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progetto didattica in rete o o t t e g t e r n i a c i t t a d i d Politecnico di Torino, maggio 2006 Dipartimento di Ingegneria aeronautica e aerospaziale Fluidodinamica ambientale turbolenza e dispersione Claudio Cancelli, Maurizio Boffadossi, Pietro Salizzoni OTT EDITORE

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Politecnico di Torino, maggio 2006Dipartimento di Ingegneria aeronautica e aerospaziale

Fluidodinamica ambientaleturbolenza e dispersione

Claudio Cancelli, Maurizio Boffadossi, Pietro Salizzoni

OTT EDITORE

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FLUIDODINAMICA AMBIENTALEturbolenza e dispersione

Claudio Cancelli

Maurizio Boffadossi

Pietro Salizzoni

Otto Editore - Via G. Garibaldi 5 - 10122 Torinowww.otto.to.it

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Claudio Cancelli, Maurizio Boffadossi, Pietro SalizzoniFluidodinamica ambientale – Turbolenza e dispersione

Prima edizione maggio 2006

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato,compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

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INDICE

1. Correnti turbolente 71.1. considerazioni preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.2. lineamenti delle correnti turbolente . . . . . . . . . . . . . . . 19

1.3. la turbolenza come moto autoeccitato . . . . . . . . . . . . . 44

2. Statistica delle correnti turbolente 612.1. descrizione statistica delle correnti turbolente . . . . . . . . . 62

2.2. qualche elemento di dinamica della turbolenza sviluppata . . . 86

2.3. appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106

3. Equazioni mediate. Modelli euleriani di dispersione 1093.1. equazioni di bilancio mediate . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110

3.2. modelli euleriani di diffusione turbolenta . . . . . . . . . . . 124

3.3. trasporto turbolento di quantità di moto . . . . . . . . . . . . 148

3.4. utilità della previsione dei valori medi diconcentrazione . . . 156

4. Lineamenti di meccanica dell’atmosfera 1694.1. condizioni statiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170

4.2. convezione naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178

4.3. configurazioni di moto di grande scala . . . . . . . . . . . . . 204

4.4. correnti termiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236

4.5. sistemi d’onda in un fluido stratificato . . . . . . . . . . . . . 247

4.6. appendici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253

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5. Dinamica dello strato limite 2655.1. energia cinetica turbolenta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266

5.2. leggi di similitudine per lo strato limite . . . . . . . . . . . . 284

6. Dispersione e deposizione di inquinanti 3036.1. morfologia dei pennacchi e dinamica degliinquinanti . . . . . 304

6.2. deposizione di inquinanti sul suolo . . . . . . . . . . . . . . . 328

7. Strumenti di calcolo 3557.1. classificazione dei modelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 357

7.2. modelli gaussiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 364

7.3. modelli per il calcolo delle variabili meteorologiche . . . . . 376

7.4. modelli euleriani alle differenze o ai volumi finiti . . . . . . . 379

7.5. metodi lagrangiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 380

8. Metodi e strumenti di misura 3858.1. metodi di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 386

8.2. strumenti di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 396

9. Dispersione di inquinanti in ambiente urbano 4139.1. introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 414

9.2. elementi di climatologia urbana . . . . . . . . . . . . . . . . 416

9.3. scale spaziali caratteristiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 419

9.4. un cenno alle reazioni chimiche . . . . . . . . . . . . . . . . 430

A. Le equazioni della fluidodinamica 437A.1. introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 437

A.2. l’equazione di bilancio per una generica variabile . . . . . . . 439

A.3. l’equazione di conservazione della massa . . . . . . . . . . . 439

A.4. l’equazione di bilancio della quantità di moto . . . . . . . . . 440

A.5. l’equazione di bilancio dell’energia meccanica . . . . . . . . 443

A.6. l’equazione di bilancio dell’energia . . . . . . . . . . . . . . 445

A.7. lo stato termodinamico ed il quadro conclusivo delle equazioni 446

A.8. l’umidità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 448

B. La classificazione di Pasquill 451

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PREFAZIONE

Nel dominio della meteorologia applicata, sempre maggior interesse è rivoltoalla modellistica di dispersione di inquinanti, sia per gli oggettivi rischi sa-nitari connessi, sia per l’attuazione dei provvedimenti amministrativi volti alrispetto dei limiti imposti dalla normativa europea. Ciò comporta la necessi-tà di formazione per tecnici e ricercatori a vario titolo coinvolti nelle attivitàdi previsione, monitoraggio e mitigazione dell’inquinamento atmosferico, mala complessità della materia rende la didattica italiana decisamente povera dipunti di riferimento.

Questo lavoro, frutto dell’esperienza di alcuni tra i colleghi più competenti inmateria di fluidodinamica ambientale oggi attivi in Italia, vuole colmare talelacuna.

Turbolenza e dispersione è l’ideale seguito di Fluidodinamica ambientale,pubblicato sempre da questo Editore nel 2003. Questo nuovo testo, attraversouno stile sufficientemente discorsivo per chiarire i concetti dal punto di vistadescrittivo, ma rigoroso sotto il profilo della trattazione matematica, forniscegli strumenti conoscitivi utili a orientarsi nel vasto e complesso campo dellaturbolenza, con particolare attenzione ai moti atmosferici.

Dopo la presentazione dei fondamenti concettuali della materia, sono descrittele peculiarità incontrate nello studio di correnti di interesse ambientale, sia ascala locale, sia a scala sinottica. Infine vengono proposti tre capitoli con untaglio maggiormente applicativo, dedicati alla presentazione dei più diffusimodelli di calcolo oggi disponibili, alla strumentazione per la misura dellevariabili meteorologiche necessarie allo studio dei processi di dispersione, eall’ambiente urbano.

Quest’ultimo capitolo rappresenta una novità, in quanto - pur rimanendo inun ambito descrittivo - presenta le più recenti acquisizioni frutto di indaginifluidodinamiche condotte per via numerica e sperimentale, finalizzate alla ge-

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nerazione di codici di calcolo per la simulazione dei fenomeni di dispersionedi inquinanti in geometrie complesse.

Non ho dubbi che queste pagine saranno di guida per una nuova generazionedi ricercatori e professionisti delle scienze ambientali chiamati a contribui-re alla soluzione dei gravi problemi di inquinamento che affliggono il nostroterritorio.

Luca Mercalli

Presidente Società Meteorologica Italiana

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1. CORRENTI TURBOLENTE

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1. CORRENTI TURBOLENTE

Fig. 1.1 – Schizzo di Leonardo.

1.1. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Accade spesso che le correnti di fluido mostrino lineamenti così variabili eirregolari da far disperare chiunque voglia prevederle per via matematica, op-pure descriverle con un numero limitato di misure. Non è necessario trovarsiin laboratorio per osservare il fenomeno; la presenza di impurità, che agisco-no da traccianti, può rendere avvertibile il carattere contorto e continuamentemutevole delle configurazioni anche in molte situazioni naturali - nel gettoemesso da una ciminiera, o nella regione a valle di una rapida, tanto per citareun paio di casi. È difficile dire che cosa esattamente l’occhio colga di que-ste correnti, o il cervello vi sovrapponga con la sua capacità di proiezione; lelinee di corrente e le traiettorie non coincidono e le figure percepite si van-no di continuo trasmutando. Eppure, può accadere che qualcuno afferri degliaspetti essenziali del campo di moto e li restituisca in uno schizzo di straor-dinaria intuizione. In un famoso disegno di Leonardo, riprodotto in fig. 1.1, è

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1. CORRENTI TURBOLENTE

rappresentato lo sbocco di una condotta in una vasca, o in qualcosa di simile,e il moto complesso che ne consegue. Le linee tracciate hanno un significa-to sfuggente, in termini rigorosi di cinematica, ma il loro groviglio trasmettealcune informazioni basilari. Vi è l’idea di una scala geometrica esterna - sinoti il largo giro del vortice che circonda il tutto; vi sono rappresentati muli-nelli di scala più piccola portati in braccio, per modo di dire, da quello di scalamaggiore; vi è, infine, il perdersi di struttura nel ribollire della zona interna,ove con l’affinarsi delle scale1 va scomparendo qualsiasi forma riconoscibileo senso di rotazione privilegiato.Quello che lo schizzo non può riprodurre - ma forse fa intuire - è che la se-quenza nel tempo delle figure presenta anch’essa una contaminazione di aspet-ti ordinati e casuali. Alcuni lineamenti vengono, grosso modo, ripetuti; altrivariano in modo irregolare. La scala geometrica esterna del campo rimarrà al-l’incirca costante, poiché dipende dalla dimensione trasversale della vasca. Alsuo interno continueranno a sussistere strutture vorticose di scala più piccola,in accordo con quello che è un tratto qualitativo tipico delle correnti turbolen-te: la presenza di un insieme di figure riconoscibili di scala geometrica diversae la perdita di ordine che accompagna la progressiva diminuizione delle sca-le. Se un osservatore volesse tuttavia mettere a fuoco aspetti non qualitativi- se volesse, ad es., stabilire la posizione reciproca dei vortici di scala piùpiccola - non potrebbe che constatare che la configurazione del sistema si pre-senta sempre diversa, variabile secondo una successione non prevedibile; perquanto abbia osservato la sequenza delle configurazioni per un tempo lungoad arbitrio, non sarà in grado di prevederne una futura. Inoltre, più si rivolge

1Nel linguaggio usuale il concetto di scala è associato a quello di similitudine; quando si diceche due figure hanno una scala diversa, si intende implicitamente che possono essere ricondottel’una all’altra modificandone le lunghezze in un rapporto costante. Nella descrizione delle cor-renti turbolente non è scontato che il nesso tra i due concetti sia così stretto, sebbene con moltaprobabilità lo sia stato in origine. In effetti, uno dei presupposti della teoria della turbolenzaomogenea e isotropa è che qualsiasi particolare di un campo turbolento, debitamente ingran-dito, risulti indistinguibile dalla configurazione intera, perché appare come una delle possibilirealizzazioni di questa; quindi, in questo particolare significato, le diverse scale si possono con-siderare simili. Non tutti gli aspetti delle correnti reali, tuttavia, possono essere compresi inquesta semplificazione. La parola scala viene pertanto usata piuttosto liberamente, per indicaresia la dimensione lineare di qualsiasi struttura riconoscibile, sia in senso più astratto la distanzaa cui si può riferire in media una variazione di velocità di un dato ordine.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

l’attenzione agli aspetti minuti, più questo carattere di imprevedibilità divienedominante. Le correnti che presentano un simile grado di complessità vengonochiamate turbolente. Esse sono caratterizzate dalla compresenza di strutturedi scala geometrica diversa, che si intuiscono interagire tra loro2, da una estre-ma varietà di configurazioni, da una evoluzione temporale sostanzialmenteimprevedibile.Come definizione di una classe di correnti, quella che abbiamo dato non èun miracolo di chiarezza, né di concisione. Uno probabilmente desiderereb-be qualcosa di più netto, che permettesse di distinguere senza incertezze lecorrenti turbolente dalle altre, che vengono chiamate laminari. Si potrebbericorrere ad una delle tante definizioni rintracciabili sui libri di testo; il proble-ma è che le varie definizioni semplici non sono riconducibili compiutamentel’una all’altra, e che per ciascuna di esse si può trovare, con un po’ di impe-gno, qualche situazione in cui la definizione stessa non ha potere dirimente.In realtà, si è finito per convenire che vi è un elemento soggettivo nel modoin cui viene fissato di volta in volta il confine tra turbolento e non turbolento -quest’ultimo essendo l’unico significato che è possibile dare del termine lami-nare, al di là di alcune stravaganze sul moto per lamine. Quando si decide chela complessità del campo è tale da renderne desiderabile una semplificazione3,la si effettua separando gli aspetti che si vuole conoscere da quelli che non sivorrebbe neppure vedere, perché utili solo a confondere le idee, e si dichiaraturbolento il campo di moto.Vi è una dose di arbitrarietà in questo modo di procedere. Eppure, se esso nonvale a stabilire in termini obiettivi in che cosa consista la natura turbolenta delmoto, può almeno servire a definire una classe di problemi che hanno in comu-ne una stessa, insidiosa, difficoltà: come tener conto dell’influenza di quelloche si è soppresso su quello che si è mantenuto, visto che l’interazione tra idiversi aspetti è inevitabile nei sistemi dinamici non lineari. In pratica, al fi-

2È come minimo evidente che quelle di scala maggiore trascinano convettivamente quelle piùpiccole; ma vi sono aspetti tridimensionali più difficili da individuare, quali lo stiramento deivortici, che hanno un ruolo dinamico importante.

3Se non altro, al fine di non essere sommersi da una quantità di numeri di difficile interpretazione;si pensi al numero di parametri che sarebbe necessario assegnare per definire l’esatta strutturadel ribollire di schiuma schizzato al centro del disegno di Leonardo.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

ne di semplificare il campo si adotta al posto delle variabili originarie una loroespressione mediata, ottenuta integrando nel tempo per un periodo sufficien-temente lungo, o nello spazio in un volume sufficientemente esteso; oppure,mediando tra un numero elevato N di campi, che si suppone essere sogget-ti alle stesse condizioni di controllo.4 In ogni caso, il modo di affrontare ladescrizione delle correnti turbolente ha un carattere statistico. Si introduconograndezze medie, si decompone il campo di una generica quantità in un campomedio e in uno fluttuante5 e si rivolge lo studio alla determinazione del primo.Il che comporta l’eliminazione dal quadro delle variazioni che avvengono oin tempi troppo brevi, nel caso che si adottino medie temporali, o in distanzetroppo corte, nel caso in cui si ricorra a medie spaziali. Poiché è consuetudi-ne rappresentare un segnale generico tramite integrali di Fourier, la cosa vieneriassunta dicendo che si eliminano le componenti di alta frequenza nel primocaso, o di elevato numero d’onda - di breve lunghezza d’onda - nel secondo.Naturalmente, affinché il procedimento sia di qualche utilità, è necessario che ivalori medi misurati risultino definiti e ripetibili ogni qualvolta si riproducanoalcune condizioni globali, da cui si suppone dipenda la statistica del campo dimoto. Per essere chiari, in uno stesso impianto meccanico si dovranno averestessi valori medi ogni qual volta la pompa sia in funzione a uno stesso numerodi giri; nello strato limite terrestre, quando si abbiano le stesse condizioni discambio termico col terreno, di vento in quota, di rugosità superficiale, et cet.Il senso della previsione teorica consiste nel correlare questi parametri, o uninsieme ad essi equivalente, con l’andamento dei valori medi che interessano.La natura del problema è quindi tale da giustificare delle definizioni di mototurbolento che insistono sul carattere aleatorio del processo da una parte, edall’altra sulla significatività dell’analisi statistica. Ne ricordiamo una. Hinze,quasi mezzo secolo fa, propose una definizione che si trova spesso ripresa

4Di questo insieme di N campi, uno è quello effettivamente realizzato; gli altri N -1 si possonoconsiderare copie mentali del primo, secondo una definizione di Schrödinger, Termodinamicastatistica, Boringhieri, 1961. L’approccio può sembrare eccessivamente astratto, ma ha unasua logica formale, e le sue previsioni possono essere applicate alle correnti reali grazie ad unaipotesi opportuna.

5In fluidodinamica lo scarto fra valore medio e valore istantaneo, o tra valor medio e valorelocale, si chiama fluttuazione.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

in testi successivi6: il moto turbolento di un fluido è caratterizzato da unacondizione irregolare della corrente in cui le varie quantità esibiscono unavariazione casuale con le coordinate di tempo e di spazio, tale che possanoessere individuati valori medi statisticamente distinti.

Trasporto di quantità di moto in una corrente turbolenta

Dovrebbe essere evidente, dopo questa premessa, che sussiste un’analogia trail problema della descrizione e previsione delle correnti turbolente e quellodelineato nel discutere le proprietà fondamentali del moto dei fluidi7, quan-do si è ricordato per sommi capi quale sia lo schema logico che permette dipassare da un sistema discreto di molecole ad un medium, le cui proprietà va-riano in modo continuo nel tempo e nello spazio. Ricordiamo che le molecole,che si trovano ad un istante t nell’interno di un arbitrario elemento sferico divolume con centro in x, vengono considerate come un insieme distribuito sta-tisticamente in funzione della loro velocità, e le velocità singole u′ sostituitedal loro valore medio lineare u(x, t) =< u′ >, che viene attribuito alla posi-zione x del centro. Lo scarto u′−u è chiamato velocità di agitazione termica,e l’intensità di questo moto è misurata tramite il suo valore quadratico me-dio, la varianza σ2

u′ =< (u′ − u)2 >, a cui risulta proporzionale una variabilegià nota dalla termodinamica classica, la temperatura assoluta del gas. Altrimomenti della distribuzione non sono richiesti, poiché la funzione di distribu-zione è considerata gaussiana; il moto dell’insieme di molecole che si trovanonelle immediate vicinanze di un punto dello spazio viene riassunto in termi-ni statistici dai primi due momenti della distribuzione, quello lineare e quelloquadratico8, il che implica che essi contengano tutte le informazioni neces-sarie a valutare qualsiasi effetto medio significativo9. Questa proprietà viene

6J.O. Hinze, Turbulence, Mac Graw Hill Book Company, INC New York, 1959, p. 1.

7Cfr. C. Cancelli: Fluidodinamica ambientale - equazioni e proprietà fondamentali, 2003,OTTO editore, Torino, 1.1.

8I momenti di ordine dispari di una distribuzione normale, o gaussiana, sono nulli per simmetria,a parte il primo; quelli di ordine pari si deducono tutti dalla varianza.

9Si rinuncia, come è ovvio, a descrivere il moto delle singole molecole.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

riflessa nel modo con cui si esprimono i flussi di qualsiasi grandezza, dovutial moto di agitazione termica. Quella parte del flusso di quantità di moto, ades., che deriva da una disuniformità spaziale della velocità media u si scrive,in un campo che per semplicità si è supposto a divergenza nulla10:

(pij)dis = −ρν(∂ui

∂xj+∂uj

∂xi

)1.1

Il prodotto della densità ρ per la viscosità cinemamica ν dà il coefficiente diviscosità dinamica μ, la quale è una variabile di stato che dipende dalla solatemperatura assoluta del gas. La 1.1 pertanto esprime il flusso di quantità dimoto in funzione delle variabili u(x, t), σ2

u′(x, t), essendo la temperatura pro-porzionale a quest’ultima. Nell’analizzare gli aspetti matematici del problema(cfr. app. A) abbiamo visto che, adottando per i flussi delle varie quantitàrelazioni del tipo 1.1, si ottiene un sistema completo di equazioni, il quale do-vrebbe con opportune condizioni iniziali e di contorno permettere di prevederel’evoluzione del fluido.L’applicazione del metodo alle correnti turbolente appare come una sua esten-sione legittima e, in senso lato, effettivamente lo è; del resto, se si adotta unamedia spaziale come strumento per semplificare la complessità del campo tur-bolento, la nuova media appare come una iterazione di quella primitiva, ese-guita questa volta su un volume di controllo di dimensione maggiore. In altreparole, dopo avere mediato su un insieme di molecole per definire la proprie-tà della cosiddetta particella di fluido, si media ora su un insieme di particellefluide collocate all’interno di un volume più grande, un semplice cambiamen-to di scala. Il contesto concettuale non muta, tuttavia, anche nel caso che sieseguano medie temporali - che si medi cioè tra le proprietà delle particelleche passano per uno stesso punto in tempi diversi - oppure, medie di insiemetra le teoriche N copie mentali di una corrente.Per limitare il discorso al solo campo di velocità - ma esso vale per qualsiasialtra grandezza - si sostituisce la funzione ut(x, t) con una sua media linea-re U =< ut >

11, e si modificano le equazioni differenziali del campo, in

10C. Cancelli, op. cit. 1.4.

11Nel trattare le correnti turbolente, adotteremo il pedice t per indicare il campo istantaneo e lo-cale, una lettera maiuscola per indicare un suo valore medio, e riserveremo le lettere minuscolesenza alcun pedice alla fluttuazione, o scarto.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

modo che esse descrivano l’evoluzione della grandezza mediata. La difficoltànasce dal fatto che il sistema di equazioni che si ottengono risulta indetermina-to, poiché vi compaiono come nuove funzioni incognite i flussi generati dallafluttuazione di velocità u = ut −U, quella stessa che si sarebbe voluta elimi-nare. Ad es., nell’equazione mediata della quantità di moto compare il tensoreincognito −ρ < uiuj >, ove il simbolo < uiuj > rappresenta il valor mediodel prodotto tra le componenti del vettore u. Da un punto di vista puramentematematico la difficoltà può essere aggirata ponendo, in analogia con la 1.1:

ρ < uiuj >= −ρνt

(∂Ui

∂xj+∂Uj

∂xi

)1.2

Nella 1.2 le Ui rappresentano le componenti del campo medio U, mentre νt

è un nuovo coefficiente a cui si dà il nome di viscosità cinematica turbolen-ta. Si tratta di una grandezza che ha le dimensioni tipiche di un coefficiente didiffusione [(m/s)m], e che dovrebbe dipendere unicamente dall’intensità delcampo della velocità fluttuante e da una sua lunghezza caratteristica, così co-me la viscosità cinematica molecolare di un gas dipende solo dalla velocità diagitazione termica e dal cammino libero medio delle molecole. Il valore di νt

va considerato in genere variabile da punto a punto, e fatto dipendere empiri-camente da quelle condizioni globali - scambio termico con il terreno, velocitàmedia del vento, altezza dello strato limite terrestre, ecc. - di cui abbiamo giàparlato. Oppure, al fine di calcolare almeno l’intensità della fluttuazione, sipuò aggiungere un’equazione di bilancio dell’energia cinetica turbolenta me-dia - la quale non è altro, a parte un fattore 1/2, che la varianza σ2

u della partefluttuante del campo u. Nel contesto delle equazioni mediate, l’equazione dibilancio di σ2

u ha lo stesso ruolo che il bilancio di energia termica occupa nelquadro delle equazioni del mezzo continuo.La presunta parentela tra moto termico delle molecole e fluttuazione turbo-lenta delle particelle ha a suo favore un argomento indubitabile, giá messo inevidenza da Boussinesq12. Entrambi i processi, grazie al loro carattere disordi-nato, tendono a rimescolare le proprietà del fluido e spingono il campo versouno stato di uniformità; la differenza è nella diversa intensità dei processi.Questa considerazione è motivo conduttore di numerosi tentativi di modellareper analogia l’effetto della fluttuazione turbolenta sulle grandezze medie.

12A cui si deve anche l’introduzione dei coefficienti di viscosità turbolenta, in una memoriapresentata nel 1887 all’Accademia delle Scienze di Parigi.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

Il metodo non è tuttavia esente da difetti. Per giustificare l’adozione della 1.2

non è infatti sufficiente l’analogia appena ricordata; sono richieste precise con-dizioni matematiche, che nel caso della fluttuazione turbolenta non vengonogeneralmente soddisfatte. Non vi è alcun motivo di ritenere che la statisticadi un campo turbolento sia sintetizzabile tramite due soli momenti della di-stribuzione, né che il flusso di qualsiasi grandezza sia, nella scala propria divariazione delle grandezze medie, dovuto a un trasporto su così breve distan-za da giustificare una espressione come la 1.2; in altre parole, generato dalpassaggio attraverso una generica giacitura tracciata per un punto di un insie-me di particelle fluide con un valor medio di velocità che differisce da quellodel punto in oggetto di una quantità piccola13. Questo aspetto è probabilmentequello più critico per l’applicabilità della 1.2. In effetti, l’analisi statistica dellaparte fluttuante del campo, rilevata sperimentalmente, mostra che le velocità difluttuazione risultano correlate fino a una distanza che è da considerare gran-de anche in una scala macroscopica; ad es., nella corrente turbolenta che sisvolge all’interno di un tubo, la lunghezza di correlazione risulta vicina al dia-metro, mentre nella scia di un ostacolo essa è all’incirca pari alla dimensionelineare della sezione trasversale di questo, et cet. Tralasciando per ora qua-le sia l’esatto significato matematico dell’essere correlato - vi torneremo nelseguito - possiamo dire che questo dato sta a indicare che la parte fluttuantedel campo ha una dimensione lineare caratteristica, una scala esterna14 che èdello stesso ordine di quella su cui si sviluppano le variazioni di valori me-di che si vogliono descrivere. Manca in questo caso una netta separazione discale, che permetta di trattare l’effetto della fluttuazione come un fenomenopuramente locale. Il fatto che nel moto di fluttuazione siano coinvolti, e conqualche grado di coerenza almeno in senso statistico, volumi di fluido gran-di più o meno quanto una dimensione caratteristica del dominio fisico in cuisi svolge la corrente, rende inevitabile che questi atti di moto risentano dellecondizioni di contorno. Nei suoi aspetti di grande scala, il campo fluttuante hastruttura e orientamento, che dipendono dalla configurazione globale del siste-ma; quindi, non possiede quel carattere del tutto destrutturato che è implicito

13Condizione necessaria perché risulti accettabile l’approssimazione lineare tramite cui vengonodescritti i flussi, cfr. C. Cancelli, op. cit. 1.4.

14Si veda, nel disegno di Leonardo, il vortice che circonda la zona centrale.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

nella 1.2, dove l’influenza della parte fluttuante è sintetizzata dal valore loca-le di un semplice scalare, νt, funzione di punto. In conclusione, non sarebbepossibile in linea di principio adottare la veste formale unificante 1.2. Se lo sifa, come lo si fa, occorre predisporre correzioni empiriche, coefficienti nume-rici variabili che adattino i risultati di un calcolo non rigoroso alla situazionepresa in esame, oppure a una classe di situazioni simili.

Trasporto di inquinanti in una corrente turbolenta

Il comportamento irregolare delle correnti turbolente e la difficoltà di descri-verne l’evoluzione hanno rilevanza in quello che rappresenta un argomentoclassico dell’ingegneria dell’ambiente: la previsione e il controllo dei proces-si di inquinamento. Questi hanno un ciclo usualmente articolato in molte fasi,dal momento dell’immissione nell’ambiente naturale di sostanze potenzial-mente nocive, al momento in cui queste, trasformate o meno chimicamente,interferiscono con l’attività biologica; ma nella maggior parte delle situazio-ni comprendono una fase di trasporto delle varie sostanze in seno a un fluido,nel caso più comune nell’atmosfera. Conoscere la distribuzione e la concen-trazione degli inquinanti è utile non solo a stabilirne la cosiddetta qualità del-l’aria, secondo una terminologia comunemente adottata, ma anche a tracciarela mappa della deposizione al suolo. È tuttavia irragionevole, per quanto è giàstato ricordato, sperare di seguire passo a passo il percorso delle varie sostanzetrasportate dal vento. Almeno nelle ore diurne, gli strati bassi dell’atmosferasono agitati da un moto turbolento, e questo fatto è sufficiente a escludere chesi possa dare del trasporto una descrizione deterministica. Si può ricorrereinvece - come in generale è vero per qualsiasi processo con una componen-te aleatoria - a una trattazione statistica, secondo lo schema già descritto piùvolte. Se qt(x, t) rappresenta, nel dominio che è sede della corrente, la con-centrazione di una data sostanza per unità di volume, la si scompone in valormedio e fluttuazione, come si è già fatto per il campo di velocità: qt = Q+ q,oveQ e q sono rispettivamente valor medio e scarto. Si dà inoltre per acquisitoil campo dei valori medi U di velocità e si cerca di prevedere la distribuzionespaziale Q tramite un’equazione differenziale modificata, ottenuta mediandol’equazione di bilancio di qt.

A questo punto del discorso, non dovrebbe venire come sorpresa la circostan-za che il problema matematico si presenti indeterminato: nell’equazione dibilancio di Q compare un nuovo vettore incognito < uiq >, dato dal valor

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1. CORRENTI TURBOLENTE

medio del prodotto delle fluttuazioni di velocità e di concentrazione. Il vettorerappresenta un flusso convettivo dovuto all’accoppiamento tra le due fluttua-zioni e la sua presenza nell’equazione mediata ha un fondamento fisico assaisolido; per di più è facile dimostrare, tramite una rapida analisi del suo ordi-ne di grandezza, che non solo ha buon motivo di esistere ma anche influenzadecisiva nel determinare la distribuzione di Q. Non si può pertanto pensa-re di eliminarlo dal problema; né pensare di dedurlo da qualche principio dimassima. Si può solo ricorrere alla consueta analogia tra moto di agitazionemolecolare e fluttuazione turbolenta di velocità, e assumere di conseguenza:

< uiq >= −Dt∂Q

∂xi1.3

Nella 1.3 il flusso convettivo dovuto alle componenti fluttuanti è supposto pro-porzionale al modulo del gradiente della concentrazione media Q, e direttoin senso opposto. Il coefficiente Dt appare come una proprietà della partefluttuante del campo di velocità ed è chiamato coefficiente di diffusione turbo-lenta, con una scelta infelice che alimenta l’equivoco tra due aspetti, entrambipresenti nelle correnti turbolente e tuttavia non riconducibili l’uno all’altro.Noi, nel seguito, lo chiameremo coefficiente di dispersione. L’adozione del-la 1.3 permette di scrivere una equazione nella sola incognita Q, identica allanotissima equazione del calore, che può essere risolta analiticamente quandoDt sia considerato costante o variabile nello spazio secondo leggi semplici,oppure integrata numericamente quandoDt vari con legge qualsiasi. Dal pro-cedimento derivano i modelli euleriani di dispersione, o diffusione, turbolenta,che saranno discussi nel capitolo 7.

Non ci sembra il caso di spiegare che contro l’adozione della 1.3 militano tut-ti i motivi di dubbio ricordati contro la 1.2, con un’aggravante particolare nelcaso dei moti atmosferici, a cui l’applicazione della 1.3 è usualmente rivol-ta. Il metodo di calcolo accennato implica comunque un’operazione di media,i cui risultati vanno confrontati con medie temporali di variabili misurate apunto fisso; altro non è possibile, poiché le N − 1 copie mentali di Schrö-dinger non sono a portata di mano. Tuttavia, affinché dei valori mediati neltempo abbiano un significato, occorre che le condizioni globali che presiedo-no all’evolvere delle diverse configurazioni istantanee rimangano immutate,in modo che il processo possa essere considerato stazionario almeno in sen-so statistico. In un impianto meccanico, o in una condotta, è probabile che iparametri globali di controllo - numero di giri delle pompe, altezza del batten-

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1. CORRENTI TURBOLENTE

te, et cet. - vengano mantenuti costanti per un tempo sufficiente, affinché unamedia temporale abbia senso; ma nell’atmosfera, e in particolare nello stratolimite terrestre, i dati globali - flusso di energia radiante, altezza dello stratolimite, vento in quota - che dovrebbero definire l’insieme delle configurazio-ni ammissibili del campo di moto, variano continuamente, e a volte in modobrusco entro un tempo relativamente breve. Per fare un esempio, la transizio-ne da brezza di monte a brezza di valle può avvenire nel giro di un’ora; nelpassaggio da uno stato all’altro la direzione del vento si inverte e i coefficientidi dispersione, ammesso che si sia deciso di adottarli, dovrebbero essere cam-biati di alcuni ordini di grandezza. In effetti, nella brezza di valle si ha unadispersione molto vigorosa, mentre in quella di monte non se ne ha pressochéalcuna. Quale sia l’interpretazione da dare a una media dei due processi nonè affatto chiaro, salvo il dato che nel farlo si possono prendere abbagli cla-morosi. Può capitare che si introduca nel programma di calcolo la direzioneprevalente del vento, mediata nelle 24 ore, che spesso è diretta verso i monti,e che in questo modo si ottenga un quadro della situazione che non prevede lapresenza di inquinanti in qualsiasi luogo che sia spostato, rispetto a una even-tuale sorgente, verso lo sbocco della valle. Mentre nella realtà è più probabileche accada esattamente il contrario: è verso valle che nelle ore notturne, inpiena brezza di monte, si possono avere le più gravi forme di inquinamento.

Abbiamo citato un errore particolarmente candido, e tuttavia non inventato.La sua esegesi non richiede un grande sforzo: può accadere che chi opera conlo strumento di calcolo non abbia un’idea del ciclo giornaliero delle brezze,né delle loro proprietà di dispersione. Eppure, nella sua semplicità, l’esem-pio vale a mettere in luce l’esistenza di un problema di fondo. L’uso correttodei modelli, la loro applicazione alle diverse situazioni reali, l’interpretazio-ne dei risultati non costituiscono affatto un procedimento da seguire a occhichiusi. La sensazione di potersi esimere dal giudicare, generata dalla presenzadel calcolatore - e dalla sua indiscutibile potenzialità nel presentare qualsia-si stupidaggine in una forma grafica di grande effetto scenico - può essere inquesto settore particolarmente ingannevole; il mestiere è irto di rischi. Per uti-lizzare con qualche efficacia un modello di dispersione è necessario possede-re qualche conoscenza di fluidodinamica e meteorologia; occorre distinguerecon chiarezza i vari fenomeni che sono associati al carattere turbolento delmoto; avere in mente un’idea della configurazione dei venti e del loro evolve-re; essere in grado di valutare, almeno in modo qualitativo, l’influenza sulla

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1. CORRENTI TURBOLENTE

dispersione di eventuali strutture coerenti del campo di velocità, generate daparticolarità orografiche o da ostacoli. E in base a questi elementi, decidere seil modello è applicabile e se i suoi risultati sono attendibili; in quale misura, ea qual fine.Torneremo in seguito su questo tema, dopo avere descritto in maggiore det-taglio le proprietà delle correnti turbolente, e avere sviluppato alcuni aspettimatematici della dispersione, indispensabili per approfondire l’argomento.

1.2. LINEAMENTI DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Trasporto di inquinanti in una corrente turbolenta. Importanza delnumero di Reynolds

Richiamiamo alcuni dati sperimentali, prendendo come riferimento due tipi dicorrente, quella che avvolge un cilindro circolare dotato di notevole lunghezzarispetto al diametro, posto con l’asse ortogonale alla direzione della velocitàindisturbata del fluido, e quella che transita all’interno di un tubo di sezioneretta circolare. Le due correnti si possono considerare esemplari, la primadella classe delle correnti esterne e la seconda di quella delle correnti interne,e sono state oggetto di innumerevoli studi. Limiteremo la digressione a quellesituazioni ove non hanno importanza né la comprimibilità dei fluidi, né lasua conducibilità termica - quindi a correnti con basso numero di Mach, eprive di fenomeni termici rilevanti. In queste condizioni, la corrente presentacome uniche grandezze significative una scala di lunghezza L - il diametro,o il raggio nelle due correnti prese in esame - caratteristica della geometriadell’impianto15, una velocità U di riferimento, e le proprietà μ e ρ - viscositàe densità - del fluido. L’unico numero puro che si possa costruire con questegrandezze è il numero di Reynolds:

Re = ρUL/μ

La fenomenologia delle correnti attorno al cilindro, o quella della corrente in-terna a un tubo dovrebbero essere già note. Comunque, riassumendo in breve,

15Si suppone che la lunghezza l del cilindro o del tubo sia talmente estesa rispetto al diametro, dapoter ritenere i dati sperimentali rappresentativi della situazione asintotica, quella che si avrebbenel limite l/L → ∞. In tal caso, è irrilevante quale sia l’esatto valore del fattore di forma l/L.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

x2

x1

ωs

10-1

1

10-2

10-3

U

(a)

(b)

(c)

P

t

u2(P)

Fig. 1.2 – (a) Corrente attorno a un cilindro di grande allungamento per un numero diReynolds di poco superiore a 40 - (b) componente trasversale di velocità misurata inun punto P interno alla scia - (c) spettro di ampiezza del segnale (b).

in entrambi i casi si può avere moto laminare o turbolento a seconda dei va-lori assunti dal rispettivo numero di Reynolds. La relazione non deve stupire,perché il carattere di una corrente deve dipendere dal rapporto tra grandez-ze omogenee, quindi confrontabili, interne al processo; non può dipendere dalvalore assoluto di una o più grandezze, il quale rimanda a una scelta, arbitraria,di unità di misura.Abbiamo già visto che al numero di Reynolds si può dare, tra altri, il signi-ficato di rapporto tra velocità convettiva e velocità di diffusione16; possiamoritenere che sia questo rapporto a influenzare il passaggio da un regime al-l’altro. La transizione avviene nelle due correnti in modo diverso; tuttavia,in entrambi i casi, si ha moto laminare quando il valore del numero di Rey-nolds è al di sotto di un valore critico, sufficientemente ben definito, mentrecol crescere di questo si passa prima o poi a regime turbolento.

16C. Cancelli, op. cit. 3.2.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

x2

x1

U P

(a)

(b)u2(P)

t

ωs

(c)10-1

1

10-2

10-3

Fig. 1.3 – (a) Corrente attorno a un cilindro di grande allungamento per un numero diReynolds superiore a 400 - (b) componente trasversale di velocità misurata in un puntoP della scia - (c) spettro di ampiezza del segnale (b).

Transizione nella scia di un cilindro di grande allungamento

Nel caso del cilindro disposto con asse ortogonale alla corrente, la transizioneconsiste in una sequenza relativamente ordinata di avvenimenti, che ha iniziocon la spontanea comparsa, per Re ∼ 40, di una componente non staziona-ria del moto con andamento sinusoidale nel tempo (fig. 1.2); e che si conclude,per Re ≥ 200, con la progressiva disintegrazione della scia, fino a quel mo-mento strutturata in modo riconoscibile anche a grande distanza dal cilindro,in una regione di moto apparentemente caotico. Nella fase intermedia vi so-no avvenimenti certi e ripetibili - la formazione della scia di Kàrmàn, l’iniziodi una separazione obliqua, con un asse non parallelo a quello del cilindro,delle strutture vorticose che si distaccano verso valle - e altri di cui è dubita-bile persino che esistano, probabilmente perché il loro apparire o il loro mododi presentarsi sono estremamente sensibili alla particolarità dell’esperimento.È opportuno tuttavia notare che gli avvenimenti ricordati, quelli certi e quelliipotetici, hanno un tratto comune; non possono essere attribuiti in modo di-retto a una variazione delle condizioni di contorno. Nel linguaggio venuto in

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1. CORRENTI TURBOLENTE

uso negli ultimi anni, si dice che rappresentano delle rotture spontanee di sim-metria17. La sequenza degli avvenimenti che scandiscono la transizione puòessere sintetizzata con efficacia, seguendo l’evoluzione dello spettro di un se-gnale qualsiasi, misurato in un punto fisso del campo; la forma dello spettro èelemento discriminante nel definire la natura del campo di moto.Ricordiamo che lo spettro di un segnale sinusoidale è dato da un picco centratosulla pulsazione ωs della sinusoide - alla lettera, da una funzione impropria diDirac δ(ω − ωs). Immediatamente dopo la comparsa della prima instabilitàsi ha quindi uno spettro formato da una sola riga, cfr. fig. 1.4, collocata incorrispondenza della pulsazione ωs ∼ 0.4πU/L, valore ripetibile con discretaprecisione e usualmente presentato in forma adimensionata quale numero diStrouhal:

St =fsL

U∼ 0.2

ove fs = ωs/(2π) sta a indicare la frequenza18, L il diametro del cilindro e Ula velocità indisturbata della corrente.Col crescere del numero di Reynolds lo spettro tende a complicarsi; compaio-no altri picchi che in parte possono essere attribuiti a elaborazioni non linearidella instabilità iniziale, in parte alla comparsa di altre perturbazioni sponta-nee, della stessa natura ma indipendenti dalla prima. Considerazioni teorichevorrebbero che altre instabilità indipendenti effettivamente apparissero primadella transizione a moto caotico, e probabilmente vi saranno, ma la loro in-dividuazione sperimentale è impresa ardua. È comunque certo che lo spettro

17Significa, tanto per intendersi con un esempio, che nella configurazione globale del sistema nonvi è niente che giustifichi il distacco obliquo dei vortici, non essendo possibile trovare una ri-sposta alla domanda: perché inclinati di un angolo, e non del suo opposto? Tuttavia, mentrenei campi di moto fino ad ora studiati, da considerazioni simili avevamo regolarmente dedottol’inesistenza di soluzioni che violassero la simmetria, nei campi di moto turbolenti dobbiamoadottare una maggiore prudenza. Dobbiamo accettare il fatto che questi campi rivelano com-portamenti in qualche modo arbitrari, e trasformare il ragionamento in una considerazione pro-babilistica: non vi è niente nelle condizioni macroscopiche del campo che renda più probabileun angolo di inclinazione invece del suo opposto.

18In italiano, frequenza è la grandezza f in cicli/s; la stessa grandezza misurata in rad/s è chiamatapulsazione (ω). Poiché la diversità di nome va perdendosi, nel seguito conserveremo solo ladiversità di simbolo.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

Lcorrentesviluppata

regioneingresso

t

t

(a)

(b)

Fig. 1.4 – Corrente intubata turbolenta (Re ≥ 2300): (a) segnale intermittente divelocità nella regione di ingresso - (b) segnale di velocità a valle della regione diingresso.

si arricchisce di nuovi picchi e che la larghezza degli stessi si va ampliando,finché la sua forma non giustifica più il fatto che lo si consideri uno spettro arighe. Lo spettro è divenuto continuo, e questa trasformazione segna il pas-saggio a moto turbolento (fig. 1.3). È facile immaginare che, nell’analisi di unsegnale sperimentale, il cogliere il momento di passaggio da spettro discreto aspettro continuo richiede un elemento arbitrario di giudizio, essendo scontatoche qualsiasi spettro a righe risulterà indistinguibile da uno continuo, purché lerighe siano sufficientemente fitte. Eppure, la necessità di uno schema astrattoche permetta di inquadrare questa materia così sfuggente, consiglia di asso-ciare spettro continuo e moto turbolento, e considerare la distinzione comediscriminante. Il fatto che lo spettro sia continuo, d’altra parte, non impediscedi riconoscere l’importanza nel processo di particolari componenti del moto.Nel caso della scia del cilindro, la frequenza di Strouhal continua a essere ri-conoscibile - perché individua il massimo dello spettro - anche per numeridi Reynolds estremamente elevati, ben al di sopra di quello (Re ∼ 400) chesegna la definitiva scomparsa dalla scia di ogni apparenza di ordine.

Transizione nella corrente all’interno di un condotto

Nella corrente che si svolge all’interno di un tubo circolare, il passaggio trai due regimi, osservato tramite tracciati temporali rilevati a punto fisso, non

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1. CORRENTI TURBOLENTE

presenta una articolata transizione da spettro discreto a spettro continuo. Siha invece una struttura spaziale che evolve nel tratto di ingresso del tubo. Laturbolenza si rivela inizialmente in una regione limitata, nel senso che piccolivolumi di fluido, distribuiti irregolarmente nel tratto di ingresso in vicinanzadella parete, acquisiscono un moto dal carattere caotico. Questa sorta di grumidi materia, il cui stato cinematico è diverso da quello del fluido che li circon-da, vengono trasportati convettivamente verso valle, e nel mentre trasmettonole caratteristiche del loro moto alle parti circostanti, occupando prima l’interasezione del condotto e quindi allungandosi nella direzione dell’asse. Nel trat-to iniziale del condotto si hanno quindi segmenti alternati di moto turbolentoe di moto laminare; ma poiché i primi si vanno estendendo a spese dei secon-di, si forma rapidamente una regione compatta di moto turbolento che occupatutto lo spazio a disposizione. Come conseguenza di questa struttura spazia-le in movimento, se si effettuano delle misure a punto fisso nel tratto di im-bocco del condotto, si registrano segnali intermittenti, caratterizzati da fasi diquiete laminare, seguite da improvvise esplosioni di moto caotico (fig. 1.4(a));spostandosi verso valle, da una certa sezione in poi si registrano segnali dal-l’aspetto interamente caotico (fig. 1.4(b)). Non vi è alcun punto, o alcuna fasetemporale del processo, in cui sia possibile rilevare andamenti sinusoidali, ocomunque corrispondenti a uno spettro discreto.

Il valore di Re che caratterizza la transizione è definito in questo caso mol-to male; varia in laboratorio di un paio di ordini di grandezza, tra ∼ 2 · 103 e∼ 105. La cosa può apparire strana, perché sembra smentire che Re sia l’u-nico parametro adimensionato significativo della corrente. In realtà Re è l’u-nico parametro significativo costruibile con le caratteristiche macroscopichedel sistema; ve ne sono molte altre - forma e regolarità della regione di imboc-co, rugosità superficiale, ampiezza della vibrazione accidentalmente trasmessadall’esterno - a cui l’esperimento risulta estremamente sensibile. La sorpresa,se vogliamo, è costituita dal fatto che aspetti minori producano, attraverso unmeccanismo di amplificazione, uno stravolgimento dell’intero fenomeno.

Carattere autoeccitato del moto turbolento

L’inizio della transizione da moto laminare a turbolento è caratterizzato quindidalla comparsa di strutture, con configurazione spaziale e sequenza tempora-

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1. CORRENTI TURBOLENTE

le19, non riconducibili a un intervento esterno. Il fenomeno ha inizio con laprima instabilità che si rivela, ma esso permane ovviamente nel moto irrego-lare e caotico che caratterizza la turbolenza sviluppata; nella turbolenza svi-luppata si susseguono configurazioni e sequenze temporali senza alcun ordineapparente, che risultano svincolate dalle condizioni di contorno.Quello che contraddistingue invece il regime subcritico - intendendo con que-sto termine il regime vigente prima della comparsa delle instabilità - è l’evi-dente correlazione tra il moto del fluido e le condizioni imposte dall’esterno.A condizioni costanti nel tempo - si tratti della velocità a monte del cilindro,ovvero del battente o del salto di pressione che mantiene il moto all’internodel tubo - corrispondono campi di moto stazionari; un anemometro o un pie-zometro, posti in un punto qualsiasi del campo, darebbero un segnale del tuttopiatto. Se le condizioni al contorno vengono variate, la cosa viene riflessaprontamente dallo strumento; in generale, a una perturbazione delle condi-zioni di contorno data da una semplice componente sinusoidale di frequenzaω risponderà una perturbazione con componente della stessa frequenza, a cuieventualmente possono aggiungersi armoniche e subarmoniche, che possonoessere interpretate come trasformazioni non lineari della prima. La compar-sa di armoniche non è difficile da spiegare; se consideriamo, in una visionegenerica, il sistema fluido come qualcosa che risponde a un segnale di ingres-so, rappresentato dalle condizioni esterne che impongono il moto, dobbiamoassegnare a questa sorta di trasduttore un comportamento non lineare, poichétali sono le equazioni che ne governano la dinamica. Tuttavia, finché il motorimane subcritico, l’impronta del segnale di ingresso è ben visibile in tutte lecomponenti della risposta.Quando, al crescere del numero di Reynolds, si passa a un regime instabile,si perde una chiara corrispondenza tra condizioni al contorno e campo di mo-to. Compaiono all’interno del campo andamenti variabili nel tempo, anchequando le condizioni di contorno vengano mantenute perfettamente costanti.

19Aprendo una brevissima parentesi, è bene ricordare che le equazioni indefinite del campo lega-no le variazioni temporali alla distribuzione spaziale delle varie grandezze; quindi, l’esistenzadi struttura temporale implica l’esistenza di struttura nello spazio. È vero che, per stabilire qua-le sia l’esatto legame tra le due, occorrerebbe possedere l’insieme completo delle soluzioni,mentre invece ne possediamo solo alcune particolari; ma il fatto in sé non può essere messo indubbio. Possiamo quindi abbracciare i due aspetti, tra loro complementari, nel generico terminedi struttura del campo.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

Si vedano le figure 1.2 e 1.4, dove sono riportati due segnali anemometrici, ilprimo captato nella scia di un cilindro nella fase di transizione, e il secondoall’interno di un tubo; in entrambi i casi le condizioni al contorno - velocitàasintotica a monte nel primo caso e salto di pressione tra le estremità nel se-condo - erano del tutto stazionarie. Per recuperare una relazione tra il moto delfluido e le condizioni imposte dall’esterno occorre rifarsi ai valori medi del-le grandezze che caratterizzano la corrente. Si può verificare empiricamenteche tra i valori medi della corrente e le condizioni di contorno continua a sus-sistere un nesso - un incremento del salto di pressione che sostiene il deflussoin un tubo dà luogo a un aumento della portata ecc. - anche se di strutturamatematica diversa rispetto a quella del caso laminare.

Per la componente variabile del campo, invece, la ricerca di un nesso con l’e-ventuale variazione delle condizioni di contorno si presenta senza speranza;non vi è miracolo che permetta di trovare una relazione logica di dipendenzatra delle condizioni di contorno che permangono stazionarie e la fluttuazioneche si realizza nel dominio. Occorre ammettere che, con la comparsa dellafluttuazione, il campo di moto rivela dei gradi di libertà suoi propri, e svi-luppa sequenze temporali che non dipendono dalla variabilità o meno dellecondizioni imposte al bordo.

Questa osservazione permette di assegnare l’insieme di questi stati di moto- sia quelli iniziali, relativamente ordinati, sia quelli della fase matura - allaclasse dei movimenti autoeccitati. In meccanica si indica con questo termine- o con quello equivalente di oscillazione autoeccitata - lo stato di moto diun sistema materiale che trae dall’esterno l’energia necessaria per svilupparsie mantenersi, ma che per il resto si presenta con forme e tempi suoi propri.Come vedremo, è in questo carattere autoeccitato che si trova il primo indizioutile a spiegare la sostanziale imprevedibilità delle correnti turbolente.

Turbolenza e vorticità

Un’altra osservazione che emerge dai dati sperimentali, è che lo stato di mototurbolento può limitarsi ad alcune porzioni del fluido, senza interessare l’in-tero campo. Nel caso del cilindro, turbolenta diviene solo la regione lunga estretta, posta a valle dello stesso, che viene chiamata scia; nella regione di in-gresso di un tubo, il moto turbolento si rivela inizialmente, e con andamentosaltuario, in volumi di fluido relativamente piccoli. In altre parole, il campo

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1. CORRENTI TURBOLENTE

ha la capacità di accomodare al suo interno isole di disordine, delimitate da unconfine sufficientemente netto.Gli aspetti appena citati sono tutti fortemente legati alla dinamica della vortici-tà. Nel capitolo dedicato all’argomento20 abbiamo ricordato che la soluzionenon vorticosa ha prerogative non compatibili con le caratteristiche dei motiturbolenti; è unica e strettamente controllata dalle condizioni di contorno. Nederiva che la presenza di vorticità è condizione indispensabile, fin dal primovagito di instabilità, perché il moto turbolento si sviluppi. Il vincolo tra i dueaspetti ha carattere puntuale; non basta, in altre parole, che vi sia vorticità inqualche parte del campo, perché si abbia moto caotico da qualche altra parte.Una considerazione di larga massima può essere utile a chiarire il concetto. Lacomparsa di una oscillazione autoeccitata, o in generale il trasformarsi di unaconfigurazione in un’altra in modo del tutto inaspettato, implica un meccani-smo di amplificazione che porti a scala macroscopica differenze inizialmenteirrilevanti. Il fenomeno richiede tuttavia un trasferimento di energia tra com-ponenti in qualche modo diverse - per forma o scala - del campo di moto;la crescita del piccolo, che finirà per stravolgere l’esistente, non può esserespiegata altrimenti. Eppure, è proprio la possibilità di interazione tra com-ponenti diverse del campo di moto quella che viene esclusa dalla ipotesi dimoto irrotazionale. Nel richiamare per sommi capi le proprietà dei campi do-tati di potenziale di velocità, è stato mostrato come il problema matematicodella determinazione del potenziale, e quindi della velocità stessa, si riducaalla soluzione di una equazione lineare, quella assai nota di Laplace. Nel-le correnti irrotazionali, eventuali componenti diverse del campo evolvono inmodo del tutto indipendente; non è immaginabile tra loro alcun trasferimentodi energia. Questa proprietà negativa è evidente già nelle equazioni indefinite;si tratta quindi di un fatto locale, valido punto per punto.La presenza di vorticità all’interno di un volume di fluido va considerata quindicondizione necessaria perché in quel volume si sviluppino i fenomeni tipicidei moti turbolenti. Si può immaginare che la possibilità di rotazione, e diintensificazione della stessa, permettano a quel volume di fluido di assumereuna grande varietà di componenti parassitarie di moto - che si comportanocome un pozzo per l’energia cinetica - indipendentemente dalle condizioniche valgono al di fuori di esso. D’altra parte, l’accostamento tra turbolenza e

20C. Cancelli, op. cit., 4.2.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

(a)

(b)

ω=0

ω=0

U

Fig. 1.5 – (a) Accrescimento di un getto turbolento che emerge in un fluido inizialmentein quiete - (b) configurazione ingrandita del bordo esterno del getto.

vorticità non ha valore puramente constatativo, poiché la vorticità ha una suadinamica, le cui prerogative permettono di distinguere le zone vorticose daquelle non vorticose; quindi, quelle che possono divenire turbolente da quelleche non possono.Tra un volume di fluido dotato di vorticità caotica21 e una eventuale regione dimoto irrotazionale, si trova interposto uno strato di piccolo spessore - una sortadi buccia - ove si ha raccordo tra campi di moto con caratteristiche cinematichediverse. In questa regione di raccordo - un velo, nella scala lineare del volumedi fluido turbolento - si ha un violento scorrimento (alto Dij) e quindi unaelevata dissipazione; lo spessore del velo può essere considerato una tipicascala dissipativa interna.L’accrescimento del volume di fluido in preda al caos è subordinato all’esten-sione della regione vorticosa; i due processi si condizionano a vicenda. Pereffetto dello sviluppo di instabilità all’interno del volume di fluido vortican-te, parti di questo vengono continuamente estroflesse e si protendono verso

21È una delle tante definizioni di moto turbolento.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

l’esterno avvolgendosi attorno a porzioni di fluido dotate di moto irrotazio-nale (fig. 1.5(b)). Questa cattura si conclude, via via che si fa più intima lacommistione tra parti inizialmente diverse per stato cinematico - rotazionalee irrotazionale - in un processo di omogeneizzazione che incrementa la mas-sa di fluido in moto vorticoso. L’agente ultimo del trasferimento di vorticità èla diffusione molecolare, nella sua veste di viscosità. Eppure, la rapidità delprocesso di accrescimento del volume non dipende da questa grandezza; di-pende dalla velocità convettiva con cui l’immaginaria superficie che circondail grumo turbolento si dirama verso l’esterno catturando altro fluido nelle suespire. L’ordine di grandezza di questa velocità è quello della componente flut-tuante del campo22; i processi diffusivi di omogeneizzazione seguono, comele famose salmerie, adattandosi a un passo non dettato da loro.I processi dinamici che hanno luogo all’interno della massa in moto turbolentoinfluenzano anche parti distanti del campo, mediante la propagazione di onde.Nel moto vorticoso e caotico si producono brusche variazioni di pressione - inmodo più marcato nelle regioni vicine all’asse dei vortici che vengono stirati,o in vicinanza della parete posteriore dell’ostacolo - e queste si propagano adistanza. Le onde di pressione non trasportano tuttavia vorticità, e non sonopertanto in grado di estendere il carattere turbolento del moto ad altre partidel fluido. Ciò non toglie che si possano misurare, in un punto esterno allazona turbolenta del campo, segnali che riproducono il carattere aleatorio dellaprima. Un segnale di pressione rilevato immediatamente all’esterno delle duesuperfici di scorrimento che delimitano la scia di un cilindro indefinito - nelpunto P di fig. 1.6, ad es. - risulterà difficilmente distinguibile da uno rilevatoall’interno della scia, nel punto Q ad esempio.La cosa non implica affatto che la natura del moto in P sia simile a quella inQ. Nell’intorno del punto P si ha un campo irrotazionale, con una compo-nente caotica che è immagine delle irregolari condizioni che la scia imponeal suo bordo. Non vi sono fenomeni di accoppiamento non lineare tra diversecomponenti del moto, né di amplificazione spontanea di piccole perturbazioni;qualora le condizioni imposte dalla scia sul contorno del campo irrotazionalefossero note, l’evoluzione del campo risulterebbe determinata. La distinzione

22Per questo motivo abbiamo assunto la deviazione standard σu della velocità di fluttuazio-ne come velocità lineare con cui si accresce un volume di fluido dotato di moto turbolento,cfr. C. Cancelli, op. cit., 5.8.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

UQ

P

L

ω=0

ω=0

ω=0

Fig. 1.6 – Scia di cilindro ad alto numero di Reynolds: una regione di moto turbolento,circondata da fluido in moto non rotazionale.

UL

Fig. 1.7 – Linee di particelle marcate attorno alla sezione di un cilindro.

tra le due regioni non ha valore puramente concettuale; nella regione di cam-po irrotazionale mancano tutti gli aspetti del moto turbolento, che derivanodall’amplificazione locale di differenze inizialmente piccole; non vi è, ad es.,dispersione di traiettorie né accelerazione di processi diffusivi - due proprietàdelle correnti turbolente che descriveremo tra breve. Un semplice esperimentodi visualizzazione può mettere in evidenza il diverso comportamento del cam-po (fig.1.7); ove il moto è irrotazionale, una linea di particelle marcate rimanechiaramente visibile; ma se del colorante viene immesso in un punto situato inuna zona di moto turbolento, la sua traccia scompare in modo quasi istantaneo.

La propagazione di onde di pressione, generate da una corrente turbolenta,al di fuori dallo spazio occupato dalla corrente stessa, dà luogo al rumore diorigine aerodinamica. In questo tipo di problema, la propagazione nella partedel dominio esterna alla corrente turbolenta viene trattata con teorie lineari,basate sulla piccolezza del segnale e sull’esistenza di una funzione potenzialeper le velocità - il moto infatti è supposto irrotazionale. La regione di moto,vorticoso e altamente non lineare, che è all’origine della perturbazione, nonviene simulata numericamente, ma assunta come sorgente esterna di disturbo;

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1. CORRENTI TURBOLENTE

le sue proprietà statistiche figurano tra i dati di ingresso dei relativi programmidi calcolo.

Cascata energetica. Accelerazione dei processi diffusivi

Venendo ora ai moti turbolenti sviluppati, essi hanno dei lineamenti propri,alcuni dei quali non sono di immediata comprensione. Vi è un aspetto che puòessere posto in luce tramite un bilancio energetico della corrente:

– la potenza necessaria a mantenere un moto turbolento, riferita all’u-nità di volume del fluido interessato, tende a divenire proporzionalea ρU3/L, invece che a μU2/L2, come nel moto laminare.

Si tratta di un risultato a prima vista sorprendente, perché la formula che si ri-ferisce al moto laminare riflette fedelmente, nella sua struttura, il ruolo dellafunzione di dissipazione nel trasformare l’energia meccanica in energia termi-ca, già stabilito in precedenza23. Ora la formula cambia struttura e fa com-parire come proprietà significativa del fluido la densità ρ, una grandezza checon la dissipazione non ha molto da spartire, al posto della viscosità dinamica.L’apparente incongruenza trova spiegazione in una lunga catena di passaggidell’energia tra configurazioni di scala diversa, il cui stadio di ingresso, percosì dire, è controllato da configurazioni con scala geometrica talmente gran-de da avere una dinamica puramente convettiva. Rimane vero che l’energiafinisce con l’essere dissipata in calore, a una scala dissipativa interna, dallaviscosità molecolare; ma poiché il processo è irreversibile sin dall’inizio, l’in-tensità del flusso di energia non dipende da questa grandezza. La dinamica delprocesso porta il nome di cascata energetica. Il fatto che le configurazioni,ove la velocità di fluttuazione è distribuita su grande distanza, abbiano una di-namica che non viene influenzata dalla viscosità, comporta che le stesse nondipendano dal numero di Reynolds; in effetti, risultano sensibili unicamentealla geometria del dominio. Quello che accade con il crescere di Re, è checompaiono configurazioni di scala geometrica sempre più piccola, necessarieper permettere alla funzione di dissipazione di equilibrare la crescente produ-zione di energia cinetica turbolenta. Queste idee sono rappresentate in fig. 1.8,dove sono schizzati due getti emergenti da uno stesso condotto, a due diversi

23C. Cancelli, op. cit., 1.6.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

Re1

Re2

Re2 > Re1

Fig. 1.8 – Getto a due diversi numeri di Reynolds.

numeri di Reynolds. Le grandi circonvoluzioni che determinano la forma delgetto sono uguali nei due casi. Il getto con un numero di Reynolds più alto,tuttavia, possiede scale più minute; vi sono al suo interno zone ove si trova-no differenze significative di velocità in distanze molto brevi. Un numero diReynolds opportunamente definito può dare una misura del rapporto che in-tercorre tra le scale più grandi, dipendenti dalla geometria della corrente, e lascala dissipativa, che è determinata dalla dinamica del processo. Più alto è ilnumero di Reynolds, più alto è il rapporto.

Un secondo aspetto, in realtà connesso al primo, delle correnti turbolente svi-luppate può essere messo in evidenza con tecniche di visualizzazione. GiàReynolds nei suoi esperimenti del 1883, aveva immesso al centro di unacorrente intubata un flusso continuo di colorante, con l’idea di indagare suquali cambiamenti del campo di moto avvenissero in corrispondenza dellatransizione di regime. Con un esperimento di questo tipo si può osservareche:

– una linea marcata con origine nella zona di imbocco prosegue dirittae rimane perfettamente visibile fino a grande distanza, finché il motoè laminare. Il campo è ovviamente stazionario, e la linea è insieme

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1. CORRENTI TURBOLENTE

Fig. 1.9 – Linea di particelle marcate nella regione di imbocco di una correnteturbolenta.

traiettoria e linea di corrente. In regime turbolento la linea marcata,anche se collocata all’imbocco e nel centro del tubo, ha vita breve;dopo aver percorso qualche diametro, si distorce, si sfrangia, e poiscompare quasi di colpo, divenendo indistinguibile dal fondo.

L’improvvisa involuzione della linea (cfr. fig. 1.9) rivela che le particelle mar-cate, da cui è formata, sono state artigliate da un grumo di fluido turbolento inespansione; mentre la rapida scomparsa che segue non può che essere attribui-ta a una altrettanto rapida diluizione del colorante. D’altra parte, la diluizionedi qualunque grandezza trova nelle equazioni indefinite - che si spera conti-nuino a valere - una sola spiegazione: la diffusione molecolare o browniana.Ricordiamo che, se q è una densità qualsiasi, la relativa equazione di bilanciopuò esser posta nella forma24:

Dq

Dt= −∂fj

∂xj

ove f è il flusso prodotto, direttamente o indirettamente, dal moto di agitazionetermica; quindi, dalla diffusione molecolare o browniana. Se nelle correntiturbolente la derivata materiale assume valori elevati in modulo e negativi, èperché valori altrettanto elevati ha assunto la divergenza dei flussi. Non si puòche concludere che il regime turbolento provoca un’accelerazione dei processidi diffusione; nel caso in oggetto, poiché si tratta della densità di un colorante,della diffusione browniana.Tornando per un attimo all’argomento della dissipazione di energia meccani-ca, conviene notare che il cambio di regime da laminare a turbolento porta

24Il campo di velocità è supposto a divergenza nulla.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

l0

Fig. 1.10 – Successive configurazioni di un volume marcato, inizialmente compatto.

con sé un innalzamento della potenza dissipata per unità di volume del fluido- oltre che una diversa struttura della legge che lega la potenza dissipata allegrandezze globali della corrente. E poiché tra diffusione di quantità di moto edissipazione di energia meccanica vi è un legame strettissimo25, anche questofatto può essere considerato come una conferma della generale accelerazionedei processi diffusivi nelle correnti turbolente. La quale ha, del resto, una spie-gazione unificante; nel loro moto erratico, parti di fluido inizialmente di statotermodinamico e cinematico molto diverso, vengono prima o poi a trovarsi vi-cine, e quindi danno luogo, sia pure in modo saltuario, a valori estremamenteelevati dei gradienti - e quindi dei flussi - di qualsiasi grandezza. Può essereutile, per fissare le idee, immaginare di seguire l’evoluzione di un volume difluido inizialmente compatto, di scala lineare lo, distinguibile dalla rimanen-te parte del fluido per la variazione di una qualche proprietà. Se il volume èsoggetto a un campo di velocità fluttuante, con variazioni significative entrodistanze più piccole di lo - in altri termini, se al suo interno vi sono impor-tanti differenze di velocità - esso si distorce rapidamente e si sfilaccia nellospazio (cfr. fig. 1.10). Il processo di omogeneizzazione tra lo stato del fluidoall’interno e quello all’esterno del volume viene accelerato per due motivi:

– la superficie di scambio si estende rapidamente;

– particelle provenienti dalla zona centrale del volume vengono estro-flesse verso l’esterno, e viceversa, portando a una intensificazionedei gradienti.

25Qualsiasi processo di livellamento di un campo di velocità, inizialmente disuniforme, comportauna scomparsa di energia cinetica.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

traiettoria media

S

Fig. 1.11 – Dispersione di traiettorie. La linea a tratto rappresenta la traiettoria media.

Dunque, i moti con una componente caotica esaltano i gradienti, in quantoproducono forti variazioni in breve distanza. È bene dare a questa proprietàla dovuta enfasi, perché essa viene mascherata da una mediazione statistica dilungo periodo. Si consideri, ad es., la dinamica atmosferica di breve periodo- di qualche giorno - ove il movimento dei fronti di aria fredda o calda risultadi decisiva importanza; una rappresentazione della temperatura atmosferica,mediata su un periodo di qualche mese, cancellerebbe i fronti dal quadro.

Dispersione delle traiettorie e diffusione turbolenta

Infine, è interessante osservare il comportamento di una famiglia di traietto-rie di particelle uscenti da uno stesso punto. La realizzazione sperimentale ètutt’altro che semplice, ma noi non ci occuperemo degli aspetti pratici dellafaccenda. Supponiamo di avere reso riconoscibili in qualche modo le particel-le che passano per un punto S e di essere in grado di ricostruirne la traiettorie,la famiglia di curve descritta dall’equazione:

dy = (V + v)dt

ove abbiamo indicato con il simbolo V il valor medio lineare delle funzionilagrangiane di velocità < vt > e con v la parte fluttuante.

Per effetto della componente fluttuante del campo, le particelle seguono uncammino irregolare e le traiettorie si disperdono nello spazio. Se si tracciacome riferimento una immaginaria traiettoria media, la linea a tratto di fig. 1.11

di equazione:

dY = Vdt

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1. CORRENTI TURBOLENTE

l0P1

P2

S

Fig. 1.12 – Dispersione di volumi di aria inquinata di dimensione lineare lo.

qt

t

q0Q~q0

Fig. 1.13 – Misura della concentrazione qt, eseguita nel punto P1.

si può osservare che nel loro intreccio disordinato, le traiettorie reali mostranoalmeno un connotato costante: al crescere della distanza da S, il loro scartoquadratico medio dalla ipotetica traiettoria di riferimento continua a cresce-re26. Finché non intervengono limiti imposti dall’esterno, il fascio di traietto-rie che hanno un’origine in comune si dirama progressivamente, interessandovolumi sempre più vasti.A questo aspetto delle correnti turbolente, che noi indicheremo con il termi-ne dispersione per evitare equivoci, è legata una sorta di diluizione statisticadi eventuali inquinanti. Si immagini che le traiettorie rappresentino il mo-to dei baricentri di una successione di volumi di aria inquinata, di lunghezzacaratteristica lo, emessi da S con concentrazione iniziale qo. Per effetto del-la dispersione delle traiettorie, i baricentri dei volumi si distribuiranno in unospazio sempre più grande (fig. 1.12) e un eventuale valor medio temporale del-

26Il che non esclude affatto che una singola traiettoria non possa riavvicinarsi alla linea media diriferimento, o addirittura incrociarla più volte.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

qt

t

Q<q0

Fig. 1.14 – Misura della concentrazione qt, eseguita nel punto P2.

la concentrazione non potrà che registrare la conseguenza di questo fatto. Perintendersi, una misura eseguita in una postazione che si trovi sottovento allasorgente, ma vicinissima a questa, ad es. nel punto P1, darà il tracciato schiz-zato in fig. 1.13, a cui corrisponde un valor medio di concentrazione, con Tsufficientemente grande:

Q(P1) =1T

∫ T

0qt(t

′)dt

′ ∼ qo

di poco inferiore al valore iniziale.

Nel punto P2 si avrà invece il tracciato della fig. 1.14 con valore medio Q(P2)decisamente più piccolo di qo, perché l’intervallo di tempo in cui lo strumentosi trova all’interno di una porzione di fluido inquinato rappresenta una percen-tuale ridotta del tempo di misura. Dunque il valor medio della concentrazioneè una funzione di punto Q(x), che decresce piú o meno rapidamente con lalontananza dalla sorgente.

La variazione di concentrazione media con la posizione del punto di misu-ra è quanto viene calcolato dai modelli di diffusione turbolenta, siano essieuleriani o lagrangiani. I modelli hanno incorporato un termine che simuladirettamente, oppure tiene in conto, l’effetto del moto erratico dei baricentridei volumi inquinati. Il nome dato ai modelli induce una certa confusione traquesto processo e l’accelerazione dei processi diffusivi che abbiamo in pre-cedenza descritto. In realtà i due aspetti sono entrambi presenti nelle correntiturbolente, ma né coincidono, né sono correlati in modo costante tra loro. Èvero che i volumi di fluido inquinato, mentre vengono trasportati verso valle,quasi sempre si sfrangiano e si espandono per effetto diffusivo, di modo che laconcentrazione di inquinante al loro interno va diminuendo (fig. 1.10) rapida-mente; ma questo processo non influenza in modo significativo il valore di Q.Per distanze sottovento maggiori di lo, Q finisce con il dipendere unicamentedalla dispersione delle traiettorie dei baricentri.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

CS

(a)

qt

t

CS

(b)

qt

t

Fig. 1.15 – Configurazione istantanea di un pennacchio e tracciati di concentrazionedi un inquinante, registrati in una stessa posizione C, in due diverse condizioni atmo-sferiche: – (a) in presenza di sole fluttuazioni di lungo periodo – (b) in presenza difluttuazioni di lungo e di breve periodo.

Lo schizzo di fig. 1.15 può essere utile a chiarire la situazione; esso rappresentadue pennacchi emessi da una ciminiera in due diversi campi di moto, il primoprovvisto solo di componenti fluttuanti di lungo periodo e grande scala, checonfigurano il pennacchio in larghi giri; il secondo, dotato di energiche com-ponenti di scala più breve della dimensione lineare lo del pennacchio stesso.In questo secondo caso il pennacchio si sfrangia ed esplode quasi immediata-mente per effetto della differenza di velocità e delle rotazioni al suo interno,dando luogo a una nube ove la concentrazione varia in modo regolare nellospazio; e, in uno stesso punto, in modo poco avvertibile al passare del tem-po. I due pennacchi si presentano diversi alla vista e altrettanto diverse sipresenterebbero le eventuali registrazioni della concentrazione del gas emes-so, misurate in uno stesso punto C . Nel caso (a) il valore di qt mostrerebbepicchi pronunciati, in corrispondenza degli intervalli di tempo in cui il pennac-chio passa per la stazione di misura, intervallati da periodi di concentrazionenulla, o quasi; nel caso (b) si avrebbe una misura pressoché costante, con unadebole fluttuazione attorno al valor medio Q. È ovvio che i due tracciati nonsono equivalenti; non è detto tuttavia che il valor medio lineare Q risulti nei

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1. CORRENTI TURBOLENTE

due casi molto diverso. Sicuramente diversa risulterà la deviazione standard;ma qualora lo spazio all’interno del quale serpeggia il pennacchio del caso (a)- delimitato simbolicamente dalle due linee tratteggiate - fosse uguale a quellostabilmente occupato dal pennacchio del caso (b), e la velocità media del ven-to fosse la stessa, i valori di Q risulterebbero quasi identici; ragionando sullamedia, si potrebbe dire che una stessa quantità di inquinante passa attraversouna stessa sezione nello stesso tempo. D’altra parte, l’ampiezza del serpeg-giamento del pennacchio e quindi dello spazio mediamente occupato, dipendeda quelle componenti della fluttuazione di velocità che sono di più lungo pe-riodo, e di conseguenza di grande scala lineare; mentre l’eventuale eplosioneiniziale del pennacchio dipende da componenti di velocità con scala lineareminore o uguale a lo. Si tratta di componenti diverse della parte fluttuante delcampo, le quali possono, oppure no, essere entrambe presenti. Nel problemain esame, ad es., la coincidenza della regione dello spazio occupata in mediasi spiega supponendo che nei due casi le componenti di grande scala siano si-mili; la diversità di forma delle configurazioni istantanee, con la mancanza diquelle di piccola scala nel caso (a).La possibilità che si abbia uno stesso valore di concentrazione media, contracciati di concentrazione istantanea molto diversi, pone dei limiti all’uso deimodelli di dispersione. Essi calcolano in ogni caso il valore medio Q, piùesattamente il limite:

Q = limT→∞

[1T

∫ T

0qt(t

′)dt

′]

un valore che possiamo ritenere rappresentativo di una media di lungo perio-do27. Vi sono problemi in cui il valore medio di lungo periodo è significativo;se, ad es., si vogliono stimare le conseguenze sulle malattie polmonari croni-che dell’inquinamento dell’aria da ossidi di azoto, oppure gli effetti mutagenidel particolato, i valori medi vanno benissimo, poiché si tratta di effetti cumu-lativi. Nel caso invece che si voglia valutare la situazione di pericolo derivante

27Tanto è vero che per una verifica sperimentale delle previsioni occorre misurare per un periodosufficientemente lungo, il quanto lungo dipendendo dalle componenti del campo di moto e dallaposizione del punto di misura rispetto alla sorgente. All’ingrosso, si può ritenere che la misurain una posizione sottovento, a una distanza di ∼ 100÷200 m dalla sorgente, richieda un tempodi misura di qualche minuto; se la distanza passa all’ordine del km, il tempo richiesto per unamisura significativa batte attorno alla mezzora, ammesso che le condizioni meteorologiche nonsiano nel frattempo variate.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

dalla fuga di un gas, o altamente tossico o infiammabile, è dubbio che il valormedio di concentrazione Q ci dica qualcosa. Sarà significativo solo nel casoche vi sia poca differenza tra valore medio di lungo periodo e valore istantaneoo quasi; nel caso (a) di fig. 1.15 ad es., ma non nel caso (b). In effetti, la possi-bilità di innesco di una deflagrazione dipende dalla concentrazione istantaneadella miscela, la quale deve trovarsi all’interno di un intervallo di valori. Inuna situazione meteorologica caratterizzata dall’assenza di componenti flut-tuanti di piccola scala, come nel caso (a), la stima della concentrazione in Ceseguita tramite un modello di dispersione, può risultare errata per difetto. Èpossibile pertanto che la concentrazione risulti in C , secondo le previsioni delmodello, al di sotto della soglia minima necessaria per l’innesco, mentre nellarealtà essa si trova ancora abbondantemente al di sopra, almeno negli intervallidi tempo in cui il pennacchio sta passando per il punto in questione.La situazione che abbiamo descritto si adatta a un evento esplosivo non infre-quente, caratterizzato dal fatto che l’accensione della miscela avviene in unazona lontana dal punto di origine della fuga, ove secondo i calcoli previsio-nali non avrebbe dovuto esservi rischio. Da essa si può trarre una lezione dicarattere generale. Ribadito il concetto che i modelli di dispersione o di "dif-fusione" turbolenta calcolano valori medi di lungo periodo, la loro capacità didare indicazioni sui valori medi di breve o brevissimo, che indicheremo conil simbolo Q, varia da caso a caso, e dipende da qualcosa che i modelli nonprendono in considerazione nella loro struttura logica, neppure come dato diingresso: la composizione spettrale del campo fluttuante. Sta a chi li applicagiudicare l’attendibilità dei risultati nelle diverse situazioni.Senza pretendere di esaurire l’argomento, piuttosto vario, si può dare qual-che indicazione di massima. In una fuga accidentale, o nell’emissione da uncamino o da una valvola di sfiato, si ha quasi sempre un primo tratto del get-to emergente, ove la dinamica del fluido è determinata dall’energia cineticaposseduta al momento dello sbocco, o dalla differenza di stato termodinami-co rispetto all’esterno - di densità in un liquido, o di temperatura potenziale inun gas - che genera strutture vorticose in presenza di campo gravitazionale28.Il getto può emergere all’aperto già turbolento; ma anche in caso contrario inpochi diametri lo diviene, essendo la sua una configurazione altamente insta-bile. La scala esterna di questo campo turbolento è data dal diametro del getto

28C. Cancelli, op. cit., 4.5.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

e insieme a questo va crescendo via via che ci si allontana dal punto di sbocco.Scale più piccole vengono generate dalla cascata energetica, fino a raggiunge-re la scala dissipativa. L’estensione della cascata dipende dall’energia cineticainiziale; ma, in ogni caso, il processo è caratterizzato in questa prima faseda componenti di velocità fluttuante che sono o della stessa scala del getto opiù piccole, quindi tutte efficaci nel distorcere il volume di gas uscente e nelfrastagliarne la superficie. Ne segue un rapido mescolamento e quindi l’o-mogeneizzazione con il fluido catturato dall’esterno. Si ha in definitiva unasituazione simile a quella di fig. 1.15(b); il gas uscente si diluisce mentre siallontana dallo sbocco e la concentrazione tende a distribuirsi in modo regola-re all’interno di una specie di cono, senza bruschi salti o vuoti al suo interno.In queste condizioni, appare ragionevole un calcolo approssimato della con-centrazione media di breve periodo Q, o anche di quella istantanea qt, basatosull’ipotesi che essa si distribuisca in modo continuo e regolare all’interno delcono29. I modelli di dispersione turbolenta dei getti fanno esattamente questotipo di calcolo, e con l’aiuto di un paio di coefficienti empirici, fissati una voltaper tutte, danno dei risultati abbastanza attendibili. Tuttavia, mentre si allon-tana dalla sorgente, la massa di miscela si accresce e perde velocità, finché lecomponenti del moto che traggono la loro origine dalle condizioni di sbocco,non divengono insignificanti rispetto ai movimenti dell’atmosfera. Da que-sto momento comincia una seconda fase, che può essere importante qualora laconcentrazione della miscela sia ancora al disopra del valore limite inferiore;nella nuova fase il trasporto convettivo e l’eventuale ulteriore diluizione dipen-dono dalla struttura della turbolenza atmosferica. Di questa, a priori, si puòdire solo che è estremamente variabile. Vi sono situazioni in cui sono presenticomponenti fluttuanti di scala geometrica molto corta. Una brezza di valle inuna giornata di sole, per ricordarne una, è formata da uno strato estremamenteagitato, complessivamente alto un paio di centinaia di metri e ricco di scale dipochi cm. Qualunque cosa venga immesso al suo interno viene fulmineamen-te diluito, come nel caso di fig. 1.15(b). Nelle ore notturne invece si possonoavere campi di moto con lente oscillazioni, quasi sempre nel piano orizzonta-le, che con la turbolenza hanno poco in comune; la nube di miscela esplosiva,

29Distribuzione continua non significa uniforme. Del resto, anche il valor medio d’insieme Q va-ria, sia pure senza bruschi salti; è massimo sull’asse del getto o del pennacchio e va decrescendocon la distanza dalla sorgente, esattamente come qt.

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sia pure oscillando lentamente, può essere trasportata dalla velocità media agrande distanza senza essere diluita in modo apprezzabile. Si ricade nel ca-so di fig. 1.15(a), ove la concentrazione media di breve periodo Q può esserenotevolmente più alta di Q.Questo quadro dà ragione di un fatto spesso riportato nei testi di analisi delrischio industriale; fughe di gas esplosivo, impressionanti per la violenza delgetto, e il fischio lacerante, e la convoluzione della nube30, esauriscono la loropericolosità normalmente entro un raggio di un centinaio di metri o poco piùdal punto di fuga31. Mentre nella quiete notturna, fughe inavvertite dannoluogo a nubi di gas che migrano lentamente e possono trovare un innescoaccidentale anche a una distanza molto maggiore, dell’ordine del km. La cosaviene spesso riportata con un tono di sorpresa; in realtà, non vi è motivo distupirsi.

Richiamo dei concetti essenziali

Concludiamo questa presentazione dei moti turbolenti e dei problemi connessicon un richiamo dei punti principali.

– I moti turbolenti sono moti autoeccitati che possono svilupparsi inseno a correnti vorticose. La parte fluttuante del campo assumeforme e sequenze temporali che sono indipendenti dalle condizio-ne che vengono imposte ai contorni del dominio, e risulta per tantoimprevedibile.

– Per effetto della componente aleatoria delle velocità, si ha un rime-scolamento continuo delle diverse parti del fluido; volumi inizial-mente compatti si sfilacciano, insiemi di particelle che a un datoistante si trovavano tra loro vicine si disperdono, parti in condizionicinematiche o termodinamiche assai diverse vengono saltuariamen-te a stretto contatto. Questo ultimo aspetto dà luogo, in media, a una

30Tragge Marte vapor di val di Magra, ch’è di torbidi nuvoli involuto. Citare la Commedia(Inf. XXIV, 145) non è un esempio di stile misurato; però rende bene l’idea.

31Si tratta di una stima empirica, che abbraccia all’ingrosso anche le più frequenti geometrie dellosbocco.

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forte accelerazione dei processi diffusivi32. Applicata alla quantitàdi moto, come grandezza trasportata e poi diffusa, la tendenza a ri-produrre per convezione differenze significative su distanze semprepiù piccole, si chiama cascata energetica. La distanza minima a cuiil processo viene arrestato dalla diffusione molecolare rappresenta lascala interna dissipativa.

– Un insieme di piccoli volumi di fluido, che passino in istanti diversiper uno stesso punto S, si disperde nello spazio, perché i loro ba-ricentri seguono diverse traiettorie. Questo fatto provoca una sortadi diluizione statistica - fa sì che i valori medi nel tempo della con-centrazione, misurati a punto fisso, risultino più bassi di quelli deisingoli volumi, indipendentemente dal processo di diluizione deglistessi, che è legato alla diffusione molecolare. La diluizione statisti-ca è chiamata dispersione turbolenta o "diffusione turbolenta". I mo-delli di calcolo che si usano per studiare la dispersione di inquinantinell’atmosfera valutano questa diluizione; vanno quindi bene per sti-mare valori di concentrazione mediati su un periodo sufficientemen-te lungo, il quanto lungo dipendendo dalla variabilità del campo dimoto e dalla posizione del punto di misura rispetto alla sorgente.

– Nei problemi in cui risultano determinanti i valori medi di concen-trazione di breve durata, i modelli di "diffusione turbolenta" sonopoco utili. È vero infatti che il moto turbolento accelera grande-mente l’effetto della diffusione molecolare e tende quindi a diluirerapidamente qualsiasi inquinante inizialmente contenuto in un volu-me limitato; ma i due aspetti, la diluizione dei volumi singoli e ladispersione dell’insieme in una regione sempre più vasta, pur essen-do simultaneamente presenti in una corrente turbolenta, non sono traloro così strettamente legati che valutando l’uno si possa, con cer-tezza, farsi un’idea dell’altro. L’accelerazione del processo diffusivoè legato alla rapida deformazione dei volumi, un fenomeno cinema-tico al cui fine sono efficaci le strutture del campo di moto con sca-la geometrica più piccola o paragonabile a quella dei volumi stessi;

32Se il bordo del cucchiaino non fosse stato pensato da un qualche dio - Efesto, probabilmente -per generare una scia turbolenta, ad addolcire il caffé si perderebbero le giornate.

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la dispersione dell’insieme richiede strutture del campo di moto digrande scala e grande periodo, che possono avere nei confronti deivolumi singoli uno scarso, o addirittura nullo, potere di deformazio-ne. In effetti, il calcolo della dispersione turbolenta si esegue igno-rando questo secondo effetto: la cosa è particolarmente evidente neimodelli lagrangiani, ove i volumi inquinati vengono trattati come sefossero puntiformi, grani invarianti - una sorta di quanta - di conta-minante; ma è implicita anche nei modelli di dispersione euleriani.Queste considerazioni hanno conseguenze pratiche da non trascura-re: l’uso di modelli di dispersione, al fine di valutare situazioni dipericolo derivanti da fughe di gas o altamente tossici o infiammabi-li, costituisce un procedimento che richiede estrema prudenza e unabuona dose di scetticismo.

1.3. LA TURBOLENZA COME MOTO AUTOECCITATO

Oscillazione autoeccitata in un sistema con un grado di libertà.Imprevedibilità della fase

Diamo una breve descrizione del fenomeno delle oscillazioni autoeccitate, co-minciando col richiamare come termine di confronto un caso di moto nonautoeccitato, ma sicuramente noto: il moto forzato di un oscillatore lineare.L’equazione differenziale del moto di un sistema oscillante, lineare e con unsolo grado di libertà, soggetto a sollecitazione dall’esterno, è:

d2y

dt2+

1Ts

dy

dt+ ω2

oy = G(t) 1.4

Se il sistema fisico a cui si riferisce l’equazione coincide con la massa vibranteschematizzata in fig. 1.16, i simboli hanno il significato:

Ts =m

cω2

o =k

mG(t) =

F (t)m

ove m è la massa vibrante, k la costante elastica della molla, c un coefficien-te di attrito viscoso - interno ed esterno, ma in ogni caso lineare - y lo sco-stamento della posizione di equilibrio, e F (t) rappresenta la forza applicatadall’esterno.

Il moto dell’oscillatore ha due componenti che evolvono, grazie alla linearità,indipendentemente l’una dall’altra; la prima, y1(t), deriva da un eventuale

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1. CORRENTI TURBOLENTE

yk

m

F(t)

t

oscillazione libera

Fig. 1.16 – Oscillatore meccanico.

y

k

mFn Ω

Fig. 1.17 – Dispositivo per la generazione di oscillazioni autoeccitate dall’attrito.

perturbazione iniziale; la seconda, y2(t), è imposta dalla forza esterna. Informula si ha:

y(t) = y1(t) + y2(t) 1.5

Nella 1.5 y1(t) sta per l’integrale dell’omogenea associata, che si può scrivere:

y1(t) = Ao exp(− t

2Ts

)cos(ωot+ ϕ) 1.6

avendo supposto che l’oscillatore sia debolmente smorzato:1

ω20T

2s

� 1

come accade nella maggior parte dei casi reali.

Il moto y2(t) è quello imposto dall’azione esterna e può essere dedotto con

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1. CORRENTI TURBOLENTE

una tecnica simile a quella illustrata in nel testo sulle equazioni e proprietàfondamentali33. Una volta calcolata la risposta a una generica componentesinusoidale, si ha per mezzo di un integrale di Fourier:

y2(t) = �[∫ ∞

o

G(ω)ω2

o − ω2 + iω/Tsexp(iωt)dω

]1.7

ove G(ω) indica lo spettro del termine forzante G(t).Si noti che y1(t) rappresenta l’oscillazione libera del sistema; essa ha proprietàintriseche - la forma sinusoidale e la pulsazione ω - mentre altre - l’ampiezzaA e la fase ϕ - derivano dalle condizioni iniziali. In un problema reale, le con-dizioni iniziali possono essere note con scarsa precisione, ma il moto da lorogenerato tende ad estinguersi nello spazio di qualche Ts. Rimane il moto for-zato y2(t), che è determinabile con la stessa precisione con cui è nota l’azioneesterna G(t); non vi sono sorprese.

È tuttavia sufficiente introdurre una modifica a prima vista modesta, per ave-re un diverso comportamento. Nel sistema meccanico schizzato in fig. 1.17 laforza esterna è trasmessa alla massa vibrante per attrito, ed è ottenuta premen-do la massa sulla periferia di un disco che ruota con velocità angolare costante.L’equazione del moto diviene:

d2y

dt2+

1Ts

dy

dt+ ω2

oy = fFn

m1.8

ove i nuovi simboli f e Fn stanno a indicare il coefficiente di attrito nel puntodi contatto e la componente normale della forza scambiata tra massa e discorotante. Questo dispositivo può generare oscillazioni autoeccitate, che sonoparenti di una larga classe di fenomeni simili, che svariano dallo stridere deifreni a ceppi di una vettura tramviaria, al suono emesso dalla corda di violino.L’elemento che innesca la vibrazione della massa, pur rimanendo i parametriesterni di controllo - la forza Fn e la velocità angolare Ω del disco - del tutto co-stanti, è la variazione del coefficiente di attrito con la velocità di strisciamentotra i due corpi. Sebbene in prima approssimazione si usi considerare costanteil coefficiente di attrito, esso va diminuendo con la velocità di strisciamento;è sufficiente introdurre nell’equazione 1.8 questa proprietà, per mettere in lu-ce una potenzialità di vibrazione spontanea. La legge decrescente f(vs) puòessere linearizzata nell’intorno di un valore di riferimento fo (fig. 1.18) come:

33C. Cancelli, op. cit., 2.2.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

vso vs

f

Fig. 1.18 – Variazione del coefficiente di attrito con la velocità di strisciamento.

f = fo − f ′o(vs − vso) 1.9

ove fo, vso sono i valori di riferimento indicati in figura, e f ′o è la derivata dellacurva f(vs) in quel punto, presa in valore assoluto. Nel nostro caso si ha:

vs = Ωr − dy

dtove r è il raggio del disco, e la 1.9 diviene:

f = fo + f ′o

(dy

dt

)1.10

dal momento che si è assunto, come valore di riferimento della velocitàrelativa, quello che si ha quando la massa vibrante sta ferma:

vso = Ωr

La 1.10 fa comparire a secondo membro della 1.8 un termine proporzionale ady/dt. Sostituendo e riordinando si ottiene:

d2y

dt2+

1Ts

(1 − f

′o

FnTs

m

)dy

dt+ ω2

oy = foFn

m1.11

L’integrale della 1.11 può essere ancora scritto come somma:

y(t) = y1(t) + y2(t)

ove y1(t) è l’integrale generale dell’omogenea associata, e y2 è un in-tegrale particolare dell’equazione completa, che in questo caso risultaimmediatamente individuabile:

y2 = cost =1ω2

0

f0Fn

m= f0

Fn

k1.12

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1. CORRENTI TURBOLENTE

L’integrale particolare y2 rappresenta uno spostamento costante, dovuto alvalore medio della forza di attrito foFn.In questa caso, tuttavia, è l’integrale generale dell’equazione omogenea asso-ciata a riservare una sorpresa. Confrontando la 1.4 con la 1.11 si osserva chequest’ultima è ottenibile dalla prima con la sostituzione

1Ts

→ 1Ts

(1 −R)

ove

R ≡ f′o

FnTs

mSi deduce pertanto che l’integrale dell’omogenea associata della 1.11 puòottenersi immediatamente dalla 1.6 con la stessa sostituzione:

y1(t) = A exp[−(1 −R)

t

2Ts

]cos(ωot+ ϕ) 1.13

La novità della 1.13 consiste nel fatto che, qualora il parametro adimensionatoR risulti maggiore di 1, l’oscillazione cresce con legge esponenziale, amplifi-candosi rapidamente. È vero che le costanti A e ϕ dipendono dalla posizionee dalla velocità iniziale della massa oscillante e che, in teoria, si può azzerarey2(t) supponendo quelle grandezze esattamente nulle. Ma esattamente nulleè un concetto astratto, che nella realtà fisica non ha cittadinanza; se non altrocome conseguenza macroscopica del moto di agitazione termica, la presenzadi una fluttuazione minima è inevitabile34.In breve, quello che discrimina i due sistemi meccanici schizzati nelle fig. 1.16

e 1.17 è che il secondo possiede un meccanismo di amplificazione di unaperturbazione arbitrariamente piccola; in esso, date le opportune condizioni(R > 1), una perturbazione produce un moto macroscopico, mentre nel primosarebbe rimasta inavvertita. Quello che abbiamo descritto è un archetipo dimoto autoeccitato. Si noti che il sistema oscillante è debitore verso l’esternosolo della sorgente di energia; la frequenza di oscillazione ωo è una proprie-tà intrinseca e tale risulterebbe anche la distribuzione spaziale del movimento,se la massa vibrante non fosse stata ridotta, per semplificare la trattazione, apuntiforme; per fare un esempio, se avessimo considerato il moto di una cordadi violino.

34In effetti, si sente spesso parlare di assoli di violino suonati da cane, ma di uno che sia abortitonel più totale silenzio, perché la posizione e la velocità iniziale delle corde erano esattamentenulle, a memoria d’uomo, non vi è ricordo.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

t

Fig. 1.19 – Oscillazione autoeccitata.

In quanto alla crescita esponenziale, essa porta rapidamente il sistema fuoridal campo di linearità e quindi cessa di essere valida; l’ampiezza dell’oscilla-zione si attesta ad un valore che dipende dalle caratteristiche del sistema stessoe dal parametro R. L’andamento temporale dell’oscillazione è quello indicatoin fig. 1.19, e può essere descritto dalla relazione: y1(t) = A(t)cos(ωot+ ϕ);la parte di curva che corrisponde alla soluzione linearizzata 1.13 è ovviamen-te la prima, quella che si inarca verso l’alto. Il valore dell’ampiezza a cui sistabilizza l’oscillazione può essere tuttavia calcolato, rinunciando alla rappre-sentazione linearizzata del fenomeno, quando si conoscano le caratteristichemeccaniche delle varie componenti. Il valore stazionario corrisponde infatti alverificarsi di una condizione ben precisa, che non dipende dalla storia del pro-cesso: una volta raggiunto lo stato stazionario, il lavoro assorbito dall’esternoin un ciclo deve risultare pari a quello dissipato nello stesso periodo per attrito.Il calcolo della fase ϕ è, invece, al di là delle nostre possibilità. Per conoscer-la, dovremmo veramente ricostruire l’evoluzione temporale, a partire dalle im-misurabili condizioni iniziali. Dunque, l’amplificazione di una perturbazionearbitrariamente piccola, e comunque non controllata, rivela una sorta di gradodi libertà del sistema. Dal punto di vista della predicibilità, possiamo dire chesi ha indotto un grado di indeterminazione35, senza che per questo venga a ca-dere l’apparato formale del determinismo. Se conoscessimo in modo esatto lecondizioni iniziali...; se, appunto.

35Il fatto che l’apparato uditivo non sia in grado di distinguere la fase, ha semplificato in notevolemisura il mestiere del violinista.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

Oscillazioni autoeccitate in un sistema fluido

Naturalmente, il comportamento di un sistema continuo quale è un fluido, rettoda equazioni intrinsecamente non lineari, è più complesso di quello descritto.Rimane tuttavia vero che qualsiasi sistema dinamicamente instabile, inten-dendo con questo termine che esso amplifica piccole perturbazioni comunquegenerate, risulta in termini pratici poco prevedibile, poiché eventi macroscopi-ci possono essere generati da fatti che sfuggono alla conoscenza e, a maggiorragione, al controllo. Si tratta di un tema che ha avuto negli ultimi anni lar-ga divulgazione; i discorsi sul battito della farfalla nella giungla amazzonicache può provocare un cataclisma a Pechino, o altre affermazioni dello stessotenore, suonano lievemente esagerate, ma riflettono una problematica reale.L’oscillazione autoeccitata di un sistema a un solo grado di libertà può servireda punto di partenza per una breve discussione della instabilità dinamica di unsistema più complesso. Consideriamo una corrente all’interno di un dominiospaziale assegnato, retta dalle consuete equazioni di continuità e di quantità dimoto. Adottate come unità di misura di lunghezza, velocità, tempo, pressione,le scale:

L,Uo, L/Uo, ρUo2

ove L e Uo indicano una lunghezza e una velocità caratteristiche del campo dimoto, e ρ è la densità del fluido, le equazioni possono essere poste in variabiliadimensionate:

∂uk

∂xk= 0 1.14

∂ui

∂t+ uk

∂ui

∂xk+∂p

∂xi− 1Re

∂2ui

∂xk∂xk= 0 1.15

Re =UoL

ν1.16

in modo che rappresentino un’intera classe di correnti simili36.Si può supporre che le equazioni precedenti, con le relative condizioni di con-torno che qui non vengono specificate, ammettano una soluzione stazionariache indichiamo con [U(x), P (x)] - velocità e pressione. Non è detto che lasoluzione stazionaria sia stabile. È possibile che una piccola perturbazione[u(x, t), p(x, t)], comunque indotta, tenda a crescere e quindi modifichi col

36C. Cancelli, op. cit., 5.1.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

passare del tempo la configurazione di partenza; in tal caso la soluzione sta-zionaria dovrà essere ritenuta puramente teorica. Per indagare se la soluzionestazionaria sia stabile, si introducono nelle equazioni 1.14 e 1.15 le variabiliperturbate:

U(x) + u(x, t) 1.17

P (x) + p(x, t) 1.18

e quindi si studia l’evolvere nel tempo delle perturbazioni u(x, t) e p(x, t).Qualora le perturbazioni tendano ad estinguersi, qualunque sia la loro forma,la soluzione base [U(x), P (x)] risulta stabile. L’analisi viene semplificata me-diante l’ipotesi che le perturbazioni u(x, t) e p(x, t) siano di piccola ampiezza,così che i termini ove esse compaiono in modo non lineare possano essere tra-scurati. Ricordato che la corrente base U(x) e la pressione corrispondenteP (x) soddisfano, per definizione, le equazioni:

∂Uk

∂xk= 0 1.19

Uk∂Ui

∂xk+∂P

∂xi− 1Re

∂2Ui

∂xk∂xk= 0 1.20

sostituendo le 1.17 e 1.18 nelle equazioni 1.14 e 1.15, e linearizzando nellevariabili u(x, t), p(x, t), si ottiene:

∂uk

∂xk= 0 1.21

∂ui

∂t+ Uk

∂ui

∂xk+ uk

∂Ui

∂xk+∂p

∂xi− 1Re

∂2ui

∂xk∂xk= 0 1.22

Nelle equazioni 1.21 e 1.22, la U(x) e le sue derivate spaziali figurano comecoefficienti noti - variabili con la posizione ma non con il tempo - perché con-cettualmente la U(x) è determinata dal sistema di equazioni 1.19 e 1.20, dicui è soluzione. Funzioni incognite sono da considerare u(x, t) e p(x, t), eil sistema di equazioni risulta lineare rispetto a queste variabili. Si può quin-di, nel cercare la soluzione, ricorrere a una combinazione lineare di integraliparticolari di forma esponenziale nel tempo:

�{f(x)exp(λt)} 1.23

riservandosi di sommarli in modo tale da soddisfare una generica condizioneiniziale u(x, 0) e p(x, 0) delle funzioni incognite. Il procedimento prevede

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1. CORRENTI TURBOLENTE

che si sostituiscano gli integrali particolari di forma 1.23 nelle 1.21 e 1.22, sirisolvano le equazioni differenziali che ne risultano nelle incognite f(x), e siimponga il rispetto delle condizioni geometriche di contorno. Se operandoin questo modo si ottiene un insieme completo di funzioni ortogonali fn (n= 1,2,3 ...), la soluzione generale, corrispondente a una perturbazione inizialequalsiasi della corrente, è data da una combinazione lineare di queste:

�{

n∑1

fn(x)exp(λnt)

}n = 1, 2, 3...

In realtà il procedimento non è semplice; se si escludono situazioni in cui lacorrente di base gode di qualche proprietà di simmetria, non si hanno solu-zioni esatte. In linea di principio è tuttavia accettabile - vista la natura delproblema - l’idea che l’evolvere temporale di una perturbazione generica siarappresentato da una sovrapposizione di componenti del tipo 1.23. È quindinecessario, perché la perturbazione si estingua, che facciano altrettanto tuttele componenti, essendo ovvio che una sola che cresca senza limite è sufficien-te a rendere divergente la soluzione complessiva. Si noti che nella 1.23 λ è daconsiderare quantità complessa:

λ = γ + iω

così che la soluzione particolare:

fn(x) exp(γnt) cos(ωnt+ φn)

decade col passare del tempo quando è: γn < 0, mentre cresce senza limitequando è: γn > 0. Dunque, affinché la configurazione di base risulti stabile, èrichiesto che tutti i valori ammissibili di λ abbiano parte reale negativa.

Senza spingersi troppo avanti negli aspetti tecnici, si può osservare che quan-do si sostituisce nelle 1.21 e 1.22, al posto delle funzioni incognite u(x, t)e p(x, t) le forme un(x) exp(λnt), pn(x) exp(λnt), si ottengono delle equa-zioni differenziali senza derivate temporali, all’interno delle quali λn rimanecome parametro. In termini matematici il problema assume i lineamenti diun problema agli autovalori: si hanno delle equazioni differenziali, contenentiun parametro da definire, e delle condizioni al contorno che vanno rispettateai bordi del dominio. Queste ultime in genere possono essere soddisfatte so-lo per particolari valori λn del parametro; l’insieme dei valori ammissibili diλ dà gli autovalori del sistema e le soluzioni particolari corrispondenti un(x)

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1. CORRENTI TURBOLENTE

e pn(x) portano il nome di autofunzioni, o modi. Da questo punto di vista,si può dire che la configurazione stazionaria U(x), P (x) risulta stabile quan-do tutti gli autovalori che risultano da un’analisi pertubativa hanno parte realenegativa.

Venendo ora al ruolo svolto dal numero di Reynolds, osserviamo che essoè presente nelle equazioni di partenza e in tutte quelle successive, e pertan-to influenza i risultati dell’analisi della perturbazione e in particolare l’in-sieme degli autovalori λn. Si può concludere dicendo che la stabilità dellaconfigurazione U(x) è determinata dai seguenti fattori:

– la forma della corrente37;

– le condizioni al contorno;

– il numero di Reynolds.

Per quanto riguarda quest’ultimo, esso interpreta una caratteristica distintivadella classe di correnti simili che vengono esaminate. Possiamo presumereche per valori sufficientemente bassi di Re tutti gli autovalori presentino partereale negativa e la corrente di base risulti pertanto stabile. Si tratta di un’affer-mazione confortata dai dati sperimentali, e anche da quelli teorici, in quei casiin cui il procedimento porta a conclusione. È anche sostenuta da una conside-razione del tutto generale; quando una perturbazione si amplifica, non può chederivare la sua energia dalla corrente di base, a cui risulta accoppiata tramitei termini convettivi dell’equazione di quantità di moto, cfr. eq. 1.22. Sappia-mo tuttavia38 che, per Re → 0, l’importanza dei termini convettivi tende adannullarsi in confronto a quella dei termini viscosi. Priva di accoppiamentocon la corrente di base, un’eventuale perturbazione non può svilupparsi; essaè destinata a sparire per la dissipazione viscosa.

Col crescere di Re, e rimanendo assegnata la forma U(x), la situazione puòcambiare. I termini convettivi dell’equazione di quantità di moto si fannosempre più importanti, ed è possibile che la parte reale di uno degli autovalori,

37Poiché le variabili sono adimensionate con delle scale interne, U(x) rappresenta una funzionedi forma.

38C. Cancelli, op. cit., 1.6, p. 93.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

inizialmente negativa, cresca fino ad annullarsi in corrispondenza di un valo-re critico Rec, per poi divenire positiva per un’ulteriore incremento di questoparametro. In tal caso, nella miscela di modi che rappresenta la perturbazionecasuale, uno si stacca dagli altri e si rivela in termini macroscopici, poiché siamplifica con legge esponenziale mentre tutti gli altri vanno decadendo. Nel-la fase iniziale del processo, infatti, il comportamento della perturbazione èquello descritto dall’approssimazione lineare e le varie componenti si svilup-pano in modo autonomo, l’una indipendentemente dalla presenza delle altre.La comparsa di un autovalore con parte reale positiva si chiama biforcazio-ne di Hopf; l’oscillazione che per prima emerge all’osservazione sperimentaleviene indicata col nome di modo più instabile. L’oscillazione sinusoidale chesi osserva nella scia del cilindro per Re > 40 - essendo 40 il valore critico - èsicuramente di questa natura.

Tornando al confronto tra il comportamento di un oscillatore con un grado dilibertà e quello di una corrente di fluido, si può notare che esiste una chia-ra analogia tra il manifestarsi dell’oscillazione autoeccitata nell’oscillatore, ela prima biforcazione della corrente attorno ad un cilindro indefinito. In en-trambi i casi, fintanto che un parametro adimensionato di controllo rimane aldi sotto di una soglia critica, a condizioni esterne stazionarie corrispondonoconfigurazioni stazionarie del sistema:

y2 =foFn

kper l’oscillatore,

U = U(x)

per il campo di velocità del fluido.Quando il parametro di controllo supera il valore di soglia compare, appa-rentemente dal nulla, una oscillazione di forma sinusoidale, la cui fase risultaarbitraria agli occhi di un osservatore, e quindi imprevedibile. Nell’uno e nel-l’altro caso, la soluzione stazionaria continua teoricamente a sussistere ancheal di sopra della soglia39; quello che cambia è il comportamento di una per-turbazione accidentale del sistema. In regime subcritico, la perturbazione èdestinata a smorzarsi; in regime supercritico, si amplifica fino a raggiungere

39A parte la difficoltà di calcolarla, non vi è motivo di dubitare che si trovi, per qualsiasi valore diRe, una soluzione U(x) raccordata con le condizioni di contorno.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

Rec Re

A

Fig. 1.20 – Ampiezza dell’oscillazione autoeccitata in funzione del numero di Reynolds.Per Re minore di Rec, la corrente è stabile.

valori finiti. Se indichiamo con Rec il valore critico del parametro di control-lo, considerazioni di carattere del tutto generale ci permettono di affermareche l’ampiezzaA dell’oscillazione autoeccitata va crescendo con la differenza(Re −Rec), vedi fig. 1.20, secondo la legge:

A = cost√Re −Rec

ove la costante è da determinare caso per caso40.

