorno (Carla Secchi) Cara Cheryl, Per l'ennesima volta mi sento sola. E la mia autostima svanisce lentamente. La mia vita fa pena, il mio corpo è indecente, e io? Io sono inutile. Nessuno mi accetta per quello che sono; e tanto meno nessuno vuole il mio aiuto. A volte penso a come sarebbe la vita delle persone che conosco senza di me. E se morissi? Chi penserebbe a me? Una migliore amica che non esiste? Quante persone piangerebbero per me? Molta gente dice di non cambiare per gli altri… Però, quando si inizia ad avere una vita difficile, fatta di solitudine e sangue… Forse per star meglio c'è bisogno di cambiare. Addio, Cher Mi alzai di scatto dalla sedia; con le spalle rigide rilessi quella pagina, l’ultima scritta sulla mia cara amica Cher. Forse l'unica che riusciva a capirmi. Ma se ci penso quell'amica ero io, perché lei sapeva tutto di me, ma lei non era viva. Scacciai via i pensieri, e lasciai cadere la mia vecchia amica nella fossa che avevo scavato nel terreno umido del giardino. Ritornai dentro casa, ed entrai nella mia camera. Le mie lacrime scendevano come piccole fiammelle che mi bruciavano le guance. Alzai i polsi e li osservai. Quei tagli profondi facevano male, un male non percepibile, un male mentale. Una crisi di rabbia, una delle tante di quel periodo, mi assalì. Strappai tutti i poster e le foto attaccati alle pareti rosate. Aprii l'armadio violentemente, presi e lacerai tutti quegli abiti infantili, che mi facevano sentire bambina e io ero stanca di essere trattata come tale. Mi diressi davanti allo specchio.

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Storie di adolescenti

1

Tutto in un giorno (Carla Secchi)

Cara Cheryl, Per l'ennesima volta mi sento sola. E la mia autostima svanisce lentamente. La mia vita fa pena, il mio corpo è indecente, e io? Io sono inutile. Nessuno mi accetta per quello che sono; e tanto meno nessuno vuole il mio aiuto. A volte penso a come sarebbe la vita delle persone che conosco senza di me. E se morissi? Chi penserebbe a me? Una migliore amica che non esiste? Quante persone piangerebbero per me? Molta gente dice di non cambiare per gli altri… Però, quando si inizia ad avere una vita difficile, fatta di solitudine e sangue… Forse per star meglio c'è bisogno di cambiare.

Addio, Cher

Mi alzai di scatto dalla sedia; con le spalle rigide rilessi quella pagina, l’ultima

scritta sulla mia cara amica Cher. Forse l'unica che riusciva a capirmi. Ma se ci

penso quell'amica ero io, perché lei sapeva tutto di me, ma lei non era viva.

Scacciai via i pensieri, e lasciai cadere la mia vecchia amica nella fossa che

avevo scavato nel terreno umido del giardino.

Ritornai dentro casa, ed entrai nella mia camera.

Le mie lacrime scendevano come piccole fiammelle che mi bruciavano le

guance. Alzai i polsi e li osservai. Quei tagli profondi facevano male, un male

non percepibile, un male mentale.

Una crisi di rabbia, una delle tante di quel periodo, mi assalì. Strappai tutti i

poster e le foto attaccati alle pareti rosate.

Aprii l'armadio violentemente, presi e lacerai tutti quegli abiti infantili, che

mi facevano sentire bambina e io ero stanca di essere trattata come tale.

Mi diressi davanti allo specchio.

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Guardavo la mia immagine.

Perché dovevo cambiare per gli altri?

Perché non avevo nessuno?

Eppure tantissime persone mi reputavano intelligente, ma nessuno mi voleva

lo stesso.

Ero sola dentro la stanza, mi sentivo sola dentro.

Aprii lo scomparto segreto dello specchio; tirai fuori la lametta, che al

contatto con la luce brillò; strinsi il pugno della mano sinistra e spingendo

sopra una delle cicatrici, vidi altro sangue uscire.

Mi risvegliai dalla ca…ta che avevo appena fatto e corsi in bagno, a

sciacquarmi la ferita.

Era un pomeriggio estivo, quando rubai il portafoglio di mia madre, e uscii a

comprarmi i nuovi vestiti della mia nuova vita. La mia vita che forse era più

sbagliata di quella di prima. Ma magari qualcuno mi avrebbe accettato per

quello che non sono.

E se ciò non fosse accaduto... Che cosa avrei dovuto fare?

Riniziò la scuola.

Mi guardai allo specchio, prima di uscire da casa.

Osservai, per l'ennesima volta, quei tagli che sarebbero stati lì per sempre.

