Tra di noi 10

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Rivista degli alunni di italiano dell'EOI di Almería

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rivista degli alunnid’italiano

dell’EOI di Almeríamaggio 2007

Decimo numero della

rivista , mag-

g i o 2 0 0 7 – :

Dipartimento di Italiano, Escuela

Oficial de Idiomas de Almería –

: José Palacios –

: Carmen Galdeano e Claudia

Maistrello – : Comitato di alunni

secchioni –

Studio Perso - , Jaime Aguilar –

: Belén & María – Al-140-2001 –

: 10696-3806 – : sei libero di riprodurre, di-

stribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresen-

tare, eseguire o recitare quest’opera, noi ti saremo grati se lo fai gratis.

http://italiano.eoialmeria.orgitaliano.departamento@eoialmería.org

studioperso

TRA DI NOI

E d i t o r e

Direttore Consulenza

editoriale

Redazione

Impostazione grafica & design:

Copertina:

Stampa Dep. Leg.

ISSN Copyleft

Memoria

@ya.com

Libreria

Puntoy Coma

Italia

no, tedesco, arabo,

francesee inglese.

San Juan Bosco 40

04005 Almería

950 226414

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T e tutti i topici che volete ma sono passati dieci anni e non ce nesiamo quasi accorti; sono ormai dieci i numeri di una rivista che si pensava

provvisoria, eventuale, precaria, esperimentale, un nonnulla da dimenticare: einvece eccola qua, più grossa che mai, bella e robusta, con un certo sovrappesoaddirittura.

E arrivati a questo punto, ci vuole proprio soffermarsi un attimo a dareun'occhiata indietro, se non per altro solo per prendere respiro e contemplarequanto lunga sia la strada percorsa, quanti i testi scritti, quante le pagine pubbli-cate.

A questo scopo, un esercizio di memoria quasi obbligatorio è ricordare ladichiarazione di intenzioni e le motivazioni espresse nel primo editoriale:

( I, maggio 1998)

Sottoscriviamo ancora queste parole, e col senno di poi, potremmo anche direche è servita a tutto questo e forse è andata un po' più in là, diventando ilnostro luogo della memoria; altrimenti, dove cavolo saremmo potuti andare a cer-care tutti questi testi che oggi riproponiamo? Si sa,(scherzi della memoria, oggi ricordiamo in latino).

Perché in questo decimo numero, — dieci è un numero perfetto —, ci siamolasciati prendere dalla nostalgia, noi sentimentali, e abbiamo deciso proprio direcuperare dalla biblioteca, dagli angoli occulti delle nostre librerie e della nostramemoria i testi che in questi anni sono stati premiati nei successivi

che, parallelamente alla rivista, ci hanno stimolato alla scrittu-ra in questi anni. E come no, abbiamo anche i nuovi testi di quest'ultimo annoscolastico non ancora finito. Rivista doppia dunque, che parte dal primo testo del1998 e arriva all'ultima composizione che ci è arrivata proprio questa bella matti-na di maggio e che chiude la rivista.

E come no, è anche arrivato il momento dei ringraziamenti: in primo caso dob-biamo ringraziare tutti gli alunni (tanti e tanti in questi anni) che hanno credutoalle nostre teorie sulla lettura e la scrittura come piaceri e hanno lavorato, hannoscritto e hanno goduto. E che hanno collaborato nel lavoro artigianale di produzio-ne della rivista insieme alle bidelle che hanno con pazienza lavorato da tipografe.

empus fugit

Quando impariamo l'italiano, fin dal primo anno scriviamo un sacco ditesti diversi: lettere, descrizioni, dialoghi, racconti, piccole o grandi composi-zioni che consideriamo solo pratiche per un qualcosa che faremo dopo, mache hanno un valore in sé: ci costano un bel po' di sforzo; e poi alcune sonointeressanti, anzi belle, direi.

Questa rivista vuole essere una mostra, e un omaggio, a questi lavori diogni giorno che di solito vanno a riempire i cassetti, tra la polvere e la robavecchia che di rado spolveriamo, e dei quali non sappiamo cosa farcene, sebuttarli direttamente nel cestino o tenerli ancora qualche anno, in attesa diun momento impossibile in cui la nostalgia ci faccia rileggerli. Questo nelcaso di noi sentimentali. Altri semplicemente usano questi materiali da usa egetta per riempire i contenitori della carta riciclata. E magari fanno bene,chissà poi.

C'è chi scrive, in qualsiasi lingua, con un'intensità invidiabile, e prova acreare anche dei testi letterari in questa nuova lingua nuova, così bella emutevole, e frivola e precisa, e calda ed espressiva.

Leggiamo i poemi, i racconti, gli articoli dei letterati nascosti e timidi tradi noi.

Tra di noi

Tra di noi

verba volant, scripta manent

Concorsi diScrittura Creativa

DIECI ANNILa nostra gratitudine pure a tutti i professori

che ci hanno accompagnato in quest'avventura,il professore Carlos Mazo e le professoresseMaría Carmen Galdeano, Begoña Duarte e ÁfricaTerol, e come no, grazie mille anche alle lettriciViviana Testaferrata, Stefania di Monaco,Isabella Latorre e Claudia Maistrello, che cihanno dato una mano a rendere le nostre mac-cheronate un po' più italiane. E anche il nostrodebito con il nostro unico sponsor, Pierre dellaLibreria Punto y Coma, che in questi anni hasuffragato tutti i premi letterari con dei bei libri.

Ricordato e ringraziato che abbiamo, solo ciresta augurare alla rivista e a tuttivoi lettori una lunga vita e una lunga frescamemoria.

Leggiamo pure, leggiamo ancora.

Il direttoreJosé Palacios

Tra di noi

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La sera si mischiava con la notte quandoPietro è uscito dal ristorante, tardi come di

solito. Edvige lo aspettava di fronte alla fermatadell'autobus, fumando come un turco perchénon sopportava che il suo ragazzo arrivasse inritardo.

La primavera si sentiva dovunque ci siandasse. Si erano dati appuntamento al bar diMario, quel napoletano che sempre stavaparlando di calcio. A Edvige sembrava noiososedersi due o tre ore guardando come RobertoBaggio sbagliava un'opportunità o come laSampdoria vinceva nel Comunale alla "VecchiaSignora" e tutti i tifosi del bar si arrabbiavano.Torino era deserto domenica sera. La Juve erapiù forte del bel tempo e le strade, i parchi, imusei, tutti erano vuoti di gente. Edvige avevadetto tante volte a Pietro: Dai, usciamo staserada soli, senza calcio, senza TV, soltanto tu ed io!Ma no, per lei andare a guardare la partita dicalcio era quasi come una faccenda religiosa,come andare in chiesa. Più che un piacere, eradiventato un dovere.

Quella sera il cuoco venticinquenne delristorante "La Quercia", uno dei più distinti edeleganti in città, non sapeva che la segretariaEdvige Gocci, due anni più giovane di lui, eradisposta a fargli cambiare le sue abitudini delladomenica. Si sentiva arcistufa di quella mono-tonia, soprattutto perché sembrava come sefosse un pesce fuori acqua in quel-l'ambiente.Era l'unica donna fra venti uomini che raccon-tavano barzellette pessime, perfino alcunesessiste, che non le piacevano per niente.

— Ti aspetto da ore. E sai come mi manda inbestia.

— Beh, non ti arrabbiare. C'è una risposta.Se vuoi te lo spiego, ma preferirei farlo davantiad una buona cioccolata calda.

Se ne sono andati in fretta perché mancava-no dieci minuti per l'inizio della partita.

Alla fine la serata non è stata diversa dellealtre perché Edvige non ha avuto coraggio perdirgli quello che pensava. Magari è stata la piùnoiosa fra tutte le domeniche della sua vita. Isuoi amici hanno detto a Pietro di restareancora un po’ per chiacchierare, ma lui ha detto

loro che Edvige erastanca e doveva lasciar-la a casa sua presto.

Infatti, Edvige non sisentiva bene, cosicchéhanno preso un tassì. Maquando sono usciti delbar ha cambiato la suafaccia e siccome era unanotte assai bella ha dettoa Pietro:

— Possiamo andareal parco sul fiume.

Lui non rispose.

Il parco aveva moltialberi intorno a unafontana di pietra, conuna decina di pesciscolpiti e anche uncentinaio di pesci vivinell'acqua. A destrac'era un piccolo belve-dere da dove si potevavedere il fiume, unserpente che splendevanel buio della notte conle sue acque d'argento.

— Guarda com'èbella la luna. Ah!... Tiricordi quando cercava-mo il buio sotto gli alberiper poter abbracciarci?Com'eravamo giovani!

— Edvige, che cisuccede? Perché non ciamiamo come prima? Tisenti bene con me?

Tu sai qual è il problema. Non ti importopiù, tu sei felice soltanto con i tuoi amici.

— No, non è vero. Sei gelosa di loro perchénon hai mai avuto un amico vero, e i miei amicisono parecchi. Tu hai soltanto una persona: io.Se io mancassi nella tua esistenza, non so chefaresti.

— Forse sarei più felice.A destra, nel belvedere, c'era una panchina.

Edvige se n'è andata di là perché si sentiva unpo' stanca. Lui era confuso e non sapeva cosafare, ma sentiva un colpo nel suo cuore ognivolta che lei dubitava del loro amore. Lenta-mente si accorgeva che la stava perdendo.

Il recinto del belvedere era rotto in alcuniposti ed era pericoloso avvicinarsi troppo alfossato che c'era fra il fiume e il parco.All'improvviso Pietro è caduto per terra. Hamesso il piede in una buca e si è trovato quasinel vuoto dinanzi al fossato, afferrato alla

radice legnosa di un vecchio pino. A questopunto ha gridato:

— Aiuto! Prego, Edvige! Non ne posso più!All'inizio Edvige non sapeva cosa accade-

va ed è rimasta seduta, con le sue gambeincrociate. Ma siccome non vedeva Pietro, si èalzata e l'ha visto.

— Ma cosa fai? Sei incorreggibile, sempregiocando come un bambino.

— No, sul serio. Aiutami, per favore, mimancano le forze!

Allora ha capito la situazione. Ma invece disbrigarsi per aiutarlo, sentiva una bizzarraemozione.

— Sai, Pietro, per la prima volta io sono alposto superiore e tu sei sotto di me. Adessopotrei ottenere qualsiasi cosa di te che iovolessi.

— Dai, questo non è un gioco. Aaah!Una mano è scivolata, soltanto la destra si

afferrava a quel pezzo di legno, alla vita.— Bene, ti aiuterò se tu cambi vita. Sarai

più gentile ed amorevole da oggi in poi,d'accordo? Rispondi!

— Edvige, la tua mano, ti prego, la tua...!Un rumore pesante, brusco, si è ascoltato.

Edvige rimaneva immobile, ferma, senza fareniente. Due, tre minuti dopo, ha cominciato acamminare. Non immaginava ancora comequella sera sarebbe cambiata la sua vita, ma sisentiva più leggera, più giovane, più se stessa.

Mentre aspettava il taxi per andareall'aeroporto ripensava quello che doveva fareprima di partire: telefonare a Maurizio, il suoamico avvocato, e anche alla mamma; sarebbedovuta perfino andare in ufficio, ma non avevamolto tempo ed ha deciso di lasciare un mes-saggio alla segreteria telefonica dell'impresadi mobili dove lavorava.

Ha detto a tutti che uno dei suoi zii, cheabitava nel Brasile, era appena morto, edoveva andarsene per risolvere degli affari inrapporto con l'eredità, giacché sembrava chelei fosse l'unica persona della sua famiglia dichi si era ricordato prima di morire. Allora eraricca e libera! Non era vero che avesse uno zionel Brasile. Aveva inventato questa storia pernascondere la verità. Ma a quel momento eraproprio ricca, perché la mattina dopo la mortedi Pietro aveva accettato i soldi che ambedueavevano in banca: che lui era un tirchio losapeva, ma come avesse risparmiato circaduecento milioni era veramente un mistero.Benché fosse ancora un segreto per lei, alloraricordava che a volte diceva: quando ci spose-remo, cambieremo vita.�

PRIMO CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 1998

DOMENICA SERA Manuel Fuentes

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MALINCONIA Loli Fernández

Era una sera triste d'inverno, pioveva molto. Elena stava seduta in salotto e vedevapiovere. Elena era triste, era sola, il suo fidanzato era partito per alcuni mesi; leiascoltava la musica e ha cominciato a pensare al suo fidanzato, la musica le dicevaquello che lei sentiva in quel momento e la musica l'ha ispirata e ha cominciato ascrivere:

eterna melodia mi colma di fantasia.Eterna melodia che mi fa ricordarti !

Anche se ci possono separarela vita o la casualitàcontinuiamo sempre insiemeper quella bella musicache è parte di noi.

La vita ci opprimeci opprime il cuorela mia stella è soltanto tuala tua stella sono soltanto io.

Ma...Non sei soloqualcuno ti ama in cittànon ho pauratutto finirànon sei soloio ti voglio confortare...La vita è cosìe tu devi sorridere...

Se tu sei il mio fidanzatoe io la tua fidanzatadove tu seiAMORE!io sono con te...

Ci siamo innamoratinon l'abbiamo potuto evitare contentibrindiamoal nostro amore...

Ho voglia di essereinsieme a te...e correre e deliraresempre accanto a tedolce amore...

Perché il sole può mentire,perché il mare può ingannare,tutto può essere menzognama noisiamo VeritàLe cose del cuore,tu lo vuoi o no,non c'è niente al mondoche ammazzi"La nostra bella storia d'amore".

Nella mia solitudine, la sera,il tuo ricordo è venuto a trovarmi,che silenziosa tranquillità,che tristezza senza fine,che diversa la città se tu non sei qui...

La notte mi svegliocon la sensazioneche ho ascoltato tra sognila tua voce.E una tristezza molto grande arriva a meti ricordo da quando tu non sei più qui...

Ho una luna da amare,un'illusione da sognaree il suono delle noteche sempre mi emozionaquando so che siamo lontani.Eterna melodia che sussurrosenza pensareche evoca la nostra storiae nelle mie notti sempre c'è,che avvolge di armoniaquesta triste solitudine,

PRIMO CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 1998

La musica è finita ed Elena ha smesso di scrivere, ma per qualchemomento, mentre scriveva, si è sentita più vicina al suo fidanzato.�

`

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COS’ERA QUELLO? Mª Carmen Fábregas

secondo CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 1999

ORA CHE STO CON TEFrancisco Soler

secondo CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 1999

Questa storia che voglio raccontarvi è una storia strana, è una storia di quelle che non possiamoleggere la notte perché i nostri sogni diventano orribili incubi. Non sono una persona paurosa,

ma, in questo momento, sono nella mia camera piena di spavento. Non so se sono pazza, perché nonvoglio credere che quello che mi è successo sia realtà.

Qualche mese fa, ho affittato una vecchissima e fosca casa per poter scrivere, sono scrittrice diracconti soprannaturali e credevo che questa casa mi avrebbe aiutato nel mio lavoro.

La mia fantasia si svegliava con questa casa. Dopo due o tre giorni, ho cominciato a scrivere qual-cosa, le idee mi venivano sole, senza sapere perché. Mentre scrivevo, una raffica di vento ha spento laluce della candela... delle grandi mani hanno preso il mio collo, le mani erano mortalmente fredde!

Io mi sono buttata contro il pavimento per poter separarmi da questa cosa, di questo aggressore, eci sono riuscita, ma lui si è lanciato un'altra volta su di me. Totalmente atterrita, l'ho fortemente pic-chiato sulla testa con un legno che era lì vicino.

All’improvviso, l'aggressore si è fermato, nonmi ha attaccato più. In salotto non c'era luce, ma,presto, ho acceso la candela e lì non c'era nessu-no! Dov'era?

Io credevo che fosse fuggito, ma invece no,perché sono inciampata in lui, il suo corpo non sivedeva: era totalmente invisibile!

Avevo un sacco di dubbi perché il raccontoche scrivevo era uguale a quello che mi erasuccesso, non sapevo cosa poteva essere questacreatura. Dopo qualche minuto, ho avuto un'ideaper vedere se quello era un'allucinazione mia ono. Ho preso il corpo invisibile e l'ho tirato giù incantina, ho messo un mucchio di candele accesesopra il corpo invisibile e a poco a poco la cera ècaduta sul cadavere.

Dopo cinque o sei ore, sono ritornata incantina, e una visione orribile era lì, davanti aimiei occhi: sotto la cera appariva un mostro!qualcosa non umana! la cera faceva il disegno diquesto mostro, ma... non era possibile, sotto lacera non c'era niente, non c'era nessuno!.

Non sapevo cosa fare, se parlavo di questo, lagente avrebbe detto che ero pazza. Ho preso tuttele mie cose di questa orribile casa e sono andatavia.

