TESI DI LEONARDO STEFANO IL PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO
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PREMESSA.
All' interno del diritto amministrativo, l’espropriazione per pubblica utilità appare l'istituto giuridico in
grado di configurare, nel modo più netto, il diritto tra autorità e libertà.
Tale diritto destinato spesso a consumarsi con la prevalenza delle ragioni del pubblico potere,
merita di essere preso in considerazione, come di rado accade, concentrando l' attenzione sulla sfera
giuridica della parte più debole, perché meno tutelata dall' ordinamento, cioè quella del privato
proprietario.
La storia italiana dell' espropriazione per pubblica utilità è caratterizzata da non poche debolezze
ordinamentali rispetto agli strumenti di garanzia del diritto di proprietà.
La scelta di mettere a confronto il modello italiano con due ordinamenti di " common law "
statunitense ed inglese, si propone una serie di obiettivi.
Il primo è quello di superare il dogma dell' inconciliabilità fra modelli di " civil law " e " common
law ", ponendo in risalto le non poche e rilevanti analogie scaturenti dall' analisi storica e giuridica
dell' istituto delle diverse discipline.
Il secondo intento è quello di immaginare, alla luce delle soluzioni ordinamentali offerte dal "
common law ", un rafforzamento nella disciplina italiana dell' espropriazione, della incidenza del
privato proprietario, migliorandone la qualità della partecipazione procedimentale o riconoscendogli,
in sede giurisdizionale, un sindacato più ampio sulle scelte dell' Amministrazione. La comparazione
viene svolta seguendo un percorso storico che parte dalla crisi della concezione individualista della
proprietà di fine ottocento per arrivare alle novità più significative nelle attuali discipline dell'
espropriazione. Nel corso di questo iter storico ci si sofferma sulle diversità e sulle analogie che
caratterizzano in Italia e nel " common law " i processi di pubblicizzazione dell' istituto.
Il quadro giuridico che emerge rileva soluzioni ornamentali all' interno del " common law " in grado
di assicurare i non facili equilibri tra l'interesse pubblico e tutela della proprietà; tali soluzioni sono
prese i considerazione anche nella prospettiva di una loro adattabilità al modello espropriativo
italiano ancora sbilanciato verso un'idea di prevalenza dell' interesse pubblico disancorato da un
sistema di adeguate garanzie partecipative.
Il filo rosso di questo lavoro è, quindi, rappresentato da quel rapporto fra interesse pubblico ed
interesse privato che Pugliatti definiva necessario e costante, e che quindi non viene meno neanche
in relazione al diritto di proprietà;trattasi di un rapporto giuridico fondato su equilibri non sempre
stabili e certi che, specie nel modello italiano sono compromessi dalla caratterizzazione
esasperatamente autoritaria assunta dai procedimenti di natura oblatoria. A fronte dei limiti
ordinamentali italiani, lo strumento della comparazione sarà utile per analizzare gli istituti del "
common law " che, per via procedimentale o processuale riescono a mantenere inalterati gli equilibri
del rapporto fra " public use " e diritto di " ownership "
1
PARTE PRIMA
Il concetto di interesse pubblico e di public use
nell’800
2
I.La necessità di superare il luogo comune della incompatibilità fra i diversi
modelli giuridici
Quanto conta il privato nel procedimento espropriativo?
Quante e quali sono le garanzie che gli ordinamenti, nei diversi sistemi giuridici, gli riconoscono?
La scelta di analizzare l' espropriazione per pubblica utilità utilizzando, come angolo di visuale , la
posizione del privato espropriando, aiuta a capire quanto lungo sia ancora il cammino verso la
costruzione di una par condicio perfetta nella dinamica procedimentale. 1
1 Sulle garanzie partecipative nei modelli giuridici di common law negli USA, E.Smith, " Taking abd enforcing security
interest in personal property ", Boston, 2007;P Brown, The American Law Institute Model Land development code, the
taking issue, and private property rights, Washington, 1975, AA.VV., Taking property and just compensation: law and
economics perspectives of the takings issue, Boston, 1992;in Inghilterra J.Rowan - Robinson, "Compulsory purchase and
compensation", London, 1995; J.K. Boyton, " Compulsory and compensation ", London, Oyez, 1974.
3
I primi due, ossia il livello procedimentale e quello processuale sono evidentemente legati da un
nesso di relazione funzionale, atteso che entrambi concernono l' aspetto rimediale, ossia le differenti
tipologie di tutela esprimibili dal privato.
Il procedimento per l' una o l' altra forma di tutela rappresenterà un indice significativo delle diverse
impostazioni ordinamentali.
Noteremo infatti come il modello inglese fedele allo scetticismo del " common law " verso il
concetto di specialità della giustizia amministrativa, abbia concepito un modello procedimentale
complesso, cioè attento a difendere le ragioni del privato ed a corroborare la valenza collaborativa
della sua partecipazione, tale da rendere inutile il ricorso al rimedio giurisdizionale. 2
Su di una sponda giuridicamente opposta si colloca la tradizione ordinamentale italiana, che partendo
dal concetto di autoritatività, ha elaborato un modello procedimentale sbilanciato a favore dell'
Amministrazione,3 rendendo il momento processuale lo strumento di effettiva tutela della
Fra i due modelli si inserisce la disciplina degli U.S.A. della " taking of property " che rivela, nelle
sue scelte normative, un parziale allontanamento dei canoni tradizionali del " common law " , laddove,
seppur con modalità diverse dal legislatore italiano, si predilige la tutela processuale a quella
procedimentale per tutelare la dignità giuridica del diritto dominicale vantato dal privato.
2 Sull' incompatibilità fra i concetti tradizionali di diritto amministrativo e pubblica amministrazione con la cultura giuridica
inglese Vedi R.GRECO, " Il diritto amministrativo europeo dopo il trattato di Lisbona, in Giustizia amministrativa.it ",p.1;
S.CASSESE, " Lebasi del diritto amministrativo, Torino 1989, p.69 ss. R.J. PIERCE- S.A. SHAPIRO -P.R.VERKUIL, "Administrative law
and process ". The Foundation Press,1985.