Una canotta in pizzo che non nascondeva granché del mio busto, un jeans

tutto strappato, ed il trucco pesante che nascondeva gli occhi blu come il

mare.

Questo era il mio nuovo essere? Era un essere sbagliato o giusto? Avevo

deciso di avere un contegno diverso dal solito, di mostrarmi gentile e felice.

C'era bisogno di scendere a livelli così bassi per piacere alla gente?

Venni richiamata da mia madre che mi portò a scuola. Varcai il cancello

d'entrata, tutti mi fissavano. In quell'estate ero cambiata.

Sentii un gruppo di ragazze che mi chiamava e mi fischiava. “Ehi, Annie!

Vieni qua!”, mi urlavano.

Le raggiunsi.

Mi suonava strano essere vicino a loro, ed avevo tanta paura, ma non la diedi

a vedere. Non avevano una bella storia alle spalle, ma io dovevo cambiare,

no? Anche se non era una bella strada, forse sarei stata accettata da qualcuno.

“Ehi, sei così cambiata… Cos'è successo?”, mi risvegliò dal mio mondo di

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dubbi Ronnie, una del gruppo.

Cancellai dalla mente tutti i piani fatti in precedenza: la mia coscienza mi

proibiva quella via.

“Ho deciso di cambiare”, dissi fredda, per poi girarle le spalle.

Mi prese per il braccio e mi avvicinò a sé, con tono di sfida.

Che cosa aveva contro di me?

“Dove vuoi andare?”

“Voglio cambiare, ma voglio anche una vita pulita.”

“Anche la nostra è pulita… Solo che è più facile rispetto a quella

tranquilla…”, disse, porgendomi una sigaretta.

Volevo davvero cambiare, ma non in quel modo. Non volevo più tagliarmi, e

forse quegli affari non erano così male. La presi e la accesi. Un paio di colpi di

tosse, e tutte iniziarono a ridere, compresa me.

Illudevo me stessa, ridevo per stare al gioco, ma non volevo questo.

Ripresi il controllo, gettai la sigaretta a terra, la calpestai. “Non voglio questa

vita”, ripetei con tono freddo.

Suonò la campana, e mi diressi al portone.

Ronnie mi fermò. “Volevi cambiare, e ti farò cambiare”, disse, per poi

andarsene.

Perché proprio me?

Su centinaia di ragazzini, perché proprio me? Una ragazzina sfigata, che

voleva cambiare.

Sparii dentro l'edificio grigio.

Entraii in classe, con tutti i miei compagni che mi fissavano.

La professoressa mi guardò di traverso. “Green, è in ritardo! E per di più il

suo abbigliamento è assolutamente inadeguato”.

In effetti, entrare in classe con il petto mezzo nudo non è il massimo, ma non

diedi retta a quella vecchia signora. Le voltai le spalle senza ascoltare.

Non avevo mai mancato di rispetto a una professoressa.

Cosa mi stava accadendo?

In quelle ore pensai a Ronnie, e alla mia scelta. Forse a lei interessava

veramente farmi cambiare, forse avevo trovato finalmente il mio punto di

riferimento, un'amica, la mia prima amica in carne ed ossa; o forse era solo

una ragazza che voleva avere il controllo sugli altri, una ragazza rude, in

cerca di prede ingenue, che mi voleva rovinare, che cercava la vittima perfetta

su cui far ricadere le colpe.

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Assaporavo quel poco che era rimasto di quel tiro, eppure non era male,

all'inizio faceva schifo, ma pian piano pareva cioccolato amaro, avevo un po’

di capogiro, però ne volevo ancora..

Uscii da scuola e avevo ancora voglia di quel “cioccolato”. Cercai ansiosa

Ronnie.

La vidi dietro un muretto, e corsi verso di lei.

“Hai cambiato idea?” disse, di nuovo, con tono di sfida.

“Ok, hai ragione. Devo cambiare”, dissi, decisa della mia scelta sbagliata.

Mi porse un’altra sigaretta, e io frettolosa la presi e l'accesi. La mia voglia

sparì.

“Stasera ti aspetto al vecchio mercato”.

Annuii, e girai l'angolo andando via.

Sentivo ancora le voci di Ronnie e del ragazzo che era a fianco a lei.

“Un'altra stupida c'è cascata”.

E sentii ridere il ragazzo.

Avevo ragione. Di me non le interessava nulla.

Ritornai a casa, delusa. Mi sorse una delle mie tante domande.

Che cosa ho fatto?

Mia madre mi chiamava per pranzo, e senza darle ascolto mi chiusi a chiave

in camera.