È, per questo, che rimango in camera miasenza parlare con nessuno di questa strana eterribile storia. Ma sono sicura che non sonopazza e che quello mi è veramente successo.�

Lasciami essere me stesso,ora che sto con te.

Lascia che sia, per te,specchio della vita.

Aiutami ad assumereangoli dimenticatidella mia maniera di essere,dell'anima di allora.

Cerca il fiore che dormetra due paginedel mio ieri nascosto.

Liberami della terra che mi copreperché solo riescoad essere preso dalla mia pigrizia.Trovami tutto quanto, di dentro, perdutodammi alla luce, di nuovo,nella speranza.

Spogliami dei vestiti della domenicadi adessolavami la faccia,che voglio sentire l'acqua della fontescorrere, di nuovo, sul mio viso.

Mettimi nel grembo del tuo adessoringiovanisci, per me,le mattinate.

Sensibilizzami la punta delle ditacon il fiore della tua pelle ornata.

Portami dal posto dove giaccio,cercami l'interno dell'anima,con le mani pulite,risuscitami dallo sconforto.

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PAGINE BIANCHE Yolanda Ibáñez

terzo CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2000

cadono per terra. Mi osservano con faccemeravigliate, fra sorrisi e indifferenza, facen-domi capire con indulgente comprensione chegli stranieri hanno quel permesso inerente allapropria essenza diversa per fare cose bizzarre,o forse, si tratta soltanto che loro sopportino ilcaldo meglio di me.

Quando finalmente riprendo la mia descri-zione di Egitto, mi rendo conto che la stofacendo in un modo troppo soggettivo e chequesto non piacerà affatto al capo redazione,ma, se ho preso l'iniziativa di venire qua èstato allo scopo di scoprire angoli sconosciutidi questa terra, semmai ce ne sia ancoraalcuno, e non tradirò alla fine i sentimenti chesi sono svegliati dentro di me. Mentre scrivo,comincio a capire il perché del mio viaggio.

Arrivati ad Assiut, scendemmo dal trenosolo pochi passeggeri e ricordo come quellabambina di occhi profondi sorrideva attraver-so la finestra mentre io mi allontanavo versouna folla frettolosa che pareva aspettare dipartire con ansia. I loro movimenti si rallenta-vano man mano che mi avvicinavo e cercavo diuscire dal labirinto creato con i loro corpi.Nell'attraversare quel serpeggiante cammino,persi la memoria di viaggi precedenti, diluoghi, di sofferenze, di itinerari, sollievi,racconti, ricordi, e mi concentrai su quello chesarebbe venuto dopo, come se la mia coscien-za fosse nata proprio allora. In questo nuovostato di recente acquisita maturità, quasi iofossi un neonato, il mio primo istinto terribil-mente forte fu la fame. Chiesi aiuto per trovareun ristorante vicino e m'incamminai verso unlungo e stretto vicolo con case alte, di uncolore terra. Se non mi ero sbagliata, in quelmomento, mi sarei dovuta vedere dinanzi aqualcosa che sembrasse un posto per mangia-re, ma soltanto c'era un antico portone aperto,dietro al quale un cortile illuminato da quel

sole d'estate invitava ad attraversarlo. Unamelodia sensuale proveniva dai fianchi delcortile e, sporgendo la mia testa da un lato delportone, mi avvicinai verso uno dei suoi puntid'origine. La sala appariva scura, con piccolibuchi nelle pareti che, facendo da finestre,consentivano ai raggi solari di proiettarsi supunti concreti, e allo stesso tempo, spaziosa epiena zeppa di gente che mangiava seduta perterra, sopra tappeti rugosi di un rosso rubino.Galleggiava sospesa nell'aria un'accoglientemescolanza di aromi, intensi, dolci, fruttati,penetranti, forti, e tutti insieme davano vita aun'atmosfera calda, dove le anime si placava-no una volta che i corpi erano stati confortati.

Trovai un posto libero accanto a uno diquei finestrini e immediatamente una donnaasciutta e quasi cinquantenne si rivolse versome con un largo sorriso. Condotta di sicuro dalmio aspetto fisico, mi parlò direttamente in uninglese cupo, forzato tra l'accento arabo equello francese. Indossava delle vesti tradi-zionali, un ampio vestito finemente ricamatoin oro che non poteva occultare la sua espres-sione corporale di dedizione servile. Preferiiseguire la conversazione in arabo, il cheringraziò con lo sguardo, dato che lei miispirava fiducia e volevo dare uso alle ore distudio che impiegai prima di partire. Lerisposi che avrei voluto assaggiare qualchepiatto tipico e dopo un attimo mi portò sultavolino una bistecca tenerissima accompa-gnata da una stupenda salsa di cereali.

Questo pensiero produce l'effetto naturalenel mio corpo adesso e mi viene voglia dimangiare. Guardo l'orologio. Sono stata alavorare due ore e decido che è una bell'oraper pranzare. Pago il conto scambiandoun'ultima occhiata con l'incaricato, al qualeporgo anche un sorrisino, però lui non se nerende conto. Mi alzo e comincio a percorrere lastrada in direzione opposta a quella in cui misono avvicinata prima. Mentre avanzo ordi-nando i miei fogli nella cartella, penso come aldestino piace giocare con la nostra vita, spuntae fugge, si lascia vedere e si nasconde, ma nonti permette mai di reggerlo, e a volte nemmenodi afferrarlo. Nel mio decimo compleanno, miopadre mi regalò una penna dorata e un quader-no.

A me piacque soprattutto la penna, e lafacevo girare ogni tanto sotto la luce dellalampadina, e restavo lì, a guardare comebrillava. Ricordo anche adesso chiaramente lafrase che mi scrisse nella prima pagina delquaderno: "Perché tu scriva la tua storia comevuoi". Non ho ancora scritto niente. Sonopassati vent'anni da quel momento, vent'anniin cui ho letto, ho lavorato, scritto pure, ben-ché non la mia storia, anzi, la storia altrui.Perciò, quando Ettore mi ha incaricato unarticolo su Egitto per il supplemento domeni-

Ai miei genitori

Mi siedo a scrivere su questa tavola pienadi sabbia che ho dovuto soffiare prima, e

nel vedere i granelli scivolare sento che hovissuto questo prima, e mi vengono in mente leimmagini del mio viaggio.

Sono da sola qui seduta all'ombra di unpergolato di canne un po' guasto dal tempo,probabilmente fatto dal proprio padrone delbar che adesso mi domanda cosa desidero. Inun arabo abbastanza elementare ordino un tè.Non so se mi guarda così per l'ordinazione, perla mia scorretta dizione o come risposta al miosguardo sfidante, che non riesco a controllareancora, nonostante il tempo che ho già passatoqui. Fisso la sua pelle scura mentre si volta emi sembra bellissima.

Lascio i miei occhiali da sole sulla tavola,dove ci sono ancora granelli nascosti nei buchiscolpiti sul legno. Quelle foglie, animali diforme ondulanti, geometriche, uscite da maniforti, dalla pelle scura... devo scrivere appog-giandomi sulla cartella di cuoio se voglio farequalcosa d'intelligibile. Guardo attorno a mecercando un modo di cominciare ma mi perdonei miei pensieri. Vedo una donna con unbambino, porta un lungo vestito nero e ha ilvolto coperto con la stessa stoffa nera cheallontana il sole dalla sua testa. Fa molto caldoe mi domando quale sarà la temperaturacorporale di questa donna, ma lei pare ormaiabituata. I suoi occhi neri, bruciati perfino daquando è nata. Ricordo il momento del mioarrivo: i miei occhi scintillano e sento unaterribile voglia di arrivare all'albergo. Mi sonoappena tolta gli occhiali ma è impossibilevedere qualcos'altro sotto quest'immensaluce. Sento come sorge il sudore e si trasformain gocce lungo la mia schiena. Prendo un taxiche mi porta attraverso una città assai moder-na e contemporanea di me. Non mi spiegoancora perché ho fatto un viaggio così lungoper vedere le stesse cose che vedo dove abito.Arriviamo e osservo l'ingresso dell'albergo,ricco di ornamenti di stile arabo, benché unpo' rovinati, e certo, anche abbandonati. La

mia camera è piccola, con una sola finestra,ma la luce entra obliquamente e ringrazio ilcielo che le tende, di un verde militare, mipermettono di restare nella penombra. Primadi disfare la valigia, riempio la vasca diun'acqua tiepida e mi tuffo fino in fondo.

L'infusione mi arriva calda, in una bellatazzina azzurra. Aspetto finché smette difumare e mi bagno le labbra tra un odorerinfrescante che mi ricorda quello di unafrutta matura. Ha un sapore indefinito, madolce e fragrante. Stento a concentrarmi sullavoro mentre la gente si affolla lentamentesotto la tettoia cercando protezione contro ilsole. Chiudo gli occhi e ascolto le loro vocistrane, sussurranti, vecchie conversazioniemergenti da labbra rugose in una lingua chenon so capire.

La mia prima visione del deserto fu ancheun po' strana. La mattina dopo il mio arrivo misvegliai presto per approfittare le ore freschedel mattino e presi un treno che mi portò da ElCairo fino a Assiut. Era di seconda classe, maviaggiava quasi vuoto. Ero seduta di fronte auna giovane coppia e quella che, seduta traloro, sarebbe stata la loro figliola, una bambi-netta con profondi occhi rotondi che percorse-ro tutto il vagone. Ci muovevamo lungo la rivadel Nilo, le cui acque luccicavano, mosse dalvento. Chiusi gli occhi e immaginai per unmomento che quel vento mi accarezzava ilvolto e quelle acque mi scorrevano tra le ditadelle mani. Avevo sempre pensato che misarei incontrata all'improvviso tra un immensomare di sabbia e nient'altro, circondatadall'eterna solitudine. Tutta la vita che perso-nificava il fiume mi sconvolse, e il deserto, conil suo significato restavano minimi, per sem-pre soggiogati all'azzurro delle sue acque.Aprii gli occhi e il deserto appariva come unastretta linea d'orizzonte, perso nella lontanan-za. E così voglio descriverlo. Apro gli occhi ecomincio a scrivere.

Ho appena finito di bere il tè ma ho bisognodi più liquido. Questa volta ordino un bicchie-re d'acqua e, ricordando i giorni in cui non hoavuto altro conforto che un fazzoletto umidosopra la testa, inghiotto un paio di volte e miverso un po' sopra la nuca. Alcune gocce

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cale, gli ho chiesto un po' di tempo e dellevacanze anticipate, perché intuivo qualcosa dispeciale, magari un'opportunità per me, per lamia storia.

A poco a poco passo dalla parte più anticadella città, "la vecchia" come l'ho sentitanominare, a quella nuova, cosmopolita. Cercoun ristorante dove sono stata ieri sera, il più abuon mercato che ho potuto trovare nei dintor-ni dell'albergo, e devo dirlo, dove servono deipiatti di pasta buoni da morire, così bencucinati quanto si possono assaggiare aMilano. Certo, non si ha molto dove scegliere,ma il poco che c'è, è squisito.

Ieri sera sembrava molto romantico, con lecandele accese lì dove c'era qualcuno seduto.Ora invece si respira un'aria diversa. Colchiarore del mezzogiorno tutto ha adottato unaforma più reale, gli oggetti appaiono piùcompatti, le distanze definite. Scelgo un tavolodietro ad una colonna in fondo al locale peravere un po' d'intimità. Chissà perché oggi èuno di quei giorni in cui faccio fatica a cancel-lare un sorriso scemo dal mio viso, nonostantesappia che devo partire domani. Ho vissuto ledue settimane più intense della mia vita esento il bisogno di raccontarle, di farle immor-tali attraverso la scrittura. Voglio che altrepersone possano vivere questo mio viaggio,eccitare la loro fantasia con qualcosa chehanno provato le mie percezioni.

Mangio in fretta e decido di fare una pas-seggiata per chiarire le idee. Dopo aver giron-zolato per mezz'ora, finisco in un parco davan-

ti all'onnipresente fiume. Ci sono tante pan-chine per riposarsi, esposte al contrasto dellaluce tra le foglie degli alberi. Inseguo mental-mente le loro radici, sempre convergenti allostesso punto, assetate di nutrienti. Anch'io mici sono avvicinata una volta: consideravo unobbligo non ritornare in ufficio mancandomital esperienza.

"Ho fatto il bagno nel Nilo, comeCleopatra", avrei detto con grandiloquenza.Avrei inventato anche qualche storia su unmagnifico centro di bellezza dove ti truccano eti massaggiano tutto il corpo, sperando diaccrescere l'invidia delle mie colleghe.

La realtà è stata un po' diversa, sì, adessola ricordo, piuttosto come un'immersionepurificativa. In quel momento mi liberavodalla calura, ma inconsapevolmente altrepressioni sparivano dalla mia mente e la lorocarica mi rivelava il mio nuovo destino.Questo accadde lo stesso giorno in cui conobbiMark, un giovane fotografo tedesco che lavora-va in un reportage sulle tribù nomadi. Lo vidientrare nella sala scura del ristorante conl'aria distratta e sorpresa come io avevo fattopochi minuti prima. Stavo per finire la bistec-ca quando mi venne incontro, molto sicuro disé, a chiedermi se non mi spiaceva dividere iltavolo con lui dato che non c'era nessun altroposto vuoto. Mi parlò con una voce dolce e unosguardo carino. Io restai immobile fissandolo edomandandomi se quello poteva essere possi-bile. Finalmente gli feci un cenno negativo,insomma, pensavo di andarmene presto.

Sedendosi, si presentò ed io lo imitai. Forsecome ringraziamento; cominciò a spiegarmirapidamente chi era, cosa faceva, da quanto-tempo era che lui stava lì, per quale giornalelavorava, ed arrivati al punto comune delle no-stre professioni, il suo monologo diventò unaconversazione amichevole. A chiacchierare,scoprì che i suoi genitori erano italiani, ben-ché lui fosse nato e cresciuto a Colonia, e che,oltre all'italiano, parlava perfettamentetedesco, inglese e arabo.

Il tempo volò grazie alla sua compagnia edopo avere assaggiato due o tre piattini diricette casalinghe, ci portarono dei dolci fatticol latte di cammella, secondo mi spiegòMark, e farina di avena, con un briciolo dicannella sopra. Mentre finivamo il pranzo, miraccontò che stava accompagnando un gruppodi nomadi che facevano una delle sue rotteattraverso il deserto arabico e mi mostròalcune delle ultime fotografie che avevascattato. Erano tutte bellissime e, siccomevide che ammirai soprattutto una me la regalòsubito. Era un'immagine notturna, di unpalazzo o qualcosa del genere, o questo miparve, con la luna piena in fondo.

Finimmo di mangiare e la stessa donna checi aveva servito prese i soldi che lui le stende-va sorridente. Lui volle così ringraziare il miogesto anteriore ma, pensandoci meglio, ioricevetti più di quel che diedi. E ora lo so.

Uscimmo insieme fino al portone. Lamusica era allora più ritmica. Senza preludi,stese la mano in segno di aperta sincerità ecome tentativo di addio. La strinsi con la mia evendendolo allontanarsi, pensai alla nostraconversazione. Il gruppo di nomadi lo stavaaspettando nell'altra riva del Nilo. Lui eravenuto in città solo per materiali fotografici eavrebbe continuato il suo lavoro nel deserto,compiendo l'ultima parte di una lunga rottaindirizzata al Nord, con la destinazione da lorosognata: El Cairo. Lì, avrebbero potuto scam-biare le loro merci nei grandi mercati per poiproseguire il loro eterno viaggio. Tutt'a untratto, sentii la necessità di seguirlo e così feci,lo fermai e gli chiesi di poterli accompagnareanch'io. A parte la logica espressione distupore, senza dire niente, prese la mia valigiae cominciò a raccontarmi le abitudini diquesta gente. Loro mi accolsero come unmembro più della loro vasta famiglia e quellanotte, osservando le migliaia di stelle nelprivilegio dell'assoluta oscurità, capii chequel momento e quel posto mi erano statiriservati da sempre, come il primo regalo dellapersona amata.

Dopo due settimane uniche, piene di espe-rienze incancellabili, arrivammo al momentodella nostra separazione. Curiosamente, nonpronunciarono mai la parola "addio", giacchénon la capivano come noi, tuttavia mi augura-

rono buona fortuna, lasciando intravedere chele nostre strade non si sarebbero mai piùincrociate. Mark, come al solito, mi sorrise edio lo abbracciai forte, cercando così di suggel-lare la vera amicizia sorta fra di noi.