3 Il problema dello sbilanciamento a favore dell' Amministrazione e delle garanzie affievolite, è consolidato e strutturato. Solo
un processo critico, articolato in senso evolutivo, potrebbe limitare gli effetti negativi dell' espressione agarantistica dei
poteri statali applicati. La soluzione non può prescindere da mutazioni ordinamentali passando da un " soggettivismo
relativizzato allo Stato
4
Tanto premesso, il dualismo autorità - libertà può essere riletto attraverso la dialettica tra
soggettivizzazione ed oggettivizzazione, che la " privatizzazione e la globalizzazione del potere
applicato. Si può ammettere conseguenzialmente, che la " privatizzazione e la globalizzazione di cui
tanto oggi si parla possono essere comprese solo alla luce di una oggettività che non è
accettazione, o acquiescenza di quanto deciso dall' esterno, ma è partecipazione essenziale e quindi
elaborazione corale della decisione ". Dalle categorie generali al particolare delle garanzie applicative in
presenza di utilità, ivi compresa l' utilità da espropriazione: " un medesimo atto di amministrazione e
le stesse forme organizzative assunte dallo stato possono dunque leggersi nella loro incidenza
economica, nella rispondenza delle esigenze sociali, nella necessità o utilità pubblica e, poi, su diverso
piano, nella loro regolarità giuridica di fronte a persone e loro garanzie.
Per cogliere la peculiarità del modello statunitense sarà poi fondamentale spostarsi sul terzo livello di
analisi che investe i profilo indennitario. Esso assume una centralità assoluta sia in ambito
procedimentale, ala luce della rilevanza costituzionale che l' ordinamento statunitense riconosce al
concetto di " jus compensation ", sia in sede processuale , laddove, la presentazione di una " good
faith offer " è condizione per l' avvio del procedimento giurisdizionale di " condemnation ".
Ciò che si cercherà di dimostrare, attraverso l' aiuto della comparazione è che non debba
necessariamente appartenere alla sfera giurisdizionale il primato in fatto di tutela delle garanzie.6
L' analisi delle soluzioni ordinamentali offerte dal " common law " prova ciò che in Italia fu
affermato in linea teorica già molti anni fa, e cioè che " anche le garanzie esteriori della funzione (
giurisdizionale ) , indipendenza del funzionario, forme processuali, contradditorio, udienza di
discussione, non appartengono all' essenza della giurisdizione, perché si può avere una giurisdizione
che ne manchi e, viceversa, atti amministrativi circondati da uguali garanzie ".7
Le caratteristiche poc' anzi richiamate, tipiche del modello processuale italiano, sono infatti
ugualmente riscontrabili nel procedimento inglese di " compulsory purchase ".
5
Per cogliere la peculiarità del modello statunitense sarà poi fondamentale spostarsi sul terzo livello di
analisi che investe i profilo indennitario. Esso assume una centralità assoluta sia in ambito
procedimentale, alla luce della rilevanza costituzionale che l' ordinamento statunitense riconosce al
concetto di " just compensation ", sia in sede processuale , laddove, la presentazione di una " good
faith offer " è condizione per l' avvio del procedimento giurisdizionale di " condemnation ".
Ciò che si cercherà di dimostrare, attraverso l' aiuto della comparazione è che non debba
necessariamente appartenere alla sfera giurisdizionale il primato in fatto di tutela delle garanzie.6
L' analisi delle soluzioni ordinamentali offerte dal " common law " prova ciò che in Italia fu
affermato in linea teorica già molti anni fa, e cioè che " anche le garanzie esteriori della funzione (
giurisdizionale ) , indipendenza del funzionario, forme processuali, contradditorio, udienza di
discussione, non appartengono all' essenza della giurisdizione, perché si può avere una giurisdizione
che ne manchi e, viceversa, atti amministrativi circondati da uguali garanzie ".7
Le caratteristiche poc' anzi richiamate, tipiche del modello processuale italiano, sono infatti
ugualmente riscontrabili nel procedimento inglese di " compulsory purchase ".
4 Interessanti riflessioni sull' evoluzione storica del procedimento amministrativo si trovano in L.MANNORI, B.SORDI, "
Storie del diritto amministrativo, Bari, 2001; M.G. MAIORINI, " Storie dell' Amministrazione pubblica", Torino, 1977,; A.M.
SANDULLI, " Il procedimento amministrativo ",Milano, 1959
6Sull' ipotesi di un processo che possa riconoscere al privato più di quanto non possa consentirgli la regola procedimentale cfr
L.FERRARA, "I riflessi sulla tutela giurisdizionale dei principi dell' azione amministrativa dopo la riforma della legge sul
procedimento verso il tramonto del processo di legittimità ? " il dir. ammin., 2006,p. 599; G.GRECO, "Ampliamento dei poteri
cognitori e decisori del giudice amministrativo nella legge 241/1990 e successive modifiche, in Riforma della legge 241/1990
e processo amministrativo", 2005, p. 75 ss.; M.CLARICH , " Tipicità delle azioni e azioni di adempimento nel processo
amministrativo, in Dir. Amm.",2005,p. 572.
7 G.CHIOVENDA, " Principi di diritto processuale " Napoli, 1923, p. 294.
6
La dottrina italiana si è già ampiamente occupata nel passato delle forme inglesi di azione
amministrativa quasi giurisdizionale, auspicando l' attuazione di un similare ordine sistematico per le
stesse manifestazioni di potere che venissero in considerazione in un altro ordinamento, ad
esempio, quello italiano".8
Questo lavoro tuttavia non si limiterà ad evidenziare la preferibilità delle garanzie offerte dal "
common law "ed in particolar modo, dalla " compulsory purchase " ma cercherà di capire se queste
forme procedimentali siano in concreto adattabili al modello italiano ed alle sue soluzioni
ordinamentali.
Come avremo modo di verificare, infatti, non è da escludere che la commistione di caratteri
amministrativi e giurisdizionali in seno all' Autorità decidente possa allungare, talora, in modo
eccessivo i tempi del procedimento.
L' idea, già in passato proposta , di un' azione amministrativa svolta in forma di processo 9 , se da un
lato lascia immaginare la possibilità di costruire un procedimento democratico, dall' altro fa sorgere
dei dubbi sulla capacità della Amministrazione italiana di adottare questo " modus procedenti " senza
compromettere il principio di ragionevolezza dei tempi delle decisioni. Ciò premesso, esistono
caratteristiche della " compulsory purchase " che potrebbero rafforzare il livello delle garanzie
procedimentali italiane senza alterare la natura del nostro modello di espropriazione, scongiurerebbe
tanti rischi di disparità di trattamento e di conflitto di interessi.
La storia evidenza come, sia in " civil law" , sia in " common law " l' interpretazione e la
regolamentazione dell' istituto secondo canoni civilistici abbiano difeso il privato ed il suo diritto di
proprietà dagli abusi perpetrati dalla legislazione e dalla giurisprudenza contemporanea 10.