Dall’instabilità alla turbolenza: cenno alle teorie di transizione

Qui si arresta l’analogia tra i due fenomeni. La molla di fig. 1.17 può oscil-lare in un solo modo; un campo di moto fluido rotazionale può accettare benpiù che un modo di oscillazione. Al crescere di (Re − Rec) il nuovo campodi moto che si è venuto instaurando diviene a sua volta instabile e genera dalsuo seno una seconda componente, con una nuova frequenza che risulterà in-commensurabile alla prima41 per ragioni di probabilità. La parte fluttuante del

40Si tratta di un risultato ottenuto per mezzo di una espansione in serie di potenze. Il significatoesatto della formula pertanto è che, per Re → Rec, A tende a zero come

√Re − Rec. Per

quale intervallo di (Re − Rec) la formula dia una approssimazione accettabile, non può esserestabilito a priori. Cfr. L. Landau, E. Lifshitz: Fluid Mechanics, Pergamon Press, Oxford 1987,p. 97.

41Significa che uno non può attendersi che il rapporto tra le due frequenze - o tra i rispettivi periodi- sia un numero razionale; non si può quindi trovare un tempo che sia multiplo comune dei dueperiodi. Nel suo insieme l’oscillazione non risulta periodica, sebbene sia possibile ritornare,infinite volte, vicino quanto si vuole ad una condizione qualsiasi; purché si abbia la pazienza diattendere, ovviamente. I moti che mostrano questa caratteristica si chiamano quasi-periodici.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

campo è ora data da due componenti oscillatorie di diversa frequenza e dal-le loro eventuali armoniche; lo spettro del segnale è uno spettro a righe, doveappaiono due frequenze tra loro non correlabili. Il nuovo campo fluttuante haacquisito una nuova fase arbitraria e, quindi, ha ora due gradi di libertà. Laperdita di stabilità di un moto oscillatorio, che si biforca in due componenti difrequenza diversa tra loro indipendenti, è un fenomeno tipico della dinamicadei fluidi, che in qualche misura può ritenersi sperimentalmente accertato42.Landau, nel 1944, pensò che le caratteristiche della parte fluttuante del cam-po di moto turbolento potessero essere spiegate supponendo una iterazione diquesto processo. Lasciamogli la parola43: Quando il numero di Reynolds cre-sce ulteriormente, appaiono in successione sempre nuovi periodi. L’intervallodel numero di Reynolds che passa tra un’apparizione e le successive, dimi-nuisce rapidamente. Le nuove configurazioni hanno scala geometrica semprepiù piccola. Questo significa che l’ordine di grandezza della distanza su cui siha una variazione apprezzabile di velocità è tanto minore quanto più è recen-te l’apparizione del moto in questione. Per Re > Rec, pertanto, la correntediviene rapidamente complessa e confusa. Si dice allora che è turbolenta.Il campo di moto ipotizzato da Landau ha uno spettro a righe; rappresenta, nellinguaggio correntemente adottato, un fenomeno quasi-periodico. Tuttavia,quando il numero di righe diviene elevato, la differenza tra spettro continuo espettro a righe non può essere apprezzata sperimentalmente, e la distinzionestessa appare di natura accademica.In questi anni la teoria di Landau non è più ritenuta credibile; il suo limite ènell’aver immaginato che le successive instabilità lascino immutate quelle pre-cedenti, che conservano il loro carattere periodico e la loro originaria frequen-za. Questa, tuttavia, è più una prerogativa delle tecniche di analisi linearizzatache si adottano nello studio delle instabilità - la configurazione di base è re-golarmente assunta come immutabile - che non una proprietà dei sistemi fisicidotati di dinamica non lineare. La meccanica offre molti esempi di interazio-ne non lineare tra componenti periodiche diverse, che portano a modificare oa distruggerne la periodicità. Diversi autori hanno studiato modelli matemati-ci non lineari - per via teorica, o empirica attraverso la simulazione numerica

42Lo scrivono tutti; sarà dunque vero.

43L. Landau, E. Lifshitz, op. cit.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

- in cui l’interazione tra i diversi modi genera fenomeni genuinamente nonperiodici; le corrispondenti soluzioni, analizzate in termini di componenti diFourier, danno uno spettro continuo. La continuità dello spettro - l’esisten-za di una sua parte almeno con supporto non nullo - è legata, come vedremo,a una prevedibilità limitata nel tempo. In termini fisici, questo implica che isistemi dinamici di tal fatta mostrano una sensibilità patologica a una variazio-ne delle condizioni iniziali. La più piccola variazione produce una evoluzionedel sistema che, in un tempo finito, diviene del tutto scorrelata da quella ori-ginale; insomma, le due sequenze temporali, dopo un intervallo di tempo piùo meno lungo, si comportano come se non fossero neppure lontane parenti,nonostante l’origine quasi comune. È bene notare che, essendo la scelta deltempo iniziale del tutto arbitraria, questa stessa proprietà può essere riferitaad un istante qualsiasi. Questi sistemi mostrano pertanto uno stato di peren-ne instabilità; qualunque disturbo, comunque introdotto nella loro evoluzione,porta in un tempo finito a stravolgerla. Attualmente, si ritiene che le equazio-ni dei fluidi posseggano queste caratteristiche e che il moto turbolento ne siala rivelazione. Chi più di altri lo ha proclamato a gran voce - un matematicofrancese di nome Ruelle - ha dato il suo nome alla relativa teoria44. Ruelle ha,tra l’altro, mostrato che dopo un numero limitato di biforcazioni - al minimotre - l’interazione non lineare tra le componenti può trasformare il regime daquasi-periodico in non-periodico, dando luogo a uno spettro continuo. Pos-sono bastare quindi un numero limitato di gradi di libertà - le tre fasi arbitrariecomparse nelle successive biforcazioni - a dar vita a un regime imprevedibile,grazie all’accoppiamento non lineare delle diverse componenti. La constata-zione sembra suggerire che i lineamenti principali della turbolenza possanoessere riprodotti modellando l’interazione di un numero ridotto di strutture delcampo, individuate come fondamentali, mentre tutto il resto può essere tra-scurato come un rumore di fondo. Su argomenti di questo tenore sono basatii modelli di turbolenza con basso numero di dimensioni - ridotto numero divariabili necessarie a definire, nei suoi aspetti essenziali, il campo fluttuante -presentati in questi ultimi anni. A giudicare dai risultati, non si direbbe chesiano stati un successo. Del resto, neppure lo scenario di transizione proposto

44D. Ruelle, F. Takens, 1978.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

da Ruelle ha trovato decisiva conferma sperimentale45; altri scenari sono statiproposti, e la discussione può considerarsi aperta.Non entreremo nel merito di questo dibattito, troppo lontano dagli obiettivi diquesto corso. A noi interessa solo ricordare ancora una volta che, per opinionecomune, le correnti turbolente possiedono quel carattere di perenne instabilitàdinamica precedentemente descritto, e che questo fatto impone di formulare inuna nuova prospettiva il problema della predicibilità. Nel paradigma determi-nistico di Laplace, la conoscenza dello stato del sistema a un istante qualsiasipermette di predirne il futuro, o di ricostruirne il passato. Non viene conside-rato alcun limite per questa capacità di proiezione, in entrambi i sensi dell’assedel tempo; implicitamente si assume che l’incertezza inevitabile nella cono-scenza dello stato presente renda incerta la previsione dello stato futuro nellastessa misura - produca errori percentuali dello stesso ordine di grandezza -ma non la annulli, per qualsiasi arco temporale. Nell’affrontare le correnti tur-bolente, o in generale nello studio di sistemi complessi e non lineari, occorreaccettare invece un punto di vista sostanzialmente diverso. Poiché non è possi-bile avere una conoscenza esatta dello stato del sistema a un istante generico,la previsione o la ricostruzione temporale hanno valore solo per un periodolimitato. Per fare un esempio, vi sono programmi di calcolo che prevedonole variazioni meteorologiche; in realtà, la situazione atmosferica viene perio-dicamente aggiornata tramite l’osservazione; il calcolo permette soltanto diprecorrere di qualche decina di ore lo sviluppo futuro. Il programma agiscecome un viaggiatore che proceda con gli occhi bendati, e venga a intervalliregolari riportato sulla via da percorrere da qualcuno che li ha ben aperti.Rimane da chiarire quale senso abbia la trattazione statistica delle configura-zioni possibili. In effetti, se ogni evoluzione è irripetibile e finisce con l’esserescorrelata da qualsiasi altra, può venire il dubbio che anche il calcolo di valo-ri medi abbia poco significato. Sperimentalmente le cose non stanno in questitermini; i valori medi risultano ripetibili e correlati con le condizioni esterneche controllano la corrente. Da un punto di vista teorico, si è mostrato che

45Subito dopo il lancio della teoria, qualche ricercatore ne ha fulmineamente trovato confermasia nella scia del cilindro, sia nei moti convettivi di un fluido compreso tra due piani orizzontalitenuti a diversa temperatura. Il problema è che nessuno è riuscito a ripetere l’esperimento. Lacosa, secondo una convenzione codificata circa quattro secoli fa nell’Inghilterra di Boyle, e nonancora abrogata, non suona favorevole.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

Re > 40

Re > 2300

Fig. 1.21 – Rappresentazione simbolica della transizione da laminare a turbolento nelcaso: (a) → (b), in una corrente esterna; (c) → (d), in una corrente all’interno di untubo.

esistono sistemi dinamici dissipativi in grado di conciliare i due aspetti appa-rentemente contradditori, l’instabilità delle soluzioni e la ripetibilità dei valorimedi46. Si ritiene che le equazioni dei fluidi appartengano a questa classe.

Correnti instabili solo per perturbazioni che superano una data ampiezza

Concludiamo con un richiamo alla instabilità della corrente all’interno del tu-bo circolare, ove la transizione da laminare a turbolento mostra lineamentidiversi da quelli che abbiamo descritto fino ad ora. In realtà, il comportamen-to della corrente nel tubo non può essere spiegato se non ammettendo che larelativa soluzione stazionaria risulti stabile rispetto a perturbazioni arbitraria-mente piccole. Volendo rappresentare in modo simbolico la diversità dellesituazioni, possiamo dire che nel caso della corrente attorno al cilindro si pas-sa, quando viene superato il valore critico Re ∼ 40, da una condizione deltipo (a) e una del tipo (b) (fig. 1.21); mentre, nel caso della corrente all’internodi un tubo, si passa da una condizione di tipo (c) ad una condizione di tipo (d),

46E.N. Lorenz, 1963.

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1. CORRENTI TURBOLENTE

per Re ∼ 2300. Nel correnti interne, la potenziale instabilità può innescarsisolo se la perturbazione casuale ha una ampiezza sufficiente.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

2.1. DESCRIZIONE STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Momenti e densità di probabilità di un insieme di campi. Medie temporalied ergodicità

Poiché l’evolvere apparentemente caotico di una corrente turbolenta non è ri-conducibile a fattori che agiscano dall’esterno in modo macroscopico e con-trollabile, è necessario ricorrere a uno studio statistico al fine di trovarvi rego-larità e ripetitività di comportamento. Da un punto di vista concettuale, questonuovo attacco implica un cambiamento di prospettiva: invece che a determi-nare la distribuzione istantanea di una grandezza - ad es., il campo1 ut(x, t)- si mira ai suoi valori medi, o più in generale a calcolare con quale probabi-lità si possa, eseguendo una misura, trovare la grandezza stessa entro un datointervallo di valori.Si considerino N campi ut(x, t), supponendo che il numero N possa cresce-re illimitatamente, in N domini fisici identici, condizionati ai bordi in unostesso modo. L’insieme degli N campi rappresenta un processo casuale e l’e-laborazione statistica dell’insieme permette di calcolarne sia il valore mediolineare:

limN→∞

[1N

N∑i=1

(ut)i

]≡< ut >≡ U

sia i momenti centrali di qualsiasi ordine (m = 2, 3, ...):

limN→∞

[1N

N∑i=1

((ut)i − U)m]≡< (ut − U)m >

Come abbiamo già ricordato, in fluidodinamica si usa adottare lascomposizione:

ut = U + u

ove U sta per il valore medio lineare - spesso chiamato semplicemente valoremedio - e u indica la fluttuazione o scarto; con l’introduzione di queste gran-dezze, la statistica del processo viene espressa dai valori medi U e < um >. I

1In questo capitolo tutti i campi saranno indicati come se fossero degli scalari, per semplificarela notazione. Il discorso che viene sviluppato può intendersi riferito ad una grandezza qualsiasi,velocità, pressione, temperatura et cet.; se lo si vuole riferito alla velocità, si può immaginareche si parli di una sua componente.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

momenti di vario ordine possono essere direttamente ricondotti a una funzioneψ(ut, x, t), definita in modo tale che l’integrale:∫ ut+Δut

ut

ψ(u′t, x, t)du

′t

rappresenti la probabilità di trovare in uno degli N domini, nel punto x eall’istante t, la grandezza ut compresa tra ut ed ut + Δut. Se Δn è il numerodei domini in cui la circostanza è verificata, si ha per definizione di ψ:∫ ut+Δut

ut

ψ(u′t, x, t)du

′t = lim

N→∞

(ΔnN

)da cui deriva l’inevitabile vincolo:∫ +∞

−∞ψ(u

′t, x, t)du

′t = 1

La funzione ψ(ut, x, t) si chiama densità di probabilità della variabile ut; conuno spostamento dell’origine si può trasformarla nella ψ(u, x, t), densità diprobabilità della fluttuazione u. I vari momenti della distribuzione possonoessere calcolati mediante ψ; si possono facilmente dimostrare le relazioni:

U(x, t) =∫ +∞

−∞u′tψ(u

′t, x, t)du

′t

< (ut − U)m >=< um >=∫ +∞

−∞(u′t − U)mψ(u

′t, x, t)du

′t

che sono basate sull’uguaglianza:

ψdu′t =

dn

ND’altra parte, è vero anche cheψ può essere dedotta per via matematica tramitei momenti della distribuzione; il legame tra i momenti e la funzione è biunivo-co2. Dunque, l’insieme degli infiniti momenti e la funzione continua ψ(u, x, t)sono strumenti del tutto equivalenti, per quanto riguarda la descrizione stati-stica del processo casuale; la densità di probabilità ψ è una grandezza che neriassume compiutamente le proprietà statistiche. La funzione stessa dovrebberisultare univocamente determinata dalle condizioni di contorno che manten-gono la corrente. Si recupera in questa forma una relazione di dipendenza;non le evoluzioni istantanee, ma i valori medi (o ψ) risulteranno ripetibili econtrollabili dall’esterno.

2Cfr. H. Tennekes, J.L. Lumley, A First Course in Turbulence, 6.2, The MIT Press, Cambridge,1972.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

È evidente che questo modo di vedere le cose riecheggia un procedimentoconsueto nella fisica delle particelle elementari. Vi è tuttavia una differenza dinotevole importanza pratica. Nel caso delle correnti turbolente non vi è mododi trovare ψ per via teorica, né i relativi momenti; tutto quello che si può fareè trarre qualche indicazione qualitativa dalle equazioni che si ottengono per imomenti di ordine più basso. Le equazioni tuttavia risultano sottodeterminate,e quindi insolubili, senza l’ausilio di ipotesi aggiuntive. La maggior parte del-le informazioni sui moti turbolenti derivano da misure sperimentali di valorimediati nel tempo, nell’unica realizzazione della corrente che lo sperimenta-tore ha avuto sottomano. La funzione della teoria è quella di collocare questidati in un contesto; la cosa richiede che si stabilisca una relazione tra medie diinsieme e medie temporali, e questo viene fatto attribuendo al processo casua-le un carattere di ergodicità. Si inizia supponendo che la densità di probabilitàψ non dipenda dal tempo, che sia quindi:

∂ψ/∂t = 0

In tale caso si dice che il processo è stazionario in senso statistico, o in me-dia; anche i momenti U , < um > risulteranno indipendenti dal tempo. Vi-gendo questa condizione, si può assumere per ipotesi che le medie temporalicalcolate in uno qualsiasi degli N campi:

ut ≡ limT→∞

[1T

∫ T

0ut(t

′)dt

′]

um ≡ limT→∞

[1T

∫ T

0um(t

′)dt

′]

coincidano con le medie di insieme:

ut =< ut >≡ U

um =< um >

L’ipotesi invocata si chiama ergodica, e presume che la successione tempora-le delle configurazioni di un unico campo sia equivalente, da un punto di vistastatistico, all’insieme delle configurazioni istantanee degli N campi, conside-rati in un istante qualsiasi. La correttezza dell’ipotesi può essere dimostratanei sistemi con dinamica hamiltoniana, o conservativi; per un sistema dissi-pativo come un fluido in movimento non esiste dimostrazione. Visto lo statodell’arte, possiamo dire che non vi sono elementi per dubitare che l’ipotesi siavera.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

L’ipotesi ergodica costituisce un ponte tra l’impostazione teorica e le misure.Nell’indagine sperimentale l’attenzione è rivolta alla determinazione dei pri-mi momenti, essenzialmente del valore medio U(x) - le cui variazioni neldominio rappresentano l’oggetto principale della ricerca - o della varianzaσ2

u ≡< u2 >, che rappresenta una misura dell’energia cinetica della fluttua-zione. A meno di un fattore numerico3 σu

2 è infatti l’energia cinetica mediadel fluido per unità di massa, dovuta alla componente variabile del campo divelocità; moltiplicata per ρ dà la densità di questa stessa grandezza.La deviazione standard σu viene usata come scala di velocità per la costruzionedi indici adimensionati; ad es. il rapporto:

σu

U

è spesso usato come indice di turbolenza di una corrente4.I rapporti:

< u3 >

σ3u

< u4 >

σ4u

rappresentano dei fattori di forma della distribuzione; il primo rivela la pre-senza di una eventuale dissimmetria in ψ - è infatti nullo per le distribuzionisimmetriche - il secondo, la cosiddetta curtosi, ha a che vedere con la minoreo maggiore altezza della curva.È bene precisare che il tempo richiesto per misurare con qualche certezza imomenti sale rapidamente con il loro ordine; quelli di ordine superiore in-fatti dipendono in modo significativo da fluttuazioni sempre più rare, perchédi grande ampiezza. Di solito, la misura dei primi due dà una sufficiente in-formazione. È solo ultimamente che si è acceso l’interesse per i momenti diordine superiore, al fine di verificare il minore o maggiore scostamento della

3Uguale a 3/2, nel caso che u stia per una componente della fluttuazione di velocità in un campostatisticamente isotropo.

4Alla lettera, si tratta di una definizione insensata, poiché U dipende dalla scelta del sistema diriferimento. In realtà, è implicito che il sistema di riferimento sia dato dall’impianto sperimen-tale; U sta quindi a indicare la variazione dalla velocità media del dominio, perché la velocitàsulle pareti è sicuramente nulla.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

curva ψ(u) dalla gaussiana; sono stati quindi fatti notevoli sforzi sperimentaliper acquisire momenti di ordine elevato. Indipendentemente dall’argomentoin cui queste misure si collocano - e che esula dai confini di questo corso -ricordiamo che non vi è motivo di ritenere che la ψ(u) debba avere una di-stribuzione normale (gaussiana). La distribuzione delle velocità verticali nellostrato limite terrestre sicuramente non lo è, tanto per citare un caso noto; lapresenza del terreno rende la distribuzione dissimmetrica.

Funzioni di correlazione

Il campo fluttuante presenta, a prima vista, un aspetto disorganizzato; eppu-re è possibile tramite l’analisi statistica portare alla luce l’esistenza di unastruttura nella variazione di una generica grandezza, un insieme di scale chedipende dai parametri globali della corrente. La tecnica che si impiega con-siste nello studiare la correlazione che passa tra due eventi separati nello spa-zio, per quanto riguarda la determinazione delle scale di lunghezza, oppu-re sfasati nel tempo, per quel che riguarda le scale temporali. Indichiamocon ψ(u1, x1, t1;u2, x2, t2) la densità di probabilità bivariata che esprime laprobabilità congiunta dei due eventi:

– u1o < u1 ≤ u1o + Δu1, al tempo t1 nella posizione x1

– u2o < u2 < u2o + Δu2, al tempo t2 nella posizione x2

per mezzo dell’integrale definito:∫ u1o+Δu1

u1o

du′1

∫ u2o+Δu2

u2o

ψ(u′1, x1, t1;u′2, x2, t2)du′2

Detto di passaggio, la nuova distribuzione soddisfa le condizioni:∫ +∞

−∞ψ(u1;u′2)du

′2 = ψ(u1)∫ +∞

−∞ψ(u′1;u2)du

′1 = ψ(u2)

e quella globale: ∫ +∞

−∞

∫ +∞

−∞ψ(u′1;u

′2)du

′1du

′2 = 1

che rimangono valide per qualunque valore di x e t.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

La nuova funzione permette di calcolare il valore medio dei prodotti:

< u1u2 >=∫ +∞

−∞

∫ +∞

−∞u

′1u

′2ψ(u′1, u

′2)du

′1du

′2

i quali risultano in generale variabili con le posizioni x1 e x2 e con i tempi t1e t2. Conviene, prima di procedere, introdurre esplicitamente la distanza s trale due posizioni e il ritardo r tra i due tempi:

x2 − x1 = s

t2 − t1 = r

Le funzioni < u1u2 > si possono pertanto considerare dipendenti dallaposizione x1 e dal tempo t1, che localizzano il primo evento:

u1o < u1 < u1o + Δu1

e dagli spostamenti s e r che permettono di collocare nello spazio e nel tempoil secondo:

u2o < u2 ≤ u2o + Δu2

Si ha in breve:

< u1u2 >= f(x1, t1, s, r)

Tuttavia, se il campo è stazionario in senso statistico, qualunque valore medionon può dipendere da un tempo assoluto. Limitando pertanto la nostra analisiagli insiemi di campi che godono di questa proprietà, avremo:

< u1u2 >= f(x1, s, r)

e la scomparsa di t1 nella relazione funzionale indica che il risultato dell’ope-razione di media dipende solo dallo sfasamento temporale r tra i due eventi, enon dall’istante in cui il primo dei due ha avuto luogo.

Per il carattere ergodico che è attribuito al processo, si ha inoltre:

u1u2 =< u1u2 >

avendo indicato con la barra il valore medio temporale:

u1u2 = limT→∞

[1T

∫ T

0u1u2dt

′]

Le funzioni del tipo < u1u2 > si chiamano correlazioni; oppure autocorrela-zioni nel caso che u1 e u2 rappresentino la stessa variabile misurata in punti,o in tempi, diversi. Dalla teoria della probabilità sappiamo che la correlazio-ne tra due quantità che fluttuano attorno a valori medi in modo indipendente

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

è uguale a zero. In tale situazione il valore medio del prodotto è uguale alprodotto dei valori medi:

< u1u2 >=< u1 >< u2 >= 0

e si annulla poiché il valore medio lineare di uno scarto è zero per definizione.

Non è vera la relazione inversa; una correlazione può essere nulla per ragionidi simmetria, anche quando i due eventi non siano affatto indipendenti. Siimmagini, per fare un esempio, che per ogni valore di u1 la fluttuazione u2 nonpossa che assumere uno dei due valori u2 = ±u1, con uguale probabilità. Èscontato che in tale caso si abbia < u1u2 >= 0, sebbene il risultato nascondaun legame assai stretto tra i due eventi. Tuttavia, in mancanza di ulterioriinformazioni, una correlazione vicina allo zero è normalmente assunta comeindice di indipendenza. La cosa non è certa; d’altra parte, la rinuncia allacategoria della certezza è implicita in ogni approccio probabilistico5.

Le funzioni di correlazione compaiono in vario modo nello studio delle corren-ti turbolente. Correlazioni tra due diverse grandezze, o tra componenti diversedel vettore velocità, calcolate nello stesso punto e senza alcun ritardo tempo-rale (s = r = 0), si presentano spontaneamente nelle equazioni di bilanciomediate. Si tratta di flussi dovuti all’accoppiamento di due campi fluttuanti,che hanno importanza fondamentale nel plasmare i fenomeni di trasporto. Neabbiamo già parlato nella introduzione e vi torneremo sopra in seguito.

Le autocorrelazioni danno il valore medio del prodotto di una grandezza mol-tiplicata per se stessa, sfasata nello spazio o nel tempo. Ad es., i prodottimedi:

< u(x)u(x+ s) >= f(x, s)

< u(t)u(t+ r) >= g(t, r)

5I numerosi cialtroni che per decenni si sono esibiti, dietro congruo pagamento da parte del-l’industria del tabacco, nell’affermazione che tra vizio del fumo e cancro al polmone non viera dipendenza provata - o in qualche affermazione dello stesso tenore, a riguardo di uno deitanti problemi simili - speculavano su una diffusa incomprensione della natura dell’inferenzastatistica. In effetti, nel comune sentire si vorrebbe che "altamente probabile" o "scarsamenteprobabile" fosse sostituito da un "sì", oppure da un "no". Pur condividendo in molti riguardi ildesiderio, chi scrive è costretto a ricordare che la cosa non è possibile per la maggior parte deicasi di qualche importanza.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

rappresentano, nell’ordine, un’autocorrelazione spaziale6 e un’autocorrelazio-ne temporale. La prima funzione è definita come valore medio del prodotto deivalori di una stessa variabile, misurati a uno stesso istante in due punti separatidalla distanza s. Nel caso che il campo sia uniforme nello spazio - turbolenzaomogenea - la dipendenza dalla posizione x risulterà fittizia, e l’autocorrela-zione dipenderà solamente dalla distanza s tra i due punti; si avrà anche, persimmetria: f(−s) = f(s). La seconda è data dal valore medio del prodottodei valori di una stessa grandezza misurata nello stesso punto, ma a due istantidiversi separati dall’intervallo temporale r; se il campo è stazionario in sensostatistico, la funzione di correlazione non dipenderà da t, ma solo dal ritardo:g = g(r). Si avrà inoltre, ancora per simmetria: g(−r) = g(r).

Struttura geometrica del campo fluttuante. Scala integrale e spettro dipotenza

Le funzioni di autocorrelazione spaziale possono essere usate per porre in evi-denza l’esistenza di una struttura geometrica nella parte fluttuante del campo.Si introduce una loro espressione adimensionata:

cs(s) =1σ2

u

< u(x)u(x+ s) >

a cui si dà il nome di coefficiente di autocorrelazione spaziale, il quale vienemisurato per valori variabili della distanza s. Poiché è:

< u(x)u(x) >≡ σ2u

il valore del coefficiente è sicuramente pari all’unità per s = 0; quindi vadiminuendo al crescere della distanza. È connotato essenziale delle corren-ti turbolente l’esistenza di una distanza massima Lmax, al di là della qualela fluttuazione di qualsiasi grandezza risulta scorrelata. Le curve cs(s) pre-sentano la forma schizzata in fig. 2.1; per s > Lmax, si ha un coefficiente dicorrelazione nullo, o comunque talmente piccolo da non essere apprezzabiletramite la misura.

6Che il mondo sia tridimensionale viene in questa breve descrizione trascurato. Se introdu-cessimo le tre dimensioni dello spazio avremmo, come è ovvio, più funzioni di correlazionespaziale e una struttura più complessa; ma non aggiungeremmo alcun aspetto concettuale allafenomenologia delle correnti.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

s

Cs

£

1

Fig. 2.1 – Coefficiente di autocorrelazione spaziale.

Questo andamento del coefficiente di correlazione mette in evidenza come nel-le correnti turbolente non si possa trarre alcuna informazione dalla conoscenzadel valore di una variabile fluttuante u nel punto x, su quanto sta accadendodella stessa variabile nel punto di coordinata x + s, con s > Lmax, neppu-re in termini di maggiore o minore probabilità. È evidente l’importanza diLmax; per distanze maggiori di questa, il campo fluttuante si presenta comecompletamente disorganizzato.

Forse perché difficile da misurare, Lmax viene normalmente sostituitadall’area sottesa alla curva cs(s). In effetti,

£ =∫ ∞

0cs(s)ds 2.1

ha le dimensioni fisiche di una lunghezza, e prende il nome di scala integra-le euleriana; £ fornisce una misura, all’incirca, della distanza massima dicorrelazione.

Definita questa distanza globale, si ritiene opportuno introdurre una plura-lità di scale minori; a tal fine si decompone la funzione di correlazionef(s) =< u(x)u(x + s) > in una distribuzione di funzioni sinusoidali didiversa lunghezza d’onda, tramite un integrale di Fourier:

f(s) = �{∫ ∞

−∞F (k)eiksdk

}2.2

La variabile di integrazione k si chiama numero d’onda; è data da k = 2π/λ,ove λ sta a indicare la lunghezza d’onda della generica sinusoide.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Nella 2.2 la funzioneF (k) rappresenta una densità di energia cinetica - energiaper intervallo di numeri d’onda - e prende il nome di spettro di potenza. Pers = 0, dalla 2.2 si ha infatti:

f(0) =< u2 >= σ2u =

∫ ∞

−∞F (k)dk) 2.3

la quale suggerisce che l’energia cinetica della fluttuazione7 possa essere con-siderata come una somma di contributi, ciascuno dei quali associato a un diver-so pacchetto di numeri d’onda. In altre parole, la quantità F (k)Δk rappresental’energia che si misurerebbe dopo avere filtrato la funzione u(x) con un filtropassa-banda che elimini tutte le componenti, fuorché quelle con numero d’on-da compreso nell’intervallo tra k e (k+Δk). Si può stabilire, infatti, un legamediretto tra la densità spettrale F (k) e i coefficientiA(k) della decomposizionein componenti di Fourier della funzione spaziale di velocità u(x+ s). Si con-sideri un insieme di registrazioni u(x+ s) in un intorno di x di lunghezza 2Le le si esprima con il consueto integrale:

u(x+ s) = �{∫ ∞

−∞A(k, x)eiksdk

}In questa espressione x figura come parametro, s è la variabile corrente, eA(k, x) exp(iks)dk rappresenta la componente sinusoidale di u(x+s) che hanumero d’onda k e ampiezza A(k, x)dk. Si può dimostrare che al crescere diL si ha il limite8:

F (k) → 1L< A2(k) > 2.4

che mostra come lo spettro F (k) rappresenti una misura dell’ampiezza qua-dratica media di quella componente di u che ha numero d’onda k. Pertantol’eliminazione tramite filtraggio di tutte le componenti della u(x + s), tran-

7Stiamo interpretando u come una componente della velocità, il che giustifica che si parli dienergia cinetica. Tuttavia il senso della trattazione è talmente generico, che può essere riferito aqualsiasi grandezza. Nell’analisi statistica dei segnali, < u2 > si chiama energia e F (k) spettrodi potenza, qualunque sia la grandezza misurata.

8Si veda J. Hinze, Turbulence, Mc Graw Hill Book Company, London 1959, pp. 54 e sgg, peruna dimostrazione che conduce a una formula del tutto simile, sebbene riferita nominalmentea una scomposizione del segnale nel dominio delle frequenze, invece che in quello dei numerid’onda.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

ne quelle il cui numero d’onda si trova in un intorno Δk di ko, dà uno spettrodiverso da zero solo in quell’intervallo, e un valore medio di energia cinetica:

< u2(ko) >= F (ko)Δk

La rappresentazione dei campi turbolenti o delle funzioni di correlazione me-diante integrali di Fourier9 è entrata nel linguaggio comune, ed è difficile chene esca. Il fatto deriva probabilmente dall’ampio uso che si fa di questa tecni-ca matematica nello studio dei fenomeni lineari. Conviene tuttavia ricordareche nei processi lineari le singole componenti sinusoidali rappresentano solu-zioni matematiche particolari - che possono essere sovrapposte nella ricercadi soluzioni di forma diversa - e che in generale è possibile assegnare loroun significato fisico ben preciso10. Non è altrettanto chiaro che cosa rappre-sentino le singole componenti di una grandezza in un processo altamente nonlineare come quello di cui stiamo parlando. Il merito della scomposizionedel campo in funzioni sinusoidale di diverso numero d’onda è quello di dareforma matematica all’idea che le correnti turbolente sono caratterizzate dal-la compresenza di strutture di diversa scala geometrica; non è l’unico metodopensabile, né il più significativo in ogni configurazione, ma è sicuramente ilpiù diffuso.

Descrizione delle correnti turbolente nello spazio dei numeri d’onda

In ogni caso, la corrispondenza che viene stabilita dalle trasformate di Fouriertra lo spazio fisico, o il tempo, e i domini astratti dei numeri d’onda o del-le frequenze, permette di parafrasare le caratteristiche dei campi turbolenti innuovi termini. Una proprietà nota di una coppia di trasformate f(s), F (k) èche l’estensione nello spazio fisico di f(s) sia inversamente proporzionale aquella della sua trasformata nello spazio dei numeri d’onda; se f(s) ha la for-ma stretta di un picco, F (k) sarà larga in k, e viceversa (cfr. fig. 2.2). Questa

9Oppure di Stieltjes, nella forma: u(x + s) =R ∞−∞ eiksdG(k, x), che si riduce a quella di

Fourier nel caso che G(k) sia derivabile.

10Ad es., nella dinamica ondulatoria classica una componente sinusoidale rappresenta un’on-da di lunghezza d’onda assegnata, la quale si estende all’infinito nello spazio; nell’interpreta-zione quantistica, lo stato di una particella con energia esattamente nota e posizione del tuttoindefinita, ecc.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

s

f

k

F

s

f

k

F

Fig. 2.2 – Coppie di trasformate di Fourier: indicazione qualitativa del legame cheintercorre tra l’estensione delle funzioni nello spazio fisico e in quello dei numeri d’onda.

proprietà può essere facilmente dimostrata quando f(s) appartenga ad una fa-miglia di curve autosimili, ottenibili una dall’altra mediante un cambiamentodi scala11; ma in senso qualitativo vale anche per coppie di trasformate qual-siasi. In genere, se Δ(s) e Δ(k) rappresentano le misure nel senso di Lebesguedell’ampiezza degli intervalli in cui f(s) e F (k) sono significativamente di-verse da zero, il prodotto delle due misure non può scendere al di sotto di unacostante:

Δ(s)Δ(k) ≥ cost 2.5

Il valore della costante dipende dal tipo di misura prescelto per la larghezzadelle due funzioni, ma il fatto che l’uno risulti inversamente proporzionaleall’altro permane.È interessante notare che la larghezza Δ(k) di uno spettro a righe ha in ognicaso misura nulla, e quindi comporta una misura duale Δ(s) che va ad infi-

11Cfr. l’appendice a questo capitolo.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

nito. Questa proprietà delle trasformate di Fourier spiega per quale motivo ilcarattere turbolento delle correnti venga associato alla presenza di uno spettrocontinuo - provvisto di un valore di Δ(k) diverso da zero. Se così non fosse,la distanza di autocorrelazione della parte fluttuante del campo risulterebbe il-limitata, in contrasto con il dato sperimentale; spettro continuo e lunghezza li-mitata di correlazione sono dunque due proprietà formali solo apparentementediverse, che esprimono un’unica caratteristica dei campi di moto turbolento.

Microscala di Taylor

Per motivi che descriveremo in seguito, nelle correnti turbolente lo spettroF (k) si estende verso numeri d’onda sempre più alti, al crescere dell’intensitàdella fluttuazione. Si potrebbe pensare che qualsiasi lunghezza caratteristicadella funzione di autocorrelazione si riduca, di conseguenza, di uno stesso rap-porto. Nella realtà le cose sono più complesse; la funzione di autocorrelazionenon si trasforma al variare di σu in condizioni di similarità. Quando σu cre-sce, la curva cs(s) mostra una minore correlazione per valori piccoli di s - permisure eseguite con coppie di punti tra loro vicini - ma la distanza massima,al di là della quale la correlazione si annulla, rimane immutata. Il fatto è chela lunghezza Lmax è definita dalla dimensione lineare della massa più grandedi fluido che può assumere un moto parassitario coerente - diciamo rotatorio,tanto per semplificare. Poiché questa dimensione lineare non può essere moltodiversa dalla larghezza trasversale Le della corrente turbolenta, si ha:

Le ∼ Lmax

ove Le è fissata dalla configurazione geometrica dei contorni. Nel moto tur-bolento all’interno di un tubo Le è determinata dal diametro; nella scia di unostacolo, è vicina alla dimensione lineare dello stesso (fig. 2.3); nello strato li-mite terrestre, infine, la struttura ricircolante formata dalle correnti ascendentia da quelle discendenti ha come lunghezza caratteristica l’altezza dello stratolimite.

In questi esempi Le appare con una scala imposta dall’esterno, in gran parteindipendente dall’intensità della fluttuazione. Quello che accade con l’inten-sificarsi del campo fluttuante è che compaiono sempre più spesso strutture dipiccola scala - distribuzioni di velocità caratterizzate da una significativa e ir-regolare variazione della velocità in breve distanza. Tenuto conto del caratterecontorto e non ripetitivo di queste configurazioni, la loro maggiore incidenza

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Le

Le

Fig. 2.3 – Distanze massime di correlazione in correnti turbolente.

statistica rende progressivamente meno utilizzabile la conoscenza di quantoaccade in un punto, agli effetti della previsione di quanto accade in un pun-to vicino; è questo il senso della altrettanto progressiva caduta del coefficientedi correlazione per piccole distanze. Tuttavia, configurazioni coerenti di scalapiù grande continuano a sussistere, più o meno mascherate da quelle più pic-cole12 e impediscono per distanze inferiori ad Le che il fenomeno appaia deltutto scorrelato.L’insieme di queste considerazioni possono essere sintetizzate in una rappre-sentazione grafica per tramite di una famiglia di curve normalizzate cs(s/Le),ove si è assunta la scala esterna Le come unità di misura delle lunghezze. Levarie curve sono distinte in base ai parametri di similitudine della corrente; sei fenomeni termici non hanno rilevanza, l’unico parametro di similitudine si-gnificativo è il numero di Reynolds σuLe/ν e la famiglia di curve presental’aspetto qualitativo schizzato in fig. 2.4. Si noti che la larghezza della regio-ne fortemente correlata si va restringendo al crescere del numero di Reynolds,che a sua volta cresce con l’intensità σu della fluttuazione. Tuttavia, il punto

12Non fa differenza dal punto di vista dell’analisi statistica che le variazioni di piccola scala sisovrappongano a quelle di scala maggiore, oppure che si alternino ad esse nel tempo con unafrequenza relativa sempre più alta.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

s

Cs

1

Re

Fig. 2.4 – Andamento delle curve di correlazione al variare del numero di Reynolds.

in cui l’autocorrelazione si annulla rimane all’incirca fisso (s/Le ∼ 1), mentreil rapporto £/Le tra scala integrale e scala esterna va diminuendo13.La constatazione che le curve cs(s/Le, Re) non si trasformano al variare diRe in condizioni di similitudine - e che quindi le lunghezze non variano comeuna sola di esse, assunta come norma - suggerisce di introdurre una secondalunghezza, diversa da Le, a caratterizzare il progressivo restringimento dellazona fortemente correlata. La funzione cs(s/Le) è funzione pari rispetto allavariabile s/Le, per simmetria, e ha derivata prima continua, pertanto uguale azero, nell’origine14. La curvatura è sicuramente negativa e noi pertanto pos-siamo scriverla, avendo adottato la variabile adimensionata s′ = s/Le, nellaforma:

d2cs

ds′2= −2

(Le

λ

)2

2.6

Nella 2.6 è stata fatta comparire una nuova lunghezza λ, in modo tale che risul-ti tanto più piccola quanto è maggiore la curvatura del diagramma. La nuovalunghezza si chiama microscala di Taylor, dal nome dello studioso che per pri-

13La qual cosa rende in alcuni aspetti fonte di equivoco la consuetudine di usare l’una comemisura dell’altra.

14Così deve essere per le proprietà di simmetria dello spettro, su cui non stiamo ad argomentare;ma è opportuno ricordarlo, perché nella maggior parte delle rilevazioni empiriche il raggio dicurvatura di cs(s/Le) nell’origine risulta così piccolo, da creare l’apparenza di una cuspide.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

s'

1

1

λ Le

Fig. 2.5 – Significato geometrico della microscala di Taylor.

mo la introdusse. Ad essa si può dare una semplice interpretazione geometrica,notando che la parabola osculatrice di cs(s′) nell’origine ha equazione:

c∗(s′) = 1 − s′2(Le

λ

)2

e quindi la coordinata s′ = λ/Le individua il punto ove la parabola intersecal’asse delle ascisse (cfr. fig. 2.5).È evidente dalla figura che λ si presta a rappresentare la larghezza della regio-ne fortemente correlata; essa va diminuendo in concomitanza dell’estensionedi F (k) verso gli alti numeri d’onda ed entrambe le cose avvengono in cor-rispondenza di un incremento del numero di Reynolds. Vedremo in uno deiprossimi paragrafi che questo fatto ha una spiegazione dinamica relativamen-te semplice; per ora limitiamoci a constatare che, risultando λ/Le funzione diσuLe/ν, è inevitabile che λ venga a dipendere dalla viscosità cinematica. Sitratta, in altre parole, di una scala interna diffusiva.

Funzioni di autocorrelazione lagrangiana

Le funzioni di autocorrelazione spaziale sono state utili a mettere in luce co-me il campo fluttuante possieda una molteplicità di scale geometriche, la mag-giore delle quali individua l’estensione lineare della massa di fluido che puòassumere un moto parassitario15 in qualche misura coerente. Tuttavia, l’infor-mazione geometrica non ci dice alcuna cosa sui tempi di permanenza di queste

15Si intende con tale termine che questo aspetto del moto non dà contributo al trasporto di massa.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

r

Cl

1

Tl

Fig. 2.6 – Scala integrale lagrangiana.

strutture. È esperienza comune che le grandi strutture vorticose rimangono alungo riconoscibili anche se trasportate dalla corrente - si pensi ai mulinel-li che si distaccano dai piloni di un ponte; ma per misurare quanto a lungo,occorre seguire la massa di fluido in movimento. Nasce in questo modo l’esi-genza di una statistica lagrangiana. Si considerino i consueti N campi e unaclasse di funzioni lagrangiane di velocità:

vt = vt(x, t)

accomunate dal fatto di rappresentare la velocità delle N particelle di fluidoche transitano al tempo iniziale per la stessa posizione geometrica, di coordi-nata x, degliN domini spaziali. Se il processo è stazionario in senso statistico,l’analisi di questeN traiettorie deve dare un risultato equivalente a quello otte-nibile con lo studio delle traiettorie di particelle che passano, in tempi diversi,per uno stesso punto di un solo dominio, sempre di coordinate x. L’insiemedelle N funzioni vt(x, t) viene in tal caso sostituito da un insieme di realiz-zazioni vt(x, tn + r), ove tn figura come parametro che coglie l’istante in cuila particella passa per il punto in questione, mentre r è la variabile tempora-le, corrente a partire da tn. Per l’ipotesi di stazionarietà, i risultati dell’analisistatistica devono essere indifferenti alla scelta dei tn; l’equivalenza statisti-ca dei due insiemi è la forma assunta in questo contesto dalla condizione diergodicità.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

L’analisi del comportamento delle funzioni lagrangiane procede in perfettaanalogia con quello delle funzioni euleriane, a parte il fatto che lo studiodell’autocorrelazione e la scomposizione dei segnali vengono ora eseguitenel tempo e non nello spazio. Si definisce un valore medio della velocitàlagrangiana:

V ≡< vt >

si scompone il campo nella sua parte media e in quella fluttuante:

vt = V + v

e si rappresenta l’energia della fluttuazione tramite la sua varianza:

σ2v ≡< v2 >

La funzione di autocorrelazione< v(x, t)v(x, t+ r) > permette di farsi un’i-dea dei tempi di permanenza di una particella di fluido all’interno di un volumedotato di un atto di moto coerente. Poiché il processo è stazionario in media,la funzione di autocorrelazione non può dipendere da t e, se il campo è omo-geneo, neppure dalla posizione del punto di partenza delle traiettorie. Si haquindi:

< v(x, t)v(x, t + r) >= gl(r)

a cui si può dare forma adimensionata introducendo il coefficiente diautocorrelazione lagrangiana:

cl(r) =< v(t)v(t+ r) >

σ2v

Il coefficiente cl(r) è pari a 1 per r = 0, e si annulla definitivamente quan-do r supera il tempo massimo di correlazione del moto di una stessa massafluida. Si può assumere come misura di questo valore l’area sottesa alla curvacl(r), che ha le dimensioni di un tempo e prende il nome di scala integrale omacroscala lagrangiana (cfr. fig. 2.6):

Tl =∫ ∞

0cl(r)dr

La scala integrale lagrangiana compare spontaneamente nella previsione deiprocessi dispersivi. Quando il campo di moto è stazionario e omogeneo insenso statistico, la si può considerare come una grandezza caratteristica del-la corrente turbolenta da cui dipendono sia la velocità di decorrelazione degliatti di moto, sia la dispersione nello spazio delle particelle di fluido. In real-tà non si trovano in natura correnti turbolente omogenee, anche se qualcosa di

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

G

ω

1 10 102 103

Fig. 2.7 – Spettro di potenza di una corrente turbolenta nel dominio delle frequenze.

simile può essere prodotto in laboratorio. Nello strato limite terrestre, ad es.,una particella catturata nel largo ricircolo costituito dalle correnti ascendentidi origine termica e dal moto di subsidenza che le circonda, può permanere inquesto moto in qualche misura strutturato per una decina di minuti, e anchepiù. Passa tuttavia per regioni diverse dello strato limite, di diversa organizza-zione e dinamica. In tal caso non è possibile attribuite a Tl il significato di unparametro globale della corrente; la cosa più ovvia sembra quella di interpre-tare il suo inverso 1/Tl come un indice della rapidità di decorrelazione di uninsieme di traiettorie uscenti da un punto assegnato - in altre parole, come unparametro locale.

Infine, la funzione di autocorrelazione può essere scomposta in funzionisinusoidali del tempo nel modo consueto:

gl(r) =< v(t)v(t+ r) >= �{∫ +∞

−∞Gl(ω)eiωrdω

}ove Gl(ω) assume il significato di un nuovo spettro di potenza, il quale rap-presenta la funzione di autocorrelazione nel dominio delle frequenze. Nel-le correnti turbolente lo spettro Gl(ω) è continuo (cfr. fig. 2.7), in perfettacorrispondenza con il carattere limitato dell’autocorrelazione temporale.

Si noti che Gl(ω) e F (k) portano uno stesso nome, ma non sono la stessacosa; il primo rappresenta una scomposizione nel tempo, il secondo nello spa-zio, della fluttuazione di velocità. Solo se il campo è omogeneo sussiste una

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

relazione integrale che li lega; si ha infatti in tal caso σ2u = σ2

v , e quindi:∫ +∞

−∞G(ω)dω =

∫ +∞

−∞F (k)dk

Un tipo di analisi di dubbia interpretazione: l’autocorrelazione temporaleeuleriana

Abbiamo ricordato che l’analisi lagrangiana delle traiettorie è direttamenteconnessa con la dispersione delle particelle, quindi con la matematica dei re-lativi modelli. D’altra parte, la rilevazione sperimentale di una famiglia difunzioni lagrangiane di velocità è tutt’altro che semplice; occorre marcare unnumero elevato di particelle di fluido in modo che siano riconoscibili, oppu-re immettere in un punto del dominio un numero di corpi estranei fedelmentetrascinati dalla corrente e quindi seguirli nel loro moto, rilevando istante peristante le tre componenti della loro velocità. Si può fare, ma è impresa digrande momento; richiede mezzi e tempo, e non promette risultati di grandeprecisione, almeno in campo aperto.

Le misure temporali più frequenti riguardano in realtà il comportamento diuna variabile misurata in un punto fisso: ad es., la funzione euleriana di ve-locità u(x, t) rilevata in x come funzione del tempo. Per eseguire la misura èsufficiente disporre di un anemometro, collocato nel punto che interessa, e diun qualsiasi registratore di segnale. Dall’elaborazione del quale si ottengonodirettamente un’autocorrelazione temporale:

ge(x, r) =< u(x, t)u(x, t+ r) >

il relativo coefficiente

ce(x, r) =ge(x, r)σ2

u

una scala temporale euleriana:

Te ≡∫ ∞

0ge(r)dr

ed infine la corrispondente densità spettrale di potenza

Ge(ω) =12π

∫ +∞

−∞ge(r)e−iωrdr

data come trasformata di Fourier della funzione di autocorrelazione.

Se la misura è semplice, e l’elaborazione automatica e immediata - è sufficien-te disporre di un analizzatore di segnale collegato all’anemometro - il signifi-

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Le

U

U

SM

Fig. 2.8 – Strutture spaziali del campo di velocità, di scala esterna Le, che passanoper il punto fisso di misura SM con una velocità media U . Per un ritardo maggiore di∼ Le/U non si può ragionevolmente attendersi alcuna correlazione; le particelle di cuisi confronta la velocità appartengono a diverse strutture coerenti.

cato da attribuire alle grandezze così ottenute è perlomeno dubbio. Per chiarirela problematica sottintesa partiamo da un caso limite, immaginando che nonsi abbia nella corrente alcuna decorrelazione lagrangiana. In una corrente dital fatta le particelle, che a un dato istante costituiscono una massa di fluidodotata di moto coerente, conserverebbero questa loro prerogativa per l’eterni-tà, poiché il moto di ciascuna di esse risulterebbe autocorrelato per un tempoaltrettanto lungo. Tuttavia anche in questo caso una misura a punto fisso ri-velerebbe una progresiva decorrelazione; il segnale registrato darebbe infattila velocità di un insieme di particelle diverse che passano in successione peril punto di misura, e porrebbe in luce il carattere limitato della correlazionespaziale. Quando l’intera massa dotata di moto coerente fosse transitata a val-le del punto di misura, non si troverebbe più alcuna correlazione per il buonmotivo che si starebbe misurando le velocità di particelle appartenenti ad unadiversa struttura spaziale del campo di moto (cfr. fig. 2.8). Dovrebbe essereintuitivo come, eseguendo una misura a punto fisso, in realtà si effettui in talcaso un’indagine sulla struttura spaziale del campo, sotto l’apparenza di unaricognizione di caratteristiche temporali.

La situazione è simile a quella che si produrrebbe qualora si volesse individua-re il profilo y(x) di una sagoma rigida, facendola trascorrere con velocità co-stante c per una stazione di misura SM (cfr. fig. 2.9). La distribuzione spazialey(x) si tradurrebbe nella funzione del tempo y(ct); una generica componen-te sinusoidale sin(kx), di numero d’onda k, in una funzione sinusoidale del

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

SM

c

y(t)

y(x)

Fig. 2.9 – Rilevazione di una configurazione spaziale y(x), tramite il moto relativo dellostrumento di misura. Con velocità relativa c, la funzione y(x) viene registrata dallostrumento come funzione del tempo: y(x) → y(ct).

tempo sin(kct) di frequenza ω = kc. In generale, uno spettro F (k) nello spa-zio dei numeri d’onda darebbe lo spettro G(ω) nel dominio delle frequenze,ottenibile dal primo con il semplice cambiamento di scala: k → ω/c.

Nello studio di una corrente turbolenta, il problema è reso più complesso dalfatto che si sta svolgendo un’analisi statistica di configurazioni continuamentevariabili. Si può tuttavia supporre che una componente del campo di veloci-tà con numero d’onda k dia contributo essenzialmente alla componente delsegnale temporale di frequenza:

ω = kU

ove U è il valore medio della velocità che intercorre tra il fluido e la sonda.È come se la configurazione u(x) della velocità nello spazio fosse vista dal-la sonda come: u(x/U) = u(t); l’approssimazione è tanto migliore quantopiù è piccolo il rapporto σu/U , poiché al diminuire di questo diminuisce l’im-portanza relativa, rispetto al valor medio, delle variazioni di velocità con cui ilfluido transita per il punto di misura. Con questa ipotesi, dovuta a Taylor, lecaratteristiche temporali del segnale rilevato con una sonda dotata di velocitàrelativa rispetto al fluido - questo è il significato da dare alla frase convenzio-nale misura a punto fisso - rappresentano un’immagine fedele delle corrispon-denti caratteristiche spaziali, a cui ci si può ricondurre con un cambiamento discale, secondo lo schema:

t→ x/U

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

ω → Uk

Ge(ω) → F (Uk)

Te → Le/U

Le sostituzioni valgono per σu/U � 1. Quando viene assunta la validità diqueste relazioni si usa dire che si adotta un modello di turbolenza congelata.

Relazione tra macroscale temporali

Nella realtà il tempo di correlazione lagrangiana non è infinito, e pertanto ilprocesso di decorrelazione osservato tramite una misura a punto fisso vieneinfluenzato da due fenomeni che in senso lato si sommano: la decorrelazionespaziale tra particelle diverse, e la decorrelazione lagrangiana del moto di unastessa particella. Nella maggior parte dei casi in cui vengono eseguite le mi-sure, questo secondo aspetto è tuttavia di minore importanza; il tempo Le/U

impiegato dalla sonda ad attraversare un grumo di fluido16 dotato di moto coe-rente è infatti generalmente minore della macroscala lagrangiana Tl. Quindila tecnica di misura a punto fisso è nella sostanza un modo, più o meno ap-prossimato, di rivelare la struttura spaziale del campo, utilizzando una solasonda.Nonostante questo, nella letteratura sulla diffusione di inquinanti nell’atmo-sfera ha grande risalto l’argomento di come si possa dedurre la macroscala Tl

da Te; tanto è vero che al relativo rapporto viene assegnato il simbolo fissoβ come se fosse la costante di Planck, o qualcosa di simile. Vi è un moti-vo per questo interesse; in un campo di turbolenza omogenea si può dedurrel’andamento asintotico della dispersione di un insieme di particelle, facendoaffidamento sulla matematica dei processi casuali. Per t/Tl → ∞, la dimen-sione lineare d delle nube di particelle cresce con la stessa legge che si avrebbein un processo di diffusione molecolare:

d ∝√Dtt

salvo il fatto che Dt è ora il coefficiente di diffusione turbolenta già ricorda-to in precedenza, il cui valore può essere espresso mediante due grandezze

16La velocità U ha il significato di velocità media relativa tra sonda e massa di fluido e può essereincrementata muovendo la sonda in senso opposto alla velocità di quello.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

caratteristiche del campo di velocità fluttuante:

Dt = σ2vTl

A dire il vero, la turbolenza dello strato limite atmosferico cambia rapida-mente struttura con la quota, e pertanto queste formule non possono essereusate così come sono, al meno che uno non si limiti a studiare un processodi dispersione che ha luogo in un piano orizzontale, ammesso che qualcosa disimile possa veramente accadere. Tuttavia può essere utile avere un’idea delcomportamento asintotico in campo omogeneo - se non altro come termine diconfronto - e questo richiede la conoscenza di σv e Tl.Abbiamo già detto che si può misurare la scala integrale Tl solo con grandedispendio di mezzi e con estrema difficoltà. In compenso è facile misurareTe; era inevitabile che la tentazione di stabilire un nesso tra le due divenisseirresistibile17. La connessione tra le due scale è stabilita per mezzo di unarelazione del tipo:

βi = cost 2.7

dove β ≡ Tl/Te ed il simbolo i sta per il rapporto σu/U , che viene chiamatoindice di turbolenza.Non sorprendentemente, i valori della costante che compare nella 2.7 risulta-no nella realtà molto vari, compresi tra ∼ 0.35 e ∼ 0.80. Poiché un tipicovalore di i nella turbolenza atmosferica è 0.1, questi dati comportano che ilrapporto Tl/Te può variare tra qualche unità e una decina. La 2.7 è a prima vi-sta una strana espressione, che parrebbe voler stabilire una legge fisica tramitegrandezze che dipendono dalla scelta del sistema di riferimento. Tali sono in-fatti Ue, Te; ma il loro prodotto Le ∼ UTe è in realtà invariante, e la 2.7 piùragionevolmente andrebbe scritta nella forma:

Tlσu

Le= cost 2.8

che ha il merito di essere una relazione tra tre grandezze che soddisfano ilprincipio galileiano di relatività.La 2.8, più chiaramente della 2.7, mostra quale è l’aspetto del problema chesi vorrebbe risolvere: quello di stabilire un nesso di valore universale tra lastruttura nello spazio e l’evoluzione nel tempo delle velocità di una massa di

17Un quadro dettagliato dell’argomento è contenuto nel libro: F. Pasquill, F.B. Smith,Atmospheric Diffusion, sec. 2, John Wiley & Sons, 1983.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

fluido, dotata di un moto turbolento di energia assegnata. Vi è sottintesa l’i-dea che esista un equilibrio statistico invariante, verso cui il moto turbolentoevolve, indipendentemente dalle condizioni che lo hanno generato o che lomantengono. La diversità di valori che si trova sperimentalmente per la co-stante della 2.8 è tuttavia troppo vasta perché l’ipotesi si consideri confermata.I moti turbolenti sviluppati si assomigliano tutti, in senso generico, ma la ri-chiesta di proprietà universali viene soddisfatta solo in modo sommario, tantoper usare un eufemismo.

2.2. QUALCHE ELEMENTO DI DINAMICA DELLA TURBOLENZA

SVILUPPATA

Trasferimento di energia tra configurazioni di diversa scala geometrica

Il tratto saliente di un campo di moto pienamente turbolento è dato dalla pre-senza di distribuzioni di velocità con diversa scala geometrica, interagenti traloro. Sembra che il primo a proporre questa visione del fenomeno sia statonel 1922 L. Richardson, a cui si deve anche il concetto di cascata energeti-ca. Vi è nei moti turbolenti un continuo divenire di configurazioni, a causa delquale una differenza di velocità inizialmente distribuita su una distanza del-l’ordine di Le, si troverà a essere distribuita, pur essendo ancora di entità nontrascurabile, su distanze sempre più piccole. Il processo di riduzione delle sca-le prosegue finché la diffusione di quantità di moto, esaltata dalla crescita deigradienti, non interviene direttamente ad annullare la differenza di velocità.

Da un punto di vista energetico il processo si configura come un passaggio dienergia cinetica turbolenta - l’energia della parte fluttuante del campo - dal-le grandi scale verso quelle più piccole, che si arresta a una scala interna cosìridotta da permettere la dissipazione in calore dell’energia stessa, con una ra-pidità sufficiente a mantenere il bilancio globale in equilibrio. Se si vuole darea questo insieme di avvenimenti, per amor di chiarezza, una sequenza tem-porale ordinata, si può immaginare che grumi di fluido della stessa dimensio-ne della larghezza trasversale della corrente assumano movimenti parassitaridi rotazione in qualche misura coerenti, a cui viene associata una variazionemassima di velocità che è dello stesso ordine, o qualcosa di meno, della va-riazione di velocità media che ha luogo nel dominio; e che in seguito questoblocco di fluido si frammenti in configurazioni rotatorie di scala minore, in-ducendo differenze di velocità ancora significative su distanze ben più piccole

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

di Le, fino a raggiungere la scala dissipativa. In realtà è improbabile che sipossa osservare una sequenza così ordinata di avvenimenti; le varie fasi si pre-sentano in generale sovrapposte, e altrettanto si può dire delle variazioni divelocità corrispondenti. Tuttavia la distinzione, in una trattazione statistica,non è essenziale.La scala interna dissipativa è comunemente indicata con il simbolo η ed èchiamata scala dissipativa di Kolmogorov. Al crescere di un numero di Rey-nolds della corrente opportunamente definito, il rapporto η/Le diviene semprepiù piccolo; in buona parte delle situazioni dello strato limite atmosferico, ades., passano svariati ordini di grandezza tra la scala esterna del moto e quellainterna dissipativa.La separazione del campo di velocità in componenti di diversa lunghezza ca-ratteristica non ha valore meramente descrittivo. Essa è il punto di partenza diun tentativo di interpretazione della dinamica della componente fluttuante delcampo di velocità, perché permette di distinguere le configurazioni che evol-vono senza essere influenzate dalla viscosità - quelle di maggiore dimensione- da quelle più piccole, ove la viscosità ha un ruolo determinante. Il fatto chenella dinamica delle scale maggiori la viscosità possa essere trascurata, alme-no nella maggior parte dei casi, porta a una riduzione delle variabili signifi-cative del problema, e questa a sua volta apre la strada verso alcuni risultatiinteressanti, deducibili tramite considerazioni dimensionali.Prima di procedere, spendiamo qualche parola su un aspetto semantico. Negliscritti di teoria della turbolenza, l’articolazione del campo in strutture di di-verse lunghezza viene introdotta affermando che esso è formato di eddies didiversa misura. Eddy è parola inglese che andrebbe tradotta come mulinelloo vortice, se non fosse che i termini italiani si portano dietro un’idea di formache il termine inglese non ha, almeno nella convenzione dei testi di fluidodina-mica; può essere utile conservare il termine anglosassone, considerandolo unneologismo. Il nome non è tuttavia sufficiente a spiegare di che cosa si tratti;in realtà molti autori avvertono che l’eddy è un concetto intuitivo, utile nel-la descrizione della dinamica della turbolenza, ma definito in modo piuttostovago18.

18Cfr. D.J. Tritton, Phisical Fluid-dynamics, 20.8, Van Nostrand Reinholds Company, London1977.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Le

x(Ut)

δu

δu

ln

δun

Fig. 2.10 – Campo di moto turbolento: distribuzione di velocità nello spazio, oppuretracciato temporale di velocità misurato a punto fisso e ricondotto alla distribuzionespaziale mediante l’ipotesi di Taylor. Sono indicate le variazioni di velocità misurabili adue diverse distanze, quella della scala esterna della corrente e quella di un genericoeddy di ordine n.

Gli eddy non sono singole componenti di Fourier del segnale ma elementidi una suddivisione più grossolana, in qualche misura arbitraria, che tuttaviapermetta di considerare vere le seguenti affermazioni:

– a ciascuno di essi è attribuibile una lunghezza caratteristica ln e unadifferenza di velocità σun. Quest’ultima è scelta in modo da rappre-sentare l’ampiezza della variazione di velocità che si misurerebbeavendo disposto due sonde nella corrente a distanza ln. Si osser-vi il diagramma di fig. 2.10; in esso è riportato qualitativamente unospecimen di distribuzione istantanea di velocità di una corrente tur-bolenta, in funzione di x. Se indichiamo con δun la differenza tra levelocità misurate a uno stesso istante dai due sensori posti a distanzaln in uno degli N campi dell’insieme teorico, possiamo assumere co-me suo valore rappresentativo la radice del relativo scarto quadraticomedio19

√< (δun)2 >. La velocità assegnata all’eddy di ordine n è

pertanto:

σun ≡√< (δun)2 >

19Si può anche operare su un tracciato temporale u(t) registrato a punto fisso, purché si interpretila variazione di velocità che si misura nel periodo rn come una variazione spaziale distribuitasulla distanza ln = Urn, in accordo con l’ipotesi di Taylor. La media di insieme può esserequindi sostituita nella pratica da una media temporale.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

(a)

x

(b)

x

Fig. 2.11 – (a) Segnale completo - (b) segnale filtrato.

– l’energia cinetica media della parte fluttuante del campo è data dallasomma delle energie cinetiche dei diversi eddy:

σ2u

2≡ < u2 >

2=∑n

σ2un

2

Assicurate queste proprietà, non è importante quale sia esattamente lo schemadi suddivisione seguito. Tuttavia, se si vuole uscire dal vago si può immaginaredi far coincidere la scala esterna della corrente con la lunghezza caratteristicadell’eddy più grande: lmax ∼ Le, e quindi generare una cascata di eddy piùpiccoli secondo uno schema di suddivisione comunemente adottato20, del tipo:

ln = cnlmax

dove è:n = 1, 2, 3......

e c è una costante compresa fra zero e uno; la successione si arresta quando siraggiunge la scala dissipativa.

Le lunghezze ln permettono di individuare una successione ascendente di nu-meri d’onda: kn = 2π/ln. Si può dividere il supporto dello spettro di potenzain bande centrate sui valori kn - di ampiezza proporzionale a kn, tale che som-mando le bande si reintegri l’intero supporto - e attribuire all’eddy di ordine n

20Cfr. U. Frisch, Turbulence, 7.3, Cambridge University Press, 1995.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

tutte e sole le componenti dello spettro che si trovano all’interno della bandacorrispondente21. Ne deriva lo schema seguente:

– la lunghezza caratteristica degli eddy è 2π/kn, essendo kn il puntocentrale della banda;

– la variazione di velocità da esso prodotta in uno degliN campi è datadalle componenti di Fourier appartenenti alla banda in questione;

– la sua velocità caratteristica è data dalla radice del valore quadraticomedio σ2

un delle corrispondenti variazioni di velocità.

In formula si ha:

σ2un =

∫ kn+Δkn/2

kn−Δkn/2F (k)dk 2.9

ove:Δkn ∝ kn

Si noti che non è superfluo assumere la larghezza di banda proporzionale a kn.Si tratta di una condizione che vuole limitare l’escursione dei numeri d’ondadelle componenti di Fourier assegnate ad un eddy ad una percentuale costantedel valore del centro della banda, e serve a rendere di valore generale la di-scussione che segue sul carattere locale del trasferimento di energia. Infine, sipuò osservare che il tutto ha l’aria di un modello a parametri concentrati.

Il considerare un solo eddy per volta è equivalente a filtrare i segnali che co-stituiscono il processo casuale, eliminando tutte le lunghezze d’onda moltomaggiori o molto minori di ln. Un segnale come quello rappresentato infig. 2.10 verrebbe trasformato dall’operazione di filtro in quello schizzato infig. 2.11(b); non è difficile comprendere come l’ampiezza del segnale filtratosia stretta parente della variazione δun, definita in precedenza sul segnale in-tegro. Infine una generica particella di fluido sarà in generale soggetta a tuttala famiglia di eddy e le sue variazioni di velocità saranno date da:

u =∑

n

δun

21Nell’assegnare all’eddy un intero pacchetto di numeri d’onda, di larghezza Δk, si imponea questa struttura di avere una dimensione spaziale limitata, cfr. 2.5. Una sola componentesinusoidale si estenderebbe fino all’infinito in entrambe le direzioni.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

mentre l’energia cinetica media per unità di volume risulterà:

ρσ2u

2=<

ρ

2

(∑n

δun

)2

>=∑n

ρσ2un

2

Nell’espressione dell’energia cinetica sono scomparsi i doppi prodotti, per-ché si ritiene che variazioni dovute a componenti di lunghezza d’onda moltodiversa siano tra loro indipendenti, il che implica:

< δunδum >= 0per n �= m.

Note le velocità e le lunghezze caratteristiche si può assegnare agli eddy untempo:

tn = ln/σun

che viene chiamato tempo di rivolgimento, o qualcosa di analogo22.Il significato fisico che si può dare a tn dipende da quale aspetto del motofluido si consideri. Immaginiamo un grumo di fluido di dimensione lineareln, soggetto al moto dell’eddy corrispondente (fig. 2.12), quindi con variazionidi velocità al suo interno mediamente di ordine σun. Se si considera l’aspet-to di moto rigido del fluido, tn è vicino al tempo medio richiesto perché ilgrumo ruoti su se stesso, la qual cosa probabilmente spiega il nome assegna-togli. Ma se si riflette sul moto di deformazione si può dare a tn un significatopiù importante, quello di tempo necessario perché il volume di fluido cambiforma in modo apprezzabile. Si immagini che il volume di fluido sia sog-getto ad un moto di stiramento, sia pure saltuario, in una direzione qualsiasi(cfr. fig. 2.13). Poiché il grumo di fluido va considerato di volume costante, oquasi, l’allungamento in una direzione comporta il restringimento della sua se-zione nel piano ortogonale, e quindi l’avvicinamento di particelle inizialmentea distanza ∼ ln. Il tempo necessario perché la lunghezza nella direzione dellostiramento vari in modo apprezzabile, diciamo con una variazione dell’ordinedi ln, è ancora in media: tn ∼ ln/σun.Nella sua genericità, questo processo di deformazione è nella sostanza similea quello che abbiamo presentato come stiramento dei vortici23. La compo-

22In inglese, turnover time. Non ci siamo convertiti all’italo-americano che è di voga in questianni; è che manca in italiano una convenzione affermata su questi argomenti.

23Cfr. C. Cancelli, op. cit., 4.4.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

ln

Fig. 2.12 – Moto di rotazione di un grumo di fluido di scala ln, considerato come uncorpo rigido.

ln

l < ln

Fig. 2.13 – Moto di deformazione di un grumo di fluido di scala ln.

nente del vettore vorticità parallela all’asse dello stiramento si intensifica el’avvicinarsi di particelle inizialmente a distanza ∼ ln, dotate di velocità re-lativa ∼ σun, può essere visto come una riduzione di scala geometrica nelladistribuzione dell’energia cinetica coinvolta, la quale vale ∼ ρσ2

un. Dividen-do per il tempo in cui avviene il passaggio di energia, si ottiene la potenza deltrasferimento tra le diverse scale, che ha luogo in un volume unitario di fluido:

F ∼ ρσ3un

ln2.10

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

a cui si dà il nome di flusso, sebbene abbia le dimensioni fisiche [ML−1T−3],diverse da quelle [MT−3] del termine a cui noi abbiamo fino ad ora riservatoquesto nome24.

Prima di trarre delle conclusioni dalla 2.10 conviene soffermarsi su un paio diaspetti:

– nel descrivere il moto di deformazione si è supposto che il grumo difluido di dimensione lineare ∼ ln sia soggetto soltanto al campo dimoto dovuto all’eddy di stessa scala. La cosa in sé è del tutto arbitra-ria, e più corretto sarebbe considerarlo soggetto simultaneamente atutti gli eddy. Si pensa tuttavia che questo non cambierebbe in modosignificativo l’analisi del moto di deformazione del grumo di fluido,né quella del trasferimento di energia. Le componenti del moto conlunghezza d’onda molto più grande di ln non danno contributo si-gnificativo al moto di deformazione, poiché ad esse sono associatevariazioni di velocità un poco più grandi di δun, ma distribuite sudistanze di gran lunga maggiori (cfr. in fig. 2.10 le variazioni di velo-cità di lunghezza d’onda ∼ Le con quelle di lunghezza d’onda ∼ ln);risulta pertanto trascurabile il loro contributo alla velocità di defor-mazione, che è proporzionale a δun/ln. In altri termini, gli eddy discala maggiore di ln agiscono sul grumo di fluido, ma lo trasportanoquasi in blocco, senza ruotarlo né distorcerlo. In quanto alle com-ponenti del campo di moto con lunghezza d’onda decisamente piùpiccola di ln, il loro effetto globale è ugualmente poco significativosul moto di deformazione del grumo, poiché inducono al suo inter-no deformazioni di segno opposto, che sulla scala ln mediamente siannullano. Su questi argomenti si basa in sostanza l’asserito carat-tere locale dell’interazione tra le componenti del campo; si ritieneche lo scambio di energia sia dovuto all’accoppiamento non linea-re tra componenti di lunghezza d’onda poco diversa, poco al sopra epoco al di sotto di ln, e quindi all’espressione 2.10 si attribuisce va-lidità generale. Da essa appare chiaramente come il trasferimento dienergia tra scale sia un processo che può essere riferito a un singolo

24In molti testi si fa riferimento a una massa unitaria, invece che a un volume unitario; la diversaconvenzione comporta la scomparsa di ρ dalle formule.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

eddy per volta, perché il trasferiemto che ha luogo a livello ln dellacascata dipende solo dalle grandezze ln e σun.

– una volta che sia accettato questo punto di vista, la 2.10 può essereconsiderata come dedotta tramite pure considerazioni di omogeneitàdimensionale. In effetti la 2.10 è l’unica espressione dimensional-mente corretta per F , ottenibile con le grandezze ln, σun, ρ.

Campo omogeneo e isotropo

Il coefficiente numerico che dovrebbe comparire nella 2.10 è incognito e nonè detto a priori che debba essere uguale per tutti gli eddy. Potrebbe esserviun fattore di forma, dovuto a una diversa incidenza statistica nei vari eddy diconfigurazioni con particolare topologia, a renderlo variabile; ma se si suppo-ne che il campo sia omogeneo e isotropo in senso statistico a qualsiasi scala,anche questo possibile fattore di diversità viene a cadere. Gli eddy non risul-tano distinguibili che per le scale ln e σun, e il coefficiente della 2.10 dovrebberisultare una specie di costante universale.

In condizioni di equilibrio statistico, il flusso medio di energia attraverso i varieddy deve essere costante. Si ha pertanto, finché si rimane al di sopra dellascala dissipativa:

σ3un

ln= cost 2.11

per qualsiasi n. E da questo, grazie alle considerazioni precedenti si deduce:

σun ∝ l1/3n 2.12

tn ∝ l2/3n 2.13

σun

ln∝ l−2/3

n 2.14

Le scale che obbediscono alle 2.11- 2.14 costituiscono il dominio inerziale, chenel lessico di questo corso sarebbe meglio chiamare convettivo, caratterizzatodalla irrilevanza dei processi viscosi.

Le 2.12, 2.13, 2.14 mostrano che le differenze di velocità e i tempi di rivol-gimento si riducono più lentamente delle lunghezze caratteristiche, mentre igradienti di velocità vanno crescendo col diminuire di ln (cfr. 2.14). Le rela-zioni hanno il merito, non da poco, di dare forma a un aspetto delle correnti

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

turbolente più volte ricordato: particelle con proprietà diverse - in questo casocon diversa velocità - inizialmente lontane tra loro vengono a trovarsi vicine,sia pure saltuariamente, senza che la loro differenza di stato sia stata livellata.È questo processo che porta come risultato medio all’esaltazione dei gradientie all’accelerazione dei fenomeni diffusivi.Si possono riscrivere le relazioni precedenti facendovi comparire il valore me-dio della funzione di dissipazione; è vero infatti che in condizioni di equilibriola potenza del trasferimento di energia verso scale più piccole deve uguaglia-re la rapidità di dissipazione che in queste ha luogo. Conservando il simboloD per la funzione di dissipazione riferita all’unità di volume, e trascurandol’indicazione di media < • > per non appesantire la scrittura, si ha:

F =ρσ3

un

ln= D = cost 2.15

per qualsiasi eddy, così che le 2.12 - 2.14 possono essere riscritte come:

σun ∝(lnDρ

)1/3

2.16

tn ∝(ρl2nD)1/3

2.17

σun

ln∝( Dρl2n

)1/3

2.18

La nuova forma25 giustifica un concetto comunemente ripetuto, quello per cuiè il valore medio della funzione di dissipazione a determinare in modo univocola struttura della turbolenza omogenea e isotropa. La cosa è formalmente vera,e ha alle sue spalle una lunga storia, ma non aiuta a ricordare il punto crucialedi questa descrizione fenomenologica: l’assunzione a priori che la dinamicadelle grandi scale sia indipendente dalla viscosità, e quindi indipendente dalladissipazione. In questo quadro, il rapporto tra la dinamica delle grandi sca-le e la funzione di dissipazione andrebbe visto in una prospettiva rovesciata:è la dinamica puramente convettiva delle prime - il flusso di energia verso ilbasso - a determinare in modo univoco il valore medio della dissipazione. Laviscosità interviene in scale minori, ove blocca ogni ulteriore processo di ri-

25Anche in queste formule si introduce spesso una funzione di dissipazione per unità di massa; ilche comporta semplicemente la scomparsa di ρ.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

duzione delle lunghezze caratteristiche. L’ordine di grandezza η della scaladissipativa può essere calcolato imponendo che a questo livello la rapidità delprocesso diffusivo eguagli la rapidità del cambiamento di scala; ad es., impo-nendo che il tempo η/σuη con cui una differenza di velocità viene trasferita auna scala minore sia all’incirca pari a quello η2/ν, impiegato dalla viscosità acancellarla. Dall’equivalenza dei due termini si ha:

ησuη ∼ ν

e con la sostituzione 2.16:

σuη ∼ (ηD/ρ) 13

si ottiene la scala dissipativa:

η =(ρν3

D)1/4

2.19

a cui si possono far corrispondere una velocità ed un tempo caratteristici,tramite la 2.16 e la 2.17:

σuη ∼(νDρ

)1/4

2.20

tη ∼(ρνD)1/2

2.21

Le grandezze η, σuη, tη rappresentano delle scale interne, non dissimili insenso lato da quelle trovate in altri settori della fluidodinamica; può essereinteressante esprimere il loro rapporto con le scale esterne Le, σu, Le/σu.Poiché l’energia cinetica dei vari eddy cresce con la potenza 2/3 della scalageometrica (cfr. 2.16), sono le scale più grandi a contenerne la maggior parte.Si può quindi, in una stima a palmi, ritenere che quella contenuta nell’eddy discala Le sia come ordine di grandezza vicina a ρσ2

u, essendo questa l’energiaper unità di volume dell’intero campo fluttuante. Allora, dalla 2.15 si ha:

ρσ3u

Le∼ D

che sostituita nella 2.19 permette di dedurre prima il rapporto:η

Le∼ R−3/4

e

e quindi quelli:σuη

σu∼ R−1/4

e

tησu

Le∼ R−1/2

e

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Il simboloRe sta a indicare in questo caso il numero di Reynolds costruito conle scale esterne della corrente:

Re =σuLe

νLa prima di queste relazioni rivela che il processo turbolento si estende su unventaglio di scale, i cui estremi si vanno divaricando al crescere del numero diReynolds; e poiché la scala più grande è fissata da condizioni esterne, il fattoimplica che compaiano scale sempre più piccole.

Estensione della teoria statistica della turbolenza omogenea e isotropa allecorrenti reali

Le conclusioni che abbiamo tratto si basano sull’ipotesi che la corrente siaomogenea e isotropa. In realtà nessuna corrente turbolenta reale ha caratte-ristiche così favorevoli alla semplificazione matematica. La fluttuazione tur-bolenta di scala integrale, che nella teoria citata appare come un dato, trovanelle correnti reali alimento nelle differenze di velocità del campo medio. Ilprimo passo della cascata energetica è dovuto al trasferimento di energia dalmoto medio alle componenti della fluttuazione di scala ∼ Le; le scale maggio-ri vanno considerate moti parassitari, resi possibili dalla libertà di rotazione,i quali interessano tutta la dimensione trasversale della corrente e quindi so-no influenzati inevitabilmente dalla configurazione geometrica del dominioall’interno del quale viene forzato il moto. Le grandi scale pertanto non so-no né omogenee né isotrope; si può tranquillamente escludere che nel campodi velocità ad esse associato le variazioni su una giacitura parallela alla pareterisultino statisticamente equivalenti a quelle che si trovano in direzione norma-le. La presenza di componenti del moto di più piccola scala può confondere lavisione istantanea; ma uno studio statistico, basato sulla correlazione di velo-cità tra punti diversi, permette di ritrovare figure tridimensionali chiaramenteinfluenzate dalla geometria del dominio. Per intendersi, le strutture tipiche diuna scia a valle di ostacoli - di una collina, o del pilone di un ponte - che posso-no essere considerate come esempi di dinamica vorticosa laminare, sussistonoanche se la corrente è turbolenta; sono semplicemente più difficili da indivi-duare. Quello che accade nelle strutture di scala più piccola è meno certo;poiché le scale minori sono generate a seguito di una complicata sequenza dirotazioni e deformazioni del fluido, si può ritenere che in questo confuso pro-cesso gli elementi di caratterizzazione topologica contenuti nelle grandi scalevadano persi, e che la struttura degli eddy di scala minore sia statisticamente

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

isotropa. Quanto debbano essere piccole le scale affinché questo si avveri nonpuò che dipendere dalla distanza che intercorre tra il punto in cui si analizzail fenomeno e la parete che condiziona la corrente. Se LP è la distanza dallaparete, è possibile che gli eddy locali di scala geometrica ln � LP siano sta-tisticamente isotropi e che la regione che li contiene possa essere considerataomogenea; si può quindi attribuire loro le leggi di scala ricordate nel paragra-fo precedente. In particolare, qualora la condizione ln � LP lasci spazio ascale ancora notevolmente più grandi della scala dissipativa - la cosa dipendedal numero di Reynolds e dalla distanza dalla parete - si può immaginare cheesista localmente un dominio inerziale che obbedisce a leggi del tipo 2.16:

σun ∝(lnDρ

)1/3

e simili, i cui coefficienti dovrebbero risultare delle costanti universali.

Vale la pena di ricordare che le relazioni citate in realtà escludono dal nove-ro delle grandezze significative la viscosità, nonostante che la presenza dellafunzione di dissipazione dia un potente contributo alla confusione delle idee;quella trascritta è tuttavia la loro forma canonica. La presenza di D non toglieche connotato essenziale di questa rappresentazione sia, anche in questo caso,l’esistenza di un intervallo di scale - chiamato ancora dominio inerziale - cheè caratterizzato da una duplice condizione di indipendenza:

– non è influenzato dai confini della corrente e quindi si puòconsiderare isotropo ed omogeneo;

– non dipende dalla viscosità.

Lo schema del trasferimento di energia che vi corrisponde è delineato nelloschizzo di fig. 2.14; l’energia cinetica passa dal moto medio alla fluttuazio-ne turbolenta tramite le strutture vorticose di grande scala - le quali sentonol’influenza delle pareti - e finisce dissipata in calore nelle scale viscose. Nelmezzo, se il numero di Reynolds è sufficientemente alto da consentire l’esi-stenza di un dominio intermedio, l’energia transita attraverso una successionedi strutture così piccole da ignorare la presenza delle pareti, e tuttavia ancoracosì grandi da non sentire gli effetti viscosi. Le strutture di grande scala so-no qualche volta indicate come gli eddy contenenti energia, poiché in effettipossiedono buona parte di quella complessiva.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Strutturevorticose di grande scala

Motomedio

Dominioinerziale

Strutturedissipative

scala Le

scala ≤ Le

scala ln; Le >> ln >> η

scala η

Fig. 2.14 – Schema del trasferimento di energia in una corrente turbolenta.

Commento alla teoria statistica. Il problema dell’intermittenza

La descrizione della dinamica della turbolenza omogenea e isotropa è dovutaa più autori che sono giunti nella sostanza alle stesse conclusioni. Essa vieneusualmente associata al nome di Kolmogorov, uno scienziato russo che vi hadedicato una serie di scritti a partire dal 1941. La scala dissipativa η porta ilsuo nome, come la distribuzione dell’ampiezza delle variazioni di velocità infunzione del numero d’onda k. Scritta in termini di spettro di potenza, questalegge assume la forma:

F (k) ∝(Dρ

)2/3

k−5/3 2.22

e viene chiamata familiarmente la legge −5/3 di Kolmogorov, sebbene la sirintracci per la prima volta in un lavoro di un allievo di questi26.

26Obukhov, 1941.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

La 2.22 è del tutto equivalente alla 2.16, dalla quale si può facilmente dedurretramite la 2.9.

Il fatto che altri autori abbiano trovato gli stessi risultati indipendentemente,sembra, da Kolmogorov - il quale scriveva in cirillico27- non è strano. Lateoria si basa su pochi elementi essenziali; una volta accettata la compresenzadi strutture di scala diversa, già suggerita da Richardson, e la loro interazionenon lineare, rimangono:

– l’ipotesi che la dinamica delle grandi scale non sia influenzata dallaviscosità;

– l’ipotesi che l’interazione non lineare sia dovuta principalmente acomponenti di scala poco diverse, da cui deriva il cosiddetto caratterelocale del trasferimento di energia;

– la constatazione che in condizioni stazionarie il flusso di energiacinetica deve eguagliare la potenza della dissipazione viscosa.

Tutte le formule che ne conseguono possono essere dedotte in base a sempliciconsiderazioni di carattere dimensionale.

Le idee contenute nella teoria, a rigore valida solo in un’ipotetica correnteomogenea e isotropa, sono per buona parte illuminanti anche nei confrontidelle correnti reali. Alcune proprietà note vi trovano immediata spiegazione;ad es., nel quadro della teoria si inserisce senza alcuna difficoltà il fatto cheesista un limite finito, proporzionale a ρ U3/L (cfr. 1.2), verso cui tende la po-tenza dissipata da una corrente turbolenta quando si faccia tendere la viscositàa zero, tutti gli altri parametri rimanendo costanti. Se il trasferimento di ener-gia è un fenomeno unidirezionale, allora la potenza del processo è determinatain modo univoco dall’interazione - sempre meno influenzata dalla viscosità alcrescere di Re - tra moto medio e vortici di grande scala.

Anche l’esistenza e l’importanza di una configurazione asintotica dei campidi velocità, per Re → ∞, emerge con chiarezza. Al crescere del numero di

27I lavori più importanti si trovano ora tradotti in molte lingue, cfr. Proc. R. Soc. Lond. A 434,pp. 9-13, 1991, ibidem pp. 15-17, e il loro contenuto spiegato in lungo e in largo in moltilibri, cfr. U. Frisch, Turbulence. The Legacy of A. N. Kolmogorov., Cambridge University Press,Cambridge 1995.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Reynolds, la viscosità agisce solo su scale progressivamente più piccole, men-tre l’ampiezza del dominio puramente inerziale si estende verso il basso, inquesto modo precisando in un dettaglio sempre più fine una struttura destina-ta a non modificarsi per ulteriori incrementi di Re. Si può osservare a questoriguardo che anche l’esatta natura dei processi dissipativi si rivela al limiteinsignificante, dal momento che influenza solo strutture destinate a diveniresempre più piccole. Quindi - sembrerebbe di poter concludere - la configura-zione delle correnti turbolente tende a una forma asintotica unica, qualunquesia l’equazione costitutiva del fluido; che esso sia o no newtoniano, ad es., nondovrebbe fare differenza. La cosa risulta vera in termini descrittivi.

D’altra parte, non tutti i fatti noti si inquadrano così facilmente in questo con-testo. Il concetto che il dominio inerziale fosse indipendente dalla forma spe-cifica di una data corrente - la sua pretesa universalità, per dirlo in parole con-suete - era stato criticato nel 1944, appena dopo la sua comparsa, da Landauin base a considerazioni teoriche. Il senso della critica di Landau non è cosìchiaro, se è vero che quelli che la citano vi aggiungono immancabilmente unaloro personale interpretazione28. Tuttavia, anche rimanendo sul piano dei ri-sultati sperimentali, vi sono aspetti che non si collocano facilmente all’internodella teoria.

Uno, assai noto e discusso, è la possibilità di rilevare non previsti fenomenidi intermittenza nelle piccole scale. Secondo la concezione di Kolmogorov lecorrenti turbolente con uno stesso flusso di energia, e quindi con uno stesso va-lore medio della funzione di dissipazione, dovrebbero risultare indistinguibili,almeno per quanto riguarda le componenti di numero d’onda sufficientementeelevato (piccola lunghezza d’onda), essendo tutte caratterizzate da una tota-le assenza di struttura. Anche la fluttuazione al livello di un eddy qualsiasidovrebbe risultare indistinguibile da quella di un altro, salvo il cambiamentodi scala per velocità e lunghezze; l’auto-similarità è conseguenza del caratte-re del tutto casuale del processo29. In realtà, se si elimina con un filtro dal

28Cfr. U. Frisch, op. cit. 6.4.

29L’informe non si distingue.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

t

Fig. 2.15 – Tracciato di velocità turbolenta, da cui sono state eliminate le componentidel dominio inerziale.

segnale turbolento le componenti di grande lunghezza d’onda, si finisce colmettere in evidenza nelle scale più piccole un alternarsi irregolare di fasi digrande intensità e di relativa quiescenza. Si ottengono tracciati come quelloindicato in fig. 2.15, dove è stato riprodotto a occhio un tracciato sperimentaleeffettivo, registrato da Gagne con un filtro passa alto - alte frequenze e piccolelunghezze d’onda vanno sottobraccio - in una misura a punto fisso30.Questa proprietà, chiamata intermittenza e già intuita negli anni 50 del secolotrascorso, è sicuramente presente nelle scale dissipative, e ha un ovvio riscon-tro nell’esistenza di una struttura spaziale del campo. La si può interpretaresupponendo che la dissipazione di energia cinetica, invece di essere distribuitaall’interno del volume di fluido in modo quasi uniforme, si trovi concentra-ta in piccole regioni, ove sono localizzati vortici di grande intensità. Non èchiaro se questa constatazione sperimentale infici le leggi di scala del dominioinerziale, poiché non risulta sperimentalmente accertato se questa topologia abuchi sia presente anche nelle scale corrispondenti.Se lo fosse, se esistesse un grado di vuoto che si va approfondendo con ilnumero d’ordine degli eddy, le relazioni 2.12, 2.13, 2.14 e seguenti dovrebberoessere modificate. Esse sono state ottenute imponendo la costanza del flusso dienergia a tutti i livelli, una proprietà che rimane comunque vera per assicurarel’equilibrio statistico in un sistema dissipativo. Tuttavia nel dedurle è stato im-plicitamente supposto che gli eddy di qualsiasi scala occupino uno stesso vo-lume, poiché si sono eguagliate grandezze riferite a un volume unitario, qualiρσ3

un/ln. In altre parole si è supposto un processo di frammentazione con-servativo del volume totale, come quello rappresentato simbolicamente nellaparte sinistra della figura 2.16, invece che uno del tipo rappresentato a destra.

30Y. Gagne, 1980, tracciato riprodotto in U. Frisch, op. cit.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

(a) (b)

Fig. 2.16 – (a) Rappresentazione simbolica di un processo di suddivisione in cui leparti, a qualsiasi livello di divisione, occupano lo stesso spazio dell’intero - (b) rap-presentazione simbolica di un processo di suddivisione in cui lo spazio totale non èconservato.

Ma se le strutture di piccola scala occupassero, come nello schema di destra,una frazione progressivamente minore del volume del fluido, le leggi di scalaricordate dovrebbero essere modificate, per tener conto del fatto che le scaleminori devono globalmente assicurare uno stesso flusso di energia pur occu-pando un volume più piccolo. Allo stato attuale delle conoscenze l’argomentoha carattere speculativo, perché non è neppure certo che esistano fenomeni diintermittenza nel dominio inerziale.Rimane che si ha intermittenza nella regione dissipativa. Non è scontato chel’alto livello di fluttuazione sia realmente associato a una dissipazione inten-sa. Sebbene la cosa venga spesso presentata in questi termini31, sarebbe forsepiù logico immaginare che si formino strutture vorticose di grande intensità- quindi con alto livello di fluttuazione - ma poco dissipative, e che proprioper questa loro caratteristica emergano dal fondo32. La spiegazione può tro-

31Cfr. D.J. Tritton, op. cit., 21.3.

32La dissipazione dipende dal tensore delle velocità di deformazione, non da quello di vorticità,cfr. C. Cancelli, op. cit., 1.6. In condizioni di isotropia non dovrebbe esservi differenza tra idue, in termini statistici; ma qui stiamo parlando di una struttura organizzata.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

varsi nello stiramento dei vortici33, un processo che può rendere più marcatauna disuniformità di distribuzione iniziale; l’incremento della vorticità risultaproporzionale alla vorticità stessa, a parte fattori di forma del campo, e il flui-do interessato tende a restringersi attorno all’asse di rotazione. In effetti sonosempre più frequenti risultati sperimentali e simulazioni numeriche che rive-lano l’esistenza nelle correnti turbolente di lunghi filamenti vorticosi di scalatrasversale ridottissima, che danno luogo a picchi di depressione sull’asse. Laformazione saltuaria di queste strutture è quasi certamente all’origine del ru-more emesso dalle correnti turbolente, o della cavitazione nei liquidi. Non ècerto invece quale sia la loro funzione nella dinamica della turbolenza; alcu-ni pensano che abbiano un ruolo determinante, anche se non chiarito, altri chenon ne abbiano alcuno. Sia vera l’una o l’altra cosa, il loro carattere struttura-to e il grado di vuoto nella regione dissipativa non sono in accordo con quellacaduta verso l’informe che è al centro della teoria di Kolmogorov. E se a que-sto si aggiungono le numerose prove sperimentali sull’esistenza di strutturecoerenti di grande scala influenzate dalla forma del dominio, viene da con-cludere che il segno delle correnti turbolente è nell’ambiguità, nell’essere unibrido variabile di aspetti ordinati e casuali; una prerogativa da cui derivano lamancanza di carattere universale e la difficoltà di previsione.Trarre ispirazione dalla teoria statistica è poi particolarmente difficile quandosi affronti il comportamento dinamico della turbolenza di parete. Vale la pe-na di citare, come esempio illuminante, un fenomeno noto come effetto Toms.Nel 1948 Toms34 riportò di avere osservato una rilevante caduta del coeffi-ciente di attrito (∼ 40%) in correnti turbolente intubate di un liquido che con-teneva appena tracce (∼ 10 parti per milione, o poco di più) di contaminantimacromolecolari di lunga catena. La notizia venne come una sorpresa; sebbe-ne l’idea di ottenere molto con poco faccia parte dell’immaginario collettivo,accade raramente che il desiderio si avveri. I dati che accompagnavano gliesperimenti - quelli di Toms e gli altri immediatamente seguiti - erano altret-tanto intriganti. Da essi risultava che la riduzione diveniva sensibile a partire

33Cfr. C. Cancelli, op. cit., 4.4.

34B.A. Toms, Some observations on the flow of linear polymer solutions through straight tubes atlarge Reynolds numbers, Proc. 1st Int. Congress on Rheology, vol. 2, p. 135, North Holland,1948.

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

da un numero di Reynolds sufficientemente elevato, tale tuttavia che la corri-spondente microscala di Kolmogorov risultava tuttora più grande, almeno diun paio di ordini di grandezza, del raggio di girazione - la dimensione lineare- delle macromolecole. Come potessero, questa specie di gomitoli presenti nelliquido, influire su un campo di moto la cui scala lineare più piccola era di granlunga maggiore della loro, appariva del tutto oscuro, e tale è rimasto a mezzosecolo di distanza. A parte questo, uno si sarebbe aspettato seguendo Kolmo-gorov che le macromolecole agissero in qualche modo sull’accoppiamento tramoto medio e grandi scale vorticose, inibendo quel primo e irreversibile pas-so verso la dissipazione che è previsto dalla teoria statistica. Invece, in basea una serie di misure che non riportiamo, ma di cui è difficile dubitare, ri-sulta che la loro azione si esplica vicinissima alla parete, in una regione ditransizione tra uno strato puramente viscoso e la regione del moto turbolen-to sviluppato; in altre parole su scale molto più piccole di quella esterna dellacorrente. Qualunque sia la dinamica del processo, si tratta di un fatto che pocosi accorda con la visione unidirezionale - dal grande verso il piccolo - della ca-scata energetica; qui sembra inevitabile considerare un qualche meccanismodi retroazione. Può darsi che una teoria elaborata nell’ipotesi di omogeneità eisotropia non si adatti a una situazione di turbolenza di parete, ove gli scambidi energia tra regioni diverse - e non solo tra configurazioni di scala diversa -hanno importanza determinante.

Spettro del campo fluttuante e trasporto di inquinanti

Torniamo ora, dopo essersi dilungati su alcuni problemi non definiti, agliaspetti che interessano più da vicino la dinamica dell’atmosfera. In questocampo la turbolenza di parete ha poca importanza, e alcune proprietà mes-se in evidenza dalla teoria statistica sono utili a comprendere i meccanismidi dispersione delle traiettorie e di accelerazione dei processi diffusivi. È be-ne tenere in mente la compresenza di componenti di scala diversa, e le duerelazioni:

σun ∝ l1/3n

σun

ln∝ l−2/3

n

La prima spiega come la differenza di velocità tra due particelle vada crescen-do con la loro distanza, e quindi come la dispersione delle traiettorie finisca

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

Fig. 2.17 – Effetto di campi di velocità con diversa composizione spettrale su un volumedi fluido inizialmente compatto: (a) campo di moto con componenti di scala medio-grande rispetto a lo; (b) campo di moto con componenti di scala maggiore e minoredi lo.

con l’essere determinata dai vortici di grande scala. La seconda mette in evi-denza come rotazione e deformazione si intensifichino con la diminuizionedelle scale; il processo di deformazione e sfrangiamento della superficie diuna nube, o di una sua parte qualsiasi inizialmente compatta, è dovuta allecomponenti di piccola scala (cfr. fig. 2.17). La presenza di queste componen-ti è quindi necessaria per una forte accelerazione dei processi diffusivi. Uncampo di moto provvisto di sole componenti di grande scala, ove grande epiccola scala vanno intese in confronto con la dimensione trasversale della nu-be, può trasportare il volume inquinato di qua e di là, senza produrre diluizioneaccettabile.

2.3. APPENDICE

Trasformate di una famiglia di funzioni autosimili

Si consideri una famiglia di funzioni di autocorrelazione f(s), tali che l’unasi possa ottenere da un’altra mediante un cambiamento di scala della variabile

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

k

(a)

(c)(b) (a)

(b)(c)

F

s

cs

1

Fig. 2.18 – Spettri di potenza e coefficienti di autocorrelazione al variare della sca-la integrale £: le curve (a) (b) (c) corrispondono a valori decrescenti della scalaintegrale £.

indipendente. Possiamo adottare come scala delle lunghezze - come unità dimisura - la scala integrale £ e definire le variabili adimensionate:

s′ =s

£

k′ = k£

Si ha, dalla definizione 2.1 di scala integrale:∫ ∞

0cs(s′)ds′ = 1 2.23

mentre lo spettro:

F (k) =σ2

u

∫ ∞

−∞cs(s)e−iksds

può essere scritto, tramite un semplice cambiamento di variabili, nella veste:

F ′(k′) =12

∫ ∞

−∞cs(s′)e−ik′s′

ds′ 2.24

ove F ′ sta per Fπ/£σ2u.

La funzione F ′(k′) si può considerare uno spettro adimensionato con un va-lore massimo nell’origine normalizzato ad 1; per k′ �= 0, non può che essereminore di 1 e tende ad annullarsi per k′ → ±∞. Se si vuole valutare l’esten-sione di F ′ nel dominio k′, si può assumemere come misura l’intervallo di k′

compreso tra l’origine e il valore k′t, per cui F ′ si è ridotta definitivamente aldi sotto di una percentuale prefissata del valore massimo, diciamo 10−2, perdare un numero. Il valore di k′t dipende ovviamente dalla forma della cs(s′) e

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2. STATISTICA DELLE CORRENTI TURBOLENTE

non solo dal valore di soglia arbitrariamente fissato; ma una volta assegnata laforma di cs(s′) e il valore di soglia, k′t risulta determinato in modo univoco.Le due funzioni adimensionate cs(s′) e F ′(k′) possono dare vita a un’interaclasse di funzioni di autocorrelazione cs(s) e di spettri corrispondenti F (k). Èsufficiente a questo fine variare la scala integrale £; le funzioni cs(s) si otten-gono da cs(s′) con un cambiamento di scala dell’asse delle ascisse - una sortadi stiramento - secondo la trasformazione:

s′ → s′£ = s

mentre le F (k) si ottengono tramite un duplice stiramento degli assi:

F ′ → F ′£σ2u

π= F 2.25

k′ → k′

£= k 2.26

l’ultima delle quali vale, come è scontato, anche per la larghezza kt di F in k:

k′t →k′t£

= kt 2.27

L’ultima relazione mette in evidenza come il prodotto kt£ = k′t sia invariante,così che la larghezza kt di F (k) risulta inversamente proporzionale a £. Quan-do £ va crescendo, F (k) si restringe attorno all’origine, (cfr. fig. 2.18). Al li-mite, per £ → ∞, la funzione c(s) diviene sempre più piatta e quella F (k) siavvicina asintoticamente a una funzione impulsiva collocata nell’origine:

F (k) → σ2uδ(k)

ove δ(k) indica la funzione impropria di Dirac; lo spettro si è ridotto ad unariga.

Viceversa, quando £ diminuisce F (k) si avvicina sempre di più ad una distri-buzione uniforme, nel mentre la sua ampiezza diminuisce con £; il processova acquisendo le caratteristiche del cosidetto rumore bianco, ove l’autocorre-lazione tende ad annullarsi per qualsiasi valore dello sfasamento e lo spettrodi potenza si allarga uniformemente su tutti i numeri d’onda.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANIDI DISPERSIONE

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

3.1. EQUAZIONI DI BILANCIO MEDIATE

Valor medio lineare e varianza

Fino a questo punto non abbiamo fatto alcun uso delle equazioni differenziali,nel descrivere le proprietà dei campi di moto turbolento. Tuttavia esse con-tinuano ad essere valide e pongono vincoli alle evoluzioni possibili, quindianche al comportamento medio delle N correnti di una trattazione statistica.In effetti è possibile scrivere equazioni di bilancio per i vari momenti stati-stici delle variabili indipendenti: si consideri l’equazione di una grandezzaqualsiasi, di densità qt, trasportata da un campo di velocità turbolenta ut:

∂(q +Q)∂t

= − ∂

∂xj[(Uj + uj)(q +Q) + (Fj + fj)] 3.1

Nella 3.1 si è già introdotta la scomposizione delle variabili in valor mediolineare e fluttuazione:

qt = Q+ q

ut = U + u

e si è indicato conft = F + f

il flusso di qt con origine molecolare o browniana, anch’esso debitamentescomposto.

Si può pensare di scrivere la 3.1 per ciascuna delleN correnti, quindi sommaremembro a membro l’insieme delle equazioni e dividere per N . L’operazionecorrisponde ad applicare alla 3.1 l’operatore lineare:

< • >≡ 1N

N∑1

(•)n

che gode della proprietà di commutare con gli operatori differenziali, come èimmediato vedere:

<∂qt∂t

>=∂ < qt >

∂t=∂Q

∂tet cet. L’operatore < • > ha anche altre proprietà; se qt è una variabilealeatoria qualsiasi si ha:

< qt >= Q

< Q >= Q

< Q+ q >=< Q > + < q >= Q

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

quindi:

< q >= 0

Se c è una costante dell’insieme si ha:

< cqt >= c < qt >= cQ

e se pt è una seconda variabile aleatoria: pt = P + p, si ha:

< qtpt >=< (Q+ q)(P + p) >= QP+ < qp >

In quest’ultima relazione i termini < Qp > e < Pq > che deriverebbero dallosviluppo del prodotto scompaiono, perché Q e P si comportano come costantirispetto all’operatore < • >:

< Qp >= Q < p >

< Pq >= P < q >

e il valor medio lineare delle fluttuazioni è zero.

Queste regole di calcolo sono dovute a Reynolds che le introdusse più di un se-colo fa1, sebbene non avesse in mente una media di insieme nel suo significatoattuale. Il risultato formale che si ottiene applicando un operatore di media al-la 3.1 non dipende tuttavia dal significato logico dell’operatore, purché essosoddisfi le regole appena ricordate. Si ha in modo pressoché immediato:

∂Q

∂t= − ∂

∂xj(UjQ+ < ujq > +Fj) 3.2

La 3.2 è una equazione evolutiva per il valor medio lineare Q, il primo mo-mento della distribuzione di qt, ed indica che la rapidità di variazione di Q èdeterminata dalla divergenza di tre termini di flusso, due convettivi - i primidue entro parentesi - e il terzo di natura diffusiva.

Si può facilmente ottenere un’equazione evolutiva per la fluttuazione q

sottraendo la 3.2 alla 3.1:∂q

∂t= − ∂

∂xj(Ujq + ujq + ujQ− < ujq > +fj) 3.3

Si noti che, se non apparisse nel secondo membro della 3.2 la correlazione< ujq >, l’operazione di media avrebbe avuto come risultato quello di eli-

1Nel 1895: O. Reynolds, On the dynamical theory of incompressible viscous fluids and thedetermination of the criterion, Philos. Trans. R. Soc. A. t. 86, I, pp. 116-119, 1895.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

minare dalla rappresentazione del processo la parte fluttuante dei campi. Lapresenza di < ujq > non è tuttavia priva di significato; rivela l’impossibili-tà in un sistema dinamico non lineare di scomporre le variabili in componentie di determinare l’evoluzione di una di esse indipendentemente dalle altre; leparti interagiscono. Nel caso particolare, la presenza nella 3.2 di < ujq >

mostra che l’evoluzione del valore medio Q non dipende solo dagli altri valo-ri medi lineari, ma anche dall’accoppiamento delle componenti fluttuanti. Inmodo complementare, la 3.3 indica che la dinamica di q è influenzata dalladistribuzione spaziale dei valori medi.

La comparsa nella 3.2 della nuova funzione< ujq > complica l’aspetto mate-matico del problema, che in sostanza è divenuto indeterminato. Si immagini,per precisare le idee, che si stia trattando del trasporto di uno scalare passivo2

in un campo di velocità turbolento, le cui proprietà statistiche siano assegnate;in tal caso la U(x, t) va considerata nota. Non è tuttavia possibile pensare dirisolvere perQ la 3.2 con opportune condizioni di contorno, come in un proble-ma di convenzione-diffusione di forma tradizionale; l’equazione 3.2 contieneoltre a Q altre tre funzioni incognite, le tre componenti del flusso< ujq >. Incasi come questi, il procedimento ovvio sembrerebbe essere quello di scriverealtre equazioni per le nuove incognite. La cosa è possibile, anche se tedio-sa, ma si rivela presto una strada senza sbocco: qualsiasi equazione evolutiva,scritta per un momento statistico di qualsiasi ordine, contiene momenti di ordi-ne superiore, e il numero delle incognite cresce più rapidamente di quello delleequazioni. Nella equazione della correlazione doppia < ujq > compariran-no correlazioni triple, et cet. Per concludere in qualche modo il procedimento,occorre a un certo punto troncarlo e assumere le nuove incognite come note,oppure ricondurle ad altre con qualche ipotesi più o meno fondata3.