Sta tramontando e il cielo che domaniattraverserò sull'aereo ha un colore arancione-viola. Quando arriverò a Milano, possibilmen-te mi sembrerà tutto un bel sogno. Ma, rileg-gendo le linee che ho scritto oggi, come seleggessi le linee della mano, posso vedere ilfuturo e non dubito della verità che reca.Magari tutto nella vita è un sogno e, nel cerca-re di raggiungerlo, il proprio sogno diventauna realtà. Così convinta, riprendo i miei passiincerti, e allo stesso tempo regolari, portandocon me le pagine che ormai formano parte delmio bagaglio personale, e che, chissà, vedròpubblicate nel mio primo romanzo.�

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TRA DI NOI X 15TRA DI NOI X14

FRA LE DUNE Natalia Manzano

terzo CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2000

Yolanda Ibáñez AMORE INGENUO

quarto CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2001

Mi hai fatto male.Mi hai fatto credereche esistevo per te.Hai acceso una luceper poi spegnerla con un soffio.Perché? Se non mi amavi,perché hai lasciato ai miei occhiguardarti così?perché hai permesso alla mia animadesiderare la tua presenza?perché mi hai concessodi sognare le tue carezze?perché mi hai consentitodi nascondere questa emozione?Adesso il mio cuore è stanco,quell'immagine idealizzataquesto sentimento sprezzatodalla tua indifferenza ostilerende inutile la vogliadi averti al mio fianco.Mi hai fatto tornare dal sognosvegliare la prudenzae richiamare la ragione senza sensomaturando il frutto della propria ingenuità.La realtà bussa oggi alla mia porta.E gelida, come il ghiaccio.E l'inferno dei miei giorni è freddo.Chi ha detto che c'è fuoco nell'inferno?

Il deserto si stendevafinché i sensi si stancavano.Io cercavo fra le duneun indizio di te.

Tu eri lontanorinchiuso nel corpo.Sguardo perduto.

Eri lontanoe scoprivo la solitudinenell'abbracciodell'uomo che odiodell'uomo che amoanche se non c'è.

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TRA DI NOI X 17TRA DI NOI X16

Francisco Soler

IL PRIMO DELLA CLASSE

quarto CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2001

SPAVENTOSO INCENDIODISTRUGGE IL CAFFÈ

PARADISO

Nonostante la diligenza con cui

sono arrivati i vigili del fuoco, i

materiali in gran parte troppo

infiammabili della decorazione del

bar, tutto insieme al concorso,

questa volta assai triste, del forte

vento che purtroppo tutta la notte

ha soffiato instancabile sulla città,

hanno contribuito alla distruzione

quasi totale di uno dei nostri

migliori caffè, oltre alle abitazioni

del primo e secondo piano sul bar,

che si sono viste seriamente dan-

neggiate.

Questa mattina di domenica, il titolo della notizia sul giornale ha messo un punto amaro alla miacolazione e mi ha lasciato a bocca aperta e assolutamente stordito durante la lettura.

Abito appena a cinquecento metri dalCaffè Paradiso e, la mattina, ogni giorno dalunedì a venerdì ci faccio colazione (devo direci facevo?) nello stesso posto, prima di seguirecammino del lavoro.

Come ho già detto, vedere il tanto dellacronaca sul giornale è stato come sentire sullatesta uno sparo a zero. Pur essendo domenica,qualche volta ho fatto una passeggiata fino allapiazza dov'era il caffè per comprare il giornalein edicola; questa mattina non l'ho fatto ecredo che per molto tempo non lo vorrò fare.Non riesco ad abituarmi all'idea che domatti-na tutto sarà diverso. Mentre sento una vogliaterribile di piangere mi viene alla mente unsacco di episodi memorabili, vissuti in questoamato posto. Ve ne racconterò adesso uno chemi ha lasciato un sapore tra dolce e amaro, tratriste ed evocatore; sempre che ritorno colpensiero su quel fatto, l'emozione raggiunge lagola e mette una lacrima che la vergogna nonlascia oltrepassare la soglia delle palpebre.

Mi piaceva guardare dal mio comododivano accanto al finestrone le evoluzionidella gente che ci prendeva un cappuccino,prima di continuare cammino del lavoro. Il

caffè, a quest'ora del mattino, raggiungeva unritmo frenetico. Il banco era il regno degliaffrettati. Più d'una volta ho visto come qual-cuno ingoiava con difficoltà con la fettina tra identi, il giaccone senza arrivare ancora al suopasto definitivo sulle spalle e le mani occupatea meta tra la raccolta degli spiccioli el'ombrello che protestava, non lasciandosiafferrare del tutto perché non voleva esserepartecipe di tanta precipitazione. Anch'io odioessere in fretta. Il mio posto di lavoro eralontano appena dieci minuti passeggiando dalcalle e, malgrado questo, di solito un'ora primadi quello che per tutti sarebbe stato ragionevo-le. Paolo, il diligente cameriere, rispondeva almio saluto di "buon giorno" mentre passavo adoccupare il solito pasto accanto al finestrone.Ogni mattina, Paolo ed io scambiavamo lequattro parole che ci sembravano la giustifica-zione dovuta alla buona intesa tra due personecortesi e dopo, consapevole di quanto amavo imiei silenzi nel luminoso angolo del bar,mentre attendevo la mia ordinazione, iofissavo lo sguardo nella cara piazza, tral'andirivieni dalle colombe che, a queste oredel mattino, godono di essa interamente.

Dal lunedì al venerdì, pochi minuti dopoche Paolo avesse alzato la porta metallica delcaffè, di solito era il primo a fare colazione. Intutti questi anni non ho trovato mai il mio postooccupato, neanche qualche giorno in cui ilcaldino del letto d'inverno o il ritardonell'andare a letto la sera prima, hanno differi-to almeno un po' l'ora della contemplazionemattutina dalle colombe di fronte al finestro-ne.

La mia vedetta, con divano di vellutomorbido e cappuccino caldo, fettine con burroe giornale che appena leggevo, si affacciavaad una piazzetta con rosai di marzo,tappeto erboso importato ed edicoladi giornali con odore di cartanuova, e le mie cara colombe delmattino. Quando c'era il sole lospettacolo era di tale accoglien-te bellezza, che non meritava diessere scambiato per dellerighe d'informazione stampata,fosse questa della natura chefosse.

Per colmo di sventura, quelpomeriggio pioveva molto. Nonostan-te avevo avuto fortuna e alle quattro emezzo precise, con un vespertino appenacomprato sotto braccio e l'ombrellonuovo — sempre li porto —, ci trovavo ilsolito posto alla mia disposizione, malgra-do il caffè fosse affollato.

Mi sedetti. Paolo andava assai occupatoservendo merende, mentre un altro camerie-re più giovane che io non conoscevo, non davaun secondo di riposo alla caffettiera.

Il mio caffè, le mie colombe e la mia piazzain fiore appartenevano al mattino e non erauna mia abitudine venirci a merenda, nono-stante quella volta dovevamo trovarci al barper colpa di qualche spesa che Charo volevafare nel quartiere, e la pioggia prestava aquell'ora vespertina carta sfumatura allapiazza che per me era sconosciuta. Accanto alfinestrone un rosaio di fiori gialli mostrava unasola rosa appena aperta. La pioggia avevamesso minuscole gocce sui petali incipienti.Sotto il rosaio, due passeri bevevano l'acquad'una piccola pozza, scuotendo, di tanto intanto, le loro teste per liberarsi dell'umiditàche spesso lasciavano cadere le fogliedell'arbusto. Distratto, non avevo avvertito cheil tempo era trascorso. Nemmeno il mio caffèera stato ordinato. I camerieri non potevanoprestare l'attenzione dovuta a tanto da fare e,né loro avevano badato a me, né io sentivo ilbisogno di farmi notare.

Guardai l'orologio. Le sei precise e Charonon appariva da nessuna parte. Sembrava

m o l t ostrano. Nonera mai inritardo. Forsen o n a v e v atrovato nei negozidella zona quelloche cercava e ciaveva provato in unaltro luogo della città.Cominciavo ad esserepreoccupato. Tornai aguardare attraverso il finestrone. Avevasmesso di piovere ed il timido sole del tramon-to tingeva di riflessi arancione le piccole sfere

Page 11: Tra di noi 10

di vetro liquido dell'appena nata rosa gialla.Era così prossima alla finestra che se non fossestato per il vetro che mi difendeva dall'esterno,avrei potuto toccarla con la mano. Tutta labellissima luce zenitale si rifletteva sullapiccola giallezza del temprano fiore inquell'imbrunire strano, tra il buio dei nuvoloniche fuggivano verso ovest ed il sole rosso,pittore di toni luminosi e creatore di tanticontrasti. Assorto tra la contemplazione dellospettacolo in piazza dopo la pioggia ed i mieipensieri un tanto confusi sulla tardanza diCharo, non lo vidi arrivare e nemmeno avevosentito i suoi passi. All'improvviso, una vocearrochita dalla grappa, suonò sulla destra.Sordo, credo che dalla mia nascita, dell'uditosinistro, questo fa che cerchi sempre di collo-carmi in modo che quello destro sia capace dicaptare la maggiore quantità di suoni possibi-le: seduto al caffè, il finestrone resta alla miasinistra, il mio divano prediletto, giustoall'angolo; sulla destra, tutto quello suscettibi-le di produrre suoni, l'ampiezza del caffè con ilsuo andare e venire incessante, la voce delcameriere quando mi attende, la sedia vuotache possa occupare qualche accompagnanteimpensato o meno; di fronte al mio, un altrodivano che mi si faccia accessibile soltantocon girare leggermente la testa; alla miaschiena, il muro, che non fa altro suono chequello che, a udito migliore del mio, offrirebbel'esterno del proprio caffè. Come si vede,faccio tutto per poter ascoltare ed essereascoltato in quello che si possa dire.

— Come stai, Paco? Mi posso sedere?Alzai la testa e quello che vidi non quadra-

va niente affatto con l'ambiente. Il caffè è incerto modo lussuoso e la gente che di solito cisi vede è il meno simile al personaggio cherestava là, piantato davanti a me, e che lì per lìnon potei riconoscere.

Girai un po' più la testa per poter capirequello che diceva la roca voce quasi impercet-tibile che mi parlava e vidi un uomo della miaetà, con i capelli spettinati e barba da moltigiorni. Indossava un impermeabile tuttosporco, chiuso fino alla gola, una sciarpa inpessimo stato, sotto la quale spuntava unacamicia di quelle che portano un paio dibottoncini per fissare il colletto, sebbene unomancava e l'altro penzolava sulla sciarpa sulpunto di cadere per terra. L'odore della grappache esalava era facilmente percettibile e, nelsedersi sul divano di fronte, lasciò vedere unascarpa con la suola rotta, il cordoncino malallacciato e tutta piena di fango. Quello chesembrava strano era che gli occhi diquell'uomo erano pieni di dignità e la posizio-ne della testa sulle spalle caricate con un peso

di non si sa quanti dispiaceri, conservavanouna distinzione che non avrebbe mai perdutoneanche il mondo intero gli fosse caduto sullaschiena.

Assolutamente sorpreso, soltanto riuscì adire:

— Mi scusi? Non capisco...!— Non mi riconosci, vero?— Beh! Così al momento...non saprei...! Se

lei mi conosce, sa già che a volte sono assaidistratto. In questo momento non riesco aricordare...

— Io, sempre che ti menzionavo lo facevocome "el Che".

All’improvviso capii di chi si trattava. Ilcognome di mia madre, spagnolo come quellodel famoso guerrigliero argentino, è Guevaraed all'università io avevo tra i compagni piùintimi, questo soprannome, che mi avevamesso una serata il mio caro compagno LuigiTozzi, l'allievo più brillante, il primo dellaclasse. Dopo quella sera memorabile, sempreche Luigi mi salutava, lo faceva allo stessomodo: "come va, Che?". A me piaceva moltoessere chiamato alla maniera di quella leggen-da camminante che un giorno ful'impressionante e mitico Ernesto "Che"Guevara.

Mi sentii assolutamente sconvolto. Comeera possibile che quell'uomo giovane, genialee mondano che era stato Luigi Tozzi, fosse ilpovero disgraziato che adesso mi guardava traburlone e comprensivo?

Dal canto mio, reagii offrendogli la mano:— Luigi, che piacere così grande rivederti.

Come va?In un botto vidi che il mio amico Paolo, il

cameriere che si occupava abitualmente dellamia colazione, con una faccia simile a quellache io dovevo avere, si trovava piantato allamia destra, guardando con gli occhi tantoaperti che, in altre circostanza, mi sarebbevenuto da ridere. Paolo guardava ora Luigi, orame, come se non potesse credere a quello chestava vedendo. Dal canto mio, riuscì ancora adire:

— Paolo, prego, il mio amico prenderà...— Una grappa, per favore — udii che

diceva la roca voce.— Per me, un cognac, grazie.Ancora spaventato, Paolo, si girò per

attendere la nostra ordinazione ed io, non soperché, pensai a Charo.

Come da mille chilometri di distanza udiiun'altra volta, il caro saluto della mia giovinez-za:

— Come va, "Che"?— Bene, bene, Luigi. E tu, come stai? Ti

vedo molto bene. — mentii senza sapere cosadire.

— Prima non dicevi menzogne...— Be'!, siamo un po' più vecchi, ma nes-

sun mal vento può dare a terra con noi, ehLuigi?

— Ti ho visto attraverso la finestra e hovoluto salutarti. Io adesso mi trovo meglio, hoavuto dei problemi ma sto già bene. Le cosedella testa sono le peggiori.

Mentre Luigi parlava, ricordai momentidella nostra vita da studenti. Luigi ed io erava-mo molto interessati alla poesia e ci eravamoscambiati molti libri. La sua poesia era sem-plice, tenera. I suoi poemi sempre corti ebrillanti, senza concessioni retoriche, diretti esensuali come appena usciti dal forno del

cuore. Gli argomenti usati da lui erano moltovari ed io avevo letto qualche poema sociale diun impegno innegabile con tutto quantosupponesse la vita ai margini della società, ladimenticanza e l'abbandono.

Luigi continuava a parlare. Paolo vennecon i nostri bicchieri ed appena lasciati sultavolo, io pagai il conto. La faccia di Paolo erapassata dalla sorpresa alla preoccupazione.Con un volto eccessivamente serio, data la suacordialità abituale, ci domandò:

— Desiderano altro i signori?No, Paolo, grazie tante.

Si girò in rotondo e sparì. Luigi bevette lasua grappa di un colpo e tornò a parlare.

Mi ammalai prematuramente e non hopotuto esercitare la professione. Dopo, lo

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psichiatrico. Tanti anni ammalato... Adessovivo da solo. Mi trovo già bene.

Come senza volere, guardai attraverso ilfinestrone e vidi Charo che attraversava lastrada fino all'ingresso del caffè. Rivolgendo-mi a Luigi, dissi:

— Scusami un attimo, Luigi. Torno subito.Mi alzai e mi indirizzai alla porta per

trovare Charo. Entrò, la baciai e quando, io untanto imbarazzato, ci avviciniamo al tavolo,Luigi era sparito.

Tornai a sedermi ed udii Charo che diceva:— Un attimino, amore, devo andare in

bagno.

Quando rimasi da solo, presi la mia coppacon intenzione di bere un sorso di cognac eallora lo vidi. Piegato in quattro, un pezzo dicarta era sul tavolo. Oltre alle pieghe c'eranoparecchie rughe, ma molte meno di quelle chesi sarebbe potuto pensare.

Quando lo aprii, mi resi conto che era unpoema battuto a macchina, dedicato a unadonna, Angela. Sopra il poema, scritto inrosso, un'altra dedica, stavolta per me:

"Per il mio caro amico "el Che", a chi contanto piacere torno di nuovo ad aprire la portadel mio vecchio ed stanco cuore.”

Misi il poema nel mio portafoglio. Charo tornò dal bagno e mentre mi spiegava il motivo del suoritardo, io tornavo, attraverso la finestra, a posare i miei occhi sulla bellezza gialla della rosa dellapiazza. Soltanto un vetro sottile mi separava dal fiore, in tal modo che la distanza, altrettanto lieve,staccava i miei pensieri dalla bellezza lontana d'una amicizia vecchia, tornata per caso da lungo informa d'un tenero poema d'amore.�

Sul viale del tramonto

Il fior della tua manoha messo mille stormi di colombe,imbiancandomi l'anima ferita.Bel fiore di gennaio,farfalla caricata di colori d'un sonno di ragazzo,canzone addormentata del mattino,ricerco nel tramonto della vitae non trovo parole,che tutto è niente al grido del tuo nome.Giardino della sera,torna su di me dolce la tua mano,torna a sfiorar la pelle del mio voltocome un ala di uccello.Riceva io la gloria del tuo alitoe mi lasci morir purché mi guardi,che non trovo i tuoi occhi,che me li rubanodopo ed ogni sera, quattro gnomi d'argento.Non trovo le tue labbra.Guarda come le tengonole rose di ogni primavera.Non trovo le tue mani.Le prendono d'invidia le colombesul viale del tramonto...E rimango da solocome la morte.Che sono come spadele lancette d'acciaio che ti portano.Che è l'una e mezzo ed io muoio.Che è l'una e mezzo della sera.