Mentre l' Italia e gli U.S.A., seppur con risultati profondamente diversi, hanno optato, nel tempo, per
la pubblicizzazione dell' istituto, l' Inghilterra è rimasta fedele alla concezione negoziale dell'
espropriazione, affermatasi inizialmente anche in Italia nella seconda metà dell' Ottocento.
Ciò premesso, è opportuno sgombrare il campo da un equivoco che non ha più senso di esistere. La
comparazione del diritto amministrativo si è sviluppata sulla presunta inconciliabilità fra i modelli di
" civil law " e le soluzioni ordinamentali del diritto angloamericano.11
Eppure l' evoluzione storica e giuridica del provvedimento espropriativo per pubblica utilità è la
prova di come una simile visione si rilevi spesso non corrispondente al vero almeno alle origini
infatti, il concetto italiano di espropriazione presentava evidenti affinità con la " compulsory
purchase inglese" .Il rapporto tra privato e Pubblica Amministrazione era ben lontano dal configurare
quello che, nel tempo, si sarebbe trasformato nel conflitto fra autorità e libertà.
8 E.BALBONI, "Amministrazione giustiziale ",Padova, 1986, p. 40
9 E.BALBONI, " Appunti di diritto amministrativo", Padova, 1959, p. 118.
7
II. L' intervento dell' interesse pubblico nel processo di qualificazione giuridica
dell' istituto
La concezione liberale del diritto di fine Ottocento individuava nel diritto di proprietà l' espressione d'
elezione della libertà del privato. In quest' ottica il sacrificio di un diritto domenicale era ammissibile
come eccezione, non certo come regola.
Si costruì consequenzialmente la giustificazione giuridica dell' espropriazione per pubblica utilità, che
fu qualificata come tipologia di vendita obbligatoria.13 .In questo senso l' istituto della espropriazione
trovava cittadinanza nell' ordinamento giuridico quale tipologia di contratto di compravendita " sui
generis ".La violazione della proprietà privata era ammessa solo nell' ipotesi in cui al privato
proprietario fossero state garantite le medesime considerazioni negoziali riconducibili in un regime di
libera contrattazione.
Non può negarsi che una simile visione dell' istituto favorisse il rispetto effettivo delle garanzie del
privato proprietario; tuttavia, le aporie logiche e giuridiche di una simile interpretazione del
fenomeno espropriativo sono evidenti. Non possono porsi sullo stesso piano presupposti giuridici così
ontologicamente diversi giacché il consenso quale espressione della libertà negoziale non sembra
conciliabile con una manifestazione di volontà straordinaria, tipica di un procedimento ablatorio.
L' inquadramento giuridico dell' espropriazione non poteva prescindere dalla considerazione della
natura dell' atto che la Pubblica Amministrazione ponesse in essere ; in questa ottica il concetto di
autoritatività dell' atto amministrativo era l' elemento mancante nel processo di qualificazione giuridica
dell' istituto.14
Una manifestazione di volontà proveniente dal pubblico potere non poteva condividere i caratteri
negoziali di un modello giuridico consensuale; la teoria dell' espropriazione dell' epoca liberale
pertanto è parsa, col tempo, sempre meno adatta ai processi evolutivi del diritto; ciò è dipeso, in
particolare, da due ragioni:
Dalla prima, ossia dell' incompatibilità della vendita obbligatoria con il senso giuridico dell'
espropriazione, si è già detto; la seconda sta nel fatto che la teoria della vendita obbligatoria, per
come concepita, mancava di un elemento qualificante imprescindibile: l' interesse pubblico.
8
Una costruzione dell' espropriazione così esasperatamente imperniata sulla sfera giuridica del
privato e sulla tutela, negava centralità all' interesse pubblico che, in quanto causa giustificatrice del
sacrificio del diritto domenicale, avrebbe dovuto rappresentare l' elemento essenziale dell' istituto.
In Italia l' entrata in vigore della Costituzione repubblicana ha ulteriormente accentuato i limiti di
una concezione del fenomeno espropriativo troppo lontana dai profili funzionali del diritto di
proprietà.15 L' art. 42 della Costituzione italiana ha elevato la proprietà a diritto fondamentale e,
contemporaneamente, ne ha tracciato i confini, rendendo l' espropriazione l' espressione più evidente,
dal punto di vista giuridico, del conflitto tra autorità e libertà.16
10 Per un esame delle origini del procedimento espropriativo in Italia, vedi P.CARUGNO, "L' espropriazione per pubblica utilità
",Milano, 1938;V.NICOLINI, " La proprietà, il principe e l'espropriazione per pubblica utilità ", Milano,1940; in UK,D.M.
LAWRANCE, "Compulsory purchase of and compensation:an outline of law governing the compulsory acquisition of land
for public pur pose ", London, 1952; A. J.LOWNUCK:" Summary for town and country planning law of compulsory and
compensation ",London, 1973;in USA, R.KRATOVI, F.J. HARRISON, " Eminent domain, policy and concept ",New York, 1954;
J.A.PERKINS, "Regulation by eminent domain: Rate making", New York, 1942.
11 M.D'ALBERTI, "Il diritto amministrativo fra imperativi economici ed interessi pubblici", in Dir. Ammin., 2008, 1,p.52 ss.
12 W.GASPARRI, " Il punto logico di partenza. Modelli contrattuali, modelli autoritativi e identità disciplinare nella dogmatica
dell' espropriazione per pubblica utilità ", Milano, 2004, p. 15 ss.
13 Sul concetto di espropriazione quale vendita obbligatoria V. E.BELLOMO, " Note alle leggi sulle espropriazioni per cause di
pubblica utilità 25 giugno 1865 - 18 dicembre 1879 - 15 gennaio 1885" ,Torino, 1886; F.BARTOLOMEI , " Contributo ad una
teoria del procedimento ablatorio ", Milano, 1962;C.FRANCHINI, " Tendenze recenti della amministrazione italiana ed
accentuazione delle interferenze tra diritto pubblico e diritto privato, in Studi in nome di Giuseppe Guarino ", Vol.II, Padova,
1998, p. 395, laddove, si pone in risalto che " Nel periodo immediatamente successivo all' unificazione, l' amministrazione
utilizzava strumenti giuridici di diritto comune che si fondavano sul presupposto della equivalenza delle parti.