Dall’equazione 3.3 si può dedurre un’equazione per la varianza σ2q ≡< q2 >,

per mezzo dei seguenti passi:

– si moltiplica primo e secondo membro della 3.3 per q, in modo da

2Significa che la presenza dello scalare non influenza il campo di velocità.

3Nel gergo degli specialisti, questo aspetto matematico è chiamato problema della chiusura.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

ottenere la derivata di q2:

q∂q

∂t=

12∂q2

∂t

– si rielabora il secondo membro, ponendo in evidenza i termini diflusso della nuova variabile; in altre parole, si riscrive il prodotto

q∂

∂xj(•)

portando sotto l’operatore di divergenza quanto è possibile, in questomodo automaticamente individuando i termini di sorgente che nonpossono essere ricondotti sotto l’operatore stesso;

– si media l’equazione così riscritta.

Al termine di questo procedimento si ottiene l’equazione per la varianza:∂

∂tσ2

q = − ∂

∂xj(Ujσ

2q+ < ujq

2 > +2 < qfj >) 3.4

+2 < fj∂q

∂xj> −2 < ujq >

∂Q

∂xj

Per avere l’equazione in questa forma si è supposto che la derivata temporaledella densità sia trascurabile, e che il vettore velocità sia di conseguenza so-lenoidale. La proprietà si applica alla componente media e a quella fluttuanteseparatamente; si ha infatti dall’equazione di continuità:

∂xj(Uj + uj) = 0

da cui tramite l’operatore di Reynolds si deduce:∂Uj

∂xj= 0 3.5

e sottraendo dalla precedente si ha:∂uj

∂xj= 0 3.6

D’altra parte, se u è un vettore solenoidale, vale la relazione∂

∂xj(ujq) = uj

∂q

∂xj

e questa uguaglianza semplifica l’elaborazione dei termini del tipo:

q∂

∂xj(•)

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Ad esempio, si ha:

q∂

∂xj(Ujq) =

∂xj[(Ujq)q] − Ujq

∂q

∂xj=

∂xj(Ujq

2) − q∂

∂xj(Ujq)

da cui, confrontando il primo con l’ultimo membro, immediatamente sideduce:

q∂

∂xj(Ujq) =

12∂

∂xj(Ujq

2)

È appena il caso di notare che la 3.4 risulta insufficiente a determinare l’evo-luzione di σ2

q ; tutte le correlazioni che compaiono a secondo membro sonoignote. Tuttavia, una discussione del significato di questi termini può aiutarea comprendere il processo. Quei termini che sono raggruppati sotto il segnodi divergenza rappresentano flussi, trasporto di varianza per effetto della ve-locità media, della fluttuazione di velocità, del moto di agitazione molecolarenell’ordine. La loro funzione è quella di ridistribuire la varianza σ2

q all’inter-no della regione occupata dalla corrente turbolenta, ma non di modificarne ilvalore globale, almeno fin quando la corrente non abbia uno scambio di fluidocon l’esterno; il loro integrale di volume, esteso ad un sistema isolato, è infattinullo per il teorema di Gauss. Gli ultimi due termini a secondo membro sonoinvece termini di sorgente; sono in grado di far variare il valore globale di σ2

q inun sistema chiuso. Per approfondire l’analisi conviene distinguere il traspor-to di uno scalare da quello di quantità di moto, ed esplicitare i corrispondentiflussi molecolari.

Trasporto turbolento di uno scalare. Dispersione turbolenta

Il caso che più ci interessa è quella del trasporto di un contaminante4. In questotipo di problema si presume usualmente che la statistica del campo di veloci-tà sia assegnata, e che la presenza di un inquinante con concentrazione qt nonla modifichi. La cosa non è sempre vera; fuoriuscite massiccie di gas pesanti,quali il cloro, o particolarmente leggeri come il gas naturale, possono modi-ficare il campo di moto almeno in una prima fase. Ad es., la rottura di unserbatoio di cloro produce un campo di velocità che nella fase iniziale è pres-soché determinato dal peso del cloro e dal suo allargamento sul terreno. Solo

4La grandezza scalare trasportata può essere anche l’energia termica; in tal caso si ha la varianteturbolenta del noto problema di convezione e diffusione del calore.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

dopo un energico processo di mescolamento con l’aria circostante, il cloro sisarà così diluito da poter essere considerato come una quantità trasportata pas-sivamente dai moti naturali dell’atmosfera. Dunque, la nostra descrizione delprocesso si riferisca al trasporto turbolento di un inquinante sufficientementediluito. In tali condizioni il vettore U si considera noto, il flusso f può essereesplicitato come:

fj = −Dm∂qt∂xj

3.7

così da ottenere:

Fj =< fj >= − < Dm∂qt∂xj

>= −Dm∂Q

∂xj

e l’equazione 3.2 diviene:∂Q

∂t= − ∂

∂xj

(UjQ+ < ujq > −Dm

∂Q

∂xj

)3.8

doveDm indica il coefficiente di diffusione molecolare, oppure browniana nelcaso che l’inquinante sia un particolato.

Ricordiamo che se l’insieme degli N campi è supposto stazionario in sensostatistico, il primo membro dell’equazione è nullo, perché sono tali le deriva-te temporali dei momenti di qualsiasi ordine. Il secondo membro uguagliatoa zero può essere considerato come uno strumento per determinare la distri-buzione nello spazio del valore medio temporale della concentrazione di con-taminante in un unico dominio soggetto a condizioni globali costanti, grazieall’ipotesi ergodica.

Occorre tuttavia aggirare la difficoltà che deriva dalla presenza delle tre nuo-ve funzioni incognite < ujq >. Poiché per ipotesi la presenza di inquinantenon influenza la fluttuazione di velocità, si potrebbe pensare che le due flut-tuazioni q e u siano tra loro indipendenti, il che porterebbe a ritenere nullala loro correlazione. In realtà la direzione e il verso della velocità di un gru-mo di fluido, che transita attraverso una superficie immaginaria di separazionenella massa fluida, individuano almeno qualitativamente la regione di prove-nienza del grumo e vincolano il corrispondente valore di q alla distribuzionestatistica dell’inquinante in tale regione. Un esempio schematico può aiuta-re a comprendere la dinamica dello scambio. Si osservi lo schizzo di fig. 3.1,dove si è immaginato che per qualche miracolo esista ad un certo istante unadistribuzione di qt distinta in due zone, una inquinata in modo uniforme e l’al-tra del tutto pulita. Un grumo di fluido che attraversi dal basso la superficie

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

x3 uj > 0q > 0

q < 0u3 < 0

Fig. 3.1 – Scambio convettivo tra due zone con diversa concentrazione di inquinante.

di separazione porterà una concentrazione istantanea più alta di quella medialocale, che per ragioni di simmetria è qt/2, quindi darà luogo a una fluttuazio-ne positiva; mentre accadrà esattamento l’opposto al passaggio di un grumoproveniente dall’alto. Dunque, con riferimento alle convenzioni adottate infig. 3.1, in entrambi gli eventi si avrà flusso positivo - rivolto verso l’alto - per-ché le fluttuazioni accoppiate di velocità e di concentrazione hanno uno stessosegno.

Sebbene chi scrive sia rimasto impressionato dal fiorire di miracoli che ha ca-ratterizzato questa fine di secolo, deve ricordare che una distribuzione comequella di fig. 3.1 è improbabile che si produca; l’esempio dovrebbe tuttaviachiarire che la fluttuazione di velocità tende a trasportare l’inquinante da zonecon concentrazione mediamente alta (alto valore di Q) verso zone con con-centrazione mediamente bassa (basso valore di Q), in questo modo spingendola distribuzione di Q verso l’uniformità. Se lo scambio attraverso una giacitu-ra passante per un punto generico fosse determinato dalla distribuzione di Qnelle immediate vicinanze del punto stesso - se, in altre parole, apparisse co-me un fenomeno locale, nel confronto con la scala globale del dominio - sipotrebbero ripetere le considerazioni già svolte per i flussi di natura moleco-lare, e concludere che anche il flusso turbolento di una grandezza qualsiasi èproporzionale al gradiente del valor medio della stessa, e di segno opposto.

In realtà il trasporto turbolento non ha carattere locale; sappiamo che nelle cor-renti turbolente si trovano configurazioni coerenti di velocità che hanno comelunghezza caratteristica quella stessa della dimensione trasversale della cor-rente e sono quindi in grado di trasportare di altrettanto un particolare valore

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

di qt. L’unica cosa certa è che il rimescolamento conduceQ verso l’uniformi-tà; quando questa sia stata raggiunta in tutto il dominio, i flussi risulterannopari a zero in qualsiasi punto.D’altra parte, in un dominio con concentrazione media disuniforme la corre-lazione < ujq > non è affatto nulla; non solo, ma essa risulta di gran lungapiù importante dei flussi diffusivi molecolari. Una semplice analisi degli or-dini di grandezza dei rispettivi termini è sufficiente a dimostrarlo; l’ordine digrandezza di < ujq > può essere stimato in σuσq, mentre quello del termineDm∂Q/∂xj in DmΔQ/LQ, ove ΔQ è la variazione di Q ed LQ è la di-mensione lineare della regione all’interno della quale risultano confinate le Nrealizzazioni della nube di inquinante. Le variazioni ΔQ e σq non possonotuttavia essere molto diverse tra loro, almeno come ordine di grandezza. Ineffetti le configurazioni cinematiche di grande scala spostano grumi di flui-do da una parte all’altra della nube senza modificare la loro concentrazione;in un punto qualsiasi vengono pertanto registrate fluttuazioni di qt che sonomediamente vicine alla massima variazione spaziale di Q. Ne deriva che σq

e ΔQ sono dello stesso ordine, e il rapporto tra termine diffusivo e termineconvettivo turbolento risulta:

∼ Dm/LQσu

un numero usualmente molto piccolo, perché tale risulta il coefficiente di dif-fusione molecolare o, ancor peggio, browniana. Si può pertanto nella 3.8 sop-primere senza rimorsi il termine di diffusione5, sebbene questo non risolva ilnostro problema matematico. Possiamo riscrivere la 3.8 nella forma:

∂Q

∂t= − ∂

∂xj(UjQ+ < ujq >) 3.9

e osservare che essa avrebbe potuto essere ottenuta direttamente median-

5Rimane vero che la fluttuazione turbolenta si estingue nelle immediate vicinanze di una pareterigida, dove il trasporto viene affidato alla sola diffusione molecolare; si ha la formazione di unsottostrato a carattere diffusivo il cui spessore è estremamente più piccolo della scala esternadella corrente turbolenta. Il fatto ha tuttavia un interesse puramente accademico, o quasi, nellostudio della dispersione di inquinanti, persino quando si studi il fenomeno della deposizioneal suolo. Sono infatti i fenomeni convettivi a determinare anche l’entità del trasporto verso ilsuolo, così come nella cascata energetica sono i processi di instabilità convettiva a determinarel’entità della dissipazione. I fenomeni diffusivi si adattano, modificando le loro scale, al flussoimposto; lo subiscono ma non lo determinano.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

do tra N correnti prive di diffusione molecolare; in altre parole applicandol’operatore di Reynolds all’equazione convettiva:

∂qt∂t

= − ∂

∂xj[(ut)jqt] 3.10

la cui soluzione lagrangiana è:DqtDt

= 0 3.11

quindi:

qt = cost

lungo le traiettorie:

dyi = (vt)idt

Questo è un punto importante, perché in esso risiede la giustificazione deimetodi lagrangiani per il calcolo della dispersione turbolenta. I procedimentilagrangiani, invece di integrare l’equazione mediata 3.9, simulano numerica-mente un insieme di traiettorie negli N campi, ciascuna delle quali trasportadalla sorgente un grano invariato - un quantum - di contaminante. La determi-nazione del valor medio in un punto generico viene fatta a posteriori, contandoquanti sono i grani che hanno terminato la loro corsa in una cella di controllo,posta attorno al punto stesso. I due modi di operare sono equivalenti; essi in-fatti sono rivolti a calcolare una stessa grandezza, il valore medioQ, e possonoconsiderarsi come due diverse elaborazioni formali di una stessa equazione dipartenza, la 3.10.

La 3.9 può scriversi nella forma:(∂

∂t+ Uj

∂xj

)Q = − ∂

∂xj< ujq > 3.12

che si può interpretare come l’equazione evolutiva di Q in un dominio fittizioove sono rappresentate solo grandezze mediate, e la distribuzione di Q variaa causa di un moto fluttuante che non compare direttamente. L’operatore ap-plicato a Q infatti calcola la velocità di variazione di questa grandezza - la suaderivata rispetto al tempo - così come essa verrebbe misurata da uno strumentoche si muovesse nel dominio con velocità U. La presenza di un moto nascostoè resa sensibile dalla correlazione a secondo membro; si noti l’analogia con ilmoto di agitazione delle molecole.

Può essere utile confrontare questi aspetti formali delle equazioni mediate conlo schizzo di fig. 3.2 che qui riproduciamo: in esso è rappresentata una famiglia

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

traiettoria media

S

Fig. 3.2 – Dispersione di traiettorie di particelle uscenti da uno stesso punto. La lineatratteggiata rappresenta una ipotetica traiettoria media.

di traiettorie diverse che escono da uno stesso punto S, che si può considerarecome sorgente di una sostanza inquinante. Le traiettorie possono essere in-differentemente pensate come percorse da N particelle fluide rilasciate a unostesso istante negli N domini dell’insieme, oppure da N particelle diverse,rilasciate a tempi diversi in un unico dominio, purché il processo sia statistica-mente stazionario. Il significato dello schizzo è che le N particelle si disper-dono attorno a una immaginaria traiettoria media, producendo un decrementodi Q rispetto al valore in S, ove è massimo. I modelli lagrangiani calcolano lavariazione di Q a posteriori, dopo avere riprodotto le N traiettorie6 e calcola-to i corrispondenti punti di arrivo delle particelle uscite dalla sorgente. La 3.9

cerca di arrivare allo stesso risultato operando su grandezze medie e attribuen-do la diminuizione di Q, riscontrabile da un osservatore che si muova lungola linea media tratteggiata, a un moto di fluttuazione nascosto che produce ilflusso< ujq >. Né l’uno né l’altro metodo tengono in alcun conto la diffusio-ne molecolare. Le particelle degli N campi si muovono conservando la loroconcentrazione qt di contaminante; quella fittizia che si muove secondo la 3.12

con velocità media U, vede la concentrazione Q diminuire per effetto di unfenomeno puramente convettivo.

Sarebbe tuttavia errato concludere da questi argomenti che i fenomeni di dif-fusione siano nelle correnti turbolente del tutto trascurabili; in realtà vi è nei

6Occorre simulare un campo aleatorio di velocità con le stesse proprietà statistiche di quellovero.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

moti turbolenti una generazione di scale sempre più piccole, che esalta i flus-si diffusivi. Quello che abbiamo dimostrato è che i processi di diffusione nonhanno influenza significativa sulla distribuzione nello spazio del valor mediolineare di concentrazione; la 3.11 non è corretta in sé, ma solo agli effetti delcalcolo della distribuzione Q(x).Nel moto reale il valore di concentrazione qt di una particella non si mantie-ne costante, ma varia più o meno rapidamente a seconda della composizionespettrale del campo; più le scale sono ridotte, più rapida è la diluizione. Qual-che informazione su questo aspetto del fenomeno può dedursi dall’equazionedella varianza7. La 3.4, tramite la 3.7 diviene:

∂tσ2

q = − ∂

∂xj

(Ujσ

2q+ < ujq

2 > −Dm∂

∂xjσ2

q

)3.13

−2 < ujq >∂Q

∂xj− 2Dm <

∂q

∂xj

∂q

∂xj>

I termini che figurano a secondo membro dell’equazione sotto l’operatore didivergenza sono flussi convettivi o diffusivi di varianza; ridistribuiscono que-sta variabile da una regione all’altra della corrente, senza generarla; come ènoto, il loro integrale di volume esteso a un sistema isolato è zero. Sono tutta-via presenti anche due termini di sorgente - gli ultimi due a secondo membro -il cui integrale di volume non si annulla. I due termini sono infatti di segnocostante anche se opposto; il primo è sempre positivo, il secondo negativo.Sul segno di quest’ultimo non ci sembra possano sussistere dubbi; il terminemediato:

<∂q

∂xj

∂q

∂xj>

rappresenta il quadrato del modulo di ∇q, e il coefficiente di diffusionemolecolare Dm è sempre positivo.

Per quanto riguarda il primo termine di sorgente, esso è dato dal prodotto sca-lare del vettore di flusso < uq > per −∇Q, il gradiente della concentrazionemedia cambiato di segno. Il flusso< uq > rappresenta l’intensità del traspor-to convettivo medio dovuto alla fluttuazione; abbiamo già ricordato che esso è

7Qualcuno la chiama equazione dell’energia perché dà il bilancio dell’energia cineticaturbolenta, quando venga applicata alla densità di quantità di moto ( qt → ρut).

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

A

B

CD

Fig. 3.3 – Processo privo di una forte accelerazione dei fenomeni diffusivi.

diretto da zone ad alta concentrazione media verso zone di bassa concentrazio-ne. Non è obbligatorio che < uq > abbia esattamente la stessa direzione delgradiente, ma non può discostarsene molto, ed è certamente orientato in mo-do tale da essere concorde con −∇Q; quindi il prodotto scalare tra i due saràpositivo e il relativo termine di sorgente anche, in ogni caso. Se poi dimen-ticassimo che il trasporto convettivo nelle correnti turbolente non ha caratterelocale, allora potremmo scrivere, in analogia con i flussi molecolari8:

< uq >= −Dt∇Qavendo introdotto un coefficiente di diffusione turbolenta Dt, positivo per de-finizione. In questo modo i termini di sorgente della 3.13 prendono una formache rivela al primo sguardo il segno del loro contributo alla variazione di σ2

q :

+Dt | ∇Q |2 −Dm | ∇q |2

Può sembrare strano che due processi indicati entrambi col nome di diffusioneproducano risultati contrapposti. In realtà il prodotto scalare del flusso< uq >per il gradiente ∇Q dà espressione matematica a un fenomeno convettivo chepuò essere spiegato senza troppa difficoltà. Se una causa esterna - una sorgentedi inquinante ad es. - mantiene nel dominio una variazione spaziale, e quindiun gradiente di Q, per un punto qualsiasi passano alternativamente particellecon alta e bassa concentrazione, per effetto della componente fluttuante delcampo, e la cosa viene registrata nel punto di misura come un incremento di

8C. Cancelli, op. cit., 1.4.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Fig. 3.4 – Processo con forte accelerazione dei fenomeni diffusivi.

varianza; si veda a questo proposito la fig. 3.3. L’effetto può essere attenuato senell’intorno del punto di misura si ha una rapida omogeneizzazione del fluido,per effetto della diffusione molecolare, come in fig. 3.4; questo è il significatodel termine negativo −Dm | ∇q |2.

Non è detto tuttavia che questa attenuazione avvenga in misura rilevante. Peressere ugualmente efficaci i due termini, quello che produce varianza e quelloche la elimina, richiedono scale diverse. Il primo dei due vale all’incirca

σuσ2q/LQ

mentre il secondo è

∼ Dmσ2q/l

2q

ove si è indicata con lq la distanza minima su cui è possibile riscontrare unavariazione significativa di q. Il loro rapporto è:

∼ σuLQ

Dm

(lqLQ

)2

e la predominanza dei fenomeni convettivi risulta schiacciante, almeno che lqnon sia molto più piccola di LQ.

Poiché lo scalare è trasportato, nella nostra ipotesi, passivamente, le scale spa-ziali delle distribuzioniQ(x) e q(x) vengono determinate da quelle del campodi velocità. Si possono avere situazioni diverse; quando le scale del campodi velocità sono tutte più grandi della dimensione trasversale della nube, siha la situazione di fig. 3.3, ove il pennacchio viene sbandierato di qua e di làda oscillazioni di lungo periodo senza esserne frantumato; quando il campo

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

di moto possiede scale così ridotte da produrre forti differenze di velocità eviolente rotazioni all’interno della nube, si producono configurazioni del pen-nacchio come quella di fig. 3.4. Nel primo caso vi è nell’equazione 3.13 unaprevalenza del termine convettivo di sorgente; nel secondo, la produzione divarianza è limitata dal pozzo diffusivo.L’influenza di questi termini sulla varianza può essere esplicitata integrandola 3.13 sul volume di controllo ABCD di fig. 3.3, e usando l’equazione che nerisulta per valutare il flusso di varianza in uscita dalla sezione BC, che è do-vuto essenzialmente alla velocità media U; la cosa è lasciata come esercizio.Il procedimento è solo formale, almeno che non si trovi un modo di valutareall’interno del volume di controllo i termini di sorgente, dal cui integrale di-pende la portata globale uscente attraverso la superficie che delimita il volumestesso. La circostanza è un tratto ricorrente di questo tipo di problemi; sen-za considerazioni fenomenologiche aggiuntive, l’uso delle equazioni mediatenon porta lontano. È tuttavia possibile trarre una considerazione di caratteregenerale dall’equazione di bilancio; quando all’interno del volume di con-trollo l’annichilazione diffusiva di varianza è più energica della produzioneconvettiva:

+Dt | ∇Q |2 −Dm | ∇q |2� 0

e la situazione è stazionaria in media, l’equilibrio richiede una forte prevalen-za della portata di varianza entrante, attraverso la sezione di monte del pen-nacchio, su quella uscente attraverso una sezione di valle dello stesso. In al-tri termini, poiché la portata può essere valutata approssimativamente come∼ σ2

qUA, avendo indicato con A l’area della sezione media di passaggio delpennacchio, questo prodotto deve diminuire rapidamente con la distanza dal-la sorgente. Ma A va crescendo per effetto delle componenti di grande scaladel campo di moto, mentre la velocità media U rimane costante; la varian-za pertanto non può che diminuire rapidamente sottovento. In effetti, si puònotare in un pennacchio immesso in un campo turbolento molto agitato, ereso visibile dalla presenza di qualche impurità, una rapida perdita di struttu-ra; a poche decine di metri dalla sorgente, il pennacchio può presentarsi co-me una distribuzione continua, variabile su tutta la sezione in modo graduale(cfr. fig. 3.4).Quando i termini di generazione convettiva prevalgono su quelli diffusivi, siha nella prima fase un aumento della varianza, e quindi una stabilizzazione.Solo in seguito inizia una lenta fase diffusiva.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

3.2. MODELLI EULERIANI DI DIFFUSIONE TURBOLENTA

Equazione di convezione e diffusione. Soluzioni gaussiane

L’unico modo di rendere risolvibile l’equazione 3.12 è quello di esprimere letre componenti del vettore < uq > come funzioni del valore medio lineareQ(x). In questo modo l’equazione 3.12 diviene un’equazione in una sola inco-gnita, che con opportune condizioni di contorno può essere risolta9. Si pone,per necessità:

< uiq >= −Dt∂Q

∂xi3.14

come se il trasporto convettivo fosse un fenomeno puramente locale, così chel’equazione 3.13 diviene:

∂Q

∂t= − ∂

∂xj

(UjQ−Dt

∂Q

∂xj

)3.15

La 3.9 è identica nella forma all’equazione non mediata di convezionee diffusione di uno scalare; si può passare dall’una all’altra tramite lesostituzioni:

qt → Q

ut → U

Dm → Dt

La stretta analogia rende evidente una parentela tra due diversi processi: laridistribuzione nello spazio del valor medio Q di una grandezza in una cor-rente turbolenta, pur essendo un fenomento puramente convettivo, assomi-glia alla convezione e diffusione di uno scalare in un moto laminare; nel casoturbolento, tuttavia, il coefficiente di diffusione risulta di gran lunga più grande.L’equazione 3.15 viene chiamata equazione euleriana di diffusione turbolenta:euleriana perché tale è la funzione Q(x, t) per cui viene risolta, di diffusioneturbolenta, perché il trasporto dovuto alla fluttuazione turbolenta viene trattatocome una diffusione molecolare potenziata.

9Non parliamo di condizioni iniziali, né in generale di dipendenza temporale di Q, perché inquesto tipo di problemi si assume sempre, a torto o a ragione, che il processo sia statistica-mente stazionario. In tal caso ovviamente le derivate temporali dei valori medi sono nulle; secontinuiamo a scriverle, è per conservare le equazioni nella loro forma più generale.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Al contrario della 3.9, la 3.15 non è equivalente all’impostazione lagrangianadelineata dalla 3.11; infatti, l’ipotesi che i flussi turbolenti convettivi mediatipossano essere messi in conto tramite una legge di gradiente e un opportunocoefficiente di diffusione rappresenta una aggiunta arbitraria, rispetto al con-cetto di dispersione casuale di una famiglia di traiettorie. In realtà, l’attendibi-lità dell’ipotesi 3.14 può essere giudicata confrontando le proprietà della 3.15

con i risultati ottenibili mediante un attacco lagrangiano del problema. Stu-diando una famiglia di traiettorie, determinate da un campo di velocità flut-tuante con tempo di correlazione limitato, ed elaborando statisticamente ladistribuzione nello spazio di particelle che ne consegue, si possono confronta-re le proprietà di queste soluzioni con quelle della 3.15. Si può dimostrare chein un campo di moto turbolento statisticamente omogeneo la 3.15 dà soluzionisempre più vicine a quelle lagrangiane, nel limite:

t/Tl → ∞ove Tl è il tempo di autocorrelazione del moto stocastico sottinteso. In al-tre parole, la 3.15 descrive correttamente il comportamento asintotico delladispersione di un insieme di particelle dotate di moto casuale. Il valore delcoefficiente di diffusione corrispondente risulta dato10 da:

Dt = σ2vTl

Messo in questi termini - di relazione che intercorre tra un processo di disper-sione di particelle, o grumi di qualsiasi cosa, soggetti a un campo di moto ca-suale da una parte, e la sua rappresentazione euleriana dall’altra - l’argomentopuò tranquillamente essere riferito anche alla diffusione di molecole, e non so-lo alla dispersione turbolenta. La differenza è nei tempi di autocorrelazione.Il tempo per cui una molecola prosegue mediamente la sua corsa indisturbata,e quindi risulta dotata di moto autocorrelato, è il tempo libero medio; in ariaa temperatura ambiente è ∼ 10−8 s, ed è del tutto ovvio che agli effetti praticila condizione t/Tl → ∞ non abbia in questo caso il potere di limitare la vali-dità delle soluzioni. Nel campo di velocità dello strato limite terrestre, inveceTl può raggiungere nel periodo diurno ∼ 103 s. Per confrontare con successole previsioni del calcolo basato sulla 3.15 con i dati sperimentali, occorrerebbeosservare la distribuzione di una nube a cui si è concesso di evolvere per alme-no un’ora, in questo modo finendo per eseguire le misure a una tale distanza

10Poiché il campo è statisticamente omogeneo, σu e σv coincidono.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

dalla sorgente che i valori di concentrazione risulterebbero molto bassi, quindidi scarso interesse11. A breve distanza, ove i dati sono di maggiore importanzapratica, le previsioni della 3.15 possono risultare notevolmente errate. Comevedremo tra poco, si cerca di ovviare a queste difficoltà con criteri empirici.

La 3.15 è una equazione molto nota. Se la velocità media U del fluido è uni-forme nel dominio di integrazione, è sufficiente assumere un sistema di rife-rimento in moto con tale velocità per eliminarla, e ricondurre l’equazione allaclassica forma dell’equazione del calore, quella di Fourier (1822):

∂Q

∂t= Dt∇2Q 3.16

La 3.16, come del resto la 3.15, è lineare; si può quindi costruire configura-zioni complesse sovrapponendo soluzioni semplici, calcolare l’inquinamentodovuto a più sorgenti calcolando i contributi dovuti a ciascuna di esse e quindisommandoli, et cet. Vi è un gruppo di soluzioni della 3.15, usato per riprodur-re fenomeni di inquinamento originati da sorgenti di varia forma, che si puòconsiderare come derivato da una soluzione semplice della 3.16, provvista disimmetria sferica:

Q(r, t) = Mq(4πDtt)−3/2 exp(−r2/4Dtt) 3.17

Si tratta di una distribuzione spaziale di forma gaussiana, con massa totale dicontaminanteMq (kg) inizialmente concentrata nel centro della nube, e quindidiffusa radialmente; il simbolo r indica la distanza dal centro.Si noti che la larghezza della nube risulta alla lettera illimitata in qualsiasiistante, fuorché in quello iniziale, per il consueto artefatto delle equazioni pa-raboliche. Se si adotta tuttavia, a rappresentare la larghezza della nube, ladeviazione standard del fattore di forma exp(−r2/4Dtt), si ritrovano le con-suete leggi dei processi diffusivi, per quanto riguarda dimensione e velocità diallargamento:

σr ∝√Dtt

vd ∝√Dt/t

con l’unica differenza che ora compare il coefficiente di diffusione turbolentaDt al posto di quello molecolare Dm.

11Per non parlare del fatto che lo strato limite non è statisticamente omogeneo, o che è difficileconsiderarlo stazionario per un periodo così lungo.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Su una sovrapposizione di soluzioni di questa forma si basano numerosi mo-delli di calcolo della dispersione, che per questa loro origine vengono chiamatimodelli gaussiani. Ripristinando la velocità media del vento, si può rappre-sentare ad es. la dispersione di una nube che, emessa a un dato istante in unpunto sorgente, viene trascinata a valle nel mentre si allarga diluendosi. Oppu-re, se si considera una successione continua di nubi generate da un punto fissoS, si ottiene il cosiddetto pennacchio gaussiano (cfr. fig. 3.5), utile a calcola-re la concentrazione di una emissione continua da una sorgente puntiforme, oche tale può essere considerata. Infine, distribuendo l’intensità della emissionesu una linea ortogonale al vento, si hanno modelli gaussiani per sorgenti linea-ri, tramite i quali si può stimare l’inquinamento di origine veicolare attorno auna strada.

Per l’importanza che riveste in pratica, riportiamo l’espressione matematicadel pennacchio gaussiano, adottando i simboli con cui esso viene normalmen-te presentato. Sia S una sorgente puntiforme, che emette un inquinante conportata Mq (kg/s), e si indichi con x la coordinata della direzione sottovento al-la sorgente, con z la coordinata verticale e con y quella orizzontale, trasversaleal vento, fig. 3.5; l’equazione del pennacchio gaussiano, riferita a un sistemadi assi con origine in S, è:

Q(x, y, z) =Mq

2πσyσzUexp

(− y2

2σ2y

)exp

(− z2

2σ2z

)3.18

Si può controllare, per sostituzione, che la 3.18 è una soluzione stazionariadella 3.15, purché si ponga:

σ2y = σ2

z = 2Dtx

U3.19

e si consideri trascurabile il flusso di natura turbolenta nella direzione di x,rispetto a quello dovuto alla velocità media U. In breve la 3.18, tramite la 3.19,soddisfa l’equazione:

U∂Q

∂x= −Dt

(∂2

∂y2+

∂2

∂z2

)Q 3.20

È facile manipolare la 3.18 in modo da mettere in conto l’effetto di superficiriflettenti, dovute o alla presenza del suolo oppure a quella del bordo esternodello strato limite terrestre. Ad es., per calcolare l’effetto del suolo sulla con-centrazione si può ricorrere alla nota tecnica dell’immagine, aggiungendo allasorgente reale una sorgente fittizia S′ di pari intensità, collocata in posizionesimmetrica rispetto alla superficie terrestre. La configurazione corrisponden-

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

x

z y

US

Fig. 3.5 – Pennacchio gaussiano (cfr. fig. 7.3).

te risulta quella schizzata in fig. 3.6, che non necessita di grandi commenti;nella situazione rappresentata il flusso di inquinante che attraversa la superfi-cie orizzontale del terreno - dovuto ad entrambe le sorgenti, a quella reale S ealla sua immagine S′ - è zero per simmetria. Con l’aggiunta di S′ viene per-tanto simulata una distribuzione di concentrazioni, quale si avrebbe se il suoloriflettesse completamente le particelle di inquinante12. Formalmente, la pre-senza di S′ viene introdotta nel calcolo per pura sovrapposizione di soluzioni.Spostata al suolo l’origine dell’asse verticale e indicata con hs l’altezza dellasorgente, l’equazione del pennacchio diviene:

Q =Mq

2πσyσzUexp

(− y2

2σ2y

)[exp

(−(z − hs)2

2σ2z

)+ exp

(−(z + hs)2

2σ2z

)]3.21

12Si ottengono in questo modo risultati che non si curano della deposizione di inquinante al suolo.Si tratta di una approssimazione accettabile nella maggior parte delle situazioni; è comunquepossibile affinare il calcolo per tener conto della deposizione con un procedimento iterativo.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

hs

hs

S

S'

z

Fig. 3.6 – L’effetto di contenimento del suolo, che limita l’allargamento della nu-be, è trattato come una riflessione da parte del terreno per mezzo di una sorgenteimmagine S′.

In teoria, dunque, si potrebbero calcolare i coefficienti turbolenti di diffusioneDt in base alle caratteristiche del campo di moto fluttuante u(x, t), e quindiusare la 3.21 per determinare le concentrazioni medie. Nell’uso dei modelligaussiani si preferisce una strada più empirica; in effetti, le ipotesi che han-no permesso di presentare la 3.18 come dedotta dall’equazione mediata 3.2,l’unica sicuramente corretta, sono poco affidabili. Il campo delle velocità tur-bolente dello strato limite terrestre non è omogeneo - le sue caratteristichevariano rapidamente con la quota - l’ipotesi diffusiva 3.14 è corretta solo insenso asintotico, il significato della scala temporale lagrangiana in un camponon omogeneo è sfuggente. Pertanto si conservano le 3.18 e 3.21 nella loroforma e si considerano le deviazioni standard σy e σz come dimensioni carat-teristiche della sezione retta del pennacchio, la cui variazione con la distanzasottovento va rilevata empiricamente.

È ovvio che la velocità con cui la nube si allarga dipende dalle condizionidinamiche dello strato limite terrestre; quindi occorre parametrare le curveempiriche σy(x) e σz(x) con qualcosa che permetta di individuare in qualicondizioni lo strato limite si trovi. Le sei classi di stabilità di Pasquill, o lesette proposte da altri, rispondono a questa esigenza (cfr. app. B). In base ad

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

σy(m)

103

102

102 103 104

10

1x(m)

AB CD E

F

Fig. 3.7 – Andamento qualitativo della dimensione trasversale σy del pennacchio gaus-siano in funzione della distanza sottovento. I simboli A, B, et cet., indicano le diverseclassi di stabilità dello strato limite terrestre (cfr. fig. 7.1).

alcune osservazioni - velocità del vento, copertura o meno del cielo, inclina-zione del sole - si assegna la situazione in esame ad una delle classi di stabilità,in genere indicate con le lettere A, B, C, D, E, F, e si calcola l’allargamentodella nube tramite i valori σy e σz dati dalle curve empiriche riportate in fig. 3.7

e 3.8; oppure, si calcolano σy e σz in base a formule di interpolazione numeri-ca, che sono del tutto equivalenti alle curve. Il calcolo di Q avviene per mezzodella 3.21, note σy e σz .

Torneremo in seguito sui processi dinamici dello strato limite terrestre, che laclassificazione proposta da Pasquill vuole sintetizzare. In questo momento èsolo il caso di notare che, una volta adottato questo procedimento empirico,il legame tra il pennacchio gaussiano e la sua ascendenza matematica 3.20 èdivenuto molto debole. Le gaussiane che compaiono nella 3.21 sono funzionidi forma che potrebbero essere sostituite da altre più o meno simili, senza

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

σz(m)

103

102

102 103 104

10

1x(m)

A

B

C

D

E

F

Fig. 3.8 – Andamento qualitativo della dimensione verticale σz del pennacchiogaussiano in funzione della distanza sottovento (cfr. fig. 7.2).

particolari problemi, purché la legge con cui si allargano sottovento vengamantenuta13. In realtà la correttezza della 3.21, o altre simili, risiede in dueelementi:

– la conservazione della massa di inquinante, espressa tramite la ri-chiesta che quanto viene emesso dalla sorgente transiti verso val-le, trascinato dal vento con velocità U , attraverso una sezione rettaqualsiasi del pennacchio, di area A:

Mq =∫

AQUdA 3.22

– una ragionevole legge di allargamento sottovento della sezionedel pennacchio, dovuta al moto fluttuante, in dipendenza dallacondizione dello strato limite terrestre.

13Cfr. R.S. Scorer, Air Pollution, pag. 29, Pergamon Press, Oxford 1972.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Si osservi che la 3.22, risolta perQ, è immediatamente riflessa dal primo fattorea secondo membro della 3.21:

Mq

2πσyσzU

poiché l’area della sezione retta del pennacchio è proporzionale al prodottoσyσz . Questo fatto ci permette di trarre una conclusione, che riguarda le con-centrazioni al suolo. È evidente che il pennacchio può interessare la superficieterrestre solo quando si sia allargato in modo tale da avere una dimensionetrasversale almeno pari all’altezza del punto di emissione; quindi quando siabbia: σz ∼ σy ∼ hs. Per il calcolo approssimato della concentrazione alsuolo, Qs, si può scrivere semplicemente:

Qs ∼ Mq

hs2U

3.23

formula che è valida, a parte un coefficiente numerico dell’ordine dell’uni-tà, per la stima del valore massimo di Qs al suolo. A parità di emissione,le concentrazioni al suolo risultano inversamente proporzionali al quadratodell’altezza della sorgente e al valore della velocità del vento.Nella sua semplicità la 3.23 sintetizza un paio di fatti di importanza pratica. Aparità di U , il valore massimo di concentrazione al suolo non dipende dallecaratteristiche della turbolenza atmosferica, ma è fissato dalla conservazionedella massa (3.22) e da una considerazione puramente geometrica. Se crescel’intensità dei processi di dispersione, il pennacchio si allarga con maggiorerapidità; ma questo fatto comporta solo che la zona al suolo maggiormente col-pita si avvicini alla sorgente. Il valore del massimo di concentrazione, invece,rimane pressoché invariato; è determinato infatti dalla condizione che l’areadi passaggio dell’inquinante sia grosso modo14 ∼ πh2

s. Né il valore massimodipende in modo significativo dalla forma gaussiana o meno, del pennacchio;del resto, la 3.23 può farsi apparire in una espressione qualsiasi del pennacchiosemplicemente adottando l’altezza hs come unità di misura, e riscalando diconseguenza le altre lunghezze. Si ottiene la 3.23 moltiplicata per una funzio-

14Le cose possono cambiare se si presume che σy e σz varino con legge tra loro diversa in fun-zione di x, dando una sezione retta del pennacchio più o meno ellittica a seconda delle condi-zioni dell’atmosfera. Si tratta di una anisotropia molto sensibile in condizioni di forte stabili-tà, quando le fluttuazioni verticali vengono soppresse, mentre quelle orizzontali permangono;cfr. fig. 3.7 e 3.8.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

ne adimensionata di forma, che nel punto al suolo di massimo valore si riducea un numero15.

Nel capitolo 7 introdurremo strumenti di calcolo della dispersione turbolentache si basano sull’equazione differenziale 3.20:

U∂Q

∂x= −

[∂

∂y

(Dy

∂Q

∂y

)+(Dz

∂Q

∂z

)]scritta tenendo distinti i coefficienti di diffusione nelle diverse direzioni e ri-solta numericamente. La tecnica viene adottata quando il caso studiato nonrientra nella classificazione di Pasquill, per qualche motivo che rende i coeffi-cienti Dy e Dz diversi da quelli consueti nello strato limite terrestre su terrenopiatto. Un caso tipico è quello della dispersione di inquinanti attorno a unastrada di grande traffico, ove la scia dei veicoli contribuisce in modo signi-ficativo alla turbolenza dell’aria. L’effetto della scia viene messo in conto,modificando punto per punto i coefficienti di diffusione turbolenta; la formadella soluzione non è, ovviamente, gaussiana.

Innalzamento del pennacchio

Dal quadro che abbiamo delineato appare evidente che le previsioni del calco-lo possono risultare notevolmente diverse dalle misure sul campo; per esserechiari, occorre accettare senza battere ciglio uno scarto del 100% sui valorisingoli misurati in un punto. D’altra parte più è lungo il tempo su cui si ef-fettua la media, minore deve risultare la differenza tra previsione e misura, ameno che non vi sia qualche errore sistematico.

Si possono avere tuttavia nelle vicinanze della sorgente errori ben più grandi,nel senso che capita di trovare alte concentrazioni di inquinante in luoghi ovesecondo la previsione non avrebbe dovuto esservene traccia, o viceversa. So-no molti i fenomeni che possono contribuire all’errore, non ultimo il carattereasintotico delle soluzioni diffusive, poco adatte a valutare concentrazioni me-

15Nel caso del pennacchio gaussiano, si può cercare il massimo della 3.21, per z = y = 0, infunzione di σ2

z ; in corrispondenza di σ2z = h2

s/2, si ha il valore: Qmax = 2Mq/(πh2sUe), ove

l’ultimo simbolo indica la base dei logaritmi naturali.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

die a breve distanza dalla sorgente16; ma per esperienza le cause più frequentidi errore sono più banali. Esse si riducono essenzialmente a due:

– l’aver dimenticato che il pennacchio gaussiano presume una velocitàmedia orizzontale su terreno piatto, e un moto di agitazione turbolen-ta del tutto isotropo. La presenza di edifici o di colline, può generarestrutture coerenti che vanificano l’una o l’altra ipotesi; gli schizzi difig. 3.9 dovrebbero essere sufficienti a illustrare la problematica, sucui torneremo per qualche suggerimento pratico prima della fine delcorso.

– l’aver considerato come altezza del pennacchio quella geometricadella sorgente, ignorando le cause che tendono a innalzarlo.

Spendiamo qualche parola su quest’ultimo argomento. La 3.23 mostra imme-diatamente quale sia l’importanza dell’altezza hs a cui si stabilizza l’asse delpennacchio nei confronti della concentrazione al suolo dei vari inquinanti, laquale è regolata per legge17. Tuttavia l’altezza hs è spesso diversa da quellageometrica ho della sorgente. Vi sono due fattori che tendono a modificarla: laquantità di moto con cui il pennacchio è emesso verso l’alto, e la sua differen-za di temperatura rispetto all’ambiente esterno; se il gas emesso dal camino èpiù caldo dell’aria circostante, il pennacchio tende a salire. In genere si scrive:

hs = ho + Δhove Δh è l’innalzamento dovuto alla spinta di galleggiamento e alla quantitàdi moto iniziale, e si usa questa altezza modificata per il calcolo delle con-centrazioni al suolo. A dire la verità, che l’effetto delle condizioni di sbocco- alta velocità e alta temperatura del gas emesso - si possano ricondurre a un

16Se la distribuzione delle velocità fluttuanti non è gaussiana - e nello strato limite non lo è - vicinoalla sorgente neppure la concentrazione può essere distribuita nello spazio in questa forma. Piùlontano, tende a divenirlo.

17L’influenza di una sorgente sull’inquinamento di media e grande scala è legato essenzialmentealla portata di inquinante Mq, in altre parole a quelli che la legge definisce valori di emissione.Il benessere di coloro che vivono nelle vicinanze della sorgente dipende, come è ovvio, dalleconcentrazioni locali al suolo - da quelli che nella legge italiana vengono chiamati valori diimmissione, per qualche misterioso motivo. Questi ultimi dipendono fortemente dall’altezzaeffettiva del pennacchio.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

R

R

R

Fig. 3.9 – Tre casi ove nel punto di ricezione R non avrebbe dovuto trovarsi, secondo ilpennacchio gaussiano, alcun contaminante emesso dalla sorgente S. I primi due sonodel tutto tipici; il terzo ha richiesto il talento del progettista di un laboratorio per la lavo-razione di sostanze altamente tossiche; nel punto R si trovava la bocca di aspirazioneper l’impianto di ricircolazione dell’aria.

semplice innalzamento del pennacchio, è molto discutibile. Nella fase im-mediatamente successiva allo sbocco, il gas emesso non viene semplicementetrasportato dalla turbolenza atmosferica, ma determina per buona parte il suostesso campo di moto. Per effetto della velocità di uscita la massa effluenteforma un getto rivolto verso l’alto, la cui evoluzione dinamica è in gran parteindipendente dalle caratteristiche del moto atmosferico, almeno finché le velo-cità tipiche del fluido emesso risultano più alte di quelle dovute alla turbolenzadell’aria che lo circonda. Si ha quindi una prima fase in cui il movimento del-l’aria può essere ignorato; un getto che sbocca in un fluido altrimenti in quieteprovoca un campo di velocità caratterizzato da una portata globale di quan-

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

h0

Δh

Fig. 3.10 – Innalzamento del pennacchio per effetto della velocità verticale di sbocco.

tità di moto, attraverso un piano ortogonale al suo asse, che non varia conla distanza dalla sezione di sbocco. La portata di massa va invece crescendocon la distanza dallo sbocco, poiché la corrente che emerge cattura e coinvol-ge nel suo moto vorticoso un volume crescente di fluido esterno. L’insiemedi queste due condizioni implica una progressiva perdita di velocità del getto,che dopo una fase iniziale prima si inclina in direzione sottovento, quindi fi-nisce con l’essere trasportato passivamente dai moti dell’atmosfera (fig. 3.10).A questo punto, il fenomeno di innalzamento dell’asse del pennacchio, dovu-to alla componente verticale della quantità di moto presente allo sbocco, puòconsiderarsi concluso.Nel caso che il fluido emergente da una ciminiera sia più caldo dell’aria circo-stante, il pennacchio tende a salire anche per effetto della spinta di galleggia-mento - la nota spinta di Archimede18. Il flusso di quantità di moto verticaleattraverso una sezione retta del pennacchio non rimane in questo caso costan-te; tende a crescere finché la spinta dovuta alla minore densità non si esaurisceper effetto del rimescolamento con l’aria. Il campo di moto che ne deriva non èdi semplice configurazione, perché la massa calda non rimane compatta men-tre si inclina sottovento, ma subisce un processo di biforcazione, come quelloschizzato in fig. 3.11.

18Diamo per scontato che a una maggiore temperatura corrisponda una minore densità; la cosanella maggior parte dei casi risulta vera.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Fig. 3.11 – Biforcazione del pennacchio per effetto termico.

Le sezioni del pennacchio inclinato si comportano all’incirca come termichebidimensionali; per l’effetto accoppiato dei gradienti di densità e del campogravitazionale19si strutturano in due vortici controrotanti, che richiamano dal-l’esterno aria fresca nella regione di mezzo. L’aria transita dal basso versol’alto, mentre il gas caldo rimane relativamente confinato nelle strutture vorti-cose, che salgono più lentamente; la zona di più rapido mescolamento è quellasuperiore, ove le traiettorie delle particelle di aria mediamente divergono20. Sipuò calcolare all’ingrosso l’innalzamento del pennacchio basandosi su solu-zioni autosimili - quella per il getto, o per la termica, o per il cosiddetto puffo sbuffo, un grumo di fluido in moto turbolento dotato di quantità di moto ri-spetto al fluido che lo circonda. La difficoltà sta nel fatto che l’effetto termicoe quello della quantità di moto iniziale sono entrambi presenti, e che il gasemesso dal camino interagisce con il moto dell’atmosfera, passando da una

19Cfr. C. Cancelli, op. cit., 4.5.

20Le configurazioni con linee di corrente divergenti sono instabili.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

configurazione simmetrica attorno ad un asse verticale, vicina a quella di ungetto, e a una finale simile a un puff o a una termica bidimensionale, così chein realtà le condizioni di similitudine non sono globalmente rispettate. Occor-re separare l’evoluzione in fasi distinte, fissando a buon senso il momento delpassaggio dall’una all’altra21. Per farla breve, si ottiene per l’innalzamentoΔhqm, dovuto alla quantità di moto iniziale, una relazione del tipo:

Δhqm

do∼ 2.2√

i

wo

U3.24

mentre per l’innalzamento termico Δht si ha:

Δht

do∼ 0.6

wodog

i2U3

Δρρa

3.25

In entrambi i casi il calcolo di Δh viene svolto assumendo che il processodi innalzamento del pennacchio sia terminato, nel momento in cui la veloci-tà verticale w del gas emesso dal camino si è ridotta al di sotto della velocitàdelle fluttuazioni verticali spontanee dell’atmosfera. Indicato con iU l’ordinedi grandezza di queste, ove U rappresenta la velocità media del vento, la fi-ne della fase di innalzamento è caratterizzata dalla condizione: w ∼ iU . Èovvio che l’influenza sul fenomeno del moto di agitazione dell’atmosfera èrappresentata dal coefficiente i - un indice di intensità della turbolenza natura-le; quando w è sceso al di sotto di iU , le peregrinazioni del pennacchio sonosostanzialmente dovute alle componenti di grande scala del movimento del-l’aria. I rimanenti simboli che compaiono nelle 3.24 e 3.25 stanno a indicare ildiametro do del camino, la velocità wo del gas allo sbocco, l’accelerazione digravità g, la densità ρa dell’aria, la differenza di densità Δρ ≡ ρa − ρg, oveρg è la densità della miscela di gas al momento dello sbocco.

Nella formula 3.24 non compare il rapporto ρa/ρg , perché lo si è suppostovicino a 1. In buona parte dei casi, infatti, la massa molecolare media dellamiscela emergente dal camino non è molto diversa da quella dell’aria, mentrepressione e temperatura - la prima per ragioni di equilibrio, la seconda per

21Una discussione di questa problematica si trova in R. Scorer, Environmental Aerodynamics,John Willey & Sons, London, 1978, sec. 10.3.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

ipotesi - sono considerate uguali all’interno e all’esterno del getto22. Quandosi passa a considerare l’innalzamento termico, l’avere assunto che la differenzadel numero di massa molecolare sia irrilevante porta ad attribuire la differenzadi densità Δρ, tra gas e aria circostante, alla sola differenza di temperatura,così che è possibile adottare la sostituzione:

Δρρa

� −ΔTTa

Non è il caso di giurare sui coefficienti numerici che compaiono nel-le 3.24, 3.25; d’altra parte, l’inesattezza eventuale dei coefficienti è resa deltutto insignificante dalla indeterminazione dell’indice i. Questo è usualmentenello strato limite terrestre dell’ordine di 0.1. Si possono tuttavia avere con-dizioni di vento molto debole in giornate solatie, nelle quali la velocità tipicadelle correnti ascendenti è dello stesso ordine di quella del vento, quindi i ∼ 1;mentre in condizioni di grande stabilità, in genere di notte, vi sono correnti diaria che scorrono, a partire da una decina di metri al di sopra di un terreno piat-to, prive di fluttuazione verticale o quasi. Per un pennacchio di gas immessoin una corrente di tal fatta, occorrerebbe adottare un valore bassissimo di i,diciamo 10−3 tanto per ricordare un valore rintracciabile in letteratura. Ma èimmediato verificare che l’innalzamento termico risulterebbe, in questo casoestremo, esorbitante. Si possono infatti adottare come riscontro alcuni valoritipici di una grande centrale termica: Δρ/ρa ∼ 0.3, do ∼ 5 m, wo ∼ 3 m/s,e infine U compreso tra 3 e 10 m/s. Per i = 10−3, si ottiene dalla 3.25 uninnalzamento di origine termica variabile tra 5 · 106 m e 1.35 · 105 m, che èchiaramente eccessivo.In realtà, le formule 3.24 e 3.25 vanno bene nei casi intermedi, ove permettonodi trarre qualche considerazione di massima. Posto i = 0.1, ad es., la 3.24

mostra come nella maggior parte dei casi l’effetto della quantità di moto delgetto si esaurisca a distanza di poche decine di diametri dallo sbocco; ad es.,con i valori U ∼ 5 m/s, wo ∼ 15 m/s, si ottiene:

Δhqm ∼ 20do

22Vengono descritte condizioni tipiche dello sbocco da camino di prodotti di combustione; lavelocità è subsonica e questo assicura l’equilibrio di pressione. Diverso è il caso del getto pro-vocato dall’apertura di una valvola di sicurezza di un impianto in pressione, che verrà discussoin seguito.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Fig. 3.12 – Camino con insufficiente velocità di uscita del gas: il pennacchio è catturatodalla scia del camino.

Si noti che qualora wo risulti inferiore a U , viene a mancare la fase in cui ilgetto si sviluppa nell’aria come se il movimento di questa fosse insignificante,e la 3.24 non è applicabile. Le modifiche indotte sul campo di velocità dell’ariadall’ostacolo rappresentato dal camino divengono importanti, ed è probabileche il gas emesso venga coinvolto nella scia del camino stesso, che agisce sulvento da corpo tozzo; in fig. 3.12 è schizzato l’effetto bandiera che ne deriva.

Naturalmente, nella maggior parte dei casi sono presenti entrambi gli effetti,quello termico e quello di quantità di moto. Può essere interessante confron-tare l’entità dei due innalzamenti mediante le 3.24, 3.25; uguagliando i secondimembri delle equazioni si ottiene la condizione per cui i due innalzamentirisultano identici:

Δρρa

gdo

U2∼ 3.5i

32 3.26

da cui traspare ancora una volta l’importanza dell’indice di turbolenza i. Tut-tavia, fissato l’indice, la relazione mette in evidenza l’importanza non solodella variazione percentuale di densità Δρ/ρa � −ΔT/Ta, ma anche quelladi un dato geometrico del camino, il diametro do. Quando il primo membrodella 3.26, infatti, diviene maggiore del secondo, la cosa sta a indicare la pre-ponderanza dell’innalzamento di origine termica su quello di quantità di moto,e viceversa. Usando l’accetta, si può dire che negli impianti termici di grandepotenza l’innalzamento di origine termica Δht è usualmente predominante -si hanno alti d0 e ΔT/Ta - ed a maggior ragione lo è nelle ore notturne, quan-do si ha un basso valore di i. Mentre se si considera l’uscita di un gas da una

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

valvola, il cui diametro è sicuramente piccolo, allora il comportamento da get-to puro è presente per un buon tratto - si ha sempre in questa situazione unalto valore del rapporto wo/U - e non è certo che un’eventuale differenza didensità allo sbocco risulti significativa in seguito. La fase di getto compor-ta infatti un rapido mescolamento e l’omogeneizzazione con l’aria circostanteche tende a livellare le differenze; in tale condizione è difficile la formazionedi una struttura organizzata come quella di una termica bidimensionale. Neicasi intermedi si ha probabilmente quella sequenza di diverse configurazionie dinamiche, a cui abbiamo già accennato; nella fase iniziale il gas emergen-te si comporta come un getto classico, indifferente ai moti atmosferici; quindiil pennacchio si inclina e assume la configurazione di una termica o di unosbuffo bidimensionale.

In questa breve esposizione non abbiamo ancora considerato quale effetto ab-bia sull’ascesa del pennacchio la variazione con la quota delle condizioni del-l’atmosfera. Abbiamo assunto, a caratterizzare le condizioni esterne, solo unavelocità e un indice di turbolenza, nonché una densità dell’aria, come se lostato dell’atmosfera fosse omogeneo. Si tratta di una semplificazione accetta-bile quando la sorgente del pennacchio si trova all’interno di quella parte dellostrato limite che è chiamata di convezione , e che si estende in una giornata disole da qualche decina di metri fino al bordo esterno dello strato. È l’altezzadel bordo - e non la 3.25 - a definire, in condizioni normali, il valore massimodi innalzamento del pennacchio, che non può sfondarlo di molto per l’effettodi contrasto della forte stabilità atmosferica che vige al di sopra dello strato li-mite (cfr. fig. 3.13). Altro discorso varrebbe in condizioni eccezionali; il fungodi un’esplosione atomica, per citare una meraviglia del progresso tecnologico,sale molto più in alto.Se si hanno condizioni di forte stabilità vicino a terra - nel linguaggio degliiniziati si dice in tal caso che si ha inversione al suolo - il fatto limita l’in-nalzamento di origine termica del pennacchio. La cosa viene presa in contoin alcune formule, come quelle di Briggs23, in cui compare un parametro distabilità atmosferica, il cui ruolo nel calcolo dell’innalzamento è esattamentequello ricordato. L’argomento sarà ripreso al capitolo 7.

23G.A. Briggs, Plume rise, USAEC, Div. Tech. Info., 1969.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Sh

Fig. 3.13 – Innalzamento del pennacchio limitato dall’altezza h dello strato limiteterrestre.

Fig. 3.14 – Efflusso di gas più pesante dell’aria.

Non ci addentriamo nel confronto tra le diverse formule proposte per il cal-colo dell’innalzamento, che risultano tra loro sorprendentemente diverse, al-meno per quanto riguarda il calcolo di Δht. Noi abbiamo adottato una sortadi collage di soluzioni autosimili, proposto da Scorer, che porta alle 3.24, 3.25,e l’abbiamo riscritto in veste adimensionata perché ci è sembrato il modo piùrapido per mettere in evidenza l’importanza di alcune grandezze. In realtà, ilcalcolo dell’innalzamento è automaticamente svolto dai programmi di simula-zione numerica della dispersione, una volta che siano assegnate le condizionitermodinamiche e cinematiche del gas allo sbocco, quelle dell’atmosfera, el’altezza dello strato limite terrestre. Non fa una grande differenza quale sia

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

il modello di comportamento del pennacchio adottato, dal momento che tuttii codici di calcolo derivano la loro affidabilità dall’essere stati opportunamen-te tarati. L’innalzamento del pennacchio è solo un fattore di incertezza chesi aggiunge ad altri, già ricordati. È ovvio che tutti insieme rendono l’esat-tezza della previsione alquanto scarsa. Quello che ci si può attendere da unamisura di concentrazione di un contaminante emesso da una sorgente le cuicaratteristiche sono del tutto note - effettuata per qualche giorno in una stes-sa posizione, e mediata su tale periodo - è che il risultato sia il doppio o lametà di quello previsto. Naturalmente, si può ottenere anche di peggio, senzagrande sforzo.Infine, prima di chiudere questo paragrafo, ricordiamo che in alcune situazioniil pennacchio può rapidamente abbassarsi dopo lo sbocco dal camino, anchese il vento non ha componenti verticali, una volta che sia esaurita la velocitàiniziale; quando il gas è più pesante dell’aria, oppure quando lo divenga per larapida evaporazione di acqua polverizzata contenuta al momento dello sbocco(cfr. fig. 3.14). Proseguiremo la trattazione nel capitolo 6.

Modelli a scatola

Si chiama modello a scatola - box model - un modo di calcolare la concentra-zione di una sostanza immessa nell’ambiente, che è basato su un bilancio dimassa applicato in forma elementare a un volume finito di controllo. Si puòpensare che il modello a scatola derivi, quando non lo si assuma su base in-tuitiva, dall’equazione integrale di bilancio di una grandezza scalare di densitàqt, che qui trascriviamo24:∫

V

∂qt∂tdV =

∫VsqtdV −

∫A

Fqt · ndA 3.27

Se si applica il consueto operatore di media all’equazione 3.27, le variabili chevi compaiono si trasformano nei rispettivi valori medi:

qt → Q ≡< qt >

sqt → Sq ≡< sqt >

salvo i termini di flusso di origine convettiva, che nel processo di media danno

24Vedi app. A; il versore n rappresenta la normale esterna alla superficie.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

luogo a termini aggiuntivi, derivanti dalla correlazione tra le variabili fluttuantiu e q:

Fqt ≡ (Fqt)dif + (Fqt)con = (Fqt)dif + qtut →< (Fqt)dif >+QU+<qu>

Come in tutti i problemi di dispersione, i flussi di origine diffusiva risultanoirrilevanti rispetto a quelli convettivi e il termine < (Fqt)dif > può essereignorato. Inoltre, il primo membro dell’equazione mediata si annulla se ilprocesso di dispersione è stazionario in senso statistico, come si assume chesia in tutti i calcoli di questa natura. Si ha infatti:∫

V

∂Q

∂tdV = 0

dal momento che il valor medio Q non varia nel tempo. L’equazione integralemediata diviene pertanto:∫

VSqdV =

∫A(QU+ < qu >) · ndA 3.28

alla quale si può dare un significato di facile comprensione: la 3.28 stabilisceche la massa di contaminante immessa all’interno del volume di controllo V- l’integrale a primo membro - fluisce verso l’esterno attraverso la superficiedi questo.

Poiché in questo tipo di problemi l’entità delle emissioni è assegnata, si puòporre: ∫

VSqdV = Mq

ove Mq, in kg/s, rappresenta la portata complessiva delle sorgenti contenuteall’interno di V . Il calcolo della concentrazione Q deriva dall’esplicitazionedell’integrale di flusso. Si può scegliere il volume di controllo in modo taleda rendere irrilevanti i flussi dovuti alla componente fluttuante del campo dimoto; in genere, si immagina che il volume di controllo abbia la forma di unparallelepipedo, con uno spigolo orientato nella direzione della velocità mediadel vento, cfr. fig. 3.15 ove la direzione del vento è indicata con l’asse x. Se lesuperfici laterali sono sufficientemente lontane dalle sorgenti non si ha alcunflusso che le attraversi; la velocità media del vento non ha componente nor-male alle superfici, mentre la correlazione < qu > risulta nulla perché le due

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

x

z

y

Fig. 3.15 – Volume di controllo a forma di parallelepipedo. La direzione x è parallelaalla direzione media del vento.

fluttuazioni non sono correlate25. In effetti, se le sorgenti sono lontane dallesuperfici laterali, non esiste nell’intorno di queste nessun effetto che sosten-ga una direzione privilegiata del flusso26. Rimane da calcolare la portata chetransita attraverso le due superfici piane, ortogonali alla direzione del vento, lacui area indichiamo con Ax. In questo caso il flusso dovuto alla componentefluttuante del campo risulta trascurabile rispetto a quello dovuto alla velocitàmedia, semplicemente perché u è in modulo più piccola di U; si tratta dellastessa semplificazione adottata nelle soluzioni gaussiane, ove il trasporto della

25Non si può affermare che la fluttuazione q sia nulla, perché in linea di massima la corrente amonte sarà già inquinata.

26Adottando la consueta approssimazione:

< uq >= −Dt∇Q

si può affermare che il gradiente ∇Q è così piccolo, in corrispondenza delle superfici laterali,da poter essere considerato nullo.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

nube in direzione sottovento viene computato come se fosse dovuto alla solavelocità media. Nella sezione di monte si ha dunque:∫

Ax

(QU+ < qu >) · ndA =∫

Ax

QU · ndA = −QoUAx

avendo supposto l’esistenza di una concentrazione di fondo Qo uniforme, euna velocità media del vento poco variabile da punto a punto.

Per effetto delle immissioni di contaminante che avvengono all’interno delvolume di controllo è difficile che la concentrazione nella sezione di vallerisulti costante; tuttavia, se così fosse, si potrebbe scrivere anche nella sezionedi valle: ∫

Ax

QU · ndA = QAUAx

e l’equazione di bilancio 3.28 diverrebbe:

−QoUAx +QAUAx = Mq

Quest’ultima può essere risolta in favore di QA; si ottiene:

QA = Qo +Mq

AxU3.29

La 3.29, o qualcosa di simile, viene usata per stimare la concentrazione me-dia Q - tramite il calcolo di QA - in punti a valle della zona di immissionedi una sostanza, quando la distribuzione delle sorgenti sia di forma comples-sa; si conglobano allora le sorgenti all’interno di un volume di controllo, dimodo che l’unico dato significativo risulti la portata totale Mq, e si calcola laconcentrazione a valle mediante la 3.29.

A parte la presenza del valore di fondoQo fino ad ora ignorato, ma che potreb-be essere aggiunto senza alcuna difficoltà a qualsiasi formula di dispersione,la 3.29 mostra lineamenti comuni a tutte le altre: l’incremento della concen-trazione QA, rispetto al valore di fondo Qo, risulta proporzionale alla portataMq delle sorgenti, e inversamente proporzionale sia alla velocità media U delvento, sia all’area della sezione di passaggio. In realtà, la 3.29 non è poi moltodiversa dal pennacchio gaussiano (cfr. 3.18), salvo che per un fatto di con-venzione, che tuttavia ha delle conseguenze. Nell’applicare l’equazione delpennacchio, non risulta che a qualcuno sia mai venuto in mente di conside-rare costanti, e indipendenti dalla coordinata x, le dimensioni lineari σy , σz ,che caratterizzano la sezione retta della nube; l’idea, giustissima, che la nubesi va allargando sottovento sembra ben radicata. All’apparenza, nell’applica-zione dei modelli a scatola, le cose non sono altrettanto chiare; negli studi di

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

impatto ambientale si incontrano calcoli in cui l’area Ax risulta scelta, non inbase alla distanza sottovento del punto di ricezione e alle caratteristiche delmoto atmosferico, ma in base alle considerazioni più stravaganti, con il risul-tato di ottenere valori di (QA −Qo) di fantasia. A costo di dire una banalità,è bene allora ricordare che QA dipende dalla scelta di Ax, e che Ax dipendeda x - i pedici sono stati aggiunti volutamente. Per intendersi, se si assumonodimensioni della sezione della scatola tre volte più grandi di quelle della sezio-ne della nube, si ottiene una stima della concentrazione che è di un ordine digrandezza, dieci volte, più piccola di quella reale, et cet., cfr. 3.29. In conclu-sione QA può essere considerato una stima accettabile di Q, solo se l’area Ax

è vicina a quella della sezione della nube, in configurazione opportunamentemediata.Rimane naturalmente la difficoltà di valutare la variazione sottovento di Ax,che presenta il consueto grado di incertezza. Un calcolo grossolano può esseresvolto secondo questo procedimento: indicate con l e h la lunghezza e l’altez-za della sezione della nube - si presuppone che la nube, essendo inscatolata,presenti una sezione rettangolare, così da avere S = lh - si può calcolare la lo-ro variazione sottovento mediante un’approssimazione lineare, accettabile perdistanze relativamente brevi27:

l = lo + σvt = lo +σvx

U3.30

h = ho + σwt = ho +σwx

U3.31

ove lo e ho rappresentano le dimensioni iniziali della sezione retta della nube,t il tempo di volo dal momento dell’immissione, e σv e σw stanno a indicarele deviazioni standard del campo di velocità fluttuante, rispettivamente nelladirezione orizzontale y e nella direzione verticale z.Le 3.30 e 3.31 descrivono una nube la cui sezione si allarga linearmente, men-tre si sposta sottovento con velocità U . Le dimensioni ho e lo possono esserestimate solo conoscendo la disposizione delle sorgenti. Quando il processodi dispersione si svolge nella immediata vicinanza del suolo, la fluttuazionedi velocità verticale σw è sicuramente più piccola di quella orizzontale σv,perché maggiormente limitata dalla presenza del terreno. Si può assumere

27Quando il ricettore è lontano, le sorgenti possono essere considerate come un’unica sorgentepuntiforme e non rimane motivo per adottare un box model.

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σw/σv = 1/2 per simulare una più rapida dispersione delle traiettorie in sensoorizzontale28, e quindi scrivere le 3.30, 3.31 in funzione di un unico parametroche caratterizza il campo di moto, ad es. del rapporto σw/U . Il che non riducedi molto la complessità del problema, perché il parametro in questione risul-ta estremamente vario; si può dare soltanto qualche indicazione di massima.Scelto come valore di riferimento della velocità media del vento U la veloci-tà a 10 metri di altezza sul suolo, il più comune dato di σw/U risulta essere∼ 0.1, in condizioni vicine alla stabilità neutra. In una giornata poco vento-sa ma insolata - nelle condizioni che vengono definite fortemente instabili -lo stesso rapporto può raggiungere valori vicini all’unità. Di notte, in condi-zioni fortemente stabili, o nelle brezze catabatiche, può essere così piccolo darisultare irrivelante; in tal caso l’allargamento della nube può essere ignorato,almeno finché si valutano le concentrazioni a breve distanza dalla sorgente.

3.3. TRASPORTO TURBOLENTO DI QUANTITÀ DI MOTO

Viscosità turbolenta

Il procedimento adottato nel paragrafo precedente può essere applicato senzamolta difficoltà al bilancio della densità di quantità di moto ρut. Ovviamente,in tal caso non può considerarsi assegnata la statistica del campo di velocità,che è l’oggetto dell’indagine. Il modo di operare non presenta tuttavia diffe-renze, se non formali, rispetto a quanto abbiamo già esposto a proposito delloscalare qt. Sostituito qt con ρut, l’equazione di bilancio diviene:

∂t[ρ(ui)t] = − ∂

∂xj[ρ(ui)t(uj)t + (fij)t] 3.32

che è quella già nota29, salvo per il pedice t che è stato aggiunto al fine diricordare che il campo di moto è turbolento. Nella dinamica delle correnti tur-bolente la variazione di densità ha scarsa importanza; si può quindi trascurarla

28Cfr. F. Pasquill, The dispersion of material in atmospheric boundary layer - The basis forgeneralization, Lectures on air pollution and environmental impact analyses, AmericanMeteorological Society, Boston, 1975.

29C. Cancelli, op. cit. 1.3.

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e ritenere nulla, come conseguenza, la divergenza del campo di velocità:∂uj

∂xj= 0

Con questa semplificazione il flusso di quantità di moto dovuto al motomolecolare o browniano diviene:

(fij)t = pδij − μ

(∂

∂xj(ui)t +

∂xi(uj)t

)ove p è la pressione di equilibrio termodinamico, come di consueto.Applicando l’operatore < • > alla 3.32, si ottiene:

∂t(ρUi) = − ∂

∂xj(ρUiUj + ρ < uiuj > +Fij) 3.33

che è l’equazione che descrive l’evolvere della media lineare U, primo mo-mento della distribuzione di velocità negli N domini. Il flusso medio Fij chevi compare è dato dalla relazione:

Fij ≡< (fij)t >= Pδij − μ

(∂Ui

∂xj+∂Uj

∂xi

)in cui P rappresenta il valore medio < p > della pressione. È sufficiente unosguardo alla 3.33 per richiamare quanto è già stato affermato a proposito delladensità qt di una grandezza qualsiasi. L’evoluzione del valor medio linearedella quantità di moto è regolata da un’equazione che è simile a quella chedescrive l’evoluzione istantanea della stessa variabile in uno qualsiasi degli Ndomini. La sola novità deriva dalla comparsa della correlazione ρ < uiuj >

che rappresenta un flusso di quantità di moto generato dalla parte fluttuantedel campo, la quale influenza il cambiamento nel tempo e la distribuzionespaziale del valore medio lineare ρU. Non staremo a ripetere quale sia laragione matematica, o il significato fisico, della comparsa del tensore doppio

ρ < uiuj >

il quale, con il segno cambiato, prende il nome di tensore degli sforzi diReynolds.

Come nel caso generale, la presenza delle sei componenti del tensoreρ < uiuj > rende il problema indeterminato; né può essere perseguita la stra-tegia di scrivere nuove equazioni per le nuove incognite, perché il numerodelle incognite cresce più rapidamente di quello delle equazioni. Per uscire daquesta situazione di stallo, occorre esprimere il tensore di Reynolds in funzio-ne delle medie lineari già presenti nell’equazione 3.33. Il metodo più semplice

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è quello proposto da Boussinesq, il quale introdusse più di un secolo fa l’ideadi un coefficiente di viscosità turbolenta. Seguendo Boussinesq si può adottarela chiusura:

ρ < uiuj >= −ρνt

(∂Ui

∂xj+∂Uj

∂xi

)3.34

in cui νt assume il significato - e ha le dimensioni fisiche - di una viscosi-tà cinematica legata alle caratteristiche del campo fluttuante. Le viene datousualmente il nome di viscosità cinematica turbolenta o apparente; al prodotto

μt ≡ ρνt

si riserva il nome di viscosità dinamica turbolenta. Adottando la 3.34, siottiene per la 3.33 una forma che può pensarsi derivata dall’equazione dipartenza 3.32 tramite le sostituzioni:

ut → U

p→ P

ν → ν + νt

La 3.34 presuppone con tutta evidenza che il moto di fluttuazione condividasia il carattere locale, sia l’isotropia del moto termico delle molecole; l’e-spressione dei flussi convettivi ρ < uiuj > è infatti identica a quella dei flussimolecolari.Abbiamo più volte ricordato che tale stretta parentela non ha reale giustifica-zione; tra l’altro, la 3.34 implica che il valore medio della densità di energiacinetica turbolenta ρ < ukuk/2 > sia nullo, il che è palesemente assurdo30.Questa seconda difficoltà può essere rimediata modificando la 3.34 e aggiun-gendo come nuova variabile l’energia cinetica per unità di massa, o varianzaσ2

u/2 ≡< ukuk/2 >. La cosa richiede che si aggiunga al modello matema-tico una nuova equazione, la quale a sua volta necessita di nuove e arbitrariechiusure.Possiamo lasciar cadere l’argomento, che in ogni caso non dà risposta alleobiezioni fondamentali che si possono muovere alla 3.34. Per i fini che ci pro-poniamo in questo paragrafo - una descrizione qualitativa dei campi di velocitàmedia - la formulazione di Boussinesq è sufficiente. Essa pone in luce il fatto

30Per dimostrarlo è sufficiente contrarre la 3.34 e ricordare che il campo di velocità media èsolenoidale: i. e., ∂Uk/∂xk = 0.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

che le fluttuazioni di velocità tendono a rendere uniforme il campo della velo-cità media, poiché rimescolano le particelle di fluido in modo simile a quantoviene fatto, su scala enormemente più piccola e con intensità di gran lunga mi-nore, dal moto termico delle molecole. L’effetto può essere assimilato a quellodi una viscosità apparente νt, purché si ricordi che questa grandezza dipendedalla intensità e dalla struttura della componente fluttuante del campo di ve-locità, e che pertanto può variare in modo estremamente marcato da punto apunto. È questa la proprietà che rende le distribuzioni di velocità media U deimoti turbolenti statisticamente stazionari diverse da quelle dei moti laminari,che si hanno nella stessa sede. Si consideri a titolo di esempio quanto accadein un condotto a sezione circolare. Se la corrente che vi si svolge è laminare,la distribuzione di velocità è determinata dall’equilibrio tra forze di pressionee forze viscose. In linea teorica anche in questo caso occorrerebbe considerarela viscosità molecolare μ come una grandezza variabile; ma essa dipende uni-camente dalla temperatura assoluta del fluido, e sarebbe facile dimostrare chenella maggior parte dei casi varia assai poco. La si assume pertanto costante,e in questo modo si ottiene per la distribuzione di velocità la nota soluzione aforma di paraboloide dovuta a Poiseuille (cfr. fig. 3.16(a)).Passando al moto turbolento stazionario, è evidente che se fosse

μ+ μt ∼ cost

si avrebbero per U soluzioni ancora paraboliche, anche se riscalate per effettodella viscosità apparente31. In realtà non è possibile adottare tale semplifica-zione, poiché la viscosità turbolenta μt varia molto rapidamente nel dominio:è nulla nelle immediate vicinanze della parete, ove oscillazioni di pressione eforze viscose molecolari si fronteggiano direttamente, si sviluppa con granderapidità in uno strato di transizione, e finisce con l’assumere un valore moltoelevato, di gran lunga superiore a quello della viscosità molecolare, nella re-gione centrale del condotto. Il campo di velocità media che ne deriva ha laforma di quello di fig. 3.16(b), piatto nel centro ed estremamente ripido vicinoalla parete, ove cade a zero in breve tratto.Volendo proseguire nell’analogia tra moto medio turbolento e moto laminare,si potrebbe interpretare il profilo di velocità di fig. 3.16(b) con quello laminare

31A parità di salto di pressione, nella soluzione di Poiseuille le velocità risultano inversamenteproporzionali alla viscosità.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

(a)

(b)

Fig. 3.16 – (a) Distribuzione di velocità di una corrente laminare all’interno di un condot-to con sezione circolare - (b) distribuzione di velocità media di una corrente turbolentain un condotto.

di un fluido non omogeneo, estremamente più viscoso nella parte centrale chenon nelle regioni di parete, così che la prima scorra quasi in blocco su unanulus fluido di piccolo spessore32.Interpretazioni di simile tenore possono aiutare a fissare nella mente alcuneconseguenze della fluttuazione turbolenta anche in una corrente esterna. Ri-cordiamo, ad es., che l’esplodere della fluttuazione turbolenta nello strato li-mite che avvolge la regione anteriore di un corpo tozzo modifica la formadelle linee di corrente della velocità media U che passano da quelle schizza-te in fig. 3.17(a) a quelle di fig. 3.17(b). Si può attribuire questa modifica delcampo ad uno straordinario incremento di viscosità apparente nel fluido chesfiora l’ostacolo, così che esso distaccandosi verso valle in questo suo nuovostato eserciti una violenta azione di trascinamento sul fluido stagnante dellascia. In realtà, in questa situazione la pretesa di correttezza matematica del-la 3.34 è particolarmente infondata; eppure, in termini puramente qualitativi,

32È bene tuttavia non spingersi troppo lontano su questa strada. Il campo di velocità U(x) nonesiste fisicamente, è il risultato di una seriazione statistica tra N campi; μt non è una misteriosaproprietà fisica del fluido; l’uniformità di U nella zona centrale è prodotta da strutture vorticosedi grande scala, le quali, negli N domini, spostano col loro moto rotatorio particelle di fluido daun punto all’altro della sezione, senza modificare in modo rilevante la componente assiale dellaloro quantità di moto.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

(a)

(b)

Fig. 3.17 – Campo di moto turbolento attorno alla sezione retta di un cilindro di grandeallungamento. Linee di corrente della velocità media U nei due casi: (a) strato limitelaminare; (b) strato limite turbolento.

la rappresentazione racchiude due aspetti entrambi corretti:

– l’aumento di sforzo di attrito sulla superficie anteriore del corpo, unelemento insignificante del quadro ma reale;

– il maggior recupero di pressione media nella parte posteriore, chespiega la caduta del coefficiente di resistenza globale del corpo.

Energia cinetica turbolenta

Diamo un cenno all’equazione di bilancio dell’energia della fluttuazione. Sot-traendo dalla 3.32 la 3.33, si ottiene l’equazione della fluttuazione u; quindi,per la strada già seguita nel paragrafo 3.1, si giunge a un bilancio della varian-za σ2

u, o dell’energia cinetica media turbolenta per unità di massa. Torneremosu questo argomento dopo avere modificato l’equazione di quantità di mo-to così che essa possa rappresentare, sia pure in forma approssimata, il motoascendente delle correnti termiche, le quali sono essenziali per descrivere la

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

dinamica dello strato limite terrestre. Le equazioni della fluttuazione di velo-cità e dell’energia cinetica che derivano dalla 3.32, così come è ora, si possonotuttavia ottenere semplicemente adattando con buon senso le equazioni gene-riche 3.3 e3.4 del paragrafo 3.1 alla sostituzione: qt → ρut. Per l’energiacinetica, ricordando che il campo di u è solenoidale, con qualche passaggio siha:∂

∂t(ρσ2

u

2) =

− ∂

∂xj

(ρUj

σ2u

2+ρ

2< ujuiui > + < puj > −μ < ui(

∂ui

∂xj+∂uj

∂xi) >)

− ρ < uiuj >∂Ui

∂xj−Df

3.35

Nella 3.35 σ2u indica il valore medio del modulo, elevato al quadrato, della

velocità di fluttuazione u:

σ2u =< u2

1 + u22 + u2

3 >

e pertanto ρσ2u/2 sta per la densità di energia cinetica media del campo flut-

tuante, che viene usualmente chiamata energia cinetica turbolenta. A secondomembro dell’equazione figurano i fattori che inducono un cambiamento localedella densità di energia, raggruppati in due insiemi separati; vi sono i termi-ni di flusso che compaiono sotto l’operatore di divergenza e due termini disorgente. I primi trasferiscono l’energia da una regione all’altra del dominio,senza modificarne la cifra globale; integrati su tutto il volume di un dominioisolato, danno un risultato nullo. I vari termini di flusso rappresentano aspet-ti di un processo di trasporto, in ultima analisi dovuto al moto delle molecole,ma che si presentano distinti come conseguenza delle distinzioni da noi intro-dotte tra valor medio e fluttuazione di velocità, tra moto macroscopico e mototermico, tra condizione di equilibrio e condizione di disequilibrio. Ai quattrotermini di flusso si può dare, nell’ordine, il significato:

– di trasporto di energia cinetica turbolenta da parte della velocitàmedia U;

– di trasporto di energia cinetica turbolenta da parte della velocità difluttuazione u;

– di potenza meccanica trasmessa dallo sforzo di pressione, per effettodel moto fluttuante;

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

– di potenza meccanica trasmessa dagli sforzi viscosi, sempre pereffetto del moto fluttuante.

Per quanto riguarda i due termini di sorgente che si trovano al di fuori dell’o-peratore di divergenza, uno è sempre positivo e l’altro è sempre negativo; nelsecondo di essi Df sta infatti per la funzione di dissipazione costruita con lasola componente fluttuante u della velocità, e come qualsiasi funzione di que-sto tipo è sempre maggiore di zero33; il contributo di −Df all’energia cineticadella fluttuazione è sempre negativo.

Il termine

−ρ < uiuj >∂Ui

∂xj

è invece sempre positivo, per un motivo analogo a quello illustrato nelparagrafo precedente al fine di stabilire il segno del termine:

− < ujq >∂Q

∂xj

Se si vuole dare evidenza formale all’argomento, si può porre seguendoBoussinesq:

−ρ < uiuj >= μt

(∂Ui

∂xj+∂Uj

∂xi

)così da avere:

−ρ < uiuj >∂Ui

∂xj= −1

2ρ < uiuj >

(∂Ui

∂xj+∂Uj

∂xi

)=μt

2

(∂Ui

∂xj+∂Uj

∂xi

)2

> 0

La chiusura suggerita da Boussinesq non è corretta, ma non è neppure cosìlontana dal vero da vanificare questa conclusione qualitativa.

33Cfr. C. Cancelli, op. cit., 1.6:

Df =< (pij)disDji >=< μ2

“∂ui∂xj

+∂uj

∂xi

” “∂uj

∂xi+ ∂ui

∂xj

”>=

< μ2

“∂ui∂xj

+∂uj

∂xi

”2

>

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Si noti che i due termini di sorgente sono strutturalmente simili, anche se disegno opposto. Di fatto, stanno entrambi ad indicare un passaggio di energiatra aspetti del moto di scala diversa; la funzione di dissipazione dà conto di unascomparsa di energia che precipita, dalla scala di u, nel pozzo dell’agitazionetermica; la presenza della sorgente

−ρ < uiuj >∂Ui

∂xj

esprime invece il fatto che il moto di fluttuazione trova alimento nelle disuni-formità di più grande scala, che caratterizzano il campo medio U. La fluttua-zione u, di scala intermedia, riceve energia cinetica da scale più grandi e lariversa nel microscopico, con una dinamica sostanzialmente analoga.

3.4. UTILITÀ DELLA PREVISIONE DEI VALORI MEDI DI

CONCENTRAZIONE

Dati sperimentali e considerazioni sulla varianza

Alla lettera, i modelli per il calcolo della concentrazione di uno scalarepermettono di assegnare un valore alla concentrazione media di insiemeQ ≡< qt >, che grazie alla consueta assunzione di ergodicità può essereritenuta coincidente con il valore medio nel tempo:

Q = limT→∞

[1T

∫ T

0qt(t

′)dt

′]

3.36

Sotto questo punto di vista non vi è alcuna differenza tra i modelli euleriani equelli lagrangiani; si tratta di una proprietà che deriva dal carattere statisticodell’analisi, il quale precede qualsiasi considerazione sul metodo di calcolo.Dunque, i calcoli permettono di prevedere il valor medioQ di qt in un periodoteoricamente infinito. È inevitabile che uno si chieda quale sia l’utilità pra-tica della conoscenza di tale dato. Come abbiamo già spiegato nel delinearela differenza che intercorre tra dispersione turbolenta e accelerazione dei pro-cessi diffusivi (cfr. 1.2), la risposta non può essere univoca; dipende dal fineverso cui si tende nel calcolare Q, e dalle caratteristiche obiettive del proces-so che si vuole studiare. È difficile che vengano rilasciate da un impianto incondizioni usuali di esercizio sostanze in grado di provocare crisi acute; gliinquinanti emessi sono tali, per natura chimica e concentrazione, da produrreeffetti nocivi apprezzabili solo dopo un certo lasso di tempo. Nel prevederne

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

le conseguenze sugli organismi viventi, il valore di Q calcolato con i modellidi dispersione è affidabile; va inteso come una buona approssimazione di unvalor medio di lungo periodo.D’altra parte il normale esercizio di una realtà industriale è spesso interrottoda eventi anomali - provocati da cattivo funzionamento, apertura non previstadi valvole di sfiato, o semplicemente rottura meccanica degli impianti - du-rante i quali vengono immesse nell’ambiente circostante prodotti o fortementetossici o infiammabili. In tali circostanze, lo abbiamo già detto, l’utilità di pre-vedere un valor medio di lungo periodo della concentrazione è discutibile. Visono sostanze gassose che a concentrazione elevata possono provocare mortipressoché istantaneee, per il loro carattere tossico, e nubi di gas che possonodeflagrare in qualche frazione di secondo; i danni che ne seguono e la perditadi vite umane non possono essere calcolati come risultato medio di N fughe,alcune delle quali deflagrano e altre no. Sarebbe auspicabile conoscere l’evo-luzione della nube singola, al fine di stabilire, ad es. fino a quale distanzadal punto di fuga vi sarà una concentrazione ancora così alta da produrre ef-fetti tossici, o da deflagrare in presenza di una causa accidentale di innesco.Per eseguire questo compito sarebbe tuttavia necessario calcolare le concen-trazioni di breve o brevissimo periodo, diciamo istantanee per semplificare ladiscussione34.

34Tra le tante cose non perfettamente note di questo argomento vi è anche quale sia il periodo sucui mediare la concentrazione, al fine di ottenere un valore fortemente indicativo. Uno studio-so del settore afferma che in molti incidenti caratterizzati da fuga di gas pericolosi il valore piùsignificativo per l’analisi del rischio è quello mediato per ∼ 1 s (P.C. Chatwin - The use of stati-stics in describing and predicting the effects of dispersing gas clouds, in Dense gas dispersion,ed. Britter and Griffiths, Elsevier, N.Y., 1982). Sarà probabilmente vero; rimane tuttavia cheil tema è complesso per la molteplicità delle situazioni e che darne un quadro unitario è diffi-cile. Tra l’altro, neppure l’ipotesi che la deflagrazione e il volume di gas coinvolto dipendanosolo dalla concentrazione della nube, sembrerebbe così granitica da escludere il dubbio. Giu-dicando ad intuito, si direbbe che in certe configurazioni di nube sfilacciata dal vento sussistaanche un problema di sostenibilità o meno della propagazione di fiamma, e non solo quello diun innesco accidentale in un punto ove la concentrazione si trovi all’interno dei limiti di infiam-mabilità. Come minimo, il volume di gas coinvolto nell’esplosione dovrebbe essere influenzatoda questo aspetto.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

In realtà non è possibile effettuare un calcolo di questo tipo per causa del carat-tere aleatorio delle velocità dell’atmosfera. In genere, nel calcolare l’ampiezzadella zona di pericolo attorno a una fuga, ci si basa sulla conoscenza di Q e siespande prudenzialmente il risultato ottenuto per mezzo di un coefficiente disicurezza di origine empirica. Il guaio è che il vincolo tra valore istantaneo evalore medio di concentrazione è labile, e quindi il coefficiente risulta nei fattispesso inadeguato.

Un’idea non meramente qualitativa sulle difficoltà della previsione può aversistudiando come vari il rapporto tra deviazione standard σq e valore medio Qdella concentrazione, nelle diverse situazioni fluidodinamiche. È facilmentecomprensibile che la sostituzione:

Q→ qt

è tanto più accettabile quanto è minore il rapporto menzionato. Questo ar-gomento è stato trattato più frequentemente negli ultimi decenni, nell’ambitodell’analisi del rischio degli impianti industriali. I risultati tuttavia non sonoconfortanti; in laboratorio sono stati ottenuti valori del rapporto σq/Q variabi-li tra ∼ 0.3 e ∼ 5 a seconda del tipo di esperimento e del punto della nube oveè stata eseguita la misura35. È probabile che l’estensione dell’indagine a casistudiati all’aperto renderebbe ancora più incerta la situazione.

In effetti la dinamica della varianza è controllata da processi antagonisti, diproduzione e di annullamento, che sono affidati ad aspetti diversi del cam-po di moto. L’argomento è già stato analizzato nel paragrafo sul trasporto diuno scalare, a cui si rimanda. Vogliamo solo mettere in evidenza, per quantoriguarda la previsione delle conseguenze di eventi accidentali o la stima del ri-schio, che in questo caso si aggiunge alla variabilità delle condizioni atmosfe-riche, anche l’estrema variabilità dei modi in cui si realizza la fuga. Si possonoavere situazioni così diverse che il coefficiente di sicurezza prima menziona-to non può, per motivi pratici, comprenderle tutte. In altre parole, se l’area diinterdizione attorno a una potenziale sorgente di fuga dovesse essere così lar-ga da escludere che al suo esterno continui a sussistere il pericolo di fenomenitossici o di eventi esplosivi, in molte situazioni l’estensione del territorio non

35Cfr. S.R. Hanna, P.J. Drivas, Vapor Cloud Dispersion Models, Center for Chemical ProcessSafety, American Institute of Chemical Engineers, sec. 5, N. Y. 1987.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

sarebbe sufficiente36. Sarebbe bene per onestà intellettuale modificare l’im-postazione della normativa, introducendo il concetto di rischio accettabile alposto della categoria della certezza37.

Casi particolari

Nell’ottica di rendere evidenti alcuni aspetti importanti dell’argomento puòessere utile descrivere un esempio di fuga relativamente semplice. Si immaginiche l’efflusso di gas avvenga attraverso un’apertura di sezione circolare, convelocità iniziale molto più alta di quelle spontanee dell’atmosfera. È quantoavviene frequentemente all’apertura di una valvola di sfiato di un impianto,provocata da un rialzo di pressione all’interno; la velocità iniziale del getto èusualmente sonica, e quindi di un paio di ordini di grandezza più alta di quelladell’aria. Allora il campo di velocità è determinato in modo preponderantedalle condizioni dinamiche di sbocco - la portata di quantità di moto attraversouna sezione trasversale del getto è una costante del problema - e il processo dimescolamento con l’aria circostante è influenzato solo in modo marginale dalmoto preesistente di questa. È inevitabile che tutte le velocità del getto vadanodecrescendo con la distanza dallo sbocco, nel mentre cresce la massa coinvoltanel moto per effetto del progressivo trascinamento di aria; ma per un buontratto rimarranno più alte di quelle spontanee dei moti atmosferici. Il campo divelocità e il processo di diluizione del gas possono essere descritti con buonaapprossimazione come se fossero generati da un getto che emerge in un mezzoin quiete; la circostanza permette di eliminare, come fonte di incertezza, lavariabilità delle condizioni meteorologiche. Se si suppone inoltre che il gas

36Il problema è particolarmente grave nel nostro paese dove, tra caos urbanistico da una partee disprezzo dei diritti altrui dall’altra, si è prodotto un intreccio inestricabile di zone abitate eimpianti a rischio.

37È probabile che un concetto di questo tipo provocherebbe un vivace conflitto di opinione tra chivaluta il grado di rischio e coloro che sono destinati a conviverci. D’altra parte, il modo con cuiquesto tema viene ora dibattuto presenta un rituale e un linguaggio da commedia di Ionesco; aregolare scadenza si hanno incidenti, che vengono fulmineamente definiti come assolutamentenon prevedibili da parte di quelli stessi che fino a poco prima li avevano categoricamente esclusi.Da lungo tempo, non svolazzando più neppure l’ombra di un nero cherubino, le contraddizionisemantiche hanno cessato di costare l’inferno. Ancora La Commedia, Inferno, canto xxvii.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

emergente abbia un numero di massa molecolare simile a quello dell’aria, eche pressione e temperatura al momento dello sbocco non siano molto diverseda quelle esterne, si entra nella teoria dei getti assialsimmetrici, perfettamenteadattati alle condizioni termodinamiche esterne, la quale presenta lineamentiparticolarmente semplici. Il campo di moto ha una sola dimensione linearee una sola velocità imposte, il diametro Do e la velocità Uo dello sbocco.Adottando queste grandezze come unità di misura, la configurazione dei gettie la distribuzione di velocità posssono essere poste in una forma invariante.Nelle variabili adimensionate

x′ = x/Do

u′ = u/Uo

l′ = l/Do

ove con l si indicata una qualunque dimensione lineare del getto - ad es. la sualarghezza comunque definita - si ha la soluzione unica:

u′= f(x

′) 3.37

l′ = g(x′) 3.38

L’unicità della rappresentazione in variabili adimensionate, implica che in va-riabili fisiche si possa passare dalla configurazione di un getto a quella di un al-tro38, semplicemente riscalando velocità e distanze; tutti i getti risultano similinella geometria e nella cinematica (fig. 3.18).Il fatto che la similitudine non dipenda neppure dal numero di Reynolds me-rita qualche commento. La mancata comparsa di questo numero nelle 3.37

e 3.38 rivela l’irrilevanza della viscosità tra le grandezze che caratterizzanoil fenomeno; basterebbe aggiungerla al gruppo delle grandezze significative,infatti, per trasformare le equazioni citate in relazioni del tipo:

u′ = f(x′, Re)

in base a pure considerazioni di carattere dimensionale. Poiché la corrente delgetto è turbolenta, l’ignorare la viscosità comporta che si rinunci a descrive-re le scale interne viscose, e che la dinamica di queste non influenzi le scalepiù grandi. La prima condizione rivela un criterio soggettivo; è indiscutibile

38Cfr. C. Cancelli, op. cit., 5.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

Fig. 3.18 – Getti simili di diversa scala.

che i getti risultano tutti simili finché non si affina la descrizione a tal puntoda poterli distinguere in base alla diversa dimensione della scala dissipativa(cfr. 1.2, fig. 1.8, ove sono disegnati due getti con diversa scala interna). Nelcaso di correnti libere - non confinate da pareti - la rinuncia non è grave, poi-ché in ogni punto del dominio sono le strutture vorticose di grande scala adeterminare gli aspetti macrospici del campo39. La seconda è un’ipotesi cherichiede l’esistenza di un ampio divario tra le scale esterne e quelle internedella componente fluttuante. La condizione si invera sicuramente nel limiteRe → ∞; le relazioni 3.37 e 3.38, che rappresentano la soluzione asintoti-ca, vengono pertanto adottate come approssimazione accettabile delle correntireali, caratterizzate da valori finiti, ma sufficientemente grandi, di Re. Nellesituazioni che abbiamo in mente, il numero di Reynolds è normalmente alto el’ipotesi è del tutto realistica. Non solo quindi la distribuzione dei valori medidi velocità, ma anche la gran parte delle strutture vorticose rispetta la simili-tudine; le coordinate dei punti omologhi variano proporzionalmente a Do e le

39Non si può trascurare la viscosità nella regione di parete di una corrente confinata.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

velocità corrispondenti in modo proporzionale a Uo, sia per quanto riguarda lacomponente media, sia per quella fluttuante.Se tra i fini dell’analisi vi è quello di determinare il processo di mescolamen-to di un eventuale sostanza contenuta nel getto40, occorre aggiungere tra i datisignificativi la concentrazione mediaQo della sostanza al momento dello sboc-co. Si può adottareQo come unità di misura delle concentrazioni, e definire lavariabile

Q′ = Q/Qo

la cui distribuzione nello spazio risulta anch’essa invariante:

Q′ = F (x′) 3.39

Nella 3.39 sono ancora una volta assenti i coefficienti di diffusione, poiché ilprocesso è dominato dal trasporto convettivo. Quindi la distribuzione di Qsoddisfa condizioni di similitudine; al variare di Qo tutti i valori di concen-trazione nei punti omologhi variano proporzionalmente. Dando uno sguardoretrospettivo alla 3.12, è facile constatare che le sue soluzioni stazionarie in do-mini geometricamente simili possono essere ricondotte alla forma unificante3.39, solo se la correlazione < ujq > dipende solo da Uo e Qo e scala pro-porzionalmente al prodotto delle due grandezze. Ma che le velocità fluttuantirisultino proporzionali a Uo lo abbiamo già detto; e che la fluttuazione q siaproporzionale al valore di concentrazione imposto allo sbocco, deriva dallalinearità in qt dell’equazione di convezione e diffusione non mediata:

∂qt∂t

= − ∂

∂xj[(ut)jqt + (ft)j ]

la quale richiede che la concentrazione in un punto qualsiasi del dominio risultiproporzionale al valore imposto al bordo di ingresso.

Vediamo ora quale uso si possa fare della 3.39 per prevedere il rischio deri-vante dalla fuoriuscita di un getto di gas infiammabile, o tossico. L’argomen-to è già stato delineato nel paragrafo sull’accelerazione dei processi diffusivi(cfr. 1.2) e non vi è molto da aggiungere. La possibilità di valutare una con-centrazione di breve periodo, che indichiamo con Q, tramite la conoscenzadi quella asintotica, dipende dall’ampiezza della varianza. Se questa è picco-la, tutti i valori sono vicini al al valor medio asintotico Q, compresi quelli di

40Può costituire una componente, oppure la totalità del fluido del getto.

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

bassissimo periodo:

Q ∼ Q

La configurazione dei getti è favorevole a questa semplificazione: le scale delmoto prodotte dalla cascata energetica risultano più piccole della dimensio-ne trasversale del getto e quindi contribuiscono in toto alla frammentazionefisica e al rimescolamento del gas con l’aria circostante, in un processo chefatalmente innesca l’azione livellatrice della diffusione molecolare. Dunqueuna relazione unica del tipo 3.39 può essere usata per valutare la diluizionedel gas emergente in qualsiasi punto del dominio, senza distinguere tra valorimedi di lungo e di breve periodo, o anche istantanei. Con l’esclusione dei pun-ti vicino al bordo esterno del getto - ove si hanno fenomeni di intermittenza,poiché si alternano casualmente volumi di aria pulita e volumi contaminati -la previsione è sostanzialmente corretta.

Nella 3.39 il ruolo delle variabili dipendenti e indipendenti può essere scam-biato, e la relazione così invertita può essere usata per trovare il luogo dei puntiin cui si trova un valore assegnato di concentrazione; quindi, anche la distanzadalla sorgente al di là della quale la concentrazione si è abbassata al di sottodel limite inferiore di infiammabilità o di tossicità acuta, il volume di misce-la compreso tra i limiti superiore e inferiore di infiammabilità, et cet. Ad es.,indicata con X la distanza nella direzione dell’asse a cui si raggiunge il limiteinferiore Qinf di infiammabilità, si ha in variabili adimensionate:

X ′ = F−1(Q′inf )

e in variabili fisiche

X = DoF−1(Qinf/Qo) 3.40

Si noti l’importanza che assume nelle relazioni del tipo 3.40 la lunghezza ca-ratteristica Do. Tutte le dimensioni lineari risultano ad essa proporzionali;le distanze di sicurezza scalano quindi con Do, la superficie radiante di unaeventuale massa che deflagri con D2

o , il volume di miscela che partecipa alladeflagrazione, poiché si trova entro i limiti di infiammabilità, con D3

o . Infine,sebbene non rientri tra gli argomenti di questo corso, può essere utile ricordareche anche la distanza dal fronte di fiamma entro cui si possono avere lesioni omorte per effetto radiante risulta proporzionale a Do. In una deflagrazione incampo aperto gli effetti termici sono più pericolosi di quelli meccanici; a cau-sa della radiazione si può avere lesione o morte entro una certa distanza dalfronte di fiamma, così che l’ampiezza della regione interessata in modo grave

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

dall’evento va estesa oltre i confini della massa deflagrante. Tuttavia la distan-za da aggiungere è in rapporto pressoché costante con le dimensioni linearidella nube infiammabile. Il flusso termico radiante fq che investe un oggetto,provenendo da una superficie di fiamma, è dato dalla relazione:

fq = Pekta

ove fq è il flusso termico, Pe è la potenza di emissione della superficie, ta è ilcoefficiente di trasmissione dell’aria, e k è un fattore geometrico di forma. Diqueste grandezze, ta dipende solo dalla presenza di vapor acqueo e di anidri-de carbonica nell’aria; la potenza di emissione Pe varia poco al variare delleipotesi che si possono fare sulla composizione della nube, e non dipende nep-pure dalla dimensione lineare della nube stessa, quando questa superi qualchemetro. Infine k è un coefficiente geometrico di forma che risulta costante inpunti omologhi di configurazioni tra loro geometricamente simili, anche se didimensioni assolute diverse. Ne consegue che il rapporto tra la distanza disicurezza dal punto di fuga e la lunghezza della regione occupata dalla mas-sa esplosiva è da ritenere una costante, una volta fissati i criteri per la letalitàdi fq.

Limiti applicativi del modello di getto turbolento adattato

Veniamo ora a discutere le carenze applicative del modello di getto turbolento:

– È possibile che il gas emergente abbia una massa molecolare mol-to diversa da quella dell’aria. Poiché questo comporta una densitàdiversa, anche a parità di pressione e temperatura, la dinamica iner-ziale del getto ne è sicuramente affetta, almeno finché il gas non sisia fortemente diluito. Da un punto di vista dimensionale, occorreintrodurre tra i parametri significativi il rapporto

κ ≡ Ma/Mg

tra massa molecolare dell’aria e massa molecolare del gas. Le rela-zioni 3.39 e 3.40 divengono pertanto:

Q′ = F (x′, κ) 3.41

X ′ = F−1(Q′, κ) 3.42

e la condizione:

κ = cost

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

assume il significato di vincolo da rispettare per la similitudine geo-metrica e cinematica. Non tutti i getti dunque risultano simili; tut-tavia la dipendenza da κ è stata studiata in laboratorio e riassunta informule empiriche, che sono incorporate nei relativi programmi dicalcolo. Non vi è motivo di dubitare della loro affidabilità, finché levelocità del getto rimangono elevate.

– Che il getto emerga con una pressione uguale a quella atmosferi-ca è un’ipotesi del tutto improbabile. In una corrente supersonicala pressione del gas al momento dello sbocco è determinata unica-mente dalle condizioni termodinamiche a monte del condotto; nellamaggior parte dei casi si avrà dopo lo sbocco una espansione. In ge-nere, questo fatto è messo in conto introducendo un diametro equi-valente maggiorato De diverso da quello geometrico Do, secondo larelazione:

De = Do

(ρo

ρe

)1/2

3.43

in cui ρo indica la densità del gas nel momento in cui emerge, eρe è la densità che assumerebbe una volta raggiunto l’equilibriotermodinamico con l’atmosfera:

ρe =MRpe

Te

essendo pe, Te pressione e temperatura esterne. La 3.43 ha il meritodi esprimere in modo semplice l’effetto di un processo complica-to, ma non ha molte probabilità di risultare corretta, perché derivachiaramente da un bilancio di portata:

ρuD2 = cost

che non tiene conto della variazione di velocità legata all’espansio-ne. Si può tuttavia adottarla perché produce lunghezze caratteristicheprobabilmente maggiori di quelle reali, quindi cautelative.

– Nella maggior parte dei casi di rottura non è affatto chiaro qualesia il valore da assegnare a Do, poiché raramente la fuga avvieneattraverso una apertura di forma circolare.

Per citare un caso estremo, è accaduto qualche anno fa che nel calcolare qua-le fosse il volume di miscela entro i limiti di infiammabilità in un caso di fugaincontrollata da un pozzo petrolifero, gli esperti hanno dato numeri che diffe-

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

rivano di tre ordini di grandezza. In effetti era esploso un tubo del diametro di∼ 10 cm, che presentava uno squarcio laterale lungo un metro, prima di unapiegatura ad angolo retto e la definitiva rottura, di forma questa volta circolare.La discrepanza non era di minor peso, perché dipende dalla massa complessi-va che deflagra la possibilità che la deflagrazione si trasformi in detonazione,e produca un’onda d’urto di notevole intensità. Nella teoria d’altra parte nonsi trovava una soluzione codificata del problema; in casi del genere occorreimmaginare la forma del campo di moto e ricordare che Do rappresenta ladimensione iniziale di una sorta di getto equivalente.

Nonostante i motivi di incertezza che sono stati ricordati, il caso della fugacon alta velocità iniziale rappresenta la situazione meno aleatoria. Quando lavelocità iniziale è bassa - o comunque quando le velocità tipiche del getto di-vengono inferiori a quelle dell’atmosfera prima che la concentrazione del gassia passata al di sotto della soglia per l’infiammabilità o la tossicità acuta - laprevisione della distanza di sicurezza, e in generale della forma e composizio-ne della nube, diviene problematica. Per prima cosa, poiché quasi sempre incaso di guasto il gas sfuggito non ha la stessa massa molecolare dell’aria, laresidua differenza di densità genera, tramite accoppiamento con il campo gra-vitazionale, strutture vorticose che innescano moti ascendenti o discendenti dicui non è facile prevedere l’intensità.