Per Angela, la vita.

Una lacrima fuggitiva finisce sulle mie labbra. Mentre provo ilsuo sapore salato mi vengono in mente tantissimi pensieri,

parole mai pronunciate, scuse non dette. La mia voce non riesce aduscire dalla mia gola. Fisso lui quieto, impassibile, con lo sguardovagheggiante sull’aria mentre lei giace sul tappeto immobile. Misembra un vecchio film, rivisto molte volte, dove i personaggirecitano parti determinate; e più che ci provo non riesco tuttavia acambiarne la fine.

All’improvviso mi sveglio tremante, mi pare di essere sola, maallora lo sento accanto a me. Il suo caldo respiro rincorre la miaschiena e immagino che è mio, soltanto mio. Rimango in quel modo,trattenendo perfino l’aria, per paura di svegliarlo. Temo chequest’attimo possa svanire se ci troviamo tutti e due in mezzo a unarealtà che non ci appartiene. I minuti si trasformano in ore; vorreitantissimo fermare il tempo...

Ana Lázaro

UNA LACRIMA FUGGITIVA

quinto CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2002

TRA DI NOI X 21TRA DI NOI X20

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Natalia Manzano

CASA MEDITERRANEO

quinto CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2002

Emilia Maresca 400

sesto CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2003

TRA DI NOI X 23TRA DI NOI X22

Avete mai corso in un gara ufficiale di atletica? Senon l’avete mai fatto, non capirete veramente di

cosa vi parlo, perché quello che si sente prima, esoprattutto correndo i 400 metri, e persino direi dopo,è una sensazione che non si può descrivere con leparole. Comunque, ci proverò.

Io, la notte prima, appena riesco a dormire. Cerco divisualizzare la corsa. Mi vedo correndo bene, facendo unabuona uscita, controllando i tempi della gara... e anche sesono tranquilla e fiduciosa di me, c’è sempre qualcosa allostomaco che non mi lascia conciliare il sonno.

Di solito mi sveglio un’ora prima di sentire la sveglia, esiccome anche la mia compagna si sveglia sempre presto,andiamo a fare colazione, una bella colazione, per poi nonavere fame, anche se io sempre ce l’ho e perciò porto sempreun paio di banane con me.

Quando manca ancora un’ora per la gara devi iniziare ilriscaldamento: una corsa di 15 minuti più o meno, e allora sì,non puoi più smettere di pensare alla gara: “mi sento bene,tutto andrà bene”; poi, un po’ di tecnica di corsa, e continui apensarci: “devo cominciare forte, ma non troppo”; e poi, igemelli, lo skipping: “devo risparmiare delle energieper la fine, non andare giù”. Mentre sgran-chisci i muscoli guardi le tue avver-sarie. Di solito ti chiedono sesei andata a qualchecampionato, qual è iltuo record per-sonale,io non chiedo niente anessuna, mai, e persino cerco di non rispondere, quando vado a un campionato mi piace fare la miacorsa e non preoccuparmi degli altri, per questo mi piacciono i 400 metri all’aria aperta. Non mipiacciono “indoor”, dove corri per la tua strada soltanto un pezzo di corsa, poi devi condividere con lealtre la strada libera ed ecco che arrivano le gomitate, anche se in una 400 si direbbe che non c’ètroppo tempo per queste, ma c’è la possibilità, che io preferisco evitare, quindi, ognuno per la suastradina a fare la sua corsa.

Quando mancano appena venti minuti — a volte si può fare prima, ed io lo preferisco perché cosìsono più concentrata nella corsa — devi andare dagli arbitri e confermare la tua presenza alla gara, edè allora quando mi vengono i nervi, o meglio, me li fa venire il mio allenatore, me l’hanno detto anche imiei compagni, a loro capita spesso, è lui chi è davvero nervoso e fa venire i nervi a tutti; e come no, civuole una visita al bagno...

Già sono in pista, cerco di calmarmi, non importa niente quello che tu abbia fatto prima, adessonon ti puoi pentire di quel giorno che non sei andata ad allenarti perché sei uscita la sera prima operché volevi vedere un film, o di quello in cui hai finito prima l’allenamento perché non avevi vogliadi farlo tutto o ti sentivi stanca, no, adesso c’è la gara, e basta. Colloco la tacca, faccio un paio di usciteper verificare se la distanza è buona, tutto va bene, quel brulichio allo stomaco che sentivo la notte

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Patricia Corigliani AMORE

settimo CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2004

TRA DI NOI X 25TRA DI NOI X24

Camminò per una strada immensalunga e indefinita, verso una luce chiamata salvezza.Fu la stella maestra ad indicar la strada.Andò solcando i mari,cercando la metasi confuse nelle foreste attraverso spazi infinitisentieri senza orizzonti.Ed un giorno trovò l’amore.E si accorse di amare.E si accorse di non soffrire per quell’amore.Era qualcosa di impercettibile, inviolabiledi assoluta limpidità.Fu una cosa insormontabile, una gigantescamontagna a strapiombo. E lui era all’apice di essa.Era neve appena scesaera acqua appena sgorgata da una sorgenteelegante come un cignoun dì si accorse di amare.

prima lo sento ancora, ma non è cattivo, è leggero, sufficiente per farmi essere pronta, con la tensionenecessaria.

“Ai vostri posti”, “pronte”, “bang!” “Va! è stata una buona uscita, non andare così veloce, vaitroppo veloce, poi ti possono mancare le forze, ok, così va bene”; questo soltanto nei primi cento metri,in cui ti senti bene perché potresti andare più veloce ma conservi le forze, vai rilassata e arrivi aiduecento metri, dove ancora la stanchezza non è apparsa: “vai bene ragazza, avanti, tutto avanti”.

Entri nella curva e quando arrivi alla metà, duecentocinquanta metri, senti che c’è qualcosa chenon va, adesso sì comincia ad apparire un po’ di stanchezza, ma puoi continuare con la stessa tranquil-lità e rilassamento, anche se, come dicevo, cominciano a mancare un po le forze: “rilassati, va benecosì”, ed entri negli ultimi cento metri, e Dio!, qui c’è la vera sofferenza, “mamma! il vento tira contro,cazzo!”, non importa se non fa vento, la sofferenza è la stessa, subito cominci a sentire che non puoicontrollare le tue gambe, che le vuoi alzare ma non ti ubbidiscono, e qui tutto quello che devi fare èrilassarti ancora di più, mancano cinquanta metri e senti l’acido lattico nelle gambe e soprattutto neiglutei che soffrono tutta la pressione e la trazione contro la pista, in questo momento chiederesti alcielo “la morte, subito, per carità”, ma devi continuare su, “su, ragazza, su, rilassata e avanti, ampiez-za, aiutati con le braccia, non manca niente per finire, ampiezza e frequenza”, cerchi di rilassarti, esenza sapere come ci riesci, sì, lo sai come, hai già sofferto abbastanza negli allenamenti per saperecome lasciare indietro quella sofferenza e superarla per andare avanti, ma comunque è un miracoloche le gambe facciano quello che le chiedi, ed ecco la meta!: “dove sono, non vedo un cazzo”, l’acidolattico che era concentrato nelle gambe adessoriempie tutto il tuo corpo e non ti lascia pensarecon chiarezza e ti fa venire la nausea. Il mioallenatore aspetta con un sorriso, solo in caso diaverlo fatto davvero male non sorride, se no, tidice che è orgoglioso e che hai fatto una bellagara: il record, non importa adesso.

Vado a correre un pochino, ma moltopiano per assorbire quel maledettoacido lattico, perché, mamma mia!,quanto male mi fa il culo! Poi sgran-chire i muscoli, soprattutto iglutei, mentre chiedo all’allena-tore com’è andata, se lui ècontento lo sono anch’io, efinalmente, la ricompen-sa più gradevole: ladoccia di acquacalda! Dopo di che,tutta la sofferenza diprima diventa ilrelax più grandedel mondo.

Ed è questo nel migliore dei casi,perché a volte non puoi dormireaffatto, o ti sono venute le tue cose,oppure il vento, non si sa come, tiracontro durante tutta la corsa, oppure,che ne so io, ci sono tante cose chepossono condizionare una gara chesembra corta, ma ve lo dico davvero, si falunghissima, ma è, per me, senza dubbio,da vedere e da correre, la cosa più belladell’atletica.�

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IL SEGRETO DEL FIUME Fedra Egea

settimo CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2004

TRA DI NOI X 27TRA DI NOI X26

Da bambina mi piaceva tantissimo giocarenei bunker vicini a casa mia. Di solito ci

andavo con gli amici che abitavano nellostesso villaggio. Ci era assolutamente vietatogiocare lì, perché erano al di là del fiume, maci andavamo comunque. C’erano tre bunkerdal tempo della guerra; all’inizio c’era statoanche un altro, vicino alle case, ma l’avevanotolto per fare una piscina. Si diceva che prestosarebbero stati tutti distrutti per costruire altrecase, e il fiume sarebbe stato canalizzato.L’idea della piscina mi piaceva, certo, ma nonera ancora finita e consideravo la perdita diquel bunker come una prima sconfitta. Perquanto riguardava la canalizzazione del fiume,per me era proprio un’offesa. Mi piacevacom’era, allegro, selvaggio, libero, con le suesponde irregolari e un grosso tronco d’unalbero che serviva da ponte. La sua larghezzanon sorpassava un paio di metri al massimo enon era per niente profondo, non copriva lecaviglie, ma il suo letto era fatto di pietre e lesponde erano troppo alte. Una caduta dall’altopotrebbe essere stata molto grave.

Un giorno, avrò avuto tredici anni, giocava-mo nei bunker. Mia cugina Margherita, comesempre, dava gli ordini e, come sempre, lei erala principessa rapita dai malvagi. La tenevanoi miei fratelli in uno dei bunker ed io e Paolodovevamo liberarla. Paolo era il ragazzo di miacugina, cioè gli piaceva Margherita, e a lei lepiaceva piacergli. E a me piaceva Paolo.

Per poter liberare Margherita abbiamodeciso di andare dall’altra parte del bunkerdove c’era un piccolo bosco. Da lì potevamoraggiungere il bunker ed entrare dalla parteposteriore. Per arrivare al bosco senza esserevisti ho proposto di scendere fino all’acqua delfiume perché le sponde erano molto più alte dinoi e ci avrebbero nascosto perfettamente.

«Ottima idea», ha detto Paolo. Era infasti-dito con Margherita perché sempre toccava alui liberarla; avrebbe preferito essere uno dei‘malvagi’ e restare con lei nel bunker. Credoche il mio piano gli piaceva perché ci volevatempo per camminare sul letto del fiume e cosìMargherita sarebbe stata costretta ad aspettar-ci. «Non sono mai stato là giù e vorrei vederloda vicino prima che sia canalizzato».

«E’ per questo che voglio andarci an-ch’io», ho confessato. «So come fare perscendere, ma non come risalire più avanti».

«Veramente, questo non importa. Trove-remo un mezzo per uscire di là». Fortu-natamente entrambi portavamo stivali.Dovevo fare attenzione a dove mettevo i piediper non scivolare mentre camminavo sulghiaioso ed irregolare letto del fiume, e a lostesso tempo cercavo di registrare quel-l’immagine nella mia memoria. Così volevoricordare sempre quel fiume: visto dall’inter-no, ancora libero e selvaggio, e con Paoloaccanto a me.

Non è stato facile arrivare all’altezza delbosco e ogni tanto rischiavamo di cadere. Ma,ridendo e scherzando, alla fine, ci siamoarrivati. Cercavamo un modo di salire sullasponda quando ho visto qualcosa di strano.

«Quello là non è una grotta?»Infatti era una grotta che dall’alto non si

poteva vedere. Abbiamo scambiato uno sguar-do e ci siamo subito capiti. Margherita e glialtri avrebbero dovuto aspettare ancora un po’.

Dentro c’era il buio, ma dopo qualchesecondo i nostri occhi si sono abituati. La

grotta era abbastanza grande, dieci personesarebbero entrate senza difficoltà, ma nonc’erano dieci persone all’interno, soltanto una,ed era morta. Infatti, era uno scheletro in unavecchissima divisa militare.

L’ho guardato affascinata. Avevamo trovatoun morto! E chi sa da quanto tempo era lì.Forse dal tempo della guerra. Acanto a luic’erano un vecchio fucile e una borsa di cuoio.Mi sono avvicinata per vedere meglio, volevocapire come era arrivato lì, come era morto.

«Poveraccio», ho detto. «Tutti questi anniqui dentro mentre la sua famiglia si domanda-va che fine avrà fatto. Deve essere dura nonsapere che cosa è diventato tuo padre, tuofiglio o tuo marito».

Ho subito iniziato ad ipotizzare su quelloche gli era successo.

«Forse voleva raggiungere il bunker, magli hanno sparato ed è caduto nel fiume. E’riuscito a entrare nella grotta, ma…»

Mentre parlavo, mi sono accorta che Paolonon mi ascoltava. Era rimasto assolutamenteimmobile e guardava lo scheletro in silenzio.

«Paolo? Stai bene?»Senza rispondermi si è avvicinato alle ossa

e ha tentato di guardare che c’era nelle taschedella divisa, ma il tessuto era troppo vecchio esi è rotto. Gli ho chiesto di non toccare niente,ma non mi sentiva, cercava qualcosa di preci-so. Nella borsa di cuoio ha trovato dei docu-menti. Li ha sdoppiati con cura ed è andato aleggerli dove c’era più luce.

«Si chiamava Aldo Rossini. Era miononno. E’ disperso in guerra».

Paolo era commosso. Siamo rimasti lì insilenzio qualche minuto guardando suo non-no. Poi gli ho detto che dovevamo avvertire lasua famiglia. Mi ha detto di sì con la testa, manon ha pronunciato una parola fino a quandosiamo arrivati a casa sua. Mentre lui spiegavaai suoi quello che avevamo trovato, io andavo acercare i miei fratelli e Margherita.

Mia cugina si è arrabbiata. In quel mo-mento, perché l’avevamo dimenticata e, igiorni successivi, perché nessuno (e Paolomeno degli altri) le faceva attenzione. Macredo che quello che l’ha fatta arrabbiareveramente è stata la stretta amicizia che daallora è nata tra me e Paolo.�

Page 16: Tra di noi 10

TRA DI NOI X 29TRA DI NOI X28

— Sono attrice.— E sei pure spagnola?— Sì, sono spagnolaIo avrei voluto dire di essere una misteriosa donna senza una patria ma sapevo che il mio accento

spagnolo evidenziava troppo le mie origini.— Allora sicuramente fai parte del film "Poniente".Era incredibile, non solo mi ero finta attrice pure il film di cui lui mi parlava era un film girato ad

Almería, la mia città e che concretamente raccontava la storia di una ragazza che si trova a gestire unaserra.

— Guarda, io sono uno studente di giornalismo, sonoqui grazie ad una borsa dell'università, immagino chesarai molto impegnata ma ti piacerebbe venire alla festadel cortometraggio che presentano dei miei colleghidell'università? È oggi a mezzanotte, possiamo vedercidavanti all'Hotel Excelsior, e parlando propriodell'Excelsior, mi potresti concedere un'intervista? Èsolo per un giornale universitario ma appunto per questoho una gran difficoltà perché mi concedano delle intervi-ste, mi faresti questo piacere?

— Ma certo, stasera parliamo dell'intervista.Subito andai a prendere il programma delle proiezio-

ni, che fortuna! Il film non si proiettava quel giorno manon potevo dire d'essere la protagonista perché lei appa-riva sul manifesto e questo il mio amico lo poteva comun-que vedere, scelsi il nome di un'attrice secondaria, entraiin un cyber caffè (di quelli che io avevo maledetto) perinformarmi bene di quel film e mi comprai un vestito perandare alla festa.

A mezzanotte precisa vidi da lontano che il mio amicoera già arrivato, io come una gran diva aspettai mezz'ora ea mezzanotte e mezzo arrivai chiedendo scusa ma lui fucomprensivo, immaginava che io avessi grandi impegnicon i mass media.

Arrivai alla festa sentendomi la grande star dellaserata, forse avevo pure esagerato col vestito perché quasitutti erano studenti che vestivano in modo piuttosto"casual" ma loro lo consideravano un'eccentricitàd'attrice, i ragazzi protagonisti del cortometraggio michiedevano consiglio su come recitare, mi chiedevano delmondo del cinema spagnolo, se conoscevo PenelopeCruz, Javier Bardem o Pedro Almodóvar e io nel ruolodell'attrice rispondevo con più naturalezza che se fossistata veramente io a parlare. Forse come dice OscarWilde recitare noi stessi è il ruolo più difficile al mondo.

Il giorno dopo avevo l'intervista, erano le due, questavolta fu puntuale perché era pure necessario dimostraredi essere una gran professionista.