Conseguentemente non esistendo ancora un sistema di diritto amministrativo, i rapporti con la pubblica amministrazione
erano definiti prevalentemente sulla base di qualificazioni di tipo privatistico, ad esempio il rapporto di impiego veniva
regolato sullo schema della locazione e per la stessa espropriazione per pubblica utilità si rinviava alla disciplina della
compravendita ".M.S.GIANNINI, " Diritto amministrativo ",Milano,1993,p.722 che evidenzia come " la concezione dell'
espropriazione come vendita forzata o coattiva è di una parte della dottrina tedesca ed italiana dello scorso secolo, e trovò
poi in questo secolo una base più solida nella teoria che in Italia fu formulata dal Chiovenda in ordine all' esposizione forzata
giudiziale, della sostituzione dal potere pubblico nella facoltà di disposizione della cosa, per cui il potere pubblico
venderebbe in luogo del proprietario."
9
Una costruzione dell' espropriazione così esasperatamente imperniata sulla sfera giuridica del
privato e sulla tutela, negava centralità all' interesse pubblico che, in quanto causa giustificatrice del
sacrificio del diritto domenicale, avrebbe dovuto rappresentare l' elemento essenziale dell' istituto.
In Italia l' entrata in vigore della Costituzione repubblicana ha ulteriormente accentuato i limiti di
una concezione del fenomeno espropriativo troppo lontana dai profili funzionali del diritto di
proprietà.15 L' art. 42 della Costituzione italiana ha elevato la proprietà a diritto fondamentale e,
contemporaneamente, ne ha tracciato i confini, rendendo l' espropriazione l' espressione più evidente,
dal punto di vista giuridico, del conflitto tra autorità e libertà.1
Perché il passaggio dal modello consensuale al modello autoritativo fosse meno traumatico e non
alterasse eccessivamente gli equilibri del rapporto tra privato e P.A., era necessario che la volontà
espropriativa del Pubblico potere non fosse lasciata libera di esprimersi senza limiti e garanzie;17
in questo senso un ruolo decisivo è stato svolto, nel tempo, dall' interesse pubblico, quale requisito
oggettivo per l' applicazione dell'istituto. In Italia i primi segnali di questa inversione di tendenza
possono già apprezzarsi nella Legislazione di fine Ottocento che già riconosce la necessità di tutela
dell' interesse pubblico,
La Legge del 15 gennaio 1885 per il risanamento della città di Napoli fu accolta come un ragionevole
contemperamento fra l'interesse pubblico ed i diritti individuali." Tutto il tenore ed il significato
giuridico-economico della suddetta legge può compendiarsi nella formula oramai diventata famosa
del Romagnoli, ossia conciliare l' interesse pubblico con l' interesse privato ed in caso di conflitto tra
il pubblico ed il privato interesse, far prevalere l' interesse pubblico al privato con il minimo sacrificio
possibile della privata proprietà e libertà" ,18.
Affermare la necessità di conciliare interesse pubblico ed interesse privato costituiva un passo avanti
decisivo se consideriamo il contesto storico in cui la tesi richiamata si pone.19
L' inizio del Novecento è infatti ancora caratterizzato dalla concezione individualista della borghesia di
fine Ottocento che vede nella inviolabilità del diritto di proprietà una garanzia di libertà. I riflessi di
questa cultura possono cogliersi nel contenuto dell' art. 436 del Codice Civile Italiano del 1965
laddove si afferma che la " proprietà ed il diritto di godere della cosa nella maniera più assoluta
purché non se ne faccia un uso vietato dalla legge e dai regolamenti ". 20
18 E.CIMBALI, " Questioni di diritto", Torino, p.273.
19 A.D. DICEY, " Introduction to the study of the law of the constitution ", Ed.London, 1961
H.V.R. WADE, C.F. FORSYTH, " Admistration law " Ed. VII, Oxford,1994
Altri Autori.
20 GAZZINI, " Manuale di diritto privato ",Napoli, 2004
M.S. GIANNINI, " Diritto amministrativo "Cit p.214 ss.
10
Questo carattere di assolutezza del godimento del diritto di proprietà segnava il confine tra privato e
potere pubblico, laddove l' inviolabilità del diritto di proprietà era equilibrata dalla non ingerenza del
privato nella gestione della cosa pubblica.21
Questa visione pone interesse pubblico ed interesse privato su piani distinti e non comunicanti cn
il limite di non riconoscere l' inevitabilità e la necessità del rapporto tra queste due categorie.
Ed invece come fu condivisibilmente osservato, si tratta di un rapporto costante anche se non tra
valori costanti.22
III. Il primato degli U.S.A. nell' affermazione della rilevanza dell' interesse
pubblico correlato all' esercizio dell' " eminent domain "
Si iniziò a concepire il sacrificio dei diritti individuali in nome dell' interesse pubblico non solo in
Italia ma anche in modo più convinto oltreoceano.
Da questo punto di vista gli U.S.A. si erano mossi in netto anticipo.23
Già alla metà del XIX secolo il quinto emendamento della Costituzione degli U.S.A. stabiliva che " nor
shell private property he has taken for public use without just compensation".24
La norma lascia intravedere , nella sua formulazione lessicale, il riconoscimento del rapporto tra
interesse privato ed interesse pubblico. Il legislatore costituente sembra porre l' accento più sulla "
just compensation " di quanto non avvenga per le sorti del diritto di ownership quasi che il
sacrificio del diritto di proprietà per ragioni di public use fosse dato per scontato. La norma infatti più
che soffermarsi sulla possibilità di porre limiti al diritto di proprietà, afferma la necessità della " just
compensation " che nella limitazione della proprietà trova il suo presupposto; tale aspetto assume un
rilievo significativo se si considera il contesto storico in cui viene concepita la Costituzione degli U.S.A.
21 S.RODOTA',"Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata," Bologna,1990
22P.PUGLIATTI, "La proprietà del nuovo diritto",,cit.p.5
23H.E.MILLS ," The law of eminent domain," St. Luis,1888
P.NICHOLS, " The law of eminent domain; a treaty on the principles which affect of property for public use, Albany, 1917
24 R.SMITH, " Fifth amendment the right to fairness, " Abodo,2007
L.WILLIAM LEVY," Origins of the fifth amendment, New York, 1999
L.MAYERS, Shall we amend the fifth amendment ?", New York, 1959.
11
Nell' epoca ancora dominata dalla visione liberale ed individualista della proprietà, l'ordinamento
statunitense crede nel rapporto fra l'interesse pubblico e l'interesse privato e crede, di conseguenza,
nell' espropriazione per pubblica utilità che di tale rapporto è espressione giuridica; su questo
presupposto la garanzia del diritto di proprietà non sta nella sia inviolabilità ma piuttosto nel ” pubblic
use ".