A parte questo, è la condizione di forte stabilità atmosferica che caratterizzaspesso i periodi notturni che può dar luogo a situazioni difficili da valutare.In un tale contesto, una volta cessato l’effetto di mescolamento dovuto al-la quantità di moto iniziale, la nube può essere trascinata a grande distanzasenza essere ulteriormente diluita. A giudicare dai diagrammi di variazionedi σy e σz con la distanza sottovento nel pennacchio gaussiano (cfr. fig. 3.7

e 3.8), questa affermazione parrebbe priva di fondamento; anche in condizio-ni molto stabili (cat. E, F) l’area della sezione retta del pennacchio aumentadi un paio di ordini di grandezza nel passare dai 100 metri al chilometro di di-stanza dalla sorgente, e quindi la concentrazione Q diminuisce di altrettanto.Questi dati tuttavia riflettono in modo empirico una certa variabilità direzio-nale dei venti in condizioni di stabilità, che portano il pennacchio a oscillarecon bassa frequenza, per lo più nel piano orizzontale, ma non lo diluisconoin modo apprezzabile. Ne deriva che in questo caso Q e Q non sono vicinitra loro; assumere l’uno per valutare l’altro può risultare errato. In condizio-ni di questo genere si sono avuti inneschi accidentali di miscele esplosive a

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3. EQUAZIONI MEDIATE. MODELLI EULERIANI DI DISPERSIONE

una distanza dal punto di fuga dell’ordine del chilometro, e la nube si è rivela-ta sufficientemente compatta e omogenea da permettere un ritorno di fiammafino al serbatoio di origine, che è esploso a sua volta in sequenza. Per valu-tare la distanza di sicurezza nell’eventualità di fughe con tali caratteristiche,conviene rifarsi alla casistica di incidenti avvenuti in impianti in qualche mo-do simili, piuttosto che a programmi numerici per il calcolo della dispersioneturbolenta.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICADELL’ATMOSFERA

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

A2x2

A1

B2 p2 = cost

p1 = costB1

Fig. 4.1 – In equilibrio statico, la differenza di pressione tra due punti di due diversi pianiorizzontali è indipendente dalla scelta della linea verticale lungo cui viene calcolata:Δp = p2 − p1 = cost.

4.1. CONDIZIONI STATICHE

Equilibrio statico di un fluido pesante

Quando un fluido pesante si trova in condizione di riposo, la forza di gravitàche agisce su ogni elemento di volume unitario deve essere equilibrata dalgradiente delle pressioni. Dall’equazione di quantità di moto:

ρDuDt

− ρg + ∇p− μ∇2u = 0

per u = 0, si ottiene l’uguaglianza vettoriale:

∇p = ρg 4.1

la quale esprime la condizione necessaria per l’equilibrio statico. In equilibrio,il gradiente delle pressioni risulta verticale e rivolto verso il basso come g,l’accelerazione di gravità; la pressione ha un valore costante in tutti i puntidi uno stesso piano orizzontale e diminuisce col crescere della quota. Se siassume un sistema di assi cartesiani ortogonali, con l’asse x2 rivolto versol’alto, si ha che la pressione dipende solo da questa coordinata, p = p(x2),mentre la sua legge di variazione con la quota si ottiene proiettando la 4.1 sulversore verticale:

dp

dx2= −ρg 4.2

Si noti che la 4.2 richiede che anche la densità ρ, e non solo la pressione, siadistribuita in modo uniforme nei piani orizzontali - quindi, che lo sia anchequalsiasi altra variabile termodinamica, poiché solo due sono le variabili distato indipendenti. Se la pressione è costante nei piani orizzontali, infatti, la

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

p

x2

Fig. 4.2 – Andamento della pressione di un liquido pesante in equilibrio statico, infunzione della profondità.

differenza di pressione tra due piani non può risultare diversa a seconda del-la particolare linea verticale lungo cui si calcola la variazione, cfr. fig. 4.1; epoiché la variazione stessa risulta, secondo la 4.2, proporzionale alla densità,quest’ultima deve risultare costante a parità di quota. Per concludere, si puòavere l’equilibrio di un fluido pesante solo se lo stesso è organizzato per stra-ti orizzontali omogenei; in tal caso tutte le variabili di stato termodinamicovariano soltanto con la quota x2 e l’insieme delle condizioni:

p = p(x2) 4.3

ρ = ρ(x2) 4.4

dp

dx2= −ρg 4.5

definisce compiutamente la situazione. Qualunque scostamento dello stato delfluido dalle 4.3, 4.4, 4.5 non è compatibile con l’equilibrio; niente di più, tutta-via, è richiesto. Nelle masse di acqua, la variazione di densità può essere tra-scurata nel calcolare la variazione di pressione con la quota; si ottiene allora,integrando la 4.2, la nota legge della idrostatica:

p = po − ρgx2

secondo la quale la pressione va crescendo linearmente verso il basso,cfr. fig. 4.2.

Nel caso dell’atmosfera, la densità non può considerarsi costante neppurein primo approccio; tuttavia, per qualsiasi tipo di stratificazione di densitàρ(x2), esiste una soluzione p(x2) della 4.2 che garantisce l’equilibrio statico;

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

(a) (b)

Fig. 4.3 – Due diverse configurazioni di equilibrio statico: (a) Configurazione stabile: lasfera spostata torna spontaneamente nella posizione di equilibrio. (b) Configurazioneinstabile: la sfera spostata dalla posizione di equilibrio se ne allontana ulteriormente.

ad assicurare l’equilibrio, è sufficiente l’uniformità termodinamica sui pianiorizzontali.

Stabilità delle configurazioni di equilibrio statico

D’altro canto, non tutte le configurazioni di equilibrio statico si rivelano sta-bili. La distinzione è importante, poiché quelle instabili non sono osservabiliin natura; si tratta di soluzioni ipotetiche, il cui inverarsi richiederebbe duerequisiti che non appartengono alla realtà: una condizione iniziale esatta, el’assenza di fluttuazioni accidentali. Se per qualche miracolo si fosse realiz-zata una configurazione instabile, sarebbe sufficiente uno scostamento dallostato di equilibrio, per quanto piccolo, per provocarne lo stravolgimento. Pervedere una sfera immobile nella situazione disegnata in fig. 4.3 (b), presa aprestito dalla Meccanica, occorre rivolgersi a un buon prestigiatore.L’argomento della stabilità delle soluzioni statiche è già stato trattato1, nel di-scutere della generazione di vorticità in un fluido stratificato per effetto delcampo gravitazionale. In tale contesto avevamo concluso che le configurazio-ni di equilibrio statico dell’atmosfera sono stabili solo quando la temperaturapotenziale2 dell’aria, Θ, va crescendo con l’altezza. In queste pagine ripe-

1C. Cancelli, op. cit., par. 4.5.

2La temperatura potenziale di una particella di aria nello stato termodinamico (T , p) è data dallaformula: Θ = T (po/p)(γ−1)/γ , ove po è una arbitraria pressione di riferimento.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

x2

h

Fig. 4.4 – Massa di aria spostata dalla posizione x2 alla posizione x2 + h.

teremo l’analisi con una tecnica diversa, anche se concettualmente del tuttosimile; immagineremo di imporre, invece che una rotazione, uno spostamentoin verticale, verso l’alto o verso il basso, a una massa limitata di gas e ci chie-deremo in base alle proprietà della soluzione statica se la massa tenda o menoa tornare verso la posizione di partenza. Nel caso che tenda a tornare, la confi-gurazione sarà da ritenersi stabile; altrimenti, instabile. Otterremo il risultatogià noto, come era desiderabile; questo secondo modo di studiare la stabilitàsi presta tuttavia a porre in evidenza alcune proprietà dei processi fisici coin-volti nell’esperimento immaginario, la cui comprensione verrà utile anche inaltro contesto3.Veniamo quindi alla nostra massa di aria di volume finito, inizialmente in equi-librio alla quota x2, e ora spostata alla quota x2 + h (fig. 4.4). In condizionistatiche, una massa di fluido comunque circoscritta è soggetta a due forze traloro contrastanti, il proprio peso e la risultante delle azioni di pressione ap-plicate alla superficie della massa dal fluido circostante - la forza che vienechiamata spinta di Archimede. Se nella massa spostata verso l’alto la densi-tà risulterà inferiore a quella dell’aria che la circonda nella nuova posizione,la spinta di Archimede avrà il sopravvento sul peso e la massa tenderà a sali-re ulteriormente, in questo modo rivelando l’instabilità della configurazione dipartenza. Il problema è dunque nello stabilire quale sia la differenza di densi-tà che può intercorrere tra il volume spostato e il resto del fluido che si trovaalla stessa quota, e da che cosa questa differenza derivi.

3Si tratta inoltre della tecnica più comune.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Prima di procedere, è bene chiarire che nella discussione compaiono funzionidella quota x2 che hanno un diverso significato. Quelle che indicheremo senzapedice - ρ(x2), Θ(x2) etc. - rappresentano la distribuzione in verticale delleproprietà termodinamiche dell’atmosfera, lo stato fisico di strati diversi di aria.Tali distribuzioni derivano dalla storia precedente dei processi atmosferici e inquesta analisi figurano come assegnate; lo scopo dell’analisi è nel giudicarnela stabilità.Le funzioni con il pedice m - ρm(x2), Θm(x2) etc. - rappresentano invece lavariazione con la quota delle proprietà termodinamiche della massa che vienespostata, e vanno ipotizzate in modo ragionevole; devono infatti simulare conbuona approssimazione quanto accadrebbe in una situazione reale, a seguito diuno spostamento verticale indotto da un momentaneo e casuale disequilibrio.Per ipotesi, si assume che nello spostarsi la massa di gas si porti istantanea-mente alla stessa pressione dell’aria che la circonda, mentre lo scambio dienergia termica tra la massa spostata e il fluido adiacente viene ritenuto co-sì debole da risultare trascurabile - si immagina quindi una espansione o unacompressione adiabatica della massa considerata. La forma radicalmente di-versa adottata nel rappresentare i due modi di interazione tra regioni adiacentidi fluido, si giustifica con la diversa velocità dei processi che a questi modisono inerenti: la propagazione di onde - considerata istantanea - per quantoattiene al livellamento delle pressioni, e la diffusione molecolare - consideratalenta - per quanto riguarda lo scambio di energia termica4.La prima delle due ipotesi permette di scrivere la condizione:

pm(x2 + h) = p(x2 + h) 4.6

valida per qualsiasi h. La 4.6 implica che eventuali differenze di densità trala massa di aria spostata e quella circostante possano essere attribuite soloa differenze di temperatura. Differenziando logaritmicamente l’equazione distato dei gas e la definizione di temperatura potenziale, si ottiene infatti, se lapressione non varia:

4A dire il vero, la velocità con cui scomparirebbe per diffusione molecolare una eventualedifferenza di temperatura dipende dalle dimensioni lineari del volume di gas spostato (cfr.C. Cancelli, op. cit., par. 2.2) e tende a crescere senza limite quando queste dimensioni siriducono a zero; ma già per dimensioni lineari di una decina di cm. risulta molto bassa. Proprioper questo motivo, stiamo considerando una massa di gas con volume finito e non una particella.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

δρ

ρ= −δT

T= −δΘ

Θ4.7

Nella 4.7 il simbolo di variazione δ sta ad indicare la differenza di stato ter-modinamico tra la massa spostata e quella parte di atmosfera che si trova allastessa quota:

δρ = ρm − ρ

δT = Tm − T

δΘ = Θm − Θ

Le 4.7 vengono usate non solo nello studio della stabilità delle soluzioni sta-zionarie, ma anche in condizioni dinamiche, per porre in evidenza quale sial’effetto delle fluttazioni verticali di velocità, di origine termica, sulla intensi-tà del moto turbolento. La loro legittimità deriva ancora dalla assunzione 4.6,a sua volta resa credibile, anche in presenza di moto reale, dalla maggiore ve-locità di propagazione delle onde elastiche, in confronto alle modeste velocitàconvettive - pochi m/s - che sono associate agli spostamenti verticali dell’arianello strato limite terrestre.La trasmissione di calore, trascurata per ipotesi, è uno dei fenomeni che pro-ducono una variazione di entropia; l’altro è la dissipazione termica di energiameccanica, espressa mediante la funzione di dissipazione, che sappiamo averescarso peso finché non si formano gradienti di velocità molto elevati. Poichénon vi è motivo di pensare che si abbiano tali gradienti nell’esperimento im-maginario di sollevamento della massa, le due potenziali sorgenti di entropiapossono essere entrambe considerate nulle. Di conseguenza, l’entropia dellamassa spostata va ritenuta costante5; si ha pertanto:

sm(x2 + h) = sm(x2) = cost

e di conseguenza:

Θm(x2 + h) = Θm(x2) = cost 4.8

5Cfr. C. Cancelli, op. cit., 1.6; dall’equazione 1.45, trascurando la funzione di dissipazione e ladivergenza dei flussi termici, si ottiene:

∂t(ρs) +

∂xk(ρuks) = ρ

Ds

Dt= 0

Ogni particella di fluido conserva la sua entropia specifica.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

Θm

Θ

Θ

Fig. 4.5 – Condizione di equilibrio stabile: la curva Θ(x2) rappresenta la temperatu-ra potenziale dell’atmosfera, mentre la curva tratteggiata rappresenta la temperaturapotenziale della massa spostata.

A questo punto, la stabilità dell’equilibrio statico dell’atmosfera può esseregiudicata in base alla sua stratificazione di temperatura potenziale. Come èevidente nella figura 4.5 - ove sono riportate la stratificazione Θ(x2) dell’at-mosfera con linea continua, e il cambiamento di stato Θm(x2) della massa diprova con linea tratteggiata - quando è:

dΘdx2

> 0

l’equilibrio risulta stabile. Una massa inizialmente in equilibrio alla quota x2,che venisse spostata verso l’alto, si troverebbe a una temperatura potenzialepiù bassa - e quindi a una densità più alta, cfr. 4.7 - dell’aria circostante; laforza peso, prevalendo sulla spinta di Archimede, la ricondurrebbe verso laposizione di partenza. Non è il caso di spiegare che considerando uno sposta-mento verso il basso si ottiene lo stesso risultato, o che si otterrebbe il risultatoopposto - una configurazione di equilibrio instabile - qualora fosse:

dΘdx2

< 0

Gradiente verticale della temperatura atmosferica in condizione diequilibrio neutro

Può essere interessante calcolare, quale elemento di discriminazione, il gra-diente del profilo di temperatura T (x2) dell’atmosfera, per cui si avrebbe una

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

T

(a)

(b)

(c)

Fig. 4.6 – Variazioni di temperatura con la quota. La linea (a) rappresenta l’adiabaticadell’aria secca, o anche la variazione di stato di una massa eventualmente spostataverso l’alto o verso il basso; la linea (b) rappresenta una configurazione atmosfericainstabile; la linea (c) rappresenta una configurazione atmosferica stabile.

condizione di equilibrio neutro. Affinché la forza peso e la spinta di Archi-mede si facciano comunque equilibrio, è necessario che la distribuzione ditemperatura potenziale Θ(x2) dell’atmosfera coincida con la trasformazione:Θm(x2) = cost, della massa di prova, in questo modo rendendo nullo l’effettodinamico di uno spostamento qualsiasi della stessa. La condizione:

Θ(x2) = cost

individua una situazione atmosferica di omoentropia; per ottenere la variazio-ne di temperatura corrispondente si può prendere il logaritmo della tempera-tura potenziale, e quindi derivare, tenendo conto che non solo la pressione po

di riferimento ma anche Θ è in questo caso costante. Si ottiene l’equazione:1T

dT

dx2=γ − 1γ

(1p

dp

dx2

)che lega il gradiente di temperatura a quello della pressione. Il gradiente dipressione può essere espresso mediante la 4.2. Si ha:

dT

dx2= −cp − cv

cp

(Tρ

p

)g

che tramite l’equazione di stato dei gas e la consueta definizione: cp = cv +R/M, diviene infine:

dT

dx2= − g

cp4.9

Poiché il calore specifico a pressione costante dell’aria è ∼ 103 m2s−2K−1, ilgradiente 4.9 vale ∼ 10−2 K/m; in condizioni neutre la temperatura dell’aria si

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

[m]

p[bar]10,50,2

5000

10000

15000

Fig. 4.7 – Pressione dell’atmosfera in funzione della quota: andamento qualitativo.

abbassa con la quota di circa 1 K ogni cento metri. Nei testi di meteorologia ilgradiente 4.9 viene chiamato gradiente adiabatico dell’aria secca, invece chegradiente omoentropico, per motivi non del tutto chiari. L’averlo introdottopermette tuttavia di riformulare in altri termini il problema della stabilità. Sipuò dire che l’equilibrio è stabile quando l’atmosfera si raffredda con la quo-ta con minore rapidità di quanto accadrebbe con il gradiente omoentropico,mentre è instabile quando accade l’opposto, cfr. fig. 4.6.

In sintesi si ha:

– equilibrio stabile:dΘdx2

> 0;dT

dx2> −10−2 (K/m)

– equilibrio instabile:dΘdx2

< 0;dT

dx2< −10−2 (K/m)

4.2. CONVEZIONE NATURALE

Stato dell’atmosfera

È pressoché impossibile che l’aria rimanga immobile in equilibrio statico. Puòdarsi che in una conca protetta, sul finire della notte, si abbia una calma di

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

vento quasi assoluta; ma si tratta di avvenimenti limitati nel tempo e nello spa-zio. In genere, la condizione di perfetta stratificazione orizzontale richiestaper l’equilibrio statico non sussiste; sono sempre presenti delle componentiorizzontali del gradiente di temperatura, sia sulle grandi distanze, per ovvieragioni, sia su scala ridotta. L’aria è quasi del tutto trasparente alla radiazio-ne solare incidente, ma scambia energia termica con il terreno e con il vaporacqueo, nelle trasformazioni di stato che questo subisce. La temperatura del-la superficie terrestre dipende da molteplici fattori, oltre che dalla latitudine -potere riflettente, trasparenza alle radiazioni, copertura vegetale, conducibili-tà termica del mezzo - i quali sono variabili da punto a punto. Tanto per dareun’idea, la superficie di un terreno roccioso, o comunque asciutto, può pre-sentare una variazione termica di alcune decine di gradi tra il giorno e la notte- per non parlare di una superficie asfaltata - mentre l’escursione di tempera-tura dello strato superficiale di una distesa di acqua è nello stesso intervallodi tempo praticamente inavvertibile. E per quanto riguarda il vapore acqueo,le cui trasformazioni da vapore a liquido, e viceversa, rappresentano il moto-re della dinamica atmosferica, è facilmente intuibile che non sia distribuito inmodo uniforme. Sta di fatto che la velocità dell’aria non è mai nulla; le calmedi vento registrate dalle stazioni meteorologiche stanno ad indicare situazioniin cui il modulo della velocità dell’aria è basso, al di sotto di 0.3 ÷ 1 m/s, e lasua direzione variabile in modo irregolare.

L’analisi precedente non è tuttavia inutile. Per prima cosa la componente ver-ticale 4.2 dell’equazione di equilibrio statico rimane valida anche in presenzadi moto dell’aria, poiché la componente verticale dell’accelerazione delle par-ticelle di fluido è quasi sempre trascurabile in confronto all’accelerazione digravità6. La pressione non risulta in genere costante sui piani orizzontali, mala sua variazione con la quota rimane di tipo statico; in altri termini, la pressio-ne viene determinata comunque dal peso della colonna d’aria che sovrasta unadata posizione, pur essendo vero che le colonne possono presentare un pesodiverso col cambiare del punto considerato. Ne deriva che un centro di bas-sa pressione al suolo, ad es., non può che essere correlato alla presenza di una

6Si possono avere eccezioni a questa regola, in violente correnti verticali che presentano re-gioni di convergenza o divergenza particolarmente accentuate. Si tratta tuttavia di situazioniepisodiche, che interessano regioni poco estese.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

[km] (a)

(b)

10

20

30

220° K 300° K

Fig. 4.8 – (a) Temperatura dell’atmosfera in funzione della quota. (b) Temperaturapotenziale dell’atmosfera in funzione della quota.

colonna di aria relativamente calda sulla sua verticale. Un andamento tipicodella pressione è indicato nella fig. 4.7.

Inoltre, permane l’importanza del profilo verticale di temperatura potenziale,sebbene in un contesto diverso da quello in cui è stato introdotto. Un profilo ditemperatura di tipo stabile limita l’ascensione delle correnti termiche, e inibi-sce la fluttuazione verticale della velocità in una corrente turbolenta, in questomodo confinando il carattere turbolento del moto a uno strato di aria adiacen-te al terreno, dello spessore di poche decine di metri. Eventuali inquinantiemessi vicino alla superficie rimangono all’interno di questo strato.

Considerata nella sua globalità, l’atmosfera risulta stratificata in modo mol-to stabile. Un profilo di temperatura in funzione della quota è mostrato infig. 4.8 (a). Fino ad un’altezza che varia, a secondo della latitudine e delle sta-gioni, tra 9÷ 10 e 17÷ 18 km, la temperatura va diminuendo con un tasso chesi attenua progressivamente e si annulla in corrispondenza della tropopausa,al di sopra della quale torna a crescere, sia pure con un gradiente poco mar-cato. Nei primi chilometri a partire dal suolo, il decremento di temperaturaè mediamente di 6 K/km. In condizioni di stabilità neutra la temperatura do-vrebbe diminuire di 10 K al chilometro e quindi raggiungere lo zero assolutoverso i 30 km di altezza; in realtà, la temperatura a quella quota è ancora attor-no ai 240÷ 250 K. Il gradiente di temperatura è pertanto di gran lunga minore

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

di quello omoentropico; la temperatura potenziale aumenta con la quota, conuna pendenza che si fa sempre più marcata, come è indicato qualitativamentein fig. 4.8 (b).

Ascesa di correnti termiche

Consideriamo ora la dinamica delle correnti ascendenti. In vicinanza del ter-reno si formano facilmente volumi di aria di minore densità rispetto a quellamedia dello strato orizzontale di appartenenza. Poiché eventuali differenze dipressione si annullano rapidamente, la differenza di densità (ρm − ρ) può es-sere prodotta o da una differenza di temperatura, o da un maggiore o minorecontenuto di vapor acqueo7. Nell’uno e nell’altro caso, i volumi di minoredensità tendono a sollevarsi a causa della spinta di Archimede e si assestanoalla quota ove la differenza di densità è divenuta insignificante. Per discuternela dinamica, supponiamo che la differenza iniziale di densità sia dovuta sol-tanto ad una differenza (Θm − Θ) di temperatura potenziale; per altro, anchela presenza di vapor acqueo può essere introdotta nel calcolo mediante unavariazione virtuale di Θm, calibrata in modo da dare la variazione di densitàeffettiva, in accordo con la 4.7. Ammettiamo inoltre che la massa iniziale piùcalda non si mescoli con l’aria circostante; in tal modo, la densità della massain movimento verso l’alto si modifica con la quota solo per effetto della espan-sione isoentropica a cui è soggetta, e la differenza (ρm − ρ) si annulla quandosi annulla la differenza (Θm − Θ). La quota di equilibrio è individuata dal-l’intersezione tra il profilo Θ(x2), che rappresenta la temperatura potenzialedell’atmosfera, e la linea verticale: Θm = cost, che caratterizza la variazionedi stato ad entropia costante della massa ascendente (cfr. fig. 4.9).Nella situazione reale la dinamica della massa di aria ascendente è più com-plessa, anche nel caso che si tratti di una termica isolata. Fin dalla partenza,per effetto stesso del moto di sollevamento, si forma attorno alla massa caldaun toro di linee vorticose (cfr. fig. 4.10), a causa del fenomeno di generazio-ne di vorticità già descritto in precedenza8. Lo sviluppo successivo può essere

7Un maggior contenuto di vapor acqueo comporta una minore densità della miscela, a parità dipressione, perché la massa molecolare del vapore (18) è minore di quella dell’aria (∼ 29).

8Cfr. 4.6, C. Cancelli, op. cit..

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

Θ

Θ

Θm

quota di equilibrio

Fig. 4.9 – Quota di equilibrio di una corrente ascendente di origine termica. Nel puntoP , ove la temperatura potenziale Θm della massa ascendente incrocia il profilo di tem-peratura potenziale Θ dell’aria circostante, la differenza di densità si annulla, e l’ascesaha termine.

delineato considerando il campo di velocità come indotto dai vortici avvolti adanello. Per effetto della circuitazione indotta, la velocità ascendente nel cen-tro della massa è più elevata di quella della zona periferica e richiama aria piùfresca - estranea alla massa di aria calda iniziale - dal basso, la quale conver-ge per passare nel centro dell’anello vorticoso, prima di allargarsi nuovamentein orizzontale formando in alto una regione con linee di corrente divergenti.Il campo di moto che si realizza è, più o meno, quello schizzato in fig. 4.11:si ha un ricircolo di aria relativamente fresca che transita verso l’alto all’in-terno dell’anello e si richiude all’esterno in un largo giro discendente, comeè inevitabile che accada per la conservazione della massa; l’aria calda rimaneessenzialmente confinata all’interno del toro, ove circola strettamente. Di persé, il fatto che il campo si strutturi nel modo descritto non inficia la trattazio-ne elementare dell’ascesa della massa di aria calda; ma anche la struttura adanello è instabile per due motivi:

– il meccanismo di generazione di vorticità, connesso alla presenzadi componenti orizzontali del gradiente di temperatura potenziale,continua ad agire producendo vortici di scala sempre più piccola;

– le zone di divergenza, come quella al di sopra dell’anello, sono in-trinsecamente instabili, anche in assenza di qualsiasi fenomeno distratificazione.

Ne deriva che il moto diviene turbolento, almeno al di sopra del toro, con tuttigli effetti che ne conseguono: si ha un incremento continuo della massa coin-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

u

ω

Fig. 4.10 – Anello vorticoso formato dall’innalzamento di una massa di aria calda.

Fig. 4.11 – Campo di moto indotto da un anello vorticoso.

volta nel moto turbolento, mescolamento di aria calda e fredda, accelerazionedei processi diffusivi, livellamento tendenziale di ogni differenza. Quindi ledifferenze di densità, o di temperatura, si ridurrebbero progressivamente, an-che se non vi fosse l’espansione dell’aria calda al crescere della quota. L’i-potesi che la temperatura potenziale dell’aria ascendente si mantenga costanterappresenta una semplificazione grossolana; rimane vero, dello schema ele-mentare illustrato in fig. 4.9, che un forte gradiente positivo della temperaturapotenziale dell’atmosfera anticipa il raggiungimento dell’equilibrio, e quindilimita la quota massima di innalzamento.

Variazioni di stato del vapor acqueo e dinamica delle correnti ascendenti.Formazioni di nubi

Nel descrivere l’ascesa di volumi di aria calda, con l’inevitabile ricircolo versoil basso che vi è associato, abbiamo fino ad ora ignorato la presenza nell’atmo-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

sfera di vapor acqueo, o le conseguenze che derivano dalla sua condensazioneo evaporazione. In realtà, i cambiamenti di stato del vapor acqueo rappre-sentano il fattore dominante della dinamica dell’atmosfera, e la violenza deifenomeni che vi hanno luogo si spiega con il calore liberato dalla condensa-zione del vapore; questo si trasforma in energia termica dell’aria in un primomomento, quindi in energia cinetica per mezzo del lavoro delle forze di galleg-giamento. Per dare un’idea dell’entità dell’energia cinetica coivolta in questiprocessi, si può ricordare che quella posseduta dall’aria in una formazionetemporalesca che si estenda in orizzontale per una decina di km può esseredell’ordine di 106 ÷ 107 M J. Nel caso che il temporale raggiunga le dimen-sioni e l’intensità di un uragano, questo numero può essere moltiplicato ancoraper 105; sono dati che si commentano da soli. Il calore di condensazione cheporta alla comparsa di questa energia meccanica è in genere da dieci a centovolte più grande9. In effetti la circolazione in verticale di aria umida riprodu-ce comportamenti da macchina termica - fortunatamente di bassa efficienza -e l’energia termica catturata nel moto di ricircolo sotto forma di calore latenteassociato al vapor acqueo viene trasformata in energia meccanica, prima chela dissipazione viscosa non la riconduca alla sua forma originaria. In gene-rale, il problema della relazione che intercorre tra i cambiamenti di stato delvapor acqueo, la formazione e la dissolvenza delle nubi, la pioggia più o me-no intensa da una parte, e i movimenti dell’aria dall’altra, è complesso e pocotrattabile. Il sistema fisico che si vorrebbe sottoporre ad analisi, ha caratterenon lineare e fortemente instabile; tutto interagisce con tutto, e l’evolvere del-lo stato del sistema è reso irregolare da una sequenza di catastrofi, nel sensomatematico e in quello comune del termine. Si ha un frequente esplodere diinstabilità strutturali, innescate da pertubazioni che si amplificano dal nulla, oquasi; di conseguenza le evoluzioni singole del sistema non risultano prevedi-bili, né si riproducono esattamente. A queste caratteristiche è dovuta la grandevarietà delle configurazioni e dei fenomeni dell’atmosfera, nonché una certadifficoltà nel distinguere uno sciamano da un serio studioso di meteorologia,sebbene vadano vestiti in modo generalmente diverso. Gran parte di questascienza ha carattere descrittivo, al di là dell’apparenza, e mira a classificaresistuazioni che più spesso di altre si ripetono in alcuni tratti caratteristici; laclassificazione delle nubi, ad es., ha questo contenuto.

9Cfr. Louis J. Battan, Violenze dell’atmosfera, Zanichelli, 1976, Bologna.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

T

TmTr

hc

Fig. 4.12 – Quota di condensazione del vapore acqueo contenuto in una massa di ariaascendente.

Nelle righe che seguono ci limiteremo a dare un cenno dei fenomeni elemen-tari che sono alla base della complessità. Torniamo all’innalzamento di unvolume di aria più calda di quella circostante, dando questa volta per certo cheesso contenga dell’acqua allo stato di vapore, quindi che la sua temperaturainiziale Tm sia maggiore della temperatura di rugiada10. Durante l’ascesa latemperatura della massa di aria diminuisce con la quota; se supponiamo, persemplificare la discusssione, che non si mescoli con l’aria circostante possia-mo affermare che si raffredda per espansione isentropica, e quindi con tassodi 10 K/km. Anche la temperatura di rugiada Tr della miscela di aria e vapo-re si modifica, per effetto del decremento di pressione; Tr diminuisce con ilcrescere della quota, tuttavia con un tasso inferiore a quello della temperaturareale. La differenza (Tm − Tr) va pertanto diminuendo, mentre il volume diaria calda e umida si innalza; alla quota per cui la differenza si annulla, ha ini-zio la condensazione e la termica ascendente si trasforma in nube. In effetti,appena la temperatura dell’aria si abbassa al di sotto della temperatura di ru-giada si formano, condensando attorno a nuclei igroscopici sempre presenti insospensione nell’atmosfera, un numero di piccole gocce di acqua sufficienti arendere visibile la massa di aria ascendente. Lo schema del processo è schiz-zato in fig. 4.12, ove sono rappresentate le variazioni di Tm e Tr e la quota hc

ove le due linee si intersecano; l’altezza hc, ovviamente, è la quota di con-densazione. Se si vuole stimarla in modo grossolano, si può assumere che latemperatura di rugiada diminuisca con l’altezza di circa 2 K/km, così che ladifferenza (Tm − Tr)o, che caratterizza la condizione della massa di aria pri-

10È, per definizione, la temperatura a cui inizierebbe la condensazione del vapore acqueo, se lamiscela di aria e vapore venisse raffreddata a pressione costante.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

ma dell’inizio dell’ascesa, vada diminuendo con un tasso di 8 K/km. L’altezzadi condensazione, in metri, risulta quindi data dalla relazione:

hc ∼ 125(Tm − Tr)o 4.10

Tenuto conto delle numerose e poco giustificate approssimazioni, la 4.10 risul-ta spesso più attendibile di quanto uno si sarebbe atteso. Raggiunta la quota hc,l’ascesa dell’aria calda non si arresta, ma il successivo abbassamento di tem-peratura viene parzialmente contrastato dalla condensazione del vapore ormaisaturo; il fatto ritarda il raggiungimento dell’equilibrio statico. In effetti, lacondensazione libera calore e aumenta l’entropia del volume di aria che sale.Pertanto, la curva che rappresenta la variazione di stato della massa ascendentesi discosta dalla linea verticale:

Θm(x2) = cost

di fig. 4.9; tra variazione di entropia e variazione di temperatura potenzialesussiste infatti il vincolo:

d(ln Θ) =ds

cp4.11

il quale impone un aumento di temperatura potenziale come conseguenza del-l’aumento di entropia. La rappresentazione dell’ascesa del volume di aria cal-da e umida si modifica, rispetto a quella schizzata in fig. 4.9, e diviene quelladi fig. 4.13; al di sopra del livello di condensazione, la temperatura potenzialeva crescendo, il che ritarda il raggiungimento della condizione di equilibrio. Ilpunto di incontro tra la curva Θ(x2) - che rappresenta la stratificazione stabiledell’atmosfera - e la curva Θm(x2) - che rappresenta l’evoluzione termodina-mica della massa che sale - si sposta verso l’alto, passando dal livello h1 allivello h2.Il fatto che, al di sopra della quota hc, la temperatura potenziale tenda a cre-scere, implica che la diminuizione della temperatura vera Tm sia meno rapidadei 10 K/km previsti dal gradiente isoentropico. Il gradiente relativo si chiamagradiente termico dell’aria satura; è sempre minore di 10 K/km e dipende dal-la temperatura e dalla pressione della miscela, essendo funzione decrescentedella prima e crescente della seconda. Nelle condizioni tipiche dell’atmosfe-ra risulta compreso tra 4 K/km e 7 K/km; la diminuizione più lenta si ha nelleregioni calde del globo. L’innalzamento della massa di aria calda e umida cheabbiamo descritto produce la formazione di una nube a sviluppo verticale, cheporta il nome di cumulus. Le diverse fasi di formazione della nube sono rap-presentate in successione, da sinistra verso destra, nella fig. 4.14; la massa di

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2h2

h1

hcΘ

Θ

Θm

Fig. 4.13 – Ascesa e stabilizzazione di una massa di aria calda e umida. La cur-va Θ(x2) rappresenta la stratificazione dell’atmosfera; la curva Θm(x2) rappresenta lavariazione di stato della massa ascendente; la quota hc rappresenta la quota di con-densazione, la quota h2 è la quota di equilibrio. La quota h1 rappresenta l’altezza acui si sarebbe arrestata la massa di aria, qualora non avesse contenuto del vaporeacqueo.

x2

hc

Fig. 4.14 – Fasi di formazione di una nube cumuliforme.

aria in ascesa rimane invisibile fin quando non raggiunge il livello di conden-sazione, quindi compare la nube che si estende in verticale - mentre il bordoinferiore rimane fissato al livello hc - e raggiunge la sua altezza massima primadi evaporare e scomparire.

È possibile vedere in una giornata di sole cumuli isolati, i quali rendono ma-nifesta l’esistenza di correnti termiche. La nube non dà un’idea corretta delcampo di moto, poiché appare essenzialmente statica; la base è fissa al livellodi condensazione, mentre la testa - che ha la forma bozzuta di un cavolfiore -palpita e si sfrangia in lembi che rapidamente svaniscono per essere sostituitida altri, così che essa continuamente si ricompone più o meno alla stessa al-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

tezza. In realtà, l’aria penetra dal basso attraverso il bordo inferiore della nubee fuoriesce in alto e lateralmente, mescolandosi con l’aria più secca circostan-te; è la rievaporazione delle gocce il fenomeno che definisce i bordi superiorie laterali del cumulo. La nube contrassegna quella regione del campo di mo-to ove sussiste una popolazione di gocce, mentre risulta invisibile quella partedel campo ove vi è solo vapore. L’aria acquisisce calore dal vapore acqueo almomento della condensazione, e lo restituisce ad una temperatura più bassa diquella a cui lo ha ricevuto, nel momento in cui le gocce trascinate rievaporano,perché la corrente ascendente si mescola in alto con aria secca. L’evaporazioneproduce una miscela con una temperatura più bassa di quella dell’aria circo-stante - quindi di maggiore peso specifico - la quale accelera verso il bassoacquistando energia cinetica. Sebbene siano complicati dalla intermediazio-ne del campo gravitazionale e dalla presenza della dissipazione viscosa, questisono grosso modo i lineamenti di un ciclo termodinamico ove l’energia cine-tica acquisita dall’aria svolge il ruolo del lavoro meccanico di una macchinatermica. Il rendimento del ciclo è basso, perché le temperature estreme nonsono molto diverse tra loro, il che spiega per quale motivo l’energia cineticacoinvolta in un temporale sia di un ordine di grandezza più piccola del caloreliberato per condensazione.

Vale la pena di notare che la salita di una corrente termica e il conseguentemescolamento lasciano una colonna di aria umida, caratterizzata da un gra-diente termico sicuramente meno stabile di quello dell’atmosfera circostante;una successione pertanto di masse di aria calda che si innalzano lungo unastessa verticale, può portare a un notevole sviluppo verso l’alto della nube ri-sultante. Le nubi possono raggiungere quote comprese tra i 10 e i 20 km; difatto vengono confinate verso l’alto dal forte gradiente stabilizzante che ini-zia con la tropopausa. Questi aggregati di nubi hanno forma complessa, chespesso rivela una sequenza di eventi ascensionali successivi, e sono caratteriz-zati da una testa spiattita che sovrasta il tutto. La nube tende ad allargarsi inorizzontale quando incontra un forte gradiente di temperatura potenziale, chele impedisce un’ulteriore ascesa (fig. 4.15). Fotografata da un satellite, la testasembra che si allarghi, schiacciandosi sulla superficie di una sfera di vetro.

Piogge e deposizione di inquinanti

Nelle nubi si innescano le piogge; la dimensione lineare delle gocce inizial-mente formatesi attorno ai nuclei di condensazione tende a ingrandirsi per un

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Fig. 4.15 – Formazione nuvolosa che si allarga in orizzontale a livello della tropopausa.

numero di meccanismi diversi - essenzialmente per collisione e coalescenza -che sono favoriti dal carattere irregolare del moto delle correnti ascendenti.Il processo è più rapido quando una frazione consistente di nuclei ha già inpartenza un diametro più grande di quello dei rimanenti. Nuclei con diametriattorno ai 100 ÷ 200 μm si ingrossano rapidamente per collisione, poiché so-no dotati di moto relativo rispetto agli altri, essendo più grande la loro velocitàdi discesa nell’aria. Quando coll’ingrossamento la velocità relativa delle goc-ce supera la velocità ascendente della termica, inizia la precipitazione. D’altraparte, una popolazione di gocce distribuita in modo più uniforme, con diametrial di sotto dei 20 μm, può rimanere sospesa per lungo tempo.

L’inizio della pioggia genera nella nube correnti di aria rivolte verso il bassoper due motivi:

– vi è un effetto di trascinamento verso il basso esercitato dalle goccesull’aria, uno scambio di quantità di moto dovuto al moto relativo tragocce e mezzo fluido;

– quelle gocce che sono provviste di una forte velocità rispetto alfluido, rievaporano almeno parzialmente e raffreddano l’aria cheattraversano, rendendola più pesante di quella esterna alla nube.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Una volta iniziato, il moto discendente tende ad accelerare, e dà luogo a raffi-che di notevole intensità; il vento si allarga sulla superficie del suolo, rappre-sentando nelle zone limitrofe una sorta di precursore del temporale in arrivo.Nelle formazioni temporalesche di una certa entità le velocità di salita possonoraggiungere qualche decina di metri al secondo11; altrettanto si può dire dellecorrenti discendenti. La presenza di velocità verticali così elevate, concentratein regioni relativamente ristrette, pone dei problemi di volo non solo agli ap-passionati di aquiloni e deltaplani, ma anche ai piloti degli aerei di linea. Ineffetti, nelle regioni subtropicali si possono avere temporali violenti e raffichediscendenti molto veloci; finirci dentro durante un decollo non è in generalebene augurante, come una serie di incidenti avvenuti negli ultimi decenni hadimostrato.Il fatto che le correnti ascendenti possano innescare piogge, ha conseguenzesulla deposizione al suolo di inquinanti. La pioggia svolge un ruolo fondamen-tale nella deposizione di sostanze disperse in atmosfera, poiché i gas vengonotrascinati al suolo disciolti nelle gocce, e il particolato viene catturato e in-globato dalle stesse. Ne deriva che si trovano al suolo concentrazioni più altenelle aree ove più frequenti sono le precipitazioni. Un caso tipico è quello deipendii circostanti i rilievi montuosi; la presenza del rilievo provoca l’ascesa dicorrenti termiche e la formazione di nubi cumuliformi in un primo momen-to, quindi temporali locali e deposizione al suolo (fig. 4.16). Poiché si tratta dieventi che si ripetono nelle stesse aree, ne deriva una distribuzione di inqui-nanti al suolo molto meno uniforme della concentrazione in aria. Per citare uncaso noto, la nube prodotta nel 1986 dall’incidente di Chernobil ha prodottoin alcuni luoghi delle prealpi una concentrazione al suolo di radionuclidi piùgrande, tra cinque e dieci volte, di quella che si poteva rintracciare nel mezzodella pianura padana; il fatto non non può essere attribuito a una disuniformitàdello stesso ordine della concentrazione nell’atmosfera circostante.

Strato limite terrestre: descrizione qualitativa

Si chiama strato limite terrestre quella regione dell’atmosfera aderente al suo-lo, che è sede di imponenti flussi verticali di quantità di moto e di energia

11In alcuni testi, cfr. R.J. Battan, op. cit., si parla di velocità sino ad 80 m/s. Viste le dimensionieccezionali di alcuni chicchi di grandine, non c’è motivo di dubitarne.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Fig. 4.16 – Pioggia localizzata dovuta ad un cumulo nembo.

termica. I flussi sono originati dallo scambio di quantità di moto o di energiacon la superficie terrestre ed hanno carattere convettivo, se si esclude quantoaccade in uno strato di qualche centimetro a diretto contatto con il terreno, ovei fenomeni diffusivi hanno rilevanza. Sono, in altre parole, dovuti alla fluttua-zione della componente verticale della velocità, che porta verso l’alto o versoil basso masse di aria che conservano la propria temperatura potenziale, la pro-pria quantità di moto e il proprio contenuto di vapor acqueo, rimescolando inquesto modo strati orizzontali in condizioni potenzialmente diverse. I linea-menti del moto sono quelli di una corrente turbolenta; torneremo su questoargomento in seguito, con qualche pretesa di maggiore rigore.

Per ora ricordiamo che lo spessore dello strato limite varia ciclicamente nelle24 ore, passando da qualche decina di metri nelle ore di maggiore raffredda-mento della superficie - immediatamente prima dell’alba - ad un valore di unpaio di chilometri, sul finire di una giornata assolata. Il fenomeno che determi-na durante il giorno l’innalzamento del bordo superiore dello strato è l’ascesadi masse di aria calda, con gli inevitabili ricircoli verso il basso che l’accom-pagnano. Si tratta di un campo di moto più complesso di quello determinatoda una termica isolata, di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente. Inquesto caso, si ha un confuso ribollire di volumi di aria che tendono a rime-scolare uno spessore progressivamente più alto di atmosfera, uniformando alsuo interno le variabili di stato trasportate convettivamente. A sua volta, ilfatto che lo strato assuma una temperatura potenziale uniforme, o quasi, nerende possibile l’accrescimento ulteriore, poiché facilita l’ascesa delle termi-che successive; il processo è accompagnato da un continuo flusso di energia

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

5

(a) (b) (c) (d)

10

250 m

500 m

750 m

1000 m

15 20 25 (°C)

Fig. 4.17 – Profili di temperatura potenziale in funzione della quota, in diverse ore delgiorno. Curva (a), ore 5 della mattina; curva (b), ore 8.40 della mattina; curva (c), ore10.30 della mattina; curva (d), ore 17 del pomeriggio.

rivolto dagli strati inferiori verso quelli superiori. Con il calare del sole, l’a-scesa di correnti termiche cessa (strato residuo con stratificazione neutra) e lefluttuazioni della componente verticale di velocità vengono confinate in unostrato adiacente al terreno, ove trovano origine in instabilità del vento di ori-gine puramente meccanica. Nello stesso tempo, il raffreddamento del terrenoche irradia verso lo spazio esterno, particolarmente efficace in assenza di co-pertura di nubi, crea uno strato limitrofo freddo e relativamente pesante, chetende a inibire ulteriormente la fluttuazione verticale e il mescolamento con glistrati superiori. In queste condizioni, se la velocità del vento è bassa, il mo-to turbolento può ridursi a poca cosa - alle scie di eventuali ostacoli presentisulla superficie.L’evoluzione diurna dello strato limite può essere seguito osservando i profi-li verticali di temperatura potenziale media12. Alcuni andamenti tipici sonorappresentati in fig. 4.17, che riproduce delle curve di interpolazione di dati ot-tenuti sul campo, con una tecnica di telerilevamento acustico, in agosto. Lemisure sono state effettuate in una regione piana di media latitudine dell’emi-sfero settentrionale, e la curva più spostata a sinistra - curva (a) - descrive lacondizione che precede il sorgere del sole (ore 05.00). Si ha il minimo della

12Ricordiamo che le correnti turbolente non sono stazionarie; i tracciati di registrazione di qual-siasi grandezza risultano continuamente variabili nel tempo in modo irregolare, e vanno mediatiper dare loro significato e ripetività.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

temperatura potenziale al suolo (∼ 7 ◦C), e quindi una crescita con la quota,con un gradiente positivo molto elevato nelle prime centinaia di metri. Non sinota vicino a terra alcun tratto in cui la temperatura potenziale si mantenga co-stante, il che è sicuro indizio della mancanza di processi di mescolamento. Latemperatura potenziale è infatti una grandezza che viene trasportata inalterataper convezione, e nei processi di mescolamento turbolento tende a distribuirsiin modo uniforme nel volume interessato da questo tipo di moto. Nella cur-va (b), che interpola una serie di misure effettuate poco prima delle ore novedel mattino, si vede chiaramente un tratto con temperatura potenziale più omeno costante, che arriva fino a circa 200 metri, in questo modo rivelando chesi è formato uno strato mescolato di tale spessore. Al di sopra di questa quota,la nuova curva è molto vicina a quella precedente, gli scostamenti essendo po-co significativi. La curva, che si riferisce alla mezza mattina (ore 10.30 circa)rivela uno strato limite con un’altezza di circa 400 metri, mentre nel tardo po-meriggio (curva (d), ore 17 circa) l’altezza dello strato limite supera l’altezzamassima sondabile con lo strumento, perché la temperatura potenziale risultapressoché costante in tutto il dominio della misura (∼ 103 m).Si noti che in nessuna delle registrazioni compaiono gradienti negativi di tem-peratura potenziale, se non in un tratto dell’ultima curva, di poca rilevanza,vicino a terra. Il che non toglie che situazioni come quelle della curva (c) o (d)possano essere comunemente definite come instabili o fortemente instabili, se-condo una terminologia introdotta da Pasquill per caratterizzare le condizionidello strato limite. In realtà il termine ha in questo contesto un diverso si-gnificato, rispetto a quello con cui è stato introdotto nei paragrafi precedenti;non sta ad indicare una condizione statica instabile, ma una corrente turbo-lenta ove la componente fluttuante verticale, dovuta al moto delle termiche, èelevata in confronto alle velocità orizzontali. Si definiscono come instabili, in-fatti, situazioni di forte insolazione del terreno e bassa velocità del vento; intali condizioni, il gradiente della temperatura potenziale può risultare o nullo,o debolmente negativo13, ma mai fortemente inclinato in un senso o nell’altro;

13Non ci pronunciamo sul problema se il debolmente negativo abbia a che vedere con con la di-namica dei fluidi o con la difficoltà delle misure a distanza. Capita tuttavia di vedere misure chedanno, nel pieno pomeriggio di una giornata assolata, gradienti fortemente negativi di tempe-ratura potenziale, associati ad una condizione dello strato limite che viene definita fortementeinstabile. In questo caso, è certo che la dinamica dei fluidi non può essere invocata.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

gg

α

∇θ

θa

∇θ

∇ω

∇ω

αθt

Fig. 4.18 – Corrente ascendente di pendio, Θt > Θa: ipotetica distribuzione laminaredi velocità.

il rimescolamento indotto dalla turbolenza non lo consentirebbe. Tornando al-la figura 4.17, l’altezza in cui i profili mostrano un punto angoloso, perché daquel momento la temperatura potenziale torna a crescere, si chiama quota diinversione. Nel caso che il profilo di temperatura abbia l’andamento della cur-va (a) si dice che si ha inversione al suolo, intendendo con questo che il profiloha gradiente fortemente positivo anche a contatto col terreno; nel caso dellacurva (c), invece, la quota di inversione si trova attorno ai 400 metri, et cet. Ingenerale, nei testi di meteorologia la parola inversione è usata con un criterioun po’ vago, qualche volta per indicare la presenza di uno strato fortementestabile, qualche volta per indicarne il bordo inferiore.

Correnti di pendio. Regimi di brezza

Le correnti di pendio hanno molto in comune con le correnti termiche, a cui insenso lato appartengono. Sono dovute a riscaldamento o raffreddamento del-lo strato di aria a contatto con una superficie in pendenza, hanno un ciclo di24 h, e determinano movimenti di ricircolo con una scala geometrica di qual-che decina di km. La superficie di un pendio insolato impone una variazionedi temperatura all’interno del fluido che la lambisce, con un gradiente direttodal fluido verso il terreno. Se la temperatura della superficie fosse uniforme, erappresentasse l’unico fattore perturbativo della temperatura dell’aria, il gra-diente sarebbe orientato esattamente come la normale interna alla superficie,

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

α

α

θt

θa

Δω

x2

g

∇θ

Fig. 4.19 – Corrente discendente di pendio, Θt < Θa.

per ragioni di simmetria. Si verrebbe pertanto a creare una situazione comequella disegnata in fig. 4.18, in cui il gradiente di temperatura potenziale formacon l’accelerazione di gravità un angolo pari all’inclinazione del terreno; l’ef-fetto accoppiato del campo gravitazionale e del gradiente termico porterebbead una variazione di vorticità, per unità di massa e di tempo14, pari a:

− 1Θ∇Θ × g

Una produzione di vorticità negativa ad asse orizzontale, che avviene con in-tensità uniforme e stessa direzione in tutti i punti di uno piano parallelo allasuperficie calda, non può portare ad una corrente ascendente localizzata, comequella delle termiche isolate. Può originare una corrente ascendente paralle-la all’unica giacitura significativa, che si estende quanto la superficie, e checonfina la vorticità vicino al suolo, ove si trova una rapida variazione della ve-locità con la distanza dalla parete, cfr. fig. 4.18. Nel caso che la superficie siapiù fredda dell’aria, gradiente di temperatura potenziale, vorticità generata evelocità indotta cambiano di segno; si ha la situazione illustrata in fig. 4.19,ove è schizzata una corrente discendente.Nella realtà, correnti ascendenti e discendenti non sono simili, né tantomenosimmetriche rispetto al ribaltamento dell’asse x1, il quale rappresenta la linea

14C. Cancelli, op. cit., 4.6.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

α

x2

H

U

Fig. 4.20 – Distribuzione di velocità medie in una corrente ascendente.

di massima pendenza. La configurazione ipotizzata per la corrente ascendenteè chiaramente instabile, poiché prevede un moto per lamine ove gli strati piùcaldi si troverebbero al di sotto di quelli più freddi. Le correnti ascendenti chelambiscono una superficie inclinata - si chiamano genericamente anabatiche -risultano pertanto turbolente, caratterizzate da un continuo rimescolamento dimasse di aria che si spostano verso l’alto o verso il basso in senso normale al-la superficie. La corrente parallela alla superficie è tuttora rintracciabile nelladistribuzione delle velocità medie; ma per effetto dello scambio di quantità dimoto tra i piani paralleli alla giacitura, dovuto alla fluttuazione, il profilo di ve-locità è notevolmente più piatto di quello ipotizzato inizialmente, cfr. fig. 4.20.Le correnti anabatiche coinvolgono uno strato dello spessore di un paio di cen-tinaia di metri, provvisto di un campo di velocità molto agitato. Adottando itermini della classificazione di Pasquill, dovremmo definirle come altamenteinstabili. Poiché in questo tipo di correnti compare un parametro sicuramenterilevante - l’inclinazione α del terreno - che nella tradizionale classificazionenon si trova, il ricorso alle classi di stabilità è a rigore improprio15. È tutta-

15D’altra parte, uno che si trovi ad applicare in una situazione valliva un modello numericostandard, basato sulle classi di stabilità, non può fare altro.

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via vero che un contaminante, immesso in una corrente di questo tipo, vienedisperso e diluito in breve tempo.Comportamento opposto mostrano le correnti discendenti, o catabatiche; inesse la stratificazione di temperatura varia con la distanza dalla parete freddain modo da risultare stabilizzante, il che ha un effetto soppressivo sulle flut-tuazioni di velocità normali alla parete. Anche eventuali strutture vorticose,presenti nelle scie di ostacoli posti sul terreno, vengono strutturate in sensobidimensionale con una drastica limitazione delle componenti di velocità per-pendicolari al terreno stesso. Ne deriva una corrente discendente, laminare nelsenso proprio del termine, formata da strati che scorrono l’uno sull’altro versoil basso: una lama di aria fredda, il cui spessore non supera, o supera di poco,una decina di metri. Un inquinante viene trasportato da correnti di questo tipoper lungo tratto, senza apprezzabile diluizione.Le correnti ascendenti e discendenti danno luogo alle brezze, venti locali conuna cella di ricircolazione variabile con l’orografia, ma in genere inferiore ai10 km. Il regime di brezza si manifesta ogni qual volta sono assenti, o co-munque deboli, i venti di grande scala. In una valle si ha un regime con ciclogiornaliero, consistente in una corrente diretta come l’asse (cfr. fig. 4.21), ver-so i monti di giorno - brezza di valle - e verso lo sbocco di notte - brezza dimonte - a cui si aggiunge una circolazione trasversale racchiusa entro il solcovallivo. I due aspetti possono combinarsi in vario modo, a seconda dell’in-solazione dei pendii, della natura dei terreni, dell’eventuale copertura nevosa.In genere la componente del moto lungo l’asse della valle si richiude con unacorrente di ritorno poco al di sopra delle vette. Una descrizione classica, chefa riferimento a uno schema canonico almeno per le valli alpine, è fornita daPinna16.Nel caso che la valle sia percorsa da una linea di comunicazione stradale congrande intensità di traffico, inevitabilmente disposta sul fondo e più o menoparallela all’asse, i problemi di inquinamento chimico possono manifestarsiin modo particolarmente grave, non tanto nel periodo di insolazione dei ver-santi, quanto di notte. In una brezza ascendente, o di valle, i prodotti dellacombustione dei motori bene o male vengono dispersi in uno strato di aria dinotevole spessore e trasportati in alto nei valloni che salgono verso le cime,

16M. Pinna, Climatologia, UTET, Torino, 1977.

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Fig. 4.21 – Brezze di monte e di valle: la brezza di monte è indicata con tratto continuo.

i quali esercitano una funzione da camino. Nel periodo notturno, il raffred-damento del terreno che irradia verso lo spazio esterno innesca una brezzacatabatica. Una massa fredda scende lenta e compatta sul fondo, ove raccogliele emissioni di inquinanti come una fogna a cielo aperto; prima dello sboccodalla valle la concentrazione, pur risultando molto variabile da punto a punto acausa dell’assenza di processi dispersivi, può raggiungere valori decisamentepiù elevati rispetto a quelli che si hanno in pianura, nella vicinanza di un assestradale di pari intensità di traffico.

Brezze di lago: microclima lacustre

Regimi di brezza si hanno anche nelle zone costiere, oppure nell’intorno deilaghi. Sono argomenti di non grande rilevanza pratica, per quanto riguarda laqualità dell’aria17; ma una descrizione delle brezze di lago, sia pure schema-tica, può risultare utile quando si debbano valutare le conseguenze microcli-matiche della costruzione di un grande invaso. Le brezze di mare e di lago

17Non ci sembra che sia il pennacchio dei fumaioli a fare della miriade di petroliere un problemaper l’ambiente. L’inquinamento delle zone costiere è stato tuttavia ritenuto un tema interessanteda studiare; si trovano un buon numero di pubblicazioni scientifiche sull’argomento, in generesimulazioni numeriche. Per una ricerca bibliografica, si può iniziare da Z.D. Christidis, Mo-deling of atmospheric pollutant transport and deposition in lakeshore environments, Computertecniques in environmental studies, Springer Verlag, Heidelberg, 1988.

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hanno origine nella diversa temperatura del terreno solido rispetto a quella su-perficiale di una massa di acqua. L’uno e l’altra ricevono la quasi totalità dellaradiazione solare, poiché l’atmosfera ne assorbe solo il 15% circa, ma la lo-ro variazione di temperatura nelle ventiquattro ore è ben diversa. In terreniasciutti di zone temperate si possono avere di giorno, per effetto della radia-zione incidente, aumenti della temperatura superficiale di una cinquantina diKelvin; in una chiara notte di estate18, l’abbassamento notturno rispetto allatemperatura del tramonto può arrivare a circa 10 K19. Rispetto a questa scala divariazione le escursioni diurne della temperatura superficiale di una distesa diacqua risultano del tutto trascurabili. L’acqua ha un calore specifico più gran-de di quello del terreno solido, di circa due volte, ma specialmente è coinvoltafino a una maggiore profondità nello scambio di energia con l’esterno; duran-te il giorno, perché è trasparente alla radiazione in arrivo di piccola lunghezzad’onda, di notte perché il raffreddamento superficiale provoca in essa una in-stabilità statica che porta ad un parziale rimescolamento tra strati di profonditàdiversa20. L’escursione giornaliera di temperatura superficiale è pertanto del-l’ordine di un grado e può essere trascurata in confronto a quella del terrenosolido. Pertanto di giorno il terreno è più caldo, e di notte più freddo del-l’acqua che lo lambisce. È facilmente intuibile quale sia l’effetto di questadifferenza di temperatura sul movimento dell’aria circostante, perché del tut-to analogo a quello descritto a proposito dell’innalzamento delle termiche. Siforma un gradiente orizzontale di temperatura potenziale il quale genera unafamiglia di linee vorticose parallele al terreno, le quali seguono più o meno fe-delmente il bordo del lago, o la costa; le strutture vorticose inducono un campodi velocità come quello rappresentato in fig. 4.22.Ovviamente, il senso di rotazione della vorticità, e le velocità indotte che nederivano, mutano di segno nel passare dal giorno alla notte.

18Una spessa copertura di nubi riflette verso il basso la radiazione del terreno, di maggiorelunghezza d’onda rispetto a quella incidente, limitandone il raffreddamento.

19O.G. Sutton, Micrometeorology, p. 180, McGraw-Hill P.C. Ldt., London, 1953.

20 L’effetto può mancare; l’attivazione del processo richiede che lo strato che più rapidamente siraffredda divenga più pesante di quelli sottostanti. Non è detto che accada, perché la densitàdell’acqua presenta un massimo alla temperatura di 4 ◦C.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

gg

∇θ∇θ

Fig. 4.22 – Brezza di lago.

Nella tarda mattina larghe strutture vorticosa con asse orizzontale si vanno for-mando sul fronte che divide l’aria riscaldata sul terreno insolato, da quella diminore temperatura che sovrasta l’acqua; l’aria calda si innalza richiamandoaria fresca dal lago e il fronte di separazione si sposta verso l’entroterra; si hala brezza di lago. Al di sopra della distesa di acqua si innesca, a compensarela brezza rivolta verso terra, un moto discendente, e la circolazione si chiu-de in alto con un vento che ha senso opposto a quello della brezza. Con ilraffreddamento del terreno che segue il tramonto, prima la brezza di lago siattenua e scompare, poi il movimento grosso modo si inverte, perché l’ariarelativamente calda che lambisce la superficie dell’acqua si innalza.

Il regime di brezza genera un clima particolare in una regione limitrofa allesponde del lago, ove gli sbalzi temperatura e le variazioni di umidità relativavengono limitati, rispetto a quanto accade nell’entroterra. La dimensione del-la regione interessata dipende dall’estensione della cella ricircolante, e quindidal campo di moto. La forma esatta del campo, di giorno e di notte, risultapiuttosto variabile, perché subisce l’influenza del vento di grande scala, nonessendo in genere i laghi protetti da rilievi montuosi, come invece accade perun fondovalle. Tuttavia, esistono molti dati sperimentali e numerose simula-zioni numeriche del campo di moto di una brezza di lago, almeno per quantoriguarda laghi di grande superficie come quelli che si trovano al confine traStati Uniti e Canada, e alcune caratteristiche generali possono essere enun-ciate. L’estensione della cella di ricircolo non supera di notte quella del la-go stesso, mentre di giorno la profondità di penetrazione nell’entroterra dellabrezza di lago è contenuta entro il 30% della dimensione lineare della distesadi acqua. In un caso studiato con particolare cura, quello del lago Michigan

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- estensione lineare di circa 100 km - la profondità di penetrazione massima,in un giorno di piena estate e in assenza o quasi di venti di grande scala, ri-sultava attorno ai 30 km, raggiunti nel pomeriggio inoltrato21. Le variazionipiù significative si avevano ovviamente sul bordo; facendo riferimento a unatipica giornata estiva, che agli occhi di un osservatore nell’entroterra sarebbeapparsa di tempo caldo e asciutto, la temperatura massima sulle rive del lagorimaneva alcuni gradi al di sotto di quella registrata lontano dall’acqua - risul-tava inferiore di 5÷6 K, nelle misure già ricordate - mentre il tasso di umiditàrelativa non scendeva al di sotto del 60%, dato da paragonare con un minimodel 20 ÷ 25%, registrato lontano dalla riva.

La differenza di temperatura nel periodo notturno è ancora più marcata; di not-te, la temperatura dell’aria sul bordo del lago si abbassa di poco; nel momentopiù freddo, prima dell’alba, può rimanere 7 ÷ 8 K più alta di quella dell’en-troterra. Il tasso di umidità relativa raggiunge invece un massimo del 100% inentrambe le regioni - certamente nel microclima di lago, quasi sempre anchein quello continentale. Il dato non deve ingannare; è in realtà il diverso con-tenuto di vapor acqueo il fattore che determina la diversa escursione termicanella fase di raffreddamento. In una notte con cielo non coperto e venti deboli,la temperatura dello strato atmosferico adiacente al terreno scende con rapidi-tà finché non inizia la condensazione del vapore in rugiada, la quale liberandocalore rallenta il processo. Vi sono tre distinti fenomeni che agiscono concor-demente nel limitare l’abbassamento di temperatura in un microclima umido,in confronto a quanto accade in un clima asciutto:

– è minore il flusso netto di energia radiante emessa verso lo spazioesterno; più alta è la concentrazione di vapore acqueo nell’atmosfera,infatti, maggiore è la percentuale di radiazione di grande lunghezzad’onda riflessa verso il basso.

– a parità di energia emessa, la superficie dei terreni umidi si raf-fredda meno di quella dei terreni asciutti, perché i primi hanno unamaggiore conducibilità termica.

21Sono dati sperimentali, cfr. W.A. Lyons, Turbulent diffusion and pollutant transport in sho-reline environments, Lectures on air pollution and environmental impact analysis, AmericanMeteorological Society, 1975.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Fig. 4.23 – Formazione di nubi e pioggia nelle vicinanze di un lago. Pennacchiocatturato dal moto di ricircolo.

– La condensazione di vapor acqueo, che ostacola ogni raffreddamentoulteriore, inizia vicino al lago ad una temperatura dell’aria più alta.Il maggior contenuto di vapore, comporta infatti una temperatura dirugiada più elevata.

A questi aspetti di stabilizzazione della temperatura e dell’umidità relativa,altri si aggiungono nel clima lacustre, anch’essi legati alla preponderante pre-senza dell’acqua. Piove frequentemente nella tarda mattina o nel primo po-meriggio; appena giunta sulla terraferma, la brezza di lago si innalza e cosìfacendo induce formazione di nubi e susseguenti piogge, cfr. 4.23. Durante lanotte, si possono avere sulla superficie del lago nebbie di evaporazione che de-rivano dall’incontro tra la superficie relativamente tiepida dell’acqua e l’ariarelativamente fredda e asciutta - povera di vapore acqueo in valore assoluto -della brezza di terra. Sono nebbie compatte, che occupano strati di limitataaltezza - qualche metro - e che possono migrare verso le rive.Questi sono all’incirca i tratti più tipici di un clima lacustre, indotto da un lagodi grande estensione. Laghi di modesta estensione possono avere anch’essi unnotevole effetto mitigante, qualora siano incassati in un avvallamento circon-dato da un giro di monti, come spesso accade nella regione subalpina. I rilievihanno un effetto protettivo rispetto ai venti di grande scala, e configurano lastruttura ricircolante della brezza come un sistema quasi separato dal resto22;

22L’idea della cella di ricircolazione come di una regione dello spazio all’interno della quale lemasse di aria siano rigidamente confinate, è grossolana; per effetto della continua variabilitàdel campo di moto, niente di simile esiste in senso stretto. Ma è pur vero che si possonoavere regioni all’interno delle quali i fenomeni di trasporto e di mescolamento sono accentuati,

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

l’area interessata coincide con l’estensione della conca, la quale a sua volta haspesso un’area di poco maggiore della superficie del lago. Poiché la radiazio-ne emessa dalla superficie terrestre nella banda di lunghezza d’onda compresatra 5.5 e 7 μm, e in quella superiore a 14 μm, è completamente assorbita dauno strato di aria umida di altezza inferiore a 50 metri, la pozza di aria umidacontenuta nella conca costituisce una sorta di serra, trasparente alla radiazioneincidente e relativamente opaca per quella uscente. Si possono avere in questecondizioni temperature medie nei mesi invernali più alte di 2 ÷ 3 ◦C rispettoa quelle della vicina pianura padana; l’effetto più notevole rimane tuttavia lalimitazione nell’abbassamento della temperatura notturna; tra una zona nelleimmediate vicinanze del lago ed una esterna alla conca possono aversi nellanotte differenze di temperatura minima dello stesso ordine di quelle ricordateper il lago Michigan.Nell’impostare l’analisi delle conseguenze microclimatiche derivanti dalla co-struzione di un bacino artificiale, le considerazioni precedenti possono servireda orientamento; per gli strumenti effettivi di calcolo è bene consultare la let-teratura specifica23. In generale, le variazioni microclimatiche degli invasi nonsembrano, a chi scrive, particolarmente severe per la salute e il benessere de-gli esseri umani. Conseguenze ben più gravi possono derivare da altri aspetti,quali la stabilità dei pendii prospicenti l’invaso; i pochi superstiti di Longaronepotrebbero su questo tema rendere testimonianza. Unica parziale eccezione èforse rappresentata dai bacini di raffreddamento delle grandi centrali di produ-zione di energia elettrica. In questo caso, la temperatura dell’acqua è sempre,di giorno e di notte, più alta di quella atmosferica; quando la differenza ditemperatura supera i 6 ÷ 7 K si ha in autunno inverno formazione di nebbiedense sulla superficie dell’acqua, che possono coinvolgere una regione attornoal bordo della profondità di qualche centinaio di metri. Il livello di umidità re-lativa è vicino al 100%, com’è ovvio. Quello dei bacini di raffreddamento è unargomento molto studiato. Va ricordato che, indipendentemente dalla tecnica

circondate da una regione più ampia ove gli stessi fenomeni sono usualmente ridotti. In questosenso la massa di aria circondata da un giro di monti può essere ritenura una regione separata,fortemente influenzata dalla condizione locale del terreno.

23Un buon testo, a un tempo per l’inquadramento generale e per le procedure di calcolo, è: W.C.Ackermann et al., Man-made lakes: their problems and environmental effects, GeophysicalMonograph 17, American Geophysical Union, Whashington, D. C., 1973.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Fig. 4.24 – Struttura delle correnti termiche nello strato limite terrestre. Le correntiascendenti sono più veloci e quindi più strettamente localizzate di quelle discendenti.

prescelta, lo smaltimento del calore residuo delle grandi centrali ha comunquedelle implicazioni sull’ambiente.

4.3. CONFIGURAZIONI DI MOTO DI GRANDE SCALA

Equazioni indefinite in un sistema rotante

Abbiamo già detto che la dinamica dell’aria negli strati bassi dell’atmosfe-ra trova un elemento determinante nella fluttuazione della velocità verticale;la fluttuazione può essere dovuta a una instabilità puramente meccanica delcampo di velocità, in una regione limitrofa al terreno dello spessore di qualchedecina di metri, ma nel periodo diurno è per la maggior parte costituita daglispostamenti verticali di masse di aria che occasionalmente si trovano ad esseremeno dense, o più dense, dell’aria circostante. Le variazioni di densità deri-vano da interazione dell’aria con il terreno, e sono il risultato di processi chehanno luogo per gran parte nei primi metri di altezza dello strato limite. Lemasse di aria più leggera tendono a salire per effetto della spinta di galleggia-mento - la spinta di Archimede - e innescano un moto di ricircolo, richiaman-do verso il basso, per ragioni di conservazione della massa, una equivalentequantità di aria più fredda, cfr. fig. 4.24.

Si ha in questo modo un campo con velocità verticale in media uguale a zero- se il terreno è piatto, ovviamente - e con una componente fluttuante, piuttosto

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intensa in una giornata insolata, che ha le caratteristiche tipiche dei moti turbo-lenti. Il moto fluttuante verticale trasporta quantità di moto ed energia termica,ridistribuendo queste grandezze tra strati orizzontali diversi, e così determinala distribuzione verticale delle velocità medie orizzontali e delle temperatu-re. La dinamica di questo processo non può essere descritta per mezzo delleequazioni usate nel capitolo precedente (cap. 3), perché in esse mancava l’ac-coppiamento tra campo gravitazionale e variazione di densità, che è il motoredel moto convettivo verticale. Riscriviamo pertanto le equazioni fondamen-tali tenendo conto del campo gravitazionale, nella cosiddetta approssimazio-ne di Boussinesq. L’approssimazione consiste nel mantenere la variazione didensità solo nel termine di accoppiamento con il campo gravitazionale, ove èindispensabile per non perdere l’essenza del fenomeno; in tutti gli altri termi-ni continua ad essere trascurata, indipendentemente dal fatto che essa risulti omeno di piccola entità.Inoltre, ci decideremo a riconoscere che la terra non è un sistema inerziale,poiché ruota attorno ad un asse24. Il fatto non impedisce di adottare un si-stema di riferimento solidale all’orbe, purché si introducano nelle equazionidi quantità di moto i termini inerziali dovuti alle accelerazioni complementa-ri e di trascinamento, come se fossero forze esterne. Si tratta di una proprietàfacilmente deducibile dalla seconda legge di Newton:

ma = F 4.12

ove a rappresenta l’accelerazione della massa, misurata rispetto a un sistemadi riferimento inerziale Σ. Mediante la scomposizione:

a = ar + ac + at

ove ar rappresenta l’accelerazione misurata in un sistema di riferimento noninerziale Σ′, mentre ac e at sono l’accelerazione complementare e quel-la di trascinamento, dovute al moto di Σ′ rispetto a Σ, si può riscrivere

24Fino ad ora abbiamo trascurato il fatto che un sistema di riferimento solidale alla terra, comequello implicitamente assunto, non è inerziale. L’omissione è dovuta a motivi di pigrizia, nondi prudenza. È stato a lungo negato che la terra sia tonda, o che ruoti, da istituzioni di gran-de respiro culturale, quali la Chiesa Cattolica o la Flat Earth Society; ma negli ultimi tempi ildibattito ha perduto l’asprezza che lo ha, a lungo, contraddistinto. In quanto alla pigrizia, pos-siamo ricordare come discriminante che nella dinamica di moti di piccola scala gli effetti chederivano dalla rotazione della terra sono irrilevanti.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

l’equazione 4.12 come:

mar = F −mac −mat 4.13

Dal confronto tra la 4.12 e la 4.13, appare evidente che agli occhi di un osser-vatore solidale al sistema non inerziale Σ′, la legge del moto si presenta comequella di una massa m soggetta al sistema di forze:

F −mac −mat

La nostra equazione di quantità di moto non è altro che l’applicazione del-la 4.12 a una particella di fluido con volume unitario e massa ρ; quindi èsufficiente, per considerare le conseguenze del moto di rotazione della terra,aggiungere alla forza di gravità ρg le due forze inerziali −ρat e −ρac.

In realtà, l’introduzione di −ρat cambia poco o nulla; tale forza per unitàdi volume è essenzialmente quella centrifuga del moto di trascinamento25 epuò essere sommata alla forza peso ρg dando luogo ad un campo di gravi-tà apparente, poco variabile con la latitudine. Salvo il dover dare a g questonuovo significato - quello di accelerazione apparente di gravità, somma vetto-riale del termine effettivamente dovuto all’attrazione gravitazionale e di quel-lo dovuto all’accelerazione centripeta cambiata di segno - non vi sono altrecomplicazioni.

La forza di inerzia dovuta all’accelerazione complementare, o accelerazionedi Coriolis, introduce invece nelle equazioni un termine qualitativamente di-verso da quelli preesistenti, che può indurre comportamenti inaspettati nei mo-ti di grande scala. L’accelerazione complementare di un punto in movimentoè infatti data dal prodotto esterno

ac = 2Ω × u

ove Ω rappresenta la velocità angolare del sistema di riferimento Σ′ - in questocaso, della terra - e u la velocità del punto, relativa a Σ′. La forza per unità divolume che occorre introdurre nell’equazione è pertanto:

−2ρΩ × u

25L’accelerazione di trascinamento è quella che la massa possiederebbe, se fosse solidale al siste-ma non inerziale Σ′. Indicato con n un versore perpendicolare all’asse terrestre, rivolto versol’esterno, si ha quindi: at = −Ω2rn, ove Ω è la velocità angolare della terra ed r la distanzadella massa dall’asse di rotazione.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

ϕ0

x2

P0x3

x1

Ω

Fig. 4.25 – Sistema di coordinate.

la quale agisce come una forza deviante che spinge la velocità u a ruotare insenso opposto alla rotazione terrestre.

Con queste premesse, e ricordando l’approssimazione di Boussinesq,possiamo adottare le equazioni differenziali (cfr. app. A):

∇ · u = 0 4.14

ρ

(∂

∂t+ u · ∇

)u = −∇p+ ρg − 2ρΩ × u + μ∇2u 4.15

Si noti che nell’equazione di continuità sono state cancellate la derivatarispetto al tempo e le derivate spaziali di ρ.

Rimangono da definire il dominio di integrazione e le condizioni di contor-no. Per non complicare il problema con coordinate sferiche, adottiamo unarappresentazione locale dello spazio, sostituendo alla superficie sferica il suopiano tangente in un punto P0. Quanto accade nell’intorno del punto, puòessere descritto con un sistema di coordinate cartesiane ortogonali, affidandoad una di esse (x2) il compito di rappresentare l’altezza sul suolo e alle al-tre due la distanza dal punto di contatto P0, misurata come se il terreno fossepiano. In altre parole torniamo alla filosofia della terra piatta, salvo il consi-derarla un piatto in rotazione con velocità angolare Ω sinϕ (fig. 4.25), con ϕ arappresentare l’angolo di latitudine.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Per quanto riguarda le condizioni al contorno, si ha sicuramente:

u = 0 4.16

per x2 = 0. Per x2 → ∞, la velocità u deve raccordarsi con quella uv delvento in alta quota, la cui forma è determinata dalle struttura di grande scaladel moto atmosferico; in effetti, in un sistema di riferimento solidale alla terra,il moto dello strato limite appare come un moto indotto per trascinamento dauna corrente esterna. In termini stretti, la forma della corrente esterna uv nonè determinante per la dinamica della turbolenza nello strato limite; si potrebbeconsiderare uv come una velocità uniforme assegnata e quindi assumerla comescala delle velocità dell’intero campo. In realtà, la forma e l’evoluzione dellestrutture di grande scala finisce con l’influenzare, sia pure in modo indiretto,la dinamica dello strato limite; conviene quindi spendere qualche pagina suquesto complesso argomento.

Anche il moto in alta quota è turbolento, con tutto quello che la parola si portadietro per quanto riguarda la mancanza di prevedibilità e di ripetitività del-le evoluzioni. Vi sono tuttavia configurazioni di grande scala dotate di unacerta permanenza temporale, che tendono a riprodursi nei loro lineamenti dimassima, e che possono essere rappresentate in modo approssimato rendendoestreme alcune loro caratteristiche. Queste configurazioni non corrispondonomai, alla lettera, a una situazione effettiva; la comprensione delle loro pro-prietà e delle loro carenze rappresenta tuttavia un punto di partenza per un di-scorso più articolato, che finisca col catturare alcuni aspetti della circolazioneatmosferica.

Iniziamo con le configurazioni di vento geostrofico, la cui velocità ug

usualmente si assume come condizione al contorno delle equazioni 4.14 e 4.15:

u = ug 4.17

per x2 → ∞.

Vento geostrofico

Si chiamano configurazioni di vento geostrofico delle soluzioni particolari,stazionarie e di grande scala geometrica, delle equazioni differenziali 4.14 e4.15. È evidente che le due condizioni ipotizzate - moto stazionario e di gran-de scala - permettono di eliminare dall’equazione di quantità di moto le de-rivate rispetto al tempo e i termini dissipativi; ma se la scala geometrica è didimensione continentale, anche i termini convettivi non lineari spariscono di

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

fronte a quello che deriva dall’accelerazione di Coriolis. L’ordine di grandez-za dei primi è infatti ∼ ρU2/L, mentre l’ordine di grandezza del secondo è∼ ρUΩ, così che il rapporto tra i due vale:

Ro =U

LΩove L è la scala geometrica del moto e Ω il modulo della velocità di rotazionedella terra, ∼ 7.2 · 10−5 rad/s. Al rapporto viene dato il nome di numero diRossby26.Per velocità dell’ordine di 10 m/s, una stima ragionevole per un vento di altaquota, il numero di Rossby è ∼ 1, quando è L ∼ 105 m = 102 km. Per con-figurazioni di scala più grande - qualche migliaio di km - i termini convettividell’accelerazione risultano trascurabili rispetto all’accelerazione di Coriolis,la quale dà l’unico termine inerziale significativo dell’equazione di quantitàdi moto. Si ha dunque un sistema il cui equilibrio dinamico è assicurato dalbilanciamento tra forza risultante di pressione, forza di inerzia di Coriolis, eforza peso. Quest’ultima è di gran lunga la forza dominante per l’entità, es-sendo g ∼ 104 volte l’accelerazione complementare, ma agisce solo lungo laverticale; nel piano orizzontale si fanno equilibrio la risultante delle azioni dipressione e la forza deviante di inerzia dovuta all’accelerazione di Coriolis.Proiettando l’equazione di quantità di moto sull’asse verticale x2 si ottiene:

∂p

∂x2= −ρg 4.18

mentre nel piano orizzontale si ha:

∇h(p) = −ρf i2 × ug 4.19

ove f , parametro di Coriolis, vale:

f = 2Ω sinϕ

essendo Ω sinϕ la proiezione di Ω sull’asse x2, passante per un punto del-la superficie terrestre di latitudine ϕ, cfr. fig. 4.25. In quanto a ∇h(p) e ug,si tratta di vettori che giacciono sul piano orizzontale e che rappresentanola componente orizzontale del gradiente della pressione e della velocità delvento. L’equazione 4.18 conferma una cosa già detta più volte, che l’equili-

26È quasi sempre scritto come U/Lf , ove f è il parametro di Coriolis, vedi righe successive.Poiché il discorso va riferito alle medie latitudini - stiamo parlando di configurazioni di scalacontinentale o quasi, collocate tra l’equatore e il polo - la differenza non è rilevante.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Ω sen ϕug

∇hp

ρ fug

Fig. 4.26 – Relazione tra velocità del vento geostrofico e gradiente delle pressioni.

ugug

ug

ug

bassa pressione

alta pressione

isobare

Fig. 4.27 – Isobare e velocità del vento geostrofico.

brio verticale dell’atmosfera è sempre di tipo statico, salvo situazioni locali etransitorie. La 4.19 invece rivela una proprietà inaspettata, che deriva dal ca-rattere non inerziale del sistema di riferimento. È indubbio che ∇h(p) e ug

debbano essere tra loro perpendicolari per assicurare l’equilibrio dinamico,cfr. fig. 4.26; la velocità del vento risulterà pertanto parallela alle isobare, alcontrario di quanto avviene normalmente in laboratorio27.Risolvendo per la velocità, dalla 4.19 si ottiene l’equazione del ventogeostrofico:

ug =1ρf

i2 ×∇h(p) 4.20

Si ha un vento, parallelo alle isobare, che si intensifica ove le linee a pressionecostante si addensano - ove cresce il gradiente ∇h(p) - e che nell’emisfero

27Anche il laboratorio ruota insieme alla terra; è la diversità di scala geometrica a fare ladifferenza.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

settentrionale28 corre avendo l’alta pressione alla propria destra (cfr. fig. 4.27).Questa configurazione del campo non contempla componenti verticali del-la velocità. Assunta una terna di assi cartesiani ortogonali come quellarappresentata in fig. 4.25, dalla 4.20 si ottiene:

∂ug1

∂x1+∂ug3

∂x3=

∂x1

(1ρf

∂p

∂x3

)− ∂

∂x3

(1ρf

∂p

∂x1

)= 0

che per l’equazione di continuità implica la condizione:∂ug2

∂x2= 0 4.21

La componente verticale ug2 è tuttavia sicuramente nulla sulla superficie,quindi per la 4.21 è nulla ovunque.Le proprietà del vento geostrofico - parallelismo tra linee di corrente e lineeisobare, e assenza di componente verticale della velocità - non sono un artefat-to della rappresentazione approssimata della geometria, trasformata da sfericain piana; valgono anche su una superficie sferica, con il centro coincidente conil centro della terra29. Sulla sfera d’altra parte le linee a pressione costante nonpossono che chiudersi su se stesse, attorno a centri di alta o di bassa pressione(cfr. fig. 4.28). Il moto geostrofico pertanto si svolge su superfici sferiche, cir-colando in senso antiorario attorno a centri di bassa pressione, oppure in sensoorario attorno a centri di alta. Le configurazioni del primo tipo si chiamanocicloniche, le seconde anticicloniche (cfr. fig. 4.29).È scontato che, in qualsiasi momento le si osservi, le isobare presentano del-le linee chiuse attorno a centri, di alta o bassa pressione; non lo è altrettantoche il vento in quota abbia carattere geostrofico. In effetti, la soluzione geo-strofica ha richiesto delle condizioni particolari, che in senso stretto non sonomai rispettate. Il moto dell’atmosfera non è stazionario, ma evolve in mo-do continuo; la ricerca di soluzioni stazionarie assume pertanto il significato

28Tutta la discussione che segue si riferisce all’emisfero settentrionale e le configurazione delcampo di moto vengono descritte come osservate dall’alto.

29Lo spessore dello strato di atmosfera di cui stiamo parlando è molto piccolo rispetto al raggioterrestre; la legittimità del passaggio da sfera a piano tangente, e viceversa, è assicurata al dilà degli sviluppi analitici dal criterio di massima che una superficie curva regolare può esseresempre trattata come piana, quando gli eventi che si vuole descrivere si svolgono nelle sueimmediate vicinanze.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Fig. 4.28 – Distribuzione di isobare (linee sottili) sulla superficie della terra.

di ricerca di configurazioni dotate di una certa capacità di permanenza in unastessa regione, caratterizzate da una variazione temporale così lenta da potereessere ignorata. Inoltre, come vedremo, la mancanza di componente verticaledi velocità prevista dalla soluzione non può essere in realtà soddisfatta. Del-le due configurazioni possibili, tuttavia, quella anticiclonica è associata a unlento moto di subsidenza, che non inficia in modo significativo il modello ma-tematico del vento geostrofico. I centri di bassa pressione invece comportanomoti ascendenti e discendenti di notevole entità, e una dinamica così vivaceda rendere poco credibile la corrispondenza tra realtà e soluzione staziona-ria. Situazioni anticicloniche sono frequenti nei periodi di maggiore stabilità,in inverno o estate. Presentano l’apparente stranezza di un vento che circo-la attorno ad un centro di alta pressione, una situazione non osservabile in unsistema di riferimento inerziale, ove la pressione si abbassa inevitabilmenteverso il centro di curvatura delle traiettorie per effetto centrifugo. D’altra par-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

(b) (a)

ug

Fig. 4.29 – Configurazioni cicloniche (b) e anticicloniche (a).

te neppure in un sistema rotante i termini centrifughi dovuti al moto relativo30

potrebbero essere ignorati, in confronto a quelli di Coriolis, nella zona centraledella configurazione, dove la distanza dal centro di alta pressione si riduce al disotto del valore critico di 100 km. Nella realtà non si ha movimento significa-tivo nella zona centrale di un anticiclone; il sistema è costituito da una regionecentrale quasi statica, con pressione poco variabile; soltanto a grande distanzadal centro la pressione si abbassa in modo marcato e il vento assume velocitàelevata lungo traiettorie quasi rettilinee, in accordo con l’equazione 4.20.

Vento termico. Sistemi barotropici e baroclini

L’equazione 4.20 non contiene alcuna informazione esplicita su come vari ilvento in funzione della quota; tuttavia, se accoppiata con l’equazione di equili-brio verticale 4.18, può dare conto della variazione con l’altezza del vento, chederiva da un maggiore o minore addensamento delle isobare nei diversi pianiorizzontali. Si può dimostrare che, in presenza di un gradiente orizzontale ditemperatura, si ha una distribuzione di isobare nei piani orizzontali che cambiacon la quota, a causa del diverso peso della colonna d’aria che separa i pun-ti di una stessa verticale, in accordo con l’equazione di equilibrio statico 4.18.La variazione di temperatura tra punto e punto di uno stesso piano orizzonta-

30Sono dell’ordine di ρu2g/r, ove r è il raggio di curvatura delle traiettorie.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

le induce una corrispondente variazione di densità, e quindi un modo diversodi variare della pressione con la quota. Si ha infatti, dall’equazione 4.18 edall’equazione di stato dei gas perfetti:

1p

∂p

∂x2= − M

RT gquindi:

∂ ln p∂x2

= − MRT g 4.22

La 4.22 può essere integrata lungo la verticale, quando si conosca la tempera-tura T (x) dell’atmosfera e la distribuzione di pressione po(x1, 0, x3) a livellodel mare. Si ottiene:

p = po exp [−F (x)] = poΦ(x) 4.23

ove:

F (x) =∫ x2

0

MRT (x)

gdx2

La 4.23 permetterebbe, nota T (x), di calcolare la pressione su un genericopiano orizzontale, e pertanto anche la componente orizzontale ∇h(p) del gra-diente che compare nella espressione 4.20 del vento geostrofico. Di fatto, inmeteorologia si trova più utile dare del campo di pressione una descrizione di-versa dalla 4.23. Si considera nota la distribuzione po(x1, 0, x3), che si avrebbesu una superficie immaginaria i cui punti fossero tutti al livello del mare - ot-tenuta correggendo i valori effettivamente misurati sulla superficie reale, pereliminare l’influenza della quota - e quindi si assegna l’altezza h, sulla verti-cale passante per il punto di coordinate (x1, x3), a cui occorrerebbe portarsiper trovare una pressione generica p. È un modo di organizzare i dati che pro-babilmente riflette l’uso di palloni sonda, fatti salire più o meno in verticaleper esplorare lo stato dell’atmosfera. Da un punto di vista formale si tratta diuno scambio di variabile indipendente; la relazione

p = poΦ(x1, x2, x3)

diviene:

x2 ≡ h = h(x1, x3, p, po) 4.24

la quale va letta come l’altezza h, misurata lungo la verticale passante per ilpunto di coordinate (x1, 0, x3), per cui la pressione è scesa da po, valore allivello del mare, a p. La pressione p figura nella relazione 4.24 come indi-pendente. L’equazione 4.22 di equilibrio statico dell’atmosfera, risolta per la

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

x3

Δh ∝ T

p

p+Δp

Fig. 4.30 – Altezza della colonna d’aria che separa due superfici isobare: l’altezza Δh

è proporzionale alla temperatura assoluta T dell’atmosfera.

nuova variabile dipendente h, si trasforma in:

δh = −RTMg

δ(ln p) = −RTMg

δp

p4.25

La 4.25, ove il simbolo δ indica una variazione ottenuta mantenendo costan-ti x1 e x3, mette in luce una proprietà degna di nota: l’altezza della colonnad’aria, che separa due punti a diversa pressione, risulta proporzionale alla tem-peratura assoluta dell’aria stessa. La proprietà è illustrata in fig. 4.30, ove sonorappresentate le linee di intersezione con un generico piano verticale di due di-verse superfici a pressione costante; a parità di altre condizioni, la distanza inverticale fra le due isobare risulta proporzionale a T . Ne deriva che, in assen-za di componenti orizzontali del gradiente di temperatura, una stessa riduzionepercentuale di pressione richiederebbe uno stesso innalzamento δh.

L’assenza di gradiente non è ipotesi realistica; la temperatura dell’aria in vi-cinanza del suolo varia per interazione con il terreno, se non altro al variaredella latitudine. Assumiamo pertanto che esista un gradiente orizzontale ditemperatura, la cui direzione viene fatta coincidere con l’asse x3, e vediamodi riscrivere l’equazione del vento geostrofico in una forma coerente con ilnuovo modo di rappresentare il campo di pressione. Nell’equazione 4.20 delvento geostrofico:

ug =1ρf

i2 ×∇h(p)

figura il gradiente orizzontale di pressione, calcolato mantenendo costante l’al-tezza h. La funzione 4.24, che noi supponiamo di conoscere, ci permette inve-ce di trovare quale sia il gradiente dell’altezza h di una superficie a pressionecostante, che indichiamo con il simbolo ∇p(h). Al fine di individuare la re-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

x3

i3 Δh(T)

Δp(h)

AB'

B

p = ωst

Fig. 4.31 – Sezione di una superficie a pressione costante.

lazione che lega i due gradienti si consideri la fig. 4.31, ove è rappresentatal’intersezione di una superficie isobara con un piano verticale, passante per ungenerico punto A, che contiene la linea di massima pendenza della superficiestessa; in altre parole, tale che la direzione x3 rappresenti in figura la direzionedi più ripida variazione di h, e quindi anche quella del gradiente orizzontale ditemperatura, che alla prima è strettamente legato (cfr. eq. 4.25).

Il gradiente orizzontale di pressione vale:

∇h(p) = limB→A

(pB − pA

x3B − x3A

)i3

e il valore pA può essere sostituito con la pressione del punto B′, cheappartiene alla stessa isobara del punto A. Si ottiene in questo modo:

∇h(p) = limB→A

(pB − pB′

x3B − x3A

)i3 = − lim

B→A

(pB′ − pB

x3B − x3A

)i3 4.26

La differenza (pB′ − pB) che vi compare può essere espressa per mezzodell’equazione di equilibrio statico come:

pB′ − pB � −ρg(hB′ − hB)

che nel limite B → A, diviene l’espressione esatta:

δp = −ρgδhSostituendo la differenza di pressione (pB′ − pB) con la differenza di quotanella 4.26, e andando al limite, si deriva la relazione cercata:

∇h(p) = ρg∇p(h) 4.27

La 4.27 mostra che i due gradienti sono paralleli e che a una maggiore pen-denza del contorno isobarico, indicato in fig. 4.31, corrisponde un addensar-si di linee a pressione costante nel piano orizzontale. L’equazione del vento

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

x3

α1

α0

p=p1

p=p0

Fig. 4.32 – La velocità del vento geostrofico è proporzionale alla tangente dell’angoloα di inclinazione dei contorni isobarici. Quando i contorni non sono tra loro parallelisi ha una variazione dell’angolo di inclinazione con la quota, e quindi una variazionecorrispondente della velocità ug. Alla variazione di ug viene dato il nome di ventotermico.

geostrofico può essere ora espressa in una nuova forma:

ug =g

fi2 ×∇p(h) 4.28

che non contiene la densità. La 4.28 ha il vantaggio di dare la velocità delvento geostrofico in funzione di un unico parametro, la pendenza α del profilodella superficie isobarica. Si ha infatti, cfr. fig. 4.32:

∇p(h) = (tanα)i3

ug =g tanαf

i2 × i3 4.29

Quando i contorni isobarici mostrano alle diverse altezze un’inclinazione va-riabile, come quelli che compaiono nello schizzo di fig. 4.32, si ha una varia-zione della velocità ug con la quota, a cui viene dato il nome di vento termico.L’origine del nome può essere spiegata in poche parole. Si immagini che le su-perfici a pressione costante siano anche a temperatura costante; in tal caso, perla proprietà messa in luce dalla relazione 4.25 e rappresentata nella fig. 4.30,qualsiasi colonna d’aria verticale compresa tra due superfici isobare avrebbela stessa altezza, e i contorni isobarici sarebbero ottenibili gli uni dagli altricon una traslazione. Non si avrebbe alcuna variazione della pendenza α con laquota, né variazione di intensità del vento geostrofico. Una parte di atmosferache si trovi, almeno approssimativamente, in questa condizione viene indicatacol termine di sistema barotropico o quasi-barotropico. Si può osservare che,

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

vigendo questo forte vincolo, la densità dell’aria può cambiare solo nel pas-saggio da una superficie isobarica ad un’altra, il che giustifica l’esistenza diuna relazione univoca:

ρ = ρ(p)

In presenza di un forte gradiente orizzontale di temperatura, la condizionebarotropica non può sussistere. I contorni isobarici tendono ad aprirsi come unventaglio nel senso delle temperature crescenti, e l’angolo di inclinazione deiprofili isobarici cresce verso l’alto, come la velocità del vento. La situazioneviene definita baroclina, ed è rappresentata in fig. 4.33. Il vento geostroficovaria con la quota, perché varia lungo la verticale l’inclinazione α dei contorniisobarici. Il vettore utm che esprime la differenza tra le velocità geostrofichea due diverse altezze è dato dalla relazione:

utm = ug − ugo =g

f(tanα− tanαo)i2 × i3 4.30

e viene chiamato vento termico, perché è legato all’esistenza di un gradien-te orizzontale di temperatura31. Uno schema riassuntivo della situazione deiventi è rappresentato in fig. 4.34: il vento termico è orientato come l’asse x1,in direzione perpendicolare alla componente orizzontale del gradiente di tem-peratura, si intensifica verso l’alto e corre avendo l’aria più calda alla propriadestra.Finora si è supposto che la componente orizzontale del gradiente di tempera-tura mantenga una stessa direzione col variare della quota; in questo quadro,il vento termico cresce verso l’alto, ma mantiene direzione costante. In gene-rale, la direzione della componente orizzontale del gradiente termico cambiacon l’altezza e questo comporta una rotazione con la quota della direzione delvento. Il modo di variare del vettore ug, nel passaggio tra una superficie apressione costante e un’altra, è dato dall’equazione differenziale:

∂ug

∂(ln p)= − R

Mf[i2 ×∇p(T )] 4.31

ove ∇p(T ) rappresenta il gradiente di temperatura, misurato spostandosi suuna superficie isobara. La 4.31 si ottiene scrivendo la differenza che passa trale velocità del vento geostrofico, che si trovano lungo la stessa verticale su

31Una variazione verticale di temperatura è sempre presente, pur non inducendo alcun processodinamico.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2 p2

p1

p0

α2

α1

α0

x3

Δh(T)

Fig. 4.33 – Atmosfera baroclina: i contorni isobarici formano un ventaglio di lineeche si aprono nella direzione della temperatura più alta. L’angolo di inclinazione α

va crescendo verso l’alto.

due superfici a pressione costante, p e p1, e quindi procedendo al limite perp1 → p+ dp.

Masse e fronti. Correnti a getto

In senso stretto, la condizione dell’atmosfera è sempre baroclina. Vi è unavariazione orizzontale di temperatura vicino al suolo, indotta dalla diversatemperatura di questo. Trascurando le anomalie locali, la temperatura dellasuperficie terrestre va diminuendo dall’equatore al polo, per effetto della va-riabile inclinazione della superficie rispetto alla radiazione solare incidente, el’atmosfera ne subisce l’effetto. Se si rappresenta la situazione dell’atmosfe-ra per mezzo di una distribuzione di grandezze mediate - nel tempo per unperiodo sufficientemente lungo, oppure sulla superficie per un’area sufficien-temente estesa32 - il gradiente termico appare diretto lungo i meridiani, salvo

32Non è importante al fine di una descrizione qualitativa che si distingua tra medie temporali emedie di superficie. Le une e le altre sfumano le variazioni, eliminandone quelle componentiche sono di più piccolo periodo o di più piccola scala. La rappresentazione appare come velatada un fortissimo effetto diffusivo, implicito in qualsiasi operazione di media che venga appli-cata ad un moto con aspetti erratici; il concetto vale comunque, non solo per la dispersione diinquinanti.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

x1

x3

Δh(T)

Fig. 4.34 – Vento termico: la direzione x3 è quella di massima variazione orizzontaledella temperatura; il vento termico è diretto come x1 e il suo modulo cresce con laquota x2.

distorsioni dovute alla distribuzione delle terre e delle acque. In perfetta cor-rispondenza, si trova un vento diretto da ovest verso est, la cui intensità crescecon la quota, e che raggiunge il massimo all’altezza della tropopausa, ove lacomponente meridiana del gradiente termico si annulla. La zona di massimaintensità del vento viene indicata col termine di corrente a getto e si trova al-le medie latitudini, spostata maggiormente verso sud nel periodo invernale,quando la velocità del vento può raggiungere valori attorno ai 30 ÷ 40 m/s(100 ÷ 140 km/h); l’asse del getto è collocato, più o meno, all’altezza dellatropopausa. Dunque, se si eliminano le variazioni di breve periodo, la relazio-ne che intercorre tra la temperatura e il movimento dell’aria nella troposfera èin buon accordo con la teoria del vento termico.

Quando si studia l’evolvere giorno per giorno della troposfera, si trova ov-viamente una maggiore variabilità e complessità di configurazioni. Per darneuna descrizione in qualche modo soddisfacente conviene ricuperare la distin-zione tra sistemi barotropici e sistemi baroclini, almeno in senso relativo, perdistinguere tra regioni che appaiono in condizioni quasi uniformi, per quantoriguarda temperatura e contenuto di vapor acqueo - quindi barotropiche o qua-si - ed altre in cui si hanno variazioni di stato molto intense in breve distanza,ove breve va inteso in senso relativo alla dimensione orizzontale caratteristica

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

delle prime33. Le masse relativamente omogenee sono originate da periodi diresidenza a contatto con superfici di temperatura poco variabile, superfici deglioceani o continentali, e derivano le loro caratteristiche dal luogo di formazio-ne; si hanno masse fredde e asciutte, temperate e umide, oppure calde e asciut-te et cet., a seconda che questi estesi corpi di aria abbiano subito l’influenzalivellatrice del Canada o della Siberia, dell’oceano oppure dei deserti africani.Quando uno squilibrio di pressione ne accelera il movimento, essi tendono amigrare incuneandosi in regioni di condizioni diverse, e in questo modo deter-minano zone di transizione fortemente barocline, perché caratterizzate da fortigradienti orizzontali; si tratta della consueta irregolare intensificazione dei gra-dienti che caratterizza i moti caotici. Nel linguaggio dei meteorologi i corpidi aria in condizioni quasi uniformi vengono chiamati semplicemente masse,dando spesso per sottinteso l’attributo di quasi-uniformità, mentre le regioni dilimitato spessore in cui avviene la transizione vengono chiamate fronti. Que-sta articolazione dello stato della troposfera permette una comprensione dellasua dinamica, almeno in senso largo.

Le regioni barotropiche sono essenzialmente stabili; in esse è difficile, se nonimpossibile, che si sviluppi una perturbazione di grande intensità; manca inun campo di velocità poco variabile la vorticità indispensabile per il trasfe-rimento di energia tra componenti diverse del campo. Gli elementi dinamiciche determinano l’evoluzione del sistema si trovano nelle zone di transizione,che hanno uno spessore compreso tra 100 e 200 km; in un fronte si incontra-no due masse di aria di diversa densità, e quella di densità minore - in generequella di temperatura più alta - si innalza sopra la massa di maggiore peso spe-cifico, portando alla formazione di nubi e quindi alla pioggia. Il passaggio diun fronte provoca maltempo e cambiamento di condizioni climatiche, per ilsemplice motivo che comporta la sostituzione di una massa con un’altra. Laregione del fronte è fortemente baroclina, quindi atta a fenomeni di intensifi-cazione o indebolimento di strutture perturbative. Il gradiente di temperaturainduce la variazione dell’intensità del vento con la quota; nei pressi dei fronti,e al di sopra di essi, si trovano le realizzazioni istantanee delle correnti a getto,le quali sono orientate, grosso modo, in senso ortogonale al gradiente orizzon-

33Nel parlare di variazioni si intende variazioni orizzontali.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Fig. 4.35 – Sezione di una corrente a getto.

tale di temperatura, e quindi risultano approssimativamente parallele al frontestesso34.Le correnti a getto si comportano, nei confronti dell’aria circostante, come lacorrente di un canale veloce che si immette in un fiume sonnolento, tanto percitare un caso più facile da osservare; danno luogo ad una zona centrale di altavelocità, circondata da regioni instabili, ove si formano strutture vorticose chepossono creare dei problemi agli aerei che vi volino all’interno. La fig. 4.35

cerca di rendere l’idea.In effetti, le configurazioni di moto dell’atmosfera mostrano spesso i tratti del-le correnti di scorrimento - shear flows, come generalmente vengono chiamatecon il loro nome inglese. Si hanno campi di moto ove la velocità è orientataprevalentemente in una direzione, mentre il suo modulo varia in una direzioneortogonale, cfr. fig. 4.36. Le instabilità di queste correnti, il cui studio rappre-

34Può sembrare poco credibile che la proprietà di una soluzione stazionaria, come quella delvento termico, trovi riscontro in una situazione in rapida evoluzione, come quella di un fronte.Quello che si può chiedere a una soluzione stazionaria è di rappresentare la configurazioneverso cui si porta un sistema, quando un insieme di fattori, che nella soluzione stazionaria noncompaiono, tende a stabilizzarlo; in breve, l’equazione del vento geostrofico non spiega comeil vento si formi, né perché risulti stabile. Tuttavia, il fatto che si generi una variazione divelocità con l’altezza, sotto l’azione del campo gravitazionale e di un gradiente orizzontale didensità, può essere visto in una prospettiva più generale. Una variazione di velocità con la quotacomporta vorticità ad asse orizzontale, e la comparsa di questa grandezza può essere attribuitaal termine di produzione Sρ × g, che si trova nella equazione della vorticità (Cancelli, op. cit.,4.3). Abbiamo già utilizzato questo argomento per spiegare come si formino, su una scala piùpiccola, le correnti di pendio.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x2

x1

Fig. 4.36 – Correnti di scorrimento (shear flows): la velocità è diretta nel senso di x1,mentre il suo modulo varia lungo x2. I profili di velocità sono resi instabili dalla presenzadi punti di flesso.

senta un capitolo classico della dinamica dei fluidi35, hanno un ruolo nel de-terminare lo sviluppo delle pertubazioni atmosferiche. Anche la formazionedi un centro di bassa pressione nelle medie latitudini, sebbene sia un fenome-no a cui danno contributo numerosi fattori - corrente ascendente nella regionedi convergenza, vorticità secondaria e stiramento, formazione di nubi e pre-cipitazioni piovose - e che può avere esiti molto diversi, almeno per quantoriguarda la violenza, trae spunto da una instabilità all’inizio di natura mera-mente meccanica, caratteristica delle correnti di scorrimento. Lo schema disviluppo dell’instabilità è rappresentato in fig. 4.37, in proiezione orizzontale.A bassa quota il campo di moto prodotto dai fronti è tridimensionale e com-plesso. Si hanno correnti ascendenti e discendenti, quindi inevitabilmente zo-ne di convergenza o di divergenza delle linee di corrente nei piani orizzontali;una corrente ascendente, ad es., richiede in basso una zona di convergenzadelle linee di corrente che la alimenti, e una di divergenza in alto ove torna adallargarsi in orizzontale. Il vento è tutt’altro che geostrofico; sia quello cal-do, sia quello formato da aria fredda soffiano attraverso le isoterme verso ilfronte, ove tendono a concentrare le differenze di temperatura, innalzandoneil gradiente.I fronti hanno dinamiche diverse, a seconda che sia l’aria fredda che avanzarispetto alla superficie terrestre, incuneandosi sotto l’aria di maggiore tempe-ratura, cfr. fig. 4.38, 4.39, oppure l’aria calda che, scorrendo sopra quella ditemperatura minore, la spinge indietro per trascinamento, cfr. figg. 4.40, 4.41.