Ritornai davanti al mio stalker. La mia figura imperfetta, così odiosa. Allora la

ruppi.

Ruppi la mia immagine.

Un colpo forte e cadde a terra, riflettendo il mio corpo in tanti piccoli

brandelli.

Scoppiai in un pianto liberatorio, pieno di domande senza risposta e dolore.

Mio padre tornò da lavoro dopo pranzo, e come suo solito salì in camera a

salutarmi. Lui non sapeva dei miei tagli, perché li nascondevo sempre sotto

dei polsini, che il giorno avevo dimenticato di indossare.

Mi vide piangere, e vide anche le cicatrici e il segno del mio ultimo taglio.

Mi tirò uno schiaffo, perché lo aveva fatto? Mi fidavo di lui e credevo mi

avesse capito... Ma no, non ero nessuno neanche per lui.

Continuai a piangere, e allora scappai.

Corsi verso il parco, e lungo la strada, mentre già mi calmavo e iniziavo a

rallentare, mi scontrai contro un ragazzo.

Storie di adolescenti

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Rimasi sbalordita dai suoi occhi.

“Ehi?! Stai bene?!” mi chiese gentilmente.

“Sì, stai tranquillo” risposi un po’ fredda…

“Sicura? Stavi piangendo… Vuoi parlarne?”. Era così dolce...

“Perché dovrei parlare con uno sconosciuto?!”

“Perché non sembra che la gente ti ascolti tanto...”, affermò serio. Doveva

aver notato i miei polsi…

Mi sedetti con lui su una panchina, ormai rassegnata. E iniziai a raccontare la

mia vita a un perfetto sconosciuto, della mia età, probabilmente. Era un

ragazzo dagli occhi color cielo e un po’ basso.

Mi mostrò anche lui i suoi polsi, dove si notavano delle piccole linee, simili

alle mie. Anche lui era vittima dell'autolesionismo.

Avevamo storie simili… E iniziò a parlare anche lui. Il dolore ci

accomunava...

Si fece sera, e decisi di andare.

“Grazie per avermi ascoltato...”, dissi sorridendo. “Di niente”, mi sorrise.

Voltai le spalle e feci per andarmene, poi mi girai di nuovo e dissi:

“Comunque, piacere, Annie”. “Piacere, Niall”.

Uscii dal parco, e notai che cercava di raggiungermi di corsa. Mi bloccai e lo

aspettai.

“Ti accompagno a casa?”

“Ok…”

Non avevo mai dato fiducia a qualcuno mai visto, conosciuto un paio d'ore

prima. Passammo davanti al vecchio mercato, da cui vidi uscire Ronnie. Mi

ero scordata di lei.

Vedendo la sua faccia mi venne voglia di fumare, di nuovo.

“Ehi, perché non sei venuta?!” disse un po’ scocciata.

“L'ho dimenticato, e in ogni caso non penso sarei venuta lo stesso, non

dipendo da te”.

“Senti, cara, non sfidarmi. Volevi cambiare e io ti voglio aiutare. Sei entrata

nel giro, e non puoi uscirne; perciò vieni con noi”.

“Ti sbagli: io non sono entrata in nessun giro, e ho deciso di non cambiare

più, perciò ti ripeto che non dipendo da nessuno, tanto meno da te”.

Mi prese per il braccio e cercò di portarmi via.

“Ma cosa vuoi da me?”, urlai, opponendo resistenza. “Ti ho solo ascoltata,

ma non ho deciso nulla, perciò non sono entrata in nessun giro.”

Storie di adolescenti

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Improvvisamente, Niall spinse Ronnie.

“Ehi, è per lui che sei cambiata?!”

“Lui mi ha ascoltato, cosa che non avresti fatto tu… Mi avresti solo convinto a

mettere un velo sopra i problemi, ma non ad affrontarli”.

Continuai a camminare, e Niall era al mio fianco.

Arrivammo a casa mia e lo salutai.

“Io sono arrivata” dissi. “Seriamente abiti qua?”

“Sì, perché?”

“Io mi sono appena trasferito in quella casa…”, esclamò, indicando quella a

fianco alla mia.

“Da quando quella casa era in vendita?” dissi stupefatta.

“Da circa un mese, e io sono arrivato stamattina con i miei genitori..”

“Non me ne ero accorta; vabbè, questa mattina ero a scuola, quindi.. Dai, io

devo andare… ci sentiamo..”. Sorrisi, ed entrai in casa.

Mi rivenne voglia di fumare, quindi andai in salotto, aprii il cassetto della

madia, sfilai una sigaretta dal pacchetto nascosto di mio padre (che di tanto

in tanto fumava) e andai in camera mia.