Il " public use " non è l' arma dell' esproprio o la giustificazione giuridica di un sopruso ma piuttosto
rappresenta l'indice della legittimità dell' azione amministrativa ablatoria che si realizza con la
collaborazione dell' interesse privato che concorre alla realizzazione dell' interesse pubblico.
Si badi pene, però, che il tenore del quinto emendamento della Costituzione americana poneva dei
problemi dogmatici non meno rilevanti di quelli sorti in Italia con la teoria della vendita obbligatoria
.Affermare che nessuna proprietà privata potesse essere violata in assenza di un pubblico interesse,
significava implicitamente riconoscere l' esistenza e la legittimità di un potere sovraordinato in grado
di incidere su di un diritto dominicale.
Tale potere corrispondeva a quello che la dottrina americana ha definito " eminent domain ";la scelta
di questo termine per indicare la potestà espropriativa attribuita al pubblico potere, ha una sua
specifica ragione d' essere che affonda le sue radici nel diritto feudale inglese.25
L' espressione " eminent domain " fu infatti coniata da Ugo Grozio per indicare il diritto naturale di
signoria riconosciuto in epoca medioevale alla Corona inglese, esercitato sulle proprietà terriere del
regno. Il concetto di " eminent domain " è stato di seguito recuperato in chiave critica da Hobbes, che
la dottrina americana riconosce quale uno dei padri fondatori del sistema costituzionale americano.26
Almeno in apparenza conciliare la teoria del Leviatano con l' affermazione delle libertà dell'
individuo che hanno ispirato la Carta Costituzionale americana, può sembrare impresa ardua.
Il tentativo di creare un legame armonico fra queste due concezioni del diritto apparentemente
Antitetiche è stata la prova di quanto sia stato difficile, anche negli U.S.A., accettare e costruire un
modello espropriativo basato sull' autoritatività di una decisione amministrativa; a tal fine il
riconoscimento di un superiore " eminent domain " era indispensabile perché se la libertà è la regola
ed il diritto di proprietà ne rappresenta una espressione che trova riconoscimento nello " ius
excludendi omnes alios ", la libertà stessa non può tradursi nell' individualismo egoistico che ignori lo
sviluppo ed il benessere della collettività. Se non esistesse una sfera di potere, affidata ad una
autorità sovraordinata, che la eserciti a tutela degli interessi della sua comunità, l' esasperazione
delle ragioni
25 J.RYSKAMP, " The eminent domain revolt: changing perceptions in a new constitutional epoch", New York,2007
W.BERNS, " Judicial Review and the rights of law nature, " 1982, Sup.Ct.49,pp. 62-63.
12
individuali sarebbe il presupposto dello stato di conflitto " of every man against every man ".27
La modernità innegabile di questo assunto può essere il punto di partenza dell' analisi;il
riconoscimento dell' " eminent domain " segna in un certo senso la linea di confine tra il modello
U.S.A. e quello inglese nel diverso percorso di costruzione del procedimento espropriativo.
Mentre il sistema inglese, come si vedrà meglio più avanti, ha elaborato una visione negoziale dell'
espropriazione, il legislatore americano, pur riconoscendo l' imprescindibilità delle garanzie per il
privato espropriando, ha creduto, fin da subito, alla natura pubblicistica dei " takings " ed all' idea
dell' autoritatività della Pubblica Amministrazione, fondata sull' esercizio dell' " eminent domain ". La
legittimità dell' esercizio del potere di " eminent domain " si confronta con il livello delle garanzie
che un ordinamento giuridico intende riconoscere al privato espropriato. Se così non fosse, il potere
della P.A. supererebbe i confini della legittimità, rendendo così l' esercizio dell' " eminent domain "
manifestazione di una volontà non sindacabile, molto vicina all' arbitrio; fin dalle origini dell' istituto, l'
ordinamento americano ha bilanciato il peso specifico del potere di " eminent domain ", con la
previsione dell' irrinunciabile requisito del " public use "28.
Non può negarsi che tra " public use " ed interesse privato vi sia una evidente affinità concettuale; è
tuttavia errato considerare il " public use " quale traduzione letterale dell' interesse pubblico o dell'
interesse generale.
Il giurista americano infatti ignora la categoria giuridica dell' interesse e giustifica il sacrificio della
proprietà privata nell' ipotesi in cui l'opera da realizzare sia destinata alla fruizione della collettività.
E' dunque il criterio del godimento del bene e non quello della dimensione dell'interesse a guidare il
legislatore americano verso la costruzione dei principi che regolano il procedimento di " taking property
"; ciò induce a ritenere che il requisito oggettivo di un provvedimento ablatorio non sia il
soddisfacimento di un interesse di maggiore o minore estensione quanto piuttosto la maggiore
utilità che la diversa destinazione di un bene sia in grado di garantire 29.
Che questa sia la visuale prospettica preferita dall' ordinamento americano nell' analisi dell'
espropriazione è confermato, peraltro, dall' evoluzione nel tempo, ha caratterizzato le vicende della "
taking property ".Si pensi alla fase immediatamente successiva alla entrata in vigore della
Costituzione federale, quando si è passati dalla concezione del " public use " in senso stretto alla
teoria dello " use by the public "30; inizialmente si è ritenuto legittimo il solo procedimento espropriativo
avviato per un'opera che fosse accessibile a tutti e non solo ad una determinata categoria di soggetti.
Una simile impostazione, fondata su parametri quantitativi e non qualitativi, prescindeva totalmente
dalla considerazione della natura del bene e, soprattutto, dell' interesse.
Quando, poi, come si spiegherà più avanti, con l' affermazione dello " use by the public ", si sono
ampliati i confini giuridici del " takings" , la dottrina americana e la giurisprudenza hanno fatto leva
sul concetto di uso del bene e non sul concetto di interesse; del resto l'incidenza del " public use "
nella storia americana dell' espropriazione per pubblica utilità è enorme e attraversa due secoli di
13
storia; la sua rilevanza discende dal fatto che dalla definizione del senso giuridico del " public use "
dipende l' ampiezza del potere oblatorio attribuibile al pubblico potere.