35Cfr. Tritton, op. cit., 17.6.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

ωC

C

C

C

vento freddo

vento freddo

vento freddo

vento caldo

vento caldo

vento caldo

posizioneiniziale

del fronte

Fig. 4.37 – Fase iniziale della formazione di un centro di bassa pressione. Nelle vi-cinanze del punto C, in una regione intermedia tra due strutture di moto circolantientrambe in senso orario, scorrono lungo la superficie di separazione volumi di ariafredda in direzione ovest, e volumi di aria calda in direzione est, (a). Le masse hannoun movimento che è coerente con l’appartenenza a due configurazioni anticicloniche,con centri di alta pressione spostati verso l’equatore per l’aria calda, e verso il poloper l’aria fredda; in C, ove la pressione è vicina al minimo, si incontrano alle medie la-titudini aria di provenienza tropicale e aria di provenienza polare. Una perturbazionecasuale del fronte di separazione si amplifica spontaneamente, (b), (c), dando luogo aifronti freddo e caldo schizzati in (d), che tendono a ruotare in senso antiorario, avendoC come centro .

Nel primo caso il fronte viene definito freddo, nel secondo caldo. In fig. 4.38,schizzata senza pretese di generalità, l’aria fredda avanza verso destra sot-to l’aria calda che è costretta ad alzarsi; il vapore contenuto nell’aria che saleforma, condensandosi, la nube che sovrasta il fronte, e il carattere agitato dellacorrente calda ascendente favorisce la pioggia. Si noti che la pioggia precipitain gran parte nell’aria più fredda e più secca che si trova al di sotto, ove subisceuna parziale rievaporazione, raffreddando ulteriormente il cuneo che avanza;

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

superficie fronte

aria fredda

aria caldaA

B C

Fig. 4.38 – Fronte freddo: la massa di aria fredda si incunea sotto l’aria più calda,muovendosi verso destra. L’aria calda è sollevata in alto e respinta indietro; sollevan-dosi, provoca formazione di nubi e pioggia nella regione A. Nella regione B si ha unacorrente discendente di aria fredda che si allarga in orizzontale vicino al suolo, spin-gendosi fino a C ove anticipa l’arrivo della pioggia con un improvviso e forte colpo divento.

aria fredda

Fig. 4.39 – Rappresentazione simbolica del fronte freddo su un piano orizzontale.

si ha un elemento spontaneo di intensificazione della differenza di densità chealimenta il moto.

Un tipico fronte caldo è disegnato in fig. 4.40; anche in questo caso il frontesi sposta verso destra, e l’aria fredda si ritrae trascinata da quella calda che viscorre sopra. Manca il fenomeno di intensificazione spontanea che si trova neifronti freddi; la rievaporazione dopo la pioggia tende in questo caso ad agireda freno.

Nelle carte meteorologiche il bordo anteriore di un fronte è indicato con unalinea continua, dotata di punte triangolari nel caso che il fronte sia freddo,e di semicerchi nel caso sia caldo. La linea rappresenta l’intersezione tra la

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

aria freddaaria calda

Fig. 4.40 – Fronte caldo: la massa di aria calda scorre sopra quella fredda,costringendola a ritirarsi verso destra. L’ascesa di aria calda produce nubi e piogge.

Fig. 4.41 – Rappresentazione simbolica del fronte caldo.

superficie terrestre e la superficie che schematicamente divide due masse diaria in condizione diversa; i triangoli o i semicerchi sono disposti nel verso diavanzamento del fronte, cfr. fig. 4.39 e fig. 4.41.Dei due tipi di fronte, quello il cui arrivo comporta il cambiamento più dra-stico e subitaneo è il fronte freddo, che in genere avanza più velocemente edè accompagnato da una pioggia intensa. Un fronte caldo porta quasi sem-pre una transizione più graduale; può provocare della pioggia moderata, mapersistente.36

36Vi possono essere piogge lievi anche con un fronte freddo, nel caso che un forte vento in quotadisperda rapidamente la nube che si viene formando al di sopra; in montagna si può notare unfenomeno simile, quando il vento all’altezza delle punte dirada i cumuli prima che raggiunganodimensioni minacciose, anche in una giornata di forti brezze ascendenti.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

aria freddaaria fresca

aria calda

Fig. 4.42 – Fronte occluso: incontro di tre masse con temperatura diversa.

aria fredda

aria calda

aria fresca(a)

(b)

fronte occluso~ ~~

~~

~~

~~

Fig. 4.43 – Fronte occluso rappresentato in proiezione orizzontale: (a) massa di ariacalda imprigionata tra due fronti; (b) formazione di un fronte occluso.

Infine, si hanno sistemi in cui interagiscono tre masse di temperatura diversa,quella più calda essendo costretta a sollevarsi per l’incontro delle altre due; lasituazione è schizzata in fig. 4.42. In tal caso si dice che il fronte è occluso,e la sua posizione in proiezione orizzontale è rappresentata da una linea ovetriangoli e semicerchi si alternano, cfr. fig. 4.43.

A buon senso, si direbbe che l’occlusione rappresenti la fase finale di unasituazione abbastanza comune, quella che vede dell’aria calda insaccata tradue masse di temperatura più bassa, imprigionata tra due fronti che ruotanoentrambi in senso antiorario, con un centro di bassa pressione dalle parti delpunto ove i due si intersecano, cfr. fig. 4.43. Poiché il fronte freddo si spostapiù rapidamente dell’altro, l’aria calda nel mezzo è costretta ad innalzarsi,dando luogo a pioggia intensa, e finirà col trovarsi del tutto al di sopra dellasuperficie terrestre, cfr. fig. 4.42. Tuttavia, alcuni meteorologi ritengono che

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

non sia questa l’origine più frequente delle occlusioni; in questo campo, pochecose sono certe.

L’arrivo di un fronte provoca un brusco abbassamento della concentrazionedi inquinanti nell’atmosfera, sia perché la pioggia accelera la deposizione alsuolo, sia perché correnti ascendenti e discendenti rimescolano il tutto in unostrato di notevole altezza. Se si ha in programma una campagna di misure percontrollare la qualità dell’aria, o addirittura per verificare le previsioni di unmodello di dispersione, conviene evitare i giorni di passaggio di un fronte, equelli immediatamente successivi, per numerose e ovvie ragioni.

Influenza del terreno sul vento geostrofico. Spirale di Ekman

La superficie del suolo, imponendo la condizione di aderenza: ut = 0, sottraeall’aria quantità di moto, come accade in qualsiasi corrente che scorra soprauna parete. Nel caso che il terreno agisca su una configurazione di vento geo-strofico, nelle sue vicinanze si ha un secondo effetto, meno prevedibile del pri-mo: la velocità ruota rispetto a quella del vento in alto nello stesso senso dellarotazione terrestre, quindi in senso antiorario, quando la si osservi dall’altonell’emisfero settentrionale. Se l’interazione con la superficie fosse trasmes-sa all’interno del fluido per mezzo della viscosità molecolare, il passaggio davelocità nulla a velocità geostrofica, rotazione compresa, si concluderebbe inbreve distanza, in uno strato alto un metro o poco più. In realtà, la trasmissio-ne del deficit di quantità di moto arriva ben più in alto, perché è affidata allafluttuazione turbolenta dello strato limite; in parte originata da instabilità mec-canica, in parte da convezione termica, la fluttuazione verticale di velocità èpiù efficace della diffusione molecolare nel trasferire quantità di moto tra i pia-ni orizzontali. È un esempio canonico di interazione tra moti di scala diversa;la componente turbolenta del moto nello strato limite, di piccola scala in con-fronto a quella del vento geostrofico, influenza il modo con cui quest’ultimovaria con l’altezza.

Per mettere in evidenza l’accoppiamento tra questi due aspetti, si può mediarele equazioni del moto e adottare la velocità del vento geostrofico come condi-zione di contorno al di sopra dello strato limite. Il risultato dell’operazione dimedia è sempre sostanzialmente identico, qualunque sia l’operatore adottato;si ottengono delle equazioni evolutive per le grandezze mediate, all’internodelle quali compaiono come funzioni incognite le correlazioni delle compo-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

nenti fluttuanti, a testimoniare il fatto che non è possibile ignorarle37. Poichétuttavia il vento geostrofico rappresenta una soluzione stazionaria, può sem-brare coerente scegliere una media temporale di lungo periodo, in modo datrascurare le derivate rispetto al tempo.

Sostituendo alle grandezze istantanee i loro valori medi temporali, e aggiun-gendo agli sforzi viscosi il tensore degli sforzi di Reynolds, secondo lo schemadi sostituzioni illustrato in 3.3:

ut → U

p→ P

μ→ μ+ μt

si ottengono dalle equazioni 4.14, 4.15 quelle mediate:

∇ · U = 0 4.32

(ρU · ∇)U = −∇P + ρg − 2ρΩ × U + (μ+ μt)∇2U 4.33

a cui si aggiungono le condizioni di contorno:

U = Ug per x2 → ∞ 4.34

U = 0 per x2 = 0 4.35

Nello scrivere le 4.32 e 4.33 si sono ignorate le derivate parziali rispetto al tem-po e si è considerata costante la densità. Inoltre, si è espresso il tensore deglisforzi di Reynolds nel modo più semplice, cfr. 3.3, introducendo la viscositàdinamica turbolenta, e quindi trattando anche questa grandezza come se fosseuna costante, in perfetta analogia con quanto si fa usualmente con la viscosi-tà molecolare. Non è affatto vero che la viscosità turbolenta sia poco variabilein quella parte dello strato limite più vicina al suolo; e in quanto alla densi-tà, sono le sue variazioni orizzontali quelle che producono il vento termico.Nel contesto di questa analisi, tuttavia, le approssimazioni adottate risultanoaccettabili.

37Se l’operatore non soddisfa le condizioni di Reynolds, cfr. 3.1 - come nel caso che si effettuila media su un elemento di volume finito, ad es. - si hanno differenze formali di poco conto; ilineamenti essenziali del problema rimangono inalterati.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

La 4.33 può essere semplificata, considerando l’ordine di grandezza dei suoivari termini. Nel problema sono presenti le scale orizzontali di distanza e divelocità, L ed Ug, del moto geostrofico imposto al bordo superiore del domi-nio, a cui si aggiunge come nuova scala geometrica l’altezza h dello stratolimite. Poiché h è dell’ordine di 102 ÷ 103 m, si ha:

h

L� 1

il che giustifica che si conservi, del laplaciano che compare nella 4.33, solola derivata seconda rispetto ad x2, se questa indica come di consueto la coor-dinata verticale. I termini convettivi che compaiono a primo membro sonoanch’essi trascurabili in confronto a quelli inerziali che derivano dall’accele-razione complementare, come nell’equazione del vento geostrofico. È veroche ora compare una velocità media verticale U2, che non è detto sia nulla co-me nel vento geostrofico; ma l’equazione di continuità permette di calcolarnel’ordine di grandezza, che risulta ∼ Ugh/L; pertanto, termini della 4.33 deltipo:

U2∂U1

∂x2

risultano tuttora:

∼ U2Ug

h∼ U2

g

L

trascurabili in confronto ad ΩUg. Infine, la proiezione dell’equazione diquantità di moto sul versore verticale dà come sempre l’equazione statica:

∂P

∂x2= −ρg 4.36

perché l’accelerazione di gravità risulta più elevata di qualsiasi altra.

Per quanto riguarda il moto sui piani orizzontali, si ottiene - nella variabileincognita Uh, componente orizzontale di U - un’equazione simile a quella delvento geostrofico:

−∇h(P ) − ρf i2 ×Uh + (μ+ μt)∂2Uh

∂x22

4.37

salvo per la presenza di un termine apparentemente viscoso, che permette ilrispetto di entrambe le condizioni di contorno, 4.34 e 4.35. Il sistema che stia-mo studiando è sicuramente barotropico, dal momento che sono state ignoratele variazioni orizzontali di densità; quindi la componente orizzontale del gra-diente di pressione ∇h(P ) è la stessa in tutti i piani orizzontali, ed è uguale a

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

π/6 π/3

π/2

π

45 Uh

Ug

Fig. 4.44 – Spirale di Ekman: modulo e direzione della velocità Uh del vento, al variaredel rapporto x2/δ, riportato come parametro sui punti della curva. Ug rappresenta ilvento geostrofico, in grandezza e verso.

quella del vento geostrofico che vige in alta quota:

∇h(P ) = −ρf i2 × Ug 4.38

Sostituendo la relazione 4.38 nella 4.37, e ricordando che Ug non dipende dax2, si ottiene l’equazione vettoriale piana:

ρf i2 × (Uh − Ug) − μtd2

dx22(Uh − Ug) = 0 4.39

in cui il vettore incognito Uh−Ug è funzione di x2, e la viscosità molecolare,molto più piccola di quella turbolenta, è stata ignorata. La 4.39 può essererisolta analiticamente, si veda l’appendice a questo capitolo. La soluzione èchiamata spirale di Ekman e prevede che la velocità del vento passi da Ug

a zero, con l’avvicinarsi al suolo, e nel contempo ruoti in senso antiorariorispetto alla direzione del vento geostrofico fino ad un angolo massimo di π/4.Il modo più immediato di rappresentare la soluzione è quello di dare un dia-gramma polare di Uh, come quello disegnato in fig. 4.44. Nella soluzioneanalitica, cfr. appendice I, si vede facilmente che il vettore Uh varia in funzio-ne del rapporto x2/δ, ove δ è una tipica lunghezza diffusiva, definita in modosimile a quello consueto38:

δ =√

2νt

f

poiché f ha le dimensioni di una velocità angolare. La parte significativa dellacurva è quella che corrisponde a valori x2/δ minori di π, ove si nota il com-

38Cfr. C. Cancelli, op. cit., 2.2.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

portamento già descritto, decremento e rotazione di Uh. La lunghezza δ rap-presenta pertanto lo spessore dello strato adiacente al suolo, chiamato stratodi Ekman, al cui interno si esaurisce l’effetto della condizione di aderenza.

Le ipotesi che hanno permesso di costruire una soluzione per via analitica- sistema barotropico, coefficiente di viscosità turbolenta costante, vento inquota esattamente geostrofico - sono troppo restrittive perché tra la spiralee la realtà misurata si trovi un accordo soddisfacente nei dettagli. Si veda lafig. 4.45, ove sono riportati la soluzione teorica e alcuni dati ottenuti sul campo;l’accordo non è eccellente, nonostante che l’altezza dello strato di Ekman siastata fatta coincidere con quella misurata.

Un paio di aspetti della teoria sono tuttavia così robusti da sfidare la criti-ca, almeno in senso qualitativo. Uno è il ruolo dominante della fluttuazio-ne turbolenta nell’assicurare il flusso di quantità di moto tra piani paralleli.Se il moto fosse laminare, infatti, l’espressione di δ rimarrebbe valida, main essa comparirebbe la viscosità cinematica dell’aria ν; in tal caso, essendoν ∼ 1.5 · 10−5 m2/s, ed f ∼ 10−4 rad/s, si avrebbe:

δ ∼ 0.6 m

un risultato senza alcun riscontro. Per ottenere valori di δ ragionevoli, com-presi tra 102 e 103 metri, occorre moltiplicare il coefficiente di diffusione diun fattore compreso tra 104 e 106, e questo può essere ottenuto solo invocan-do una viscosità cinematica turbolenta, νt, che in effetti ha nel periodo diurnovalori di quest’ordine di grandezza.

Il secondo aspetto è la comparsa vicino al suolo di una componente non geo-strofica del vento, che può essere meglio intesa quando la si consideri comeortogonale alle isobare, e diretta dalle alte verso le basse pressioni; il ventogeostrofico ipotizzato in alta quota è infatti parallelo alle isobare e presentainvariabilmente la bassa pressione alla sua sinistra. L’esistenza di questa com-ponente, che in alcuni testi è definita antitriptica - contro l’attrito - si spie-ga con la perdita di importanza vicino al suolo della forza deviante dovutaall’accelerazione di Coriolis, che decresce come Uh. Indebolendosi la forzadeviante, compare una componente di moto diretto verso la zona di bassa pres-sione, come accadrebbe di una qualsiasi corrente priva di effetti centrifughi inun riferimento inerziale. La componente antitriptica del vento ha pertanto unagiustificazione fisica solida, che non dipende dalle ipotesi assunte al fine dicercare una soluzione delle 4.32 e 4.35.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

100 300 600

++

+ + ++

+Uh

Ug

Fig. 4.45 – Spirale di Ekman: curva teorica in tratto continuo, e valori misurati indicaticon crocette. I numeri rappresentano la quota a cui sono state eseguite le misure.

Il tempo nelle configurazioni anticicloniche e cicloniche

La componente antitriptica del vento vicino a terra, ortogonale alle isobare, haimplicazioni sia per le configurazioni anticicloniche, sia per quelle cicloniche.Nel caso di circolazione attorno a un centro di alta pressione, la componentedella velocità perpendicolare alle isobare è diretta verso l’esterno, e quindicrea in pianta orizzontale delle linee di corrente divergenti, cfr. fig. 4.46; unatale configurazione richiede, per soddisfare la conservazione della massa, unmoto discendente nella zona centrale dell’anticiclone.

Il moto discendente ha velocità di piccola ampiezza, attorno al cm/s (∼ 1 kmal giorno), ma è sufficiente a determinare gli aspetti tipici del tempo nellaregione interessata. L’aria che si abbassa ad entropia costante - quindi conser-vando la propria temperatura potenziale - si scalda per compressione di 10 Knelle ventiquattr’ore; le nubi eventualmente presenti si diradano e scompaionoevaporando. Si ha cielo soleggiato e limpido, e forte irradiazione del terreno;il bel tempo estivo nell’Europa meridionale e nell’area mediterranea è spessoassociato a un anticlone con centro collocato dalle parti delle Azzorre. Vi ètuttavia nei periodi di alta pressione un aspetto meno desiderabile. L’avvici-namento al suolo di aria con temperatura potenziale elevata, proveniente dal-la stratosfera, finisce col produrre un gradiente dΘ/dx2 fortemente positivo,cfr. fig. 4.46 (c). Si genera pertanto una stratificazione molto stabile, che limital’ascesa di correnti termiche, e quindi la dispersione verso l’alto degli inqui-nanti emessi vicino al suolo. Questo aspetto è probabilmente di minor impor-tanza nel periodo estivo, sia perché gli impianti di riscaldamento sono spentie le emissioni minori, sia perché il forte riscaldamento del terreno rinforza le

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

(a)

(c)

altapressione

isobara

Uh (b)

x2

Θ

B

B'

A

A'

C

Fig. 4.46 – (a) Zona di divergenza al suolo in una regione di alta pressione. (b) Motodiscendente al centro. (c) Variazione del profilo di temperatura potenziale, a seguitodel moto discendente. Le particelle A e B in alto discendono a temperatura potenzialecostante, portandosi in A′ e B′; la variazione di temperatura al suolo - punto C - èinvece limitata per effetto dell’interazione con il terreno. Il risultato complessivo è unamaggiore pendenza del profilo di temperatura potenziale, che tende a divenire piùstabile.

termiche, in parte compensando gli effetti della elevata stabilità dell’atmosfe-ra. Nel periodo invernale, d’altra parte, i periodi di regime anticiclonico sonosempre accompagnati da un alto livello di inquinamento atmosferico. Il fe-nomeno può assumere particolare rilievo in una valle, oppure in generale inuna regione chiusa da alti monti39. Durante i periodi di alta pressione, nellevalli vige un regime di brezza limitato dalla forte stabilità e, in periodo inver-nale, anche dall’innevamento dei pendii che annulla l’oscillazione termica delsuolo. Può accadere che la cella di circolazione dell’aria risulti interamenteracchiusa nel solco vallivo; in tale caso, aria già contaminata passa più volteper le stesse sorgenti, dando luogo a un progressivo accumulo di inquinante.Si raggiunge egualmente una condizione di equilibrio, poiché il sistema non

39Ad es., nel settore più occidentale della pianura Padana, ove Alpi, Appennini e colline torinesicircondano la piana.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

bassapressione

Fig. 4.47 – (a) Zona di convergenza al suolo in una regione di bassa pressione. (b)Moto ascendente al centro, stiramento e intensificazione della vorticità.

mai è del tutto isolato, ma la concentrazione di equilibrio può risultare moltopiù alta di quella usuale.

Quando la circolazione è attorno ad un centro di bassa pressione, le linee dicorrente al suolo convergono verso il centro, il che implica in tale regione l’e-sistenza di una corrente ascendente, cfr. fig. 4.47. La situazione che si presentanon è tuttavia simmetrica rispetto a quella anticiclonica. È dubbio che la so-luzione di Ekman abbia a che vedere con la circolazione effettiva attorno aun centro di bassa pressione, anche solo come punto di partenza del processo.Convergenza al suolo e corrente ascendente sono due aspetti indissolubilmen-te legati, per motivi di conservazione della massa; ma che sia la componenteantitriptica del vento geostrofico a produrre l’ascesa è poco credibile. È piùprobabile che avvenga il contrario; nella formazione dei centri di bassa pres-sione, si trovano commiste masse di aria calda e masse di aria fredda, e l’in-nalzamento della prima può essere prodotto dall’interazione tra le due. L’ariache sale è dotata di vorticità verticale positiva - ruota in senso antiorario - chenell’ascesa viene energicamente stirata, intensificandosi. La velocità convetti-va verticale è infatti nulla al suolo - non può essere altro - e cresce inizialmentecon l’altezza, dando luogo ad un veloce allungamento dell’asse della vorticità.Si ha, nei nostri simboli consueti:

∂U2

∂x2> 0

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

e quindi40:Dω2

Dt= ω2

∂U2

∂x2> 0

Da una certa quota in poi la velocità verticale deve inevitabilmente a dimi-nuire; la colonna ascendente vorticosa rallenta il suo moto di rotazione, e siallarga di nuovo in senso orizzontale. Ma nel tratto più vicino a terra, l’inten-sificato moto di rotazione provoca una ulteriore caduta di pressione sull’asseper effetto centrifugo, la quale a sua volta richiama aria dal basso e dall’al-to. L’aria che sale è calda e umida; si ha condensazione di vapore acqueo,liberazione di calore che prolunga e intensifica l’ascesa dell’aria, formazionedi nubi e piogge, nonché incontro tra masse ascendenti e discendenti dotatedi caratteristiche termodinamiche diverse - temperatura e contenuto di vapore.L’esito del processo può essere molto vario per intensità e dimensione; si vadal semplice maltempo al ciclone, all’uragano. L’unica cosa certa è la pioggia.Per quanto attiene infine alla qualità dell’aria, la presenza di un centro di bassapressione porta a un rapido miglioramento.

4.4. CORRENTI TERMICHE

Correnti termiche nell’approssimazione di Boussinesq

La categoria delle correnti termiche abbraccia sia le correnti progettate peril trasporto di energia termica, sia quelle che da qualche fenomeno termicosono originate spontaneamente. Nel primo caso si parla di convezione forzata,intendendo con questo che il campo di moto è imposto con mezzi diversi daldisequilibrio termico. Può invece accadere che le variazioni di temperatura,generate all’interno di un corpo fluido, siano esse stesse causa di disequilibriodinamico, e quindi di movimento; quando questo accade si parla di convezionelibera, un argomento che è di interesse nello studio dell’atmosfera.Le variazioni di temperatura non agiscono in modo diretto sulla dinamica delfluido, ma modificano delle proprietà di questo che figurano nell’equazionedi quantità di moto; hanno quindi un’influenza indiretta. Il caso più noto èquello che vede, come elemento determinante del fenomeno, la variazione didensità di particelle soggette ad un campo gravitazionale. Quali che siano

40Cfr. C. Cancelli, op. cit., 4.2.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

le cause che producono una disuniformità della temperatura - possono esseremolte, una variazione di temperatura imposta sui contorni, condensazione divapor acqueo, assorbimento di energia radiante, e anche, in linea di princpio,dissipazione viscosa - la variazione di temperatura si traduce in una variazioneδρ di densità, e quindi in una variazione di forza peso per unità di volume paria gδρ che compromette l’equilibrio statico; al termine gδρ viene dato il nomedi forza di galleggiamento. Le particelle di fluido che si trovano ad essere piùleggere del fluido che le circonda vengono spinte verso l’alto dalla risultantedelle azioni di pressione, non più equilibrata dalla forza peso, e innescano inquesto modo il moto di ricircolo che caratterizza la convezione termica.

L’analisi della dinamica delle correnti termiche, la loro classificazione, e lostudio delle condizioni di similitudine tra correnti, vengono usualmente con-dotti con un insieme di relazioni semplificate a cui si dà il nome di approssi-mazione di Boussinesq. Abbiamo già fatto uso in più contesti di elementi diquesto modello semplificato; è opportuno per una volta riportarlo per esteso.Il modello approssimato di Boussinesq prevede che la variazione di densitàvenga tenuta in conto nel termine di accoppiamento col campo gravitaziona-le, ove rappresenta il motore del processo, e trascurata altrove. Scomposta ladensità del fluido in una parte costante e una variabile:

ρ = ρ+ δρ

ove ρ rappresenta un valore medio caratteristico dello strato di fluido soggettoa convezione, le equazioni di continuità e di quantità di moto si scrivono nellaforma:

∂uj

∂xj= 0 4.40

ρ

(∂

∂t+ uj

∂xj

)ui = − ∂p

∂xi+ (ρ+ δρ)gi + μ

∂2ui

∂xj∂xj4.41

Conviene, per mettere in evidenza il ruolo decisivo di δρ, eliminare dall’equa-zione di quantità di moto la pressione ps che corrisponde all’equilibrio statico,la quale viene definita dalla relazione:

− ∂ps

∂x2− ρg = 0 4.42

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

La 4.42 si ottiene supponendo che la velocità u sia ovunque nulla, e quin-di prendendo la componente dell’equazione 4.41 nella direzione verticale,individuata dall’asse x2.In presenza di moto la pressione p risulterà diversa da ps; possiamo indicarecon pd lo scarto di origine dinamica che passa tra la pressione effettiva p e lapressione di equilibrio statico ps, scrivendo:

p = ps + pd.

Quando si inserisce questa scomposizione di pressioni nella 4.41, si eli-mina dall’equazione vettoriale il termine ρgi, in realtà presente solo nellacomponente verticale dell’equazione. Si ottiene grazie alla 4.42:

ρ

(∂

∂t+ uj

∂xj

)ui = −∂pd

∂xi+ giδρ+ μ

∂2ui

∂xj∂xj4.43

Se la variazione δρ fosse nulla, il campo gravitazionale risulterebbe scompar-so dalle tre componenti dell’equazione di quantità di moto. Salvo che la pres-sione ps, che contiene g, non torni nelle condizioni di contorno, il modellomatematico che descrive l’evoluzione dlle grandezze ui, pd, ignora l’esistenzadel campo di gravità. Abbiamo già incontrato questa proprietà formale; essasta ad indicare il fatto che il campo ui e la pressione dinamica pd non sonoinfluenzati dalla forza peso, quando le variazioni di densità sono trascurabili.Fanno eccezione a questa regola quelle configurazioni in cui la forza di gravitàesercita un ruolo nel definire le condizioni di contorno, come accade nel casoin cui si abbia una superficie libera perturbata41. Escluse tuttavia queste situa-zioni, i campi ui(x, t) e pd(x, t) risultano definiti da un insieme di relazioni incui non compare l’accelerazione di gravità; in quanto alla pressione statica ps,può essere calcolata indipendentemente tramite la 4.42, e quindi aggiunta a pd

per la completezza della rappresentazione.Si può osservare che l’eliminazione di g, per mezzo della 4.42, non richiedeche la densità sia propriamente una costante. Una eventuale variazione conla quota, ρ = ρ(x2), non introduce nessun cambiamento formale nel procedi-mento seguito per l’eliminazione di g; è solo quando la densità risulta variabilecon le coordinate orizzontali, che il procedimento di eliminazione si rivela in-concludente. Scomparso dalla proiezione verticale dell’equazione di quantità

41C. Cancelli, op. cit, 5.2, p. 252.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

di moto, a seguito della 4.42, il campo gravitazionale ritorna in tal caso nelleproiezioni orizzontali tramite il gradiente di ps, che lo contiene. Si ha infatti:

ρ = ρ(x1, x3) → ps = ps(x1, x3) → ∂ps

∂x1�= 0;

∂ps

∂x3�= 0

Queste considerazioni permettono di fissare alcuni lineamenti del problema:

– sono le variazioni orizzontali di stato termodinamico del gas quel-le che, in presenza di campo gravitazionale, rendono inevitabile ilmovimento;

– δρ interpreta, nello schema di Boussinesq, le variazioni orizzontalidi densità;

– la scomposizione ρ = ρm + δρ, adottata nei paragrafi precedentiper descrivere il moto turbolento, rientra in questo schema, la densi-tà media ρm essendo per ipotesi variabile solo con la quota, a cau-sa della supposta omogeneità statistica del campo di moto nei pianiorizzontali.

Un secondo carattere distintivo dell’approssimazione di Boussinesq risiedenell’ipotesi che le variazioni di densità del fluido dipendano solo dalle va-riazioni di temperatura, e non dalle variazioni di pressione. Si adotta larelazione 4.44:

δρ

ρ= −δT

T4.44

al posto della relazione completa:δρ

ρ= −δT

T+δp

p

sottintendendo che la variazione percentuale di pressione nei piani orizzontalisia più piccola della variazione percentuale di temperatura42. Coerentemente,le variazioni di pressione vengono trascurate sia nello stabilire la relazione tratemperatura T e temperatura potenziale Θ, che viene scritta come:

δT

T=δΘΘ

4.45

42Qui, e in tutti i passaggi successivi, si è trattato il fluido come se fosse un gas perfetto. Quandonon lo è, si può porre δρ/ρ = −κδT , ove κ è il coefficiente di espansione volumica; tutte leformule che seguono possono essere adattate al caso di un fluido qualsiasi con la sostituzione:1/T → κ.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

sia nel formulare l’equazione di bilancio dell’energia termica, che è necessarioaggiungere a quelle di quantità di moto e di continuità, affinché il sistema diequazioni risulti determinato43. Per l’energia termica si pone usualmente:

ρcp

(∂

∂t+ uj

∂xj

)T = λ

∂2T

∂xj∂xj+ s 4.46

Nella 4.46 i coefficienti cp e λ rappresentano calore specifico a pressione co-stante e conducibilità del fluido, mentre s indica un termine generico di sor-gente, attribuibile a una, o più, delle cause già menzionate - condensazione divapore, dissipazione, etc.

Compare nel primo membro dell’equazione il calore specifico cp, invece chequello a volume costante cv, perché il termine a primo membro congloba alsuo interno la variazione di energia interna della particella e il lavoro compiu-to, nell’unità di tempo, dalla particella stessa mentre si espande a pressionecostante contro il fluido che la circonda. In altre parole, la 4.46 si giustificacon l’ipotesi che la variazione di pressione non siano importanti, esattamentecome le 4.44, 4.45; il procedimento con cui la si deduce è identico a quello giàseguito per arrivare all’equazione diffusiva dell’entalpia44, salvo il fatto chequesta volta non vengono ignorate né la velocità di convezione, né il terminedi sorgente. In realtà, la dissipazione viscosa nelle correnti atmosferiche nonproduce variazione significativa di temperatura; se si escludono fenomeni dicondensazione o di evaporazione, il termine di sorgente può essere ignorato,così che il modello assume la forma matematica qui riprodotta:

∂uj

∂xj= 0 4.47

ρ

(∂

∂t+ uj

∂xj

)ui =

∂pd

∂xi− ρ

TgiδT + μ

∂2ui

∂xj∂xj4.48

ρcp

(∂

∂t+ uj

∂xj

)T = λ

∂2T

∂xj∂xj4.49

43Non esiste, in questo tipo di correnti, una variabile termodinamica che possa essere assunta, apriori, come nota.

44C. Cancelli, op. cit., 2.4, p.124.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Condizioni di similitudine delle correnti termiche

Le equazioni 4.47, 4.48, 4.49 rappresentano un sistema completo di equazioninelle 5 funzioni incognite ui, pd, δT , e possono essere usate per molti sco-pi, ivi compreso quello di stabilire le condizioni di similitudine delle correntitermiche e i relativi parametri caratteristici. Supponiamo che le condizioni dicontorno permettano di individuare una velocità imposta U , una lunghezza L,un salto di temperatura ΔT ; aggiungendo la densità ρ del fluido, si può defi-nire un sistema di unità di misura interne al sistema, le scale U , L, L/U , ρ,ρU2, ΔT , rispettivamente di velocità, lunghezza, tempo, densità, pressione,temperatura. Si segue quindi lo schema già adottato per lo studio della simi-litudine nelle correnti prive di effetti termici45; si introducono nelle equazio-ni le variabili adimensionate ottenute dividendo quelle originarie per le scalecorrispondenti, e si indaga su quali condizioni siano necessarie perché il siste-ma matematico risulti invariante. Le novità consistono nella presenza di unaequazione termica, che nei problemi già analizzati non compariva, e nella pre-senza del termine −ρgiδT/T in quella di quantità di moto. Dall’equazione dibilancio dell’energia termica 4.49 emerge l’importanza del numero di Péclet:

Pe =ULcpρ

λil cui inverso compare come coefficiente del laplaciano della temperatura nel-l’equazione ridotta alla sua forma essenziale. Tenuto conto che λ/cpρ è uncoefficiente di diffusione, il numero di Péclet sta ad indicare il rapporto tra lavelocità di convezione e quello di diffusione dell’energia termica46.Dall’equazione di quantità di moto si ottengono il numero di Reynolds, unavecchia conoscenza, il cui inverso compare come coefficiente del laplacianodella velocità adimensionata, e infine il numero ΔTgL/TU2, che comparecome coefficiente della variazione δT ′ della temperatura adimensionata. Ilnuovo numero può scriversi come:

ΔTT

gL

U2= −Δρ

ρ

gL

U2=

1F 2

ri

45C. Cancelli, op. cit., 5.2.

46Alla lettera, dell’entalpia; cfr. C. Cancelli, op. cit., 2.4.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

avendo indicato con Δρ la scala delle variazioni di densità corrispondente aΔT , secondo la 4.44, e con

Fri =U√−gLΔρ/ρ

il cosiddetto numero di Froude interno, che si distingue da quello già noto perla presenza sotto radice del rapporto −Δρ/ρ.

La similitudine delle correnti termiche richiede pertanto la costanza dei treparametri Pe, Re, Fri; oppure, con formulazione equivalente, la costanza diRe, Fri e del numero di Prandtl:

Pr =Pe

Re=μcpλ

Quando la corrente è progettata per il traporto di energia termica, una variabileimportante è il flusso di energia che passa tra la corrente e le superfici chela delimitano; indicato con F tale flusso - potenza riferita ad una superficieunitaria di scambio - nelle unità di misura adottate le sue dimensioni risultanoλΔTL−1, così che la quantità:

Nu =FL

λΔTè un numero puro, che non varia nel passaggio da una corrente all’altra, finchépermangono le condizioni di similitudine. Il numero Nu si chiama nume-ro di Nusselt. Fuori della similitudine, il numero di Nusselt risulta funzionedell’insieme dei numeri caratteristici della corrente:

Nu = f(Re, Pr, Fri).

Per quanto riguarda il numero di Froude, il suo quadrato può essere letto co-me rapporto tra l’ordine di grandezza ρU2L−1 delle forze di inerzia, e quellogδρ delle forze di galleggiamento, riferite entrambe a una particella di vo-lume unitario; oppure in altri modi, come sempre accade con i parametri disimilitudine. Il suo significato è tuttavia univoco; esso misura la relativa im-portanza, agli effetti della determinazione del campo di velocità, dei fenomeniche derivano dall’imposizione al fluido di una differenza di velocità di scalaU , rispetto a quelli che derivano dall’imposizione di una variazione di tempe-ratura di scala ΔT . La condizione asintotica Fri → ∞ sta quindi ad indicareuna situazione in cui il campo di velocità non è influenzato dai fenomeni ter-mici, ed è pertanto uguale a quello che si avrebbe se questi fenomeni fosseroassenti. Per valori sufficientemente elevati di Fri si ha una classe di correntiil cui campo di moto varia poco con Fri stesso, perché il campo è comunque

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

vicino a quello della corrente priva di effetti termici. Si dice allora che si haconvezione forzata, e i risultati in forma adimensionata non dipendono, perun ampio intervallo di valori, da ulteriori variazioni di Fri. Si può pertantoscrivere, per la convezione forzata:

Nu = f(Re, Pr)

Si noti che il numero di Prandtl rappresenta un rapporto tra proprietà del flui-do, e può variare passando da un fluido all’altro; ma nel caso di gas, è pres-soché costante. In quanto a Re, esso dipende dalla scala delle velocità, dauna lunghezza caratteristica L, e dalla viscosità cinematica del fluido. Trascu-rando l’influenza delle variazioni di temperatura su quest’ultima grandezza,si può dire che le condizioni di similitudine non dipendono dalla scala delletemperature, così che al variare di questa si ha:

Nu =FL

λΔT= cost

e di conseguenza:

F ∝ ΔT

Il flusso termico scambiato tra la corrente e le superfici che la delimitano èproporzionale al salto di temperatura imposto; per essere chiari, questa leggeattribuita a Newton, stabilisce che una corrente con temperatura iniziale T1,portata a lambire uno scambiatore le cui superfici sono mantenute alla tempe-ratura T0, cederà o assorbirà calore con intensità proporzionale alla differenza(T1 − T0). Si tratta di una proprietà comune a qualsiasi fenomeno di traspor-to di una grandezza scalare in seno a un fluido, quando la maggiore o minoredensità dello scalare trasportato non influenza il campo di moto. È vero peril trasporto di energia termica, finché si rimane nell’ambito della convezioneforzata; è sempre vero, o quasi, nel trasporto di un contaminante, perché ingenere la presenza del contaminante non modifica la velocità del fluido. Intutti questi casi, poiché le velocità sono da considerare assegnate, l’equazio-ne di trasporto è lineare nella densità della grandezza trasportata; quindi levariazioni di densità, i gradienti che ne derivano, e di conseguenza i flussi,risultano tutti proporzionali al salto imposto alla variabile in questione, tra-mite le condizioni al contorno. Tornando all’energia termica, quando vigonole condizioni di convezione forzata, l’equazione di trasporto 4.49 può consi-derarsi disaccoppiata dalle 4.47 e 4.48, e trattabile a posteriori, una volta chesia noto il campo delle velocità; la linearità dell’equazione nelle variazioni ditemperatura appare evidente.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

T2

T1

Fig. 4.48 – Corrente convettiva di fluido delimitato tra piastre orizzontali tenute a diver-sa temperatura. La temperatura T1 della piastra inferiore è più alta di quella T2 dellapiastra superiore; il moto inizia quando il numero di Rayleigh raggiunge il valore 1700.

All’altro estremo di una classificazione delle correnti termiche si trovano quel-le correnti che si instaurano nel fluido senza che venga imposta una variazionedi velocità al contorno; il moto è conseguenza di uno squilibrio interno, nasceda una distribuzione non equilibrata staticamente di forze di galleggiamento,indotte dalla disuniformità della temperatura. Si parla allora di convezione na-turale. Un caso tipico è quello della corrente convettiva che può nascere inuno strato di fluido contenuto tra due piastre orizzontali, tenute a diversa tem-peratura; quando la temperatura della piastra inferiore è più alta di quella dellapiastra superiore, e la differenza è sufficientemente alta, il fluido si mette inmovimento formando celle di ricircolazione, cfr. fig. 4.48. Nei problemi diconvezione naturale manca una scala esterna di velocità; se ne può dedurreuna in base a considerazioni dinamiche, richiedendo che l’ordine di grandezzadei termini convettivi ρuj∂ui/∂xj che compaiono nell’equazione di quantitàdi moto sia lo stesso del termine di galleggiamento ρgiδT/T , cfr. eq. 4.48. Siha:

ρU2

L∼ ρg

ΔTT

da cui si può ottenere una scala ΔU di velocità

U ≡ ΔU =(Lg

ΔTT

)1/2

derivata da una scala di temperatura ΔT imposta dall’esterno.

Per trovare la condizione di similitudine di questa classe di correnti non è ne-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

cessario ripetere il procedimento di normalizzazione delle equazioni del mo-to; è sufficiente sostituire nei parametri di similitudine già trovati la nuovaespressione di U . così, dal numero di Reynolds si ottiene un nuovo numeropuro:

UL

ν=(Lg

ΔTT

)1/2L

ν=(L3g

ΔTT

1ν2

)1/2

al cui quadrato si dà il nome di numero di Grashof:

Gr = L3gΔTT

1ν2

Il numero di Froude interno,

Fri =(− ρU2

ΔρgL

)1/2

=

(TU2

ΔTgL

)1/2

invece scompare dall’insieme dei parametri di similitudine. Con la nuovadefinizione della scala di velocità

U =(Lg

ΔTT

)1/2

Fri si riduce infatti a una costante, come è immediato verificare persostituzione. Rimane il numero di Prandtl

Pr =μcpλ,

che non dipende dalla scala delle velocità; l’invarianza di Gr e Pr assicu-ra la similitudine tra correnti diverse, purché appartenenti alla classe dellaconvezione naturale.

Il fatto che i parametri di similitudine si siano ridotti a due, dai tre che figuranonel caso più generale, è una conseguenza diretta della mancanza, nelle corren-ti di convezione naturale, di una variazione di velocità imposta indipendente-mente dalla variazione di temperatura. È proprietà nota dall’analisi dimensio-nale, e facilmente intuibile, che con il diminuire del numero delle grandezzeindipendenti che regolano un fenomeno, diminuisca anche il numero di gruppiadimensionati indipendenti che con le stesse si possono costruire.

In questo campo, che presenta una inflazione di nomi e di definizioni, la coppiaGr, Pr viene spesso sostituita da un’altra, che dalla prima si può considerarederivata. Si dà il nome di numero di Rayleigh al prodotto GrPr:

Ra = GrPr = gL3 ΔTT

1νk

ove k rappresenta la diffusività termica λ/ρcp. La nuova coppia di nume-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

ri, Ra e Pr, può sostituire quella formata da Gr e Pr . L’uso del numero diRayleigh si giustifica con l’importanza che questo parametro ha nei confrontidella stabilità di strati orizzontali di fluido, soggetti a gradiente termico verti-cale instabilizzante, come quello rappresentato in fig. 4.48. Affinché il fluidosi metta spontaneamente in moto, è necessario che il numero Ra raggiunga ilvalore critico di 1700, più o meno; per valori inferiori, non ostante la presenzadel gradiente termico instabilizzante, una casuale fluttuazione di temperatu-ra - che produca una componente orizzontale del gradiente stesso - non è ingrado di innescare un moto macroscopico che si automantenga. La diffusionemolecolare livella le differenze, annullandole; il ruolo della diffusione spie-ga, almeno qualitativamente, la presenza di entrambi i coefficienti, ν e k, adenominatore del numero di Rayleigh.

Al di sopra del valore critico, è ancora Ra a scandire le variazioni successi-ve del campo di moto, mentre Pr ha un ruolo minore. Detto di passaggio, esenza entrare nel dettaglio, l’evoluzione del campo di moto in funzione del pa-rametro principale di controllo presenta delle analogie con la transizione, dastato stazionario a moto turbolento, delle correnti esterne. Anche qui si ha,per valori del parametro di controllo sufficientemente bassi, una configurazio-ne stazionaria, che in questo caso coincide con quella di equilibrio statico:u = 0, non essendovi campo di moto imposto dall’esterno. Al raggiungimen-to del valore critico del parametro, si manifesta un’instabilità sotto forma di unmoto cellulare, cfr. fig. 4.48, a cui si dà il nome di configurazione di Bénard;il moto di Bénard è stazionario e regolare, ha una scala geometrica ben defi-nita in termini di altezza del meato, ma presenta sin dall’inizio un aspetto diindeterminazione. Il senso con cui ruotano le celle adiacenti, in un campo dimoto già instauratosi, non può che essere alternato, affinché le distribuzionidi velocità risultino compatibili nelle regioni di confine; ma il suo segno nonè prevedibile a priori. In effetti, se invertissimo tutti i sensi di rotazione indi-cati in fig. 4.48, otterremmo una configurazione del tutto equivalente a quellaschizzata, sotto il profilo della compatibilità con le condizioni di contorno; l’e-sito dell’instabilità, per quanto riguarda il senso dei moti rotatori, non può cheessere casuale.

Col crescere del parametro di controllo, la configurazione del campo di motosi complica, assume aspetti tridimensionali, vede la comparsa di scale incom-mensurabili rispetto a quelle della instabilità iniziale, diviene non stazionaria.Lo stadio finale è quello di un moto turbolento sviluppato; la struttura cellula-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

re si dissolve, per tradursi in una irregolare e imprevedibile sequenza di gettidi fluido caldo dal basso verso l’alto, con gli inevitabili e altrettanto impre-vidibili ricircoli. Come nella scia delle correnti esterne, si ha un progressivoavvicinamento a una situazione caotica.

4.5. SISTEMI D’ONDA IN UN FLUIDO STRATIFICATO

Onde interne

L’approssimazione di Boussinesq non può rendere, neppure in modo grosso-lano, la propagazione di onde acustiche; il modello matematico che ne derivasopprime a priori, ponendo:

δρ

ρ= −δT

Tquello che è l’elemento dinamico essenziale di quel sistema di onde, l’accop-piamento tra variazione di pressione e variazione di densità della particelladi fluido. Può tuttavia dar conto di un diverso fenomeno ondulatorio, che sipuò instaurare all’interno di un fluido stratificato per piani orizzontali in modostabile.

Per afferrare la dinamica di questo nuovo sistema di onde, si può partire da unatrattazione elementare, che deriva in modo diretto dall’analisi di stabilità del-le configurazioni statiche, cfr. 4.1. Abbiamo visto che, quando la temperaturapotenziale cresce con l’altezza, una particella di fluido spostata dalla sua po-sizione di equilibrio tende a tornarvi, richiamata dalla differenza tra spinta digalleggiamento e forza peso. È evidente che questo meccanismo di richiamopuò innescare un fenomeno oscillatorio attorno alla posizione di equilibrio.Indichiamo con h lo spostamento della particella, che supponiamo di mas-sa unitaria, dalla posizione di equilibrio; la forza di richiamo corrispondentesarà:

−g(ρm − ρ)vm = −gρm − ρ

ρm

e produrrà un’accelerazione di senso opposto allo spostamento:d2h

dt2= −gρm − ρ

ρm4.50

Nelle equazioni, il simbolo vm indica il volume specifico, quindi il volumedella nostra massa unitaria; la presenza o meno del pedice m ha ancora ilsignificato attribuitogli nella discussione della stabilità delle soluzioni statiche.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Se la stratificazione è stabile, una massa di fluido spostata verso l’alto si trove-rà ad essere più densa dell’aria circostante (ρm > ρ), e verrà accelerata versoil basso. Conviene far comparire nell’equazione differenziale appena scrit-ta una misura del grado di stabilità dell’atmosfera, introducendo il profilo ditemperatura potenziale Θ(x2). Con la consueta ipotesi sulla rapidità di livel-lamento della differenza di pressione tra masse d’aria contigue a una stessaquota, si può porre, nell’approssimazione lineare:

ρm − ρ

ρm= −Θm − Θ

Θm.

in modo da esprimere la forza di richiamo in funzione della differenza ditemperatura potenziale che passa tra la particella e l’esterno. La differenza(Θm − Θ) è facilmente calcolabile, quando sia nota la distribuzione Θ(x2)che caratterizza l’equilibrio dell’atmosfera. Indichiamo con x2 la posizione diequilibrio della particella e con (x2+h) la sua quota in una generica posizionespostata; per l’ipotesi di trasformazione isoentropica che denota la variazionedi stato termodinamico della particella, si ha allora:

Θm(x2 + h) = Θm(x2) = Θ(x2) 4.51

mentre la variazione nell’intorno di x2 della temperatura potenzialedell’atmosfera può essere resa per mezzo dell’approssimazione lineare:

Θ(x2 + h) = Θ(x2) +dΘdx2

h = Θm +dΘdx2

h 4.52

Dalle relazioni 4.51 e 4.52 si ottiene l’espressione:

gρm − ρ

ρm= −gΘm − Θ

Θm=

g

Θm

dΘdx2

h =g

Θ(x2)dΘdx2

h

che, introdotta nella 4.50, dà infine un’equazione differenziale nella solavariabile h(t):

d2h

dt2+(g

ΘdΘdx2

)h = 0 4.53

La 4.53 è la classica equazione di un oscillatore lineare con un grado di liber-tà, la cui frequenza di oscillazione dipende dal coefficiente di h, sicuramentepositivo per la stabilità della stratificazione; il coefficiente riflette la stabilitàdell’atmosfera alla quota x2. Posto:

ω2bn =

g

ΘdΘdx2

la 4.53 assume la forma consueta:d2h

dt2+ ω2

bnh = 0

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

m

(a) (b) (c)

Fig. 4.49 – Fenomeni oscillatori analoghi: (a) massa e molla, (b) corpo galleggiante susuperficie liquida, (c) particella di fluido in un’atmosfera stratificata stabilmente.

il cui integrale generale è una funzione armonica di pulsazione (frequenza inrad/s) ωbn, a cui viene dato il nome di frequenza di Brunt-Väisälä:

h = hmaxsen(ωbnt+ ϕn)

La forma matematica del fenomeno oscillatorio mette in evidenza l’analogiache lega il moto della particella di fluido, spostata dalla posizione di equilibrioin un ambiente statificato stabilmente, e un caso assai noto: il moto di unamassa richiamata verso la posizione di equilibrio da una molla. L’equivalentedella forza di richiamo della molla è dato, nel nostro problema, dalla differenzatra spinta di galleggiamento e forza peso. Questa, e un’altra ovvia analogiasono schizzate in fig. 4.49.

Tuttavia, il campo di moto che abbiamo delineato non è soddisfacente da unpunto di vista fluidodinamico; la particella non può muoversi in alto e in bassosenza indurre alcun movimento nel fluido circostante, e la distinzione tra par-ticella in moto e fluido a riposo è del tutto arbitraria. Per ottenere una descri-zione più credibile, occorre considerare il sistema in movimento con una resextensa, e dedurre le proprietà di eventuali processi ondulatori dalle equazioniindefinite, opportunamente semplificate. Qui viene utile l’approssimazione diBoussinesq, in favore della quale parla il modello di moto oscillatorio appenaanalizzato; sebbene sia molto grezzo, il modello ad un grado di libertà mettein luce che l’accoppiamento tra variazione di densità e campo gravitazionaleè il fattore determinante del moto, e mostra come un paio di ipotesi semplifi-cative - trasformazione isoentropica dello stato della particella e variazione didensità espressa in funzione della sola variazione di temperatura potenziale -siano compatibili con l’essenza del fenomeno.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

p p

p p

u k

g

α

λ

Fig. 4.50 – Onda interna. Sono indicati in figura i piani p a fase costante, la lunghezzad’onda λ, la velocità di fase vϕ, il vettore numero d’onda k, la velocità della particellau trasversale alla velocità di fase, l’accelerazione g di gravità.

Le equazioni indefinite, modificate di conseguenza, e rese lineari tramite l’i-potesi che la perturbazione dello stato di equilibrio sia di piccola ampiezza,ammettono come integrali particolari delle onde trasversali piane, variamen-te inclinate rispetto alla verticale47. Gli elementi caratteristici di una di questesoluzioni particolari sono rappresentati in fig. 4.50; il piano della figura è scel-to in modo da contenere l’accelerazione di gravità e il vettore della velocità difase, e i piani a fase costante lo intersecano lungo un fascio di rette paralleleinclinate dell’angolo α rispetto alla verticale. La velocità con cui si spostano ipiani a fase costante, quella che per definizione è la velocità di fase, è ortogo-nale alla giacitura dei piani, mentre la velocità fisica delle particelle di fluido èparallela alla giacitura. Il fatto che l’oscillazione delle particelle sia ortogona-le alla velocità di fase, giustifica l’attributo di trasversale che viene assegnatoall’onda.

47Cfr., per i dettagli, appendice II.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

I piani la cui traccia è rappresentata in figura 4.50 sono distanziati di λ/2, oveλ indica ora la lunghezza d’onda, e la fase relativa è sfalsata pertanto di π.La geometria dell’onda può essere riassunta introducendo il vettore numerod’onda, indicato con il simbolo k. Il modulo del vettore vale:

k = 2π/λ

la sua direzione individua la giacitura dei piani a fase costante, essendo a que-sta ortogonale, e il suo verso è parallelo alla velocità di fase. Poiché il vettorek può avere direzione qualsiasi, si possono avere moti oscillatori con orien-tamento altrettanto generico, al contrario di quanto avveniva nel modello conun solo grado di libertà, ove lo spostamento della particella era concepito sololungo la direzione verticale. Nelle onde interne la direzione dello spostamen-to delle particelle può formare con la verticale un angolo α compreso tra 0 eπ/2, cfr. fig. 4.50; la dinamica dell’onda non è tuttavia isotropa, e la sua fre-quenza varia in funzione di α, come era scontato che accadesse per la presen-za dell’accelerazione di gravità, quale elemento che caratterizza la dinamicadel sistema. Il vettore g introduce nel processo una direzione privilegiata; ineffetti, al variare di α, la frequenza dell’onda varia secondo la legge:

ω = ωbncosα

ove ωbn è ancora la frequenza di Brunt-Väisälä. Si ottiene la stessa frequen-za del modello ad un grado di libertà, solo nel caso che l’oscillazione siaverticale; in tutte le altre configurazioni si ha una frequenza minore.

Parlando in termini generali, si tratta di un risultato prevedibile. Tutti i fe-nomeni oscillatori hanno una dinamica che comporta nel ciclo lo scambio dienergia tra la forma cinetica e la forma potenziale, e la frequenza di oscil-lazione risulta tanto più alta quanto maggiore è, a parità di spostamento, lavariazione di quest’ultima. Nel caso delle onde interne, indicata con h l’am-piezza dello spostamento della particella in una direzione generica, è solo lacomponente verticale hcosα a indurre variazioni di energia potenziale. Si hauna variazione massima per movimenti verticali (α = 0), e una variazionenulla per movimenti orizzontali; la frequenza muta di conseguenza.

Soluzioni particolari come quella illustrata possono essere sovrapposte alla ri-cerca di campi di moto che soddisfino particolari condizioni al contorno. Siottiene una miscela di moti oscillatori, ciascuno con propria geometria e fre-quenza, a cui può essere aggiunto un campo di velocità uniforme, come è sem-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

Fig. 4.51 – Formazione di nubi stazionarie sottovento a una linea di colline.

pre possibile per il principio di relatività galileiana; lo strumento matematicoviene utile per descrivere una varietà di situazioni meteorologiche48.Qui ci limitiamo a ricordare un caso curioso; la tendenza a oscillare in verticaledi masse di aria trasportate dal vento, in una atmosfera stabile, permette dispiegare l’esistenza di una intrigante configurazione di nubi. Al di sopra, e avalle di una catena montuosa o di una linea di colline, si può a volte notare unasuccessione di nubi con una regolare spaziatura, fantasmi immobili malgradoil vento. La superficie è luminosa e liscia - non sfrangiata da componentierratiche del moto - e la forma è quella tipica delle nubi lenticolari; quandosono allungate, tendono a disporsi parallele al crinale dei rilievi, cfr. fig. 4.51.In realtà non vi sono masse di aria che resistano al vento, come è ovvio. Laspiegazione del paradosso è rappresentata in fig. 4.52; a valle della linea deimonti si forma un’onda stazionaria, seguendo la quale le particelle di fluidosi alzano e si abbassano in modo periodico, mentre la loro temperatura oscillain corrispondenza. Quando le particelle superano la quota di condensazione

48Cfr. R.S. Scorer, Environmental Aerodynamics, Ellis Horwood Limited, London 1978, sec. 5.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

hc

Fig. 4.52 – Moto oscillatorio dell’aria e fenomeni di condensazione e rievaporazionenella scia di una catena di monti.

del vapore acqueo contenuto49 divengono visibili per la formazione di gocceal loro interno; quando si abbassano nuovamente al di sotto, scompaiono allavista. La nube è costituita da un insieme continuamente variabile di particelle;il suo bordo inferiore individua la quota di condensazione.

4.6. APPENDICI

I. La spirale di Ekman: soluzione analitica

I vettori che figurano nell’equazione differenziale 4.39, che trascriviamo:

ρf i2 × (Uh − Ug) − μtd2

dx22(Uh − Ug) = 0 4.54

sono tutti paralleli alla giacitura orizzontale; hanno pertanto solo due compo-nenti e possono essere descritti da un numero complesso, secondo una tecnicausuale nello studio dei problemi di cinematica piana. La 4.54 contiene un pro-dotto vettoriale, che comporta la rotazione di (Uh − Ug) di un angolo paria π/2 in senso antiorario. In campo complesso, lo stesso risultato si ottienemoltiplicando il numero complesso che rappresenta il vettore (Uh − Ug) perl’unità immaginaria ı; le operazioni di somma e di moltiplicazione per uno sca-lare conservano il loro significato vettoriale; per trattare un’equazione linearenon è richiesto altro. Indicato con v il numero complesso corrispondente alladifferenza Uh − Ug , la 4.54 diviene pertanto:

ıfv − νtd2v

dx2= 0 4.55

49Cfr. fig. 4.12.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

a cui vanno aggiunte le condizioni al contorno:

v = 0 per x2 → ∞ 4.56

v = −ug per x2 = 0 4.57

Le 4.56 e 4.57 si ottengono dalla 4.34 e 4.35, tenuto conto della relazione:

v = uh − ug 4.58

ove uh ed ug sono i numeri complessi corrispondenti ai vettori Uh e Ug.

L’equazione 4.55 è un’equazione omogenea, a coefficienti costanti, la cui so-luzione è data da una combinazione lineare di integrali particolari di formaesponenziale. Posto v = c exp(λx2), si ottiene per sostituzione nella 4.55

l’equazione caratteristica:

ıf − νtλ2 = 0

le cui radici definiscono i valori accettabili di λ. Si ha:

λ = ± ı+ 1√2

√f

νt= ± ı+ 1

δ

avendo introdotto per comodità la scala diffusiva:

δ =√

2νt

f

Dei due valori di λ compatibili con l’equazione differenziale, quello con segnopositivo risulta incompatibile con la condizione al contorno 4.56, perché dà unintegrale particolare:

v = c exp[(1 + ı)x2/δ]

che cresce senza limite al crescere di x2. Rimane la radice con segno negativoe l’integrale corrispondente:

v = c exp[−(1 + ı)x2/δ]

da cui, scegliendo per la costante che vi figura il valore −ug, si ottiene lasoluzione:

v = −ug exp[−(1 + i)x2/δ] 4.59

la quale soddisfa l’equazione differenziale e le condizioni di contorno.

La velocità del vento alle varie quote è data dunque dall’espressione:

uh = ug + v = ug − ug exp[−(1 + i)x2/δ]

dedotta dalla 4.58; la velocità uh si ottiene sottraendo alla velocità geostroficaug un vettore che varia in ampiezza e orientamento con x2/δ; la relazione

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

ϕ

uh

ug

vv

Fig. 4.53 – Spirale di Ekman: in figura è indicato il vettore v, che deve essere sottrattoal vento geostrofico ug, per ottenere il vento uh ad una quota generica.

tra uh, ug e v è indicata in fig. 4.53. Per x2/δ = π, i due vettori in realtàsi sommano nella stessa direzione del vento geostrofico; ma per x2/δ < π,v tende a ruotare in senso antiorario, ed uh diminuisce in modulo sino adannullarsi per x2/δ = 0.

Per quanto riguarda l’anomalia φ di uh, se indichiamo con uh1 e uh2 la partereale e il coefficiente dell’immaginario del numero complesso, si ha:

tanφ =uh2

uh1=

exp(−x2/δ) sin(x2/δ)1 − exp(−x2/δ) cos(x2/δ)

che per x2/δ = 0 appare indeterminata. Il limite di φ, per x2/δ → 0, siottiene senza difficoltà sviluppando prima le varie funzioni che compaiononell’espressione indeterminata come serie di potenze delle quantità piccolax2/δ, e quindi eseguendo il passaggio al limite. Si ha:

lim(x2/δ)→0

(tan φ) = 1

La rotazione antioraria massima di uh vicino al suolo è pertanto π/4.

II. Onde interne: frequenze dell’onda, relazione di dispersione,propagazione dell’energia

L’espressione matematica delle onde interne può essere dedotta dalle equazio-ni indefinite, scritte nell’approssimazione di Boussinesq. Supponiamo di ave-re come situazione di partenza una soluzione stazionaria e stabile [U, ps,Θ]delle equazioni del moto, e di perturbarla con una variazione di piccola am-piezza [u, δp, δΘ]. Nella soluzione stazionaria la velocità uniforme U puòessere ritenuta nulla, senza limitare la validità dell’analisi; la cosa richiedesemplicemente la scelta di un opportuno sistema di riferimento. Le variabili

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

termodinamiche Θ e ps variano invece con la quota per l’equilibrio statico, ela condizione di stabilità implica che il gradiente della temperatura potenzialesia rivolto verso l’alto.

Dalle equazioni 4.47 e 4.48 si ottiene, sostituendo al posto delle variabili quelledella soluzione stationaria perturbata, Θ + δΘ etc., e quindi linearizzando inbase all’ipotesi che la perturbazione sia di piccola ampiezza:

∂uj

∂xj= 0 4.60

ρ∂ui

∂t+

∂xi(δp) +

ρ

TgiδT − μ

∂2ui

∂xj∂xj= 0 4.61

L’equazione di quantità di moto può essere ulteriormente semplificata; si puòtrascurare il termine viscoso, in accordo con una impostazione tradizionalenello studio delle onde di piccola ampiezza, e sostituire la variazione percen-tuale di temperatura con la variazione percentuale di temperatura potenziale,seguendo Boussinesq:

δT

T=δΘΘ

Infine, l’equazione di bilancio dell’energia termica viene ricondotta alla con-dizione che la temperatura potenziale di una particella di fluido in movimentosi mantenga invariata:

D

Dt(Θ + δΘ) =

∂t(δΘ) + uj

∂xj(Θ + δΘ) � ∂

∂t(δΘ) + uj

∂Θ∂xj

= 0

come conseguenza diretta dell’aver trascurato i fenomeni dissipativi.

Introdotto il consueto sistema di coordinate cartesiane ortogonale, con l’assex2 rivolto verso l’alto, si ottiene il sistema di equazioni:

∂uj

∂xj= 0 4.62

∂ui

∂t+

∂xi(δp) +

δΘΘgi = 0 4.63

∂t(δΘ) + u2

∂Θ∂x2

= 0 4.64

Si noti che Θ e ∂Θ/∂x2 sono grandezze caratteristiche della soluzionestazionaria, e che ∂Θ/∂x2 deve risultare positivo per la stabilità. Poniamo:

s =∂Θ∂x2

> 0

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

e consideriamo questo valore costante nel dominio, così da simulare un gra-do di stabilità uniforme. Le 4.62, 4.63, 4.64 costituiscono un sistema di cinqueequazioni nelle cinque funzioni incognite ui, δp, δΘ. Il sistema, essendo li-neare e a coefficienti costanti, ammette soluzioni esponenziali, purché sianosoddisfatti alcuni vincoli. Possiamo cercare una soluzione particolare di formasinusoidale:

ui = �[Vi exp(ıφ)] 4.65

δp = �[P exp(ıφ)] 4.66

δΘ = �[Tp exp(ıφ)] 4.67

la cui fase si suppone variare nello spazio e nel tempo in modo lineare, secondola legge:

φ = ωt− kjxj = ωt− k · x 4.68

ove ω è uno scalare e k un vettore, entrambi costanti.

Prima di procedere nello sviluppo analitico, vale la pena di osservare che nellostabilire la 4.68 si è configurata la soluzione come onda piana; la condizioneche individua, infatti, i punti che a un dato istante sono caratterizzati dallacostanza della fase:

k · x = cost

rappresenta una famiglia di piani ortogonali a k, cfr. fig. 4.54. La forma par-ticolare è giustificata dall’uniformità o quasi della soluzione statica, che sitraduce nella costanza dei coefficienti 1/ρ, 1/Θ, s, che compaiono nelle equa-zioni differenziali. Tuttavia l’onda piana può essere considerata, in generale,come un’approssimazione locale di un’onda di forma qualsiasi, accettabilenella maggior parte dei casi in una regione limitata.

In fig. 4.54 sono rappresentati gli elementi geometrici rappresentativi, dell’on-da e del mezzo in cui l’onda si propaga. La geometria dell’onda è riassuntanel vettore numero d’onda k, la cui direzione individua i piani a fase costante,essendo ad essi ortogonale, e il cui modulo, che indichiamo con k, definiscela lunghezza d’onda λ secondo la relazione:

λ = 2π/k

Per la geometria del mezzo, è significativo il solo vettore g, la cui presenza ren-de il processo di propagazione sicuramente non isotropo, poiché individua unadirezione particolare. In figura è indicato anche l’angolo α, compreso tra la di-

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

u

k

kk . x

g

x

a

α

a

Fig. 4.54 – Proprietà geometriche dell’onda. Il piano (a − a), perpendicolare a k,rappresenta un piano a fase costante.

rezione di g e la traccia dei piani a fase costante, che verrà utile nell’esprimerela frequenza dell’onda.

Un risultato preliminare può essere ottenuto sostituendo la 4.65 nella equazionedi continuità 4.62. Si ha:

ıkjVj exp(φ) = 0 → kjuj = 0

la quale esprime una condizione di ortogonalità tra i vettori k e u:

k · u = 0 4.69

La condizione 4.69 impone che le velocità delle particelle siano perpendicola-ri al vettore k e rivela il carattere trasversale dell’onda, illustrato in fig. 4.54.Il moto delle particelle è contenuto nella giacitura individuata dai vettori g ek. Per dimostrarlo, si può immaginare di far ruotare il nostro sistema di rife-rimento attorno all’asse x2, fino a far coincidere il piano (x1, x2) con quellodella figura, in modo che contenga g e k; in questo nuovo sistema di coordina-te, il vettore k ha solo due componenti, k1 e k2, e le variabili che definisconol’onda dipendono solo da x1 e x2. Sostituendo la 4.65 nella proiezione lungo

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

x3 dell’equazione di quantità di moto, si ottiene:

ıωV3 = 0

da cui si deduce immediatamente che V3 è zero. La velocità delle particellenon ha componente ortogonale al piano della figura.

Per il resto, il procedimento di soluzione segue uno schema classico della ri-cerca dei modi di oscillazione di un sistema continuo. Sostituendo le 4.65,4.66, 4.67 nelle equazioni differenziali 4.62, 4.63, 4.64, ed eliminando l’espo-nenziale che risulta a fattore di tutti i termini, si ottiene un sistema omogeneodi equazioni algebriche nelle cinque incognite Vi, P , Tp, che è sicuramentesoddisfatto dalla soluzione nulla:

Vi = P = Tp = 0.

La soluzione nulla è anche l’unica, almeno che una delle equazioni non siauna combinazione lineare delle altre. Quindi, il modo di trovare delle soluzio-ni che siano significative consiste nel richiedere che una delle equazioni risulticombinazione lineare delle altre, operando sui coefficienti del sistema, tra cuicompaiono sia la frequenza ω, sia le componenti ki del numero d’onda, oltrealle proprietà Θ ed s del mezzo. Come è noto, la condizione di dipendenzalineare tra le equazioni di un sistema viene rivelata dall’annullarsi del deter-minante dei coefficienti. Imponendo che il determinate si annulli, si scriveuna equazione che può essere risolta per ω, in modo da trovare la frequenzaammissibile di una perturbazione di lunghezza d’onda assegnata; per ogni k,si ha un corrispondente valore di ω. E per ciascuna di queste frequenze, leequazioni algebriche risultano ora linearmente dipendenti; una volta che unasia stata scartata, le altre permettono di determinare non i valori assoluti del-le incognite Vi, P , Tp, ma i loro rapporti; ad es. V2/V1, P/V1, T/V1. Questilineamenti sono del tutto generali; un’onda piana con un dato numero d’ondamostra una frequenza propria e dei rapporti fissi tra le variazioni di stato chela caratterizzano. Si usa parlare di frequenze e modi propri di oscillazione.

Sebbene rientri in questo quadro, il caso delle onde interne presenta alcuni trat-ti specifici interessanti, che possiamo mettere in evidenza. Teniamo per buo-no, per abbreviare il calcolo, il sistema di coordinate in cui k3 risulta ugualea zero; sostituendo nelle equazioni 4.62, 4.63, 4.64 la forma dell’onda corri-spondente, ed eliminando l’esponenziale comune a tutti i termini, si ottiene il

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

sistema algebrico:

k1V1 + k2V2 = 0

ωV1 − k1

ρP = 0

ıωV2 − ık2

ρV2 +

g

ΘTp = 0

ıωTp + sV2 = 0

che ammette chiaramente nelle incognite V1, V2, P , Tp, una soluzione nulla.Per trovarne altre, è necessario che si annulli il determinante dei coefficienti.Con un paio di passaggi, si ottiene per il determinante l’espressione:

−k12

ρ

(ω2 +

gs

Θ

)− ω2k2

2

ρ

che uguagliata a zero, dà la la relazione che stiamo cercando:

ω = ωbn

(k2

1

k21 + k2

2

) 12

4.70

ove ωbn rappresenta la frequenza di Brunt-Väisälä:

ωbn =√gs

Θ

Come si vede, la frequenza dell’onda dipende dalle componenti di k. La 4.70

nasconde tuttavia una dipendenza molto semplice dalla geometria del siste-ma; introdotto l’angolo α compreso tra la verticale e la direzione del motooscillatorio, la relazione diviene:

ω = ωbn cosα 4.71

Il fenomeno oscillatorio non è isotropo; la frequenza dell’oscillazione dipen-de, a parità di condizioni del mezzo, dall’angolo formato tra l’accelerazionedi gravità e la direzione degli spostamenti indotti dall’onda. La frequenzaraggiunge il suo valore massimo, quello di Brunt-Väisälä, quando lo sposta-mento delle particelle avviene in direzione verticale (α = 0), mentre tendead annullarsi quando lo spostamento si dispone sopra un piano orizzontale(α = π/2)50. Nel caso limite che l’onda abbia componenti solo orizzonta-li (k1 = 0), si ha: ω = 0, e l’onda si rivela una perturbazione staziona-

50Si può dare una interpretazione fisica a questa proprietà, che è già stata abbozzata nel par. 4.6.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

ria; si traduce in una distorsione permanente della configurazione di partenza[U, ps,Θ].

Concludiamo con una riflessione sulla velocità di fase e sulla propagazione dienergia in questo sistema di onde. Per definizione, si chiama velocità di fase diun’onda piana la velocità con cui si vedono spostarsi i piani a fase costante o,se lo si preferisce, le creste e i nodi dell’onda. La velocità di fase è un vettoreorientato come k, di modulo:

vf =ω

k4.72

Per ottenere rapidamente la 4.72 conviene scegliere un sistema di riferimentocon un asse, poniamo l’asse x, parallelo a k. In questo sistema di coordinatela variazione della fase è data in funzione della sola x:

φ = ωt− kx

e il valore della velocità di fase può essere calcolato cercando la velocità concui occorrerebbe spostarsi lungo x per misurare un valore di φ costante neltempo. Ponendo:

∂φ

∂t+ vf

∂φ

∂x= ω − vfk = 0

e risolvendo per vf , si ha la 4.72.

Nelle onde interne, pertanto, vf risulta:

vf =ωbn

kcosα = ωbn

λ

2πcosα

Le creste si muovono nella direzione di k con una velocità che cresce linear-mente con la lunghezza d’onda λ. Si tratta di un risultato che può lasciareperplessi, per quanto riguarda la sua connessione con la propagazione dell’e-nergia, se non altro perché il flusso di energia meccanica associato all’ondarisulta dato da uδp, un vettore perpendicolare a k.

In realtà, la velocità di fase è una velocità apparente che non ha uno strettolegame con la velocità di propagazione dell’energia dell’onda; l’energia sipropaga con una velocità diversa, a cui si dà il nome di velocità di gruppo,vg. Le due velocità coincidono soltanto quando la relazione ω(k), che vienechiamata relazione di dispersione, ha la forma lineare:

ω = Ak

Per citare un esempio molto noto, questo è il caso delle onde acustiche; nelleonde acustiche si ha:

ω = csk

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

β

∇ω = vg

k2

k2

k1 k1

k

P

ω = cost

Fig. 4.55 – Onde interne: relazione tra velocità di gruppo e velocità di fase nello spaziodei numeri d’onda.

e quindi:

vg = vf = cs

ove cs indica la velocità del suono.Quando la relazione di dispersione non è lineare, la velocità di gruppo è unvettore di componenti:

(vg)i =∂ω

∂ki4.73

che non coincide con vf ; in linea di massima ne differisce sia in modulo, siain direzione51.La curiosa relazione che intercorre tra velocità di fase e velocità di gruppo nel-le onde interne può essere colta rapidamente nello spazio dei numeri d’onda.In questo spazio vettoriale, la 4.73 definisce la velocità di gruppo come il gra-diente di ω; considerato pertanto un punto P dello spazio, le cui coordinate ki

rappresentano un vettore numero d’onda, si può tracciare la superficie con ωcostante passante per P , e quindi prendere la normale alla superficie; la dire-zione così ottenuta è la stessa di vg . Venendo alle onde interne, la condizioneche ω sia costante porta nel piano (k1, k2) a individuare delle rette passanti perl’origine, parallele a k. Si ha infatti:

ω

ωbn= cost→ k1

k= cost→ cos β = cost

51Per la propagazione in mezzi non omogenei, cfr. J. Lighthill, Waves in fluids, 4, CambridgeUniversity Press, Cambridge, 1978.

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4. LINEAMENTI DI MECCANICA DELL’ATMOSFERA

essendo β l’angolo compreso tra il vettore k e la sua componente k1,cfr. fig. 4.55. Dunque vg è perpendicolare a k, cfr. fig. 4.55, e pertanto anche avf . Non solo le onde interne costituiscono un esempio di sistema dispersivo,ma presentano anche la notevole proprietà che in esse l’energia viene propa-gata in direzione esattamente ortogonale a quella in cui si spostano le crestedell’onda.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

5.1. ENERGIA CINETICA TURBOLENTA

Fattori di generazione e di soppressione dell’energia cinetica turbolenta

L’energia cinetica della componente fluttuante della velocità nello strato limi-te terrestre deriva in parte dal moto orizzontale imposto dal vento di grandescala1, in parte da un processo di generazione innescato dall’ascesa di massedi aria calda. Per avere un confronto tra i due processi, e un’analisi del lororuolo, conviene scrivere un’equazione per l’energia cinetica turbolenta, dedu-cendola da un’equazione di quantità di moto che contenga l’accoppiamentotra il campo gravitazionale e la variazione di densità del fluido, che è il fattoredeterminante del moto verticale delle masse d’aria.

Si può partire dall’equazione di quantità di moto del modello di Boussinesq,cfr. eq. 4.15, trascurando sin dall’inizio il termine inerziale di Coriolis; il mo-to fluttuante che ci interessa presenta infatti una molteplicità di scale, nessunadelle quali può tuttavia superare l’altezza dello strato limite2, trattandosi indefinitiva di moti di ricircolo. Quindi la scala massima del campo fluttuanteè di un paio di ordini di grandezza più piccola del valore critico (∼ 105 m),cfr. 4.3, e il carattere non inerziale del sistema di riferimento può essere igno-rato3. L’unica differenza significativa, rispetto al procedimento che ha portatoall’equazione 3.35, consiste nella comparsa nell’equazione iniziale di quantitàdi moto della forza per unità di volume:

ρgi = (ρm + δρ)gi

1Attraverso una dinamica di instabilità delle configurazioni del campo, che è del tutto analoga aquella che produce l’esplosione della turbolenza nelle correnti che lambiscono una parete senzaalcun scambio termico.

2Sono le configurazioni del moto medio orizzontale che possono raggiungere una scalacontinentale.

3In alcuni testi capita di trovare scritto che l’acqua contenuta nei lavandini dell’emisfero set-tentrionale ruota sempre in uno stesso verso, mentre il lavandino si svuota, perché il senso dirotazione è determinato dalla forza deviante dovuta all’accelerazione di Coriolis. Se così fosse,il criterio di massima che vuole insignificante la distinzione tra terra ferma e terra rotante neimoti di piccola scala, risulterebbe errato; ma non è vero.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

ove ρm indica il valore medio e δρ la fluttuazione di densità - in questo pa-ragrafo le fluttuazioni delle variabili termodinamiche verranno indicate con ilsimbolo δ. Operando nel modo consueto, cfr. par. 3.1 e 3.3, si ottiene unaequazione per la velocità media U, una per la componente fluttuante u, e in-fine un’equazione per la densità di energia cinetica media ρmσ

2u/2 del moto

turbolento. Rispetto al caso già noto, compaiono come novità nella primaequazione il termine ρmgi, nella seconda il termine giδρ, e nell’equazionedell’energia cinetica turbolenta il termine di sorgente:

< uiδρ > gi

poiché nel contesto di questa analisi l’unica equazione che ha importanza èl’ultima, scriviamo solo questa per esteso:∂

∂t

(ρmσ

2u

2

)=

− ∂

∂xj

(ρmUj

σ2u

2+ρm

2< ujuiui > + < ujδp > −μ < ui(

∂ui

∂xj+∂uj

∂xi)>)

+ < uiδρ > gi − ρm < uiuj >∂Ui

∂xj−Df

5.1

Prima di discutere l’influenza del nuovo termine, adattiamo la 5.1 a una con-dizione ragionevole di strato limite. Supponiamo che il vento scorra su unasuperficie piana, con caratteristiche superficiali omogenee; in tal caso ancheil campo di moto dovrà risultare omogeneo sui piani orizzontali, per ragio-ni di simmetria. Poiché stiamo trattando di un moto turbolento, la simmetriacomporta un condizionamento non delle configurazioni istantanee, ma dellegrandezze medie, le quali potranno variare solo in funzione della distanza dalsuolo. Adottato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale, con l’assex1 coincidente con la direzione media del vento e l’asse x2 perpendicolare alterreno e rivolto verso l’alto, si avrà una velocità media U con la sola com-ponente U1 e un’accelerazione di gravità con la sola componente g2 = −g;inoltre, le derivate spaziali saranno nulle, fuorché quelle calcolate rispetto al-la coordinata verticale x2. L’equazione 5.1 può essere riscritta nella formasemplificata:

∂t

(ρmσ

2u

2

)= − ∂

∂x2

(ρm

2< u2uiui > + < u2δp >

)− < u2δρ > g − ρm < u1u2 >

∂U1

∂x2−Df 5.2

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

ove i flussi dovuti alla viscosità molecolare sono stati cancellati del tutto, per-ché considerati ininfluenti. I due termini di sorgente già noti conservano ilsignificato fisico già illustrato nel discutere l’equazione 3.35: il termine

−ρm < u1u2 >∂U1

∂x2

sempre positivo, rappresenta la rapidità con cui l’energia cinetica viene trasfe-rita, per unità di volume, dal moto medio al moto fluttuante; il termine −Df ,sempre negativo, la rapidità con cui la dissipazione viscosa elimina l’energiacinetica della fluttuazione.La specificità dello strato limite terrestre è rinchiusa nella correlazione< u2δρ >, la quale cambia di segno quando si inverte il senso dello scam-bio termico dell’aria con il terreno. Per illustrare questa connessione si puòseguire Boussinesq, il quale assunse per ipotesi che le variazioni di densità δρ- o almeno quella parte di esse correlata con la fluttuazione di velocità u2 -fossero dettate dalle sole variazioni di temperatura dell’aria. Posto:

δρ

ρm= − δT

Tm

si ottiene l’espressione:

− < u2δρ > g =ρm

Tm< u2δT > g 5.3

la quale mette in luce come il nuovo termine di sorgente risulti proporzionaleal flusso convettivo medio di energia termica4:

Fc = ρm < u2cvδT >

Il termine 5.3, che si può scrivere come:g

cvTmFc

4Ovviamente, il termine di sorgente risulta anche proporzionale al flusso convettivo medio dientalpia: Fe = ρm < u2cpδT >, il quale può sostituire Fc in tutta la discussione che segue,purché si sostituisca il calore specifico cv con quello a pressione costante cp. In genere si adottaquesta seconda scelta, definendo Fe come flusso di calore sensibile, probabilmente perché Fe

compare direttamente in un bilancio di energia della superficie terrestre, da cui si può speraredi dedurre il flusso, e quindi la correlazione < u2δT > che figura nel termine di sorgentedell’equazione dell’energia cinetica, cfr. 5.3. In questo testo si è preferito introdurre Fc, perchéil continuo ricorrere ai flussi di entalpia, senza ricordare che questi integrano il flusso termicocon un flusso di energia meccanica, finisce col confondere le idee, a parere di chi scrive, sulprimo principio.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

è positivo ogni qual volta lo strato limite è attraversato da un flusso convettivodi energia termica rivolto verso l’alto, mentre è negativo quando il flusso èrivolto verso il basso. L’espressione

− < u2δρ > g

rappresenta il lavoro per unità di tempo e di volume della fluttuazione dellaforza di galleggiamento - della spinta di Archimede - mediato su un lungoperiodo. L’ipotesi di Boussinesq consente tuttavia di associare questo processomeccanico di produzione di energia cinetica all’esistenza di un flusso termico,e pertanto noi lo indicheremo come un processo di produzione di energia diorigine termica, indicandone la potenza con il simbolo Pt:

Pt ≡ ρm

Tm< u2δT > g

per tenerla distinta da:

Pm ≡ −ρm < u1u2 >∂U1

∂x2

che chiameremo potenza di produzione di energia di origine meccanica. Lascelta dei vocaboli vale se non altro a fissare nella mente l’idea che il primodei due processi scompare, quando viene a mancare il flusso di calore.

La dinamica dello strato limite terrestre, e il suo carattere ciclico nelle ven-tiquattr’ore, sono spiegabili con il gioco dei tre termini di sorgente Pt, Pm eD, che compaiono nell’equazione di bilancio dell’energia cinetica turbolenta.In una giornata di sole si ha un flusso convettivo di calore rivolto verso l’al-to, dagli strati aderenti al terreno verso gli strati sovrastanti; la produzione dienergia di origine termica è positiva e si aggiunge alla produzione di origi-ne meccanica. L’eccesso di produzione comporta sia un aumento locale delladensità di energia cinetica turbolenta:

∂t

(ρm

σ2u

2

)> 0

sia un flusso verso l’alto della stessa grandezza. Per afferrare questo secondoaspetto, si può considerare uno strato di aria vicina a terra di altezza h, eimmaginare che abbia raggiunto uno stato quasi stazionario in senso statistico,così da poter considerare trascurabile la derivata parziale rispetto al tempo delvalor medio della densità di energia. Un eccesso di produzione:

Pt + Pm −Df > 0

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

h

Fig. 5.1 – Innalzamento del bordo dello strato limite terrestre per effetto delle correntitermiche. L’aria relativamente calda che penetra al di sopra di h, quota momentaneadel bordo esterno dello strato, è dotata di moto turbolento; quindi estende lo spessoredello strato limite, per il solo fatto di portarsi in una regione ove il moto in precedenzaturbolento non era. Attraverso i piani orizzontali si ha un flusso convettivo di energiacinetica turbolenta diretto verso l’alto.

è tuttavia compatibile con la 5.2 purché si abbia, al livello h, un flusso dienergia rivolto verso l’esterno pari a:

12ρm < u2uiui > + < u2δp >=

∫ h

0(Pt + Pm −Df )dx2

Il flusso alla quota h ha una componente convettiva, quasi sicuramente do-minante rispetto al flusso di energia meccanica < u2δp >

5; la componenteconvettiva

12ρm < u2uiui >

esprime, in termini di trasporto di energia, la conseguenza del passaggio ver-so l’alto di una massa d’aria dotata di moto turbolento; quindi è un aspettodel tutto coerente con il progressivo accrescimento dello strato coinvolto nelmoto di fluttuazione. Si tratta del processo che porta, nel periodo diurno,all’innalzamento del bordo esterno dello strato limite, cfr. fig. 5.1.I due termini di sorgente Pt e Pm variano con la quota in modo diverso, co-sì che il loro rapporto e la reciproca rilevanza risultano altrettanto variabili. Iltermine di produzione meccanica ha un massimo nelle immediate vicinanzedel suolo, e quindi decade rapidamente con la quota; al confronto, il termine

5Non si vede per quale motivo le fluttuazioni di pressione dovrebbero essere correlate con lefluttuazioni della velocità verticale, dando luogo a un valore significativo di < u2δp >.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

di origine termica può essere considerato in prima approssimazione costante.L’analisi dei relativi ordini di grandezza rivela che nelle immediate vicinanzedel terreno il termine Pm è più grande di Pt; ma poiché il primo diminuiscevelocemente, si raggiunge una quota in cui i due effetti sono dello stesso ordi-ne, e quindi una regione superiore dello strato limite ove la relazione tra i duesi inverte, l’importanza di Pm essendosi ridotta a niente. Il fatto che l’impor-tanza relativa dei due processi sia variabile permette di articolare la strutturadello strato limite in regioni diverse; l’articolazione può essere più o menodettagliata, in funzione della maggiore o minore propensione dell’autore al-l’analisi6, ma comunque deve prevedere una regione alta, ove la fluttuazioneè dovuta unicamente al ricircolo di correnti termiche, e una regione aderen-te al terreno ove la produzione di energia cinetica turbolenta è essenzialmentedi origine inerziale. Alla regione alta si dà il nome di strato limite convettivo;a quella bassa, il nome di strato superficiale. L’altezza a cui i due termini diproduzione Pm e Pt si equivalgono, si chiama altezza di Monin-Obukhov. Unquadro schematico della situazione è schizzato in fig. 5.2.

Quando è presente un flusso termico rivolto verso l’alto, con l’incremento nel-la produzione di energia cinetica turbolenta che esso comporta, si definiscela condizione dell’atmosfera come instabile, introducendo di fatto un criteriodiverso da quello usato per discutere la stabilità delle soluzioni statiche. Sidice fortemente instabile uno strato limite ove il processo termico prende ra-pidamente il sopravvento sul processo meccanico di produzione dell’energiacinetica turbolenta, riducendo lo strato superficiale ad uno spessore di una de-cina di metri; in una giornata di sole, con venti in quota deboli, si ha questasituazione.

Quando il flusso termico è limitato a causa di una spessa copertura di nubi,e il vento in quota è relativamente forte, il termine Pt può essere irrilevanterispetto a Pm in tutto lo strato limite. Lo spessore dello strato risulterà ridottoper l’assenza di significative correnti termiche; in tal caso, si definisce neutrala stabilità dello strato limite.

Col calar del sole l’ascesa di correnti di aria calda si esaurisce; nella parte al-ta dello strato limite questo fatto comporta la scomparsa della fluttuazione, il

6Nonché a considerare il campo di moto turbolento come un collage di situazioni locali, invecedi un sistema indivisibile in cui tutto interagisce con tutto.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

H

h

U

Fig. 5.2 – Strato limite di altezza complessiva h, diviso in due regioni dall’altezza H diMonin-Obukhov. Al di sopra di H si ha lo strato limite convettivo, con struttura di motodi origine termica e scala integrale ∼ h , chiaramente riconoscibili. Al di sotto di H siha lo strato superficiale, dominato dalle instabilità meccaniche.

cui residuo viene dissipato dalla viscosità. La corrente torna progressivamen-te laminare; lo strato convettivo si dissolve e l’equazione 5.1 perde significato,poiché i suoi termini divengono tutti nulli. Vicino al suolo, la fluttuazioneturbolenta permane per opera delle instabilità inerziali - quindi di Pm - chetraggono alimento dal gradiente della velocità media U. Il progressivo raf-freddamento del terreno, tuttavia, genera una stratificazione termica con glistrati di minore temperatura potenziale in basso, e quindi una situazione incui il termine Pt agisce come un pozzo, sottraendo energia cinetica al campofluttuante. L’effetto si somma alla dissipazione viscosa nel ridurre l’ampiez-za della fluttuazione; l’altezza dello strato caratterizzato da moto turbolento dientità significativa si riduce, e in alcuni casi non va molto al di là della sciadegli ostacoli presenti sul terreno. La struttura del campo di moto si modifi-ca; poiché l’effetto soppressivo agisce sulla componente verticale della flut-tuazione - è dovuto al campo gravitazionale, in definitiva - le configurazionidi grande scala tendono a modellarsi come strutture bidimensionali, nei pianiorizzontali. L’insieme di questi effetti viene riassunto affermando che il cam-po è divenuto stabile, il molto o poco dipendendo dall’entità del gradiente ditemperatura.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

Le situazioni di più rapido ed energico raffreddamento della superficie si han-no di notte su terreni asciutti, con cielo privo di nubi. La presenza infatti di unaspessa copertura crea un equilibrio radiante tra il terreno e la superficie inferio-re delle nubi, che si rimpallano la radiazione di bassa frequenza. È esperienzacomune che in una notte nuvolosa l’abbassamento di temperatura dell’aria siamolto contenuto.

Validità dell’approssimazione di Boussinesq per il calcolo del termine disorgente

Il discutere la validità dell’approssimazione di Boussinesq in generale è com-pito complesso, perché molto varie sono le situazioni in cui l’approssimazioneviene adottata. In questo contesto, ci limitiamo a considerare le conseguenzedell’approssimazione sul modo con cui viene valutato il termine di produzio-ne termica nell’equazione di bilancio dell’energia cinetica turbolenta, eq. 5.2.L’approssimazione di Boussinesq permette di legare l’intensità della sorgenteal flusso termico convettivo, tramite la sostituzione:

δρ

ρm= − δT

Tm5.4

che rende le due grandezze direttamente proporzionali:

− < u2δρ > g =ρm

Tm< u2δT > g ∝ Fc

E poiché la correlazione < u2δρ > è difficile da misurare, nella prassi siassume il flusso termico convettivo, che viene stimato in modo più o menoindiretto7, come parametro significativo della condizione della turbolenza at-mosferica, proprio in virtù di questa relazione immediata; la cifra del flussotermico viene letta come misura dell’intensità del termine di sorgente.In generale, la relazione corretta tra variabili di stato non è la 5.4, ma la:

δρ

ρm=δp

pm− δT

Tm

e quindi l’attendibilità del procedimento richiede che sia:∣∣∣∣ 1pm

< u2δp >

∣∣∣∣ << ∣∣∣∣ 1Tm

< u2δT >

∣∣∣∣ 5.5

7La tecnica più usata consiste nella misura, tramite un radiometro differenziale, delle differenzatra flusso radiante diretto verso la superficie terrestre e flusso riemesso, nella convinzione chetale differenza sia uguale, all’incirca, al flusso convettivo nell’atmosfera (cfr. fig. 8.7).

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

Vi sono un paio di motivi per credere alla 5.5. Il primo deriva dalla constata-zione che le variazioni percentuali di temperatura dell’aria a una stessa quotasono di consueto più elevate di quelle di pressione. Nello strato limite diurno,con forti fenomeni termici, possono esservi variazioni di temperatura di 1 oK,così che un tipico valore di δT/Tm è 0.003, diciamo in generale dell’ordine di10−3. Le fluttuazioni dinamiche di pressione possono essere stimate in basealle fluttuazioni di velocità, per mezzo dell’equazione di quantità di moto, chetrascriviamo:

ρ

(∂

∂t+ uj

∂xj

)ui = − ∂p

∂xi+ (ρ+ δρ)gi + μ

∂2ui

∂xj∂xj

La scala temporale delle variazioni di qualsiasi grandezza fluttuante in unacorrente turbolenta è ∼ l/U , per l’ipotesi di Taylor8 sul trasporto delle struttu-re vorticose, oveU rappresenta la velocità media ed l la scala geometrica dellastruttura del campo che viene considerata. Indicato con σu l’ordine di gran-dezza della fluttuazione di velocità di scala l, i termini inerziali dell’equazionedi quantità di moto possono essere stimati come ρmUσu/l e quelli di pressio-ne come δp/l; uguagliando i due ordini di grandezza, si trova la fluttuazionedi pressione associata. Si ha:

δp

l∼ ρm

Uσu

l= ρm

U2

l

(σu

U

)da cui si ottiene una variazione percentuale di pressione, che in realtà nondipende dalla scala geometrica della struttura vorticosa:

δp

pm∼ ρm

pmU2(σu

U

)5.6

Il valore più tipico dell’indice di turbolenza (σu/U) è nello strato limite ∼ 0.1,mentre la velocità media orizzontale è dell’ordine di 10 m/s; di conseguenzasi ha una variazione percentuale di pressione:

δp

pm∼ 10−4

più piccola di quella della temperatura di circa 10 volte.Questa conclusione può risultare dubbia in caso di forte vento e debole riscal-damento della superficie. La 5.5 rimane probabilmente valida, tuttavia, perchéle fluttuazioni di pressioni risultano debolmente correlate con le velocità verti-cali, al contrario di quanto accade delle fluttuazioni di temperatura. Quello che

8Cfr. 2.1: l’autocorrelazione temporale euleriana.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

rende fortemente correlate la fluttuazione di temperatura con quella di velocitàverticale è il fatto che le particelle di fluido, nello spostarsi in alto o in bas-so, conservano la loro temperatura potenziale. Se la temperatura potenziale èpiù alta nelle vicinanze del terreno di quanto non lo sia nel mezzo dello stratolimite - il terreno è più caldo dell’aria - una particella che provenga dal bas-so, e quindi possieda velocità verticale positiva, ha molte probabilità di avereuna temperatura più alta di quella delle particelle che la circondano alla stessaquota. È la conservazione della temperatura potenziale, la proprietà che attri-buisce alla particella una memoria dello stato termodinamico della regione diprovenienza.È poco credibile che accada altrettanto della fluttuazione di pressione; è veroche esiste un gradiente statico di pressione, e che pertanto una particella cheparta dal basso ha inizialmente una pressione più alta di quella media vigentea una quota più alta. Le differenze di pressione tuttavia si annullano attraver-so la propagazione di onde sonore, un processo dinamico che nel modello diBoussinesq è stato soppresso, ma che tuttavia esiste e ha una velocità di propa-gazione più alta della velocità convettiva verticale, di più ordini di grandezza.È difficile immaginare che una particella, che traversi un piano orizzontaleprovenendo dal basso, abbia una pressione più alta dell’aria alla stessa quota,solo perché più alta è la pressione della regione da cui proviene. Se vi è varia-zione δp di pressione, pertanto, è da attribuire a una configurazione del campodi moto in atto nel momento in cui la particella attraversa il piano orizzontale.Non si vede il motivo per cui tali fluttuazioni dovrebbero risultare strettamentecorrelate con il senso della velocità verticale9

Numeri di Richardson e flussi di energia termica

Poiché la mutevole relazione tra Pt e Pm determina le caratteristiche del cam-po di moto turbolento, appare ragionevole assumere il loro rapporto come nu-mero caratteristico della corrente. Si chiama numero di Richardson di flusso ilrapporto adimensionale:

Rif =Pt

−Pm=

g

Tm

< u2δT >

< u1u2 > dU1/dx25.7

9Sebbene non lo si possa escludere in modo tassativo, poiché le configurazioni di motoascendente non sono simmetriche rispetto a quelle discendenti, cfr. fig 4.24.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

scelto in modo tale che il numero risulti negativo quando i due processi di pro-duzione, quello di origine meccanica e quello di origine termica, si sommano;in tal caso si ha

Fc > 0;Pt > 0;Pm > 0;Rif < 0

e la condizione dello strato limite viene indicata come instabile. Quando Pt

agisce come fattore di soppressione del moto fluttuante, essendo il flusso ter-mico rivolto verso il terreno, Rif è invece positivo e lo strato limite viene dettostabile. Valori positivi di Rif sufficientemente elevati inducono una transizio-ne inversa, da turbolento a laminare, del campo di moto; il valore critico aldi sopra del quale avviene la rilaminarizzazione, è compreso tra 0.2 e 0.25,secondo quanto è riportato in letteratura.Le due correlazioni che compaiono a numeratore e denominatore della 5.7 so-no grandezze tipiche di un moto turbolento sviluppato, e non hanno alcun si-gnificato in un moto laminare. Si parla tuttavia di numero di Richardson anchein un contesto diverso, quello della stabilità di un campo di moto laminare conprofilo di velocità variabile con la quota e stratificazione termica per piani oriz-zontali. È un argomento che si può considerare come un’estensione dello stu-dio della stabilità della soluzione statica (u = 0), a cui deve ricondursi quandoil profilo di velocità sia uniforme. Si suppone di avere una soluzione staziona-ria U1(x2), classico moto di scorrimento, e si analizza quale sia l’influenza delprofilo di temperatura potenziale Θ(x2) sulla stabilità della configurazione; ineffetti vi sono perturbazioni di U1(x2), che in presenza di una stratificazioneneutra (dΘ/dx2 = 0) si sarebbero amplificate per una dinamica puramenteinerziale, le quali vengono inibite quando la stratificazione ha carattere stabi-lizzante (dΘ/dx2 > 0), per effetto della forza peso. Se questo avviene, e inquale misura, dipende dalla soluzione stazionaria [U1(x2);Θ(x2)]; si dimo-stra, ai fini della stabilità, l’importanza di un nuovo parametro adimensionato,a cui si dà il nome di numero di Richardson, questa volta senza attributi:

Ri =g

ΘdΘ/dx2

(dU1/dx2)25.8

Le soluzioni stazionarie in cui il parametro è superiore a 0.25 si rivelano,grazie alle consuete tecniche di analisi lineare, stabili; il risultato è dovutoa Taylor10. Si noti che nel delineare quest’ultimo argomento siamo tornati a

10G.I. Taylor, Effect of variation in density on the stability of superposed streams of fluids, Proc.Roy. Soc., London, 1931.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

intendere il concetto di stabilità nel senso più comune, come stabilità di unasoluzione stazionaria.Sebbene portino lo stesso nome, Rif e Ri sono due parametri diversi, definitinel contesto di diversi problemi. Per stabilire un legame tra i due parametri,e quindi anche tra la dinamica dei due problemi, si riformula l’espressione diRif eliminando le correlazioni, che non hanno alcun corrispettivo nel motolaminare, e si interpreta il moto medio della corrente turbolenta come se fosseil moto laminare che compare nella 5.8. Per farla breve, si pone:

δT

Tm=δΘΘm

1Tm

< u2δT >=1

Θm< u2δΘ >= − 1

ΘmktdΘm

dx2

< u1u2 >= −νtdU1

dx2

Rif =kt

νt

g

Θm

dΘ/dx2

(dU1/dx2)2=kt

νtRi 5.9

La sostituzione di δT/Tm con δΘ/Θm rientra nello schema generale dell’ap-prossimazione di Boussinesq e si giustifica con il supporre che le variazionipercentuali di pressione siano più piccole, di almeno un’ordine di grandezza,rispetto alle variazioni percentuali di temperatura, così da poter essere trascu-rate11. Introdotta come scarto rispetto al valor medio temporale, la variazionedi pressione δp può essere interpretata come scarto rispetto al valor medio del-le pressioni che si possono misurare, a un dato istante, su uno stesso pianoparallelo al terreno; avendo supposto che il moto turbolento sia omogeneo suivari piani orizzontali, non vi è in effetti motivo di ritenere che i due insiemi- quello dei valori che si susseguono nel tempo in uno stesso punto, e quellodei valori che si trovano a uno stesso istante nei punti di una stessa superfi-cie orizzontale - siano statisticamente diversi. Dunque, l’ipotesi di Boussinesqprevede che la pressione vari in verticale per effetto della legge di equilibriostatico, ma non in orizzontale, passando da un punto ad un altro dello stessopiano, se non in misura irrilevante.

11Cfr. la discussione svolta nel precedente paragrafo.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

p2 T2

Θ

p1 T1

Θ

T2 T1

p2 p1

Θ Θ

T1 T2

p1 p2

Θ Θ

Fig. 5.3 – Scambio di posizione tra due masse di fluido in un sistema con temperaturapotenziale uniforme. Le due masse si scambiano tra loro le variabili termodinamiche;il sistema fluido, a scambio avvenuto, è indistinguibile da quello iniziale; il flusso dienergia tra regioni diverse è nullo.

Il flusso < u2δΘ > è stato espresso con una legge di gradiente:

< u2δΘ >= −ktdΘm

dx25.10

come se fosse dovuto a diffusione molecolare; l’analogia si basa sul concettoche la temperatura potenziale è una grandezza che viene trasportata inalteratadalle masse d’aria che si spostano in verticale, una proprietà che non è condi-visa da altre grandezze termodinamiche, quali la temperatura o la pressione.È implicito nella formula 5.10 che il flusso termico si annulli quando la tem-peratura potenziale media è uniforme nell’intorno della giacitura considerata,poiché in tal caso si ha: dΘm/dx2 = 0.In effetti, una distribuzione uniforme di temperatura potenziale nel fluido com-porta una condizione di omoentropia, essendo le due variabili strettamente le-gate12, e lo scambio di posizione tra due masse d’aria, inizialmente l’una aldi sopra e l’altra al di sotto di una data quota, non induce alcuna variazionedello stato del fluido. Poiché nel modello di Boussinesq la pressione è con-trollata dall’equilibrio statico, e quindi dipende solo dalla quota, lo scambio di

12Cfr. Cancelli, op. cit., par. 4.5.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

posizione tra le due masse porta a un semplice scambio delle relative pressio-ni; e di conseguenza, poiché l’entropia rimane inalterata, anche a quello dellealtre variabili termodinamiche. Per chi osserva il fluido nel suo complesso,non è avvertibile alcuna variazione di stato tra la configurazione di partenza equella finale. In particolare, non vi è alcun cambiamento nella distribuzionespaziale dell’energia; pertanto, il flusso di energia associato allo spostamentodelle masse va considerato nullo. Il ragionamento delineato per lo spostamen-to di due sole masse può essere esteso ai complessi spostamenti di un campoturbolento, che comunque possono essere ricondotti ad un insieme di scambisemplici, e dà ragione del fatto che i flussi siano nulli quando la temperaturapotenziale è ovunque uniforme. Una volta accettato questo punto di vista, larelazione 5.10 può essere considerata un’approssimazione locale dell’intensitàdel trasporto.Altrettanto si può dire, per quanto riguarda il trasporto di quantità di moto, perl’espressione:

< u1u2 >= −νtdU1

dx2

la quale rappresenta, a meno della densità, una componente del tensore de-gli sforzi di Reynolds. Infine, i simboli kt e νt indicano due coefficienti didiffusione turbolenta - diffusività termica e viscosità cinematica - e la lorocomparsa deriva dall’aver adottato delle leggi di gradiente per l’espressionedei flussi.Se si accetta che il rapporto tra i due coefficienti di diffusione turbolenta di-penda unicamente da Rif , la 5.9 diviene una relazione tra i due numeri diRichardson, che li lega in modo biunivoco; Ri può sostituire Rif , nel valutarel’importanza relativa dei fenomeni termici nella produzione di energia cineticaturbolenta. Il primo a seguire questa linea di pensiero - che di fatto stabilisceun nesso tra il problema lineare della stabilità delle soluzioni stazionarie equello non lineare della dinamica di un moto turbolento sviluppato - è statoRichardson nel 192013. Per la rilaminarizzazione di un campo turbolento, adesempio, Richardson suppose che la transizione avvenisse a un valore criticodi Rif , stimabile come:

(Rif )c = (Ri)c = 1

13L.F. Richardson, The supply of energy from and to atmospheric eddies, Proc. Roy. Soc. London,A97, 1920.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

In genere, si difende l’uso di Ri come parametro generale di similitudine alposto di Rif , ricordando che Rif è difficile da misurare perché contiene del-le funzioni di correlazione14. Il che è incontestabile, ma non toglie che nellarelazione 5.9 compaiano grandezze inafferrabili; i due coefficienti di diffusio-ne infatti traggono la loro legittimità da una ipotesi, quella del carattere localedei flussi, che non ha fondamento. Inoltre l’uso di Ri, e la sovrapposizionedei due problemi, induce aspettative del tutto errate su quello che dovrebbeessere il profilo di temperatura potenziale media in uno strato limite turbolen-to. Viene pressoché istintivo, dato il lessico, immaginare che all’interno diuno strato limite turbolento, caratterizzato da un intenso flusso termico rivol-to verso l’alto, si abbia ovunque un gradiente negativo di Θm. In letteraturasi trovano schizzati, a scopo pedagogico, alcuni esempi di tale situazione; ilproblema è che non si trova un insieme di misure ben fatte che la confermi. Èsufficiente uno sguardo alle misure di figura 4.17 per rendersi conto di qualesia l’aspetto di un caso reale; in pieno pomeriggio, con flusso termico elevatoe rivolto verso l’alto, il gradiente di Θm nello strato convettivo risulta nullo,o lievemente positivo. Rimane vero che da qualche parte vicino a terra devetrovarsi una regione di fluido con temperatura potenziale più alta - qualcosa disimile si scorge nel tracciato spostato a destra; il ragionamento sull’impossi-bilità di un flusso in una condizione di omoentropia globale è tuttora valido.Ma le misure escludono che nello strato convettivo il flusso possa essere cal-colato come se fosse dovuto a una variazione locale di Θm; in realtà, la scalaintegrale delle correnti termiche è più o meno pari all’altezza dell’intero stratolimite, e la separazione di scale su cui le leggi di gradiente si fondano non puòessere invocata. Mentre, invece, la distribuzione quasi uniforme di Θm rileva-bile sperimentalmente conferma una proprietà di carattere generale da tenereben presente: nei moti turbolenti qualsiasi variabile trasportata inalterata perconvezione15 in un dominio limitato si avvicina tendenzialmente a una distri-buzione uniforme, si tratti della concentrazione di un inquinante, o del vaporacqueo, o dell’anidride carbonica, oppure di variabili di stato quali l’entropiae la temperatura potenziale.