— Bene, dove ti piacerebbe fare l'intervista?Là in fondo vidi sul terrazzo dell'albergo la sedia a

sdraio e dissi senza un attimo di dubbio e puntando coldito:

— Là, mi voglio sdraiare là.— Niente problemi, sarà una foto bellissima.Mentre mi sdraiavo là fingendo di essere un'altra

persona, pensai che morire a Venezia non poteva esserebrutto.�

LO STRANO VIAGGIO Elisa García-Lara

Avevo una gran voglia di andare a Venezia, eraper me un luogo magico e aveva quella deca-

denza che tanto mi seduce. Avevo visto pure il film"Morte a Venezia" con Dick Bogarde ed ero cosìfissata con quel film che era diventato per me ungrande sogno il fatto di sdraiarmi all'HotelExcelsior, pensavo pure che morire a Venezia nonpoteva essere brutto.

Finalmente era arrivato il momento di andarci,avevo viaggiato in treno, prima Almería-Madrid,dopo Madrid-Irún, poi Irún-Ventimiglia e perultimo Ventimiglia-Venezia Santa Lucia.

Non so se a tutti succede lo stesso ma io in trenomi sento un po' in un romanzo d'Agatha Christie, soche i treni sono cambiati molto da allora ma hannoancora qualcosa d'avventura, di fantasia chealmeno per me gli aeri non avranno mai.

Quando sono arrivata a Venezia-Santa Lucia lafantasia continuava, là in fondo vedevo il canale,vedevo i palazzi aristocratici, io non vivevo nel2002 no, io ero un'elegantissima signora d'iniziosecolo o meglio una famosa e ricercata truffatricepronta a fare l'impostora in un lussuoso e riccopalazzo veneziano.

Ma il mondo d'oggi non ti fa sognare, quandocominciai a camminare per le strade di Venezia,scopri la dura realtà: i turisti, i negozi di souvenir, icyber caffè, perché? Perché il mondo modernodoveva arrivare pure a Venezia?

Mentre andavo a zonzo non sapevo che il miosogno (aggiornato ma comunque il mio sogno)sarebbe diventato vero poche ore dopo.

Tutto cominciò mentre viaggiavo sul vaporetto,mi ero addormentata e un ragazzo mi aveva sveglia-ta annunciandomi che non c'era più nessuno sultraghetto.

— Anche tu vieni alla Mostra? — disse.Io non andavo evidentemente alla Mostra di

cinema, non sapevo neanche della sua esistenzaperò automaticamente dissi:

— Sì, anch'io sto andando là.— Che cosa sei, attrice, studentessa, regista,

critica, turista?Tra tutte le cose che lui mi aveva detto, attrice

era la professione che mi sembrava più, diciamo,"glamourose".

OTTAVO CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2005

Page 17: Tra di noi 10

TRA DI NOI X 31TRA DI NOI X30

Non sopportavo quella situazione, anzi volevo andarevia al più presto, ma quel brutto tempo mi aveva fatto

restare lì. Solo potevo fare una cosa, parlare un’altra voltacon lei degli stessi problemi, invece restavo lì davanti allafinestra. Avevo guardato per circa due ore la neve che mifaceva sentire proprio in carcere, e che era colpevoleanche dei miei guai.

Adesso non ricordo bene cosa successe, ma ricordobenissimo come non sopportassi la sua compagnia. Ènormale restare a casa dei tuoi suoceri senza parlare con latua ragazza, è uno sport d’alto livello, addirittura conquella neve intorno, senza nemmeno poter scappare.

Così avevo deciso di andare fino al fondo e dabrav’uomo che sono, volevo raccontare tutta la verità, lamia verità, ai genitori della ragazza. Dopo quella docciad’acqua calda e rilassante, avevo anche organizzato il miodiscorso.

Signor Martinelli, dopo tre mesi di convivenza con suafiglia sono arrivato a due conclusioni, la prima è che sonoinnamorato cotto di sua figlia, e la seconda è che non posso

IL BIANCO, LA NEVE, I GUAIMaría del Mar Fernández

OTTAVO CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2005

vivere con lei, insomma la situazione è insostenibile, mi dispiace moltissimo e vorrei andare via ma lasituazione climatica non me lo permette, così andrò via quando il tempo ci darà un respiro, dopoproverò a dimenticare quello che sento per lei, e pure questa ridicola situazione.

Mi ripetevo questo discorso più volte, mentre mi mettevo quei pantaloni sportivi che il giornoprima mi ero tolto veloce mentre andavo a letto con lei. Non volevo dimenticare quelle frasi, nonvolevo fare ancor più brutta figura. Dopo aver messo un maglione e delle scarpe, andai in salotto echiamai i miei futuri suoceri.

Signor Martinelli, cominciai a dire, dopo tre mesi di convivenza con sua figlia, sono arrivato a dueconclusioni, continuavo, la prima cosa è che sono innamorato cotto, ma che cosa è questo, di suafiglia, cosa c’è sotto i pantaloni, e la seconda è che non posso, mi tocco, ho un bozzo che non so cos’èsopra la coscia destra, vivere con lei, mamma mia! la signora mi guarda! voglio dire, senza lei, cosafaccio, cosa dico, ma che cos’è questo, faccio scendere quel bozzo sotto i pantaloni con la mano fino alpiede destro, insomma la situazione è insostenibile, non posso crederci cosa ci fanno qui queste,mamma mia, cosa faccio con queste mutande bianche!, così ho deciso, la signora le ha viste, ora dovele metto, che voglio lasciare sua figlia, anche lui le ha viste, la mia mano è troppo piccola per nascon-derle, mi guardano male tutti è due, dicevo che voglio sposarmi con lei, non può essere vero, cosa hodetto?! Ora mi guardano ancora peggio, sono diventati rossi, e dopo essersi guardati ancora un po'cominciano a ridere e ridere, ed io non so cosa fare. Avevo fatto la più gran brutta figura della mia vitaed addirittura mi ero promesso sposo.

In quella confusione arrivò anche lei, ci guardò per un po', vide anche lei le mutande, e disse:anch’io ti voglio bene caro, sei unico, voglio restare con te per sempre.

Domani mi sposo con lei. Forse la neve sia colpevole e abbia tutta la responsabilità, forse quelbianco intorno, forse quelle mutande bianche. Ma adesso ho capito che molte cose bianche mi fannoinnervosire, come l’abito da sposa che domani porterà.�

La mia famiglia è molto numerosa. I mieinonni hanno avuto sei figli, e questi,

soprattutto mio padre, ne hanno avuti ancoradi più. Abitiamo tutti insieme –nonni, figli enipoti– in una mansione splendida su unamontagna veramente alta.

Mio nonno era il presidente di una dittafamiliare molto influente in tutto il mondo,dedicata allo scambio di merci dentro e fuoridello Stato. Era un vecchio moltopotente e geloso di tutti, anche deisuoi, quindi ha fatto tutto perevitare che i suoi figli avesserouna parte dei titoli della ditta.

Purtroppo per lui mianonna, una donna veramenteesemplare, ha inviato miopadre, il più giovane di tutti ifratelli ma il più coraggioso diloro, a studiare all’estero, e luiha imparato, eccome! È tornatoa casa e con l’aiuto dei suoifratelli è riuscito ad isolare miononno ed a impadronirsi delladitta. Ne ha scelto per lui lasezione più ambita, quella del com-mercio aereo, ed ha lasciato quelle delcommercio marittimo e dell’estrazione mine-raria ai due fratelli maggiori. Tutti e tre siassomigliavano tanto fra di loro che tuttipensavano che mio padre fosse ovunque allostesso tempo.

Anche mio padre ha un bel caratterino. Ungiorno ha preso una corda da un lato e ci hadetto di prenderla dall’altro e tirare, e nonsiamo riusciti a vincerlo; non conosco nessunocosì forte come lui. Quando non si occupadella ditta, distribuisce il suo tempo fra le dueattività che gli piacciono di più: guardare ilmondo dalla montagna dove abitiamo e corteg-giare le donne (e non solo). La prima attività lacondivide con la mamma, la seconda no. Anzi,lei fa tutto il possibile per vendicarsi di questeavventure amorose; vigila sempre mio padre,ma lui sa come travestirsi per non esserescoperto.

Il risultato è che io ho un sacco di fratelli, esiccome sono di madri diverse non si assomi-

gliano per niente né fisica né mentalmente.Fra di loro il preferito del babbo è un giovanebello come il sole che vuole diventare ungrande musicista. Passa tutto il giorno con lachitarra in mano e canta, e gli altri non sappia-mo che cosa fa peggio. Lui è convinto che lasua voce è meravigliosa, ma la verità è chenostro padre usa il suo potere per fargli avere

sempre dei contratti per cantare in qualchebar e per comprare anche il pubbli-

co affinché applaudisca. Devoammettere che lui ha unavirtù che mi piacerebbeavere io stesso: è moltointuitivo, intuisce semprequello che sta per succede-re.

C’e anche il fratelloubriacone, che ha preso lasezione del commerciovinicolo e percorre il mondovendendo i nostri vini, chesono veramente buoni –equesto non è immodestia–.

Fra le sorelle ce ne sono dueche non vogliono sposarsi e

preferiscono restare per semprezitelle, l’una perché le piace cacciare e nonpensa ad altro nella vita, l’altra perché vuoleaiutare mio padre nella ditta con la sua intelli-genza e la sua visione strategica; non è lamaggiore di tutti, ma riesce sempre a vinceregli altri nelle liti a pugni. Anzi lei vince unaltro mio fratello che è stato ammessonell’esercito, secondo lui per difendere lapatria, secondo noi perché qui nessuno sop-portava la sua irascibilità.

Quanto a me, sono un po’ ladro. Non mipiace uno dei miei fratelli, quello che coltempo è diventato musicista. Un giorno, moltianni fa, quando ero piccolo, gli ho rubato unacosa molto costosa senza lasciare tracce, e luiè diventato pazzo perché non sapeva cosa neaveva fatto. Alla fine gli ho regalato la suaprima chitarra e così sono riuscito a calmarlo.Como potete vedere, qui all’Olimpo non siannoia nessuno.�

LA MIA FAMIGLIA Juan L. López

nono CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2006

Page 18: Tra di noi 10

TRA DI NOI X 33TRA DI NOI X32

La sua non era mai stata una vita facile. Inuna famiglia numerosa, che faceva in

nove con i parenti, la nonna e i cinque fratelli,Mariella si era sempre sentita sola. I parentilavoravano in campagna dalle sei di mattinafino al tramonto. La nonna, sempre a dormire oa guardare la TV, non era mai stata una presen-za notevole nella sua vita. Invece, i cinquefratelli erano troppo notevoli. Urlavano, sipicchiavano, erano troppo vivi e rumorosi. Leiamava la pace, il canto degli uccelli neglialberi, il vento tra le foglie dei castagni. A casasua c’era di solito tanto casino con quei bam-bini arrabbiati che doveva andare via all’ariaaperta appena finiva di lavare i piatti dopopranzo, che sempre preparava, tornata dallascuola, per tutti gli abitanti della casa. Era unasognatrice. Sognava con andare in città,indossare vestiti eleganti, mangiare il gelatosotto i portici di qualche città del nord, comequelle donne che apparivano nei teleromanzia metà pomeriggio.

Una mattina di primavera — Mariella eraormai una bella ragazza mora dagli occhi nerie immensi che aveva finito la scuola elementa-re — arrivò al paesino perduto nella cartageografica una macchina straniera. Scese unuomo di media età, alto, vestito con un elegan-te abito scuro, di sotto portava camicia grigia(sembrava uno di quelli che conquistavanosempre le eroine delle telenovelas) e le siavvicinò. “Signorina, mi scusi, potrei parlareun attimo con Lei?”, fece l’eroe dei suoi sogni,sicuro di sé, sicuro di essere bello. Mariella loguardò dritto negli occhi e si innamorò. Nonaveva mai visto un uomo bello ma reale,materiale, fisico, conosceva soltanto quelli indue dimensioni dentro lo schermo del televi-sore. Capì allora quel-l’emozione che subiva-no le donne che lei ammirava, quelle con lelabbra grosse, rosse come il cuore, con i tacchia spillo. “Volevo chiederLe se per caso nonvorrebbe venire con me in città. La trovo cosìbella! Sono sicuro che la città e il mondo Laadoreranno. Faccio il fotografo di modelle, eposso farLe diventare famosa prima che Lei sene accorga”. Mariella pensò di sognare, sipizzicò sul braccio, poi assentì incredula eportò il suo futuro marito verso la casa odiata,buia e opprimente, per prendere le quattrocose che le appartenevano e portarle via consé, lasciando dietro la sua famiglia e il suopassato.

La città sembrava più grande ancora dicome lei l’avesse sempre immaginata. Come

Giancarlo gli aveva promesso tre mesi prima,Mariella diventò famosa senza quasi accorger-sene. Vestiva con abiti eleganti, indossavatacchi a spillo e aveva le labbra rosse come ilcuore. Abitavano una villa circondata dagiardini, il canto degli uccelli era ancora piùbello di quelli in campagna, e il vento tra icastani suonava una musica sublime.Nonostante, c’era un vuoto nella sua vita chenon sapeva precisare, le mancava qualcosache non poteva identificare. Aveva tuttoquello che si potesse desiderare: un maritobello e ricco, la fama mondiale, una casaincredibile e i vestiti dei migliori sarti. Di figlinon ne voleva neanche sapere, non le interes-sava per niente la maternità, forse il ricordodella sua infanzia con la carica di cinqueragazzini addosso l’aveva traumatizzata.L’eccitante vita in città la teneva sempreoccupata, la sua agenda era piena di appunta-menti, feste, eventi importanti e viaggi per ilmondo. Comunque, ancora sentiva quellasolitudine cha la rendeva malinconica.Cercava ancora qualcosa, il suo sogno dibambina non era quella vita regalata.

Viaggio di lavoro: settimana prossima,Egitto. Mariella amava quella parte del suolavoro. Viaggiava sempre sola, Giancarlo eratroppo impegnato nei suoi affari per accompa-gnarla. Preparò le valigie e partì come eraormai abituata, senza pensarci molto. Nonaveva mai aspettative sul paese di destinazio-ne, su quello che avrebbe trovato là doveandasse. Questo viaggio sarebbe stato decisi-vo, invece. Non sarebbe mai tornata.

Il lusso del albergo a Il Cairo non la mera-vigliò. Quello che la sconvolse fu l’atmosferadella medina durante la gita notturna, dopo illavoro. Il mistero di quella città antica, anco-rata al passato, solcata dal canto dei muezzin eda vicoli che ti portavano a nessuna parte,colma di palazzi e moschee, l’affascinò. Lamagia di tutto quello che la circondava latrasportava alle Mille e una Notte.

Quella sera al ristorante conobbe Hassan.Era l’uomo più bello che avesse mai visto (eadesso di uomini se ne intendeva). Mariellacapì che era quello il suo mondo desiderato,voleva restare lì per sempre, diventareSherezade per vivere quel suo vero sogno.

Telefonò a Giancarlo la mattina dopo;Hassan era ancora steso sul letto, addormen-tato...�

MARIELLA,UNA VITA SOGGNATAElisa Bueno Brinkmann

nono CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2006

Page 19: Tra di noi 10

TRA DI NOI X 35TRA DI NOI X34

Mi ricordo di teJosé Javier Zapata “Zap”

La memoria del cuoreJosé Ramón Carmona

XCONCORSODI SCRITTURACREATIVA

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Hey, come vai? Da un pochettino che non parlavamo, vero? Ma, vedi, oggi sonovenuto a trovarti perché mi sono svegliato pensando a te. Non ci credi, vero...?

Mi conosci troppo bene.Insomma, mi è venuta in mente l'occasione in cui ci siamo conosciuti. Dai, sì, sei

anni fa, circa. In quella festa, dove nessuno di noi voleva andarci, ho trovato un veroamico, anche tu, spero...

È stata una casualità, perché se io non avessi parlato su quel bruto film (ancora lapenso così, scusa...), tu non mi avresti risposto in quel modo... e poi cominciò unadiscussione che finì con un bel rapporto tra noi due.

Veramente pensavo che non fosse possibile, cioè, avevamo gli stessi gusti ehobbies. Grazie a te mi hanno ammesso nella tua squadra di pallavolo (anche se tuttie due sappiamo che non ci voleva quell'aiuto, eh eh). Ti ricordi quando abbiamofatto quella corsa con i karts? Ed io pensavo di poter vincere facilmente, ma alla fineha vinto la tua sorella piccola! Certamente, guidava benissimo; un bacio da partesua, eh sì, non ti preocupa', io mi prenderò cura molto bene di lei.