All' inizio il problema fu soprattuto di carattere interpretativo. Occorreva stabilire se tutti i
procedimenti espropriativi, a prescindere dalla tipologia di autorità emanante gli atti del
procedimento, dovessero essere giustificati dalla presenza delle ragioni di pubblico interesse.31
Il dubbio sorgeva dalla differente formulazione letterale del V e del XIV emendamento della
Costituzione americana, atteso che entrambe le norme riconoscevano e riconoscono la potestà
ablatoria al pubblico potere; mentre la prima però concerne il procedimento espropriativo dell'
autorità federale, la seconda prende in considerazione l' esercizio dell' " eminent domain " da parte
dei singoli governi statali.
L' esistenza di due distinte norme aveva una specifica ragion d' essere ; il V emendamento si
proponeva di tutelare i diritti fondamentali dell'individuo, fra i quali appunto, il diritto di proprietà, il
rischio di qualsiasi ingiusta interferenza da parte del pubblico potere, non a caso il V emendamento è
stato giustamente considerato come la norma restrittiva dei poteri dello Stato centrale .32
Ma la scelta di un modello federale imponeva al legislatore costituente di regolare i rapporti tra le
singole Autorità Statali ed i privati cittadini, definendo in particolar modo i confini entro i quali l'
azione amministrativa statale fosse legittimata ad incidere sulle libertà fondamentali dell' individuo.33
26 W.BERNS, " Judical Review and the rights of law and nature ", 1982,Sup.Ct.49,pp.2-63
27 T.HOBBES, " Leviatan", ch.13, p.1651.
28 S.REYNOLDS," Before eminent domain, toward a history of expropriation of land for common good ", University of North
Carolina Press., 1929
29 V.CERULLI IRELLI, "Proprietà pubblica e diritti collettivi", Padova, 1983, p.343 ss.
V.CAPUTI JAMBRENGHI, " I beni pubblici e di interesse pubblico
AA.VV. ," Diritto amministrativo ",Bologna, 1993
30 E.J. SULLIVAN," A brief history of the takings claude, 2010
R.PIPES, " Property and freedom ", Harward, 2000
31R.HIGGINS , " The taking of property by the state, New York,1982
32G.BOGNETTI, "Federalismo in Dig. disc. public.",Torino, 1991,p.279
33 R.BERGER, " The fourteenth Amendment and the bill of rights, Now York, 1991
33 R.BERGER, " The fourteenth Amendment and the bill of rights, Now York, 1991
14
La section 1 del XIV emendamento stabilì che " nor shall any state deprive any person of live,
liberty or property due process of law ".
Il XIV emendamento non faceva espresso riferimento né al " public use " né alla " justff
compensation ". Soffermandosi al dato strettamente letterale, poteva sembrare che l' ordinamento
americano contemplasse al suo interno due distinte fattispecie espropriative, l'una federale, l'altra
statale, quest' ultima apparentemente privata del requisito della " just compensation ", anche in virtù
di un orientamento restrittivo della giurisprudenza.34
Tale orientamento trovava giustificazione anche nel fatto che all' epoca, le singole Costituzioni statali
ignoravano qualsiasi previsione espressa che concernesse il profilo della " taking clause ", esponendo
irrimediabilmente la sfera privata all' azione indisturbata del pubblico potere locale 35; come già
accennato quindi, la formulazione del XIV Emendamento non risolveva i dubbi sulla carenza delle
garanzie del privato dinanzi al potere statale.36
Se però ha un senso immaginare due distinte fattispecie ablatorie per espressa volontà degli Stati
e soprattutto delle loro Corti che decidano di distaccarsi dalla disciplina federale u istituto giuridico,
variandone l' applicazione in base all' Autorità procedente; solo una interpretazione estensiva del dato
normativo poteva restituire dignità giuridica al privato cittadino espropriandolo. La giurisprudenza
americana, sul finire del secolo, sposando una visione sostanzialista della fattispecie sottesa al suo
esame, ritenne che la " just compensation " vincolante anche per i singoli Stati dell' Unione;37 alla
base di un indirizzo giurisprudenziale di tal genere, mai più mutato negli anni, vi è quella che può
ritenersi o definirsi teoria dell' incorporazione, ossia l' idea che la " just compensation " sia parte di
quel complesso di garanzie riconosciute al privato attraverso il " due process of law ".
Lo stesso discorso può farsi può farsi per il " public use ".
Del resto quando la Carta Costituzionale americana, subordina, nel XIX emendamento, la limitazione
del diritto di proprietà, al rispetto dei principi del “ due process of law ", include implicitamente l'
interesse pubblico nel novero delle garanzie irrinunciabili.
34 DAVIDSON V., " New Orleans ", 69 u.s. 97, 1887
35BARROW V. "Mayor andy city Concil of Baltimora, 32 u.s. 243, 1883
36 G.F. FERRARI, " Eminent domain ", in Digesto disc. pubbl. Vol. V, Torino, 1990, p.519
37BURLINGTON and Quincy R.R.Co.v.Chicago, us. 226-1897
15
Prova di ciò è nella storia americana della tutela dei diritti di proprietà; se infatti il periodo che va dalla
fine della guerra di secessione al " New Deal " è stato segnato dalla difesa strenua ed incondizionata,
da parte delle Corti, del diritto di proprietà, il principio del " procedural due process ", affermatosi alla
fine degli anni '30, ha imposto una rilettura critica della problematica.40
Se si considera la caratterizzazione originaria fortemente negoziale dell' espropriazione inglese, si
apprezza ancora di più un ulteriore elemento di rilevante differenziazione introdotto in virtù del quale
non solo la proprietà non poteva essere violata in assenza delle ragioni di " public use " ma il suo
sacrificio non poteva consumarsi senza la celebrazione del " due process law ".41E' dunque un
ordinamento di " common law " a cogliere la necessità del giusto procedimento all' interno di un'
azione amministrativa di tipo " autoritativo " .Oltre un secolo prima di tanti ordinamenti europei,
infatti, gli U.S.A. hanno gettato le basi per la costruzione di un diritto alla partecipazione che
rendesse illegittima qualsiasi decisione amministrativa assunta senza che le ragioni del privato fossero
prese in considerazione.
La norma della Costituzione americana che attribuisce il potere espropriativo alle Autorità Statali non
può pertanto leggersi in contrasto con il V Emendamento perché completa il percorso di
pubblicizzazione della " taking property " inaugurato proprio dal V Emendamento. Le due norme
piuttosto sembrano costituire due fasi di un percorso unitario che stabilisce condizioni e modalità di
esercizio del potere ablatorio dal momento che il superamento del concetto di inviolabilità del diritto
di proprietà comportava la necessità di definire un assetto compiuto di garanzie. E' vero che che il V
Emendamento ponga maggiore accento sul profilo indennitario della " just compensation " di quanto
non faccia per il " public use " ma si ritiene che ciò sia dovuto al carattere essenziale del " public use
" tale da rendere inutile la centralità dello stesso nella formulazione della Norma.