14I.A. Businger, op. cit., p. 23.

15Per cui si possa scrivere: D/Dt = 0

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

Altezza di Monin-Obukhov

I vari termini che si trovano a numeratore e denominatore di Rif , cfr. eq. 5.7,variano con la quota, e quindi il numero di Richardson fa altrettanto. Vi è tut-tavia nelle leggi di variazione una regolarità sufficiente per permettere alcuneaffermazioni di carattere generale; nelle immediate vicinanze del terreno il ter-mine di produzione meccanica è più forte di quello di origine termica che ha,in questo spazio limitrofo, un ruolo poco rilevante. In presenza di flusso termi-co la situazione si modifica con la quota, in genere in modo piuttosto rapido,poiché il termine di produzione meccanica diminuisce molto più rapidamentedi Pt; si raggiunge quindi un’altezza in cui i due termini di produzione sonodello stesso ordine. Questa altezza si rivela un’utile scala geometrica - secondoun’intuizione di Obukhov, 194616 - per una rappresentazione invariante, in for-ma autosimile, dello strato limite; porta il nome di altezza di Monin-Obukhove noi la indicheremo con il simbolo H.Al di sopra di questa quota, il carattere del campo di moto cambia radical-mente in funzione del segno di Pt. Quando il flusso termico è rivolto verso ilbasso - quindi quando Pt ha segno negativo e tende a sopprimere la fluttua-zione - il moto turbolento si estingue al di sopra di H insieme ai flussi che loaccompagnano; lo strato limite può considerarsi terminato a tale quota.Una diversa situazione si ha quando il flusso di calore è rivolto verso l’alto;in questo caso il raggiungimento della quota H sta semplicemente ad indicareche da questa quota in poi le instabilità di tipo inerziale risultano insignifican-ti, e la struttura del campo di moto è determinata dalla configurazione e dalladinamica delle sole correnti termiche. Lo strato limite, come regione caratte-rizzata da forti flussi trasversali alla direzione del moto medio, prosegue al disopra di H fino alla quota massima di innalzamento delle masse di aria calda,cfr. fig. 5.2.L’altezza di Monin-Obukhov è definita dalla relazione implicita:

‖Rif (H)‖ = 1

e il calcolo di H può essere svolto in modo approssimato, considerando co-stanti le due correlazioni < u1u2 > e < u2δT >, e variabile con la quota la

16A.M. Obukhov, Turbulence in an atmosphere with a non-uniform temperature, Boundary LayerMeteorol., 2, 1971.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

derivata della velocità media dU1/dx2. Le prime infatti sono grandezze checambiano molto più lentamente della seconda; radicalizzando la differenza dicomportamento, si scrive per le correlazioni:

< u1u2 >= −u2∗ ∼ cost

1Tm

< u2δT >=1

Θm< u2δΘ >∼ cost

come se si mantenessero uguali al valore posseduto nelle immediate vicinanzedel terreno, mentre la rapida variazione della velocità media viene espressatramite la legge:

dU1

dx2=

u∗κx2

5.11

La velocità

u∗ =√− < u1u2 >

si chiama velocità d’attrito ed è chiaramente, a parte l’omissione della densi-tà, una misura del flusso di quantità di moto, sempre negativo, scambiato traaria e terreno. La 5.11 è una legge molto nota - si chiama legge logaritmica diparete - la quale ha, almeno in una regione limitata, una spiegazione fisica sucui torneremo; κ è una costante, detta di von Kármán, e vale all’incirca 0.4.In questo contesto useremo la legge logaritmica al di là della sua regione dipertinenza, semplicemente perché la sua forma si presta a un calcolo approssi-mato. Sostituendo l’espressione dei flussi e la 5.11 nel numero di Richardson,si ottiene:

Rif = − g

Θm

< u2δΘ >

u3∗κx2

da cui si ha, ricordando la definizione di H:

− g

Θm

< u2δΘ >

u3∗κH ∼ 1

e quindi:

H = −Θm

κg

u3∗< u2δΘ >

5.12

Si osservi che H è definita in modo tale da avere un segno, il che va al di là delsuo significato fisico di altezza sul suolo, per cui i due processi di produzionedi energia cinetica turbolenta sono dello stesso ordine. In effetti si vuole cheH conservi la distinzione di segno, esattamente come Rif , per distinguere tra

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

le situazioni in cui la produzione di energia turbolenta di origine termica sisomma a quella di origine meccanica:

Fc > 0;Rif < 0;H < 0

e quelle in cui invece si sottrae:

Fc < 0;Rif > 0;H > 0.

Ne deriva che, nelle cosiddette configurazioni stabili, H risulta positiva, men-tre in quelle instabili risulta negativa; e poiché è inversamente proporziona-le al flusso termico, cfr. 5.12, il suo modulo appare tanto più piccolo quantomaggiore è l’effetto stabilizzante o instabilizzante della stratificazione. In unagiornata di sole, con vento debole, si può avere ad es. H ∼ −10 m, ma unnumero simile, sebbene di segno contrario, ad es. H ∼ 10 m, si può trovareanche nella situazione opposta, in una notte serena e senza vento. Quanto ac-cade al di sopra della quota di 10 metri è tuttavia ben diverso; nel primo caso,al di sopra di 10 metri vi è un campo di moto turbolento strutturato da cor-renti ascensionali di origine termica; nel secondo, si ha sopra i 10 metri uncampo di moto in cui la turbolenza è stata soppressa, e i flussi convettivi sonopressoché scomparsi.

Moduli elevati di H indicano invece una condizione neutra, in cui i fenome-ni termici sono irrilevanti; in effetti, si può vedere dalla 5.12 che |H| cresce inmodo illimitato, quando il flusso termico tende a zero. Che cresca per valo-ri positivi o negativi, non fa differenza. Vi sono procedimenti di calcolo chepermettono di trovare H in funzione di alcuni parametri dello strato limite, ingenere la velocità media ad una data altezza e la temperatura dell’aria misura-ta a due diverse quote. Può capitare che variazioni minime di questi parametriinducano variazioni inaspettate di H, la quale può passare da un alto valore po-sitivo a un valore negativo, altrettanto alto in modulo; non è il caso di stupirsi,perché il fatto sta semplicemente ad indicare che le correnti termiche sonotrascurabili. Per essere chiari, valori quali H = 1300 m, H = −1450 m,che sembrano contrapposti, contengono una stessa informazione: indicanoentrambi una condizione neutra, o quasi, dello strato limite.

La 5.12, infine, pone in luce la forte influenza della velocità media del ventosull’altezza di Monin-Obukhov; la velocità di attrito u∗ si può considerareall’incirca proporzionale alla velocità media U1, e quindi H risulta crescerecon la terza potenza della velocità del vento. Si possono avere condizionifortemente stabili, o fortemente instabili, solo con venti deboli.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

5.2. LEGGI DI SIMILITUDINE PER LO STRATO LIMITE

Introduzione

Per calcolare i valori medi di concentrazione di un inquinante immesso nel-lo strato limite terrestre, occorre preventivamente conoscere quali siano i li-neamenti statistici del campo di moto. Una tipica equazione di dispersioneturbolenta, come quella trascritta:

U∂Q

∂x=

∂y

(Dty

∂Q

∂y

)+

∂z

(Dtz

∂Q

∂z

)può essere risolta per la variabile Q quando si conoscano i valori della ve-locità media U e i coefficienti di diffusione turbolenta trasversale e verticaleDty e Dtz , punto per punto17. Sembra pertanto che occorra effettuare un buonnumero di misure, prima di eseguire i calcoli, oppure determinare per via nu-merica anche le caratteristiche del campo di moto. In realtà il procedimentoseguito usualmente richiede solo un insieme limitato di dati, grazie ad una ipo-tesi semplificatrice che risulta accettabile in molte situazioni. Si assume che ilcampo turbolento dello strato limite possa essere suddiviso in regioni diverse,ciascuna delle quali obbedisce a leggi di similitudine, così che la sua descri-zione venga ricondotta a una forma invariante tramite l’adozione di opportunescale. Una volta che queste leggi universali siano state costruite rielaborandoi dati sperimentali di più campagne di misura, effettuate in condizioni diversedell’atmosfera, i valori che si riferiscono a una situazione particolare possonoessere dedotti dalle leggi generali, purché si conoscano le scale del momento;il che richiede un numero limitato di misure. Per intenderci con un esempio,si ammette normalmente che, nelle correnti che scorrono lambendo una pare-te, esista una regione vicino alla superficie solida ove vale la legge logaritmicadi variazione della velocità media:

U

u∗=

ln(z

zo

)5.13

ottenibile per integrazione dalla 5.13. È immediato osservare che, qualora si

17In questo paragrafo torniamo ai simboli comunemente usati nei manuali di istruzione dei pro-grammi di calcolo; la direzione sottovento è indicata come asse x, quella verticale è data da z,e quella trasversale al vento da y; le componenti corrispondenti delle velocità fluttuanti sonou, w, v.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

scelgano come unità di misura u∗ e zo, la 5.13 può essere posta nella formainvariante:

U ′ =1κ

ln(z′)

essendo:

U ′ = U/u∗

z′ = z/zo

Da un punto di vista pratico, l’esistenza della 5.13 permette di ricondurre ilproblema di determinare la funzione U(z) a quello della misura di due soliparametri, u∗ e zo; oppure, con scelta equivalente, alla misura di un solo valoredi U a una altezza z, quando sia nota zo. La 5.13 è valida solo in una parte,più o meno estesa in verticale, dello strato limite; per dare una descrizionecompleta del campo delle velocità nell’intero strato occorre fare riferimentoa più leggi e prevedere più misure; l’ipotesi di similarità permette tuttaviadi contenerne il numero. Anche il procedimento di Pasquill, che suddividel’insieme delle situazioni atmosferiche in un numero limitato di categorie - leclassi di stabilità - e quindi assegna la situazione in esame ad una di queste inbase a un numero altrettanto limitato di osservazioni, trova in ultima analisi lasua giustificazione più forte nell’esistenza delle leggi di similitudine.

Legge logaritmica di parete

Tornando alla 5.13, essa può essere giustificata in vario modo. Per dedurla sipuò partire dalla constatazione empirica che, in vicinanza del suolo, si possonoosservare per le varie grandezze leggi di variazione molto diverse; la velocitàmedia U passa da zero a valori vicini al valore massimo in breve distanza,mentre lo sforzo tangenziale varia così lentamente nello stesso intervallo dapoter essere considerato quasi costante. Pertanto la condizione:

−ρ < wu >= ρu∗2 = cost

è compatibile18 con una rapida variazione di U . Per essere esatti, alla paretele fluttuazioni di velocità non possono che annullarsi, e quindi lo sforzo tan-genziale sarà di natura viscosa; ma lo sviluppo di −ρ < wu > avviene in

18La velocità u∗ rappresenta la velocità di attrito, già definita nel paragrafo precedente.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

modo così rapido,appena ci si allontana dalla parete, che l’esistenza di una re-gione viscosa può essere trascurata. Dopo questo primo passo, che ha un’evi-denza sperimentale, si possono seguire una serie di considerazioni fortementeipotetiche:

– si assume che lo sforzo tangenziale sia esprimibile mediante unalegge di gradiente:

−ρ < wu >= ρu∗2 = ρνtdU

dz

– si assume che l’unica lunghezza significativa, alla distanza z dallaparete, sia z stessa;

– si suppone che il campo fluttuante presenti una sola scala di ve-locità, a cui tutte le componenti, comunque definite, risultanoproporzionali.

La viscosità cinematica turbolenta νt che compare nella legge di gradiente, èun tipico coefficiente di diffusione e ha le dimensioni fisiche del prodotto diuna velocità per una lunghezza:

νt ∼ σul

essendo σu ed l due proprietà della parte fluttuante del campo, che misu-rano l’intensità e la dimensione lineare delle strutture vorticose. Scelta co-me velocità di riferimento la velocità di attrito u∗, per le ipotesi fatte si puòscrivere:

σu = k1u∗

l = k2z

ove k1 e k2 sono due costanti sconosciute. Sostituendo queste espressioniin quella della viscosità cinematica turbolenta νt, dalla legge di gradiente siottiene:

dU

dz=u∗κz

5.14

ove il simbolo κ - la costante di von Kármán - ha sostituito il prodotto k1k2.Per integrazione della 5.14 si ha infine la legge logaritmica 5.13.

La lunghezza zo che vi compare è una costante di integrazione - alla letteraindica la quota in cui la velocità media si annullerebbe se la legge fosse validafino in parete - e porta il nome di altezza geometrica di rugosità superficiale.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

In effetti, il profilo delle velocità nelle immediate vicinanze della parete nonpuò che essere influenzato dalla geometria della superficie, la cui caratteriz-zazione porta ad un unico parametro, una misura della rugosità superficiale,nel momento stesso in cui si nega importanza alla forma tridimensionale de-gli ostacoli19. Quindi zo dipende dalla rugosità della superficie; non è tuttaviadetto che la misuri correttamente. In genere zo risulta più piccola, di circa 10volte, dell’altezza media quadratica della rugosità.

La legge logaritmica è stata ottenuta da più autori, e la si può vedere comeuna applicazione della teoria della lunghezza di mescolamento, sviluppata daPrandtl negli anni venti del secolo passato. La teoria di Prandtl è una teoriagenerale del trasporto turbolento, ricalcata sulle proprietà della diffusione mo-lecolare; al posto delle molecole si hanno le particelle di fluido, al posto diuna misura delle velocità di agitazione termica si ha una misura delle velocitàdi fluttuazione turbolenta, e al posto del cammino libero medio si ha una lun-ghezza di mescolamento, che nella nostra ottica potremmo considerare comeuna lunghezza massima di correlazione, o qualcosa di simile. Oltre alla diffi-coltà, più volte ricordata, di dare forma matematica a un’analogia - quella tragli effetti del moto termico delle molecole e gli effetti della fluttuazione tur-bolenta delle particelle - solo qualitativa, l’applicazione del modello diffusivodi trasporto turbolento è particolarmente debole quando la grandezza trasferitada una regione ad un’altra è la quantità di moto della particella, poiché questagrandezza non viene trasportata inalterata per convezione. Se vengono analiz-zate, le proposizioni che ci hanno permesso di dedurre la legge logaritmica sirivelano discutibili singolarmente e incoerenti nel loro insieme. La legge ap-pare tuttavia in buon accordo con i risultati sperimentali, e viene consideratausualmente un successo della teoria. Deve la sua solidità a motivi più gene-rali, e più astratti, del particolare fenomeno invocato per darne spiegazione.In realtà, l’unica proposizione essenziale riguarda l’esistenza di una regionedel campo di moto, ove si ha come unica scala significativa di lunghezza ladistanza z dalla parete, e come unica scala significativa di velocità la veloci-tà di attrito. Una volta accettata questa affermazione, la legge logaritmica può

19Se decidessimo di tener conto della forma degli ostacoli - colline, edifici, et cet. - non potremmosupporre il campo di moto omogeneo nei piano orizzontali.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

essere dedotta in molti modi diversi, compreso quello semplicissimo di consta-tare che il secondo membro della 5.14 è l’unica espressione dimensionalmentecorretta che si possa costruire con le scale u∗ e z.

L’affermazione dell’unicità delle due scale ha delle implicazioni in negativoche conviene mettere in evidenza. Il campo di moto di cui stiamo parlandoè determinato in alto da una velocità Ue imposta all’altezza h, ed è limita-to in basso da una superficie che impone la condizione di aderenza: U = 0.La superficie solida presenta un’altezza di rugosità superficiale hs, in genera-le molto più piccola di h. Ipotizzare la presenza di una regione del campo dimoto in cui l’unica lunghezza significativa è la distanza z della parete, è co-me negare che h e hs abbiano, in tale regione, alcun ruolo. La regione con ilprofilo logaritmico appare quindi come una zona intermedia, la cui dinamicaè determinata da strutture turbolente troppo grandi per essere influenzate dahs e troppo piccole per accorgersi dell’altezza h dell’intero strato. Vi è unaevidente analogia tra la regione del profilo logaritmico nelle correnti di scorri-mento e il dominio inerziale della turbolenza omogenea20. Entrambi i dominirisultano da una scomposizione del campo, in un caso nello spazio fisico enell’altro nello spazio dei numeri d’onda, e sono caratterizzati da scale di lun-ghezza che sono ad un tempo molto più piccole della scala esterna e molto piùgrandi della scala minima della corrente, così da risultare indipendenti dall’u-na e dall’altra. Se considerassimo liscia la superficie che delimita la corrente,potremmo sostituire all’altezza di rugosità la scala diffusiva: δ = ν/u∗, es-sendo ν la viscosità cinematica molecolare, e l’analogia tra le due situazionirisulterebbe ancora più stringente. Naturalmente, l’esistenza di un dominiointermedio con tali caratteristiche richiede che le scale estreme siano diversetra loro per più ordini di grandezza; ma quando questa condizione è soddi-sfatta è ragionevole attendersi che il dominio intermedio sia indipendente daentrambe, e quindi descrivibile mediante leggi universali. In particolare, lalegge logaritmica posta nella forma adimensionata:

U ′ =1κ

ln(z′)

non può variare passando da una corrente a un’altra, purché entrambe scor-

20A.K. Blackadar, H. Tennekes, Asymptotic similarity in neutral barotropic planetary boundarylayer, J. Atmos. Sci., 25, 1968.

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rano su una superficie; il che richiede che la costante di von Kármán risultieffettivamente tale21.

A questo insieme di riflessioni si può dare forma matematica seguendo unprocedimento che è stato adottato negli ultimi decenni in gran parte dei testisull’argomento22. Ne diamo un breve cenno. I parametri globali che definisco-no il campo sono l’altezza h dello strato limite, l’altezza geometrica hs dellarugosità superficiale, e la velocità Ue imposta in alto. Se si parla di strato li-mite terrestre, privo di flussi termici e con vento geostrofico in alta quota siha:

Ue = Ug

e si può porre:

h =Ug

f

essendo f il parametro di Coriolis.

Ammettiamo inoltre che i processi viscosi siano trascurabili, il che equivale adire che non siamo interessati a descrivere le scale dissipative nel cuore dellacorrente e che riteniamo lo spessore della regione viscosa aderente alla paretemolto più piccolo di hs, come accade usualmente sulla superficie della terra.Allora, in base a pure considerazioni dimensionali, potremmo scrivere:

U(z)Ue

= g

(z

h;h

hs

)una formula sicuramente corretta, ma di scarsa utilità. Il campo infatti è ca-ratterizzato da scale geometriche e da leggi di variazione così diverse che unalegge unica risulta inadeguata a descriverle. Nella regione di parete si pro-pone naturalmente, come scala geometrica con cui misurare le distanze, nonl’altezza h dello strato limite ma l’altezza di rugosità hs, e come variabile adi-mensionata significativa il rapporto z/hs. D’altra parte, la scala delle velocità

21L’affermazione è vera solo in prima approssimazione, come del resto tutti gli aspetti di unateoria che di fatto implica la scomposizione del campo turbolento in un insieme di sottosistemiin equilibrio locale, come se fossero indipendenti.

22Introdotto da C. Millikan nel 1939, ha finito col dar vita a una teoria matematica autonoma,quella dell’analisi dei problemi con molte scale.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

più opportuna per valutare la variazione della velocità media, appare essere lavelocità di attrito u∗, se non altro perché le variazioni di velocità sono intrin-secamente legate al moto fluttuante delle particelle di fluido. La velocità diattrito non è una variabile indipendente; si può considerare determinata dal-la velocità imposta Ue e dalle due scale geometriche del problema; in formaadimensionata si ha pertanto:

u∗Ue

= g1

(h

hs

)5.15

Con queste riflessioni nella mente, si può ritenere opportuno dare una de-scrizione dello strato limite per tratti, riservando alla regione superficiale unalegge di variazione interna ove le distanze vengono misurate rispetto ad hs:

U

u∗= gin

(z

hs;h

hs

)5.16

e alla rimanente parte la legge di variazione esterna:U

u∗= gex

(z

h;h

hs

)5.17

ove la scala prescelta per la misura delle distanze è l’altezza h dell’interostrato23.Da un punto di vista matematico la scomposizione del dominio presenta unadifficoltà: partiti alla ricerca di una soluzione unica in grado di soddisfare en-trambe le condizioni al contorno, ci si trova con una ipotesi di soluzione cheprevede due leggi separate, a nessuna delle quali si può chiedere di rispettareentrambe le condizioni ai bordi, poiché la loro validità non si estende all’interodominio. Per uscire dall’indeterminazione occorre imporre in qualche regio-ne intermedia un raccordo tra la soluzione interna e quella esterna; la tecnicaadottata viene comunemente chiamata raccordo asintotico. In effetti, comeprimo passo si considera il problema nel limite24 per h/hs → ∞. Se il limi-

23La legge di variazione esterna viene usualmente presentata nella forma:

U − Ue

u∗= gex

„z

h;

h

hs

«

e prende il nome di legge del difetto di velocità.

24Come è ovvio, i procedimenti asintotici derivano la loro utilità dalla supposizione che lesituazioni reali siano sufficientemente vicine a quella limite.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

te esiste, le 5.15, 5.16, 5.17 divengono espressioni universali, perché prive diqualsiasi parametro. Si ha:

u∗Ue

= cost 5.18

U

u∗= gin(ζ) 5.19

U

u∗= gex(η) 5.20

ove i due nuovi simboli indicano le variabili adimensionate: ζ = z/hs; η =z/h. Il raccordo tra la 5.19 e la 5.20 si ottiene imponendo che le due espressioniabbiano la stessa pendenza:

u∗dgin

dz= u∗

dgex

dz=dU

dz

nel doppio limite per η → 0 e ζ → ∞. La scelta del doppio limite non devesorprendere: se il rapporto h/hs tende ad infinito, è inevitabile che variazio-ni pur molto grandi di ζ corrispondano a variazioni insignificanti di η, e chelo spessore della regione superficiale venga, nella prospettiva della scala ester-na, ridotto a un niente. Il concetto che quanto appare un universo in una scalamicroscopica, possa essere visto in una scala macroscopica come un semplicepunto, non è una elemento specifico della teoria dello strato limite; è stato usa-to a partire dall’inizio del novecento in molti e diversi contesti. Uguagliandole due espressioni delle derivata dU/dz si ha :

1hs

dgin

dζ=

1h

dgex

da cui si ottiene, moltiplicando entrambi i membri per z:

ζdgin

dζ= η

dgex

Affinché sussista il limite del primo membro per ζ → ∞, è necessario che pervalori di ζ sufficientemente grandi si abbia:

ζdgin

dζ= cost

e da questa relazione si deduce ancora una volta la legge logaritmica di pare-te. Il procedimento ha il merito di mostrare in modo rigoroso quali siano leproprietà della regione caratterizzate dal profilo logaritmico di velocità: unaregione intermedia, che risulta lontanissima dalla parete se la distanza è mi-surata in multipli di hs (z/hs → ∞) e vicinissima alla stessa se la distanza èmisurata in frazioni di h (z/h → 0).

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

90.0

0.1

0.2

0.31

2

10 11 12 13 14 15 16 t [ore] 19

(b)

(a)[km]<wδΘ> mK

s

Fig. 5.4 – (a) Andamento diurno dell’altezza h dello strato limite. (b) Andamento diurnodella correlazione tra velocità verticale w e fluttuazione δΘ di temperatura potenzialevicino al suolo.

Strato limite con flussi termici

La teoria precedente è raramente applicabile allo strato limite terrestre, perchéquesto non si presenta in genere privo di flussi termici. La situazione realepiù vicina alla descrizione del paragrafo precedente è quella di un vento checorre su una pianura, sotto una estesa e pesante copertura di nubi. Mancandoquesta condizione, gli scambi termici tra aria e terreno modificano in modosostanziale la struttura dello strato limite, la cui altezza viene a variare nelleventiquattro ore in modo periodico. Una tipica variazione dell’altezza h(t)dello strato limite è mostrata in fig. 5.4, in funzione del tempo, nel periododiurno di una giornata estiva. Nella figura è rappresentata anche la variazionedi < wδΘ > - una correlazione proporzionale al flusso termico, cfr. par. suiflussi di energia termica - che della variazione di h è causa diretta.

Nella prima mattina, con la comparsa di un flusso termico rivolto verso l’alto,l’altezza h(t) che nella notte si era ridotta ad un paio di decine di metri tor-na a crescere. La rapidità di salita, massima nel mezzo del giorno, si attenuaprogressivamente nel tardo pomeriggio quando l’altezza dello strato limite sistabilizza attorno a una quota che, in estate e alle medie latitudini, risulta diun paio di km. La legge di variazione di h(t) dipende non solo dallo scam-bio termico con il terreno, ma anche dal gradiente di temperatura potenzialedell’aria che sovrasta lo strato limite. Indicato con χ il gradiente, positivo, ditemperatura potenziale, cfr. fig. 5.5:

χ =(dΘdz

)atm

292

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

0.0

2.4

0.8

1.6

292 294 296 298 Θ[K]

[km]z

Fig. 5.5 – Temperatura potenziale all’interno e al di sopra dello strato limite.

la legge di variazione di h è data da una relazione del tipo:(h2

(1 + 2A)h− 2BκH +Cu∗2Θ

χg[(1 +A)h−BκH]

)dh

dt=< wδΘ >

χ5.21

ove κ è la costante di von Kármán, mentre A, B, C sono parametri da deter-minare per via empirica25. Se i parametri venissero assunti tutti uguali a zero,l’equazione 5.18 si ridurrebbe a:

dh

dt=

1h

< wδΘ >

χ

un’espressione che ha poche probabilità di risultare accurata, ma è sufficientea rendere qualitativamente l’andamento di h illustrato in fig. 5.4.

In realtà, il fatto che h vari nel tempo non ha implicazioni sulla strutturadel campo di moto turbolento, perché si ipotizza che il processo sia quasi-stazionario, in altri termini che esso sia descrivibile come una successione diconfigurazioni di equilibrio. L’ipotesi comporta che si misuri il valore di h cor-rispondente alla situazione in esame, ma esclude dall’insieme delle grandezzeche determinano le proprietà statistiche del campo di moto un tempo caratte-

25Cfr. E. Batchvarova, S.E. Gryning, An applied model for the height of the daytime mixed layerand the entrainment zone, Boundary Layer Meteorology, 71, 1994.

293

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

ristico del ciclo. Le grandezze che influenzano il campo di moto continuanoad essere quelle già note - h, hs (oppure zo), u∗ (oppure Ue) - con l’aggiuntadel flusso termico convettivo Fc. La presenza di questo nuovo termine rendepiù articolata la struttura dello strato limite; Monin e Obukhov hanno tuttaviaproposto una estensione della teoria di similitudine26, mostrando come l’in-troduzione di una nuova scala di distanze - l’altezza H già definita - permettadi esprimere l’effetto del flusso termico sulle varie funzioni che descrivono ilcampo di moto. Senza entrare nel merito, ci limitiamo a ricordare quali sianole varie scale che permettono, secondo la teoria, di dare una rappresentazioneadimensionata invariante della corrente turbolenta. Occorre innanzi tutto di-stinguere tra la regione al di sotto del valore assoluto dell’altezza di Monin -Obukhov, ove si ha:

z <| H |e quella al di sopra, ove si ha:

| H |< z < h

Nella prima, che prende il nome di strato superficiale, le scale da adottarerisultano:

– per la misura delle distanze, l’altezza H presa in segno, positivaquando il flusso termico è rivolto verso il basso e negativa quandoil flusso termico è rivolto verso l’alto;

– per la misura delle velocità, la velocità di attrito u∗;

– per la misura delle temperature, una temperatura caratteristica:

Θ∗ = −< wδΘ >

u∗definita in modo da risultare negativa, quando il flusso termico èrivolto verso l’alto, e positiva nel caso opposto.

Le leggi di variazione delle varie grandezze, poste in forma adimensiona-ta adottando le scale ricordate, dovrebbero risultare universali nel dominio:z <| H |. Ad es., la legge di variazione con la quota della velocità media viene

26A. Monin, A. Obukhov, Basic laws of turbulent mixing in the atmosphere near the ground, Tr.Akad. Nauk. SSSR Geofiz. Inst., 24 , 1954.

294

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

spesso presentata nella forma:κz

u∗dU

dz= Φ(ς) 5.22

ove il secondo membro è una funzione universale della variabileadimensionata:

ς =z

HLa 5.22 può essere immediatamente riscritta come:

dU ′

dς=

Φ(ς)

introducendo anche a primo membro le variabili adimensionate ς

e U ′≡ U/u∗; la teoria prevede che la relazione U ′(ς) rimanga identica in tuttigli strati limite.

In modo analogo si esprime la legge di variazione della temperaturapotenziale:

κz

u∗dΘdz

= Ψ(ς)

per cui vale, senza alcuna modifica, quanto è stato appena detto per la velocitàmedia.

A prescindere dalla correttezza o meno dell’ipotesi di similarità, nella sceltadelle scale si legge facilmente come la dinamica della regione turbolenta al disotto di H sia caratterizzata dalla contemporanea presenza di flussi verticalidi quantità di moto e di energia termica; l’importanza dell’altezza di Monin-Obukhov si spiega con il fatto che il modulo di questa grandezza segna ilconfine, al di sopra del quale si esaurisce il processo di generazione meccanicadell’energia cinetica turbolenta, mentre il suo segno permette di distinguere ilruolo a volte soppressivo (H > 0), a volte attivo (H < 0), del termine diorigine termica. Al crescere di | H | la struttura dello strato superficiale siespande verso l’alto, pur rimanendo simile.

In quanto al profilo logaritmico di parete, esso non è scomparso, ma si è rag-grumato in una regione in cui ς può essere considerata in prima approssima-zione costante e uguale a zero, o perché siamo in vicinanza del terreno - valorimodesti di z - o perché | H | è molto grande - condizione quasi neutra del-la stratificazione termica. In tal caso, poiché è: Φ(0) = 1, per definizionedi Φ(ς)), dalla 5.22 si deduce ancora una volta la legge logaritmica. Poiché

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

0 1.0 2.0-1.0-2.0

1

2

3

4

ς ≡ z /H

Fig. 5.6 – Funzione universale Φ(ς): misure sul campo, e curva di interpolazione diBusinger et al.

in condizioni di forte stabilità, o instabilità, | H | può risultare di un paio didecine di metri, o anche meno, l’estensione della regione del profilo logarit-mico sembrerebbe ridursi a poca cosa. In realtà, i valori di velocità mediasi accordano discretamente con la legge logaritmica anche al di sopra dellostrato dominato da fenomeni puramente meccanici di instabilità, per non par-lare di quella frazione dello strato che si può legittimamente ritenere a sfor-zo costante. Sembra che la legge logaritmica, come strumento empirico diinterpolazione di dati, sia più valida dei suoi fondamenti teorici.In generale, la conferma della teoria di similitudine è affidata alla verifica spe-rimentale che le misure, nelle opportune variabili adimensionate, si disponga-no su un’unica curva, indipendentemente dalle condizioni dell’atmosfera. Laregione al di sotto di | H | è stata molto studiata, e i risultati sono in buon ac-cordo con le previsioni teoriche. Nelle fig. 5.6 e 5.7 sono riportate sia le misuresul campo delle funzioni Φ(ς) e Ψ(ς), sia le curve di interpolazione proposteda Businger27, per valori positivi di ς - condizioni di stabilità - e per valo-

27J. Businger e altri, Fluxprofile relationships in the atmospheric surface layer, J. Atmos. Sci.,28, 1971.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

0 1 2-1-2

1

2

3

4

5

6

Ψ

ς ≡ z /H

Fig. 5.7 – Funzione universale Ψ(ς): misure sul campo, e curva di interpolazione diBusinger et al.

ri negativi - condizioni di instabilità. Le curve di interpolazione di Busingervengono usate, nell’integrazione numerica delle equazioni di dispersione, percalcolare la velocità media U e i coefficienti di diffusione Dty e Dtz , una vol-ta che siano note le scale della situazione specifica, o un insieme di misure adesse equivalenti.

Al di sopra di | H |, occorre distinguere le situazioni stabili (Fc < 0) da quelleinstabili (Fc > 0). Nel caso che la superficie terrestre sia più fredda dell’ariache la lambisce (Fc < 0), il lavoro della spinta di galleggiamento ha un effettosoppressivo sulla fluttuazione turbolenta, e le correnti ascendenti di originetermica non possono svilupparsi; il moto turbolento scompare e lo strato limitepuò considerarsi terminato poco al di sopra dell’altezza: z = H. Per valorialti e positivi di ς , le due funzioni universali Φ e Ψ tendono a divenire simili asemirette per l’origine:

Φ ∝ ς

Ψ ∝ ς

il che corrisponde a un gradiente costante con la quota delle grandezze medie.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

Si ha infatti, poiché è ς = z/H,dU

dz∼ u∗

HdΘdz

∼ Θ∗H

un andamento tipico delle correnti laminari.

Se invece si hanno correnti termiche ascendenti (Fc > 0), il moto turbolentosi estende ben al di sopra di | H |. Si sviluppa quella parte dello strato limiteche viene denominata strato limite convettivo, oppure ben mescolato28, la cuidinamica tende a divenire indipendente dalle grandezze tipiche, u∗ e zo, dellostrato superficiale. Se il rapporto h/ | H | è sufficientemente alto, i risulta-ti dello strato convettivo possono essere raggruppati in una rappresentazioneunica adottando le scale:

– l’altezza h dello strato limite per la misura delle distanze;– la velocità convettiva:

uc =(hg< wδΘ >

Θ

) 13

per la misura delle velocità;– la temperatura caratteristica:

Θc =< wδΘ >

uc

per la misura delle temperature.

Nello strato ben mescolato l’andamento della temperatura potenziale è uni-forme, cfr. fig. 5.5, come approssimativamente è quello della velocità media,cfr. fig.5.8. Le altre variabili significative, rese adimensionate con le oppor-tune scale, dovrebbero risultare funzioni invarianti del rapporto z/h; ad es.,il rapporto tra i coefficienti di diffusione e il prodotto uch, oppure quelloσ2

w/u2c , tra la varianza della velocità verticale e il quadrato della rispettiva

scala, dovrebbero disporsi in funzione di z/h su un’unica curva, cfr. fig. 5.9.

28Il nome ben mescolato fa riferimento alle proprietà dello strato di distribuire in modo uniformele grandezze che vengono trasportate per convezione, cfr. fig. 5.5 e fig. 5.8.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

0 U

z h

Fig. 5.8 – Tipico profilo di velocità media nello strato limite convettivo.

10-1 10010-2

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

σ2w

u2w

zh

Fig. 5.9 – Varianza normalizzata della velocità verticale, all’interno dello strato limiteconvettivo; si noti la dispersione dei dati.

I dati sui moti turbolenti nello strato limite convettivo sono meno completi diquelli sullo strato superficiale, e non sempre in accordo con la teoria di simi-litudine. Risultati ottenuti da Willis e Deardorff in laboratorio, e da Deardorffmediante simulazione numerica29, sembrano confermare la bontà del tentati-

29Si veda, per una rassegna completa di dati sull’argomento e la relativa bibliografia: S. Caughey,Observed characteristics of the atmospheric boundary layer, in Atmospheric turbulence and airpollution modelling, 4, D. Reidel Publishing C., Dordrecht, 1984.

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

vo di unificazione basato sulle scale ue, h, Θe, purché h sia più grande di H,di almeno un ordine di grandezza:

h

| H | > 10

ed uc sia abbastanza alto rispetto alla velocità in alta quota Ue:uc

Ue> 0.15 ÷ 0.2

Se queste condizioni non sono soddisfatte, si può ritenere in linea di principioche i rapporti h/ | H | ed uc/Ue siano da prendere in conto come parametri,nelle leggi di variazione di qualsiasi grandezza adimensionata, ad es. ponendo:

σ2w

u2c

= f

(z

h;h

| H | ;uc

Ue

)ma su leggi così articolate non si hanno osservazioni sistematiche. Per con-cludere, ricordiamo che la suddivisione canonica dello strato limite in regioniseparate, prevede due altri strati oltre a quelli già ricordati:

– uno strato di convezione libera, collocato al di sopra dell’altezza diMonin - Obukhov, ma nella parte bassa dello strato limite - diciamo,per z/h < 0.1 - per cui viene proposta come scala delle lunghezze ladistanza z dal suolo, invece che l’altezza globale h, mentre la scaladelle velocità rimane la stessa dello strato ben mescolato;

– una regione di interfaccia tra le correnti termiche e il vento in quota,ove vengono scambiate massa, quantità di moto e energia, tra l’inter-no e l’esterno dello strato limite; questa regione si estende all’incircatra 0.8h e 1.2h.

Il tentativo di individuare nello strato di convezione libera una regione autono-ma, dotata di leggi proprie, trova poca conferma nei risultati sperimentali. Inquanto alla regione di interfaccia - di entrainment per usare il termine inglese -la sua dinamica è sicuramente dominata da parametri che non rientrano nelladescrizione dello strato limite, quale il gradiente χ di temperatura potenzialedell’atmosfera che lo sovrasta; non può quindi essere compresa in una teoriadi similitudine dello strato convettivo.

Parlando in generale, l’idea di separare lo strato limite in regioni tra loro au-tonome, che obbediscono a leggi universali, è una semplificazione della realtàche ha una ratio più pratica che teorica, e non sempre è confermata dalle misu-re. perché sia applicabile occorre fare riferimento a situazioni vicine a quelle

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5. DINAMICA DELLO STRATO LIMITE

asintotiche, e a configurazioni geometriche molto semplici; in altri termini, oc-corre immaginare una pianura estesa e uniforme, con un forte riscaldamentodella superficie, in modo da avere rapporti h/ | H | elevati, dell’ordine di 102;il che sembra escludere che la si possa applicare, ad es., al vento che scorresopra una distesa liquida. In realtà la si applica quasi sempre, perché le pro-prietà delle teorie di similitudine sono incorporate, in un modo o in un altro,negli strumenti di calcolo. Il fatto è che, se si rinuncia agli schemi della teoria,non si può dire molto: non vi è un soffio di vento che sia uguale ad un altro30.La cosa è vera, ma non permette di fare previsioni.

30Vi sono stati personaggi di vasta esperienza che hanno fatto di questa affermazione un gridodi battaglia, come il più volte citato Scorer o Carlo Mortarino, uno studioso di aerodinamicasperimentale di cui uno degli autori di questo testo è stato allievo e amico, tra una burrasca el’altra. Il punto di vista di Scorer e Mortarino è difficile da mettere in pratica nella maggiorparte delle situazioni, se non altro per una mancanza di tempo da dedicare all’osservazione delcaso specifico; ma va tenuto presente, prima di sbattere a occhi chiusi in qualche cantonata, pereccessiva fiducia nel potere interpretativo degli schemi.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

6.1. MORFOLOGIA DEI PENNACCHI E DINAMICA DEGLI

INQUINANTI

Due situazioni estreme

Il modo con cui un volume finito di aria inquinata, o il pennacchio emessoin modo continuo da una sorgente, vengono trasportati e dispersi dal ventovaria con le condizioni dell’atmosfera. I rapporti tra le scale della fluttuazioneturbolenta e la scala della nube inquinata, o del dominio spaziale in cui lanube evolve, determinano il carattere del processo. Conviene, per motivi dichiarezza espositiva, fare riferimento a due situazioni estreme:

– quella in cui la dispersione è dovuta a moti turbolenti di scala spazia-le più piccola di qualsiasi altra lunghezza significativa, si tratti delladimensione lineare della nube di inquinante o quella della sezionedel pennacchio, oppure dell’altezza da terra della sorgente;

– quella in cui il moto dell’aria inquinata è dovuto quasi esclusiva-mente a strutture vorticose di grande scala, la cui dimensione lineareeccede le altre lunghezze significative.

Nel primo caso la dispersione turbolenta può essere trattata come se fosse unadiffusione molecolare di grande intensità; la dispersione nello spazio dell’in-quinante deriva da una successione di spostamenti delle particelle di fluido,tra loro scorrelati, esattamente come avviene nella diffusione delle molecole.In questo caso estremo divengono del tutto corrette le proprietà dei modelligaussiani, già delineate in 3.2, che qui ricordiamo:

– il flusso di una generica quantità trasportata dalla fluttuazioneturbolenta è esprimibile con una legge di gradiente:

< ujq >= −Dt∂Q

∂xj

– il coefficiente di diffusione turbolenta Dt in una generica direzionevale:

Dt = σ2vTl

ove σ2v è la varianza della componente della velocità secondo la dire-

zione considerata, σ2v =< v2 >, e Tl è la scala integrale lagrangiana

del campo;

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

– i profili di concentrazione nella sezione trasversale sono di formagaussiana;

– il pennacchio si allarga sottovento con legge parabolica, cfr. fig. 3.5:

σ2y = 2Dtyt = 2Dty

x

U

σ2z = 2Dtzt = 2Dtz

x

U

Queste relazioni potrebbero essere dedotte considerando la dispersione di uninsieme di particelle come un processo casuale, in una prospettiva lagrangia-na, e quindi confrontando i risultati che si deducono dalla trattazione statisticadelle traiettorie con quelli ben noti dell’equazione euleriana diffusiva. Tra-lasciando la dimostrazione, ci limitiamo a ricordare che il punto essenzialedi questo modo di procedere risiede nell’avere ipotizzato che esista una nettaseparazione di scale tra il campo delle concentrazioni medie che si vuole de-scrivere, e il campo di moto turbolento che è agente della dispersione. Con lasupposizione che le strutture vorticose siano tutte più piccole delle dimensionilineari della nube o della sezione del pennacchio di inquinante, si rende questoprocesso formalmente indistinguibile da quello della diffusione molecolare1.Nel secondo caso, la grande dimensione delle strutture vorticose che trasci-nano il volume di aria inquinata - e quindi la notevole durata del tempo Tl dicorrelazione - rende interessante uno studio della dispersione limitato a inter-valli di tempo t molto minori di Tl. Con un’ipotesi di questo tipo, il processopuò essere visto come quasi-stazionario - la dispersione di un insieme di par-ticelle che si muovono nello spazio conservando la velocità iniziale. I linea-menti del processo sono diversi da quelli della diffusione classica; per porliin evidenza, possiamo iniziare con lo studio di un caso piano, ove il pianodel moto contiene la direzione media del vento e una componente di velocitàtrasversale.Si consideri un insieme di particelle marcate che transita per un punto sorgen-te S; le particelle hanno una componente di velocità nella direzione sottovento

1Salvo per il fatto che una molecola possiede un moto del tutto correlato tra un urto e quel-lo successivo, la perdita di correlazione avvenendo in modo discontinuo nell’urto, mentre unaparticella di fluido è dotata di un moto la cui correlazione va annullandosi progressivamen-te; la distinzione comporta soltanto, tuttavia, che l’analogo turbolento del tempo libero mediomolecolare sia Tl/2 e non Tl.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

poco variabile, che si può ritenere pari alla velocità media del vento, la partefluttuante risultando nel confronto trascurabile; mentre in direzione trasversalepresentano una velocità variabile da particella a particella, distribuita secondouna legge di probabilità che è caratteristica della struttura locale della turbo-lenza. Torniamo, per ragioni di economia, alla notazione indiciale, riservandoi simboli yi e vi alle funzioni lagrangiane che rappresentano spostamento evelocità delle particelle e quello ui(x) alla funzione euleriana che descrive ilcampo di velocità. Scelto l’asse x1 nella direzione del moto medio e l’asse x2

nella direzione trasversale, si ha per ciascuna particella:

dy1 = (V1 + v1)dt ∼ V1dt = U1dt

dy2 = v2dt

ove U1 rappresenta la velocità media del vento. Poiché per ipotesi le velocitàsi considerano poco variabili nell’intervallo di tempo considerato, le relazionidifferenziali si traducono nelle leggi:

y1 = U1t 6.1

y2 = v2t 6.2

Il simbolo t rappresenta l’intervallo di tempo trascorso dall’istante in cui laparticella è transitata per l’origine S; la traiettoria della particella è quella diun punto che si muove a velocità costante.

Consideriamo ora l’insieme delle N particelle; per ciascuna di esse la velo-cità nella direzione sottovento risulterà la stessa, essendo essenzialmente datadalla velocità media dell’aria; la velocità traversale risulterà invece diversa daparticella a particella, secondo una distribuzione statistica che è prerogativadel campo di moto; l’insieme delle traiettorie formerà un ventaglio di semiret-te uscenti da S, cfr. fig. 6.1. Mediando le equazioni 6.1 e 6.2 si ottengono glispostamenti medi:

< y1 >≡ Y1 = U1t

< y2 >≡ Y2 = 0

mentre la dispersione trasversale della nube si deduce ancora dalla 6.2, dopoaverla elevata al quadrato:

< y22 >≡ σ2

y = σ2vt

2 6.3

La 6.3 esprime la dispersione spaziale delle particelle in funzione della disper-sione σ2

v ≡< v22 > delle velocità trasversali del fluido nel punto S. Esatta-

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

v₂tv₂t

v₂t

U₁tS

Fig. 6.1 – Dispersione di particelle in moto con velocità costante; alla distanza x1 sotto-vento, la distribuzione trasversale delle particelle dipende dalla distribuzione statisticadella velocità v2.

mente come nel pennacchio gaussiano si può assumere la deviazione standardσy come dimensione trasversale della nube di particelle; si ha, invece dellalegge parabolica del caso gaussiano, la legge lineare:

σy = σvt = σvx1/U1

ove si è indicato con x1 la distanza sottovento, misurata a partire dalla sorgen-te. In quanto alla distribuzione di particelle nella direzione y2, essa presentauna forma che è ricalcata, a parte un fattore 1/t, sulla distribuzione delle ve-locità trasversali del fluido. Se si indica con ψv(v2) la densità di probabilitàdella variabile aleatoria v2 nel punto S, e con ψy(y2, t) la densità di probabilitàdello scostamento y2 delle particelle al tempo t, si ha:

ψy(y2, t) =ψv(y2/t)

t= ψv

U1

x16.4

La percentuale dn/N di particelle che transitano per S con velocità compresatra v2 e v2+dv2 sarà uguale, infatti, alla percentuale di quelle che si troverannodopo il tempo t nell’intervallo compreso tra y2 e y2 + dy2:

dn

N= ψvdv2 = ψydy2

purché le variabili y2 e v2 rispettino la legge del moto:

y2 = v2t

Combinando le due ultime relazioni, si ottiene la 6.4.

Per ogni intervallo di tempo t, purché sia minore di Tl - oppure, il che è lo stes-so, in qualsiasi stazione x1 sottovento alla sorgente, purché sia x1 < TlU1 -la distribuzione spaziale delle particelle è determinata in modo univoco dal-

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

la statistica delle velocità verticali v2 alla sorgente. La qual cosa implica chela distribuzione può avere forma diversa, come diversa può essere nello stra-to limite la funzione ψv. In effetti, la densità di probabilità ψv delle velocitàverticali non è in genere gaussiana e varia nello strato limite con l’altezza daterra. In fig. 6.2 sono riportate due tipiche distribuzioni di velocità verticalenello strato limite convettivo, a due diverse quote; né l’una, né l’altra hannoforma gaussiana, non essendo simmetriche. Inoltre, le due sono chiaramen-te diverse fra loro: quella a quota più alta - a 3/4 dell’altezza h dello stratolimite - presenta un picco più accentuato di probabilità per valori negativi div2. L’una e l’altra curva indicano una maggiore probabilità che le particelle difluido abbiano, nel passare per il punto di rilevamento, una velocità verticalenegativa, poiché è per entrambe:∫ 0

−∞ψvdv2 >

∫ ∞

0ψvdv2

La maggior parte delle particelle che transitano per la sorgente risulta pertantoessere diretta verso il basso, sebbene la velocità di quelle che transitano versol’alto sia generalmente più alta, così da soddisfar e la condizione che il valormedio delle velocità verticali risulti nullo:

< v2 >=∫ ∞

−∞ψvv2dv2 = 0

Nel modello di dispersione lineare le proprietà della distribuzione di veloci-tà vengono fedelmente riflesse nella distribuzione delle concentrazioni a valledella sorgente; in particolare, la concentrazione di particelle marcate - propor-zionale alla densità di probabilità di trovare una di esse nell’intorno di una dataposizione - presenta un massimo per valori negativi di y2, cfr. fig. 6.3.

Per passare al caso tridimensionale è sufficiente ripetere il procedimen-to, aggiungendo una componente di moto aleatorio lungo la direzioneorizzontale x3:

y3 = v3t

Definite le densità di probabilità bivariate ψv(v2, v3) per le velocità, eψy(y2, y3) per la posizione delle particelle, si ottiene senza difficoltà la leggedi diluizione sottovento:

ψy =ψv

t2= ψv

U21

x21

6.5

La concentrazione numerica delle particelle emesse dalla sorgente puntiformevaria sottovento come 1/t2 ∼ U2

1 /x21; la forma del pennacchio è quella di un

cono con vertice in S.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

-1

(a)

(b)

ψv

1 2 v₂/uc

Fig. 6.2 – Densità di probabilità della velocità verticale v2 a due diverse altezze nellostrato limite convettivo, di altezza h: (a) x2/h = 0.75; (b) x2/h = 0.25. La velocità v2 èresa adimensionata con la velocità convettiva uc.

Le situazioni reali

Come era probabilmente immaginabile, le due situazioni estreme or ora de-scritte non si presentano mai, o quasi mai, nitidamente. Le correnti turbolentesono connotate dalla presenza di una molteplicità di scale, e nello strato limi-te si hanno in linea di massima sia scale più grandi, sia scale più piccole delladimensione lineare della nube di aria inquinata.Si può tuttavia dimostrare che, se la turbolenza fosse omogenea, i due compor-tamenti estremi si troverebbero come situazioni limite di uno stesso processodi dispersione. Nel limite per t/Tl → 0, si avrebbe il comportamento lineare:forma del pennacchio conica e concentrazione variabile nella sezione del pen-nacchio in modo dipendente dalla distribuzione delle velocità fluttuanti. Pert/Tl → ∞, invece, il processo di dispersione acquisirebbe lineamenti diffu-sivi: pennacchio che si allarga con legge parabolica e distribuzione gaussianadi concentrazione al suo interno2. La soluzione gaussiana rappresenta il mo-dello asintotico verso cui tende la configurazione del pennacchio col passare

2Buona parte di questi risultati è dovuta a Taylor: G.I. Taylor, Diffusion by continous movements,Proc. London Math. Soc. 20, 1921.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

v₂

y₂ (b) (a)

S

ψv

Fig. 6.3 – (a) Distribuzione di velocità verticali. (b) Concentrazione di particellesottovento alla sorgente, in due diverse stazioni.

del tempo; la sequenza di spostamenti scorrelati delle particelle di fluido can-cella progressivamente l’informazione sul campo di velocità, e le particelle siavvicinano a una distribuzione della forma più destrutturata possibile3.Nella maggior parte delle situazioni reali le due condizioni limite sono tuttaviapoco utilizzabili: quella che prevede t < Tl risulterebbe di fatto applicabilesolo in una regione nelle immediate vicinanze del punto di sbocco del camino,ove i fenomeni di innalzamento del getto, biforcazione, e mescolamento conl’aria circostante, rendono poco realistici sia lo schema della sorgente punti-forme, sia l’ipotesi che la distribuzione delle velocità verticali sia identica aquella dell’atmosfera. Per avvicinarsi al limite opposto, occorrerrebbe inve-ce spostarsi troppo a valle della sorgente; tenuto conto che negli strati limiteconvettivi Tl è dell’ordine delle decine di minuti, e che la velocità media delvento è dell’ordine dei 10 m/s, per apprezzare il comportamento asintotico delpennacchio nel limite t/Tl → ∞ sarebbe necessario spostarsi a valle dellasorgente di svariati km, ove in generale il problema dell’inquinamento non si

3La distribuzione gaussiana, o normale, richiede un solo parametro, la varianza, per esserecompiutamente individuata.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

presenta in modo critico4. Oltre a queste difficoltà, altre derivano dalla man-canza di omogeneità del moto turbolento nello strato limite, e dalla variabilitàin modulo e direzione della velocità media. La variazione nello spazio del-le velocità medie agisce spesso da amplificatore dei fenomeni dispersivi, nelsenso che particelle inizialmente vicine possono essere portate dalla fluttua-zione su linee di corrente dotate di velocità media notevolmente diversa, equindi allontanate rapidamente le une dalle altre. Può accadere in un conte-sto collinare, ad es., che il materiale inquinante venga trasportato in alto dallacomponente verticale della fluttuazione, e qui incontri un vento con una for-te componente ortogonale rispetto alla direzione riscontrabile sul fondo dellavalle. L’inquinante può finire in zone non prevedibili da chi studia il processosenza conoscere, come quasi sempre accade, l’intero campo di moto.Anche in situazioni di pianura il forte gradiente verticale della velocità media,che si incontra vicino a terra, influenza in più modi la dispersione. Nello stratosuperficiale, e nelle immediate vicinanze della sorgente, il pennacchio tendea inarcarsi verso l’alto; a causa del valore positivo della derivata ∂U1/∂x2, lemasse di aria che passano per il punto sorgente provenendo dal basso hannoin genere una velocità orizzontale minore di quelle che eseguono il passag-gio inverso, e quindi impiegano un tempo più lungo a raggiungere una datapostazione sottovento. A parità di modulo delle velocità verticali quindi, edi posizione x1 sottovento alla sorgente, le masse dotate di moto ascenden-te si allontanano di più dalla quota di partenza di quanto non facciano quellediscendenti, cfr. fig. 6.4; il fatto produrrebbe un inarcamento verso l’alto del-l’asse del pennacchio anche se la distribuzione delle velocità verticali fossesimmetrica.D’altra parte, anche la variazione dell’energia cinetica turbolenta nella dire-zione verticale produce vicino a terra un innalzamento del pennacchio, perchécomporta un incremento della velocità verticale delle particelle che transitanoper S dirette verso l’alto. In notazioni lagrangiane si può porre:

∂y2

∂t= v2(xs, 0) +

∫ t

0

∂v2∂t

dt

4Tralasciando il fatto che a tale distanza valori medi che siano rappresentativi del lungo periodopossono essere valutati solo attraverso misure che si estendono nel tempo per una durata ecces-siva, se confrontata col periodo in cui il campo di moto può essere considerato statisticamentestazionario.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

U₁

x₁S

Fig. 6.4 – Diverso scostamento in verticale delle masse di aria ascendenti, rispettoa quelle discendenti, dovuto alla diversità della velocità media orizzontale, e quindial diverso tempo impiegato per raggiungere la postazione x1; la massa ascendente,dotata di una velocità orizzontale più bassa, ha più tempo a disposizione per salire.

ove y2(xs, t) rappresenta la posizione di una generica particella passata perxs al tempo t = 0, e v2(xs, 0) la velocità verticale nell’istante del passaggio.La derivata ∂v2/∂t dà la derivata materiale della velocità della particella innotazioni lagrangiane; volendo esprimerla mediante le funzioni euleriane chedescrivono il campo di moto, si può porre:

∂v2∂t

=∂u2

∂t+ U1

∂u2

∂x1+ uj

∂u2

∂xj

ove:

uj∂u2

∂xj=(u1

∂x1+ u2

∂x2+ u3

∂x3

)u2

(u1

∂x1+ u2

∂x2+ u3

∂x3

)u2 =

=∂

∂x1(u1u2) +

∂x3(u2u3) − u2

(∂u1

∂x1+∂u3

∂x3

)+

12∂u2

2

∂x2=

=∂

∂x1(u1u2) +

∂x3(u2u3) +

∂u22

∂x2

l’ultimo passaggio essendo conseguenza della condizione di incomprimibilità:∂u1

∂x1+∂u3

∂x3= −∂u2

∂x2

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Consideriamo ora il consueto insieme di N particelle in N campi, omogeneiin senso statistico nei piani orizzontali. Mediando tra le N particelle si ottiene:

< v2 >=< u2 >= 0

∂x1< u1u2 >=

∂x3< u2u3 >= 0

∂t< y2 >=

∫ t

0

∂x2< u2

2 > dt

e l’ultima equazione può essere approssimata come:∂

∂t< y2 >=

(∂

∂x2< u2

2 >

)t+ o(t)

per valori piccoli del tempo. Quando la derivata ∂ < u22 > /∂x2 è positiva

- come accade nella parte bassa dello strato limite convettivo, cfr. fig. 5.9 - ilbaricentro della nube sale verso l’alto con velocità crescente.

Non è chiaro, almeno per chi scrive, che rilievo abbiano nella dinamica delpennacchio questi aspetti messi in evidenza con una approssimazione linea-re, tanto più che nella vicinanza della sorgente sono destinati a confondersicon altri più rilevanti, già ricordati, dovuti allo sbocco del getto dal caminoo dall’eventuale valvola di sfiato che emetta all’aperto una sostanza pericolo-sa. Tuttavia essi sono in accordo - come lo è la constatazione che la velocitàverticale delle particelle che salgono è in genere più grande in modulo dellavelocità verticale delle particelle che scendono5, cfr. fig. 6.2 - con una confi-gurazione istantanea del pennacchio spesso osservabile in condizioni instabilidell’atmosfera, e schizzata in fig. 6.5. Si osserva spesso un pennacchio, emes-so nella regione bassa dello strato limite, che dopo una oscillazione poco ac-centuata vicino alla sorgente sembra inerpicarsi di colpo verso l’alto, a unadistanza tale dallo sbocco che l’effetto non può più attribuirsi a una maggioretemperatura del gas all’uscita dal camino. Per interpretare il disegno, occorrericordare che le particelle di fluido non seguono, nel loro movimento, la trac-cia sinuosa del pennacchio - la figura rappresenta una istantanea di un campo

5È una conseguenza delle proprietà delle correnti termiche ascendenti, che risultano più stretta-mente localizzate del ricircolo verso il basso che le compensa nel bilancio di massa. Occupan-do, in una generica sezione ottenuta con un piano orizzontale, un’area di passaggio minore, lecorrenti ascendenti non possono che presentare velocità verticali nettamente più alte.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

A

Fig. 6.5 – Pennacchio in atmosfera instabile. La traiettoria della particella A, emessadalla sorgente, è indicata con la linea spezzata.

non-stazionario e l’asse del pennacchio costituisce una linea marcata6 - mapercorrono traiettorie che il fumo non rende visibili; in particolare le particel-le che si trovano, all’istante della rappresentazione, nella zona del pennacchioin alto a destra, sono state emesse dal camino all’interno di una termica ascen-dente trascinata a valle dal vento, e da quel momento hanno continuato a salire,salvo fluttuazioni di piccola scala.

Pennacchio in condizioni neutre dell’atmosfera

Come abbiamo fatto per le configurazioni meteorologiche di grande scala,conviene classificare alcune forme tipiche di pennacchio che si presentanofrequentemente7. In situazioni caratterizzate da scarsa rilevanza delle correntitermiche, quindi con vento teso in periodo notturno, oppure sotto una spessa

6Cfr. C. Cancelli, 1.5, op. cit.

7Nella letteratura messa in circolazione dall’Ente federale di Controllo dell’Ambiente degli Sta-ti Uniti (EPA) queste configurazioni ricorrenti vengono etichettate con nomi particolari: conla nota disinvoltura del gerundio inglese, la forma del pennacchio in atmosfera neutra vienechiamata coning, quella in atmosfera fortemente instabile looping, quella in condizioni forte-mente stabili fanning et cet., cfr. S.B. Carpenter et al., Principal Plume Dispersion Models:TVA Power Plants, J. Air Pollution Control Association, vol. 21, 8, 1971.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Fig. 6.6 – Tipico pennacchio in condizione neutra dell’atmosfera; la forma è all’incircaconica, con un angolo di apertura variabile tra 10o e 20o.

copertura di nubi in periodo diurno, la forma tipica del pennacchio è quelladisegnata in fig. 6.6 e giustifica il suo nomignolo inglese, coning. A giudica-re dai dati delle campagne di misura, questo è il caso che meglio si accordacon le previsioni del modello gaussiano. La concentrazione massima al suolosi può calcolare con la tecnica della sorgente immagine, la quale dà nei puntivicini alla superficie una concentrazione doppia di quella che vi sarebbe se lasuperficie non vi fosse, cfr. 3.2. Il valore teorico del massimo è (cfr. nota 12,p. 131):

Qmax =2e

Mq

πh2sU

∼ Mq

πh2sU

6.6

Può essere interessante esprimere Mq mediante i dati di emissione del camino;indicato con ro il raggio di questo, con wo la velocità di uscita del gas, econ Qo la concentrazione al momento dello sbocco del particolare inquinanteconsiderato - il valore di emissione - si ha:

Mq = Qowoπr2o

Sostituendo questa espressione nella 6.6 si ottiene la formula:

Qmax

Qo=(rohs

)2 wo

U6.7

che fornisce il massimo della concentrazione al suolo in funzione delle condi-zioni di emissione. Occorre tuttavia ricordare che hs non rappresenta l’altezzageometrica ho del camino, ma l’altezza ho + Δh dell’asse del pennacchio;l’innalzamento Δh può essere valutato con le formule riportate in 3.2.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

S

Fig. 6.7 – Forma istantanea di un pennacchio immesso nello strato limite convettivo, inuna situazione atmosferica caratterizzata da venti deboli e forti correnti termiche.

Pennacchio in condizioni instabili dell’atmosfera. Distribuzione diinquinanti nello strato limite convettivo

Quando il vento è debole, con una velocità di pochi metri al secondo8, men-tre gli scambi termici dell’atmosfera con il terreno sono vigorosi - giornatainsolata e terreno asciutto - il pennacchio di un impianto di grande potenzaviene usualmente immesso ad altezza tale da trovarsi in pieno strato limiteconvettivo. La dinamica del pennacchio viene dominata dalle grandi struttu-re ricircolanti, di scala geometrica pari all’altezza h dello strato limite o dipoco inferiore, innescate dall’ascesa di masse di aria calda. La forma istanta-nea del pennacchio mostra grandi volute, ovviamente non stazionarie, che sipresentano ad un osservatore nel modo illustrato in fig. 6.7.Se si vuole trovare una configurazione che riveli qualche parentela con il co-no o con il paraboloide di cui abbiamo spesso parlato, occorre considerare lasovrapposizione di forme istantanee che si succedono nel tempo, e la concen-trazione media che ne deriva. Anche operando in questo modo, tuttavia, siottengono risultati che sono nella vicinanza della sorgente in povero accordocon le previsioni del modello gaussiano. Il fatto è che, con questo tipo di pen-

8Deve avere una velocità inferiore a 2 m/s ad una altezza dal suolo di 10 metri, ad es., perchéla situazione possa essere definita fortemente instabile, secondo il criterio di classificazione diPasquill.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Fig. 6.8 – Forma istantanea di un pennacchio immesso nello strato limite convetti-vo: l’inquinante è trasportato al suolo a breve distanza dal camino da una strutturavorticosa di scala ∼ hs.

nacchio, si hanno frequentemente situazioni come quella schizzata in fig. 6.8,con l’inquinante trascinato al suolo a breve distanza dal piede del camino dauna struttura vorticosa di scala ∼ hs.

Si hanno elevate concentrazioni al suolo di carattere intermittente, cfr. fig. 6.9,i cui valori di picco sono vicini a quelli che si troverebbero sull’asse del pen-nacchio, se questo fosse orizzontale, a una distanza dallo sbocco pari, più omeno, alla lunghezza dell’arco descritto dal pennacchio curvo - linea a tratto epunto di fig. 6.8. Vale anche in questo caso la legge che vuole la concentrazio-ne al suolo variabile con l’altezza del camino come 1/h2

s . Poiché la strutturavorticosa che piega il pennacchio verso il basso è di grande scala, si può adot-tare il risultato del modello lineare di dispersione, che prevede una densità diparticelle proporzionale a 1/t2, essendo t il tempo di volo. Posto nella 6.5:t ∼ hs/σv, ove σv rappresenta la deviazione standard della fluttuazione ver-ticale, si ottiene per il valore di picco una espressione della forma già nota.

Il valore medio della concentrazione dipende invece dalla frequenza con cuisi presentano nell’intorno di S strutture vorticose di scala ∼ hs; quelle de-cisamente più grandi e quelle decisamente più piccole sono per opposti mo-tivi inefficaci nel precipitare l’effluente al suolo nella posizione considerata.I modelli gaussiani non danno buoni risultati nella previsione di questi valo-ri medi; qualcosa di più preciso si può ottenere con i modelli lagrangiani, iquali richiedono tuttavia che si conosca la distribuzione statistica delle velo-cità verticali nella regione della sorgente. I modelli lagrangiani riproduconoun insieme di traiettorie di particelle basandosi sulla statistica delle velocità

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

qt

t

Fig. 6.9 – Concentrazione istantanea al suolo in vicinanza del camino, in unasituazione fortemente instabile dell’atmosfera.

fluttuanti del fluido; la concentrazione si calcola a posteriori in base alla di-stribuzione dei punti di arrivo delle traiettorie, attribuendo ad ogni punto unquantum di inquinante9. L’argomento sarà ripreso al capitolo 7.5.Nello strato limite convettivo l’innalzamento dell’inquinante si arresta al bor-do superiore dello strato, che può essere considerato come una superficie ri-flettente, esattamente come il suolo, e messo nel conto con la tecnica dell’im-magine. Quando l’altezza dello strato limite è relativamente modesta10, al disotto dei 500 m, la limitazione dell’ascesa produce una asimmetria nel pen-nacchio a cui viene dato il nome di trapping, cfr. fig. 6.10. Sembra che intale configurazione si trovino al suolo valori di concentrazione da due a trevolte più alti di quelli previsti senza riflessione in alto, vedi S.B. Carpenteret al., op. cit. È probabile che l’affermazione si riferisca a misure effettua-te al suolo a una certa distanza dalla sorgente, e non ai valori massimi chesi trovano relativamente vicino. In effetti, procedendo verso valle, la distri-buzione dell’inquinante confinato tra il terreno e la quota di inversione, comeviene comunemente chiamata l’altezza h dello strato limite, si avvicina a unocondizione di uniformità. Il comportamento asintotico del pennacchio prefi-gura dunque uno stato di concentrazione uniforme con la quota, il cui valore

9Una presentazione delle proprietà dei modelli lagrangiani e un esempio di applicazione parti-colare - lo studio del pennacchio di un inceneritore - si trovano in: C. Cancelli, A. Cenedese,G. Leuzzi, Modelli lagrangiani per la valutazione della dispersione di inquinanti, IngegneriaSanitaria, 4, 1989.

10Accade in regime anticiclonico, sopratutto durante ilperiodo invernale.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Fig. 6.10 – Pennacchio intrappolato dal bordo superiore dello strato limite.

non dipende dall’altezza hs del camino, ma da quella h dello strato limite. Laconcentrazione continua a diminuire con la distanza dalla sorgente, sia purecon legge diversa, perché la dimensione trasversale del pennacchio continuaa crescere, anche quando quella verticale rimane costante. Vi è una transizio-ne tra quanto avviene in punti vicini al camino, ove la concentrazione al suolodipende dall’altezza hs, e quanto avviene in punti più lontani ove la concen-trazione al suolo non dipende dalla posizione della sorgente, ma dall’altezzaglobale dello strato limite. La distribuzione uniforme con l’altezza rappresen-ta una condizione di equilibrio statistico, in cui ogni particella di inquinanteha la stessa probabilità di trovarsi in ogni luogo accessibile. Si tratta di unaproprietà generale che si riferisce a un insieme di particelle dotate di moto er-ratico all’interno di un dominio limitato; è valida anche per lo strato limiteconvettivo. La condizione di pari probabilità dell’altezza delle particelle im-plica che risultino distribuite in modo uniforme con l’altezza tutte le grandezzetrasportate dalle particelle per convezione, per cui si possa scrivere:

D

Dt(•) = 0 6.8

Si noti che la 6.8 vale per la temperatura potenziale, o per la concentrazione diqualsiasi sostanza, purché la concentrazione sia espressa in unità di massa disostanza per unità di massa di miscela, oppure in numero di moli per numerodi moli, oppure ancora in unità di massa per normal metri cubi. Tutte questemisure non sono influenzate dalla variazione di densità dell’aria, che si ha nel-lo strato limite per effetto della variazione statica della pressione con la quota.Non vale per le densità q(kg/m3), a cui noi usiamo fare riferimento, che sonoinvece influenzate dalla variazione con la quota della densità dell’atmosfera.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Dalla relazione (cfr. app. A):∂q

∂t+

∂xj(ujq) = 0

sicuramente vera in assenza di processi di diffusione molecolare, si ottieneinfatti:

1q

Dq

Dt= −∂uj

∂xj=

Dt�= 0

da cui risulta come q non soddisfi la 6.8, mentre la soddisfa la concentrazionemassica:

c =q

ρ

Pennacchio in condizioni fortemente stabili. Fumigazione

Nel periodo notturno, con venti al di sotto di 2 ÷ 3 m/s, l’attività turbolentaè quasi inesistente, o comunque limitata a qualche metro di altezza sul terre-no. La temperatura potenziale ha gradiente positivo ovunque; si usa dire che siha inversione al suolo. Un pennacchio emesso da camino si trova in atmosfe-ra stratificata stabilmente, in un campo di moto che di fatto non è turbolento.Una volta che sia esaurita la fase iniziale, in cui viene dissipata l’energia ci-netica del getto dovuta alla velocità di emissione e livellata la differenza ditemperatura, il processo di dispersione può ritenersi concluso, e il pennacchioviene trascinato lentamente a valle come un nastro compatto, con qualche len-ta oscillazione o deriva nel piano orizzontale. La forma del pennacchio, cheviene etichettata fanning, è schizzata in fig. 6.11. Durante la fase notturna nonsi ha dispersione fino al suolo, almeno che non si abbia una discesa per gravi-tà di particolato di peso specifico maggiore di quello dell’aria; ma sul far dellamattina, si trova usualmente un nastro compatto di inquinante che si prolun-ga, più o meno serpeggiando in orizzontale, per svariati chilometri. Quandoil terreno si scalda per la radiazione solare, iniziano a formarsi delle correntitermiche che si estendono progressivamente verso l’alto; giunte all’altezza delpennacchio, lo afferrano nel loro moto di ricircolo e lo trascinano a terra, cfr.fig. 6.12. A questo fenomeno, che ha luogo due o tre ore dopo il sorgere delsole, si dà il nome di fumigazione. Le fumigazioni producono concentrazio-ni elevate al suolo, con una durata tipica compresa tra trenta minuti e un’ora,poiché con il passare del tempo i moti di ricircolo crescono di scala e disper-

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Fig. 6.11 – Pennacchio in atmosfera molto stabile; dopo una prima fase di mescola-mento, dovuta all’energia cinetica del getto e alla differenza di temperatura tra il getto el’aria circostante, il pennacchio viene trasportato da un campo di moto sostanzialmentelaminare, senza ulteriore variazione di concentrazione.

hs

Fig. 6.12 – Dinamica della fumigazione: con il procedere del riscaldamento del terreno,le correnti termiche che si vanno sviluppando giungono ad afferrare il pennacchio,stabilizzatosi ad altezza hs, e lo disperdono fino al suolo.

dono l’inquinante in strati sempre più alti. Per il calcolo della concentrazionedi picco al suolo si può considerare che una distribuzione lineare di massa,con massa per unità di lunghezza pari a Mq/U , venga dispersa da strutturevorticose di scala hs su una superficie h2

s:

Qh2s =

Mq

Uda cui si ottiene la consueta relazione:

Q =Mq

h2sU

6.9

Nel considerare la 6.9, occorre tuttavia tener conto che U rappresenta questavolta la velocità notturna del vento, spesso molto bassa, e hs l’altezza a cui siè stabilizzato l’asse del pennacchio:

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

hs = ho + Δh

ove l’innalzamento Δh rispetto alla sorgente può essere calcolato con la for-mula di Briggs, o con una delle altre comunemente usate per questo scopo11.Sebbene le varie formule diano spesso risultati diversi, l’innalzamento del pen-nacchio in una condizione di forte stabilità - in quella che viene qualche voltaindicata come una forte inversione - risulta poca cosa, fra dieci e venti metri,anche in impianti di ragguardevole potenza. Di conseguenza la 6.9 può darealte concentrazioni transitorie al suolo, in una fascia di terreno che si snoda perun paio di decine di km, della larghezza di due o trecento metri. Il fenomenodella fumigazione ha poca incidenza, per motivi di durata, sulle medie gior-naliere, ma può porre delle difficoltà quando vengano prescritti valori orari diconcentrazione, da non superare nell’anno se non in un numero limitato di oc-casioni, come accade ad es. per gli ossidi di azoto. Vi sono situazioni orogra-fiche in cui si incontrano spesso le condizioni più sfavorevoli; per citarne una,nella piana racchiusa dall’arco delle Alpi occidentali e dall’Appenino, le cor-renti catabatiche che fluiscono dallo sbocco delle valli formano nella stagioneinvernale una pozza di aria estremamente stabile e quasi immota, cumulandoi due fattori più critici per la fumigazione successiva.

Interferenza con ostacoli

Il quadro si complica ulteriormente quando la corrente che trasporta il materia-le inquinante incontra un ostacolo: qui si ha formazione di punti di arresto inparete, convergenza o divergenza delle linee di corrente della velocità media,interazione con strati limite superficiali, cattura di inquinante nella regione discia, rapida variazione della struttura del campo fluttuante. L’argomento è sta-to molto studiato con risultati che non sempre concordano; per avere un’ideadei problemi e delle linee di ricerca che riguardano lo studio delle correnti construttura complessa si può leggere la rassegna di Hunt, 198512.

11Si veda, per una rassegna sull’argomento, G.A. Briggs, Plume rise predictions, Lectures on AirPollution and Environmental Impact Analysis, 4, American Meteorological Society, Boston,1975.

12J.C. Hunt, Turbulent diffusion from sources in complex flows, Ann. Rev. Fluid Mech., 17, 1985.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Fig. 6.13 – Pennacchio catturato dalla scia.

Dei vari aspetti, ci limitiamo a ricordarne due che riguardano entrambi il com-portamento dell’inquinante a valle dell’ostacolo. Il primo deriva dalla catturadell’inquinante nella scia: le strutture vorticose di piccola scala che separanola corrente esterna dalla scia, trasferiscono il materiale inquinato all’internodi questa regione di fluido ricicolante, ove si disperde su tutta la sezione, cfr.fig. 6.13. Quando la particella di inquinante viene a trovarsi in quella parte del-la scia più vicina all’ostacolo, ove la velocità media di trasporto verso valle èquasi nulla, è possibile che vi rimanga per molti cicli; se è di massa specificamaggiore di quella dell’aria, può impattare sulle pareti. L’impatto è facilita-to dalla presenza di vortici di piccola scala, i quali producono configurazioniistantanee di linee di corrente con forte curvatura. In effetti, la traiettoria diuna particella solida deve, per intersecare una superficie lambita dal fluido,tagliare le linee di corrente del campo di velocità del fluido stesso, che alla su-perficie sono necessariamente tangenti; la cosa può accadere solo per effettocentrifugo. A questo fenomeno è probabilmente da attribuire il fatto curiosoche sono spesso le pareti a contatto con la scia, invece di quelle investite fron-talmente dal pennacchio, a sentire maggiormente le conseguenze dell’impatto,qualunque esse siano, annerimento, corrosione, et cet.

Più lontano dall’ostacolo, le particelle di inquinante sono trasportate verso val-le dalle strutture vorticose che si distaccano, e vengono energicamente disper-se prima che l’energia cinetica della scia si esaurisca. L’effetto complessivoconsiste in una accelerazione del processo dispersivo, rispetto a quanto acca-drebbe se l’ostacolo non vi fosse, e quindi in un maggiore allargamento dellasezione retta del pennacchio. In valli profonde, o in canyons dalla geome-tria contorta, sono stati misurati coefficienti di dispersione turbolenta più altidi quelli previsti dalla classificazione di Pasquill; è probabile che l’effetto siadovuto alla presenza di numerose scie interagenti fra loro.

Un secondo effetto che merita di essere ricordato è l’abbassamento del pen-nacchio, che si può avere come conseguenza dell’interazione con un ostacolo,

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

U₁

x₂

U₁

ω ω ω

ω

(a)

(a) (d)

(b)ωs

ωs ωs

δ

Fig. 6.14 – Interazione di uno strato limite di altezza δ con un ostacolo che lo sovra-sta: (a) vista laterale; (b) vista prospettica della deformazione del filetto vorticoso; (c)mulinello generato dallo stiramento dell’asse del vortice, in vista laterale, ed erosionenell’intorno del punto di arresto della corrente; (d) sezione ortogonale alla corrente, vi-sta da valle, ove due strutture controrotanti di vorticità secondaria inducono un motodiscendente dietro l’ostacolo.

quando la stratificazione dell’atmosfera è stabile o neutra. L’importanza del-la diminuizione di hs si legge facilmente in formule come la 6.6, sebbene inquesta discussione la 6.6 non vada presa alla lettera, non essendo vero che sipossono ottenere concentrazioni arbitrariamente grandi, riducendo hs a pocoo niente. Esiste un limite per l’incremento della concentrazione al suolo, chederiva dal fatto che nessun spostamento o distorsione della nube di inquinan-te può produrre concentrazioni più alte di quella massima esistente all’internodella nube nello stato iniziale del processo. In ultima analisi, il processo di-

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

spersivo ha le stesse proprietà qualitative della diffusione molecolare: nonesiste evento che possa portare all’innalzamento dei picchi. Il peggio che pos-sa accadere è che il volume di fluido con massima concentrazione di inqui-nante, che si trovava sull’asse del pennacchio, venga estroflesso e abbattutoverso terra. Detto questo, la diminuizione di altezza dell’asse di un pennac-chio compatto può produrre concentrazioni al suolo più grandi alcune volte diquelle teoriche calcolabili nell’ipotesi che l’asse del pennacchio si mantengaorizzontale. Il caso di abbassamento del pennacchio illustrato in fig. 3.9, ove èschizzato un impianto collocato sottovento a una linea di colline, si commentada solo. Il calcolo della concentrazione massima al suolo può farsi come per ipunti vicini al camino nello strato limite fortemente instabile, cfr. fig. 6.8, so-lo che ora la configurazione curva è, o può essere, quasi stazionaria, e quindii valori medi di lungo periodo risultano più alti di quelli che si trovano nellostrato limite convettivo su terreno piano.Si può avere un abbassamento del pennacchio anche in situazioni meno ovvie,quando il vento investe un ostacolo isolato. Si consideri una regione vorticosa- uno strato limite di ridotto spessore - aderente a terra, che investe un ostacoloalto perpendicolare al terreno. In fig. 6.14 (a) è schizzato il caso in questione;il cilindro investito può rappresentare il pilone di un ponte, se il fluido è acqua,oppure una torre, o un palo di notevole altezza, se il fluido è aria. La regio-ne vorticosa è quella di spessore δ, caratterizzata da una rapida variazione divelocità con la distanza da terra.In senso qualitativo, la dinamica dell’interazione dello strato limite con l’o-stacolo può essere afferrata trattando il sistema fluido come un sistema a pa-rametri concentrati, e interpretando il processo dinamico come interazione tracampo di velocità e campo vorticoso. Nello schema, le linee vorticose dellostrato limite vengono raggruppate in un unico filetto perpendicolare al pianodel moto, e questo si considera trasportato per convezione come se fosse unalinea materiale13, finché non si imbatte nel cilindro, ove incontra inevitabil-mente un punto di arresto, cfr. fig. 6.14 (b). Ma poiché le ali del filamento,non trovando ostacoli, continuano ad avanzare come la cavalleria di Annibalea Canne, la linea d’asse del vortice si deforma come è indicato in figura, condue conseguenze:

13Si veda il breviario posto a conclusione del cap. 4, C. Cancelli, op. cit.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

– si ha un forte stiramento dell’asse, e quindi intensificazione dellavorticità nell’intorno del punto di arresto, la quale si rivela nellacomparsa di un mulinello che può erodere il terreno, cfr. fig. 6.14 (c);

– la linea vorticosa a valle dell’ostacolo assume un’inclinazione che facomparire una componente ωs di ω, parallela alla direzione origina-ria del vento. Questa componente di vorticità inizialmente inesisten-te prende il nome di vorticità secondaria, e induce un moto nel pianodella sezione retta della corrente, si veda fig. 6.14 (d).

Il mulinello può, se il terreno non è coerente, creare problemi di stabilità a unpilone; ma l’effetto che interessa il moto di un eventuale pennacchio è il se-condo. Ai due lati dell’ostacolo la vorticità secondaria dà luogo a due strutturecontrorotanti, che inducono al centro della figura un moto discendente.

L’effetto che abbiamo appena descritto è puramente inerziale; può essere inte-ressante analizzare quanto avviene nell’incontro di una corrente con un ostaco-lo in grado di innescare fenomeni dinamici di origine termica. Consideriamouna corrente che investe una collinetta, la cui superficie sia una volta più fred-da, e l’altra più calda dell’aria che la lambisce. I campi di moto reali sono quasisempre complessi, ma noi possiamo ricorrere a una rappresentazione schema-tica. Cominciamo col dividere, memori del comportamento dello strato limiteterrestre, la corrente incidente in una regione bassa, dominata dall’effetto iner-ziale appena descritto, e in una regione alta ove gli effetti termici sono piùimportanti di quelli inerziali. Facendo riferimento alla fig. 6.15, ove è schiz-zata una sezione della collina ottenuta con un piano ortogonale alla direzionedel vento, vista da valle, si possono individuare quattro settori. Nei settori Ie IV si ritiene che l’effetto dominante sia quello inerziale, e che si abbianopertanto due strutture controrotanti di vorticità secondaria concordi nel pro-durre una velocità discendente nella parte centrale della figura; nei settori II eIII, ove il gradiente di temperatura potenziale Θ tende a disporsi ortogonale aifianchi della collina, si ha un campo di moto determinato dalla generazione divorticità, con tasso:

Δω

Δt= − 1

Θ∇Θ × g

dovuta all’accoppiamento tra il gradiente di temperatura potenziale e l’accele-razione di gravità. Anche questo secondo fenomeno produce due vortici con-trorotanti, nei settori II e III essendo di segno opposto l’inclinazione dei fianchi

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

I

II III

IVs s

Fig. 6.15 – Strutture vorticose nel piano ortogonale alla corrente, vista da valle, attornoa una collina più fredda dell’aria circostante.

Fig. 6.16 – Pennacchio in atmosfera stabile, deviato lateralmente e verso il basso daun rilievo montuoso.

della collina; ma il loro effetto sul moto secondario dipende dalla temperatu-ra della superficie solida. Quando la temperatura della superficie è minore diquella dell’aria sovrastante, ∇Θ è rivolto verso l’atmosfera, e il senso del-la vorticità generata è tale da indurre una ulteriore discesa della corrente, cfr.fig. 6.15. In questo caso gli effetti delle quattro strutture vorticose si somma-no nell’abbattere verso il suolo un eventuale pennacchio incidente. Sebbene ladiscussione sia stata svolta con una brutale semplificazione, essa può servirea comprendere configurazioni come quella schizzata in fig. 6.16, ove un pen-nacchio in condizioni di atmosfera molto stabili viene deviato lateralmente everso il basso da un rilievo montuoso.

Naturalmente, la situazione cambia quando la superficie della collina è più cal-da dell’aria. Possiamo immaginare che le strutture vorticose in basso conservi-no almeno il senso di rotazione del caso precedente, ma quelle in alto inevita-bilmente lo invertono, innescando sulla cima della collina un moto ascendente,come in fig. 6.17. Si noti che nella regione intermedia tra le strutture inferiorie quelle superiori si ha un flusso diretto verso la zona centrale che compensal’innalzamento di aria al di sopra. In forma elementare, quello descritto è il

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

I

II III

IVs s

Fig. 6.17 – Strutture vorticose in un piano ortogonale alla corrente, viste da valle,attorno a una collina più calda dell’aria circostante.

processo di involo di una termica; l’eventuale pennacchio seguirebbe la stessasorte, cfr. fig. 6.18.

6.2. DEPOSIZIONE DI INQUINANTI SUL SUOLO

Gran parte delle sostanze inquinanti immesse nell’atmosfera finisce col depo-sitarsi al suolo, che viene progressivamente contaminato. Detto per inciso, èquesto l’aspetto più inesorabile, insieme alla contaminazione delle falde, delproblema dell’inquinamento; molte sostanze sono infatti bioindegradabili oquasi - hanno tempi di emivita molto lunghi - e quindi si accumulano progres-sivamente, avvelenando una percentuale crescente della superficie disponibile.Il materiale inquinante liberato in atmosfera può presentarsi in fase gassosa,oppure nella forma di particelle solide o liquide di piccole dimensioni, il cosid-detto particolato; in entrambi i casi, prima di depositarsi al suolo gli inquinantihanno una storia in genere complessa, di trasformazioni fisiche e chimiche, intempi molto variabili; si va dai pochi minuti di sospensione, prima di precipi-tare al suolo, del particolato più pesante, alle decine di giorni di vita nel regnoampio dei venti della frazione più leggera. Inoltre, il materiale depositato puòessere risospeso dalle raffiche di vento - esattamente come la polvere che si al-

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Fig. 6.18 – Involo di un pennacchio nell’incontro con un rilievo montuoso, in unacondizione instabile dell’atmosfera.

za in mulinello agli angoli delle strade - e trasportato da qualche altra parte; ades., l’allargamento progressivo della fascia contaminata da metalli pesanti chesi trova a cavallo dei grandi assi di traffico avviene attraverso questo effettomeccanico, che non è tenuto in conto nei modelli di calcolo della dispersione.Gli inquinanti sospesi in atmosfera subiscono trasformazioni chimiche, chevengono usualmente suddivise in due tipi diversi, a secondo della sorgente dienergia: le reazioni termiche e quelle fotochimiche. Subiscono anche trasfor-mazioni fisiche, poiché condensano ed evaporano, coagulano per collisione diparticelle diverse, si rompono in parti per l’azione meccanica dell’aria che lecirconda, se questa è dotata di velocità relativa sufficiente. L’insieme delletrasformazioni può ricevere una veste formale ineccepibile, nel senso che sipossono scrivere le equazioni evolutive14 di ciascun componente del sistema

14Si tratta di bilanci di massa delle varie grandezze, che hanno la forma consueta, salvo per lapresenza di numerosi termini di sorgente. I termini di sorgente rappresentano la rapidità concui la massa di una determinata specie, contenuta in una particolare fase, varia per effetto odelle reazioni chimiche o delle trasformazioni fisiche a cui abbiamo accennato. Per una sintesidell’argomento, si veda: J.M. Hales, Atmospheric transformations of pollutants, Lectures on airpollution and environmental impact analyses, American Meteorological Society, Boston, 1975.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

materiale, in fase acquosa o in aria. Il sistema delle equazioni così ottenutoè tuttavia troppo complesso perché possa essere risolto; le equazioni possonoessere utili per comprendere alcuni processi elementari. In effetti, i model-li in commercio per il calcolo della dispersione si limitano a calcolare, e nonsempre, gli effetti delle trasformazioni chimiche più immediate, rinunciando adescrivere l’evoluzione a lungo termine degli inquinanti.

Per tornare alla deposizione al suolo, si usa distinguere tra deposizione seccae deposizione umida. Con il primo termine si indica il processo di rimozio-ne di particelle e gas dall’atmosfera che avviene vicino al suolo, su superficieasciutta o bagnata, per effetto del moto turbolento dell’aria, o del moto di ca-duta gravitazionale delle particelle pesanti. Per deposizione umida, si intendela ripulitura intermittente dell’atmosfera che è opera della pioggia; cattura-ti dalle gocce, gli inquinanti vengono trascinati al suolo. Cominciamo con ilprimo argomento che presenta molti aspetti attinenti alla dinamica dei fluidi.

Deposizione secca

Si assume che il flusso Fd con cui una determinata sostanza si deposita alsuolo, in assenza di piogge, si possa esprimere come:

Fd = vdQs 6.10

ove Qs rappresenta la concentrazione media della sostanza in vicinanza del-la superficie. Quando la 6.10 è usata in un procedimento di previsione, siadotta per Qs il valore di concentrazione al suolo15 fornito dal calcolo delladispersione dell’inquinante in atmosfera:

Qs = Q(x, y, 0)

15Nel calcolo della dispersione di una sostanza in atmosfera si assume che il suolo si comporticome una superficie riflettente; detto in termini più aderenti alla realtà fisica, si suppone che tut-te le particelle o molecole di inquinante che giungono sulla superficie, tornino in sospensione.Pertanto il calcolo di Q(x) viene svolto come se fosse: Fd = 0, e di conseguenza fosse altret-tanto nullo il flusso convettivo turbolento immediatamente al disopra. Il profilo calcolato delleconcentrazioni medie presenta una tangente verticale, cfr. fig. 6.19, nel punto di incontro conil terreno, il che rende la scelta dell’altezza in cui assumere Qs poco critica. Un metro più inalto, o più in basso, non fa grande differenza.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Z

Q

Fig. 6.19 – Profilo di concentrazione di un inquinante vicino al suolo. Nell’ipotesi chesi abbia una completa risospensione, la componente verticale del flusso turbolento(−Dt∂Q/∂z) non può che annullarsi vicino al suolo, il che comporta che la tangente alprofilo Q(z) risulti verticale.

Nelle indagini sperimentali, Qs è usualmente misurato ad un metro di altezzaal di sopra del terreno, oppure al di sopra della copertura arborea, nel caso chequesta sia presente; nel caso di misure effettuate sulla superficie del mare, Qs

è misurato ad una altezza di 10 ÷ 15 m.

Nella 6.10, il termine vd ha le dimensioni di una velocità caratteristica, a cui sidà il nome di velocità di deposizione. Poiché vd non dipende da Qs, la 6.10 èuna relazione lineare, e come tale asserisce che la probabilità di una particel-la, o molecola, di depositarsi sul terreno non è influenzata dalla presenza dellealtre. A parte questa premessa, che si presenta come benevola, la semplici-tà della 6.10 è ingannevole; la velocità di deposizione vd risulta dipendere daun numero molto alto di fenomeni, caduta per gravità, dispersione turbolen-ta e diffusione browniana, effetti di inerzia, effetti vari di foresi16, attrazioneelettrostatica. Anche se si limita il confronto ai risultati di una stessa campa-

16Si indicano con questo termine i fenomeni che producono una forza risultante su una particella,a causa di condizioni varie di disuniformità nel suo intorno. Nelle immediate vicinanze diuna superficie, si hanno gradienti di temperatura, di umidità assoluta, di campo elettrico; tuttiagiscono, almeno in teoria, sulla dinamica della deposizione.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

gna di misure - stessa superficie e stesso inquinante - si trovano nei valori divd variazioni di un ordine di grandezza; mentre se si considera l’insieme deirisultati sperimentali si trovano, per i gas, variazioni di quattro ordini di gran-dezza, e per il particolato di almeno tre. È del tutto evidente che sia il processodi impatto delle particelle, sia quello di cattura da parte del terreno - se vi èrisospensione, la deposizione risulta nulla - dipendono in modo critico, e nondel tutto chiarito, da un numero di fattori che usualmente non sono noti, né amaggior ragione sotto controllo17. Qualche volta il calcolo di Fd viene affron-tato adottando un valore di vd pari a 10−2 m/s, scelto apparentemente con ilcriterio di stare in mezzo, più o meno, alle velocità di deposizione di particellecon un diametro compreso tra 1 e 10 μm.In alcuni dei modelli più recenti, la velocità di deposizione viene calcolata se-condo un procedimento che introduce l’idea della resistenza alla deposizione.Ne diamo un breve cenno. Si comincia col mettere in conto il fatto che la depo-sizione è influenzata, quando la particella è più densa dell’aria, dalla gravità,e si introduce una velocità terminale di caduta, vg, dovuta al campo gravi-tazionale. La velocità vg è la velocità stazionaria di caduta che la particellaraggiungerebbe in aria ferma, in assenza di tutti i fenomeni appena ricordati;si può pertanto calcolare con considerazioni puramente meccaniche, con unnotevole grado di certezza. Tutto il resto è riassunto in una seconda veloci-tà v′d, che non ha un nome specifico, mentre la velocità di deposizione vd èespressa o come semplice somma delle due:

vd = v′d + vg

oppure con una formula di interpolazione del tipo:

vd =vg

1 − exp(−vg/v′d)che non è poi molto diversa dalla prima; entrambe le formule danno:

vd = v′dper vg/v

′d → 0, e tendono asintoticamente verso:

vd = vg

al crescere di vg/v′d.

17Si veda, per una rassegna sull’argomento: G.A. Sehmel, Particle and gas deposition: a rewiew,Atmospheric Environment, 14, 1980.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

La difficoltà del problema è ricondotta alla discussione dei fattori cheinfluenzano v′d; si usa porre:

1v′d

= ra + rsl + rs 6.11

e i tre membri a secondo membro, che hanno le dimensioni fisiche dell’inversodi una velocità, vengono chiamati rispettivamente: resistenza aerodinamica(ra), resistenza del sottostrato laminare (rsl), e resistenza di superficie (rs).A parte la discutibile scelta semantica18, la 6.11 proviene chiaramente dallateoria delle reti elettriche, e vuole mettere in chiaro che per giungere ad esserecatturata dalla superficie, una particella deve attraversare tre strati dominati daprocessi fisici diversi. Come accade in una disposizione in serie di resistori,è lo strato dotato di resistenza più alta quello che limita l’ordine di grandezzadella velocità di deposizione v′d.Delle tre forme di resistenza, quella che viene chiamata aerodinamica riguardalo strato più lontano dalla superficie ed è dettata dalle proprietà della disper-sione turbolenta; risulta tanto più piccola, quanto più efficace è il trasportodovuto al moto fluttuante. Dipende pertanto dalle grandezze caratteristichedel moto nella regione di profilo logaritmico: velocità di attrito u∗, altezza dirugosità superficiale zo, quota di riferimento zs per la misura di Qs. Sembradai risultati sperimentali che anche la stabilità dello strato limite abbia un’in-fluenza, sia pure minore, sul fenomeno, nel senso che in situazioni fortementeinstabili (H ∼ −10 m) si ha una velocità di deposizione lievemente superiore- quindi con valore di ra lievemente inferiore - a quella che si trova in situazio-ni fortemente stabili19 (H ∼ 10 m). L’effetto, probabilmente dovuto alla forteanisotropia del moto fluttuante in condizioni molto stabili, può essere tenutoin considerazione introducendo l’altezza di Monin-Obukhov H nel calcolo dira, con formule del tipo20:

ra =1κu∗

[ln(zszo

)+ 4.7

zsH]

18Non esistono nelle correnti turbolente sottostrati laminari; esiste vicino alle pareti un sottostrato,ove le fluttuazioni di velocità vengono direttamente dissipate dalla viscosità, senza dar luogo aprocesssi non lineari.

19Cfr. G.A. Sehmel, op. cit.

20La formula è ripresa da un codice di calcolo in commercio.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

che si assume essere valida per situazioni stabili, H > 0. In realtà, tenuto con-to della generale incertezza che domina l’argomento, l’influenza della stabilitàpuò essere tranquillamente ignorata.

La resistenza rsl del sottostrato laminare riguarda l’attraversamento di un pic-colo strato, dell’ordine di qualche millimetro, ove la fluttuazione turbolentanon è efficace; il trasporto è dovuto alla diffusione molecolare, nel caso di uninquinante gassoso, oppure alla diffusione browniana nel caso del particolato.Vi sono anche altri effetti, quello dovuto all’inerzia delle particelle che impat-tano sullo strato, importante per particelle di diametro compreso tra 2 e 20 μm,oppure quelli dovuti a vari fenomeni di foresi, che tuttavia risultano in generetrascurabili.

Infine, la resistenza di superficie rs deriva dalla presenza o meno di meccani-smi di cattura dell’inquinante da parte della superficie; una cattura certa com-porta un valore nullo di rs. Per fare un esempio, l’acidoHNO3 reagisce moltorapidamente con la maggior parte delle superfici, e pertanto la sua resistenzars è usualmente considerata nulla - se le venisse assegnato un valore basso,cambierebbe poco del calcolo di v′d, cfr. 6.11; l’ossido di carbonioCO, invece,non è molto reattivo, e quindi il valore corrispondente di rs è alto.

Vale la pena di notare che il fenomeno sintetizzato dalla resistenza aerodina-mica è di natura meccanica, e quindi la specie chimica dell’inquinante non haalcuna influenza su ra; la resistenza rsl dipende dalla diffusività in aria dellevarie specie, o dei vari aerosol, mentre la resistenza di superficie è dominatadall’affinità tra l’inquinante e il materiale che costituisce il terreno; rs è quindiil termine che più dipende dalla natura chimica dell’inquinante.

A parità di sostanza inquinante, sia la diffusività browniana sia la velocitàdi sedimentazione gravitazionale vg dipendono fortemente dal diametro delleparticelle solide o liquide. Per diametri dell’ordine di 0.1 μm, e al di sotto,la deposizione è essenzialemte controllata dal moto browniano nel sottostrato;per diametri superiori a 1 μm, la velocità di deposizione cresce e si avvicinatendenzialmente alla velocità di discesa gravitazionale vg . Prima di dare unquadro riassuntivo della relazione che intercorre tra velocità di deposizionevd e dimensione lineare del particolato, conviene analizzare il comportamentodinamico di una particella che cade in un fluido altrimenti in quiete, sottol’azione del proprio peso.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

R

S

P

Fig. 6.20 – Raggiunta la condizione di moto uniforme, il corpo che cade è in equilibriosotto l’azione di tre forze, peso P, spinta di Archimede S, e resistenza aerodinamica R.

Caduta di una particella pesante in un fluido in quiete

Consideriamo un corpo che cade in un fluido sotto l’azione del proprio pe-so. Qualunque sia la sua velocità iniziale, il corpo tende asintoticamente adassumere una velocità relativa al fluido costante, a cui viene dato il nome divelocità terminale di sedimentazione per gravità. Una volta raggiunta appros-simativamente questa condizione, la forza di inerzia del corpo risulterà tra-scurabile e l’equilibrio dinamico verrà assicurato dall’annullarsi del sistemadi forze esterne, costituito dal peso proprio del corpo, dalla spinta di galleg-giamento (o di Archimede) e dalla resistenza aerodinamica, ove per resistenzaaerodinamica si intende la forza generata dal moto relativo tra fluido e oggetto.Resistenza aerodinamica e spinta di galleggiamento sono forze di superficie,entrambe scambiate tra fluido e corpo immerso, che tuttavia non interagisconotra loro; la semplice sovrapposizione delle due forze rappresenta un procedi-mento esatto, perché l’esistenza o meno di un gradiente statico di pressione,responsabile della spinta di galleggiamento, non modifica in alcun modo né ilcampo di moto del fluido, né gli sforzi che del moto relativo sono conseguen-za21. Il sistema di forze in equilibrio è indicato in fig. 6.20; se le forze vengonoproiettate su un versore diretto verso il basso, si ottiene l’equazione scalare:

P − S −R = 0

21C. Cancelli, op. cit., 5.2, p. 254.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

n t

U LR

j

Fig. 6.21 – Corrente uniforme con velocità U, che avvolge un corpo fermo. La forzarisultante applicata dal fluido al corpo è la resistenza aerodinamica R.

ove P rappresenta il peso della particella:

P = ρpV g

S la spinta di galleggiamento:

S = ρV g

edR la resistenza aerodinamica. Le densità ρ e ρp sono rispettivamente quelladel fluido e del materiale della particella solida, e V è il volume di questa.La resistenza R dipende dalla velocità vg di sedimentazione gravitazionale; sipuò porre l’equazione di equilibrio nella forma:

R(vg) = (ρp − ρ)gV 6.12

da cui si può dedurre vg, una volta che la relazione R(vg) sia stata esplicita-ta. Il problema è quindi ricondotto ad un argomento classico della dinamicadei fluidi, quello del calcolo della forza scambiata tra un fluido e un corpoimmerso, dotati di moto relativo rettilineo uniforme.

Resistenza aerodinamica di un corpo: correnti viscose

Consideriamo un corpo di scala geometrica L, in movimento con velocità uni-forme, e rendiamo stazionario il campo di moto del fluido che lo avvolge,tramite la scelta di un sistema di riferimento solidale al corpo. In questo si-stema di riferimento, il fluido è in moto da sinistra verso destra con velocitàU e avvolge la particella ferma, cfr. fig. 6.21; la forza applicata dal fluido alcorpo è indicata con R; l’accelerazione di gravità è ignorata, poiché la presen-za del campo gravitazionale non influenza il calcolo di R. Come sappiamo, ilparametro di similitudine di questo tipo di corrente è il numero di Reynolds:Re = UL/ν, che può essere interpretato come rapporto tra velocità di con-

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

vezione U e velocità di diffusione ν/L. Al variare di Re, la relazione R(U)cambia non solo valore quantitativo, ma anche struttura; passa dalla forma:

R ∝ μUL

valida per Re → 0, a quella:

R ∝ ρU2L2

che si ottiene per valori di Re sufficientemente alti. È evidente che si ha unatransizione tra regimi diversi, dotati di diverse dinamiche.Cominciamo con l’analizzare il comportamento del sistema nel limite perRe tendente a zero. Diminuendo progressivamente la velocità convettiva,i termini non lineari uk∂ui/∂xk dell’equazione di quantità di moto diven-gono evanescenti, e il sistema di equazioni indefinite si riduce alla formalinearizzata:

∂uk

∂xk= 0

∂p

∂xi− μ

∂2ui

∂xk∂xk= 0

a cui vanno aggiunte le condizioni di contorno all’infinito:

ui = Ui

e sulla superficie del corpo22:

ui = 0

Poiché il sistema è lineare, possiamo assumere che le scale di variazione di unagenerica grandezza all’interno del fluido siano dello stesso ordine di quelleimposte dall’esterno per la presenza del corpo; la scala L sarà pertanto l’unicascala geometrica del problema. Allora, dall’equazione di quantità di moto siottiene:

p− po

L∼ μ

U

L2

che permette di valutare l’ordine di grandezza delle variazioni di pressione infunzione delle variazioni di velocità:

p− po ∼ μU

L6.13

22Le correnti che obbediscono a questa rappresentazione semplificata si chiamano correntiviscose, oppure di Stokes.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

ove po indica un qualsiasi valore di riferimento.

La forza scambiata tra corpo e fluido è dovuta sia agli sforzi viscosi, sia allevariazioni di pressione sulla superficie del corpo; integrando gli uni e le altresu tutta la superficie, e proiettando nella direzione del moto relativo, si ottiene:

R =∫

S

[(p − po)n · j + μ

∂u1

∂ξ2t · j]dS 6.14

Il versore n rappresenta nella 6.14 la normale esterna alla superficie e t il ver-sore tangente, orientato nella direzione dello sforzo viscoso; la coordinata ξ2 èuna coordinata curvilinea perpendicolare alla superficie, mentre u1 è la com-ponente della velocità del fluido nella direzione di t; l’integrale di una pres-sione costante come po, esteso a una superficie chiusa, dà contributo nullo.La relazione 6.14 può essere riscritta, adottando come scala delle variazioni dipressione il termine μU/L, suggerito dalla 6.13, e come scale di lunghezza,area e velocità, i valori L, L2, U. Si ha:

R = μUL

∫ ′

S

(p′n · j +

∂u′1∂ξ′2

t · j)dS′ 6.15

ove i simboli con l’apice indicano le variabili adimensionate. Si osservi chele variabili con l’apice non possono in questo caso dipendere da Re, perchérappresentano la soluzione limite per Re → 0; quindi l’integrale che comparea secondo membro della 6.15 è un puro fattore di forma geometrica - cambiasolo se si modifica la forma dell’ostacolo. Si ottiene, in conclusione:

R = cμUL 6.16

ove c è un coefficiente numerico; la relazione presenta la struttura già annun-ciata. Per queste correnti si conosce anche una soluzione esatta dovuta a Sto-kes, quando il corpo immerso è di forma sferica, con diametro d; in tal caso siha:

R = 3πμUd

che dà per la costante c della 6.16 il numero:

c = 3π

Resistenza aerodinamica di un corpo: genesi della resistenza di forma

Le soluzioni viscose attorno a corpi dotati di simmetria di forma tra prora epoppa, cfr. fig. 6.22, presentano una configurazione di linee di corrente altret-tanto simmetrica, invariante rispetto al ribaltamento della regione di monte

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Fig. 6.22 – Linee di corrente di un moto di Stokes, attorno ad un ostacolo dotato disimmetria sinistra-destra; le linee di corrente sono analogamente simmetriche.

in quella di valle. Come si vede in fig. 6.22, la metà destra è una immaginespeculare della metà sinistra. Questa proprietà può essere spiegata in terminimatematici, come una conseguenza della linearità in u del sistema di equazio-ni che definiscono la soluzione23; ma ha anche una interpretazione fisica, chepermette di discutere l’evoluzione del campo al crescere di Re. Dei tre pro-cessi fondamentali che plasmano il campo di moto, convezione, diffusione epropagazione, solo il primo permette di distinguere la regione di monte rispet-to a quella di valle, perché introduce nel problema una direzione privilegiata eun senso del moto relativo. Le configurazioni delle correnti di Stokes rappre-sentano una situazione limite, verso cui le correnti reali convergono quandola velocità di convezione perde progressivamente importanza, rispetto alle ve-locità di diffusione e di propagazione; è pertanto comprensibile che il campoacquisisca proprietà di simmetria, poiché viene a essere determinato da dueprocessi, propagazione e diffusione, del tutto isotropi.Col crescere del numero di Reynolds, la convezione comincia a farsi senti-re; la simmetria monte-valle si rompe, e la configurazione del campo mostrasempre più chiaramente l’influenza di un noto fenomeno non lineare: il tra-

23Poiché le equazioni differenziali sono lineari nella velocità, se u(x) è soluzione, anche −u(x)

lo è, purché si cambi nel suo opposto la velocità del fluido all’infinito. Dunque, le linee di cor-rente non si modificano invertendo il senso del moto relativo; se l’oggetto è anche simmetrico,non vi è niente che possa permettere di distinguere la regione di monte da quella di valle.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Fig. 6.23 – Comparsa di strutture ricircolanti a valle dell’ostacolo, per valori di Re

maggiori di 1.

sporto per convezione della vorticità. La vorticità viene immessa nel campoper diffusione dalla superficie dell’ostacolo, ma appena in seno al fluido vienetrascinata verso valle con il fluido stesso. È comprensibile che la distribuzionedella vorticità - e quindi la forma del campo di moto - divenga sempre menosimmetrica tra monte e valle; a monte dell’ostacolo il campo risulta plasmatodalla propagazione di onde e la vorticità tende a sparire24, mentre si accumulaa valle.Per numeri di Re compresi tra 1 e 10, il trasporto verso valle della vorticitàsi rivela nella comparsa di regioni di fluido ricircolante, attaccate alla poppadell’ostacolo, cfr. fig. 6.23. Si tratta dell’embrione di una struttura del cam-po, la scia, che ha un grande ruolo nel determinare la resistenza aerodinamicaa valori elevati di Re; la vorticità che viene diffusa da parete non è in gradodi risalire a monte per diffusione, e viene trasportata a valle, ove si accumulain due strutture controrotanti, da cui diffondono l’una entro l’altra, annichi-lendosi, vorticità di segno opposto. Con l’ulteriore aumento della velocità diconvezione, le zone di ricircolazione si allungano, fino a divenire alcune voltela dimensione trasversale dell’ostacolo, si veda fig. 6.24; ma ad un certo mo-mento inizia una progressiva sequenza di instabilità - per Re ≥ 40, nel casopiù noto, quello della scia di un cilindro indefinito, già descritta per sommicapi in 1.2 - la quale porta alla disintegrazione della regione di valle e allaformazione di una scia turbolenta. Per Re > 200 il processo può ritenersiconcluso; la configurazione assunta dal campo di moto è quella schizzata infig. 6.25 e contiene tutti gli elementi strutturali necessari per comprendere evalutare la resistenza di forma.