Aprii la botola del soffitto, e uscii sul tetto. Presi l'accendino e iniziai a

fumare. E, di nuovo, la voglia svanì.

Vidi uscire, nel tetto della casa a fianco, un ragazzo.

Era Niall.

“Ehi, che ci fai qua?”, mi chiese felice. “Sono uscito per vedere il panorama di

sera, che ne dici di buttare quella sigaretta?”. “Prima la finisco”, risposi un

po’ nervosa.

Si avvicinò, e si sedette al mio fianco.

Finii di fumare, e gettai il mozzicone giù dal tetto.

“Bello quassù, eh?”, dissi felice della compagnia.

Il ragazzo biondo annuì.

Ero stanca morta quando tornai dentro casa.

Mio padre entrò in camera per scusarsi per ciò che era accaduto prima, ma

come sentì il fastidioso odore del fumo mi colpì in pieno volto.

Di nuovo.

“Devo sapere altro!? Vuoi farmi ancora del male!?”, gridò ormai in lacrime. E

istintivamente lo abbracciai.

Storie di adolescenti

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Mi strinse forte a sé.

Quell'abbraccio forte pareva eterno.

Era capitato tutto in un giorno, voglia di cambiare, prime sigarette, primo

vero amico, Ronnie, mio padre. Tutto in un solo giorno.

La mattina dopo tornai a scuola. Ronnie non mi parlò, forse aveva capito che

non ero facile da gestire. Non mi parlò più per vari mesi; e nel mentre, io

continuavo a parlare con Niall, divenimmo grandi amici, forse più che amici.

Un giorno eravamo sul tetto, il nostro posto dolce e romantico, e… sì, ci

baciammo.

Seguirono vari periodi nei quali lui diceva di dover partire, perciò non lo

vedevo per qualche giorno o settimana.

Poi un giorno mi arrivò una telefonata.

-Pronto?-

-Annie?-

-Sì, chi parla?-

-Sono la madre di Niall-

-Buongiorno, signora, mi dica-

La signora iniziò a piangere.

-Sta bene?- chiesi dolcemente.

-Niall…-

-Niall?- chiesi, allarmata.

-E' volato- disse, interrompendo la telefonata.

Sentii il mondo crollarmi addosso.

Tutte le mie illusioni erano scivolate giù.

Era andato via.

Piansi, piansi… Ma era inutile, niente me lo avrebbe ridato.

La sera andai dalla madre. Mi aprì la porta e mi abbracciò. Ci sedemmo in

salotto.

“Sai… Niall aveva un grande problema… E immagino che non te ne abbia

mai parlato, era fatto così... Non voleva far soffrire gli altri per i suoi

problemi”.

Ormai quella madre sola, senza marito e senza nessuno, aveva finito le

lacrime, non aveva più forze.

Storie di adolescenti

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“Era affetto da una malattia che lo ha rapito”.

Ero sconvolta e riniziai a piangere.

Un mese dopo…

“Mi dispiace per il tuo amico”, disse Ronnie avvicinandosi a me.

Continuai a spalle dritte per la mia strada.

Ero di nuovo sola, ero tornata la sfigata di sempre.

Non volevo essere così. Mi girai verso la ragazza: “Mi dai un'altra

possibilità?”. “Andiamo”, rispose fredda.

La seguii consapevole del mio errore, ma cos'altro avevo da perdere?

Passarono giorni, settimane e mesi.

Era la sera del mio compleanno.

Del mio ultimo compleanno.

Perché la mia vita non durò molto. Solo vent'anni.

Mio padre non mi parlò più, e allora me ne fregai anche di lui.

Andai a festeggiare il mio compleanno a una festa clandestina, organizzata

da Ronnie. La musica era assordante. Tirai fuori dalla tasca dei jeans la solita

bustina contenente anfetamina, assunsi la pillola e la buttai giù con un po’ di

gin. Mi aiutava a dimenticare, a coprire i problemi. Rendeva il mio corpo

(apparentemente) perfetto

Si sentirono le sirene avvicinarsi.

Ronnie mi prese il braccio, e mi mise alla guida della macchina, lei era troppo

ubriaca, e anche io.

Misi in moto e partimmo.

Forse accelerai troppo, forse fu la droga a farmi perdere i sensi, o forse fu solo

destino.

Il fumo avvolgeva ormai i nostri cadaveri.

Una lacrima rigò il mio volto.

E i miei occhi color mare si chiusero.

Il vuoto che mi aspettava era infinito.

Perché l'ho fatto?

Perché ho iniziato?

FINE