Il XIV Emendamento non si distingue tuttavia dal V Emendamento per la scelta delle garanzie ma
piuttosto definisce il modo di essere delle garanzie nella parte in cui prevede che non vi possa
essere limitazione della proprietà privata senza " due process law ".
38 S. GRENNUT, " Abuse of power, how the government issues eminent domain ", Santa Ana California, 2004, pag. 79 ss.
39BURLINGTON and Quincy v. Chicago, cit.
40 M. COMBRA, " Riflessioni sul diritto al giusto procedimento negli Stati Uniti d' America, 1992, p.269 ss.
41M.COMBA, " Il fondamento costituzionale del diritto al giusto procedimento in Italia:Spunti di riflessione derivanti dalla
comparazione con il " due process of law " in Itinerari e vicende del diritto pubblico in Italia ", a cura di R.FERRARA, S.SICARDI,
Padova, 1998
16
La centralità del giusto procedimento è dunque già un primo, rilevante, elemento indiziario, dell'
arbitrarietà di una comparazione giuridica fondata sulla incompatibilità assoluta degli ordinamenti dal
momento che al modello statunitense va riconosciuta la capacità di superare il concetto di inviolabilità
assoluta del diritto di proprietà, con la consequenziale collocazione nel procedimento delle garanzie
del soggetto espropriando, in netto anticipo rispetto ad altri ordinamenti.
IV. L' Evoluzione storica del concetto di " public use "
Ciò che nel tempo è cambiato è l' approccio delle Corti al problema delle garanzie del diritto di
proprietà.
In questa ottica può considerarsi giusto solo il procedimento ( nella specie il procedimento
espropriativo ) che trovi giustificazione nel principio generale del " public use " previsto dal V
Emendamento della Costituzione degli U.S.A. Ebbene, passando in rassegna gli ultimi 150 anni di
storia americana, si rende conto di come il “ public use " sia stato fortemente condizionato dai
mutamenti di rotta percorsi dalla Giurisprudenza.
All' inizio si è affermata la concezione del " no taking without touching " ovvero l'idea dell'
espropriazione limitata alla sola ipotesi di apprensione materiale del bene del privato da parte della
P.A.42 ; si sviluppò tuttavia molto presto un orientamento costruito su di un concetto di " taking
issue " decisamente estensivo, proiettato ben altro l' acquisizione coattiva del bene materiale del
privato, per investire la sfera più ampia ed indefinita della " property " secondo il quale anche un
danno cagionato ad una proprietà in seguito ad una attività materiale posta in essere dalla P.A.
poteva configurare una fattispecie ablatoria, giustificata da ragioni di pubblico interesse.
Espropriare non corrisponde quindi solo e soltanto all' attività di acquisizione da parte della P.A. di
un bene di proprietà privata; l'espropriazione può anche corrispondere alle limitazioni del diritto di
proprietà, facendo venir meno il carattere imprescindibile della esclusività del godimento; tale principio
si fonda sulla equivalenza fra il concetto di taking e l'idea dell' interruzione del diritto di proprietà. La
tesi del " no taking without touching " trovava il suo fondamento in una interpretazione letterale delle
norme Costituzionali atteso che si il V che il XIV emendamento della Costituzione, nell' usare il verbo
" to take " inducono a pensare alla sola ipotesi dell' acquisizione materiale del bene oggetto di
proprietà privata. Tuttavia, al di là dell' approccio meramente letterale al dato normativo, pare opportuno
considerare il fine che le norme in questione tendono a perseguire. Il " taking clause " è una norma
che tutela al contempo interesse pubblico e proprietà privata, riconoscendo a quest' ultima la garanzia
primaria che l'ingerenza del pubblico potere passi attraverso la consumazione del " due process of law
"; sarebbe però illogico immaginare che la tutela dell'interesse pubblico non debba essere bilanciata
dalle garanzie del diritto di proprietà nell' ipotesi i cui l'interesse pubblico non richieda l' apprensione
42W.B. STOEBUCK, " A general theory of eminent domain", Washington law Rewiew,1972
17
del diritto domenicale ma comporti la sola limitazione dello stesso;una simile visione infatti
rinnegherebbe quella costanza di rapporti, per dirla con Pugliatti, che è alla base del legame tra
interesse privato ed interesse pubblico nella disciplina dell' espropriazione per pubblica utilità.42
V. I " MILLS ACTS " E LA TEORIA DELLO " USE BY THE PUBLIC "
Lo svuotamento dei contenuti tipici del diritto domenicale non poteva prescindere dal riconoscimento
della " compensation " e della sussistenza delle ragioni di " public use ".
L' attività della P.A. infatti, benché legittima alla luce delle prescrizioni normative federali e statali
vigenti, causava un danno,corrispondente ad una diminuzione di valore della proprietà privata; ciò, di
fatto, violava la " taking clause ", imponendo il riconoscimento al privato proprietario dell' indennizzo
per il pregiudizio sofferto con la conseguenza che l' ampliamento dei confini del " public use "
provocato dalla Giurisprudenza condizionò fortemente l' attività legislativa statale.43Gli Stati della
zona orientale del Paese emanarono i cosi detti " Mills act ", ossia atti aventi forza di legge che
consentivano ai proprietari dei mulini azionati ad acqua di inondare periodicamente le proprietà
private circostanti dietro il pagamento, ai proprietari danneggiati della " just compensation ".
L' entrata in vigore delle " Mill acts " minava in modo significativo il concetto tradizionale del diritto
di proprietà imponendo " the sacrifice of old property for the benefit of the new " 44 ; siamo solo
alla metà dell' '800, lo stesso periodo storico, per intendersi, nel quale, due sistemi giuridici quale
quello italiano e quello d'oltremanica, sebbene profondamente diversi, credono ancora fermamente nell'
inviolabilità assoluta o quasi del diritto di proprietà. In questo stesso contesto storico, oltreoceano, si
elabora l' idea di una " new property ", dai confini ben più ampi del diritto di proprietà tradizionale.