24Finché il numero di Mach è minore di 1, le onde di pressione risalgono la corrente; ma nontrasportano vorticità, cfr. Cancelli, op. cit., 4.6.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Fig. 6.24 – Scia allungata, prima dell’inizio delle instabilità inerziali.

U

ω = 0

ω ≠ 0

ω = 0

Fig. 6.25 – Campo di moto attorno ad ostacolo con scia turbolenta; il campo è divisoin due regioni, una interna di moto vorticoso - nello strato limite e nella scia - e unaesterna dotata di moto irrotazionale.

Vi sono due aspetti della configurazione di fig. 6.25 che permettono unacomprensione sbrigativa del fenomeno che ci interessa:

– il campo di velocità è diviso in due regioni distinte; quella che ade-risce all’oggetto e si prolunga nella scia, la quale è sede di un motovorticoso, e quella esterna, che è dotata di moto irrotazionale. Lavorticità si trova nelle immediate vicinanze della superficie, per ef-fetto della diffusione, e all’interno della scia, ove è trasportata perconvezione. Il campo della regione esterna è modellato invece dallapropagazione di onde di pressione e risulta pertanto irrotazionale.

– La distribuzione delle pressioni sulla superficie dell’ostacolo è det-tata dalla dinamica del moto irrotazionale, per quanto questo nonlambisca la superficie. La variazioni di pressione attraverso lo stra-to limite sono infatti trascurabili, a causa del limitato spessore diquesta regione; il salto di pressione in direzione normale alla super-ficie, che si realizza attraverso uno strato aderente di spessore h, può

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

essere valutato come25:

δp ∼ ρU2 h

rc6.17

ove rc rappresenta il raggio di curvatura delle linee di corrente. Poi-ché le variazioni di pressione che si hanno sulla superficie sono del-l’ordine di ρU2/2, come vedremo tra poco, al confronto la quantitàδp risulta trascurabile, per la piccolezza del rapporto h/rc. In quantoalla scia, essa è sede di un moto non stazionario, che produce varia-zioni temporali di pressione - il bordo esterno della scia, superficiedi separazione tra campi di moto con caratteristiche diverse, è for-temente instabile - ma non presenta al suo interno aspetti di motocosì organizzati e ricorrenti da sostenere gradienti medi significatividi pressione. In altre parole, il valor medio della pressione all’in-terno della scia è vicino al valore medio della pressione che si trovaimmediatamente al di fuori della superficie che la delimita, in pienocampo irrotazionale.

Con queste considerazioni in mente, l’analisi della distribuzione delle pres-sioni può essere ricondotta allo studio di una corrente irrotazionale che scorresulla superficie anteriore dell’ostacolo - lo spessore dello strato limite è po-ca cosa - e lungo la superficie esterna della scia, cfr. fig. 6.26. La scia figurain questo schema come una regione di fluido stagnante, separata dalla corren-te esterna per mezzo di una superficie che è di discontinuità per le velocitàtangenziali, ma di perfetta continuità per le pressioni. Lo schema, dovuto aHelmholtz, spiega la resistenza di forma. Poiché il campo di moto esterno am-mette potenziale di velocità, obbedisce alla relazione di Bernoulli; trascurandole variazioni temporali, mediamente poco significative, si può quindi scrivere:

p+12ρu2 = cost 6.18

una relazione che mette in evidenza come si abbia pressione alta ove la velo-cità è bassa, e viceversa. In particolare, si avrà sulla superficie dell’ostacolouna pressione massima pmax nella zona di prora ove si ha velocità nulla, e unapressione minima pmin sul dorso dell’ostacolo, nella zona di massimo spes-sore, ove la velocità è alta inevitabilmente a causa del restringimento dellasezione retta dei tubi di flusso. La presenza della scia impedisce ai tubi di

25Cfr. Cancelli, op. cit. 4.4, p. 224.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

A

Pmin

Pmax ≅ Pmin L

j

Fig. 6.26 – Corrente irrotazionale che scorre in un dominio delimitato dalla superficieanteriore dell’ostacolo e dalla superficie esterna della scia. La pressione all’internodella scia è uguale a quella che si ha all’esterno.

flusso di tornare ad allargarsi nella regione posteriore, e quindi previene il re-cupero di pressione che ne sarebbe conseguenza; la pressione del fluido cheagisce sul retro dell’ostacolo rimane vicina al valore pmin che si ha sul dorso.Nasce in questo modo un evidente squilibrio di pressione tra la parte anterio-re e la parte posteriore del corpo, il quale produce sul corpo stesso una forzarisultante, diretta nel senso del moto del fluido. L’integrale:

R =∫

Spn · jdS 6.19

costituisce la resistenza di forma.Qualunque fenomeno che modifichi la dimensione trasversale della scia, mo-difica anche la resistenza. D’altra parte, un noto risultato della teoria dei campidi moto con potenziale di velocità - porta il nome di paradosso di d’Alembert -afferma che la resistenza R sarebbe nulla, qualunque sia la forma dell’og-getto, qualora la corrente irrotazionale lo abbracciasse completamente26, vedifig. 6.27(a). Configurazioni come quella di fig. 6.27(b) hanno quindi una resi-stenza più alta di quelle di fig. 6.27(c), per il motivo che nel secondo caso lelinee di corrente tendono a richiudersi attorno all’ostacolo, e pertanto si ha unparziale recupero di pressione a valle.

26Nel caso che il corpo immerso sia dotato di simmetria di forma tra parte anteriore e parteposteriore, il paradosso di d’Alembert si può dimostrare in base alla linearità nel potenziale Φ

del modello matematico, poiché questa proprietà implica una indifferenza delle linee di correnteal senso del moto relativo; R non può che essere nulla, per la simmetria monte-valle dei valoridi u2, da cui dipende la pressione. Esiste tuttavia anche una dimostrazione generale, vedi: B.Finzi, Lezioni di Aerodinamica, VIII, Libreria Editrice Politecnico Tamburini, Milano, 1960.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

a b c

Fig. 6.27 – (a) Corrente irrotazionale chiusa attorno a un ostacolo: R = 0; (b) con-figurazione con linee di corrente molto aperte verso valle, scia larga: R elevata; (c)configurazione con linee di corrente che parzialmente si richiudono a valle, scia dispessore ridotto: R ridotta.

Tralasciando i fattori che possono influenzare la minore o maggiore aperturadella scia27, lo schema di Helmholtz permette di calcolare rapidamente sia lastruttura di R, sia il suo ordine di grandezza, facendo riferimento alla fig. 6.26.Sulla faccia anteriore dell’ostacolo agisce una pressione variabile tra pmax epmin, che dà una forza diretta verso valle all’incirca uguale a:(

pmax + pmin

2

)L2

ove L2 è una misura dell’area della sezione maestra dell’oggetto - il terminen·jdS, che compare nell’integrale 6.19, rappresenta la proiezione, su un pianoortogonale alla direzione del moto relativo, dell’elemento di area dS dellasuperficie esterna. Sulla faccia posteriore agisce una pressione costante pari apmin, e quindi una forza diretta verso monte, pari a:

pminL2

Sottraendo le due forze, si ottiene quella risultante:

R ∼ 12(pmax − pmin)L2 6.20

Il valore massimo di pressione si ha nella regione di prora, nel punto A ovela linea di corrente impatta ortogonalmente la superficie, vedi fig. 6.26; qui lavelocità è nulla per simmetria e dalla 6.18 si ottiene:

27L’unico fenomeno spontaneo - la transizione da moto laminare a moto turbolento nello stratolimite che lambisce la parete anteriore dell’ostacolo - avviene ad un numero di Re troppo ele-vato, ∼ 105 ÷ 106, per avere influenza sulla deposizione; gli altri sono accorgimenti artificialida tecnica aeronautica.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

pmax = po +12ρU2

essendo po e U la pressione e la velocità del fluido lontano dall’ostacolo. Suldorso dell’ostacolo si ha, per l’addensarsi delle linee di corrente, la velocitàmassima umax, e quindi sempre per la 6.18 la pressione minima:

pmin = po +12ρU2 − 1

2ρu2

max

Sostituendo le due pressioni estreme nella 6.20, si ottiene:

R ∼ 14ρu2

maxL2 =

14ρU2

(umax

U

)2L2

Il rapporto tra la velocità massima e quella minima dipende solo dalla formadell’ostacolo28; se il rapporto fosse pari a 2, si avrebbe semplicemente:

R ∼ ρU2L2 6.21

che possiamo ritenere corretta in prima approssimazione per corpi di formaqualsiasi, a meno di un coefficiente compreso tra 0.1 ed 1 - per la sfera si hacirca 0.4, per R ∼ 100.La 6.21 dà un valore del coefficiente di resistenza:

cR =R

ρU2L2

che non dipende dal numero di Reynolds; nella realtà cR non è costante, maper un ampio intervallo di valori di Re varia relativamente poco - sempre peruna sfera, ad es., si dimezza nel passare daRe = 102 aRe = 103. Nell’ambitodi questa discussione possiamo ritenere che la 6.21 rappresenti correttamentela resistenza di un corpo, dopo la formazione della scia. Tra l’altro, la 6.21

spiega per quale motivo la struttura fisica della resistenza cambi al crescere diRe, passando da una forma μUL a una ρU2L2; gli sforzi viscosi continuano adagire sulla superficie anteriore del corpo, anche dopo la formazione della scia,ma l’ordine di grandezza della loro risultante rimane μUL, una quantità chediviene presto insignificante rispetto alla resistenza di forma, la quale cresceproporzionalmente al quadrato della velocità. Dividendo la resistenza viscosaper la resistenza di forma, si ottiene infatti:

μUL

ρU2L2=

1Re

28I campi di moto irrotazionali non dipendono dal numero di Reynolds, perché la viscosità delfluido risulta ininfluente, vedi C. Cancelli, op. cit. 4.2.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Velocità di caduta di una particella pesante

Sostituendo nella 6.12 le due leggi di resistenza appena trovate, e risolven-do l’equazione per la velocità di sedimentazione gravitazionale vg, si ottienefinché il moto è viscoso (Re → 0):

vg ∝ 1μ

(ρp − ρ)gL2 =ρp − ρ

ρ

gL2

ν6.22

mentre per numeri di Reynolds sufficientemente alti vale la legge:

vg ∝(ρp − ρ

ρgL

)1/2

6.23

Si noti l’influenza della dimensione lineare della particella; finché il numero diReynolds rimane basso - poniamo perRe < 1, tanto per avere un valore discri-minante - vale la relazione 6.22 e la velocità di sedimentazione cresce con ilquadrato della dimensione lineare L; mentre per valori di Re sufficientementealti, superiori a 100, vg cresce molto più lentamente, risultando proporzionalea L1/2, come appare dalla 6.23.

Nella regione intermedia, si ha un raccordo tra le due leggi. Si può dare del-l’intera evoluzione di R un’espressione unificante, introducendo anche per ilmoto di Stokes il coefficiente di resistenza più convenzionalmente usato:

R =12cRρv

2gAm 6.24

ove Am indica l’area della sezione maestra. La scelta nasconde la vera natu-ra della resistenza in un moto viscoso, ma è formalmente ineccepibile. Ov-viamente, per abbracciare il fenomeno nel suo complesso, cR dovrà risultarevariabile come 1/Re per Re → 0, mentre sarà costante per valori elevati diRe; è sufficiente confrontare la 6.24 con la 6.16 e la 6.21 per rendersene conto.Facendo riferimento ad un corpo di forma sferica, la legge cR(Re) risulta inregime viscoso

cR =24Re

e la velocità di sedimentazione:

vg =118

(ρp − ρ

ρ

)gd2

ν6.25

La velocità di caduta risulta anche proporzionale alla variazione percentua-le di densità (ρp − ρ)/ρ. Supponiamo, per fissare qualche valore numerico,che la densità ρp della particella sia vicina a quella dell’acqua, così da porre:(ρp − ρ)/ρ ∼ 103. Allora, per d = 1 μm, dalla 6.25 si ottiene:

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

vg ∼ 3.7 · 10−5m/s = 3.7 · 10−3cm/s

avendo adottato come viscosità cinematica dell’aria quella corrispondente a20oC:

ν = 1.5 · 10−5m2/s

Il numero di Reynolds corrispondente vale:vgd

ν= 2.5 · 10−6

il che significa che ci troviamo in pieno regime di Stokes. Tuttavia, poichévg è proporzionale a d2, il numero di Reynolds cresce con d3, quindi di 103

per ogni variazione di d di un ordine di grandezza. Per d = 102 μm, si arrivapiù o meno sul confine del regime viscoso e gli effetti di scia cominciano afarsi sentire; si ha, per la velocità di caduta gravitazionale, qualcosa meno delvalore:

vg = 3.7 · 10−1m/s

che corrisponderebbe al regime di Stokes. Infine, per valori maggiori del dia-metro d si entra in una regione di transizione e il calcolo può essere fatto inmodo iterativo, usando la curva sperimentale29 cR(Re).In fig. 6.28 sono riportate in scala logaritmica le velocità di caduta gravitazio-nale di una particella, di supposta forma sferica e con densità pari a quelladell’acqua, in funzione del diametro. Finché il regime è viscoso, la velocitàvg risulta proporzionale alla variazione percentuale di densità della particellarispetto all’aria, cfr. 6.22; per ottenere la velocità di una particella di diversadensità ρ′p è sufficiente moltiplicare la velocità di una particelle di acqua per ilrapporto (ρ′p − ρ)/(ρp − ρ), almeno finché i valori del diametro sono inferio-ri a ∼ 50 μm; al disopra, occorre tener conto dell’influenza del numero di Re

sul coefficiente di resistenza cR.Si può osservare che, delle grandezze che influenzano la caduta della parti-cella, la più significativa è la dimensione lineare L che compare al quadratonella 6.22; è sufficiente una diminuizione di circa tre volte nella dimensio-ne lineare per compensare un eventuale aumento di densità di un ordine digrandezza. Tenuto conto dell’ampia usuale variazione della lunghezza carat-teristica del particolato, ha poco fondamento la speranza che le particelle si

29Per la variazione del coefficiente di resistenza in funzione del numero di Reynolds in corpi divaria forma, si può vedere B.S. Massey, Mechanics of Fluids, 10.8.3, van Nostrand Reinhold,London 1979.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

10 -¹

v g [cm

/s]

10 -³

10 -²

10 -¹

1

10

10 ²

1 10 10 ² 10 ³

d [ m]

Fig. 6.28 – Velocità di caduta in aria immobile di particelle pesanti di forma sferica; ladensità della particella è supposta uguale a quella dell’acqua.

depositino vicino alla sorgente a causa del loro peso. Il processo di disper-sione dipende ovviamente dalle condizioni dell’atmosfera; ma in condizioniinstabili, con velocità ascensionali dell’ordine di 1 m/s, particelle di piom-bo o di cadmio, o per quel che vale di uranio, vengono trascinate ovunque30,purché abbiano un diametro inferiore ai 50 μm.

30Negli anni 80, e forse anche ora, si usavano coformulanti al piombo da aggiungere alle solu-zioni acquose di anticrittogamici, per rendere possibile che queste venissero sparse su filari divite da un elicottero, senza disperdersi in aria e sui campi, o sulle abitazioni vicine. Queste so-stanze, a cui veniva dato il nome fantasioso di prodotti antideriva, avrebbero dovuto, per virtùdi miracolo, rendere compatibile con l’ambiente l’uso dell’elicottero, proibito in tutto il mondocivile, in una zona di piccoli appezzamenti collinari quale l’astigiano.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

Tornando alle particelle di acqua, i dati di fig. 6.28 possono essere applica-ti, almeno in prima approssimazione, alle gocce che costituiscono le nubi, lenebbie, le piogge, sebbene non sia vero che le gocce di acqua in moto relativosi comportino come sfere rigide. Uno sguardo al diagramma permette tuttaviadi cogliere, per i valori tipici delle varie formazioni, i valori di velocità ascen-dente dell’aria che sono necessari per mantenere le formazioni in quota. Ladimensione lineare delle gocce che costituiscono le nubi variano tra ∼ 10 μmnelle formazioni più alte - stratocumulus e altocumulus - e i ∼ 70 μm deicumulonimbus, a cui corrispondono velocità comprese tra 0.1 ÷ 0.2 cm/s e∼ 10 cm/s. Quando la goccia raggiunge il diametro di 103 μm comincia lapioggia, che presenta velocità di caduta comprese tra i 4 m/s delle cosiddettepiogge lievi - diametro delle gocce di poco superiore a 103 μm - e gli 8÷9 m/sdelle piogge pesanti. Il diametro delle gocce di pioggia non può superare5 · 103 μm, perché alle velocità corrispondenti di caduta si ha frammentazionedelle gocce per effetto meccanico.

Si noti infine che in condizioni di grande stabilità atmosferica, la sedimen-tazione gravitazionale può essere importante non solo nei confronti della de-posizione al suolo, ma anche dell’evoluzione del pennacchio. In una brezzavalliva notturna vi possono essere moti con componente verticale delle veloci-tà di pochi cm/s; in tali condizioni la velocità di caduta per gravità può essereimportante nel trascinare il pennacchio, o una parte di esso, verso il suolo.

Velocità di deposizione di particelle pesanti

Combinando la velocità di caduta gravitazionale con la velocità v′d secondo laformula:

vd = v′d + vg

In realtà, l’unico parametro che avesse una qualche influenza sulla dispersione era il diametrodelle gocce; se la pressione degli ugelli veniva regolata in modo tale da produrre una popola-zione di gocce con diametro attorno ai 300 ÷ 400 μm, si aveva una caduta rapida delle gocceper gravità, le quali tuttavia non riuscivano a coprire la faccia inferiore delle foglie; se si ab-bassava il diametro medio a 150 μm, si aveva una buona copertura, perché le gocce seguivanotraiettorie caotiche, ma si disperdeva nell’ambiente circostante più della metà di quanto venivagettato.

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

a

b

c

10 -¹

v d [

cm/s

]

10 -²

10 -¹

1

10

10 ²

1 10 10 ²

d [ m]

Fig. 6.29 – Velocità di deposizione di un particolato con densità di 103 kg/m3, da un’al-tezza sul suolo di 1 m, con resistenza di superficie nulla e velocità di attrito u∗ = 2m/s.Altezza di rugosità superficiale: (a) zo = 0.001 cm; (b) zo = 0.1 cm; (c) zo = 10 cm.

si ottiene l’andamento della velocità di deposizione. Nel diagramma difig. 6.29, ripreso dal lavoro di G.A. Sehmel, op. cit., è rappresentata la va-riazione di vd in funzione del diametro della particella, calcolata con l’ipotesiche questa abbia la densità dell’acqua. La velocità di deposizione è riferita aun’altezza sul suolo di 1 m, con una velocità di attrito di 2 m/s, e a diversi va-lori dell’altezza di rugosità superficiale zo. La resistenza superficiale rs è stataconsiderata nulla, così che la dinamica della deposizione risulta dominata dal-la velocità gravitazionale, per d > 50 μm, e dalla dispersione atmosferica edal moto browniano al disotto di questo valore.

Si noti che al crescere di d, per valori superiori a 50 μm, la velocità di deposi-zione diviene indistinguibile da quella vg di caduta per gravità. Per valori in-feriori del diametro, vg cade rapidamente e cominciano ad essere significativi

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

i processi di dispersioni turbolenta e di diffusione browniana. Le curve mo-strano un minimo nell’intervallo compreso tra 0.1 e 1 μm, ove probabilmentenessuno dei meccanismi di deposizione è efficace; scendendo ulteriormente d,il cefficiente di diffusione browniana aumenta - il che spiega la fase di risali-ta di vd - prima di assestarsi su un valore costante per valori così piccoli deldiametro, non mostrati in figura, da rendere la diffusione browniana simile aquella molecolare. Sembra che la velocità di deposizione sia influenzata an-che dalla stabilità dello strato limite; ammesso che il fenomeno sia reale, ilcambiamento di stabilità non comporta variazioni tali della velocità di depo-sizione da dover essere messe in conto, almeno finché si rimane nell’ambitodella dispersione di inquinanti. La velocità di deposizione dipende invece inmodo marcato dalla velocità di attrito, di cui risulta una funzione crescente;nel passaggio di u∗ da 10 a 102 cm/s, ad es., la curva vd(d) si innalza di circaun ordine di grandezza.

Deposizione umida

Gli inquinanti sospesi in aria sono rimossi o attraverso il processo di deposi-zione che si ha in vicinanza del suolo - la deposizione secca - oppure perchévengono catturati o disciolti in fase acquosa nell’insieme delle idrometeorepresenti in atmosfera, nubi, gocce di pioggia, cristalli di ghiaccio. I processi didissoluzione di un inquinante gassoso in acqua, o di inglobamento di una par-ticella solida in una goccia, avvengono sia all’interno delle nubi che al di sotto.Quando si ha la pioggia, gli inquinanti contenuti nelle gocce cadono al suo-lo: si ha deposizione umida. Per quanto riguarda i gas, la loro concentrazionenella singola goccia può variare, durante la caduta, in funzione della differen-za di concentrazione nelle due fasi, aria e acqua, e della solubilità del gas. Leparticelle di aerosol cadono invece con le gocce, senza poter sfuggire. Volen-do riassumere l’intero ciclo, si può dire che gli inquinanti: vengono trasportatidalle correnti ascendenti all’interno delle nubi, ove si mescolano; quindi ven-gono catturati dalle idrometeore all’interno delle nubi; infine precipitano alsuolo con la pioggia.

La ripulitura degli strati bassi dell’atmosfera da parte della pioggia è un feno-meno intermittente, ma decisivo nel rendere accettabile la qualità dell’aria inmolte aree urbane; prolungati periodi di siccità, e di alta pressione, in gene-re finiscono per produrre alti livelli di inquinamento atmosferico, che vengonorisolti dall’arrivo della pioggia. Poiché il numero di particelle solide catturate

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

- e quindi sottratte - nell’unità di tempo e per unità di volume, dalle gocce checadono, risulta proporzionale al numero di particelle che si trovano in un vo-lume di riferimento, la legge con cui varia la concentrazione di un inquinantesospeso è di tipo esponenziale:

Q = Qo exp(−t/T ) 6.26

come sempre accade in processi di questo tipo. Nella 6.26 Qo rappresenta ilvalore di concentrazione che si avrebbe in un dato punto dello spazio se nonci fosse stata la pioggia, t il tempo trascorso dall’inizio della precipitazione, eT è un tempo caratteristico, al cui inverso λ si usa dare il nome di coefficientedi ripulitura:

λ =1T

La deposizione al suolo influenza il modo con cui le concentrazioni di un pen-nacchio di inquinante variano sottovento. Nei modelli di dispersione fino adora ricordati, la portata che transita attraverso una generica sezione perpendi-colare all’asse del pennacchio è considerata costante, e pari alla portata Mq

emessa dalla sorgente. Se vi è deposizione, la portata che transita nelle suc-cessive stazioni sottovento non può che diminuire. Nel caso che si abbia solodeposizione secca, l’effetto può essere usualmente trascurato; ma quando ilpennacchio si snoda sotto una forte pioggia, conviene considerare la dimi-nuizione di portata. Si possono usare, per il calcolo delle concentrazioni, leformule consuete - quella del pennacchio gaussiano, ad es. - salvo il fatto chela portata Mq va considerata variabile con la distanza x dalla sorgente; la leggedi variazione di Mq è ancora di forma esponenziale:

Mq(x) = Mq(0) exp(− x

TU

)6.27

Nella 6.27 Mq(0) rappresenta la portata alla sorgente, U la velocità media delvento, e T lo stesso tempo caratteristico incontrato nella 6.26. La 6.27 si giusti-fica osservando che la diminuizione di portata che si ha tra due diverse stazioni- tra due valori di x - deve risultare uguale alla portata di inquinante che si èdepositato nel terreno nello stesso intervallo, per ragioni di conservazione.

Il coefficiente di ripulitura può essere calcolato, in teoria, quando sia datol’insieme delle gocce che costituiscono la pioggia, ordinate statisticamente infunzione del loro raggio. Si scrive:

λ =∫ ∞

0FEAdr

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6. DISPERSIONE E DEPOSIZIONE DI INQUINANTI

ove A(r) è l’area della sezione maestra delle gocce, F (r) è il loro flusso - nu-mero di gocce che transitano per unità di superficie e di tempo e per intervallounitario di raggio r - ed E(r) è un coefficiente che rappresenta l’efficienzadella goccia nel catturare le particelle incontrate sul suo cammino. La discus-sione diE(r) non è tuttavia immediata. Limitiamoci a ricordare, come criteriodi orientamento, che una pioggia di media intensità (5 ÷ 50 mm/h), della du-rata di un paio di ore, è generalmente sufficiente a ridurre la concentrazionedegli inquinanti di un ordine di grandezza.

L’importanza della deposizione umida, inoltre, spiega come si possano trovaremassimi relativi di concentrazione di inquinanti al suolo anche a notevole di-stanza dalla sorgente. Si tratta di zone ove le precipitazioni sono più frequenti,essendo innescate dall’ascesa di masse di aria calda e umida. A partire da unadata altezza, i suoli dei versanti montani presentano questa proprietà.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

Introduzione

Le problematiche di gestione e controllo della qualità dell’aria possono venireaffrontate mediante tre differenti metodologie:

– la misurazione diretta delle concentrazioni, effettuata con stazio-ni fisse o con laboratori mobili e l’eventuale aggiunta di altremetodiche, come i campionatori passivi ed il biomonitoraggio;

– la compilazione degli inventari delle emissioni

– l’applicazione di modelli di dispersione e di trasformazione chimicadegli inquinanti.

L’ultimo metodo fornisce la tecnica ottimale per studiare il problema. L’u-so dei modelli matematici presenta infatti un vantaggio che difficilmente puòessere ottenuto con altre tecniche. Esso consiste nello stabilire una relazio-ne diretta fra le emissioni ed i campi di concentrazione (o di deposizione alsuolo). Mediante gli strumenti di calcolo si possono studiare scenari emis-sivi differenti e stabilire l’influenza delle diverse condizioni meteorologiche.In combinazione con le altre due metodologie, essi permettono di arrivare adun’analisi più esauriente del problema, ottenendo una sintesi più profonda ecompleta di tutte le informazioni disponibili.

Mediante l’applicazione dei modelli è possibile:

– valutare campi di concentrazione anche dove non esistono punti dimisura;

– suggerire la localizzazione ottimale delle stazioni di rilevamento;

– stimare l’impatto di inquinanti non misurati dalla rete dimonitoraggio;

– discriminare i contributi provenienti delle diverse sorgenti;

– analizzare scenari emissivi ipotetici.

La simulazione modellistica è caratterizzata da un livello di affidabilità che inalcuni casi può diventare molto scarso. Le cause di incertezza provengono dal-l’impossibilità del modello di descrivere compiutamente i fenomeni chimico-fisici in gioco e dalla scarsa conoscenza delle caratteristiche emissive ed at-mosferiche. Per applicare correttamente gli strumenti di calcolo offerti dalla

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

modellistica è necessaria la conoscenza delle teorie matematiche e degli algo-ritmi numerici implementati nei codici di calcolo. Le formulazioni teorichedevono venire confrontate con i processi in gioco: il trasporto e la diffusio-ne in atmosfera, i fenomeni meteorologici locali, le modalità di deposizionee di rimozione degli inquinanti, la natura fisico-chimica delle sostanze coin-volte e le reazioni di formazione degli inquinanti primari e secondari. L’usoefficace ed affidabile dei programmi informatici forniti dalla modellistica nonpuò perciò prescindere dalla continua comparazione tra i risultati del calcoloe le misure effettuate sul campo. Questa operazione viene indicata in gergocome validazione o taratura1 ed è indispensabile per verificare l’attendibilitàdei modelli. Le capacità di simulazione di uno specifico codice non devonovenire generalizzate: la taratura eseguita per alcune particolari situazioni, nongarantisce risultati ottimali in tutte le altre possibili circostanze.

7.1. CLASSIFICAZIONE DEI MODELLI

Nelle pagine che seguono sarà presentata una sintetica descrizione dei model-li matematici che si possono adottare per lo studio dei problemi di dispersioneatmosferica. Saranno trattati unicamente gli aspetti fluidodinamici, dedican-do ai numerosi programmi di calcolo che da essi derivano solo qualche breveaccenno. Per aiutare il lettore a districarsi nel panorama assai vasto dei co-dici informatici2, verrà fornita una semplificata classificazione delle diverseformulazioni. Con tale scopo saranno ripresi e precisati alcuni degli sviluppianalitici già presentati nei precedenti capitoli.Nonostante il gran numero di modelli matematici sviluppati per lo studiodell’inquinamento atmosferico, la formulazione del problema chimico-fisicosi esprime in maniera semplice per tutti i codici di calcolo. Essa consistenel determinare la distribuzione spaziale e temporale della concentrazione

1Si intende la determinazione del valore ottimale di alcuni parametri che compaiono nel calcolo,al fine di migliorare le capacità previsionali del modello nello scenario in esame.

2Si veda: F. Lollobrigida, G. Brusasca, M. Clemente, R. De Maria, M. Deserti, F. Desiato, F.Lena, G. Tinarelli, G. Zanini, Linee guida per la selezione e l’applicazione dei modelli di disper-sione atmosferica per la valutazione della qualità dell’aria, RTI CTN ACE 4/2001, AgenziaNazionale per la Protezione dell’Ambiente.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

media e della deposizione al suolo di inquinanti, rilasciati da sorgenti dicaratteristiche emissive e posizione perfettamente note.

Se il moto dell’atmosfera fosse uniforme nel tempo e nello spazio, il territoriopianeggiante e non vi fossero reazioni chimiche, le concentrazioni degli in-quinanti rimarrebbero uguali a quelle successive al rilascio; la fluidodinamicadei modelli di dispersione tratterebbe solo la fase di mescolamento del getto ediventerebbe una scienza, non facile, ma senz’altro più circoscritta.

L’atmosfera è invece caratterizzata da moti capricciosi ed imprevedibili, con-tinuamente volubili perché prodotti dalla mutevolezza delle condizioni meteo-rologiche, dalla natura del territorio, o anche dal solo ciclo di evoluzione diur-na e stagionale. Essi sono caratterizzati da scale spaziali distribuite su parecchiordini di grandezza (da quella molecolare, a quella sinottica, fino a quella pla-netaria) e scale temporali altrettanto variabili. Anche la natura dell’inquinantecontribuisce a complicare la trattazione. Raramente si tratta di una sostanzagassosa inerte. Più facilmente si tratta di composti che danno vita ad elabo-rate reazioni chimiche di trasformazione e di rimozione. Tali composti sonospesso gassosi, talvolta - è il caso dei cosiddetti microinquinanti - vengonorilasciati anche sotto forma di particelle liquide o solide, soggette al fenome-no del decadimento ed a quello del dilavamento da parte delle precipitazioniatmosferiche.

A partire dalla prima guerra mondiale, quando ebbero inizio i primi studi pio-neristici sulla dispersione di sostanze chimiche nell’atmosfera (che ovviamen-te, dati i tempi, consistevano nei gas velenosi per impiego bellico) la cono-scenza dei fenomeni in gioco è andata largamente aumentando. Possiamo oraritenere che sul piano concettuale non vi siano significativi ostacoli al ten-tativo di includere l’intera pluralità di processi coinvolti nel fenomeno in ununico, omnicompressivo, super-modello matematico. E si potrebbe farlo nel-la convinzione che la straordinaria complessità caratterizzante l’operazionepossa essere adeguatamente gestita da una rete di calcolatori sufficientementepotenti.

Sconsigliamo però il lettore dal lasciarsi tentare dall’idea. Per riuscire nell’im-presa dovrebbe essere capace di racchiudere all’interno dei microchip anche“il battito delle ali delle farfalle” e questa, nonostante la sempre più eleva-

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

ta potenza degli elaboratori moderni, sembra ancora una bella presunzione3.Non resta dunque che accontentarsi di formulare modelli ridotti e semplifica-ti, nella speranza che in essi sia conservata la parte essenziale del problema;l’affidabilità dei risultati andrà valutata caso per caso.

Conviene iniziare la nostra rassegna distinguendo tra i modelli puramentestatistici e modelli propriamente fluidodinamici.

Modelli statistici

Esiste un approccio che permette di tenere conto di una notevole complessitàdi fenomeni senza doverli considerare in dettaglio. Tale approccio è costi-tuito dai cosiddetti modelli statistici. Ci limitiamo solo ad un breve accen-no4, dicendo che essi considerano variabili stocastiche ed algoritmi di calcoloblack-box, basati su teorie di correlazione, anziché su esplicite dipendenze dacausa a effetto. Poiché la conoscenza del problema avviene attraverso l’anali-si di serie storiche, questa categoria di metodi è adatta allo studio di impianti,aree industriali, agglomerati urbani esistenti da tempo e per i quali siano giàstate predisposte reti di rilevazione dei parametri meteorologici e di concen-trazioni degli inquinanti. In queste circostanze, teorie regressive e modelli dicorrelazione permettono di prevedere sulla base delle sole esperienze passatele probabili situazioni critiche future. Proprio per questo motivo i metodi sta-tistici sono particolarmente adatti alla previsione in tempo reale e le reti peril monitoraggio ed il controllo dell’inquinamento nelle grandi metropoli sonocorredate da algoritmi di questo tipo. I modelli statistici non sono però in gra-do di distinguere il contributo proveniente dalle diverse sorgenti. Inoltre, nonpotendo trattare nuovi impianti o infrastrutture, non sono adeguati a supporta-re studi di impatto ambientale, per i quali è indispensabile ricorrere ai metodidi tipo fluidodinamico.

3Oltre che un pensiero crudele, essendo molto meglio ammirarle volare libere nei prati!

4Per un loro approfondimento si consideri: G. Finzi, G. Brusasca, La qualità dell’aria: modelliprevisionali e gestionali, Masson, 1991.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

Modelli a scatola o box-model

Tra i modelli fluidodinamici, la categoria più elementare è senz’altro rappre-sentata dai modelli a scatola, o box-model. Si tratta di metodi adatti ad unastima molto grossolana dell’inquinamento che un insieme numeroso di sor-genti produce in una vasta area. La loro formulazione richiede la sola ipotesiche all’interno della scatola la turbolenza sia sufficiente a rendere uniforme laconcentrazione. Questa condizione si verifica tipicamente durante il giorno;l’applicazione del metodo è invece da scartare per la fase notturna, anche sein corrispondenza degli agglomerati urbani un certo grado di rimescolamen-to permane durante la notte. La formulazione dei modelli è già stata discussanel paragrafo 3.2, ma qui sarà ripresa per meglio evidenziarne i limiti e lepossibilità applicative.La scatola considerata dal modello è un parallelepipedo (cfr. fig. 3.15) chedeve racchiudere tutte le sorgenti significative esistenti nella zona ed avere lafaccia di entrata perpendicolare alla velocità U del vento (che viene suppostouniforme e costante). Nella scatola entra aria pulita5; la turbolenza rimescolala portata di inquinanti Mq complessivamente immessa nell’unità di tempodalle sorgenti presenti nella scatola6; dalla faccia opposta a quella di ingressouscirà aria inquinata con un concentrazione media:

Q =Mq

LhU

L’espressione si ricava facilmente dal bilancio elementare di conservazionedell’inquinante: Mq = QLhU , essendo L la larghezza della scatola ed h lasua altezza.

5Oppure con concentrazione di inquinante nota, perché pari al valore di fondo esistente nellaregione. In tal caso l’applicazione del modello fornirà l’incremento causato dalle emissioni cheavvengono all’interno della scatola (cfr. eq. 3.29).

6La misura diretta delle emissioni inquinanti può venire effettuata solo per le principali infra-strutture industriali; per le sorgenti distribuite finemente sul territorio (traffico autostradale edurbano, impianti di riscaldamento, piccole attività industriali, ecc...) è necessario ricorre a me-todologie che consentano di valutare, mediante l’uso di opportuni fattori di emissione, la produ-zione di inquinanti da parte delle diverse categorie di attività antropiche e biogeniche presentisul territorio. Tra le procedure più utilizzate a questo scopo citiamo la metodologia CORINAIR,preparata dall’European Environment Agency (EEA).

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

Il problema delle dimensioni da attribuire alla scatola, quando il ricettore èvicino, è già stato discusso in 3.2. Quando il ricettore è sufficientemente lon-tano dalle sorgenti, l’altezza può essere fatta coincidere con quella dello stratolimite rimescolato. La quota di inversione che lo delimita costituisce infattiuna barriera insormontabile per gli inquinanti prodotti al suolo e rappresentail limite superiore dei processi di mescolamento in condizioni convettive. Perrappresentare la tipica evoluzione diurna e mettere in conto il progressivo au-mento di spessore dello strato convettivo si potrebbe formulare il metodo intermini non stazionari. Ciò avrebbe anche il vantaggio di poter valutare unaproduzione di inquinanti variabile, non troppo velocemente, nel tempo. Leipotesi con cui è stato formulato l’algoritmo sono però così limitanti che nonvale la pena di forzare troppo la capacità del modello.In mancanza di precise informazioni e volendo studiare le condizioni più criti-che si potrebbe assumere per h un centinaio di metri o poco più. La larghezzadella scatola dovrebbe venire definita sulla base della dispersione laterale. Ciònon è richiesto per una sorgente di tipo lineare, schematizzabile come unastriscia notevolmente allungata, perpendicolare al vento. Valutando infatti laportata di inquinante per unità di larghezza:

mq = Mq/L

si ottiene di far sparire L dalla formulazione del problema. Negli altri casiconviene considerare una larghezza sufficiente a contenere tutte le sorgenti,che devono essere numerose e ben distribuite per consentire di trascurare glieffetti della dispersione laterale. La faccia di uscita sulla quale ritenere unifor-me la concentrazione, dovrebbe venire individuata con le considerazioni giàesposte nel paragrafo 3.2.Il modello ha il vantaggio della semplicità; è adatto a stime grossolane del-l’ordine di grandezza delle concentrazioni degli inquinanti7, oppure a porrein evidenza il ruolo di alcuni parametri meteorologici sui processi globali diinquinamento: la velocità del vento e l’altezza dello strato di inversione. Ilmetodo ha comunque un suo valore didattico e se la fluidodinamica del mo-dello è inesistente, non c’è nulla che impedisca di aggiungere la chimica delfenomeno. Proprio con questo intento, ipotizzando che le concentrazioni del-

7 Naturalmente gli inquinanti che risultassero con concentrazioni molto inferiori ai limiti di leggepotrebbero venire tralasciati nel successivo calcolo con modelli più sofisticati.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

le varie specie siano uniformi all’interno della scatola, sono stati sviluppatialcuni schemi di calcolo in grado di studiare in via preliminare le reazioni chi-miche tra inquinanti primari e secondari, che sono caratteristiche dei fenomenidi inquinamento fotochimico nei centri urbani. L’argomento sarà trattato nelparagrafo 9.4.

Modelli fluidodinamici: generalità

Per avere una stima dettagliata e precisa del campo di concentrazione è indi-spensabile tenere conto di tutti i fenomeni fluidodinamici che vengono coin-volti nel processo di dispersione. A tal fine si possono adottare due punti divista: quello euleriano, in cui l’osservatore rileva l’evoluzione temporale del-le diverse grandezze fisiche in un punto fisso del campo di moto, e quellolagrangiano nel quale l’osservatore insegue le particelle fluide nel loro movi-mento. Da questi due approcci scaturiscono due differenti tipologie di metodi:i metodi euleriani e i metodi lagrangiani, (chiamati anche alle particelle).

Iniziamo col considerare i primi, distinguendo tra modelli gaussiani e modellia griglia, o alle differenze finite. Per entrambi il punto di partenza è rappre-sentato dall’equazione di trasporto e dispersione di un inquinante, già dedottanel paragrafo 3.1. Essa esprime la variazione nel tempo della concentrazio-ne media Q come il risultato di due fenomeni: il trasporto provocato dal motomedio e la dispersione turbolenta, rispetto alla quale la diffusione molecolarepuò essere ritenuta trascurabile. Il primo effetto si può esprimere, grazie al-l’equazione di continuità, come prodotto scalare della velocità media U peril gradiente della concentrazione media Q(x, y, z, t), il secondo calcolando ladivergenza dei flussi turbolenti, ovvero delle correlazioni tra le componentifluttuanti della velocità e della concentrazione< uiq >. Omettendo la presen-za di termini di sorgente e di eventuale rimozione, l’equazione può essere cosìscritta:

∂Q

∂t= −

(Ux∂Q

∂x+ Uy

∂Q

∂y+ Uz

∂Q

∂z

)−

−(∂ < uxq >

∂x+∂ < uxq >

∂y+∂ < uxq >

∂z

)I flussi turbolenti sono grandezze incognite; per calcolarne il valore occor-rerebbe conoscere la statistica congiunta delle due fluttuazioni in tutto il

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

dominio, una richiesta in grado di disorientare qualunque persona di buonsenso.Dal punto di vista formale, ciò può essere evitato ricorrendo alla cosiddettachiusura del primo ordine, ovvero alla legge del gradiente:

< uiq >= −Dt∂Q

∂xi

L’equazione è stata proposta nel paragrafo 3.2, al fine di esprimere i flussiturbolenti in funzione del campo medio di concentrazione. È consuetudinedella letteratura sui modelli distinguere tra le tre direzioni dello spazio. Intro-duciamo i simboli Kx,Ky,Kz , per rappresentare tre componenti diverse delcoefficiente di dispersione o diffusione turbolenta, precedentemente conside-rato uno scalare. L’equazione euleriana di trasporto e diffusione turbolentadiviene:

∂Q

∂t= −

(Ux∂Q

∂x+ Uy

∂Q

∂y+ Uz

∂Q

∂z

)+ 7.1

+[∂

∂x

(Kx

∂Q

∂x

)+

∂y

(Ky

∂Q

∂y

)+

∂z

(Kz

∂Q

∂z

)]I nuovi termini sono tanto problematici quanto lo erano le precedenti corre-lazioni statistiche. La loro comparsa rende tuttavia l’equazione determinatanella variabileQ e lascia presagire il passo successivo verso la soluzione. Sup-ponendo infatti di conoscere in tutto il dominio di calcolo la velocità del ventoU(x, y, z, t) e di disporre di ricette8 per stimare i coefficienti K(x, y, z, t), èpossibile tentare una risoluzione numerica del problema. A tal fine basta:

– introdurre nel dominio di calcolo una griglia tridimensionale;– sostituire alle derivate i corrispondenti rapporti tra differenze finite;– precisare le condizioni al contorno e quella iniziale;– integrare numericamente l’equazione.

Ciò dovrebbe essere sufficiente per trovare il campo di concentrazione me-dia Q. Data la dipendenza dal tempo, tutti i valori medi devono essere intesi

8In gergo si chiamano parametrizzazioni, e consistono in relazioni semiempiriche basate sulleteorie di similitudine, in grado di calcolare le quantità incognite sulla base di alcuni parametrimeteorologici.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

come il risultato di una media di insieme; oppure occorre immaginare che l’o-perazione di media sia stata eseguita su intervalli temporali molto più piccolidi quello tipico di variazione delle condizioni emissive o meteorologiche. Imetodi euleriani a griglia9 sono algoritmi complessi, che richiedono calcola-tori elettronici di adeguata potenza e personale con esperienza. Ecco perchénegli anni cinquanta vennero sviluppati approcci differenti da quello che ab-biamo descritto, e sul quale torneremo più avanti. Come è già stato mostratonel paragrafo 3.2, basta introdurre alcune ipotesi per ottenere schemi di cal-colo analitici più semplici e poco esigenti (i cosiddetti pennacchi gaussiani).Grazie alle numerose estensioni che hanno ricevuto via via nel corso del tem-po, essi costituiscono la base di molti codici di calcolo ancora oggi largamenteutilizzati.

7.2. MODELLI GAUSSIANI

La soluzione più semplice

Se supponiamo di considerare:

– fenomeni stazionari,

– coefficienti di diffusione turbolenti costanti,

– vento uniforme e costante, allineato all’asse x,

– territorio perfettamente omogeneo e pianeggiante,

– diffusione turbolenta lungo l’asse x trascurabile rispetto al semplicetrasporto provocato dal vento nella stessa direzione,

l’equazione di diffusione e trasporto si riduce alla semplice forma:

Ux∂Q

∂x= Ky

∂2Q

∂y2+Kz

∂2Q

∂z2

9Sono chiamati anche alle differenze finite, con riferimento alla tecnica numerica al momento piùfrequentemente adottata. Nulla però vieta di utilizzare altri schemi numerici: volumi o elementifiniti, oppure metodi spettrali.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

che ammette una soluzione analitica:

Q (x, y, z) =Mq

4π√KyKz

e− U

4x

“y2

Ky+ z2

Kz

Tale funzione può essere facilmente interpretata come il campo di concentra-zione, prodotto da una sorgente isolata collocata all’origine degli assi e conportata di inquinante Mq. Perché rappresenti l’emissione di un camino di al-tezza h, basta effettuare un semplice trasferimento di assi e sostituire a z ladifferenza z − h; per riconoscere la soluzione come un pennacchio gaussianoè invece sufficiente introdurre le deviazioni standard di dispersione laterale σy

e verticale σz:

σ2y =

2Kyx

U7.2

σ2z =

2Kzx

U7.3

Si ottiene così la ben nota espressione:

Q (x, y, z) =Mq

2πσyσzUe

− 12

„y2

σ2y+ (z−h)2

σ2z

«7.4

Essa è caratterizzata, cfr. fig. 3.5, da:

– un profilo trasversale di concentrazione media Q(y) di forma gaus-siana, centrata sulla direzione del vento (y = 0) e con larghezza(deviazione standard) pari a σy;

– un andamento verticale di concentrazione media Q(z) anch’essogaussiano, centrato sull’asse del pennacchio (z = h allo sboccocamino) e con ampiezza (deviazione standard) pari a σz .

Le deviazioni standard del pennacchio10 dipendono dai coefficienti di disper-sione, dalla distanza x e dalla velocità del vento U . Per darne una stima,anziché usare la definizione 7.2 e 7.3, si preferisce ricorrere ad alcune relazio-

10Abbiamo preferito usare questi termini perché ci sono sembrati più corretti nel loro significatodi quanto appaiano i vocaboli coefficienti di dispersione laterale e verticale del pennacchiocomunementi utilizzati in letteratura.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

100

10000

1000

100

10

1

1000 10000 100000

y [m

]

Distanza dalla sorgente [m]

A

B

C

D

E

F

Fig. 7.1 – Andamento della deviazione standard laterale del pennacchio in funzionedella distanza dalla sorgente, per le diverse classi di stabilità.

ni empiriche, distinte in base alla classificazione di Pasquill ed eventualmenteanche al tipo di territorio: urbano o rurale.

L’andamento delle deviazioni standard del pennacchio è sempre crescente conx, tanto più quanto è maggiore l’instabilità dell’atmosfera, come mostrano idiagrammi delle fig. 7.1 e 7.2. Questa circostanza riduce la concentrazionemassima man mano che ci si allontana dal camino e assicura che la portatadi inquinante, attraverso ogni sezione perpendicolare all’asse del pennacchio,resti costante e pari a quella di emissione.

La soluzione 7.4 ha però alcuni inconvenienti, il più evidente dei quali è quellodi non considerare la presenza del terreno. La gaussiana continua ad allargarsisottovento, il che porterebbe ad una sottostima delle concentrazioni in prossi-mità del suolo. La tecnica delle riflessioni consente di correggere l’indesidera-to comportamento. Aggiungendo una sorgente sotterranea fittizia, specularerispetto al terreno (cfr. fig. 3.6), si compensa la perdita di concentrazione di in-quinante, che si manifesterebbe nel progressivo allargamento del pennacchio.Dal punto di vista matematico, si tratta di aggiungere alla formula del pennac-

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

100

10000

1000

100

10

1

1000 10000 100000

z [m

]

Distanza dalla sorgente [m]

A

B

C

D

E

F

Fig. 7.2 – Andamento della deviazione standard verticale del pennacchio in funzionedella distanza dalla sorgente, per le diverse classi di stabilità.

chio gaussiano un nuovo esponenziale che simula la presenza di una sorgentealla quota di −h, per correggere il profilo verticale di concentrazione:

Q (x, y, z) =Mq

2πσyσzUe− 1

2

„y2

σ2y

« [e− 1

2

“(z−h)2

σ2z

”+ e

− 12

“(z+h)2

σ2z

”]L’espediente è particolarmente utile nello studio della concentrazione al suoloQo(x) = Q(x, y = 0, z = 0). Tale grandezza partirà da un valore inizialmen-te nullo, proprio ai piedi del camino, e crescerà fino a raggiungere un valoremassimoQmax ad una certa distanza dalla sorgente. Per scoprire come l’anda-mento al suolo di Q dipenda dalle condizioni meteorologiche, è utile eseguireuna serie di calcoli che prendano in esame gli effetti su σz e σy delle cinqueo sei classi di stabilità considerate nello schema di Pasquill. Il procedimentosi rivela utile per uno studio preliminare di impatto della sorgente emissiva11.

11L’operazione di variare i parametri del problema che non si conoscono esattamente è sempreuna procedura consigliata.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

Anche le formule analitiche, seppure approssimate, possono servire allo sco-po; il valore massimo di concentrazione al suolo può essere stimato con larelazione12:

Qmax =2Mq

eπUh2

σz

σy∼ 2Mq

eπUh2

che ci mostra una dipendenza dal quadrato dell’altezza del camino: se siraddoppia l’altezza, la concentrazione massima si riduce a un quarto.

Innalzamento del pennacchio: formule di Briggs

Non sempre è possibile costruire alte ciminiere. Si può tuttavia aumentare inmodo virtuale la quota di sbocco del pennacchio, sfruttando l’effetto di gal-leggiamento causato da temperature di emissione dei fumi più alte di quelladell’ambiente. Un risultato simile si ottiene anche soffiando i fumi verso l’altoper mezzo di ventilatori, in modo da creare un getto dotato di forte energia ci-netica. L’emissione con velocità modeste, diciamo inferiori a un paio di voltela velocità del vento, può invece provocare un effetto di abbassamento: la sciadel camino aspira il pennacchio di fumo e riduce la quota di emissione effet-tiva. Quando la velocità di uscita dal camino, o la differenza di temperatura,sono sufficientemente elevate, il pennacchio si innalza mentre viene trascinatosottovento e il suo asse descrive una linea che si incurva verso valle (fig. 7.3).In generale, il problema di come vadano calcolate l’altezza finale dell’asse ela distanza dalla sorgente a cui tale altezza viene raggiunta, rappresenta unodegli argomenti più confusi della teoria della dispersione. Esiste una pletoradi formule, ottenute interpolando i risultati di osservazioni visive, che spessosono prive di coerenza dimensionale; vanno considerate come aggiustamentidel tutto empirici, in grado di dare risultati accettabili, se l’emissione che sista studiando ha caratteristiche simili a quelle considerate per l’elaborazionedelle formule13. Alcuni lineamenti possono tuttavia essere ricordati:

12Il massimo è ottenuto analiticamente dalla 7.4, supponendo che il rapporto σz/σy sia costante,e ricordando che l’effetto di riflessione raddoppia la concentrazione al suolo. Poiché in realtàil rapporto σz/σy varia con la distanza sottovento, cfr. figg. 7.1 e 7.2, la formula costituisceun’approssimazione.

13Si tratta quasi sempre di impianti di grande potenza.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

xp

yp

zp

h

z

y

x

P

Q (xp yp z)

QOrigine virtualedel pennacchio

Concentrazione medianel generico punto (xp yp zp)

Camino

Sovra

Innalzamento

Fig. 7.3 – Campo di concentrazione media di un pennacchio gaussiano convalutazione degli effetti di sovrainnalzamento.

– dei due effetti che producono innalzamento del pennacchio - altavelocità di uscita del getto e differenza di temperatura del gas ri-spetto all’ambiente - negli impianti di grande potenza è dominante ilsecondo, specialmente nelle ore notturne14;

– nel caso dell’innalzamento di origine termica, la grandezza in fun-zione della quale le varie relazioni sono ordinate è il cosiddettofattore di spinta di galleggiamento:

Fg =V g

π

ΔTTa

ove V è la portata volumica (m3/s) del camino, g l’accelerazio-ne di gravità, Ta la temperatura dell’aria in gradi Kelvin, e ΔT

14Cfr. 3.2, Innalzamento del pennacchio.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

la differenza di temperatura tra gas e ambiente circostante, ΔT =Tg − Ta;

– la situazione più chiaramente definita è quella di un gas caldo emes-so in atmosfera stabile. Il pennacchio rimane relativamente compat-to e la posizione del suo asse può essere individuata con ragione-vole approssimazione. Poiché l’ascesa di una massa di aria caldain atmosfera stabile è contrastata dal gradiente positivo di tempera-tura potenziale, la dinamica del fenomeno risulta influenzata da unparametro di stabilità:

s =g

Θa

dΘa

dz

in cui si riconosce facilmente il quadrato della frequenza di Brunt-Väisälä, cfr. 4.5:

s = ω2bn

Per l’innalzamento dell’asse del pennacchio, la formula più comune è:

Δh = 2.6(Fg

Us

)1/3

7.5

La distanza xf a valle della sorgente, per cui si raggiunge la massi-ma elevazione, può essere stimata in multipli della lunghezza (U/

√s);

giudicando in base alle osservazioni fatte da più autori si può porre15:

xf ≈ 3 ÷ 6(U/√s)

– Nel caso che l’emissione di gas avvenga all’interno di uno strato limi-te turbolento, non si ha gradiente di temperatura potenziale e quindi ilparametro s non ha ruolo nel definire l’innalzamento. D’altra parte,neppure l’asse del pennacchio è individuabile con certezza; si usano inqueste situazioni, che vengono chiamate instabili o neutre, formule deltipo:

Δh = 1.6F 1/3

g x2/3

U7.6

La 7.6 dà l’innalzamento del pennacchio in funzione della distanza sottoventoe ha il merito di essere dimensionalmente corretta. Poiché Δh non può cre-

15Cfr. G.A. Briggs, Plume rise predictions, Lectures on Air Pollution and Environmental ImpactAnalysis, 4, American Meteorological Society, Boston, 1975.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

scere senza limite con x, l’ascesa viene arrestata per valori di x che superanoun valore critico xf , che è normalmente espresso mediante formule prive dicoerenza dimensionale. Si tratta in definitiva di uno dei tanti parametri liberi,con cui vengono calibrati i modelli gaussiani affinché producano dei risulta-ti accettabili. Le formule 7.5 e 7.6 vengono usualmente chiamate formule diBriggs.

La modellazione del fenomeno è completata da una modifica del valore inizia-le delle larghezze di dispersione σy e σz del pennacchio, per simulare l’effettodel più elevato livello di turbolenza, dovuto all’energia cinetica di sbocco eal lavoro della spinta di Archimede. La variazione dei parametri di calcolopermetterà di stabilire l’influenza del processo di mescolamento iniziale suirisultati al suolo.

Presenza di uno strato di inversione

Nello studio del fenomeno di sovrainnalzamento termico occorre tener contodella eventuale presenza in quota di uno strato di inversione, che i fumi nellaloro risalita potrebbero non riuscire a superare. Anche per questo caso sonostate elaborate alcune formule empiriche. La presenza di uno strato di inver-sione basso, impedendo la dispersione verso l’alto del pennacchio, cfr. fig. 7.4,comporta concentrazioni al suolo particolarmente elevate. La circostanza vie-ne genericamente indicata col termine molto espressivo di fumigazione. Ilvocabolo si riferisce tuttavia ad un fenomeno particolare, di breve durata, giàdescritto nel paragrafo 6.1. Gli inquinanti emessi in quota durante la notte ven-gono improvvisamente raggiunti dalle correnti convettive, che nascono nellostrato rimescolato durante le prime ore del mattino, e trasportati in prossimitàdel suolo. Il fenomeno si attenua nel corso della giornata quando lo spessoredella regione rimescolata aumenta ben oltre la quota di emissione. Da nota-re come le condizioni di forte stabilità atmosferica, caratteristiche della fasenotturna, consentano ai fumi di venir trascinati a distanze anche molto elevatedalla sorgente senza apprezzabile diluizione.

Trattandosi di un fenomeno evolutivo, la fumigazione non può venire corretta-mente analizzata da un modello gaussiano che, in virtù dell’ipotesi di partenza,può trattare solamente condizioni stazionarie. Se si prescinde da questa cir-costanza, la presenza di strati di inversione può essere facilmente messa inconto con un espediente già visto: la tecnica delle immagini. La trattazione

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

SUOLO

STRATO DI INVERSIONE

x

y

z

hi

Fig. 7.4 – Campo di concentrazione media di un pennacchio gaussiano in presenza diun basso strato di inversione (cfr. fig. 6.10).

analitica diventa più complessa di quella usata per rappresentare il suolo. L’in-troduzione del piano di riflessione per simulare la quota di inversione producel’effetto analogo a quello di due specchi posti uno di fronte all’altro, che crea-no un gioco inesauribilie di riflessioni. Dal punto di vista analitico non è peròsufficiente un solo nuovo termine, ma occorre un’intera serie matematica pertener conto delle infinite riflessioni; in pratica bastano i primi cinque o sei ad-dendi per ottenere una convergenza di calcolo del risultato di gran lunga piùattendibile di tutte le altre approssimazioni in gioco.

Non stazionarietà in media delle variabili meteorologiche

La limitazione dovuta alla stazionarietà del modello gaussiano consente ditrattare scenari con intervalli temporali di un’ora o due, durante i quali le va-riabili meteorologiche restano ragionevolmente costanti, per regioni non trop-po estese - qualche decina di chilometri. L’applicazione del modello in questocontesto si definisce con il termine inglese di short-term. Le concentrazioniche si ottengono sono da intendere tipicamente come medie orarie. Il metodo èperciò poco adatto per studiare scenari emissivi associati ad incidenti di breve

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

durata e caratterizzati da inquinanti tossici o esplosivi, la cui pericolosità è as-sociata, tra l’altro, alle concentrazioni istantanee e non ai valori medi calcolatidal metodo. Se si desidera considerare tempi decisamente maggiori dell’inter-vallo orario, si deve utilizzare un’altra modalità di calcolo del modello, quellachiamata long-term. Si tratta allora di scomporre l’evoluzione temporale inuna successione di stati stazionari e di mediare sul lungo periodo le concentra-zioni calcolate per ciascun stato. Dal punto di vista computazionale, occorrepreparare un’elaborazione statistica che si definisce climatologica, nella qualel’intensità del vento, la direzione (in genere su 16 settori della rosa dei ven-ti) e le condizioni di stabilità sono divise in classi. Una tabella di probabilitàcongiunta, la cosiddetta JFF (Joint Frequency Function) può fornire la percen-tuale con cui ogni combinazione di intensità del vento, direzione e classe distabilità dovrebbe verificarsi sul totale. Questa tabella deve essere costruitasulla base di rilevazioni locali, e perché sia davvero rappresentativa deve con-siderare una statistica meteorologica che si riferisca a più anni, almeno cinquesecondo l’ente statunitense di protezione dell’ambiente EPA.

Il programma di calcolo che implementa il modello gaussiano può analizzareogni singola combinazione di parametri e produrre per ciascuna di esse unamappa di concentrazione. La media pesata di tutte le mappe, con un peso datodalla tabella di frequenza congiunta, fornirà l’andamento della concentrazionemedia sul periodo considerato, che tipicamente si riferisce ad un intero anno.

Il caso peggiore

I programmi possono essere usati anche per trovare la condizione peggiore,che in mancanza di adeguate e più complete informazioni meteorologichefornisce, in via preliminare, uno studio di impatto ambientale della sorgen-te. Questa logica ha suggerito lo sviluppo di alcuni codici di calcolo, dettidi screening, basati proprio sul modello gaussiano. Il vantaggio fondamenta-le che essi offrono è quello di non richiedere altre informazioni oltre quelleessenziali. I risultati saranno ovviamente approssimati, ma in genere portanoad una sovrastima dell’inquinamento. Appartiene a questa categoria il codiceSCREEN3, che permette una valutazione preliminare dell’inquinamento pro-dotto da una sorgente isolata. SCREEN3 è disponibile al Support Center forRegulatory Air Models del sito www.epa.gov, insieme agli altri programmiconsigliati dall’ente statunitense di protezione dell’ambiente per lo studio diproblemi di qualità dell’aria.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

Modelli gaussiani più complessi

Per raffinare la successiva indagine sono stati sviluppati, sia da EPA sia daaltri centri di ricerca (l’ENEA in Italia, ad esempio), modelli più sofisticati.Essi, rimuovendo le limitazioni connesse con la formulazione base del mo-dello gaussiano, estendono considerevolmente il campo di applicazione. Apartire da questi modelli alcune società commerciali, specializzate nella pro-duzione e nella vendita di programmi ad uso scientifico, hanno realizzato co-dici particolarmente amichevoli dal punto di vista dell’utente. I singoli modulidi calcolo sono stati incorporati in pacchetti integrati, che prevedono carto-grafia, inventario delle emissioni, statistica delle condizioni meteorologiche epresentazione grafica dei risultati. Numerose sono le estensioni che possonovenire aggiunte al modello gaussiano; senza entrare nel dettaglio elenchiamoi relativi argomenti:

– il trattamento di più sorgenti, anche di tipo distribuito su una li-nea o un’area, per valutare l’inquinamento di strade o agglome-rati urbani; data la linearità del modello è sufficiente applicare lasovrapposizione degli effetti;

– le conseguenze di un terreno non pianeggiante16;– la presenza di ostacoli, come ad esempio edifici, i cui effetti

di ricircolo della scia si possono valutare con l’uso di specificialgoritmi;

– i fenomeni di deposizione, secca o umida, talvolta con le rea-zioni chimiche più elementari; la presenza nei fumi di partico-lato di dimensioni differenti è valutata mediante la granulome-tria, cioè una suddivisione in classi sulla base della velocità disedimentazione vg

17;– il trattamento delle calme di vento.

16Gli opuscoli usati dai venditori, al fine di pubblicizzare il codice, usano con enfasi il termineorografia complessa, ma gli aggiustamenti possibili sono minimi.

17Questa velocità verticale discendente, combinandosi col vento, ha l’effetto di inclinare versoil basso l’asse del pennacchio di una quantità che dipende dalle dimensioni delle particelle.La dispersione delle particelle più grossolane, aventi vg > 1 m/s, deve venire calcolata conalgoritmi balistici.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

La calma di vento rappresenta la situazione più critica per un modello di di-spersione gaussiano. Venendo meno il trasporto dovuto al moto medio, gli ef-fetti dispersivi associati alla velocità di uscita dalla sorgente e alla turbolenzaatmosferica diventano preponderanti in tutte le direzioni - manca la direzio-ne sottovento - e devono venire calcolati esplicitamente con algoritmi, la cuivalidità generale non è certa.

Per chiudere l’argomento, possiamo elencare solo alcuni dei tanti codici dicalcolo gaussiani, come ISC (Industrial Source Complex) di EPA giunto allaversione 3, la sua versione migliorata AERMOD e quella commerciale ISC-AERMOD View della Lakes Environmental Software. Un prodotto italiano èDIMULA, sviluppato da ENEA, giunto ora alla versione 2. Tra le tante al-tre opzioni disponibili in commercio, segnaliamo ADMS, adatto a studiaresituazioni urbane. Esistono anche modelli gaussiani sviluppati per trattare ca-si particolari. È il caso di VALLEY, che prevede algoritmi semplificati persimulare effetti di interazione tra i pennacchi e i fianchi dei rilievi montuosi;oppure di HIGHWAY2, per lo studio di autostrade, in cui la dispersione ini-ziale dovuta alla scie delle autovetture è messa in conto con una modifica deicoefficienti di dispersione.

Modelli a puff

Una delle fondamentali limitazioni dei modelli gaussiani è l’impossibilità diconsiderare situazioni non stazionarie e campi di vento non uniformi. Per ri-muovere questi inconvenienti, senza alterare troppo la semplicità d’uso e com-plicare eccessivamente la formulazione, sono stati sviluppati i modelli a puff.Si tratta di una classe di metodi derivati dai gaussiani nei quali il pennacchioviene simulato da una successione di nuvolette trasportate dal vento. Variandola frequenza di rilascio dei puff, o la massa di inquinante associata a ciascunodi essi, si possono mettere in conto emissioni non stazionarie; inoltre il movi-mento di ciascun puff avviene indipendentemente, è perciò facile considerareanche situazioni meteorologiche variabili. Ciascuna nuvoletta è caratterizzatada una distribuzione gaussiana tridimensionale di inquinante e si sposta trasci-nata dal vento che via via incontra. La dispersione attorno al centro di massaè simulata da una semplice espansione, funzione del tempo di volo e della tur-bolenza locale. L’ingrandimento della nuvola avviene sia nella direzione ver-ticale sia sul piano orizzontale. Per trattare quest’ultimo processo è necessariointrodurre oltre a σy anche la dimensione lineare σx, col vantaggio di simu-

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

lare in qualche misura le situazioni di calma di vento, impossibili da trattarenei modelli gaussiani classici. L’espansione in direzione verticale può avveni-re sia in forma gaussiana, attraverso la dimensione lineare σz (e la già citatatecnica delle riflessioni) sia in modo più corretto, valutando l’effettiva e diso-mogenea struttura verticale dell’atmosfera. Quest’ultimo approccio permetteinfatti di considerare le reali condizioni sul terreno e la presenza in quota distrati di inversione, col vantaggio di trattare le situazioni convettive fortemen-te instabili, che sfuggono alla formulazione classica dello schema gaussiano.Il prezzo che occorre pagare per l’applicazione dei modelli a puff è la neces-sità di conoscere come variano da punto a punto la velocità media del vento el’intensità della fluttuazione turbolenta; l’uso di pre-processori meteorologicipermette di risolvere la questione. Segnaliamo il più famoso codice a puff, ilcaliforniano CALPUFF col suo pre-processore CALMET oppure per restarein Italia SAFE-AIR, con l’annesso programma di ricostruzione del campo divento WINDS.

7.3. MODELLI PER IL CALCOLO DELLE VARIABILI METEOROLOGICHE

Le informazioni meteorologiche normalmente disponibili per lo studio deiproblemi di dispersione consistono nelle misure fornite da un certo numerodi stazioni fisse (cfr. capitolo 8). Nei casi più fortunati si dispone anche di unsondaggio verticale, ottenuto col lancio di palloni o con l’applicazione delletecniche di rilevazione a distanza. Questi pochi dati devono venire interpolati,per ricostruire l’andamento spazio-temporale delle variabili meteorologiche intutto il dominio di interesse. A tal fine si possono utilizzare semplici modellidiagnostici, oppure i più sofisticati modelli prognostici. I modelli diagnosti-ci contengono solamente l’equazione di conservazione della massa; per talemotivo essi vengono indicati come mass-consistent. Le misure di cui si dispo-ne vengono interpolate su una griglia tridimensionale di punti, che in generesegue l’andamento verticale del terreno; successivamente i valori così trova-ti sono adattati per assicurare la conservazione della massa in ogni cella deldominio di calcolo. La correzione può essere eseguita modificando il solocampo delle velocità orizzontali, oppure considerando anche le componen-ti verticali della velocità. Per migliorare la ricostruzione del campo di motosi possono includere gli effetti dell’orografia e la configurazione del territo-rio, anche se le pendenze trattate non possono essere elevate e la morfologia

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

non eccessivamente disuniforme. Naturalmente la bontà dei risultati dipen-de in modo significativo dalla quantità e dalla precisione dei dati di ingres-so. I pre-processori diagnostici operano in condizioni statiche, considerandol’evoluzione temporale come una successione di stati stazionari.Un approccio più realistico è quello dei pre-processori meteorologici di tipoprognostico, che sono capaci di simulare l’evoluzione dei fenomeni atmosfe-rici attraverso l’integrazione di un modello fisico-matematico più completodella semplice conservazione della massa. Tale modello include i bilanci diquantità di moto, di energia e di umidità e ciò consente di ricostruire le va-riabili meteorologiche con maggiore accuratezza di quanto sia possibile conun semplice processo di interpolazione. Fatta salva la scala di interesse, cheper gli scopi ambientali è in genere limitata, la distinzione con i program-mi utilizzati per le previsioni meteorologiche è labile. I modelli prognosticisono in grado di stimare l’evoluzione futura dell’atmosfera a partire dai da-ti iniziali. Per migliorare la stima si possono includere anche le condizionial contorno provenienti da modelli di calcolo meteorologico che operano suscala maggiore.L’utilizzo di un pre-processore prognostico è perciò particolarmente comples-so, sia per il maggiore onere di calcolo, sia per la necessità di inserire l’unodentro l’altro domini di calcolo con scale diverse, utilizzando programmi diprevisione meteorolgica planetaria18 per l’aggiornamento delle condizioni alcontorno da applicare al modello prognostico. Rispetto ai programmi di pre-visione meteorologica planetaria, i modelli prognostici offrono un grado didettaglio più elevato, indispensabile per l’applicazione dei codici di dispersio-ne degli inquinanti; tale grado è del tutto analogo a quello offerto dai modellimeteorologici per area limitata, con cui i prognostici sono strettamente impa-rentati. È sempre più frequente il caso in cui lo stesso codice viene impiegatocon scopi differenti: meteo-previsionale, oppure ambientale.Al fine di contenere l’impegno di calcolo, nella formulazione dei modelli pro-gnostici sono incluse alcune approssimazioni. È il caso di quella aerostatica19,

18Per esempio, quello utilizzato al ECMWF, il centro europeo di previsioni meteorologiche amedio termine, che a sede a Reading, in Gran Bretagna.

19Avvertiamo il lettore che talvolta questa stessa assunzione viene indicata col curioso aggettivodi idrostatica.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

con la quale viene assunto l’equilibrio verticale dell’atmosfera come se fossein quiete, oppure quella di Boussinesq, con la quale si trascurano le fluttuazionidi densità, se non quelle legate agli effetti di galleggiamento.Quest’ultima approssimazione può ritenersi sempre ben verificata, mentrela prima può essere accettata solo nel caso di terreni piuttosto pianeggian-ti. Quando si usano infatti sistemi di coordinate curvilinee (ad esempio ter-rain following) per tenere conto di una orografia complessa, è meglio adottaremodelli non aerostatici, più onerosi, ma più affidabili in presenza di rilievi20.Tutti i fenomeni che non possono venire considerati in modo esplicito nellaformulazione (i flussi turbolenti di calore, di quantità di moto, di umidità,il comportamento termico del suolo, l’evoluzione delle nuvole, i fenomenidi precipitazioni, ecc...) sono trattati mediante opportune parametrizzazioni,cioè algoritmi semiempirici, più o meno sofisticati in funzione del grado direalismo che si vuole considerare nel modello.Per quanto riguarda la descrizione del campo di moto turbolento, vogliamo se-gnalare la possibilità di ricorrere alla cosiddetta simulazione ai grandi vortici,la Large Eddy Simulation. Si tratta di una tecnica di simulazione di correntiturbolente che prevede di separare la strutture di grande scala da quelle di sca-la piccola, introducendo un’arbitraria lunghezza discriminante. Le strutturedi grande scala vengono trattate integrando numericamente le rispettive equa-zioni, in modo da ricostruirne la dinamica; l’effetto delle strutture di scalapiù piccola sulla dinamica di quelle più grandi viene invece messo in con-to come se si trattasse di un effetto diffusivo, secondo il consueto schema diBoussinesq. L’idea sottintesa è che il comportamento delle strutture di piccolascala si possa ritenere universale. Dato il consistente impegno di calcolo ri-chiesto, l’applicazione della LES è al momento limitata a scopi di ricerca e asituazioni con geometrie confinate.Per quanto concerne i codici meteorologici disponibili attualmente sul merca-to, segnaliamo tra i pre-processori diagnostici i già citati CALMET e WINDS,a cui possiamo aggiungere il francese MINERVE. Tra i prognostici vogliamomenzionare i modelli meterorlogici ad area limitata LAMBO (aerostatico) edi più sofisticati LOKAL MODELL e RAMS.

20Per approfondire l’argomento si veda: R.A. Pielke, Mesoscale Meteorological Modeling,Academic Press, 1984.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

7.4. MODELLI EULERIANI ALLE DIFFERENZE O AI VOLUMI FINITI

La conoscenza della velocità media e dell’intensità di fluttuazione turbolentadel vento, fornita da un codice meteorologico, può consentire l’integrazio-ne numerica dell’equazione 7.1. La tecnica di sostituire ai differenziali delledifferenze finite è certamente la più classica e storicamente anche quella chevenne tentata per prima. Altri schemi numerici sono però possibili: elementifiniti, volumi finiti oppure tecniche spettrali. Non entriamo nel merito dell’ar-gomento che è oggetto dell’Analisi Numerica. In tutti i casi occorre introdurreun grigliato tridimensionale di punti a spaziatura fissa o variabile, cartesia-na oppure adattata al terreno, che deve essere continuamente fornito ai nodidei valori di velocità media del vento e dei coefficienti di diffusione turbo-lenta. L’impegno computazionale si presenta perciò ben superiore ai metodigaussiani, ma con il vantaggio di poter aggiungere modelli sofisticati e com-pleti per le reazioni chimiche. Diventa così possibile seguire l’evoluzione diciascuna specie chimica, la formazione e la rimozione di inquinanti primarie secondari. La circostanza può incidere considerevolmente sui tempi di cal-colo ed in alcuni casi si possono preferire modelli chimici in versione ridotta.Nei metodi euleriani a griglia è inoltre possibile trattare le deposizioni seccheed umide, e la formazioni di aerosol. A parte il consistente onere computazio-nale, che la crescente potenza dei calcolatori rende via via meno influente, imetodi a griglia richiedono una laboriosa preparazione dei dati di ingresso.Errori ed imprecisioni iniziali possono facilmente falsare i risultati del cal-colo; molto delicata risulta pertanto la fase iniziale di assimilazione dei datidi ingresso. I metodi euleriani a griglia presentano l’inconveniente di diffon-dere tutto l’inquinante nel volume della cella e tale circostanza può portaread una sottostima delle concentrazioni. Proprio per questo motivo sono stru-menti adatti allo studio di episodi di inquinamento su vaste regioni, potendoconsiderare sorgenti molteplici e più inquinanti reagenti tra loro. Oltre ai pre-processori meteorologici, sono stati sviluppati anche sofisticati pre-processoriemissivi, in grado di generare i cosidetti campi di emissione21.

21La valutazione delle emissioni in atmosfera costituisce un’operazione complessa della catenamodellistica, soprattutto se si intende considerare un territorio vasto e densamente popolato.Essa consiste nello stimare i flussi di materia immessi dalle differenti tipologie di sorgenti,facendo riferimento alla loro distribuzione sul territorio ed alla loro evoluzione nel tempo. Perottenere il sufficiente dettaglio spaziale e temporale richiesto dall’applicazione del modello, siutilizza un procedimento di disgregazione degli inventari fino alle scale desiderate.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

Le applicazioni tipiche dei codici euleriani a griglia riguardano la simulazio-ne di episodi critici di smog fotochimico su scala regionale22, per una duratadi qualche giorno. In questo contesto i codici più famosi sono CALGRID eUAM. Non sono adatti per studi di lungo periodo.Sono stati sviluppati modelli alle differenze finite anche per trattare situazionispecifiche, caratterizzate dalla presenza di turbolenza non di origine atmosfe-rica, come nelle scie di ostacoli o di autoveicoli in movimento. Appartienea questa tipologia ROADWAY, un codice alle differenze finite sviluppato perstudiare l’inquinamento del traffico autostradale su territori pianeggianti, nelquale la modellazione dei coefficienti di diffusione turbolenta è ottenuta dalcontributo di due termini: il primo tiene conto delle scie prodotte dalle auto-mobili e si attenua progressivamente man mano che ci si allontana dal traccia-to stradale; il secondo è invece calcolato in funzione dei parametri di stabilitàdello strato limite.

7.5. METODI LAGRANGIANI

Nel paragrafo 3.1 avevamo visto che il risolvere l’equazione euleriana ditrasporto turbolento, semplificata con l’eliminazione dei termini diffusivi:

∂Q

∂t= − ∂

∂xj(UjQ+ < ujq >)

è equivalente a trattare in senso statistico un insieme di traiettorie, lungo lequali si conserva invariato un grano della sostanza che si disperde. Su que-sta proprietà si basano i modelli lagrangiani per il calcolo della dispersione,i quali simulano direttamente un insieme di traiettorie, e quindi derivano levariazioni di concentrazione media dal modo in cui i vari grani si sono distri-buiti nello spazio. Questo approccio mette in evidenza sin dall’inizio che ladiffusione molecolare non è considerata; l’inquinante si disperde perché i ba-ricentri delle particelle che lo contengono si allontanano tra loro, per effettodella componente caotica del moto. Nello studio dei problemi di dispersione,il trascurare la diffusione molecolare non costituisce un problema, perché glieffetti dell’agitazione molecolare sono importanti solo per scale estremamente

22Ad esempio nella Pianura Padana, con particolare riferimento ai centri urbani di Milano eBologna.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

più piccole di quella della nube di inquinante; l’approccio lagrangiano si rive-la il più idoneo a trattare problemi di qualità dell’aria in situazioni complesseper motivi topologici.

Nei modelli lagrangiani, l’emissione delle sorgenti inquinanti viene simula-ta da un grande numero di particelle indipendenti. L’inquinante può essere infase gassosa, oppure solida o liquida come aerosol, ma la distinzione non è ri-levante per il calcolo. Le particelle dei metodi lagrangiani sono entità fittiziealle quali è associata una certa quantità di massa di inquinante, e rappresen-tano solo un accorgimento per valutare la dispersione nel dominio di calcolo.Il campo medio di concentrazione associato alle particelle deve sempre venireriferito ad un grigliato tridimensionale. L’operazione di calcolo della concen-trazione locale può presentare delle difficoltà, soprattutto nelle regioni doveesistono forti gradienti di densità delle particelle; in linea di principio è suf-ficiente contare il numero di particelle presenti in ogni cella del grigliato perdeterminare la massa di inquinante da dividere per il volume della cella, al finedi ottenere la concentrazione.

Il principale vantaggio della formulazione lagrangiana è quello di poter diret-tamente mettere in conto le caratteristiche cinematiche del moto turbolento,senza dover ricorrere a coefficienti turbolenti di dispersione. L’idea di base èsemplice. A ciascun passo temporale del calcolo, le particelle vengono spo-state con una velocità che è somma di due termini: il primo è assegnato inmodo deterministico, perché rappresenta la velocità media dell’aria; il secon-do consiste in una fluttuazione attorno al valore medio ed è il risultato di unagenerazione di numeri casuali, con funzione densità di probabilità assegnata. Imomenti delle distribuzioni di probabilità, da cui sono estratte le fluttuazioni,sono direttamente legati alle caratteristiche della turbolenza.

Al modello lagrangiano vero e proprio va dunque aggiunto un codice meteo-rologico, in grado di fornire il campo medio di velocità ed una stima almenodell’intensità della turbolenza, quando non si possieda un consistente insie-me di misure al suolo e in quota. La formulazione che è alla base dei metodilagrangiani può essere così illustrata:

– la generica componente di velocità di ciascuna particella vienescomposta nella somma di due termini:

vt = V + v

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

ove V costituisce la velocità media del vento e v la velocità difluttuazione;

– la componente fluttuante v della velocità può essere descritta in variomodo, anche se in genere si fa ricorso all’equazione di Langevin, laquale permette di simulare un processo stocastico con macroscalalagrangiana assegnata23;

– lo spostamento della particella si calcola come:

Δy = (V + v)Δt

Rispetto ai modelli euleriani, quelli lagrangiani permettono di considerare unnumero maggiore di lineamenti statistici della fluttuazione turbolenta effettiva;i modelli euleriani, nel momento stesso in cui esprimono i flussi dovuti allafluttuazione con una legge di gradiente:

< qu >= −Dt∇Qove Dt è uno scalare dato da σ2

vTl, assumono che la fluttuazione di velocitàsia isotropa, con distribuzione di forma gaussiana. In realtà, la distribuzionedelle velocità fluttuanti nello strato limite non può ritenersi tale, specialmen-te per quanto riguarda la componente verticale della velocità. In condizioniconvettive diventa asimmetrica, a causa di velocità ascensionali mediamentepiù elevate di quelle discendenti. I modelli lagrangiani possono simulare sen-za difficoltà distribuzioni di velocità non simmetriche, i.e. con momento terzodiverso da zero. La proprietà è importante per il calcolo della concentrazionein punti vicini alla sorgente.Lo sviluppo e la verifica dei modelli lagrangiani rappresentano un importantefilone di ricerca24. Pur essendo più onerosi degli schemi gaussiani, i metodia particelle consentono risultati più affidabili in situazioni complicate, per ra-gioni sia orografiche, sia meteorologiche. Al contrario dei codici euleriani a

23Cfr. Anne F. de Baas, Some properties of the Langevin model for dispersion, RisøNationalLaboratory, DK-4000 Roskilde, Denmark, 1988.

24Si veda ad esempio G. Tinarelli, D. Anfossi, M. Bider, E. Ferrero, S. Trini Castelli, "A new highperformance version of the Lagrangian particle dispersion model SPRAY, some case studies",Air Pollution Modelling and its Applications XIII, Gryning and Batchvarova eds., Plenum Press,2000.

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7. STRUMENTI DI CALCOLO

griglia, i metodi lagrangiani non soffrono del fenomeno della diffusione artifi-ciale, particolarmente critico nel caso di griglie troppo grossolane. Per contro,non possono trattare reazioni chimiche. Tra i diversi codici disponibili in com-mercio citiamo SPRAY con i suoi pre-processori meteorologici: MINERVEper la ricostruzione del campo medio, METPRO e TURKEY per la stima deiparametri di turbolenza.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

8.1. METODI DI MISURA

Scelta del tempo di misura per la rilevazione dei valori medi

Volendo individuare lo stato di una corrente turbolenta per via sperimentale,si registra in un punto fisso una generica grandezza per un intervallo finitodi tempo, oppure si misura la stessa grandezza contemporaneamente in puntidiversi di un medesimo volume. Dopo di che si calcolano, nel primo caso lamedia temporale dei valori misurati, nel secondo la media spaziale. Attribuitiad un punto nello spazio ed ad un certo istante, si presume che questi valorirappresentino lo stato della corrente; non è tuttavia immediatamente chiaroquale relazione intercorra tra i valori medi così ottenuti e quelli che compaiononella descrizione teorica.

La discussione che segue tratta di questo argomento, secondo linee che ri-mangono sostanzialmente inalterate, qualunque sia il tipo di media preso inconsiderazione; noi faremo riferimento a medie temporali di tracciati rilevati apunto fisso - si tratta del caso di gran lunga più comune - fermo restando che irisultati possono essere letti come se si riferissero ad altri tipi di media, graziead una banale reinterpretazione dei simboli1.

Consideriamo quindi il valor medio temporale:

QT =1T

∫ T

0qt(t′)dt′ 8.1

ottenuto integrando per il tempo T la variabile turbolenta qt. Il limite di QT

per T → ∞, ammesso che esista, rappresenta il valore medio temporale Q,che in una corrente stazionaria in senso statistico viene considerato uguale allamedia di insieme < qt >, grazie all’ipotesi di ergodicità. In formula si scrive:

limT→∞

(QT ) = Q ≡ qt =< qt > 8.2

facendo riferimento ai simboli già usati, cfr. 2.1. Il valore QT può essereconsiderato come una stima di Q, il cui grado di approssimazione dipende daltempo di integrazione T .

1Le funzioni di autocorrelazione euleriana e i relativi tempi integrali si trasformano nelle corri-spondenti grandezze lagrangiane, se la misura è eseguita seguendo una massa di aria nel suo vo-lo; le funzioni di correlazione temporale e le scale temporali si trasformano nelle corrispondentigrandezze spaziali, se si tratta di una media di volume.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Si può valutare quale debba essere T per ottenere un grado di approssima-zione voluto, sia pure in termini di probabilità, come è inevitabile che accadain un processo casuale. Iniziamo con l’osservare che T deve essere superio-re, di un ordine di grandezza, alla scala integrale Te del processo2. Il vincoloè implicito nella 8.2; l’ipotesi ergodica suppone che la successione temporaledelle configurazioni di un unico campo sia statisticamente equivalente all’in-sieme delle configurazioni che si potrebbero avere, ad uno stesso istante, inun numero sterminato di correnti condizionate ai bordi nello stesso modo. Male configurazioni di questo insieme immaginario sono tra loro indipendenti;l’ipotesi ergodica richiede pertanto che anche l’unico tracciato della correntereale si possa considerare come una successione di tratti limitati, tra loro indi-pendenti in senso statistico. La proprietà si estende ovviamente all’intervalloT di misura, se QT deve essere una stima attendibile di Q; al suo interno deveessere possibile immaginare un numero n di sottointervalli, sufficientementedistanziati tra loro da dare tracciati qt indipendenti; la condizione richiede chesia:

T � Te

Quando questa condizione è rispettata, QT si può considerare come una stimadi Q, ottenuta con un campione di durata T estratto casualmente dal tracciatodi durata teoricamente infinita; QT rappresenta il valore medio del campione,ottenuto sommando i contributi di n integrali tra loro indipendenti:

1T

∫ T/n

0qt(t′)dt′

con intervallo di integrazione T/n. Siamo tornati a un tema classico dellateoria della probabilità, quello dell’inferenza statistica; abbiamo un campionedi ampiezza data approssimativamente da: n = T/Te, e in base a questovogliamo stimare i parametri medi dell’intero processo. La teoria dei campioniviene in aiuto; se si considera l’insieme delle possibili realizzazioni, ottenibiliripetendo all’infinito la misura 8.1, sappiamo dalla teoria che il valore medioQT del campione tende a distribuirsi secondo una distribuzione normale, con

2L’esistenza delle scale integrali, quindi il carattere limitato del tempo o della distanza dicorrelazione, è condizione necessaria perché l’argomento non perda significato.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

valor medio Q e varianza:

< (QT −Q)2 >≡ σ2T =

σ2q

n

ove n rappresenta l’ampiezza del campione e σ2q la varianza del processo

globale:

σ2q = lim

T→∞1T

∫ T

0(qt −Q)2dt′ = lim

T→∞1T

∫ T

0q2dt′

Il simbolo q che compare nell’ultimo integrale rappresenta come di consuetola fluttuazione:

q = qt −Q

Qualora si ponesse:

n ∼ T

Te8.3

si otterrebbe per la varianza della distribuzione dei valori medi campionari:

σ2T =

Te

Tσ2

q

Il risultato non è esatto, perché nel processo che stiamo considerando ladecorrelazione avviene in modo progressivo, invece che in modo disconti-nuo ogni Te secondi, come la 8.3 vorrebbe. Il risultato corretto può dedursisviluppando3 il secondo membro dell’espressione:

< (QT −Q)2 >=<1T 2

∫ T

0q(t′)dt′

∫ T

0q(t′′)dt′′ >

Si ottiene la formula:

σ2T = 2

Te

Tσ2

q 8.4

che differisce da quella precedente per un fattore 2. Il contesto logico rimanetuttavia quello della teoria dei campioni. Si può affermare pertanto, basandosisulle note proprietà della distribuzione normale, che il valore medio misuratoQT ha una probabilità pari a circa 0.68 di trovarsi in un intervallo di larghezza2σT , posto a cavallo del valor medio vero Q, una probabilità pari all’incirca a

3Per il calcolo si fa affidamento sulla proprietà degli operatori di media e di integrazione dicommutare tra loro, e su quella di simmetria delle funzioni di autocorrelazione < q(t′)q(t′′) >

rispetto allo scambio di t′ e t′′. Si veda per un calcolo del tutto simile: J.O. Hinze, Turbulence,1.9, McGraw Hill Book Company, London 1959.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

0.95 di trovarsi in un intervallo di larghezza 4σT , sempre attorno a Q, etc. Sipuò anche fissare in termini percentuali quale sia la banda di errore all’inter-no della quale si vuole, con una data probabilità, rimanere, e determinare diconseguenza il tempo T di misura. Indicato con s l’errore percentuale che siritiene accettabile

s =σT

Q

dalla 8.4 si ha:

T =2Te

s2

(σq

Q

)2

8.5

Per essere usate, la 8.4 e la 8.5 richiedono la conoscenza di grandezze qualiσq, Q, Te, che si riferiscono al processo globale e non al campione; quindi sitratta di dati che non sono noti. Per una stima possono essere tuttavia sostituiticon i valori che risultano dal campione stesso, σ2

q con la varianza e Q con ilvalor medio del campione, con un procedimento del tutto consueto in questocampo. Un tipico rapporto ad es. tra deviazione standard e valor medio disegnale, che si incontra nelle registrazioni di variabili fluidodinamiche in unostrato limite turbolento, è 0.1. Ponendo σq/Q ∼ 0.1, ed s = 0.05, dalla 8.5 siottiene:

T = 8Te

In quanto alla scala integrale Te, essa può essere valutata per il periodo diurnoin modo indiretto, in base alla sua interpretazione fluidodinamica. In uno stratolimite di altezza h, le strutture vorticose di maggiore dimensione presentanouna scala di lunghezza che è dello stesso ordine e transitano per una postazionefissa di misura con una velocità all’incirca pari a quella media del vento. Sipuò porre quindi:

Te ∼ h/U

ove l’altezza h dello strato limite è dell’ordine di 103 metri e la velocità U delvento dell’ordine di 10 m/s. Dalla relazione precedente si ottiene T ∼ 800 s,una stima il cui significato può essere reso affermando che, al fine di caratte-rizzare con misure sensate lo stato medio dello strato limite, occorre spenderenella misura qualche decina di minuti.

Per concludere possiamo osservare che:

– il tempo di misura T cresce come 1/s2 al diminuire di s, la larghez-za della banda di incertezza accettata. L’idea di diminuire drastica-

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

mente l’incertezza aumentando T , si scontra con la necessità di nonsuperare con il tempo di misura il periodo in cui lo stato dello stratolimite può essere considerato approssimativamente stazionario.

– D’altra parte, non ha senso pensare di diminuire T al di sotto diun certo limite, aumentando l’errore percentuale s. La condizioneche il tempo di misura sia maggiore, almeno alcune volte, della sca-la integrale Te, non può essere aggirata; essa è parte integrante delprocedimento che porta all’equazione 8.4.

– La discussione precedente è stata rivolta ad analizzare i problemi chesorgono nella stima, eseguita per mezzo di un campione di durata li-mitata, del valore medio lineare di una data grandezza. L’analisi puòessere estesa alla stima dei momenti di ordine superiore, ripetendo ilprocedimento; ad es., partendo dalla variabile q2(t), al fine di stimareil valor medio della varianza. Il risultato può essere riassunto dicen-do che per avere una stima dei momenti di ordine superiore con unaprecisione ragionevole, occorrono tempi di misura molto lunghi, nel-la sostanza improponibili, perché superano il periodo di tempo percui la corrente si può considerare stazionaria; e la situazione va rapi-damente peggiorando al crescere dell’ordine dei momenti. Si trattadi una proprietà che era prevedibile; al crescere del loro ordine, ilvalore dei momenti è sempre più influenzato da rare fluttuazioni digrande ampiezza. Prima che sia trascorso il tempo necessario allaloro registrazione, le condizioni dello strato limite sono già mutate.

Separazione di scale temporali: variazione veloce e variazione lenta deicampi

In chiusura del paragrafo precedente, abbiamo accennato alle difficoltà chepossono derivare dal fatto che le correnti atmosferiche reali non sono stazio-narie, neppure in senso statistico4. In questo caso, non è in discussione laminore o maggiore accuratezza della stima, ma l’interpretazione della gran-dezza stimata. L’impianto teorico della descrizione statistica della turbolenza

4Oppure, se si sta parlando di grandezze ottenute eseguendo una media su un volume finito, dalfatto che le correnti non sono omogenee.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

permette di fare previsioni su grandezze che rappresentano valori medi o diun insieme infinito di correnti soggette alle stesse condizioni di vincolo, op-pure di un’unica realizzazione che si svolga nel tempo, essendo stazionaria inmedia. Poiché l’insieme infinito di correnti è pura astrazione, e l’unica rea-le non è stazionaria, la descrizione statistica non può che offrire un quadroimperfetto della realtà. Il problema è valutare quale sia il grado di approssi-mazione del quadro che si ottiene; oppure, rovesciando il discorso, con qualicriteri si possa decidere se la corrente reale è sufficientemente vicina allo statostazionario affinché la teoria risulti applicabile. Il tema sollevato è, nelle suelinee generali, sostanzialmente identico a quello con cui è iniziato questo cor-so di lezioni, a riguardo della legittimità di rappresentare lo stato di un fluidocon funzioni continue e derivabili delle coordinate spaziali e del tempo, quan-do con tutta evidenza le variabili di stato richiedono per essere definite che simedi tra un numero elevato di molecole contenute in un volume finito5. Edesattamente come allora, la risposta è che lo schema teorico è accettabile seil sistema reale presenta due scale estreme, molto lontane tra loro, così chesia possibile scegliere nell’intervallo che le divide una scala su cui eseguirele operazioni di media, senza che la scelta risulti critica per il risultato. Nelladiscussione del fluido come mezzo continuo, le due scale estreme erano datedalla distanza intermolecolare e dalla scala delle variazioni macroscopiche delcampo; le grandezze mediate su una scala intermedia potevano essere adot-tate come funzioni continue delle coordinate spaziali, al fine di descrivere lavariazione macroscopica.In modo del tutto analogo, se la corrente atmosferica possedesse una scala divariazione lenta Tl incomparabilmente maggiore di Te:

Tl >>> Te

sarebbe possibile scegliere una scala di integrazione T intermedia tra le due:

Te � T � TL

tale che il risultato della misura:

QT =1T

∫ T

ρqt(t′)dt′

risulti pressoché costante per ampie variazioni di T . Stando così le cose, l’e-

5Cfr. C. Cancelli, op. cit., 1.1.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

voluzione della corrente si può considerare come una successione di stati sta-zionari in senso statistico, QT si può interpretare come un’approssimazionedel valore Q ≡ qt, che risulterebbe qualora la variazione lenta venisse annul-lata nel momento della misura, e T venisse fatto crescere senza limiti. Dopodi che, con apparente paradosso, le grandezze mediate possono essere ancoraconsiderate variabili nel tempo, Q = Q(t), al fine di descrivere la variazionelenta; le funzioniQ(x, t) rendono l’evoluzione del campo, cancellando tutte lecomponenti con frequenza f > 1/T . Vale la pena di osservare che Te, essendola scala integrale, è più grande di tutte le altre scale della fluttuazione turbolen-ta6; quindi, lo schema che abbiamo delineato presume che il campo fluttuanteabbia scale temporali tutte di gran lunga più piccole - frequenze più alte -della variazione lenta, il che suggerisce che questa possa essere trattata co-me un fenomeno deterministico, una volta risolto il problema dell’interazionenonlineare con la componente stocastica.Rimane da stabilire se le correnti atmosferiche presentino lineamenti di questotipo. In senso assoluto, la risposta è sicuramente negativa: qualsiasi registra-zione reale mostra una molteplicità di scale, senza alcun intervallo vuoto tragli estremi. In senso relativo, di accettabilità o meno del modello per un calco-lo approssimato, le opinioni sono varie. Lumley e Panofsky sembrano ritenerelo schema accettabile, se non altro in vista delle previsioni meteorologiche7,e basano la loro opinione sull’elaborazione di misure sperimentali della velo-cità del vento effettuate nella regione orientale degli Stati Uniti8. Lo spettrodi potenza del segnale registrato mostra in effetti una separazione abbastanzanetta, uno spazio quasi vuoto - spectral gap - tra due picchi accentuati, il primodei quali si riferisce chiaramente a moti di masse di aria di dimensione con-tinentale, o quasi, con scale temporali caratteristiche dell’ordine di qualchegiorno, mentre il secondo mostra le tipiche scale temporali della turbolenza

6Purché si riferiscano allo stesso tipo di misure, ovviamente. La distinzione tra macroscalalagrangiana e macroscala euleriana non è in questo argomento pertinente.

7I.L. Lumley, H.A. Panofsky, The structure of atmospheric turbulence, 1.15, J. Wiley & Sons,London, 1964.

8I. van der Hoven, Power spectrum of horizontale wind speed in the frequency range from 0.0007to 900 cycles per hour, J. Meteorol., 1, 14, 1957.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

dello strato limite, tutte inferiori all’ora. Poiché nel mezzo non sembrano es-servi componenti di rilevante ampiezza - salvo quelle legate al ciclo diurno,che tuttavia dai diagrammi di van Hoven appaiono di minore importanza - sipuò pensare di usare delle grandezze medie, calcolate su base oraria, per de-scrivere la variazione di bassa frequenza. Altri autori, come Scorer, neganoche esista questo intervallo vuoto nello spettro, e ne deducono la scarsa razio-nalità dei modelli previsionali che basano il loro formalismo sull’esistenza deigap spettrali.Si tratta di un giudizio sull’attendibilità o meno di un procedimento appros-simato da applicare ad un sistema che è dinamicamente instabile, al fine diprevederne l’evoluzione; poiché comunque la previsione va riportata periodi-camente in linea, tramite l’osservazione di quanto realmente accade, la diver-genza di opinioni è probabilmente meno critica di quanto potrebbe apparire.Occorre tuttavia ricordare che vi sono fasi di transizione rapide, durante lequali si possono misurare valori reali che non sono confrontabili con quelliteorici9. Una concentrazione media, ad es., ottenuta misurando la concentra-zione per la più o meno canonica mezz’ora, nel mezzo del periodo di transi-zione di una brezza, o nella fase di fumigazione di un pennacchio, dà valoriche derivano da una miscela di condizioni fluidodinamiche diverse, tra loropesate in modo a priori sconosciuto.

Parametri caratteristici dello strato limite terrestre

La teoria della similitudine, presentata in 5.2, definisce un quadro che permet-te di conoscere la dinamica dello strato limite terrestre, misurando un numerolimitato di parametri, dai quali è possibile risalire a qualsiasi variabile che inte-ressi. Una strada consiste nel misurare i valori medi di velocità e temperaturaa diversa altezza, e quindi cercare i valori di u∗ e Θ∗ oppure H, che danno lamigliore interpolazione dei profili ottenuti. Noti questi parametri, tutte le al-tre grandezze medie si deducono dalle curve autosimili, finché si rimane al disotto dell’altezza di Monin-Obukhov. Per completare la descrizione al di so-

9Il che non comporta che siano privi di significato. Se una concentrazione media oraria di unaqualche sostanza inquinante supera la soglia prevista per legge, la cosa ha valore in sé, in-dipendentemente dal fatto che il dato non sia prevedibile tramite un modello di dispersioneturbolenta.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

pra di H, occorre misurare l’altezza h del bordo superiore dello strato limite,il che può essere realizzato o con un pallone sonda, o con uno strumento dimisura a distanza, quale il lidar.

Un metodo alternativo alla misura delle temperature dell’aria a quota diversa,si basa su una stima del cosiddetto flusso di calore sensibile10:

Fe = ρcp < wδT >

ottenibile per mezzo di un bilancio di energia applicato alla superficie terre-stre. Dell’energia radiante che incide sulla superficie del suolo, una parte vie-ne riflessa o riemessa nella forma ancora di energia radiante; quanto rimanesi divide tra energia trasmessa al terreno sottostante, energia di evaporazionedell’acqua contenuta nel suolo o nella vegetazione, ed energia trasferita all’a-ria che lambisce la superficie. In condizioni stazionarie, questa distribuzionesi traduce in un equilibrio di flussi; si può scrivere:

Fn − (Fs + Fl + Fe) = 0 8.6

ove Fn rappresenta il flusso netto di energia radiante, differenza tra flusso inci-dente e flusso riflesso o riemesso, Fs il flusso di energia termica trasmesso perconduzione dalla superficie verso il suolo, Fl il flusso di energia assorbita dal-l’evaporazione, e infine Fe è il flusso di energia, termica e meccanica, cedutadalla superficie del suolo all’aria sovrastante. Poiché l’evaporazione alimentaun flusso di massa di vapor acqueo, rivolto dalla superficie verso l’atmosfera,si può porre:

Fl = cl < wδρv >

ove cl sta a indicare il calore di evaporazione dell’acqua e δρv la fluttuazionedella densità di vapore acqueo; a Fl si dà il nome di flusso di calore latente.L’equazione 8.6 può essere risolta per Fe, ottenendo la relazione:

Fe = Fn − (Fs + Fl) 8.7

da cui si può calcolare Fe, e quindi la correlazione < wδT >, una volta chesiano misurati o stimati i flussi che compaiono a secondo membro. Nota la

10Si tratta del flusso di entalpia, somma del flusso convettivo di energia termica e del flusso dienergia meccanica.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

covarianza< wδT >, si può trovare la temperatura caratteristica11, cfr. 5.2:

T∗ = −< wδT >

u∗e quindi utilizzare la forma invariante delle soluzioni autosimili, al fine diavere i profili verticali delle grandezze medie. I termini a secondo membrodella 8.7 possono essere misurati, o stimati empiricamente. In genere Fs e Fl

si stimano con l’aiuto di tabelle, come percentuali di Fn, in base alla naturadel terreno, il suo grado di umidità, la copertura vegetale o arborea, etc... Ilflusso Fn, che rappresenta la forzante dell’intero processo di scambio, invecesi misura per mezzo di un radiometro differenziale.

Il procedimento di caratterizzazione dello strato limite superficiale può essereaffinato ricorrendo alla misura diretta delle componenti fluttuanti delle variegrandezze e delle loro covarianze. Le funzioni di covarianza che è necessarioconoscere, per applicare la teoria della similitudine, sono:

– la correlazione delle componenti orizzontale e verticale della ve-locità fluttuante, uw, a cui risulta proporzionale il flusso medio diquantità di moto:

τ = ρuw ≡ ρu∗2

e da cui si può dedurre la velocità di attrito u∗;

– la correlazione della componente verticale di velocità fluttuante edella fluttuazione di temperatura, wδT , a cui risulta proporzionale latemperatura caratteristica e il flusso medio di energia termica:

Fc = cvwδT

oppure quello di entalpia.