Eh... va bene, me ne vado perché mi stanno aspettando. Ti lascio questi fiori,anche se so che non ti piacciono, ma veramente non sapevo cosa portarti. Comedici? Io, piangendo? No, dai, soltanto che mi sono raffreddato ed in questo cimiterofa un freddo cane. Nient'altro, sono sicuro che prima o poi ci ritroveremo, quindidevi aspettarmi. Un abbraccio del tuo amico del cuore che non ti dimentica.�

premi ex-aequo 2007

José Javier Zapata “Zap”

MI RICORDO DI TE

decimo CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2007

Page 20: Tra di noi 10

TRA DI NOI X 37TRA DI NOI X36

Marili Sarmiento NONNA

Desde pequeñita me quedéalgo resentida de este pie.Y aunque el andares cosa muy bonita,disimular que soy una cojita,y si lo soy, lo disimulo bien.Corre que te doy,que te doy un puntapié.

Ma, veramente, a mia nonna non sembrava importarle questa deficienza; ancorami ricordo una canzone che lei mi insegnò:

Portava sempre un grembiule con un borsellino, da dove, come se fosse MaryPoppins, tirava fuori qualche cosa: da un fazzoletto — che sembrava un lenzuolo —per asciugarci il moccio, a un temperino di matite che noi non potevamo usare.

Da quando suo marito era morto, moltissimi anni prima, non usciva mai dallacasa. La ricordo seduta nella sua poltrona, lavorando con i ferri, acanto alla galleria,ascoltando la radio. Abuelita era repubblicana; molti anni dopo ho capito perchè siarrabbiava quando ascoltava alcune notizie.

Lei diceva che voleva morire a Santiago, dove era morto suo marito. Come erauna donna di carattere, così lo fece: in villeggiatura in Galicia, approfittò per morire.

I ricordi sono quelli di una bambina di nove anni, ma rimangono intatti: milavava fortemente la faccia, il collo e, soprattutto, le orecchie; mi strofinava i gomiti,mi cantava bellissime canzoni, mi faceva sedere insieme a lei per insegnarmi acucire, mi domandava la tavola delle moltiplicazioni…�

Mia nonna morì quando io ero una piccolabambina e per questa ragione sempre si

chiamò Abuelita. Abuelita zoppicava a causad'un incidente durante l'infanzia e benché dagiovane appena si notava (non si notava nien-te), passando gli anni si fu rimarcando. E io,che pensavo che tutte le nonne del mondoerano zoppe, scoprii il mio errore il giorno cheuna piccola amica della scuola me lo com-mentò come se fosse una cosa straordinaria.

Da bambina, io abitavo ad Almería, in unacasa a due piani, piccola e molto tipica, con

una porta grande e un balcone. Nel pianterrenoc'era un cortile e nel primo piano una terrazza.

Mia nonna, la madre di mia madre, abitavacon noi. Qualche volta allevava polli nel cortile.Il mio pollo se chiamava Bartolo. Un giornoBartolo è scomparso, io non sapevo dove era ilmio pollo, ma penso che lui ha finito i suoi giorninella pancia di qualche vicino, perché io so chemia nonna era molto generosa.

La mia altra nonna abitava a dieci minuti danoi, in una casa grande, per una famiglia grande.La casa aveva una scala molto grande e moltobella. Lei aveva nove figli, sei uomini e tre don-ne. Due figli sono morti da bambini dal-l'influenza, allora mia nonna è diventata ciecaper un tempo dall'impressione. Un altro figlio èmorto durante la guerra civile ai diciotto anni.

Io avevo molti zii e molti cugini. I miei cugini,mia sorella e io giocavamo moltissimo nella casa

di mia nonna. Io ricordo quando arrivava dicem-bre e Natale e noi facevamo il presepio tuttiinsieme.

La casa non era mai vuota, tutto il temposuonava il campanello e avevamo una nuovavisita, uno zio, una zia, un cugino, un vicino,ognuno con una storia, era molto divertente.

A me piaceva moltissimo la musica e cantavotutto il giorno, e con me, il mio canarino giallo.Noi eravamo molto felici tutti e due.

Non mi piaceva molto mangiare, io ero moltomagra, e se il cibo non mi piaceva, lo lanciavosull'armadio.

Mi piaceva anche andare a scuola, impararele lingue e la storia, ero molto curiosa e mi piace-va studiare. Lì mi divertivo molto con i miei ami-ci e noi ridevamo tutto il tempo.

Tutto questo è successo molto tempo fa. Io homolti e, quasi tutti, bei ricordi di questa epoca.Qualche volta penso alla mia infanzia con moltanostalgia.�

Viqui Rodríguez DA BAMBINA

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TRA DI NOI X 39TRA DI NOI X38

CHE BELLA ERA L’INFANZIAJavi Ramos

Sempre dico che la mia infanzia non è ancora finita perchésempre avrò dentro di me qualche parte di quel ragazzo che sono

stato. Ho un sacco di ricordi che non voglio dimenticare mai: posti,gente, fatti, tante cose... Adesso ho capito perché i miei amicidicono che sono troppo malinconico.

Sono nato ad Almería nell'anno 1978. Credo che quest'anno èimportante nella storia moderna della Spagna per tanti fatti politici.

Abitavamo ad El Ejido perché mio padre lavorava là. Era ilprimo ispettore della Polizia trasferito ad El Ejido. Abbiamo vissuto

lì dal '78 fino all'84. Di questo tempo soltanto ricordo poche cose.Mi piaceva andare all'asilo, anche se non so perché, ma mia madremi ha detto che non ho mai pianto quando andavo da casa all'asilo.Ricordo le lezioni di lettura, scrittura e quello che ricordo di più è ilgiardino dove c'erano mille cavallette e così facevo il cacciatore, manon ne uccidevo mai nessuna. Una volta mi sono fatto male in unagamba ad una e sono stato triste i due o tre giorni dopo.

Dopo El Ejido ci siamo trasferiti ad Almería dove c'era quasitutto il resto della nostra famiglia, nonni, zii, cugini, eccetera.Cominciavo ad andare alla nuova scuola. Ho ancora amici di queltempo, gente che conosco da ventidue anni. Per me questo è unsacco d'anni. La mia scuola si chiamava C.P. Madre de la Luz. Erauna scuola molto divertente, dove ho imparato tante cosesull'amicizia, soprattutto.

Quando avevo dieci anni, ho cominciato a giocare a pallavolo eancora gioco tutte le estati nella spiaggia, tra l'altro, ho vinto duevolte il Campionato d'Andalucía insiemi ai miei compagni disquadra. Questo era il nostro punto forte, l'amicizia e l'unione.Giocavo anche a calcio come quasi tutti i ragazzi spagnoli.

Nonostante quello che mi piaceva più della scuola era il mese digiugno, quando tutti finivamo il corso e andavamo in vacanze.Andavo al paese dei miei nonni dove c'erano anche i miei cuginiJesús e Almudena, fratelli tra loro. Jesús è un anno più grande di mee Almudena ha la mia stessa età, così Jesús è sempre stato il capo dinoi tre. A me non me ne fregava niente perché così ogni problemaandava a lui. Abbiamo fatto una casa su un ulivo centenario. La casaancora c'è. Lassù giocavamo ai pirati perchè di fianco all'ulivo c'èuna piscina dove saltavamo dall'albero. Eravamo un po' idiotiperché una volta mia cugina si è fatta male a un braccio perché ècaduta sul pavimento e non dentro la piscina.

Se alla scuola ho imparato cose sulla matematicha, lingue,geografia, storia, sport, amicizia, eccetera, in campagna hoimparato tanto sulla famiglia, la natura, gli animali, le piante e comerispettare tutti loro.

La mia infanzia sembrava tranquilla ma quando è nata miasorella Marta la mia vita è diventata diversa. Avevo dodici anni esono diventato un “piccolo uomo” per aiutare mia madre che eraammalata e mio padre che era fuori città. Ogni sera dopo la scuolaaiutavo e mi prendevo cura di mia sorella. Era l'anno 1991.Quest'anno è cominciata la fine della mia bell'infanzia.�

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TRA DI NOI X 41TRA DI NOI X40

Quando avevo tra cinque e dieci anni ioabitavo in un piccolo villaggio dove sono

stato per cinque anni un bambino veramentefelice.

Mia madre era la maestra dell'unica scuo-la. Nella stessa scuola convivevamo i ragazzinie le ragazzine insieme.

La nostra casa era grande. Nel primo pianoc'era l'aula con le sedie e i tavoli scolastici.

Nel secondo piano c'era il nostro apparta-mento abituale con tre abitazioni, cucina,bagno e salotto.

Lì vicino avevamo un cortile nel qualecustodivamo animali diversi: un maiale, unascrofa, vari conigli, un gallo e delle galline.Per qualche anno abbiamo anche avuto unacapra per approfittare il suo latte.

Io mi occupavo d'avere cura, ogni giorno,di darle da mangiare e della sua pulizia. Era lamia vita come quella di un contadino. In queltempo imparavo molte cose sull'agricoltura ele abitudini degli animali. Ho avuto grandiesperienze che ricordo con piacere.

Qualche volta andavo in campagna con unpastore, il mio vicino, per ricercare l'erba per iconigli e per la capra. Con la sua conversazio-ne trascorreva la giornata con rapidità e la suagiovialità mi rallegrava molto. Ero contentodella sua compagnia. Lui è stato il vero mae-

stro della mia vita in campagna.Avevamo in casa una bicicletta. Di solito facevo

delle piccole gite intorno alle case del villaggio. Lamia bicicletta era un ferro vecchio, con il sellinorattoppato e così alta che dovevo piegarmi tutto pertoccare a terra.

Un altro giorno, quando mi sono svegliato,mamma e papà dormivano ancora. Ho buttato giù illatte e il pane con la marmellata, sono uscito e hopreso la bicicletta. Mi ero allontanato troppo. Dopoun breve riposo ho girato la bicicletta e mi sonoavviato verso casa. L'ora di pranzo era passata daun pezzo. Un'altra volta sono caduto della biciclet-ta per colpa di un cane distratto che attraversava lastrada. Sono finito culo a terra dopo un paio divoltate. Mi sono fatto male al piede. La prima ruotadella bicicletta si è svuotata e non sono potutotornare ad usarla durante lungo tempo.

A fine estate non vedevo l'ora che ricomincias-se la scuola.

Un giorno, con il mio amico Marco, siamoentrati nel pollaio di una masseria e abbiamo sceltouna gallina molto magra e l'abbiamo messa in unasacca. Presto siamo partiti. Quando siamo arrivatiavevamo una sete tremenda e la testa bolliva. Nonsapevamo che cosa fare con la gallina. Infineabbiamo deciso di metterla nel nostro cortile e inquesto modo già abbiamo ottenuto un'eccellenteproduttrice di uova.�

Andrés Brotons

GALLINE E BICICLETTE

Un altro amico della scuola avevaun'asina. Un giorno alla settimana si avvicina-va alla fontana per riempire le brocched'acqua e portarle a casa. Io salivo sull'asina earrivavo alla fontana. Ma un giorno l'asinacorreva molto e agitava la coda nella discesa emi ha buttato per la testa a terra. Mi sono feritoil ginocchio sinistro e mi sono fatto male albraccio destro. D'allora non sono mai piùsalito sull'asina.

La caccia degli uccelli era un altro dei diverti-menti dell'infanzia nel villaggio. Le tagliole eranoproprio per gli uccelli più grandi e le reti per ipiccoli. Alcuni giorni uscivamo di mattina e neiluoghi strategici collocavamo le tagliole e le reti.Dopo aspettavamo nascosti finché qualche uccelloera caduto in trappola. Poi lo pigliavamo e lomettevamo nella gabbia.

Con questi e altri avvenimenti è trascorsa la miainfanzia nello stesso villaggio.

María José Álvarez

LA PRIMA PAROLA

Da piccola io ho un bellissimo ricordo. Ioavevo tre o quattro anni e vivevo con i miei

genitori, mio nonno e mia nonna in una casa a ununico piano con una soffitta . Nella soffitta avevomolti libri. Io amavo i libri, ma non sapevoleggere. Quando mio nonno arrivava a casa, luiportava il giornale e io correvo verso di lui: Miononno si sedeva nella poltrona, apriva il giornalee io dicevo: “Nonno,nonno che cosa dice qui?”Io segnavo con il dito sulla lettera, e sulla frase o

locuzione... Mio nonno con grande pazienza midiceva prima la parola e dopo io indovinavo lafrase. Così io ho imparato a leggere. Questo fattoè il migliore ricordo da piccola perché io amavo ilibri e io amo i libri. Dopo, quando io già andavoa scuola, l'insegnante mi diceva: “Oh, tu saileggere? Ma tu sei molto piccola! E io orgogliosadicevo: “Mio nonno mi ha insegnato a leggere “.Questo mi è successo da bambina ma è un belricordo che non ho dimenticato.�

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R-icordo i tempi in cui ero giovane, che in real-tà non potrebbero essere mai visti in modo

oggettivo, ma quando li ricordo non posso evitareche una goccia di pianto sgorghi dai miei occhicome espressione di una forte emozione sentitaperquello cheungiornoebbi enonhopiù.

Desidero parlare di una donna anziana che miinsegnò la cosa più importante di questa vita.Molto più che i soldi, il successo, la fama, o qua-lunque altra assurdità del mondo in cui viviamo,q u e l l a d o n n a m i d i e d e i l d o n odell'immaginazione, di sognare ad occhi apertiquella realtà chec'è inquestomondo.

Quelladonnaabitavadasola inunacasagran-de e strana accanto alla mia, appunto la mia casadi villeggiatura estiva; ma dopo tanti anni possoassicurare che diventò l'amica migliore cheabbia mai avuto. Ancora la ricordo sulla spiaggiacon i suoi capelli bianchi e la sua pelle delicata,con lo sguardosempre rivolto verso ilmare.

In inverno, ogni pomeriggio la spiaggia siaffollava di bambini e bambine ansiosi di sentirsial centro dell'universo più magico e meraviglio-so. Dovevamo soltanto avvicinarci a lei e lasciar-laparlare.

Le storie che ci raccontava erano oro puro daessere ben conservato per tutta la vita. Purtropporiesco a ricordarne solo alcune e non tanto benequanto vorrei. Spesso mi viene in mente quellache raccontava sulle avventure di una famiglia dispiritelli che vestivano un abito gessato blu. Talispiritelli erano sempre con noi, benché non ce neaccorgessimo. La cosa più curiosa era il modocon cui potevano essere invocati: bisognava sol-tanto far diventare le nostre dita due piccole gam-be, appunto le due gambe di ogni spiritello; e cosìeranogià tradinoi.

La nostra amica anziana ci chiedeva di dareun nome ad ogni spiritello invocato. Il mio venivachiamato Tico ed ora non ricordo più perché;soltanto so che lo chiamavo sempre così mentredondolavo lemiedita.

Inoltre ci raccontava che il sole era la porta adun mondo magico e pieno di fantasie. Poichéquesta porta era assai calda nessuno poteva attra-versare lo spazio che separava i due diversi mon-di senza l'aiuto degli abitanti dell'altro lato, iquali potevano invece visitare il nostro mondosenza fare uno sforzo straordinario. Speravamo diraggiungere il loro mondo un giorno che nonarrivòmai.

Furono anni meravigliosi che non dimenti-cherò mai. In inverno mi piaceva andare alla casadi villeggiatura con l'unico desiderio di incon-trarla ed ascoltare placidamente le sue storie.Ma,purtroppo,ungiornoquesta storia finì.

Era la domenica delle Palme ed il sole di pri-mavera brillava con tutto il suo splendore. Dopo

la messa dimezzogiornom i o p a d r eprese la mac-c h i n a e dandammo allacasa d'estate.Quando arri-vammo scoprìche qualcosaera cambiato.Mi sembravamolto stranoc h e q u e l l aspiaggia fossecalma e vuotadi bambini.Presto capiic h e q u e l l adonna anziananon c'era più eche s icura-m e n t e n o nl'avrei vistamaipiù.

Il mondomagico e difantasie eraormai finito ed era ora di tornare alla realtà quoti-diana. Per parecchi giorni subii una forte ango-scia esistenziale che mi fece capire il mondo inun altro modo. Dopo alcuni mesi e grazie all'aiutodei miei genitori ed amici riuscii a superare que-sto primo trauma della mia vita. Comunque pre-sto diventai felice quando mia mamma mi rac-contò che la mia amica era stata portata da unasirenetta almondomagicooltre il sole.

Oggi, venti anni dopo, ricordo ancora quel-l'epoca con tanta gioia; non credo più agli spiri-telli né Tico appare più accanto a me quandofaccio muovere le mie dita. Oggi penso a tantealtre cose: il lavoro, i soldi, la famiglia, ecc., esono cosciente che questo mondo non è fatto persognatori.

Quando la mia mente torna indietro e mi rin-contro con i miei ricordi, penso che questo mondoin cui viviamo sarebbe migliore con personecome lei ma forse era la sua singolarità che larendevacosì specialeperme.