La conoscenza di u∗ eFc permette di calcolare l’altezza di Monin-ObukhovH,e quindi di usare le leggi di similitudine. Di notevole interesse è anche la mi-

11Poiché ci si muove nell’ambito dell’approssimazione di Boussinesq, le fluttuazioni di tempe-ratura non sono distinguibili da quelle di temperatura potenziale; altrettanto si può dire dellerelative scale, T∗ o Θ∗.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

sura della correlazione tra componente verticale di velocità fluttuante e fluttua-zione della concentrazione di vapor acqueo wδρv , a cui risulta proporzionaleil flusso medio di calore latente Fl:

Fl = clwδρv

Il flusso di calore latente è importante per valutare quale sia l’altezza dilivellamento delle correnti termiche ascendenti.Il metodo basato sulla misura delle correlazioni è diretto, ma richiede per lamisura delle componenti fluttuanti che vengano utilizzati sensori a rispostarapida12, che sono costosi e necessitano di accurate operazioni di taratura emanutenzione. Inoltre, gli errori relativi compiuti nella misura delle singolevariabili si sommano nel calcolo delle correlazioni.

8.2. STRUMENTI DI MISURA

Gli strumenti di misura impiegati per la rilevazione di parametri meteorologicipossono essere classificati in base a diversi criteri; tipicamente gli elementi didistinzione sono:

– la posizione dello strumento rispetto al punto in cui viene effettua-ta la misura, che porta a distinguere tra sensori diretti - quelli cheeffettuano misure là dove sono posizionati - e sensori remoti, cheeffettuano misure in zone distanti da quella in cui si trovano;

– la velocità di risposta dello strumento, che porta alla distinzione trasensori a risposta rapida, capaci di registrare un segnale di elevatafrequenza e sensori a risposta lenta, le cui caratteristiche permettonodi misurare solamente il valor medio del parametro.

Per gli strumenti che registrano l’andamento temporale di una variabile, un pa-rametro importante è rappresentato dalla frequenza di taglio, che è la frequen-za più alta del segnale che lo strumento è in grado di registrare e riprodurre.Nelle misure eseguite a punto fisso, questa frequenza massima può essere tra-dotta, grazie all’ipotesi di Taylor cfr. 2.1, in una lunghezza minima del campo

12La frequenza di acquisizione dello strumento deve essere almeno doppia della frequenzamassima del segnale che si vuole misurare.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Fig. 8.1 – Sensori per la misura della velocità nel piano orizzontale: anemometro acoppe (al centro), banderuola (a destra) e anemometro sonico biassiale (a sinistra).

di moto - la scala minima delle variazioni di velocità - quando sia nota la velo-cità media del vento. In alcuni casi gli strumenti registrano una variabile cheè integrata su una data distanza, invece che misurata in un punto, si veda ades. l’anemometro sonico; in tal caso la distanza di integrazione rappresentala lunghezza d’onda minima del campo di moto che possa essere rilevata. Lelunghezze d’onda inferiori vengono automaticamente filtrate.A partire dai sensori diretti, verranno presentati nel seguito gli strumenti dimisura delle più significative variabili atmosferiche (velocità del vento, tem-peratura, umidità, pressione, precipitazioni e radiazione solare), distinguendoper ogni variabile tra sensori a risposta lenta e sensori a risposta rapida.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Sensori diretti

Strumenti per la misura della velocità del vento

Gli strumenti più utilizzati per la misura del valor medio della componente orizzon-tale della velocità e della sua direzione, sono gli anemometri a coppe o ad elica e labanderuola.

L’anemometro a coppe è costituito da due o più superfici cave (coppe) collocate at-torno all’asse dello strumento, cfr. fig. 8.1; la configurazione più diffusa è quella co-stituita da tre coppe di forma conica. Le coppe presentano un diverso coefficientedi resistenza aerodinamica a seconda che il vento ne investa la parte concava oppureconvessa.

All’inizio, la diversa resistenza aerodinamica delle coppe investite dal vento portain rotazione lo strumento, che accelera finché non raggiunge una velocità di regime,caratterizzata dall’annullarsi del valore medio del momento rispetto all’asse. Si per-viene così ad una condizione di equilibrio dinamico, nella quale la coppa che presentaal vento la superficie convessa compensa con la maggiore velocità relativa - data dallasomma della velocità del vento e della velocità periferica dello strumento - il minorecoefficiente di resistenza. Viceversa, per la coppa investita dal vento sulla superficieconcava, l’effetto della rotazione si traduce in una riduzione della velocità relativa, avantaggio del maggior coefficiente di resistenza. La velocità di rotazione perifericadelle coppe risulta essere, in condizioni di equilibrio, una frazione della velocità delvento, che non varia al variare dell’intensità di questo; rappresenta quindi una costantedello strumento, che può essere determinata mediante una opportuna taratura dell’a-nemometro. La misura della velocità di rotazione permette di risalire alla velocità delvento. In presenza di vento non stazionario, gli anemometri a coppe hanno la tendenzaa sovrastimare la misura, inducendo errori compresi tra il 5% ed il 10%. Tale sovra-stima è imputabile, in parte al fatto che lo strumento mostra di essere sensibile allecomponenti verticali delle velocità, in parte all’isteresi che si manifesta nella rispostaalle rapide variazioni di velocità del vento.

L’anemometro a coppe ha il vantaggio di fornire una misura della componente oriz-zontale della velocità del vento, indipendentemente dalla direzione. Per determinareanche la direzione si è soliti accoppiarlo ad una banderuola: un’asta metallica liberadi ruotare nel piano orizzontale, provvista ad un estremo di appendici aerodinamicheche inducono l’asta a disporsi parallelamente alla direzione del vento.

L’anemometro a elica (in inglese propeller) è invece un piccolo rotore provvisto diun numero variabile di pale, che ruota con una velocità proporzionale alla velocitàdel vento. A differenza dell’anemometro a coppe, l’anemometro a elica non tendea sovrastimare la misura ed ha una risposta più rapida. Essendo in grado di misura-re l’intensità della componente del vento parallela al proprio asse di rotazione, deve

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Fig. 8.2 – Anemometro ad elica.

essere montato su un anemometro a banderuola, che mantenga l’asse di rotazionecostantemente parallelo alla direzione del vento (cfr. fig. 8.2).

La velocità di rotazione delle coppe o dell’elica è convertita in un segnale elettricoper mezzo di opportuni trasduttori; in questo modo è facile integrare lo strumento inuna stazione meteorologica automatica. Questi sistemi sono poco costosi e piuttostorobusti e richiedono modesti interventi di manutenzione o taratura. Il maggior difet-to di questi strumenti è legato alle parti meccaniche in movimento, che possiedonouna resistenza all’avvio non trascurabile; la velocità minima del vento necessaria peril funzionamento è pari a circa 0.5 m/s. Al di sotto di questo valore gli strumentinon sono in grado di registrare in modo attendibile la velocità del vento e tale con-dizione è detta calma di vento. In base alla classificazione proposta, gli anemometridescritti sono tutti a risposta lenta e non permettono di misurare in modo completo lecaratteristiche della parte fluttuante del campo di moto.

Per quanto riguarda gli anemometri a risposta rapida, il più diffuso nell’ambito del-le misure atmosferiche è senza dubbio l’anemometro sonico. L’anemometro sonicoè uno strumento costruito in modo tale da poter misurare la velocità del vento tra-smettendo e ricevendo segnali acustici lungo una o più direzioni ortogonali prefissate;

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

questi strumenti infatti possono essere monoassiali, biassiali (cfr. fig. 8.1) o triassiali.Gli anemometri triassiali sono i più utilizzati in ambito meteorologico e consentonola misura della velocità media, della temperatura, della deviazione standard delle trecomponenti della velocità, nonché delle correlazioni uiuj e ujδT , ovvero dei flus-si turbolenti di quantità di moto e di calore sensibile, a cui le due correlazioni sonoproporzionali.Il principio di funzionamento consiste nel valutare l’influenza del vento sulla velocitàdi propagazione di segnali acustici che viaggiano in direzioni opposte. La velocità dipropagazione di un segnale acustico, rispetto a un sistema di riferimento fisso, è datadalla somma vettoriale della velocità del suono e della velocità del vento; un impul-so pertanto impiega un tempo diverso a percorrere la stessa distanza, a seconda che simuova in senso concorde o discorde con la velocità dell’aria. L’anemometro sonicomisura la differenza del tempo impiegato da due impulsi per percorrere la stessa di-stanza in senso opposto, in modo da poter determinare quale sia la componente dellavelocità dell’aria lungo tale tratto. È anche possibile, calcolando la velocità media dipropagazione nei due sensi, trovare la velocità del suono, e quindi risalire alla tempe-ratura dell’atmosfera13. Non avendo parti meccaniche in movimento, l’anemometrosonico garantisce una risposta molto rapida alle fluttuazioni della velocità del vento.È però uno strumento molto più sofisticato e costoso degli anemometri meccanici. Glianemometri sonici possono essere di due tipi, a seconda che emettano impulsi sono-ri oppure un segnale continuo. Nel primo caso si valuta la differenza tra i tempi dipercorrenza dei due impulsi, nel secondo viene valutata la differenza di fase tra i duesegnali. Lo strumento permette di avere frequenze di campionamento fino a 100 Hz.Per completare il quadro degli strumenti di misura della velocità del vento, citiamol’anemometro a filo caldo, uno strumento rapido nella risposta in grado di registraresegnali con frequenza fino a 104 Hz. È stato per anni il principale strumento di misurautilizzato in laboratorio per lo studio delle correnti turbolente, ma risulta poco adat-to alla misura in ambiente esterno; si tratta di uno strumento delicato, che necessitadi continue operazioni di taratura. Per gli studi in atmosfera sono state sviluppate an-che sonde a film caldo che presentano una frequenza di taglio più bassa, ma risultanodecisamente più robuste. L’elemento sensibile di un anemometro a filo caldo è costi-tuito da un filamento sottile (2÷5μm) di materiale resistivo (tipicamente tungsteno, oplatino), lungo circa 1 mm, teso tra due supporti e riscaldato dal passaggio di una cor-rente elettrica. Il filo, esposto al vento, è inserito in un ponte elettrico, che si sbilancia

13La velocità del suono dipende anche dall’umidità relativa, perché la presenza di vapor acqueo di-minuisce la massa molecolare della miscela; quest’effetto è usualmente trascurato, ma potrebbevenir facilmente messo in conto con l’uso di un igrometro.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

temperatura di riferimento

filo di Cu

filo di Fe

temperaturadell’aria

voltmetro

Fig. 8.3 – Esempio di termocoppia.

quando la resistenza elettrica del filo viene modificata per effetto di una variazionedi temperatura. Il principio di funzionamento risiede nella relazione che intercorretra velocità del vento e intensità di scambio termico tra fluido e sonda. Il sistemapuò operare in due modi diversi: mantenendo costante la temperatura del filo tramiteuna variazione di intensità della corrente, oppure mantenendo inalterata l’intensità dicorrente, e registrando le variazioni di potenziale che derivano dalle variazioni di re-sistenza. In entrambi i casi si ha un segnale elettrico che dipende dalle variazioni divelocità dell’aria. Poiché la relazione tra velocità e flusso termico non è lineare, vadeterminata mediante taratura dello strumento.

Strumenti per la misura della temperatura

Oltre all’anemometro sonico esiste un buon numero di strumenti per la misura dellatemperatura. In base al principio fisico adottato, si possono distinguere tra termometria dilatazione - tutti in grado di rilevare solo il valor medio della temperatura - etermometri elettronici, che possono eventualmente fornirne anche i valori fluttuanti.Nei termometri a dilatazione la misura è ottenuta sfruttando le proprietà di espansionetermica di uno o più materiali, siano essi liquidi, come nei classici termometri a mer-curio ed ad alcol, o solidi. Il termometro bimetallico è un sensore costituito da duebarre di metallo, solidali l’una all’altra, con un estremo ancorato ad un supporto rigi-do. Alla temperatura di riferimento il sensore si manterrà diritto, mentre col variaredella temperatura la diversa dilatazione di una delle due barre lo indurrà a flettersi. Loscostamento dell’estremo libero dalla sua posizione originaria, debitamente amplifi-cato, è in grado di muovere una lancetta lungo una scala opportunamente graduata perfornire la variazione di temperatura rispetto al valore di riferimento.

Nonostante la robustezza e l’economicità di questi termometri, la richiesta di accu-ratezze elevate e la necessità di un’acquisizione automatica, rendono preferibile l’u-

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

tilizzo di strumenti elettronici. Il principo fisico coinvolto può essere quello di unavariazione di resistenza elettrica, indotta da una variazione di temperatura (termoresi-stenze e termistori) o di una generazione di potenziale elettrico tra conduttori diversi(termocoppie).

Nel caso delle termocoppie, la trasformazione della temperatura in segnale elettricosi fonda sul principio secondo il quale si stabilisce una forza elettromotrice tra duemetalli diversi posti a contatto, che dipende dalla temperatura della giunzione14. L’in-serimento dello strumento di misura - il voltmetro - pone dei problemi che vengonorisolti con una seconda giunzione, mantenuta a temperatura nota e costante, in modoche lo strumento venga inserito tra due conduttori dello stesso metallo, cfr. fig. 8.3. Ilvoltmetro misura una differenza di potenziale elettrico, che è correlata alla differenzadi temperatura nelle due giunzioni. I termometri che usano termoresistenze o termi-stori si basano invece sulla variazione di resistenza elettrica indotta dalla temperatura;l’elemento sensibile è inserito in un circuito elettrico, in modo che le variazioni ditemperatura si traducano in variazioni di potenziale o di corrente. Le termoresistenzesono costituite da materiali conduttori quali il rame, il tungsteno, il nichel e soprattuttoil platino, per i quali la resistività aumenta con l’aumentare della temperatura; i termi-stori sono invece costituiti da materiali semiconduttori ottenuti per sinterizzazione, lacui resistività diminuisce all’aumentare della temperatura.

È particolarmente importante, per quanto riguarda la misura della temperatura del-l’aria vicino a terra, che i sensori siano protetti da strutture adeguate, in modo daschermarli dalla radiazione (cfr. fig. 8.4). Le schermature devono avere preferibil-mente superfici di colore bianco, in modo da aumentare l’albedo e ridurre al minimola radiazione assorbita; per misure molto accurate è opportuno che nel condotto incui è posto il sensore termometrico venga anche aspirata l’aria esterna, di cui si devemisurare la temperatura.

Strumenti per la misura dell’umidità dell’aria

La misura della quantità di vapor acqueo presente nell’atmosfera è una misura di diffi-cile realizzazione. Tra gli strumenti a risposta lenta vi sono l’igrometro, lo psicrometroed i sensori a punto di rugiada. Si veda anche l’appendice A.

L’igrometro è concepito in modo tale da convertire una variazione dell’umidità relativa

14La scoperta fu fatta in modo accidentale nel 1822, da Thomas Seebeck, un fisico estone.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Fig. 8.4 – Sonda per misure di temperatura con sensore al platino PT100, mostrata nelcentro della fotografia e circondata dai vari elementi che costituiscono la schermatura.

dell’aria nella variazione delle caratteristiche fisiche - la lunghezza15, la densità, laresistenza o la capacità elettrica (cfr. fig. 8.5) - di una sostanza.Uno psicrometro (fig. 8.6) si basa invece sulla misura di differenza di temperatura cheintercorre tra due termometri identici esposti all’aria, uno dei quali ha il bulbo ricoper-to da una garza imbevuta d’acqua (il cosiddetto bulbo umido). Un termometro misurala temperatura della aria Ta, l’altro la temperatura del bulbo umido Tu . Il termo-metro con il bulbo umido si raffredda, in seguito all’evaporazione dell’acqua che locirconda; poiché il tasso di evaporazione è tanto maggiore quanto minore è l’umidi-tà relativa dell’aria, la variazione di temperatura del termometro bagnato, rispetto allatemperatura dell’altro termometro che serve da riferimento, diviene una misura indi-

15Come accade con il classico igrometro a capelli.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Fig. 8.5 – Sensore igrometrico di tipo capacitivo e relativa schermatura di protezione.

retta del contenuto di vapor acqueo dell’aria. Se l’aria fosse satura - 100 % di umiditàrelativa - non si avrebbe né evaporazione, né variazione di temperatura tra i due ter-mometri. Come accade in tutti gli strumenti di misura che si prefiggono di misuraredelle proprietà termodinamiche dell’aria è necessario predisporre dei sistemi di pro-tezione degli elementi sensibili dalla radiazione solare; in questo caso occorre ancheassicurare che il bulbo umido rimanga effettivamente tale ed eventualmente prevede-re un sistema di ventilazione controllato. L’accuratezza della misura è normalmentediscreta, eccetto il caso in cui l’umidità relativa dell’aria risulti molto bassa.

I sensori a punto di rugiada determinano il contenuto di vapor acqueo presente nel-l’aria misurandone la temperatura di rugiada, ovvero la temperatura alla quale il vaporacqueo condensa. Il principio su cui si basa è semplice e consiste nel misurare la tem-peratura di una superficie raffreddata progressivamente, uno specchio ad esempio, sulquale si possa cogliere l’appannamento dovuto al primo processo di condensazione.

Per la misura delle fluttuazioni dell’umidità dell’aria vengono utilizzati strumentia risposta veloce, il cui funzionamento è legato all’assorbimento da parte del va-por acqueo di radiazioni con particolari frequenze. L’igrometro Lyman-alpha e l’i-grometro krypton valutano l’assorbimento da parte del vapor acqueo della radia-

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Fig. 8.6 – Psicrometro. Il termometro a bulbo umido è quello sulla sinistra.

zione ultravioletta; altri valutano l’assorbimento della radiazione nella banda degliinfrarossi16.

Strumenti per la misura della pressione atmosferica

I più semplici ed antichi strumenti per la misura della pressione atmosferica sono ibarometri di Torricelli, il cui funzionamento è basato sul bilanciamento della pressio-ne atmosferica da parte di una colonna di mercurio. Numerosi accorgimenti (si vedaad esempio il barometro di Fortin) sono stati introdotti nel corso degli anni per facili-

16J.C. Kaimal, J.J. Finnigan Atmospheric boundary layer flows - Their structure andmeasurement, Oxford University Press, Oxford, 1994.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

tare il trasporto e la lettura, migliorare la precisione e tener conto delle variazioni ditemperatura.

Altro strumento di ampia diffusione è il barometro aneroide, nel quale la misura è af-fidata all’espansione o alla contrazione di una camera elastica che separa un gas rare-fatto, il cui stato termodinamico è noto dall’atmosfera esterna. Il diaframma che fungeda sensore è una capsula circolare, dotata di particolari proprietà elastiche (la capsuladi Vidie, dal nome dell’inventore); le deformazioni della capsula vanno a muovere unalancetta lungo una scala che deve essere tarata per confronto con un barometro a mer-curio. In alternativa, si possono trasformare le deformazioni in un segnale elettrico dicui è certamente più facile l’acquisizione e la registrazione automatica.

La misura delle fluttuazioni di pressione è invece un’operazione difficile, poiché qual-siasi strumento di misura introdotto nella corrente d’aria induce variazioni di pressionenon trascurabili, direttamente proporzionali al quadrato delle variazioni di velocità. Lefluttuazioni indotte dallo strumento stesso investito dal vento sono tipicamente di unordine di grandezza superiore rispetto a quelle che si vorrebbero misurare. In via spe-rimentale, sono stati comunque messi a punto sistemi di misurazione, per i cui dettaglisi rimanda a Kaimal e Finnigan, op. cit.

Strumenti per la misura dell’intensità delle precipitazioni

Lo strumento tradizionale per la misura dell’intensità di una precipitazione piovosa èil pluviometro, un recipiente cilindrico graduato in grado di valutare l’altezza dell’ac-qua depositatasi al di sopra di una superficie piana ed impermeabile. Gli strumentiprofessionali sono forniti di un dispositivo automatico di misurazione basato su di unavaschetta basculante, tarata per contenere una certa quantità di liquido. Essa, raggiun-to il livello stabilito, ruota scaricando l’acqua accumulatasi fino a quel momento: dalconteggio delle oscillazioni della vaschetta si risale alla quantità di pioggia caduta. Perrilevare in modo corretto anche le precipitazioni nevose è necessario un opportuno si-stema di riscaldamento. Lo strumento deve essere ovviamente posizionato lontano daostacoli ad almeno un metro d’altezza dal suolo, per evitare che vi confluiscano gocced’acqua dovute ai rimbalzi. Si considerano trascurabili i fenomeni di evaporazione.

Vi sono anche sensori remoti per la misurazione dell’intensità delle precipitazio-ni, fatte con l’ausilio di tecniche radar o laser; queste tecniche forniscono ancheinformazioni sulla dimensione delle idrometeore17.

17Un’ampia descrizione degli strumenti adatti a misurare l’intensità delle precipitazioni si può re-perire in T.P. DeFelice, Meteorological Instrumentation and Measurement Prentice Hall, UpperSaddle River, 1988.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Strumenti per la misura dell’intensità della radiazione

Gli strumenti rivolti alla misura di un flusso di energia radiante si chiamano in genera-le radiometri. Si suddividono in due categorie: termici e fotovoltaici. I primi misuranoil flusso di energia radiante tramite la differenza di temperatura che si stabilisce tra uncorpo esposto alla radiazione e un corpo non esposto, o perché riparato o perché pro-tetto da una superficie riflettente. L’uso di termocoppie o di termoresistenze permettedi tradurre la variazione di temperatura in segnale elettrico. I radiometri fotovoltai-ci utilizzano invece il silicio come elemento fotosensibile; esposto alla radiazione, ilsilicio genera una differenza di potenziale elettrico.I radiometri sono costituiti principalmente da tre componenti: un elemento fotosen-sibile, a cui è affidata la rilevazione del flusso radiante, il trasduttore ed un elementodi copertura dello strumento. L’elemento di copertura svolge la funzione di riparareil componente fotosensibile dalla deposizione di polveri e impurità e di evitare che lapresenza di vento influisca sulla misura.Gli errori di misura possono essere dovuti essenzialmente alla deposizione di polverisulla calotta ed alla formazione di vapor acqueo all’interno.Per il calcolo del flusso di calore sensibile, che permette di individuare lo stato dellostrato limite, cfr. 8.1, occorre misurare la differenza che intercorre tra flusso incidentesulla superficie terrestre e flusso di energia riemessa o riflessa. La misura si esegue conun radiometro differenziale, uno strumento che dispone di due captatori, uno rivoltoverso l’alto e il secondo verso la superficie del suolo, cfr. fig. 8.7.

Palloni sonda

Per eseguire delle misure in quota si può effettuare un radiosondaggio. Esso consistenel rilasciare un pallone sonda, provvisto di sensori capaci di rilevare durante la salitala temperatura, la pressione e l’umidità dell’aria, i cui valori vengono trasmessi viaradio a una stazione a terra18. Lo spostamento del pallone dalla verticale della stazionepermette di ricavare la direzione e la velocità orizzontale del vento. La posizione delpallone è rilevata con un radar (se non fornita dal pallone sonda stesso, munito aquesto scopo di un dispositivo GPS); in questo modo si possono definire in modo

18I radiosondaggi vengono effettuati regolarmente presso alcuni aeroporti (in Italia: Milano-Linate, Udine-Rivolto, Pratica di Mare, Brindisi, Cagliari-Elmas, Trapani-Birgi, Cuneo-Levaldigi e S.Pietro Capofiume) da due a quattro volte al giorno, in corrispondenza di orarisinottici prestabiliti: 00, 06, 12, 18 UTC. Le radiosonde sono anche chiamate rawinsonde, dallacontrazione dei termini radio-wind-sounding-device; i palloni sono gonfiati con elio o idrogenoe raggiungono la quota di 30 km.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Fig. 8.7 – La faccia superiore di un radiometro differenziale, con l’elemento fotosensi-bile di cattura della radiazione proveniente dall’alto. Da notare la piccola livella a bollacircolare necessaria per montare lo strumento perfettamente orizzontale.

diretto i profili verticali (sounding) delle grandezze misurate, nonché trovare l’altezzadello strato limite atmosferico.

Sensori remoti

I sensori remoti sono strumenti in grado di eseguire misure a distanza. Si ba-sano sulle proprietà della propagazione di onde all’interno di un mezzo dotatodi moto turbolento19. Le variazioni di stato del fluido, prodotte dal moto, sitraducono in variazioni della velocità di propagazione dell’onda, e quindi de-

19Cfr. V.I. Tatarski, 1961: Wave Propagation in a Turbulent Medium, McGraw Hill, New York,1961.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

gli indici di rifrazione del mezzo20. La tendenza dei campi di moto turbolentoa concentrare le variazioni di qualsiasi grandezza in spazi sempre più piccoli,porta alla formazione di strati di quasi discontinuità per l’indice di rifrazione,i quali agiscono da superfici riflettenti. Incontrando queste strutture, l’energiadell’onda incidente viene dispersa in tutte le direzioni, ma in parte viene rifles-sa in un’onda rispedita verso la sorgente. Il segnale retrodisperso può essereraccolto e analizzato; le sue caratteristiche dovrebbero risultare correlabili conla struttura e i valori tipici del campo di moto del fluido.I sensori remoti possono venire suddivisi tra attivi, nel caso in cui disponga-no sia di emettitori sia di ricevitori di onde, e passivi, nel caso in cui possanounicamente registrare segnali prodotti da altre fonti; le onde possono essereacustiche, oppure elettromagnetiche in diverse bande di frequenza. I sensoriremoti hanno, rispetto ai sensori diretti, il vantaggio di non perturbare il cam-po di moto e di permettere in tempi brevi un’indagine su quanto avviene involumi ampi di fluido; però sono costosi, complessi da utilizzare e di grandidimensioni. I sensori diretti sono più semplici da manovrare e da mantenerein buone condizioni di funzionamento; hanno inoltre la capacità di acquisiresegnali senza alti rumori di fondo, una proprietà che non contraddistingue lemisure effettuate con sistemi remoti.A tutt’oggi, le misure eseguite in remoto sono troppo poco accurate per per-mettere una descrizione dettagliata delle proprietà locali della turbolenza at-mosferica. Il loro utilizzo è finalizzato alla misura di profili verticali di velocitàmedia o di temperatura dell’atmosfera, alla rilevazione dell’altezza dello stratolimite e all’individuazione di strati caratterizzati da forte inversione termica.

Sodar

Il sodar21 è uno strumento che funziona emettendo e ricevendo onde acustiche. Nel-l’incontrare strutture turbolente di piccola scala, l’onda viene retrodispersa con uno

20L’indice di rifrazione è definito come rapporto tra una velocità di riferimento - la velocità dellaluce nel vuoto, ad es. per le onde elettromagnetiche - e la velocità di propagazione dell’ondain un dato mezzo; dalla variazione degli indici dipendono i fenomeni di riflessione e rifrazionedelle onde.

21Acronimo di sound detection and ranging.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

spostamento in frequenza, che dipende dalla velocità con cui le strutture rifletten-ti vengono trasportate da quelle di scala maggiore. È quindi possibile misurare lacomponente, secondo la direzione del raggio acustico, della velocità di convezionedi queste strutture piccole, con il tradizionale effetto Doppler. Anche l’intensità del-l’onda restituita nella stessa direzione dell’onda emessa è importante, perché dipendequasi unicamente dalla disomogeneità della temperatura, e risulta pertanto correlabi-le alla struttura termica della regione che riflette. Molte strutture tipiche dello stratolimite, le correnti convettive ascendenti, i fronti di raffica, gli strati di inversione con-tengono disomogeneità di temperatura che riflettono il suono, ciascuna di esse conuna sua riconoscibile impronta22. L’intensità dell’onda riflessa decresce rapidamentecon la distanza dalla sorgente della zona di riflessione, così che la portata utile del-lo strumento risulta limitata a qualche centinaio di metri. L’attenuazione dell’energiadell’onda presenta un minimo con un’atmosfera in condizioni medio-alte di umiditàrelativa; mentre raggiunge il suo massimo in aria secca, con un’umidità relativa attor-no al 15÷20 per cento. Neppure in presenza di forti precipitazioni, il sodar è in gradodi fornire dati attendibili.

Un sistema sodar può essere in configurazione monostatica o bistatica. Nel primocaso una stessa antenna viene usata per emettere e per ricevere l’onda sonora; in taleconfigurazione, l’ampiezza del segnale riflesso dipende unicamente dalle fluttuazionidi temperatura.

Nella configurazione bistatica un’antenna è utilizzata per emettere il treno di ondeacustiche, mentre la ricezione è affidata ad una seconda antenna, collocata in una po-sizione diversa, in modo tale che la direzione di ricezione formi con quella di emissio-ne un angolo diverso da 180 gradi. L’ampiezza dell’onda restituita è più forte, perchéè dovuta anche alle fluttuazioni di velocità, con un contributo delle fluttuazioni di tem-peratura notevolmente inferiore. Con un sodar bistatico si ha un più alto rapporto trasegnale e rumore, quindi a parità di altre condizioni un maggior raggio di indagine. Inrealtà, per ragioni di costo e di semplicità d’uso, quasi tutti i sodar in circolazione so-no monostatici. Alcune sorgenti sonore possono disturbare in maniera considerevoleil corretto funzionamento di un sodar. Nella scelta di un sito adatto per il posiziona-mento di un sodar, vanno considerati i problemi che possono derivare dalla riflessionedel segnale, dovuta alla presenza di edifici, camini, torri, e persino alberi presenti nellevicinanze.

22Così dicono gli esperti, cfr. W.D. Neff, R.L. Coulter, Acoustic remote sensing, in Probing theAtmospheric Boundary Layer, American Meteorological Society, Boston, 1985.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

Lidar

Il lidar23 è un sistema di rilevazione che usa onde elettromagnetiche nella banda delvisibile, secondo uno schema di funzionamento simile a quello del sodar. La tipicalunghezza d’onda della banda visibile fa sì che l’onda restituita sia molto sensibilealla presenza di particelle di aerosol disperse nell’aria, oppure alle gocce di acquapresenti nelle nubi. Il lidar richiede, per il suo buon funzionamento, che l’atmosferarisulti inseminata; la concentrazione di aerosol nello strato limite terrestre è in ge-nere sufficiente; tuttavia, in condizioni di aria particolarmente pulita, il rapporto trasegnale e rumore può abbassarsi molto, mettendo in dubbio l’operatività del sistema.Il lidar è spesso usato per determinare l’altezza del bordo esterno dello strato limiteconvettivo, ove è in grado di rilevare l’alto gradiente di concentrazione di particellesospese. Vi sono anche modelli più complessi di lidar, chiamati DIAL24, che possonoessere utilizzati per determinare le concentrazioni di una specie chimica in atmosfe-ra. Utilizzano segnali emessi su due frequenze diverse, l’una assorbita dalle molecoledella specie chimica di interesse, l’altra no; la differenza di intensità dei due segnalidi ritorno fornisce una misura indiretta della concentrazione della specie chimica.

Radar Wind Profiler

Con il termine wind profiler si indica un sistema di emissione e ricezione di onderadio, che opera ad alta frequenza. A parte la diversa natura delle onde, e il diver-so dominio di frequenze usate, il sistema opera con i principi generali già descritti; inparticolare misura la velocità del vento, basandosi sull’effetto Doppler. Con una emis-sione di onde di lunghezza d’onda dell’ordine del cm, si ha retrodiffusione del segnaleper opera di particelle con lunghezza caratteristica dell’ordine della frazione del cen-timetro, quali sono le gocce di pioggia; i radar meteorologici sono utilizzati per avereinformazioni sulla velocità di avanzamento dei fronti temporaleschi. Gli wind profilersono particolarmente utilizzati per la determinazione dell’altezza dello strato limite,poiché il segnale riflesso decade rapidamente a zero oltre questa quota, per segnaliemmessi su 915 MHz.

23Acronimo di light detection and ranging.

24DIfferential Absorption Lidar.

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8. METODI E STRUMENTI DI MISURA

RASS

I sistemi RASS25 - combinano le tecniche di emissione e ricezione di segnali radar eacustici, per definire profili di velocità del suono - quindi di temperatura - nello stratolimite terrestre. Un generatore di onde acustiche invia un treno d’onda verso l’alto; lavelocità di propagazione dell’onda acustica viene continuamente rilevata mediante unradar, grazie all’effetto Doppler. Le onde radio vengono retrodisperse dalle variazionidi indice di rifrazione prodotte dall’onda acustica, con uno spostamento in frequenzache dipende dalla velocità di quest’ultima. Per massimizzare l’intensità del segnaledi ritorno, viene emessa un’onda acustica con una lunghezza d’onda pari alla metà diquella dell’onda radio; questa condizione è detta condizione di risonanza di Bragg. Lamassima quota raggiungibile con misure RASS si aggira attorno ai 750 m dal suolo.

25Radio Acoustic Sounding System.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTEURBANO

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

9.1. INTRODUZIONE

L’inquinamento dell’aria va di pari passo, da un punto di vista storico, al-l’urbanizzazione e all’industrializzazione. In particolar modo, nel corso delXX secolo, l’inquinamento atmosferico ha riguardato principalmente la qua-lità dell’aria delle città, a parte alcuni eventi su scala regionale - o addiritturacontinentale (Chernobil). Nella prima metà del secolo il principale fattoreinquinante era rappresentato dai prodotti della combustione dei combustibilifossili, ai quali ricorrevano massicciamente tutte le città fino a circa quaranta-cinquant’anni fa. Nel corso del secolo, la città di Londra è stata sede di nu-merosi episodi di picchi di inquinamento per tale causa, che culminarono conil celeberrimo big smoke, nelle giornate dal 4-10 dicembre del 1952. In queigiorni la bassa temperatura, l’assenza di vento ed il perdurare di una inversionetermica contribuirono alla formazione di una tale quantità di fumi che anche lepersone di buona salute avevano difficoltà a respirare. Tale situazione fu leta-le per le persone con salute più cagionevole e affette da patologie polmonari,tanto che si contarono all’incirca 4000 decessi imputabili direttamente all’in-quinamento dell’aria. La gravità della situazione fu comunque tale da indurregli organi di governo ad assumere drastiche iniziative, che portarono all’ab-bandono dell’uso del carbone a favore di quello del gas, e che attenuarono dimolto il problema del fumo londinese (per il quale era stato coniato il termi-ne smog) dalla fine degli anni ’50. In altri casi sono state invece le emissionidi impianti industriali ad essere responsabili di gravi episodi di inquinamen-to dell’aria, tanto da costituire un rilevante problema politico e amministrati-vo. Tali furono i casi di numerosi distretti industriali nel mondo intero, qualiquello della città di Pittsburgh, fortemente inquinata dalle acciaierie e dallezincherie situate nei paraggi, o del distretto industriale della Ruhr, in Germa-nia, ove le emissioni di ferriere, acciaierie ed industrie chimiche rendevano,fino alla fine degli anni cinquanta, l’ambiente particolarmente insalubre1. Og-gi sono invece le emissioni di autoveicoli a rappresentare il principale fattoreinquinante in tutti i grandi centri abitati. Sono numerose le città che, a causadell’effetto combinato di elevate emissioni da traffico veicolare e particolariregimi meteoclimatici, devono fronteggiare i problemi legati all’inquinamento

1J.R. McNeill, Qualcosa di nuovo sotto il sole - Storia dell’ambiente nel XX secolo, Einaudi,Torino, 2002.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

atmosferico. I fenomeni di inquinamento urbano possono essere divisi in dueprincipali categorie:

– in ambienti caldi fortemente insolati, allorché radiazione ultravio-letta e emissioni di prodotti della combustione di idrocarburi sonointensi, si ha la formazione del cosiddetto smog fotochimico;

– quando la radiazione ultravioletta è meno intensa e i prodotti dellecombustioni sono immessi in un ambiente con alta umidità relativa,si creano le condizioni favorevoli per la formazione dello smog pro-priamente detto, un insieme di particelle liquide e solide sospese inaria - il cosiddetto particolato.

Los Angeles, Santiago del Cile e Atene sono note per essere afflitte dal pri-mo problema, così come Città del Messico, situata in una conca a 2000 mdi quota sul mare e soggetta di frequente a situazioni di inversione termica.Parigi, New York e Tokio, sebbene non siano in sfavorevoli condizioni meteo-climatiche, soffrono ugualmente, a causa della loro estensione e della quantitàdi emissioni, di problemi di inquinamento atmosferico. In Italia, Torino eMilano soffrono di entrambi i fenomeni di inquinamento sopra descritti. Ininverno, a causa dell’abbassarsi dell’altezza dello strato limite per il perdu-rare di condizioni anticicloniche, le emissioni inquinanti sono intrappolate inuno strato d’aria spesso qualche centinaio di metri e l’alto tasso di umiditàrelativa favorisce la produzione del particolato, o smog londinese. In estate,le alte temperature e la radiazione solare contribuiscono a creare le condizio-ni ottimali per la produzione dello smog fotochimico. In entrambi i casi, ilperdurare di giornate con calma di vento aggrava la situazione, facendo au-mentare la concentrazione di fondo, tanto che i picchi di concentrazione diinquinanti registrati in un parco non si discostano di molto da quelli registratiin corrispondenza di una strada trafficata.

Nel corso del XX secolo l’avanzare dell’industrializzazione e dell’urbanizza-zione ha portato ad una rapida crescita dell’inquinamento atmosferico, il qualesi è intensificato progressivamente sulla scala della città e dei comparti indu-striali ed ha ampliato i suoi effetti su scala regionale e globale (effetto serra,buco dell’ozono, etc.). Tuttavia, sulla scala della città, nella seconda metàdel secolo si sono avute delle mitigazioni, per ragioni economiche, politiche egeografiche. Da un punto di vista economico, la riduzione del prezzo del pe-

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

trolio e del gas naturale, in seguito all’abbattimento dei costi di estrazione e ditrasporto, dovuto alla costruzione di oleodotti e super-petroliere, ha portato al-la sostituzione del carbone come combustibile per il riscaldamento domesticoe la produzione di energia. Meno importanti, ma comunque influenti, furonogli effetti politici delle prime proteste di carattere ambientale, che indussero igoverni di molti paesi ad adottare legislazioni che ponevano vincoli e limiti al-le emissioni di alcuni inquinanti2. Infine, a partire dagli anni ’60, la geografiadegli insediamenti industriali cambia progressivamente. Gli impianti produtti-vi, dapprima concentrati in aree piuttosto limitate, scelte per la loro vicinanzaa miniere di carbone (tali erano ad esempio quelle sopracitate, la Pennsylvaniaoccidentale e la Rhur tedesca) iniziarono ad essere dislocate più lontane daicentri abitati e dispersi su regioni più vaste, cosicché il loro impatto sull’am-biente e sulla salute delle persone ne fu molto ridotto. Detto ciò, sebbene ilivelli di inquinamento di numerose città europee ed americane siano inferioria quelli registrati nel corso del secolo passato, la rilevanza dei problemi dellaqualità dell’aria in ambiente urbano è gradualmente aumentata. Negli ultimianni sono stati svolti studi sempre più approfonditi, volti a progettare sistemidi misura per il monitoraggio dei livelli di inquinamento e a mettere a puntoprogrammi di calcolo per la previsione e la simulazione di fenomeni di disper-sione di inquinanti in ambiente urbano. In questo capitolo sono presentati gliaspetti peculiari della dispersione di inquinanti in ambiente urbano, cha fannosì che numerosi problemi in tale contesto non si possano affrontare utilizzandoi classici modelli di dispersione.

9.2. ELEMENTI DI CLIMATOLOGIA URBANA

I processi di urbanizzazione producono cambiamenti radicali nelle caratteristi-che della superficie terrestre, alterando i processi di scambio di calore, massa equantità di moto tra il suolo e l’atmosfera. Una corrente proveniente da un am-biente rurale pertanto risentirà del cambio delle condizioni al contorno dovutoal passaggio in un ambiente urbano. Per quanto riguarda lo scambio di quantitàdi moto, la rugosità superficiale risulta incrementata a causa della presenza de-gli edifici; ma la specificità dell’ambiente urbano provoca inoltre cambiamenti

2Negli Stati Uniti l’adozione della benzina verde ha portato ad abbattere le concentrazioni dipiombo nell’aria del 95 per cento tra il 1977 ed il 1994 - J.R. McNeill, op. cit.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

radicali anche nel bilancio energetico della superficie terrestre. L’ambiente ur-bano rappresenta una zona con particolari caratteristiche microclimatiche, inragione dalle attività umane che vi si svolgono e della geometria degli edifici.Il fenomeno di maggiore rilevanza è costituito dalla formazione della cosid-detta isola di calore, una regione limitata sovrastante la città con temperaturapiù elevata di quella dell’atmosfera circostante (vedi fig. 9.1). Nella maggiorparte delle grandi città si ha un aumento di temperatura, rispetto all’ambien-te naturale che le circonda, che può raggiungere, nelle ore che precedono ilgiorno, i 4 ÷ 5 ◦C. I processi che portano alla formazione dell’isola di calorepossono essere così riassunti:

– per quanto riguarda l’assorbimento della radiazione solare inciden-te, i materiali utilizzati in città, cemento, materie plastiche, asfalto,vetri, hanno in media una albedo3 inferiore a quello del suolo inambiente rurale, il che comporta un aumento dell’energia assorbita.Inoltre a parità di materiale delle superfici, l’assorbimento di radia-zione incidente è superiore a quella che si avrebbe su un suolo piatto,a causa delle riflessioni multiple tra le pareti;

– i fenomeni di evaporazione e traspirazione che mantengono relati-vamente basso l’aumento di temperatura di una superficie protettadalla vegetazione risultano ridotti, così come quelli dovuti all’evapo-razione del terreno; in ambiente urbano, infatti, le acque meteorichevengono drenate;

– i flussi convettivi di calore sensibile rivolti verso l’atmosfera sono li-mitati per l’esistenza di zone di ricircolazione intrappolate nelle cavi-tà formate tra gli edifici, mentre i valori medi della velocità risultanoglobalmente più bassi per l’aumentata resistenza aerodinamica;

– vi sono numerose sorgenti di calore dovute all’attività umana;– la radiazione riemessa dalle superfici nella banda dell’infrarosso vie-

ne parzialmente riflessa verso il basso dalla nube di inquinanti chesovrasta la zona urbana;

– la diminuzione di temperatura delle superfici nel periodo notturno èritardata dalla notevole inerzia termica degli edifici.

3Si definisce come albedo di una superficie il rapporto tra l’energia radiante riflessa e quellaincidente.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

rurale sub urbano sub urbanourbano

Taria

ΔT ≃ 4 ÷ 5 °C

Fig. 9.1 – Isola di calore: temperatura dell’aria all’altezza degli edifici.

Fig. 9.2 – Circolazione diurna al di sopra di una città per basse velocità del vento digrande scala.

Gli effetti dell’isola di calore sono particolarmente evidenti allorché la velocitàdel vento è inferiore ai 3 m/s; in tali condizioni il campo di moto è caratteriz-zato dall’instaurarsi di una corrente termica ascendente collocata nella zonacentrale della città, come mostrato in fig. 9.2. Da un punto di vista del traspor-to di inquinanti, questo caratteristico campo di moto ha come effetto quello diaumentare le concentrazioni nelle zone centrali. Nel caso in cui l’intensità delvento sia maggiore (superiore ai 3 m/s), tale configurazione del campo di mo-to scompare, tuttavia la presenza della città ha come effetto la formazione diun pennacchio di aria calda che viene trasportato a valle dell’agglomerato.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

9.3. SCALE SPAZIALI CARATTERISTICHE

I fenomeni di emissione e dispersione di inquinanti all’interno o nelle vicinan-ze di un’area urbana sono caratterizzati da una compresenza di scale spazialie temporali molto diverse tra loro. A seconda della scala che si vuole studiare,si hanno differenti modelli di simulazione matematica. Una divisione somma-ria - ma comunemente adottata - prende in considerazione tre scale spazialidistinte:

– la scala regionale, dell’ordine di 100 km

– la scala della città o del quartiere, tra 1 e 10 km

– la scala della strada, variabile tra i 10 e i 100 m

Da un punto di vista strettamente geometrico, per fare un esempio, il dettagliocon il quale si vuole descrivere un’area urbana può condurre a rappresenta-zioni molto diverse della stessa all’interno del dominio di calcolo, a secondadella scala spaziale adottata. Se viene considerata su scala regionale, la pre-senza di una città può essere modellata con un numero limitato di parametri;nel suo insieme, la città è rappresentata come un’area con proprietà distribuitein modo omogeneo. Qualora invece l’interesse sia rivolto a fenomeni di tra-sporto su scale ridotte, come quella di un quartiere o di una singola strada, lageometria del dominio diverrà ovviamente più complicata. A titolo di esem-pio, presentiamo due classici problemi di inquinamento urbano le cui scalespazio-temporali sono molto differenti:

– nel caso del rilascio accidentale di una sostanza tossica o nociva al-l’interno di un agglomerato urbano o nelle sue immediate vicinanze(Seveso, Tolosa, Bhopal...) gli effetti del processo di dispersione de-vono essere considerati su scale temporali e spaziali, che vanno dal-l’ordine dei minuti all’ora, e dalle centinaia di metri al chilometro.Per analizzare il fenomeno saranno necessarie informazioni detta-gliate sulla geometria urbana nella zona di interesse, mentre le con-dizioni meteorologiche al momento dell’emissione possono essereconsiderate come stazionarie in senso statistico, poiché il fenome-no di dispersione al quale si è interessati avviene su un lasso tem-porale più breve, rispetto a quello in cui intervengono di solito va-riazioni significative delle condizioni meteorologiche, che riflettonocondizioni sinottiche, di più larga scala.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

– al contrario, l’inquinamento da ozono è frutto di trasformazioni fo-tochimiche i cui tempi di reazione sono della scala temporale dellagiornata. Nel corso del periodo necessario a che tali reazioni av-vengano, la nuvola di inquinante potrà essere trasportata convettiva-mente a distanze considerevoli dal luogo di emissione, coinvolgendoun’area molto più vasta. Pertanto, volendo dare una rappresentazio-ne completa del fenomeno, si deve possedere una conoscenza del-le condizioni al contorno sufficientemente dettagliata per descrivereil trasporto della nuvola di inquinante dalla scala locale, laddove èemessa, a quella regionale, ove avviene il fenomeno di dispersione.

Il caso di Los Angeles, riportato in numerosi libri di testo che trattano l’ar-gomento, è esplicativo per quanto riguarda la complessità dei fenomeni chederivano dalla compresenza di scale spazio-temporali diverse. Nel caso speci-fico, per dare una completa descrizione della formazione, del trasporto e delladispersione del cosiddetto smog fotochimico (Par. 9.4) occorre prendere inconsiderazione fenomeni che vanno dalla scala continentale a quella locale(della città o del quartiere). La California si trova all’estremità orientale dellacella anticiclonica subtropicale dell’Oceano Pacifico, la cui formazione è do-vuta alla circolazione atmosferica su scala globale. Il perdurare di condizionianticicloniche implica una riduzione dell’estensione verticale dello strato li-mite terrestre, al cui limite superiore è presente uno strato fortemente stabile,dovuto alla compressione degli strati superiori dell’atmosfera, che avviene nelcorso del lento moto di subsidenza cui questi sono sottoposti. Nel caso di LosAngeles tale inversione termica risulta essere particolarmente marcata, perchél’aria soggiacente proviene dall’oceano, in seguito all’instaurarsi del regimedi brezza che caratterizza la circolazione delle zone costiere. La presenza dirilievi al confine orientale della piana sulla quale si estende Los Angeles, elo strato stabile che sovrasta l’intera regione, costituiscono, due limiti invali-cabili al trasporto degli inquinanti, i quali rimangono intrappolati in un motodi ricircolo al di sopra dell’area urbana, come è schematicamente rappresen-tato in fig. 9.3. La diversità delle scale spazio-temporali che caratterizzano ifenomeni di inquinamento dell’aria in ambiente urbano ne rendono difficile latrattazione mediante simulazione numerica. Una tecnica usualmente adottataè quella di risolvere il problema con una cascata di modelli, affinando di passoin passo il dettaglio della risoluzione spazio-temporale del campo di moto, uti-lizzando i risultati ottenuti nel passo precedente come condizioni al bordo per

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

Fig. 9.3 – Circolazione atmosferica sopra Los Angeles durante il giorno.

il passo successivo. In tal modo si possono ottenere risultati sufficientementedettagliati per analizzare i fenomeni di interesse su scala ridotta, utilizzandosupporti informatici che non necessitano di particolari potenze di calcolo.

La scala regionale

La scala regionale è definita come la più vasta area attorno ad una città sullaquale sia avvertibile l’influenza della stessa. Tipicamente, il campo di motosu scala regionale risente della presenza di un agglomerato urbano per quan-to riguarda i fenomeni di isola di calore descritti nel paragrafo precedente eper la decelerazione del vento in tali aree, a causa della resistenza aerodina-mica opposta dagli edifici. Considerata su questa scala, una città può esserevista come una porzione della superficie terrestre caratterizzata da una eleva-ta rugosità rispetto alle aree rurali circostanti. Nel passaggio tra la zona ruralee la zona urbana lo strato limite subisce una transizione in cui si adatta allenuove condizioni superficiali; l’influenza degli edifici si estende progressiva-mente verso l’alto, disegnando una nuova regione a cui viene dato il nome distrato limite interno, cfr. fig. 9.4. Dopo una distanza sottovento di 1 ÷ 2 km,la fase di transizione può ritenersi conclusa, e lo strato limite nuovamente inequilibrio.

Se si studia il fenomeno nella scala della regione, si rinuncia a descrivere ilcampo di moto tra gli edifici e immediatamente al di sopra di essi; la rimanente

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

(z) − <uw>

(x,z) (z)

(zο)1

z

h

(zο)2

1

2

Fig. 9.4 – Transizione dello strato limite tra due regioni con diversa rugosità superficia-le: la linea tratteggiata rappresenta lo sviluppo dello strato limite interno, regione giàinteressata dal cambio di rugosità, che si estende in verticale sottovento.

parte dello strato limite tornato in equilibrio può essere suddivisa, in sensoverticale, nel modo tradizionale della teoria di similitudine. Si hanno tre zonediverse nel quale sono identificabili diverse scale di velocità e di lunghezzacaratteristiche:

– la zona del profilo logaritmico di parete, o zona inerziale, ove lascala delle lunghezza è data dalla altezza di rugosità zo e quella dellevelocità dalla velocità di attrito u∗;

– la regione in cui comincia a sentirsi l’effetto delle correnti termichepur rimanendo dominante l’instabilità di natura inerziale; la scala re-lativa delle lughezze è data dall’altezza di Monin-ObukovH e quelladelle velocità ancora da u∗;

– una zona compresa tra l’altezza di Monin-Obukhov e il limite estre-mo dello strato limite, nel quale la turbolenza atmosferica è do-vuta principalmente ai moti convettivi, e le scale appropriate sonol’altezza dello strato limite h e la velocità convettiva uc.

In questa descrizione, la complessità geometrica di una città è sintetizzata nelsolo parametro zo. L’attribuzione di un solo parametro, a riassumere le pro-prietà aerodinamiche di un’area, implica di considerarla come una superficiecon caratteristiche omogenee. Il problema è pertanto quello di valutare come idettagli su piccola scala possano essere parametrizzati, al fine del calcolo di zo.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

Il profilo delle velocità medie che si sviluppa al di sopra di una parete rugosanella regione inerziale è descritto mediante una legge di tipo logaritmico4:

U

u∗=

lnz

zo9.1

laddove zo e u∗ hanno il significato già ricordato e κ rappresenta la costan-te di von Karman. Il parametro zo assume, in corrispondenza delle aree ur-bane, valori attorno ad 1 m. Informazioni più dettagliate si possono trovarenella maggior parte dei manuali di istruzioni dei modelli numerici di calcolo.La legge logaritmica di parete presuppone l’omogeneità statistica del campodi moto nei piani orizzontali e quindi non è in grado di restituire variazioniindotte dalla topologia degli edifici (presenza di parchi, piazze, etc.).Al di sopra della regione inerziale comincia a sentirsi l’influenza del flussotermico convettivo Fc, dal quale si deriva l’altezza H di Monin-Obukhov.Per quanto riguarda il campo fluttuante, la presenza di un agglomerato urbanosi riflette in un incremento dell’intensità delle sue componenti, sia a causadell’incremento della rugosità del suolo, sia per la presenza di più elevati flussitermici, soprattutto durante la notte. Osservazioni sul campo hanno mostratocome l’intensità della turbolenza atmosferica al di sopra di aree urbane e sub-urbane sia, durante la notte, doppia rispetto a quella delle aree rurali, e, duranteil giorno, superiore di circa il 20 ÷ 30%5.

La scala della città e del quartiere

In linea generale la dispersione di inquinanti in atmosfera rappresenta un pro-blema trattabile senza grandi difficoltà, quando si svolga su un terreno piattoe omogeneo, le cui caratteristiche superficiali possono essere sintetizzate conun unico parametro, l’altezza di rugosità superficiale. La cosa vale anche inpresenza di una città, quando la scala prescelta per la descrizione sia suffi-

4In alternativa, si ricorre altrettanto frequentemente ad un profilo di velocità media dato da unalegge di potenza del tipo: U

Uh= ( z

h)n laddove n assume valori compresi tra 0.16 e 0.4. La legge

di potenza permette di interpolare altrettanto bene i profili di velocità media, ma, a differenzadel profilo logaritmico, non ha alcun assunto teorico a suo supporto.

5J.F. Clarke et al., Turbulent structure of the urban boundary layer, Proc. Int. Tech. Meet. AirPollut. Model. Its Appl., 9th, NATO/CCMS. New York/London, 1978.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

cientemente grande; è sufficiente tener conto della variazione dell’altezza dirugosità superficiale e di intensità della fluttuazione turbolenta. Riducendola scala di interesse, dalla scala regionale a quella della città o del quartie-re, si ingrandiscono i dettagli geometrici della superficie terrestre, che, sin quirappresentabile come una parete particolarmente rugosa, risulta ora essere oc-cupata da un insieme di ostacoli costituiti dai singoli edifici. La geometriaurbana si rivela in tutta la sua complessità e presenta aspetti geometrici dotatidi struttura e orientamento, di tratti salienti che non possono essere ricondotti,ai fini della loro influenza sulla corrente, ad un unico parametro. La presenzadi ostacoli di varia forma, dovuti all’orografia o alla presenza di edifici, in-fluenza sia la direzione del vento - le linee di corrente della velocità media -sia l’intensità della fluttuazione turbolenta, e quindi la rapidità di dispersionedegli inquinanti.

Il problema consiste nello studio degli effetti di un gruppo di ostacoli sullacorrente che li investe. Trascuriamo in questa discussione gli effetti termici equindi l’esistenza di un’altezza di Monin-Obukhov, come se la stratificazionedell’atmosfera fosse neutra. Nel suddividere il campo di moto lungo l’asseverticale in regioni distinte con diversi regimi, è tuttavia necessario introdurredue nuove regioni, oltre a quella inerziale e a quella esterna, come mostratoin fig. 9.5, nell’intento di descrivere con maggior dettaglio il campo di motonegli strati dell’atmosfera più prossimi alla superficie:

– la regione del tessuto urbano (urban canopy);

– il sottostrato di rugosità (roughness sub-layer).

Partendo dal basso vi è innanzitutto il cosiddetto tessuto urbano, ovvero quel-la regione occupata dagli edifici, all’interno della quale la corrente dipendedall’orientazione e dalla posizione reciproca degli stessi. In questa zona sipossono formare strutture ricircolanti semi-permanenti. Immediatamente al disopra della regione occupata dagli ostacoli, è presente la zona del sottostratodi rugosità (roughness sub-layer), nella quale la corrente risente degli effetti discia dei singoli ostacoli e presenta pertanto delle disomogeneità nei piani oriz-zontali. Tale zona si estende sino ad un’altezza, detta di omogeneizzazione(blending height) z∗, alla quale si è sufficientemente distanti dal tessuto urba-no perché gli effetti di scia dei singoli ostacoli si mascherino reciprocamente;a tale altezza, la corrente avverte la presenza dell’insieme degli edifici comeun unico indistinto elemento di resistenza aerodinamica, distribuito in modoomogeneo sulla superficie.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

tessuto urbano

sottostrato di rugosità

regione inerziale

regione esterna

(z) −ρ<uw>

U(z)

z z

z∗

h

Fig. 9.5 – Suddivisione verticale dello strato limite urbano in condizioni di stabilitàneutra.

Al di sopra dell’altezza di omogeneizzazione si estende la zona inerziale ovevale la già citata legge logaritmica di parete. La legge però viene usualmenteriscritta con l’aggiunta di un nuovo parametro d, detto altezza di spostamen-to, il quale permette di traslare verticalmente, rispetto al valore zo, il pianovirtuale sul quale la velocità media si annulla:

U

u∗=

1k

lnz − d

zo9.2

Il parametro d viene introdotto allorquando nella zona più prossima a pare-te sono presenti regioni ricircolanti di fluido e l’estrapolazione del profilo divelocità medie sino a terra, mediante la 9.1, comporta una approssimazioneeccessiva nella descrizione del campo di moto6. Inoltre, l’introduzione di unnuovo parametro permette di ridurre la dispersione di valori assunti da zo, chealtrimenti risulterebbero variabili di 5 ordini di grandezza.La descrizione usualmente adottata delle caratteristiche del campo di motoche si instaura in queste due regioni, seppur qualitativa, identifica tre diversi

6In base a queste considerazioni anche la legge di potenza può essere riscalata tenendo in contodell’altezza di spostamento d, scrivendo U

Uh= ( z−d

h−d)n.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

(a)

(b) (c)

Fig. 9.6 – Regimi di flusso al di sopra di gruppi di ostacoli: (a) rugosità isolate, (b)interferenza di scia, (c) skimming-flow.

regimi di flusso, in funzione della densità degli ostacoli, una variabile cheviene espressa come rapporto tra H , altezza degli ostacoli, e W , distanza tragli stessi7.Nel primo regime, detto di rugosità isolate (per rapporti H/W < 0.15÷ 0.2),gli ostacoli sono sufficientemente lontani perché la corrente, prima di investi-re un secondo ostacolo, ritorni nelle condizioni nelle quali si trovava prima diincontrare il precedente. Si osserva una regione di ricircolazione non stazio-naria che si estende a valle dell’ostacolo per una distanza pari a circa 2-3 voltel’altezza dello stesso. Anche a monte dell’ostacolo si instaura una regione diricircolazione, meno estesa, sia in orizzontale che in verticale. Per quanto ri-guarda la dispersione di un inquinante, la scia a valle di un ostacolo tendea immagazzinare inquinanti trattenendoli in un moto di ricircolo, che tutta-via scambia massa con la corrente esterna mediante il distacco intermittentedi strutture vorticose. Per valori di H/W compresi tra 0.2 e 0.65 si insaturaun diverso regime di flusso detto di interferenza di scia, nel quale gli edificisono sufficientemente vicini affinché le scie interferiscano tra loro, dando ori-gine a configurazioni del campo di moto particolarmente complesse. Infine,

7T.R. Oke, Boundary layer climates, 2nd ed., Metheun, London, 1987.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

avvicinandosi ulteriormente gli ostacoli, la distanza tra gli stessi è ridotta alpunto che si stabilisce un’unica struttura di ricircolazione nelle cavità (si for-mano comunque vortici secondari negli angoli, non rappresentati in figura):si è in regime di skimming flow. In questo ultimo caso, l’influenza reciprocatra corrente esterna e regione ricircolante è molto ridotta rispetto al caso pre-cedente, e l’interazione tra le due regioni è determinata dalla dinamica di unsottile strato di scorrimento che si instaura all’interfaccia.Tornando ai parametri d, zo e z∗, la loro determinazione è usualmente fatta se-guendo leggi empiriche, che ne definiscono il valore in funzione di proprietàgeometriche del gruppo di ostacoli investiti dalla corrente. In prima appros-simazione sono definite relazioni che tengono conto unicamente dell’altezzamedia degli ostacoli8:

z∗ = a < H >

zo = b < H >

d = c < H >

con 2.5 < a < 4.5, b � 0.1 e c � 0.7.

In seconda approssimazione, oltreché l’altezza media degli ostacoli, si consi-dera anche la distanza tra gli stessi, facendo riferimento ai tre regimi di flussosopra presentati. Per l’altezza di omogeneizzazione, viene fornita la relazione:

z∗ =< H > +1.5 < W >

Per quanto riguarda gli altri due parametri, in fig. 9.7 sono presentate due curveottenute empiricamente, che esprimono la variazione di d e zo, adimensionatirispetto all’altezza media degli edifici, in funzione del rapporto H/W ; oppurecon un’analisi estesa alla terza dimensione, in funzione di fattore di porositàλp, dato del rapporto tra la porzione di superficie occupata dagli ostacoli sulpiano orizzontale e la superficie totale.La trattazione dell’argomento è limitata a considerazioni di carattere qualitati-vo, perché sono ancora molti i tratti del fenomeno che riflettono l’indetermina-tezza propria della descrizione dei moti turbolenti. Per riassumere, il calcolo

8C.S.B. Grimmond, T.R. Oke, Aerodynamic properties of urban areas derived from analysis ofsurface form, Journal of Applied meteorology, Vol. 38, 1999.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

ambienteurbano

0.2

0.2

0.4

0.4

0.6

0.6

0.8

0.8

p

zο / H

d / H

Fig. 9.7 – Variazione dell’altezza di spostamento d e dell’altezza di rugosità superficialezo in funzione del fattore di porosità λp di un gruppo di ostacoli.

dei processi di dispersione di inquinanti in ambiente urbano alla scala dellacittà o del quartiere, deve far fronte ai seguenti a due problemi:

– come caratterizzare gli strati bassi dell’atmosfera, tenendo conto del-l’influenza della geometria degli ostacoli sulla dinamica dello stratolimite terrestre nella regione dominata da instabilità di tipo inerziale;

– come descrivere i fenomeni di scambio di quantità di moto e di massatra le regioni di fluido ricircolante e la corrente esterna.

Per la simulazione numerica di tali fenomeni, si hanno due possibilità: rico-struire i tratti salienti della geometria urbana nella sua complessità all’internodel dominio di calcolo, risolvendo per via numerica le equazioni di quantitàdi moto e di trasporto, oppure attuare delle semplificazioni nei modelli mate-matici da adottare mediante la parametrizzazione dei processi di scambio dimassa.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

U

Fig. 9.8 – Trasporto di un inquinante all’interno di uno street canyon.

La scala della strada: lo street canyon.

La scala della strada è particolarmente studiata nel contesto dei problemi didispersione di inquinanti in ambiente urbano. In tal caso l’interesse è dato dal-la prossimità tra sorgente (tubi di scarico del traffico veicolare) e i ricettori,in un ambiente particolarmente schermato dall’influenza del vento, all’internodel quale la dispersione delle sostanze inquinanti è molto limitata, e le carat-teristiche del campo di moto possono essere tali da rendere elevate le concen-trazioni in prossimità del suolo. Un caso classico di studio è rappresentato dauna corrente in una strada confinata tra due edifici, posti perpendicolarmentealla direzione del vento, la cui distanza sia di molto inferiore alla lunghezzadella strada stessa, in modo tale che il fenomeno possa essere considerato, perquanto riguarda il moto medio, bidimensionale.Negli ultimi vent’anni, numerose ricerche sono state dedicate alla rappresen-tazione del campo di moto e della dispersione all’interno di uno street-canyon.Molti modelli adottati9 assumono uno scambio di massa all’interfaccia diret-tamente proporzionale alla velocità della corrente esterna, con formule per il

9R. Berkowicz et al., Modelling traffic pollution in streets, National Environmental ResearchInstitute, Denmark, 1997.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

calcolo della concentrazione di fondo C all’interno del canyon, del tipo:

Q = αMq

UHD29.3

Nella 9.3 α è una costante empirica i cui valori sono compresi tra 6 e 13, UH

è una scala delle variazioni di velocità della corrente esterna, assunta comescala del campo di moto all’interno della cavità, D è una lunghezza caratteri-stica - l’altezza del meato - e Mq è la portata in massa di inquinante immessaall’interno del canyon stradale. In tal modo viene calcolata una concentrazio-ne di fondo all’interno della cavità. Per tener conto di eventuali inomogeneitàall’interno del canyon, dovute al carattere quasi stazionario della corrente ri-circolante, si può sovrapporre un trasporto convettivo lungo le linee di correntedella velocità media, che si allarga in senso trasversale con opportune leggi didispersione, fig. 9.7. Tali modelli, seppur semplici, permettono in molti casi diottenere risultati sufficientemente accurati, nel caso in cui il fattore geometri-co H/W non si discosti troppo dall’unità. Le cose si complicano nel caso incui il meato divenga più stretto, per l’instaurarsi di più strutture ricircolanti insenso opposto all’interno dello stesso; oppure nel caso in cui il meato divengapiù ampio poiché il campo di moto si fa più complesso. In regime di interfe-renza di scia, la struttura dello strato di scorrimento all’interfaccia tra il meatoe la corrente esterna diviene meno definita, e gli scambi di massa sono caratte-rizzati dal rilascio intermittente di strutture vorticose di scala H . Nello studiodi questi problemi, i fenomeni termici risultano essere poco rilevanti, a menoche non ci si trovi in condizioni di calma di vento o quasi, dal momento che cisi trova ben al di sotto dell’altezza di Monin-Obukhov.

9.4. UN CENNO ALLE REAZIONI CHIMICHE

Volendo calcolare il campo di concentrazioni di un inquinante in seguito allasua emissione e dispersione in atmosfera, si devono anche prendere in con-siderazione - quantificandone l’entità - i principali meccanismi di rimozionee trasformazione, a cui l’inquinante è sottoposto. La rimozione avviene me-diante i processi di deposizione secca e di deposizione umida - che riguarda inprimo luogo il particolato nonché i gas solubili in acqua - i quali trasferisconogli inquinanti al suolo o nei diversi sistemi idrici.La trasformazione di un inquinante in atmosfera può avvenire sia per via fi-sica - dissoluzione di gas in fase acquosa, adsorbimento su superfici solide di

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

particelle e relativi processi inversi - sia per via chimica, a seguito di processi,per lo più molto complessi, che coinvolgono un gran numero di composti10.

L’aspetto di particolare interesse di tali fenomeni è dato dal fatto che non sem-pre i processi di trasformazione delle specie chimiche vanno nel senso di unariduzione dell’inquinamento atmosferico, dal momento che i prodotti delletrasformazioni sono talvolta più nocivi dei precursori. Questo porta a distin-guere tra inquinanti primari e inquinanti secondari, a seconda che questi sianoimmessi direttamente in atmosfera o che siano originati da trasformazioni chi-miche. Sia gli inquinanti primari sia quelli secondari possono presentarsi allostato gassoso, liquido o solido (in forma di particolato). Il particolato seconda-rio è frutto di reazioni chimiche e chimico-fisiche che coinvolgono inquinantigassosi primari e secondari. I principali inquinanti primari sono:

– ossidi di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NO,NO2), ossidi di carbonio(CO, CO2);

– idrocarburi incombusti (HC);

– idrocatburi policiclici aromatici (IPA);

– metalli pesanti (zinco, piombo, vanadio, etc.);

– particelle sospese incombuste o incombustibili (ceneri, polveri,goccioline di catrame, etc.);

– composti alogenati (solventi, refrigeranti);

– elementi radioattivi.

A questi prodotti andrebbe aggiunto il vapor acqueo, che è prodotto dalle com-bustioni, e che non è un inquinante in senso proprio, ma lui cui presenza puòmodificare il bilancio di energia radiante tra la terra e l’ambiente esterno. Va-por acqueo e anidride carbonica sono innocui in quanto tali, ma la loro presen-za può comportare modifiche climatiche a lungo termine, come l’effetto serra.In particolare, il vapor acqueo ha non solo una rilevanza diretta per ragioni bio-logiche, ma contribuisce a controllare e limitare la dinamica giornaliera delletemperature; il vapor acqueo assorbe la radiazione emessa nella banda di lun-ghezza d’onda compresa tra 5.5 e 7 μm, ed in quella superiore a 14 μm; uno

10La rimozione può anche avvenire per via biologica, in seguito a reazioni dovute alla respirazionedi piante e batteri.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

strato d’aria notevolmente umida dello spessore di 50 metri può considerarsiopaco per una radiazione di tale lunghezza d’onda.

I principali inquinanti secondari sono:

– il biossido di azotoNO2, che pur essendo emesso anche direttamen-te, è in gran parte il prodotto dell’ossidazione dell’ossido di azoto(NO);

– l’ozono O3 e il perossiacetilnitrato (PAN), considerati gli indicatoriprincipali del cosiddetto smog fotochimico;

– il particolato originato da trasformazioni chimiche di inquinantigassosi primari.

In ambiente urbano si trovano alte concentrazioni di inquinanti primari, cheinnescano due diversi processi di trasformazione chimica:

– la produzione di aereosol secondario o smog11;

– la generazione di smog fotochimico.

La produzione di aerosol secondario

L’aerosol secondario è il risultato della trasformazione chimica di inquinantigassosi primari in sostanze chimiche a bassa tensione di vapore, che si ag-gregano a formare particelle nuove o condensano sulla superficie di particellepreesistenti; oppure deriva da reazioni chimiche che si svolgono nell’aerosolprimario12.

11La parola smog, sintesi dei vocaboli inglesi smoke e fog, è stata coniata all’inizio del XX secoloda un medico londinese per indicare la fitta coltre di nebbia e pulviscolo che avvolgeva la cittàdi Londra. Lo smog londinese era, in effetti, un prodotto diretto della presenza naturale dellanebbia e del fumo dato dalla combustione di carbone, con cui erano alimentati tutti gli impiantidi riscaldamento e quelli produttivi.

12 J.H. Seinfeld, Atmospheric chemistry and physics of air pollution, John Wiley & Sons, 1986.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

La formazione del particolato secondario è dovuta principalmente a:

– l’ossidazione in fase gassosa di SO2 in SO3, seguita, in un am-biente umido, da una reazione con vapor acqueo, che produce infineH2SO

−4 ; oppure, ad altri percorsi di trasformazione dell’SO2, che

richiedono la presenza del radicale liberoOH−, ma che si concludo-no comunque nella produzione di acido solforico. L’acido solforico,una volta comparso, cattura vapor acqueo e forma nuclei di nuoveparticelle o condensa su quelle preesistenti.

– la trasformazione di NO2 in nitrati NO−3 .

In generale, il particolato è classificato in funzione della dimensione delle par-ticelle solide da cui è composto. Convenzionalmente le particelle con diame-tro superiore ai 2.5 μm sono classificate come grossolane, mentre quelle condiametro inferiore sono classificate come fini. La distinzione più importante,ai fini sanitari e tossicologici, riguarda le particelle con diametro inferiore ai10 μm; in particolare, le particelle con diametro compreso tra 0.1 μm e 5 μmsono sufficientemente piccole da essere inalate e sufficientemente grandi darestare imprigionate nella regione faringea, tracheobronchiale e alveolare. Ilparticolato secondario è formato da particelle di diametro compreso tra 0.01 a2 μm, mentre il particolato primario ha dimensioni comprese tra 1 e 100 μm.Da un punto di vista della dispersione atmosferica il particolato con diametroinferiore ai 10 μm (PM10) si comporta come un generico inquinante in formagassosa, essendo la dimensione delle particelle non sufficientemente grandeperché la forza di gravità possa agire in modo efficace su di esse (Cfr. 6.2).

Smog fotochimico

Il termine smog, inizialmente coniato per la specificità dell’inquinamento lon-dinese, è passato nel corso degli anni ad indicare qualsiasi intorbidimento del-l’aria indotto da una copiosa emissione di sostanze inquinanti. In particolarmodo, si indica come smog fotochimico la coltre di foschia di colore marrone-grigio che occupa gli strati più bassi dell’atmosfera, al di sopra di quelle cittàche si trovano in regioni calde e soleggiate. La presenza di smog fotochimi-co venne rilevata per la prima volta nell’area di Los Angeles, tra la fine degli

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, da ricercatori che notarono il variare, nelcorso della giornata, delle concentrazioni in atmosfera di sostanze inquinanti,alcune delle quali mostravano dei picchi in corrispondenza delle prime ore delmattino, nelle ore di punta, allorché il traffico raggiungeva i livelli massimi,mentre altre rivelavano la loro presenza a metà giornata. La concentrazionedei vari inquinanti variava anche nel corso del pomeriggio e della sera, cosic-ché divenne evidente come vi fossero trasformazioni chimiche, indotte dallealte temperature e dalla radiazione solare. In sintesi, lo smog fotochimico ègovernato dalle emissioni di ossido di azoto e composti volatili organici reat-tivi. Gas emessi in atmosfera da sorgenti inquinanti - i cosiddetti inquinantiprimari, NO e composti organici (R) - reagiscono, in presenza di radiazio-ne solare, per formare inquinanti secondari, principalmente biossido di azoto(NO2), ozonoO3 e perossiacetilnitrato (PAN)13. L’NO2 rappresenta sia l’ini-ziatore sia il prodotto finale di questo ciclo di reazioni. In un ambiente non in-quinato, l’ozono è presente nei bassi strati dell’atmosfera, come risultato dellafotolisi dell’NO2; se ne può individuare un ciclo giornaliero di produzione edistruzione:

NO2 + hνk1→ NO +O hν < 430 nm

O +O2 +M → O3 +M

O3 +NOk2→ NO2 +O2

doveM è un catalizzatore che non partecipa alla reazione (ad. es. N2), hν è laradiazione elettromagnetica e k1 e k2 sono due costanti cinetiche di reazione.Le prime due reazioni avvengono durante il giorno, l’ultima invece durantela notte, allorquando cessa l’apporto di energia da parte della radiazione ul-travioletta proveniente dal sole. In assenza di altre specie chimiche, raggiuntouno stato pseudostazionario, la concentrazione di ozono è data dalla relazione:

[O3] = k1[NO2]/k2[NO] 9.4

13L’ozono dato dallo smog fotochimico è spesso indicato come ozono troposferico, per distin-guerlo da quello presente nella stratosfera, non perché sia diverso chimicamente, ma perché ilsecondo svolge una funzione protettiva della superficie terrestre, assorbendo gran parte dellaradiazione ultravioletta.

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9. DISPERSIONE DI INQUINANTI IN AMBIENTE URBANO

In un ambiente urbano tale processo di produzione e di eliminazione risul-ta alterato, e le concentrazioni di ozono sono superiori14 a quelle calcolabiliricorrendo alla relazione 9.4. La fotolisi dell’NO2 rimane comunque l’unicomeccanismo noto di produzione di ozono; pertanto, un aumento delle con-centrazioni di ozono è sicuramente correlato a un aumento della presenza diNO2. Quest’ultimo è per la maggior parte un inquinante secondario; l’eccessodi produzione15 è dovuto ad una trasformazione di idrocarburi volatili e aldei-di (R), emessi come gas di scarico degli autoveicoli in radicali liberi (R∗)16,i quali a loro volta reagiscono con l’ossido di azoto NO per formare NO2.Il ciclo pertanto è completato da una serie di reazioni, che sintetizziamo nelleseguenti:

R+OH− → R∗ +H2O

R∗ +NO → NO2 +R∗∗

laddoveR∗∗ sta ad indicare nuovi radicali liberi. L’altra componente principa-le dello smog fotochimico è il PAN17, il perossiacetilnitrato (HC(O)O2NO2),un gas di elevata tossicità, formato dalla reazione tra biossido di azoto e l’ace-tilperossido, un altro radicale libero frutto della ossidazione dell’acetilaldeide(HCHO) da parte dello ione OH−:

HCHO +OH− +O2 → HC(O)O2 +H2O

HC(O)O2 +NO2 → HC(O)O2NO2

14Gli effetti sulla salute dell’ozono variano con il tasso di esposizione del ricettore. A brevetermine alte concentrazioni di ozono producono l’irritazione delle vie respiratorie, tosse, diffi-coltà di respirazione e insufficienza polmonare. Gli effetti a lungo termine consistono in dannipolmonari di vario tipo, soprattutto in anziani, bambini e asmatici.

15J.H. Seinfeld, op. cit.

16Per lo più radicali perossialchili e perossiaciclici. In questa reazione, come in altre reazionichiave della chimica dell’atmosfera, è importante il ruolo dello ione ossidrile OH−.

17Il PAN è negli ultimi tempi considerato il principale tracciante dello smog fotochimico, poiché,a differenza dell’ozono, non viene prodotto naturalmente.

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

A.1. INTRODUZIONE

Riportiamo in questa appendice le equazioni fondamentali della fluidodinami-ca, invitando il lettore che desiderasse approfondire l’argomento a consultare:C. Cancelli, Fluidodinamica ambientale - equazioni e proprietà fondamentali,Otto editore Torino. La notazione utilizzata in questo testo è quella tensoriale,che fa uso di indici per indicare le componenti in un sistema cartesiano di rife-rimento xi con i = 1, 2, 3. La convenzione prevalentemente adottata1 è quellache assume x2 come l’asse verticale, normalmente indicato in molti altri testicome l’asse z. Le quantità scalari sono rappresentate da simboli privi di indici,i vettori da lettere munite di un solo indice (ad es. la velocità è indicata comeui) ed i tensori da simboli aventi una coppia di indici (ad es. pij è il tensoredei flussi). Anche se la notazione tensoriale potrebbe consentire una scritturapiù compatta, le operazioni di derivata sono espresse in modo esplicito, con ilconsueto simbolo di frazione.

In alcuni paragrafi del testo, per evidenziare la dipendenza dal tempo, si è ag-giunto l’indice t alla lettera che rappresenta il valore istantaneo di una grandez-za. Quando ciò accade, al simbolo privo dell’indice t è riservato il significatodi fluttuazione rispetto ad un valore medio, che è invece scritto con la letterain maiuscolo; la scomposizione utilizzata è dunque: qt = Q+ q. Non vi è ri-

1Nei paragrafi in cui viene esplicitamente utilizzata la terna xyz le componenti dei vettori sonoscritte mediante gli indici corrispondenti, ad es. come ux, uy , uz oppure con simboli appositi,che per la velocità sono: u, v, w.

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

schio di confondere la grandezza istantanea con la sua fluttuazione, perchè neltesto viene sempre specificato a quale convenzione si sta facendo riferimento.

Per scrivere le equazioni in forma vettoriale è sufficiente utilizzare i simboli inneretto per rappresentare i vettori (ad es. u è la velocità) ed impiegare l’ope-ratore di derivazione simbolica nabla ∇. Con tale notazione il gradiente, cherappresenta la derivata nella direzione di più intensa variazione di un genericocampo scalare q, si scrive:

grad q = ∇q =3∑

i=1

∂q

∂xiki =

∂q

∂xiki =

∂q

∂x1k1 +

∂q

∂x2k2 +

∂q

∂x3k3 A.1

Nella A.1 si sono indicati con ki i versori degli assi e si è introdotta la consue-tudine di abrogare il simbolo di sommatoria nel caso ci siano indici ripetuti.L’operatore di divergenza, che si applica ad un campo vettoriale u per ricavareuna quantità scalare, è espresso come prodotto simbolico:

div u = ∇ · u =∂ui

∂xi=∂u1

∂x1+∂u2

∂x2+∂u3

∂x3A.2

Per rappresentare la derivata totale o materiale (o lagrangiana) è invecenecessario utilizzare la seguente convenzione:

Dq

Dt=∂q

∂t+ (u · ∇) q =

∂q

∂t+ ui

∂q

∂xi=

∂q

∂t+ u1

∂q

∂x1+ u2

∂q

∂x2+ u3

∂q

∂x3A.3

La quantità scalare q può anche essere interpretata come la generica compo-nente di un vettore; considerando allora la velocità e ponendo q = ui nella A.3,si può esprimere l’accelerazione di una particella nel seguente modo:

DuDt

=∂u∂t

+ (u · ∇) u =∂u∂t

+ uj∂u∂xj

=∂u∂t

+ u1∂u∂x1

+ u2∂u∂x2

+ u3∂u∂x3

A.4

Il termine convettivo (u · ∇) u è responsabile del comportamento non linearedelle equazioni.

438

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

A.2. L’EQUAZIONE DI BILANCIO PER UNA GENERICA VARIABILE

L’equazione di bilancio per una generica variabile fluidodinamica vettoriale qisi esprime (cfr. Cancelli op. cit., 1) come:

∂qi∂t

= sqi− ∂Fji

∂xjA.5

dove sqirappresenta l’insieme delle sorgenti, ovvero delle cause interne di

variazione di qi, mentre Fji esprime il flusso complessivo di qi nella direzionexj .

Il tensore Fji è il risultato:

– del flusso convettivo, provocato dal trasporto nella direzione j-esimadella componente i-esima della grandezza q, e quindi esprimibilecon il prodotto qiuj ;

– dell’agitazione termica delle molecole, il cui effetto è rappresentabi-le come un tensore tji.

La scomposizione si esprime perciò con la seguente relazione:

Fji = qiuj + tji A.6

A.3. L’EQUAZIONE DI CONSERVAZIONE DELLA MASSA

L’equazione di conservazione della massa (o di continuità) si ottiene facil-mente considerando nella relazione A.5 la densità del fluido ρ; le sorgenti dimassa sono nulle mentre il flusso corrispondente si riduce solamente a quelloconvettivo Fρ = ρu, dato che il trasporto di massa è un espressione linea-re delle velocità delle molecole ed il flusso molecolare di massa risulta nullo.Sostituendo nella A.5 si ottiene l’equazione cercata:

∂ρ

∂t= − ∂

∂xj(ρuj) A.7

439

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

Se sviluppiamo il gradiente a secondo membro:∂

∂xj(ρuj) = uj

∂ρ

∂xj+ ρ

∂uj

∂xj

e portiamo nella A.7 tutto a sinistra, si ottiene il risultato di far apparirenell’equazione di continuità la derivata totale:

∂ρ

∂t+ uj

∂ρ

∂xj+ ρ

∂uj

∂xj=Dρ

Dt+ ρ

∂uj

∂xj= 0 A.8

L’operazione si rivela particolarmente utile nel caso di densità costante, perchél’equazione di continuità si trasforma nella condizione di divergenza nulla perla velocità (cfr. A.2).

L’equazione di continuità permette di ricavare, per una qualunque quantità c,la relazione seguente:

∂(ρc)∂t

+∂(ρujc)∂xj

= ρDc

DtA.9

Per verificare la A.9 basta svolgere le derivate ed utilizzare la A.7.

A.4. L’EQUAZIONE DI BILANCIO DELLA QUANTITÀ DI MOTO

L’equazione di bilancio della quantità di moto si ricava ponendo qi = ρui

nella relazione A.5. Il termine di sorgente è costituito dal campo di forze:si = ρHi, dove Hi è l’intensità del campo - nel caso gravitazionale Hi =gi. Il flusso di quantità di moto è funzione quadratica delle velocità e risultadalla somma degli effetti convettivi ρujui con quelli prodotti dall’agitazionetermica delle molecole. Per questi ultimi usiamo genericamente il simbolo pij .La A.5 diventa così:

∂t(ρui) = ρHi − ∂

∂xj(ρujui + pij) A.10

I flussi molecolari di quantità di moto pij possono venire distinti, a loro volta,tra quelli di equilibrio termodinamico - esistenti in condizioni di quiete e di

440

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

uniformità del fluido - e quelli di disequilibrio, che nascono allorché sonopresenti gradienti causati dal movimento:

pji = (pji)eq + (pji)diseq A.11

Il flusso molecolare nelle condizioni di equilibrio (quiete) corrisponde allosforzo normale isotropo2, prodotto dalla pressione termodinamica p. Utiliz-zando il tensore doppio unitario, rappresentato dal simbolo δij (che vale 1solo se i = j, essendo altrimenti nullo) possiamo porre:

(pji)eq = pδij A.12

Il tensore dei flussi molecolari di disequilibrio richiede invece l’introduzionedi opportune leggi costituive, che per essere formulate necessitano del tensoredelle velocità di deformazione, che è così definito:

Dij =12

(∂ui

∂xj+∂uj

∂xi

)A.13

Le leggi costitutive per i fluidi newtoniani si esprimono in forma lineare,mediante due coefficienti di viscosità μ e η:

(pji)diseq =(η − 2

)Dkkδij − 2μD

ijA.14

Adottando l’ipotesi di Stokes, secondo la quale il coefficiente di viscosità vo-lumica η può ritenersi nullo3, il valore medio pm = 1

3pij del tensore dei flussi

2La possibilità di interpretare lo scambio di quantità di moto dovuto all’agitazione termica, comeil risultato di forze elementari agenti sulla superficie di volumetti fluidi infinitesimi, permettedi riconoscere pij come il tensore degli sforzi della teoria dei continui, a parte una eventualediversa convenzione sul segno della normale.

3A rigore non lo sarebbe per i gas pluriatomici come l’aria, ma il suo ruolo è importante solo inpresenza di rapidissime espansioni o contrazioni.

441

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

molecolari coincide sempre con p, il valore degli sforzi normali in equilibriotermodinamico. Facendo uso della A.13 l’equazione costitutiva si trasformanel seguente modo:

pji = pδij − 23μDkk − 2μD

ij= pδij − 1

3μ∂uk

∂xkδij − μ

(∂ui

∂xj+∂uj

∂xi

)

Calcoliamo la divergenza dei flussi:

∂pji

∂xj=

∂xj(pδij) +

23∂

∂xj

(μ∂uk

∂xkδij

)− ∂

∂xj

(∂ui

∂xj+∂uj

∂xi

))

Osserviamo che l’effetto delle sommatorie sul simbolo δij è solamente quel-lo di sostituire l’indice ripetuto j con l’indice libero i ed ipotizziamo chela viscosità sia costante4, così da poter estrarre μ dall’operatore di derivata.L’espressione precedente si trasforma nel seguente modo:

∂pji

∂xj=∂p

∂x+

23μ∂

∂xi

(∂uk

∂xk

)− μ

[∂

∂xj

(∂ui

∂xj

)+

∂xj

(∂uj

∂xi

)]

Scambiando l’ordine di derivazione dell’ultimo termine, possiamo mettere inevidenza la divergenza della velocità (A.2):

∂pji

∂xj=

∂p

∂xi+

23μ∂

∂xi

(∂uk

∂xk

)− μ

∂xj

(∂ui

∂xj

)− μ

∂xi

(∂uj

∂xj

)

Poichè essa è già presente nel terz’ultimo termine5, possiamo semplificareulteriormente la relazione precedente, osservare che nel penultimo addendo

4A rigore non lo sarebbe perché dipende dalla temperatura, ma la dipendenza è modesta, co-me suggerisce la la legge di Sutherland, che fornisce la viscosità dell’aria con la relazioneμ = 1.78 · 10−5 398

T+110

`T

288

´1.5. L’unità di misura di μ è Pa s; le temperature T sono assoluteed espresse in K.

5Ricordiamo che non è importante quale lettera, j o k si utilizzi per rappresentare un indiceripetuto, dato che esso scomparirà esplicitando le sommatorie sottointese.

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

è anche possibile riconoscere la presenza dell’operatore di Laplace ∂2

∂xj∂xj=

∇2, e pervenire all’espressione finale:∂pji

∂xj=

∂p

∂xi− 1

3μ∂

∂xi

(∂uk

∂xk

)− μ

∂2ui

∂xj∂xjA.15

Sostituiendo la A.15 nella A.10, otteniamo l’equazione di bilancio dellaquantità di moto:

∂t(ρui) = ρHi − ∂

∂xk(ρukui) − ∂p

∂xi+

13μ∂

∂xi

(∂uk

∂xk

)+ μ

∂2ui

∂xk∂xk

A.16

Grazie alla A.9 con c = ui è possibile far comparire esplicitamente l’accele-razione della particella fluida ed esprimere il bilancio di quantità di moto informa di Seconda Legge delle Dinamica

ρDui

Dt= ρHi − ∂p

∂xi+

13μ∂

∂xi

(∂uk

∂xk

)+ μ

∂2ui

∂xk∂xkA.17

A.5. L’EQUAZIONE DI BILANCIO DELL’ENERGIA MECCANICA

Moltiplicando l’equazione della quantità di moto per la velocità è possibile ot-tenere un bilancio di energia meccanica. Per brevità conviene lasciare indicatinell’espressione pki = pδki + (pki)diseq i flussi molecolari di quantità di mo-to corrispondenti alle condizioni di disequilibrio. La moltiplicazione di amboi membri della A.16 per ui, fornisce la relazione seguente:

ui∂

∂t(ρui) = uiρHi − ui

∂xk(ρuiuk) − ui

∂p

∂xi− ui

∂ (pik)dis

∂xkA.18

Si tratta di un prodotto scalare, perchè la sommatoria è sottointesa. Portandoui sotto il segno di derivata è facile far comparire l’energia cinetica. Il primomembro può essere così trasformato:

ui∂

∂t(ρui) =

∂t

(ρuiui

2

)=

∂t

(12ρu2

)

443

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

Anche il secondo termine a destra dell’uguale può subire una modifica analogae, grazie alla regola della derivata del prodotto, scomporsi nella somma di dueaddendi:

ui∂

∂xk(ρuiuk) =

∂xk

(12ρu2uk

)= uk

∂xk

(12ρu2

)+

12ρu2∂uk

∂xk

Sostituendo, si perviene all’equazione di bilancio dell’energia meccanica:

∂t

(12ρu2

)=uiρHi − uk

∂xk

(12ρu2

)− 1

2ρu2∂uk

∂xk− ui

∂p

∂xi− ui

∂ (pik)dis

∂xk

A.19

Termini di disequilibrio (viscosi) trascurabili, fluido incomprimibile (che ri-chiede l’annullarsi della divergenza della velocità) e l’ipotesi di forze di camponulle6, permettono di ridurre l’equazione A.19 alla forma seguente:

∂t

(12ρu2

)= −uk

∂xk

(12ρu2

)− ui

∂p

∂xiA.20

Nonostante si usino lettere differenti per gli indici, nei termini a destra del-l’uguale è facile riconoscere la presenza dell’operatore gradiente (cfr. eq. A.1)moltiplicato scalarmente per la velocità. Se il moto risulta stazionario, il pri-mo membro della A.20 si annulla e con esso anche il prodotto tra la velocità edil gradiente della quantità7 1

2ρu2 + p, che deve perciò restare costante - per lo

meno lungo ciascuna linea di corrente. Nelle regioni di moto dove valgono leipotesi precedentemente formulate è quindi possibile scrivere:

12ρu2 + p = po = cost A.21

6A rigore non sarebbe necessario perchè è sufficiente che il campo di forze esterne sia di tipoconservativo, ad esempio gravitazionale, per poter proseguire nella semplificazione della A.19.

7La quantità 12ρu2 + p si chiama binomio di Bernoulli, dal nome dello studioso svizzero che

per primo ne intuì le proprietà di conservazione, o anche pressione totale, dato che è sommadella pressione cinetica e di quella statica.

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

A.6. L’EQUAZIONE DI BILANCIO DELL’ENERGIA

Per trovare l’equazione dell’energia basta considerare nella A.5 la grandezzascalare che rappresenta l’energia totale per unità di volume q = ρetot som-ma di quella cinetica 1

2ρu2 e di quella interna8 ρe. Il termine di sorgente è

costituito dalla potenza delle forze di campo s = ρHiui mentre quello cherappresenta il flusso di energia nasce dalla combinazione di:

– un flusso convettivo ρuietot;

– un flusso associato all’agitazione termica delle molecole fi, checoincide con lo scambio di calore espresso dalla legge di Fourier:

fi = −λ ∂T∂xi

nella quale λ è il coefficiente di diffusione termica del fluido, perl’aria pari a 2.4 × 10−2Wm−1K−1;

– un termine misto, di accoppiamento tra il moto medio e quellomolecolare, correlato sia alle condizioni di equilibrio (ovvero allapressione) sia alle condizioni di disequilibrio:

pijuj = pδijuj + (pij)dis uj

L’espressione complessiva è perciò la seguente:

Fi = ρuietot + fi + pikuk

Sostituendo le diverse relazioni nella A.5 si ricava l’equazione di bilanciodell’energia totale:

∂t

(12ρu2 + ρe

)= ρHiui − ∂

∂xi

(12ρu2ui + ρeui

)− ∂fi

∂xi− ∂

∂xi(pui) − ∂

∂xi

((pij)dis uj

)A.22

8In termodinamica l’energia interna e è riferita all’unità di massa; per un gas perfetto essa rappre-senta l’energia cinetica delle molecole associata all’agitazione termica e risulta funzione dellasola della temperatura: e = cvT .

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

Sviluppando le derivate con la regola del prodotto e sottraendo da essa l’equa-zione di bilancio dell’energia meccanica A.19, si ottiene un bilancio di energiapuramente termica:

∂t(ρe) = − ∂

∂xi(ρeui) − ∂fi

∂xi− p

∂ui

∂xi− (pij)dis

∂uj

∂xiA.23

Sostituendo al flusso termico l’espressione che deriva dalle legge di Fouriered introducendo la funzione di dissipazione D, che è definita dalla seguenterelazione

D = − (pij)dis∂uj

∂xi= − (pij)dis Dij

si trova l’equazione:

∂t(ρe) = − ∂

∂xi(ρeui) + λ

∂2T

∂xi∂xi− p

∂ui

∂xi+ D A.24

La funzione di dissipazione D rappresenta la trasformazione irreversibile dienergia meccanica in energia termica causata dalla viscosità e, grazie al segnonegativo che compare nella sua definizione, risulta essere funzione quadratica,sempre positiva, delle derivate della velocità.

Utilizzando ancora la A.9 è possibile esprimere il bilancio di energiatermica A.24 nella seguente forma:

ρDe

Dt(ρe) = λ

∂2T

∂xi∂xi− p

∂ui

∂xi+ D A.25

A.7. LO STATO TERMODINAMICO ED IL QUADRO CONCLUSIVO

DELLE EQUAZIONI

Nei casi in cui la densità del fluido può essere ritenuta costante, le incogni-te del problema si riducono a velocità e pressione; l’equazione di continuità equella di bilancio della quantità di moto permettono, almeno in linea di prin-cipio, di determinare la soluzione una volta note le condizioni inziali ed al

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

contorno. Conosciuto il campo di moto, l’equazione dell’energia consente dideterminare successivamente anche il campo di temperatura.Se la densità non può venire considerata costante, il problema deve essererisolto simultaneamente ed occorre aggiungere almeno un’altro paio di equa-zioni per rendere determinata la soluzione matematica, essendo diventato in-cognito lo stato termodinamico del gas. Una prima relazione è rappresentatadal legame tra l’energia interna e la temperatura, legame che per un gas pefettosi traduce nella proporzionalità e = cvT essendo cv il calore specifico a volu-me costante9. La seconda equazione si ricava dallo stato termodinamico, chesupponiamo essere quello di un gas perfetto. In questo caso pressione, densi-tà e temperatura obbediscono alla ben nota legge: p = ρRT/M, nella qualeR = 8314 J kmol−1 K−1 è la costante universale dei gas e M è la massa mole-colare del gas (o della miscela di gas) che per l’aria vale M=28.9 kg / kmol. Ilproblema può essere così ridotto a cinque equazioni indipendenti, con cinqueincognite, le tre componenti di velocità e due sole grandezze termodinamiche,pressione e densità, oppure pressione e temperatura. Naturalmente nulla vietadi considerare anche altre variabili di stato termodinamico, come l’entalpia10

h = e+ p/ρ o l’entropia11.Per completare la discussione sulle equazioni della fluidodinamica sarebbe ne-cessario a questo punto far intervenire un operatore di media. La sua applica-zione mostrerebbe l’esistenza di flussi turbolenti, accanto a quelli molecolari,col vantaggio di predisporre lo schema matematico, che abbiamo fin qui deli-neato, ad una successiva integrazione, per esempio con un metodo numerico.Un aspetto delicato della procedura riguarderebbe la modellazione del flus-si turbolenti in funzione dei valori medi, che è l’argomento trattato nei primi

9A rigore il calore specifico è funzione della temperatura, ma la dipendenza è minima; per l’ariavale cv=720 J / (kg K).

10Nel caso di gas perfetto diventa semplicemente h = cpT .

11Se i processi in gioco sono reversibili ed in particolare avvengono mantenendo costante l’entro-pia, è senz’altro conveniente sostiuire l’equazione dell’energia con quella della trasformazioneisoentropica:

p/ργ−1

γ = cost

essendo γ rapporto dei calori specifici (per l’aria pari a 1.4).

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

capitoli del libro. Invitiamo perciò il gentile lettore a riprendere il filo princi-pale della trattazione e proseguire nell’approfondimento della questione, chequesta appendice ha voluto solo brevemente accennare.

A.8. L’UMIDITÀ

Per trattare lo stato termodinamico dell’aria che compone l’atmosfera è in-dispensabile ricordare che in essa è presente acqua sotto forma di vapore.La circostanza è genericamente indicata come umidità dell’aria e può venireespressa in molte differenti maniere.

Si può ad esempio considerare la pressione (parziale) di vapore12, che in me-teorologia è consuetudine indicare con la lettera e, ma che che noi preferiamorappresentare con il simbolo più esplicito pv. Per ogni valore della tempera-tura la pressione parziale di vapore è limitata da un valore massimo - indicatoanche come tensione di vapore saturo - in corrispondenza del quale si ottienela saturazione della massa di aria umida13. Una riduzione della temperatura, equindi della capacità dell’aria di tenere in soluzione l’acqua allo stato di vapo-re, porta alla condensazione, cioè alla formazione di microscopiche gocciolinedi acqua, della dimensione tipica di una decina di micron.

L’andamento in hPa della tensione di vapore saturo (in corrispondenza dellaquale la fase di vapore è in equilibrio con la presenza di una superficie liquidapiana) si può esprimere in funzione della temperatura t (misurata in ◦C) conla seguente legge empirica:

pv sat = 6.11 exp17.27t

237.3 + t

La circostanza suggerisce anche un’altra modalità di misura dell’umidità. Sipuò infatti caratterizzare indirettamente la presenza di vapore nell’aria attra-

12Nella legge di Dalton si definisce pressione parziale, la pressione che si avrebbe in quello stessovolume ed alle stesse condizioni di temperatura se ci fossero solo le molecole della sostanzache si sta considerando - acqua nello specifico che stiamo trattando.

13Forse sarebbe meglio parlare di pressione di equilibrio., visto che in queste condizioni il numerodi molecole che evaporano eguaglia quelle che tornano a far parte del liquido.

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

verso Tr, la temperatura di rugiada14, che è la temperatura a cui si avrebbela prima apparizione di condensa, durante il progressivo raffreddamento dellamassa di aria. Essa risulterà tanto più prossima alla temperatura vera dell’aria,quanto è più alta la quantità di vapore presente nell’aria, coincidendo con essain condizioni di saturazione.Anche l’umidità relativa fornisce questa informazione. Essendo definita dalrapporto pv/pv sat normalmente espresso in percentuale, essa indica, in mododiretto, la quantità di vapore presente nell’aria rispetto alla condizione massi-ma per quella temperatura: un’umidità relativa del 100% significa che si è incondizioni di saturazione.L’umidità assoluta è invece la concentrazione di vapore, ovvero la massa divapore presente nell’unità di volume di aria e si misura perciò in g/kg. Altregrandezze per la misura dell’umidità sono: q l’umidità specifica, cioè il rap-porto tra la massa di vapore e la massa di aria umida che lo contiene, e w ilrapporto di mescolamento, cioè il rapporto tra la massa di vapore e la massa diaria asciutta che lo contiene. Entrambe si misurano in g/kg e sono caratterizza-te da un valore massimo corrispondente alla saturazione, funzione anch’essodella temperatura.Poichè la quantità di vapore che può essere presente in una massa unitaria diaria è sempre molto modesta (circa 45 g/kg alla temperature di 40 ◦C e via viavalori sempre più piccoli per temperature inferiori) si può ritenere che q ≈ w.Il legame tra la pressione di vapore ed il rapporto di mescolamento si ricavadalla relazione seguente:

w =MH2O

Maria

pv

p− pv= 0.622

pv

p − pv

La massa molecolare dell’acqua MH2O vale infatti 18, quella dell’ariaMaria = 28.9; p è la pressione atmosferica. Dato che pv � p si può ritenereche w ≈ q ≈ 0.622pv/p.Per continuare ad utilizzare la legge di stato con la massa molecolare dell’ariasecca anche in presenza di umidità, è consuetudine considerare la temperaturavirtuale Tv = (1 + 0.61q)T , che forse sarebbe meglio chiamare equivalente.Sostituita nell’equazione di stato al posto della temperatura vera, Tv consente

14Avvertiamo però il lettore che in meteorologia è consuetudine usare il simbolo Td perrappresentare la temperatura di rugiada.

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A. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA

di calcolare il valore corretto della densità, che per l’aria umida è minore diquello dell’aria secca.

La presenza di umidità modifica il valore del calore specifico dell’aria, ma lavariazione è modesta; ciò che fa davvero la differenza è il calore latente dievaporazione (o di condensazione) che viene messo in gioco ogni volta chel’acqua cambia di fase. Il suo valore, L = 2.5 × 106 J kg−1, è di ben treordini di grandezza maggiore del calore specifico dell’aria - per voler fareun confronto brutale - e fornisce una spiegazione convincente della notevolequantità di energia messa in gioco dai fenomeni meteorologici, specie da quellipiù violenti (cfr. capitolo 4).

Per tener conto del fenomeno si dovrà scrivere, sulla base della A.5, un’e-quazione di bilancio anche per il vapore acqueo ed aggiungere all’equazionedell’energia un nuovo termine, quello che corrisponde al calore, liberato odassorbito, dai cambiamenti di fase dell’acqua. Occorre poi ricordarsi dell’esi-stenza di scambi radiativi, nei quali l’acqua svolge un ruolo importante, e chei passaggi di fase dell’acqua coinvolgono anche lo stato solido. La presenzadi ghiaccio va messa in conto sia in termini di calore latente di fusione sia intermini di tensione di vapore saturo. Il valore della tensione di vapore in equi-librio col ghiaccio risulta infatti leggermente inferiore a quella di equlibrio trala fase di vapore e quella di acqua liquida.

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B. LA CLASSIFICAZIONE DI PASQUILL

Per tener conto delle differenti condizioni dell’atmosfera e valutarne gli effettisui processi di dispersione degli inquinanti, Pasquill1 ha proposto un metodo,il cui principale pregio - la semplicità - è anche il suo maggior difetto. Illettore che ci avrà fin qui seguito (siamo ormai giunti alla fine del libro) loavrà intuito: per colpa del loro carattere perennemente variabile e mutevole,le situazioni atmosferiche sfuggono a qualunque tentativo di classificazione.Quella proposta da Pasquill non si sottrae alla critica, ma la sua utilità coni modelli gaussiani è notevole. Le leggi di espansione del pennacchio sonousualmente correlate alla seguente ripartizioni in classi:

cat. A condizioni fortemente instabilicat. B condizioni moderatamente instabilicat. C condizioni debolmente instabilitàcat. D condizioni neutrecat. E condizioni debolmente stabilicat. F condizioni stabilicat. G condizioni fortemente stabili

La categoria G è stata aggiunta successivamente da qualche altro autore, piùche altro per questioni di simmetria; la sua validità è scarsa, essendo carat-terizzata da calma di vento notturna con probabile formazione di nebbia. Intali circostanze l’applicazione dei modelli di dispersione - gaussiani in par-

1F. Pasquill, F.B. Smith, Atmospheric Diffusion, John Wiley & Sons, 1983.

451

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B. LA CLASSIFICAZIONE DI PASQUILL

.2

.4

.6

.81.0

2

4

68

10

20

40

-.12 -.10 -.08 -.06 -.04 -.02 0 .02 .04 .06 .08

A

B

CD

E

z0 (cm)

1/L (m-1)

Fig. B.1 – Relazione tra le classi di stabilità, l’altezza di rugosità zo e l’inverso dellalunghezza di Monin-Obukhov H−1

ticolare - diventa problematica, perchè manca la direzione preferenziale ditrasporto.

Per determinare la classe di Pasquill si possono usare le seguenti regole:

vento GIORNO NOTTEal suolo insolazione nuvoloso nuvoloso sereno[m/s] forte media debole ≥50% ≤50%<2 A A-B B - - G2–3 A–B B C E F G–F3–5 B B–C C D E -5–6 C C–D D D D -6 C D D D D -

Nei casi intermedi, ad es. A–B, calcolare la media dei coefficienti di dispersione delle due classiIn presenza di forte copertura nuvolosa assumere la condizione neutra D sia di giorno sia di notte

All’operatore è lasciata molta libertà nella valutazione dei diversi gradi di in-solazione e di copertura nuvolosa. Non si tiene invece conto delle diversetipologie del territorio. Le incertezze in gioco sono quindi notevoli.

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Page 455: turbolenza e dispersione Claudio Cancelli, Maurizio … ·  · 2017-06-15di ricercatori e professionisti delle scienze ambientali chiamati a contribui- ... linee di corrente e le

B. LA CLASSIFICAZIONE DI PASQUILL

Una determinazione più precisa si ottiene:

– stimando l’altezza di rugosità del terreno zo sulla base della naturadel terreno (alcuni valori tipici sono: 1 mm = deserti o terreni inne-vati; 1 cm = prato con erba bassa; 10 cm = terreno incolto; 1 m =foreste o zone urbane);

– calcolando la lunghezza di Monin-Obukhov H sulla base delle rile-vazioni raccolte da una stazione meteorologica – così da mettere inconto flusso termico ed intesità del vento.

La conoscenza di questi due parametri permette di utilizzare il grafico riportatonella figura B.1 la cui affidabilità è senz’altro migliore della tabella preceden-te. Da notare come in esso compaia l’inverso dell’altezza di Monin-Obukhovper poter considerare anche le situazioni neutre, che corrispondono infatti aH → ±∞.

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