A dire il vero, grazie a lei oggi sono una perso-na buona; le sue storie, esperienze e favole eranopiene di contenuto morale che oggi, anche se inun modo più mondano, ancora valido nella realtàquotidiana.

Desidero che queste parole sincere valganoper ringraziare una persona che sempre porterònel cuore.

AprestoWilha! �

IL MONDO MAGICODELL’INFANZIAJavi Ortiz

LA MEMORIA DEL CUOREJosé Ramón Carmona

TRA DI NOI X 43TRA DI NOI X42

Cos'è la memoria? A dire il vero non me lo ricordo. Sarà magari questo una mancanza di essa. Misembra di avere la memoria vuota, come se non ci fosse stato mai nulla. Non pensavo che questomi potesse accadere mai. Ho soltanto 70 anni. Mi ritengo ancora giovane e credo di avere una

salute di ferro.Forse ho quella malattia, com'è che si chiama? C'è l'ho in bocca, com'era...È molto strano perché, sebbene non mi ricordi nulla di ciò che ho imparato nella mia vita sono

riuscito a mantenere il ricordo di una donna. Magari è stata mia moglie, non lo so. Non ricordo nean-che il suo nome, ma so che l'amo e che l'ho sempre amata. Sarà che c'è una memoria sentimentale,registrata a fuoco nel cuore, a cui questa maledetta malattia non può far del male? Boh! Non lo so, mami è grato il ricordo di questa donna. Se chiudo gli occhi riesco a sentire le sue labbra, le sue bracciache mi stringono ancora e un lieve “ti amo” sussurrato all'orecchio.

Dicono che una persona esista finché c'è qualcuno al mondo che la ricorda. Se per me fosse non cisarebbe quasi più niente al mondo. Chi è chi diceva questo? Non me lo ricordo. Mi pare fosse unsanto, Sant'Agostino, beh! È lo stesso, ormai non me ne importa più. Ad ogni modo, io volevo raccon-tarvi una storia, mi pare fosse di una donna. Era una storia di... boh...�

decimo CONCORSO DI

SCRITTURA CREATIVA 2007

Page 24: Tra di noi 10

TRA DI NOI X 45TRA DI NOI X44

DEBOLEZZE DELLA MEMORIABlanca Plaza

Secondo un affermazione popolare, ricor-dare è tornare a vivere. A volte più che

rivivere il passato, tendiamo a rifugiarci inalcune memorie che il passare del tempotende a scribacchiare, a scarabocchiare, aoscurare, addirittura si potrebbe dire che afalsificare. Quando ci sommergiamo nellenostre memorie può succedere che la nostal-gia ci invada e questo ci intrappola, facendodiventare il passato presente e non lasciando

al futuro nessuna possibilità Ho letto che lanostalgia è il soffrire che proviene da undesiderio rotto, da un esperienza incompleta.Ricordiamo o abbiamo la nostalgia, dipen-dendo dalle circostanze, dal nostro stato dianimo dalla nostra capacità di sognareessendo svegli sebbene i sogni siano dolorosiper alcuni o per altri degni di essere ricorda-ti e perché no? di essere diffusi

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Tutti, in alcun momento delle nostre vite abbiamovoluto ritornare al posto dove siamo nati e siamo cresciutidove giocavamo con i nostri amici dell infanzia, dovevivevamo felici lontani dalle inquietudini degli adultiRitornare al quartiere testimone della nostra nascitadelle nostre prime avventure, del nostro primo amore Main realtà più che ritornare fisicamente a quei luoghisentiamo la mancanza di percepire le sensazioni cheabbiamo vissuto in quei momenti di ricuperare il candoreperso Chi non si è ricordato con affetto speciale di un filmche ha visto da ragazzo o nell adolescenza e quando l havisto ancora con alcuni (o molti anni in più si è resoconto che non valeva nulla? Sono debolezze della memo-ria che ci conducono a pensare che qualsiasi tempopassato fu migliore A volte è quindi preferibile confor-marsi alla memoria che tentare di sperimentare ancora lesensazioni passate.

Molte persone si domandano perché gli odori ci porta-no vecchie memorie o perché non dimentichiamo le coseche sono passate molti anni fa A volte semplicemente ciòche rimane sono le sensazioni come quando ricordiamochi è stato piacevole con noi sebbene non sappiamo laragione. Ma parecchie volte queste prime memorie nonsono dopo confermate si rivelano false Spesso una storiache è raccontata in famiglia diventa memoria O qualcosache si legge o che si è visto in una foto

Giudichiamo il tempo in funzione del numero dimemorie che abbiamo e secondo la sua intensità ancheper i periodi brevi di tempo. Quando facciamo un viaggio,sebbene soltanto sia durato un giorno quel giorno cisembra che sia stato più lungo di quanto sarebbe durato seavessimo proseguito con la nostra vita quotidiana. Perchécrea impressioni nuove nuovi ricordi il viaggio, il per-corso il percorrere le strade della città ecc Quindi permantenere giovane ed attivo il nostro cervello è indispen-sabile viaggiare cominciare a praticare un nuovo hobbyQuello che è veramente rilevante è avere delle nuoveimpressioni, perché ciò genererà nuovi ricordi esperien-ze nuove e la velocità soggettiva del tempo rallenteràgarantendo, senza dubbio una buona qualità di vita

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LA FIAMMA TRASLUCIDAMaría Dolores Martínez

Non molto tempo fa, sentii una storia di un pubblicista di Londra. Viaggiava oggigiorno nella metropolitana da casa in ufficio nella City. La prendeva sempre alla

stessa ora per arrivare al lavoro con abbastanza tempo di prendere un cappuccino al bardel pianterreno.

Una mattina, mentre guardava verso la finestra del bar la gente che usciva dallametropolitana, osservò un vecchietto seduto vicino a un muro accanto alla fermata delmetro. Vestiva un'avvizzita gabardine e un berretto scolorito gli copriva il viso. Preso nelrisvolto della gabardine, portava un pezzo di carta, e davanti a lui c'era una scatoletta dizuppa vuota con qualche moneta.

Si domandò da quanto tempo sarebbe seduto lì. Proprio lui non aveva percepito lapresenza dell'anziano ma… il resto della gente?

Quel giorno, quando aveva finito di lavorare, scese incuriosito per vedere cosa dicevail cartello. La curiosità gli bruciava. Quello che, con una calligrafia sciatta, era scritto era“sono cieco”.

Vergognoso per quell'insana curiosità, portò la mano in tasca e lasciò alcune monetenella sudicia scatoletta, cercando di pulire la sua coscienza. Il cieco, con il viso ieratico,canterellava una triste canzone e quando ascoltò lo squillo delle monete, interruppe lacanzone per ringraziarlo.

Così passarono molti giorni nei quali, dopo depositare alcune monete nella scatolet-ta, osservava dal bar le reazioni della gente davanti al cieco. Non fu necessario moltotempo per percepire che la gente non gli dava retta. Ignoravano la presenza dell'anziano.Non esisteva. Per loro era trasparente. Questo lo indignava, però allo stesso tempo nonfaceva altro che riempire ogni giorno la scatoletta di zuppa e dirgli buongiorno.

Una mattina, dopo aver visto come una signora quasi trafiggeva il cieco con unombrello aspettando che si appartasse e senza borbottare neanche un'inaudibile discol-pa, decise di aiutare attivamente il cieco.

Quella notte, all'uscita dell'ufficio, vide come il cieco continuava ancora nellafermata del metro. Como sempre, canterellava qualcosa. Si fermò davanti a lui e disse:

— Buona sera, Lei ha avuto una bella giornata?— Conosco questa voce. Lei è il gentiluomo di prima ora del mattino. Se mi domanda

per la giornata, le dirò che poteva essere andata peggio. Così, felice.— Ho pensato che non è da molto tempo che ci conosciamo ma mi piacerebbe fare

qualcosa per Lei. Domani cambierò il suo cartello. Si fidi di me e dopo un tempo miracconterà come gli vanno le cose.

Il cieco assentì e si salutarono. Aveva un'idea. Stette tutta la notte a pensarci e, lamattina, mentre faceva colazione, la plasmò nel cartello.

Prese il metro e dopo dare da mangiare alla vecchia scatoletta e desiderare buongiorno al cieco, cambiò il cartello. Dopo se ne andò al bar e osservò come la gente comin-ciava a fermarsi davanti al cieco. Sarà stata solo la novità o aveva ottenuto qualcosa?

Alcuni giorni dopo, il cieco lo fermò quando ascoltò il suo saluto e lo ringraziò del suoaiuto. Gli disse che la gente si fermava e parlava un po' con lui. Non abitava più suun'isola. Il suo viso era diverso. Emanava speranza e canterellava gioiosamente. Contimidezza gli diceva che aveva curiosità di sapere cosa c'era scritto sul cartello. Il pub-blicista gli sorrise e gli rispose:

“Probabilmente oggi sarà una bella giornata a Londra, ma io non potrò vederla”.�

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Ma quante cose si possono accumulare inquattro anni!», pensai scoraggiata. Avevo

passato in quella stanza a casa di mia zia gli annidell'università, e adesso lei mi pregava gentil-mente di sgombrare.

«È già passato parecchio tempo dalla tualaurea e non te lo chiederò più. Se non vieni aportartelo via entro il fine settimana, guarda chetutto quanto finisce nella spazzatura».

Mi faceva una strana impressione ritrovarmilì circondata da tante cose dimenticate che, però,

un tempo furono quotidiane. Troppe cose, tanteche non servivano più a niente, ma tante altreche forse potevano interessarmi ancora: carte,libri, quaderni, foto, dischi… Cose che un temponon tanto lontano erano state importanti per me ea cui non avevo più pensato.

Misi un disco nel vecchio lettore CD che nonmi ero nemmeno portato via perché ormai usavosempre il computer, e già sentendo la prima can-zone mi venne un sorrisetto nostalgico sullelabbra. Quanti ricordi! Feci uno sforzo per non

emozionarmi troppo e pian piano cominciai afare due mucchi, uno con le cose che avrei con-servato e un altro con ciò che non aveva più nes-sun interesse: biro che non scrivevano più, pic-coli oggetti inutili, pezzetti di giornale, vecchiecarte…

Finito il CD, ma non il lavoro, ne misi unaltro. Era What's The Story Morning Glory? degliOasis. Quanto tempo era passato da quando nonlo sentivo più? Me lo aveva regalato Mauro e fu lacolonna sonora dei miei giorni per tanto tempo,fino a quando lui sparì nel nulla. Quando comin-ciò Wonderwall, la mia canzone preferita del CD,mi venne un lampo di ricordi. Con un nodo ingola, come se gli anni non fossero passati, miprecipitai su un libro di architettura barocca e citrovai ciò che sapevo ci sarebbe stato: una foto diMauro e un biglietto di autobus con un numero ditelefono scritto a mano.

Ci eravamo conosciuti sull'autobus all'iniziodel corso, quando io ero al secondo anno diArchitettura. Anche lui era al secondo anno, mastudiava Storia dell'Arte. Ci vedevamo soltantola mattina. Quando io salivo sull'autobus lui giàc'era e scendevamo alla stessa fermata, faceva-mo colazione insieme in un baretto dove prepa-

ravano un ottimo cappuccino e delle buonissimecrostate. Poi ognuno se ne andava a lezione allapropria facoltà e ci salutavamo fino all'indomani.Soltanto una volta alla settimana ci vedevamoancora di più, il mercoledì, giorno in cui pranza-vamo alla mensa e passavamo il pomeriggioinsieme. Così fino alle vacanze di Pasqua quan-do Mauro sparì. La mattina del primo giornodopo le ferie non c'era sull'autobus, né quellesuccessive. Non sapevo il suo cognome né cono-scevo i suoi amici. Provai a telefonargli al nume-ro che mi aveva scritto sul biglietto, ma nessunorispose.

Questa scomparsa mi fece molto male.Continuai a prendere quell'autobus ogni matti-na, ma anche gli anni successivi benché avessiun orario diverso e arrivassi troppo presto allafacoltà. Non lo rividi mai più.

Finì Wonderwall e iniziò Don't look back inanger, quella preferita di Mauro. Non guardareindietro con la rabbia. No, non era il mio caso,forse lo era stato, ma ormai non lo era più. Ciòche provavo era diverso. Amarezza? Nemmeno.Era soltanto una domanda senza risposta, ungrande punto interrogativo.�

TRA DI NOI X 49TRA DI NOI X48

?PUNTO INTERROGATIVO

Fedra Egea

Page 27: Tra di noi 10

Che noia, che barba, che barba, che noia” — si lamentava lachiocciola — non succede mai niente di nuovo, mai che passi da

queste parti un'amichetta, o figurarsi, un chiocciolotto di questitipini moderni con la chitarra…

Eh! sì, davvero, a questa chiocciola aggraziata, anche se dall'ariaun po' “demodè”, era davvero toccato un destino strano, addiritturaunico. Non poteva capacitarsi di come era andata a finire in questopiccolo universo ristretto, rettangolare, affiancato da due ghirigori dilegno che aveva inteso definir “cigni”. Che poi di cigni non avevanoproprio niente! Ma il peggio era che ogni volta che qualcuno siaffacciava alla sua vista, senza un minimo di rispetto esclamava: cheorrore, che orrore! e fuggiva a gambe levate.

Fu così che la chiocciola cominciò a soffrire di bassa autostima ecomplessi di inferiorità.

Ma una volta venne a farle visita la vecchissima zia Matilde. Omeglio, la zia Matilde non era la zia della chiocciola, no davvero, erala zia della proprietaria della specchierina detta “a cigno”...

— Ah! — esclamò con gioia la zia Matilde — il “mirage” dellamia bisnonna, guarda con che grazia il mercurio dello specchio si èstaccato, ha addirittura formato una graziosa chiocciola…

La chiocciola restò a bocca aperta per la sorpresa. Lo specchio almercurio… ecco perché si sentiva tanto strana, era il prodotto di unnaturale invecchiamento di un bell'oggetto, insomma, era le suerughe.

In un baleno capì che ogni volta che qualcuno si rispecchiava sivedeva vecchio. Sì, sì, anche se era giovane, certo!

Alla chiocciola si aprirono nuovi orizzonti. Insomma, stava inuno specchio. In uno specchio dove tanto, tanto tempo fa si guarda-va, si pettinava, sorrideva, piangeva una qualche giovane fanciulla,e poi altre e altre ancora fino a quando lo specchio così sciupatoaveva finito per interessare solo ad un antiquario.

— Certo — pensò, se fossi meno scorbutica, anche con le rughepotrei restare simpatica a qualcuno, fare amicizia.

Insomma, ritrovata la memoria, la chiocciola cominciò a sorride-re.

Fa una bella differenza, vero, se quando ti guardi allo specchioriesci a sorridere alle tue rughe e alle tue imperfezioni? Perfino lospecchio ti rimanda un'occhiata sorridente.

In preda a questa nuova sensazione la chiocciola non si sentì piùsola… e aveva ragione, perché appoggiato alla parete uno strava-gante geco verde a pois arancioni aspettava da tempo di esserenotato. Quando la chiocciola se ne rese conto sbatté timidamente lelunghe ciglia al mercurio e il geco, frutto di una generazioni di artistimoderni e spregiudicati, osò addirittura farle l'occhietto. (O intoscano “le strizzò l'occhio”).

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LA CHIOCCIOLAPiera Micheletti

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Era una serata tranquilla, normale,come tutte le altre da un sacco di

anni. Lei stava seduta sulla poltronapensando cosa avrebbe cucinato percena; la famiglia era già sul punto diarrivare e in questo modo sarebbefinito il poco tempo d'intimità cheaveva ogni giorno. Dopo cena, quandotutti erano andati a letto, lei approfittòper ricordare quei bei momenti delpassato, quando tutto il tempo leapparteneva, quando il personaggiopiù importante era stata sempre lei.

Quella sera le è venuto in menteun ricordo, quel giorno in spiaggia,quando?, non se lo ricorda bene, a 14,16 anni?

— Mio dio! Mi manca la memoria!Forse sono più vecchia di quello chepensavo!

Tornando a quel giorno dell'ado-lescenza…

Il sole riscaldava il suo corpo, la suaanima, quella mattina autunnale. Era inspiaggia, le piaceva tanto andarci, senza gente,sentiva che le apparteneva l'acqua, la sabbia, iltempo... Si era addormentata, sognando di volare,che forse era un uccello, che dopo un po' sarebbescesa diventando una tigre, sentiva il sangue scorrereveloce, il cuore forte, pieno di passione…

A poco a poco aprì gli occhi, qualche rumore la svegliò, unamano fredda le premeva la gola.

Dove era? Si domandava, non capiva niente, credeva di essere in spiaggia godendo una caldamattina autunnale... ma… Non era più lì. Vide due occhi profondi come il mare, non servivano leparole, quegli occhi parlavano da soli, quegli occhi soltanto le fecero capire… Era stata trasportata inun luogo sicuro dove si prendevano cura di lei, ma, cosa significava tutto quello?

Quegli occhi appartenevano a lui, lo scienziato, le parlava serenamente e lei voleva che non finissemai… Quello che raccontò le fece venire i brividi. Secondo lui, lei era in spiaggia, sola, addormentata,quando dall'acqua uscì una creatura che non si sarebbe detto brutta, ma nella sua bellezza era terrifi-cante. Era una creatura quasi umana, ma con i capelli lunghi fino a confondersi con l'acqua, non eranuda, ma la pelle era di un azzurro grigio come l'acqua, gli occhi come onde e le braccia come fiumibellissimi pieni di vita. Questa creatura si avvicinò a lei e sussurrando qualcosa incomprensibile, laprese e la portò giù in fondo.

Quando stava proprio per morire, sono apparsi LORO, “occhi profondi”, occhi neri mai visti. Lorola presero, liberandola dalla creatura, lei non fece resistenza. Allora la portarono nel suo paese, unpaese lontano, lontano, varie galassie. Era lì da anni e adesso dopo studi, prove ed essere diventatatraslucida, e non essendo più utile, la riportarono al posto dove l'avevano trovata. Quella sera era cosìstanca che dormì tre giorni di seguito. La mattina che si svegliò pensò se tutto fosse stato un sogno.Sono passati tanti anni e oggi, sulla sua poltrona, crede che sia stata una realtà, a volte quando siguarda nello specchio, vede quegli occhi neri profondi come il mare. �

Sono sul treno con destinazione Pompei. Mi sonoalzata con il sole per fare in tempo a prendere

quello delle 7:45. Oggi c'è tanta luce a Roma, sonostate giornate grigie da quando sono arrivata. Ti sonoandata a cercare all'Accademia ma non c'eri. Chestrano, dopo tanti anni sento che ti riconoscerei perstrada, se mai ci incrociassimo. Le tue valigie allagalleria d'arte dove sapevo, non chiedere come,saresti arrivato prima che in qualsiasi altro posto. Poiun'altra mail, sei stanchissimo dopo il lungo viaggioda New York, vorresti riposare, purtroppo hai unmiliardo e mezzo di cose da fare, anche se sei inpreda al fuso orario. Sono un po' delusa ma forse civediamo domani, chiamerai. E adesso, dal treno,vedo il mare napoletano. Dicono che il Vesuvio si èrisvegliato… o forse era lo Stromboli. E poi l'indianonella carrozza vuole sapere se parlo l'inglese, se sonoqui in vacanza, quando torno in Spagna. Non hovoglia di parlare con nessuno. A Napoli Centrale hoancora un'ora. Posso fare una passeggiata… incredi-

bile il mercato presso la stazione, ho comprato duefilm italiani appena usciti per 5 euro… Prendo unaltro treno, il Vesubio sembra essere nascosto tra lenuvole. C'è una strana emozione nel non sapere se civedremo stasera a Roma. Ho soltanto la memoria diun'amicizia cominciata quindici anni fa, stroncatadalle faccende della vita e rincontrata per casoquando cercavo il tuo nome su Internet…. Sapevoche lì ti avrei trovato, speriamo che la fama non tiabbia fatto vanitoso. Invece, quell'aria di indipen-dente, di artista, a me sembrava interessante. Titrovai per sorpresa in Argentina. Bello quell'attimoprima di sentire: Pronto…, la tua voce era ancora lastessa. Non sapevo neanche in quale lingua ci sarem-mo comunicati; subito l'italiano è stato il modo piùnaturale di raccontarci in cinque minuti il decorso dimezza vita. Soltanto per questa sincera spontaneità titengo per qualcosa di speciale, anche se non civediamo più. Il Vesubio è ancora lì ma non si favedere, ostinato come te nella sua intrigante occulta-zione.�

LOROCarmen Ortiz

m. visto dal trenoElisa Bueno Brinkmann

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– Pierino, per cosa è famoso Garibaldi?– Per la sua memoria.– Che cosa ti dimostra che abbia una memoria così formidabile?– Perché in ogni città che ho visto c'è un monumento alla sua memoria!

Che cos'è la memoria? Secondo l'enciclopedia Wikipedia la memoria è la capacità del cervello diconservare informazioni.

Di seguito ti presento un test che ti permetterà di valutare la tua memoria. L'obiettivo del test èmemorizzare una serie d'oggetti durante 10 secondi e trascorsi i 10 secondi scrivere il nome deglioggetti che ricordi.

Pronti, attenti, via:

TRA DI NOI X 55TRA DI NOI X54

LA MEMORIAMagdalena Sepulvedai

Ora scrivi qua tutti gli oggetti che ricordi.

Secondo gli psicologi, esiste una serie diesercizi o tecniche che ci permettono di miglio-rare la nostra capacità di ricordare le cose. Unadi queste tecniche consiste nell'inventare unastoria che abbia una logica e dove ci siano leparole a ricordare. Per esempio, se facciamoattenzione al primo set di disegni, possiamo

dire: ho visto alla TV che un gallo con una rosanel becco attraversava la strada con il semaforocon la freccia blu per prendere del pane ed èscivolato su una banana. Che ne dici? Ha senso,vero? È qualcosa di logico. Tutti hanno visto ingiro dei galli con le rose nel becco, e che ne ditedei semafori con le frecce blu?

Passiamo adesso alla seconda linea. Comeesempio di storia da ricordare si potrebbe dire:un cavallo ed una zebra leggevano in un librocome fare a mettere un rullino in una calcolatri-ce ma, siccome hanno guardato l'orologio ed eratardi hanno deciso di andare a guardare lapartita di pallone. Questa storia sì che ha unsenso! Ho visto che la polizia va a cavallo allo

stadio dell'Arsenal, non sono ancora riuscita ascoprire dove siano le zebre, probabilmentesono a leggere le cose che scrivono gli psico-logi.

Adesso ti darò delle foto e tu dovrai scriverela storia, mi raccomando che abbia una logica,per memorizzare le parole.

Diciamo che una possibile storia potrebbeessere: Berlusconi fa le corna nella foto delvertice dell'UE celebrato in Spagna. So chenon ha tanto senso quanto gli esempi di primama almeno possiamo provare a ricordare le

parole. Dopo tutto stiamo imparando, la pros-sima ci verrà meglio.

La seconda prova è più difficile, adessoscegliamo più parole e queste sono più difficilida ricordare:

Spagna Corna Unione Europea

Marrakech MoglieDanzatore

BerberoBerlusconi

Si potrebbe fare una storia così per esempio:Berlusconi fa una sorpresa alla moglie nel suo50° compleanno presentandosi vestito dadanzatore berbero mentre lei è con le sue ami-che ad un ristorante di Marrakech. Veramente lafrase non è molto realistica perché non sappia-mo che cosa faccia l'ex-Presidente delConsiglio dei Ministri nell'intimità del suo letto

coniugale perciò pensare a vederlo vestito dadanzatore berbero a Marrakech di fronte alleamiche della moglie è qualcosa di strano e forsenon molto gradevole alla vista.

Facciamo un ultimo esercizio per consolida-re ciò che abbiamo imparato finora. Questavolta saranno cinque le parole che dovremomettere in una storia.

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Proviamo una terza volta: Berlusconi hadetto che ha fatto il playboy con lapresidentessa della Finlandia per far vincereParma come sede dell'Agenzia europeasull'alimentazione. E be', mi sembra cheinvece di avvicinarci alla realtà ci stiamoallontanando, non andiamo molto bene.

Come avete potuto osservare non è facileriuscire a mettere insieme le parole in una

storia coerente e logica perciò vi consiglio dicontinuare ad esercitarvi ogni giorno con lo scopodi sviluppare una memoria d'elefante. Se voletealtri esercizi su questo tema basta andare sul sitoweb:

http://www.youtube.com/watch?v=sAPpHWhNTOI&mode=related&search=ItalianPrimeMinister Silvio Berlusconi Street Sex

E cominciate a esercitarvi.�

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Finlandia Berlusconi Alimentazione Playboy Parma

VENEZIAPaloma García-Calvo

Uno dei ricordi più belli che ho è la mia prima visita a Venezia. Avevo sempredesiderato andare a Venezia per una serie di motivi, non ci ero mai riuscita,

così, quando la mia amica Paola mi invitò, colsi al volo l'occasione e feci di corsala valigia.

Avevo conosciuto Paola ad una festa pochi mesi prima e mi era sembrata moltosimpatica, così decisi di accettare l'invito.

La mia famiglia non poteva venire con me, così lasciai la casa in ordine, salsadi pomodoro in vasetti pronta per l'uso e carne nel surgelatore, perché nonavessero troppi problemi durante la mia assenza... e partii per trascorrere il finesettimana con la mia amica. Il viaggio passò abbastanza velocemente e quandoarrivai a Venezia fu bellissimo. Uscendo dalla stazione provai un'emozionegrandissima quando mi trovai di fronte il Canal Grande. Presi il vaporetto edarrivai vicino a casa di Paola. Venezia era piena di gente per il Carnevale, nelle"calli” c'erano maschere di ogni tipo, una meraviglia! In ogni angolo c'eraqualcosa da vedere, i bambini mascherati si lanciavano coriandoli e stelle filanti,mentre i turisti giapponesi sembravano impazziti e fotografavano tutto quello chesi muoveva.

Sono arrivata da Paola un po' stanca, ma avevo tanta voglia di vederla e dipassare un po' di tempo con lei.

Abbiamo cenato fuori in un ristorante tipico e poi, passeggiando tranquilla-mente, ci siamo ritrovate sul ponte di Rialto. Che bello! Ci siamo sedute su uno deigradini e poi abbiamo ripreso a camminare fino a piazza San Marco; qua ci siamosedute in un bar a bere qualcosa, il bar era carissimo!

Alcuni ragazzi dell'Accademia delle Belle Arti guadagnavano qualche soldotruccando in modo stupendo i passanti, e i musicisti davanti ai bar suonavano inmodo incredibile. Abbiamo parlato tutta la sera, ci siamo dette tutto quello che pere-mail non è facile raccontare.

Alla fine della serata siamo andate sul ponte dei Sospiri e poi siamo tornate acasa.

In terrazza abbiamo fumato l'ultima sigaretta della serata e siamo andate aletto, stanche ma contente.�

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TRA DI NOI X 59TRA DI NOI X58

Le sette meno un quarto, come di solitodoveva andare in fretta alla stazione della

ferrovia, il treno Firenze-Roma partiva alle settetrenta e questo treno non aspettava nessuno,neanche uno dei più importanti imprenditoridella zona.

Il giorno prima aveva avuto due riunioni nelpomeriggio, l'ultima era durata fino a mezzanottee per questo stamattina, quando alle sei e mezzaè suonata la sveglia lui l'ha spento senza apriregli occhi.

Sette e venticinque, la sua LamborghiniDiavolo è arrivata a la porta della stazioneFirenze Centrale, ha preso la sua piccola valigiaed è partito, si è sbrigato a timbrare il suo bigliet-to e frettoloso è salito sul treno che, in questomomento, ha chiuso le sue porte ed è partito.

La prima classe è giusto dall'altra parte deltreno, Andrea ha dovuto percorrere tutto ilcorridoio per arrivare al posto diciasette cheaveva prenotato la sua segretaria una settimanaprima.

Il treno è moderno e confortevole, per ora nonc'è nessuno a canto suo, in due ore sarà a Roma e

trenta minuti dopo dovrà cominciare una riunio-ne all'Hotel Majestic.

Una volta seduto e accomodato, una cattivasensazione gli è venuta allo stomaco, non tantoper non aver fatto ancora colazione ma perché,come di solito, la fretta l'aveva fatto uscire dicasa senza salutare Carlo, il suo unico figlio, néJulia, sua moglie.

Le nove di mattina, mezz'ora è troppo tempo enon riesce ad aspettare all'arrivo senza andare inbagno. Due porte dopo il suo scompartimento c'èla sempre piccola toilette del trenino, una perso-na dentro, un'altra aspettando, l'altra toilette ètroppo lontana…i due minuti di attesa sono statilunghi ma alla fine tocca a lui.

Il treno avanza veloce, è una bella giornata,nessuna nuvola nel cielo, solo un brillante sole,siamo a maggio e comincia il caldo.

All'improvviso e bruscamente il treno rallen-ta, non succede niente, solamente è passato peruna antica stazione ma, la signora che aspetta ilsuo turno, spaventata per il forte rumore che si èsentito, comincia a chiamare alla porta dellatoilette, là dentro nessuno risponde.

Andrea è caduto incosciente dopo aver subitoun forte colpo in testa contro la finestra.

Quando i lavoratori del treno arrivano in suoaiuto, ha gli occhi aperti, è spaventato, tutti glifanno domande: come si trova? cosa gli è succes-so?...

Ma… dove è? cosa fa in quel treno?Quando l'hanno fatto sedere, lui sentiva un

forte dolore alla testa, non aveva forza nellegambe e nemmeno nelle braccia e non riusciva arispondere alle domande perché non ricordavacosa fosse successo ma neppure di dove era ocome si chiamava.

Dopo altre due fermate il treno era arrivato aRoma, lì alla stazione lo aspetta un gruppomedico con un'ambulanza.

Nel treno sono riusciti a chiamare sua mogliegiacché lui aveva il suo cellulare acceso; glieloavevano passato per vedere se parlando con leimagari ricordava qualcosa, ma lui solo ascoltavauna donna che gli diceva “amore mio” e di chinon sapeva neanche la faccia che aveva.

Nell'ospedale, dopo un prelievo, uno scannerin testa ed un elettrocardiogramma, il medicol'aveva informato che non c'erano lesioni gravi,che la sua perdita di memoria sarebbe statatransitoria e che per il momento doveva staretranquillo ed aspettare l'arrivo da Firenze dellasua famiglia.

Andrea è rimasto in una stanza singoladell'ospedale, con una flebo nel braccio, un fortedolore in testa e indifeso come un bambino chenon sa niente; la mattina è stata troppo intensa, isuoi occhi sono diventati troppo pesanti fino alpunto che si sono chiusi, stanchi.

Una dolce carezza nella sua guancia l'hasvegliato, aprendo gli occhi si è trovato con unabella donna non oltre i trentacinque anni con gliocchi lacrimosi e accanto a lei un bambinobiondo sui dieci anni che lo guardava spaventa-to.

Dopo un attimo de silenzio, lei con moltatenerezza gli ha domandato come si sentisse,chiamandolo vita mia ed amore ma lui non

sapeva cosa dire, se rispondereche il male di testa era più o menopassato o invece che si sentivacompletamente strano, senzacapire chi erano loro, perché gliparlava così o almeno chi era luistesso.

Le giornate nell'ospedalecominciano a passare, la suamemoria continua sparita ma ladisperazione e un po' diminuita.Julia e Carlo, “la sua famiglia”della quale ancora sa poco, lofanno sentire bene, sono tutto ilgiorno accanto a lui e con tutta lapazienza del mondo gli raccontano pezzi dellaloro vita.

Julia gli parla di come si sono conosciuti aiquindici anni nel Lago di Como, lei lavorava inuna gelateria e lui era tutto il giorno a compraredei gelati soltanto per parlarle, come avevanocominciato a vivere insieme a Firenze e quantofelici sono stati nei primi anni, la nascita di Carloe come pochi anni prima è diventato un notevoledirettore di una ditta edilizia che trascorre tuttoil tempo in viaggio.

Carlo invece gli racconta come lui gli avevafatto imparare a giocare calcio e che anni primalo portava a pescare.

Col passo delle settimane, lui si sentivainnamorato di quella donna sebbene continuas-se senza ricordare niente e voleva bene a suofiglio anche se fosse come se lo avesse conosciu-to un mese prima.

Julia con una forte dedicazione e facendol'impossibile per farlo ricordare, continuava araccontargli la loro vita insieme, anche se, negliultimi anni non erano stati i più felici, giacché illavoro di Andrea appena gli lasciava tempo perla sua famiglia.

Andrea non riusciva a capire come questofosse stato così, come mai, essendo lui un uomocosì fortunato aveva fatto quello, come potevaaver lasciato da parte quello che, al meno ades-so, più voleva nella sua vita: la sua famiglia.

Quando due mesi dopo hanno lasciatol'ospedale e ritornato a casa, Andrea ha promes-so a Julia e pure a Carlo che da quel momento inpoi loro sarebbero stati la cosa più importante, laprima cosa. Julia soltanto l'ha guardato e gli hadetto quanto gli volesse bene.

A casa tutto è andato bene, poco a pocoAndrea ha cominciato a ricordare ma, niente èstato come prima.�

UN VIAGGIODA NON DIMENTICARECristina Pérez