La " new property " che già di per sé rappresentava un concetto rivoluzionario, aveva, peraltro,
introdotto subito un decisivo elemento di rottura con il passato, riconoscendo che a beneficiare dell'
invasione della proprietà privata, che configurava una ipotesi di " taking ", potesse essere anche un
soggetto privato, ossia nella fattispecie prima esaminata, il proprietario. Ciò poteva considerarsi un'
eresia giuridica, solo considerando il punto di partenza dal quale si era mosso il diritto americano alle
prese con l' espropriazione; subito dopo l' entrata in vigore della Costituzione, il requisito del " public
use " era stato infatti interpretato ed applicato in una ottica decisamente restrittiva dal momento che
si era affermata la concezione dell' interesse pubblico in senso stretto.
43 P.NICHOLS, " The meaning of Public use in the law of eminent domain ", B.U.L. Rev.,1940
K.C. DAVIS, " Administrative law text", St.Paul Minnes. , 1972
44 M.J. HORWITZ, " The transformation of America Law" , Harvard University Press.,1977
18
L' acquisizione della proprietà privata era ammissibile solo nella prospettiva della valorizzazione di un'
opera che fosse destinata alla funzione dell' intera collettività; ma da ciò discende che altre opere,oggi
universalmente riconosciute di pubblico interesse, quali gli ospedali e le carceri, giacché create per
ospitare solo determinate categorie di soggetti, non fossero ritenute realizzazioni per le quali potesse
legittimamente in invocarsi il " public use " di cui al V Emendamento.
I " Mills Acts " avevano fatto i conti con il passato decisamente ingombrante della concezione liberal -
conservatrice del diritto di proprietà; un ' azione amministrativa finalizzata a soddisfare non solo
l'interesse pubblico, ma anche la sfera giuridica di un privato, non poteva trovare riconoscimento nell'
ordinamento giuridico in assenza di una giustificazione di diritto. A tal fine si costruì la teoria dello "
use by the public " 45; tradotto nella sostanza lo " use by the public " costituiva l' elemento in virtù
del quale il bene del privato beneficiario dovesse essere messo a disposizione della collettività. Non si
trattava di una espropriazione a favore di privati fine a se stessa.
Il privato beneficiario dell' esproprio doveva impegnarsi a realizzare un' opera in grado di soddisfare
l' interesse della collettività adempiendo a quello che fu definito " common carrier duty", ovvero un
obbligo di servizio pubblico46. Ben presto lo " use by the public " si trasformò nello strumento
preferito dalla P.A. americana per estendere il significato giuridico del " public use " ed evitare che
talune fattispecie ablatorie si risolvessero in una violazione del dettato costituzionale.
Le grandi distanze fra gli Stati del paese imponevano la realizzazione di ferrovie e conseguentemente
di espropri delle aree interessate ai lavori. La Giurisprudenza, pronunciandosi sui procedimenti ablatori
avviati, individuò proprio nello " use by the public " la ragione giustificatrice dell' azione
amministrativa47. Tuttavia la teoria dello " use by the pulic ", al suo ingresso nel panorama
giurisprudenziale dell' epoca sollevò non poche perplessità. Il Governo degli U.S.A. agli inizi dell' anno
18876 dispose la acquisizione di una vasta area della periferia di Cincinnati nell' OHIO per la
realizzazione di un ufficio postale. Lo Stato dell' Ohio si oppose all' avvio della procedura ablatoria
ritenendo di essere l'unico organo in possesso del diritto di esercizio dell’ " eminent domain " e come
tale, l'unico soggetto in grado di valutare l' effettiva sussistenza delle ragioni del " public use ". La tesi
sostenuta dello Stato dell' Ohio era che l' Autorità federale non potesse intromettersi nella sua sfera
decisionale per stabilire o meno l' opportunità della realizzazione di una opera funzionale al "
common carrier duty ". Tale tesi non fu accolta, ma la decisione di dichiarare la legittimità del
procedimento espropriativo passò a maggioranza.
46 G.F. FERRARI , " Eminent domain " , in Digesto dis. publ., cit. p. 521
46 B.GAMBARO, " Interesse pubblico e limiti al potere di esproprio negli U.S.A. " in Quad. reg.2, 2006
47 V.Kohl v United States, 91 U.S., 367,1875
19
L' espansione dei confini del " public use " aveva scatenato un conflitto di attribuzioni esasperato dal
contesto storico in cui esso sorgeva.
Molti Stati dell' Unione, legati dall' estensione della proprietà terriera e quindi propensi a sposare una
visione conservatrice della proprietà, ed in generale, del diritto, guardavano con sospetto ai mutamenti
di rotta della Giurisprudenza che minavano la sacralità del diritto domenicale; l' arma di difesa
prescelta dagli Stati, come emerge dalle vicenda processuali richiamate, fu quella di rivendicare la
propria autonomia decisionale, invocando un principio di competenza territoriale.
Dato per scontato che la teoria dell'interesse pubblico in senso stretto dovesse considerarsi
definitivamente tramontata, gli Stati ritenevano in ogni caso inaccettabili che l' Autorità federale
espropriasse per opere di interesse federale senza il previo consenso dell' organo Statale.
Si poneva un evidente conflitto sul rapporto fra il V ed il WIV Emendamento della Costituzione
americana. Nel giro di pochi anni lo scenario giurisprudenziale era radicalmente mutato; a prescindere
dalla delimitazione dei confini del " public use ", il diritto di proprietà doveva misurarsi con altre
situazioni giuridiche meritevoli di tutela. Il XX secolo era ormai alle porte e con esso il conflitto che ha
caratterizzato la storia costituzionale del " property rights " e la concezione individualista del diritto di
proprietà. Le conseguenze di queste trasformazioni degli equilibri procedimentali imponeva un
innalzamento del livello delle garanzie; la nuova visione del diritto di proprietà, non più come fine ma
come mezzo, esponeva il privato proprietario all' azione invasiva della P.A. all' interno della sua sfera
giuridica.
Di fatto, questa inversione di rotta determinava un riconoscimento implicito, da parte dell'
ordinamento statunitense, del concetto autoritatività della P.A. Siamo così di fronte ad un altro,
significativo elemento indiziario dell' approssimatività della teoria della riconciliabilità dei modelli.
Il " common law " non può pertanto essere sbrigativamente etichettato con il sistema che disconosce
il diritto amministrativo negando la specialità di un rapporto giuridico instaurato fra privato e P.A.
La realtà è ben diversa, seppur per ragioni differenti, sia in Inghilterra che negli U.S.A. Dell' Inghilterra
avremo modo di parlarne a breve. Gli U.S.A. hanno attribuito una connotazione decisamente
pubblicistica al rapporto fra diritto di proprietà e le limitazioni ad esso inerenti, ritenendo che il "
public use " legittimi la P.A. ad emanare atti ablatori, straordinariamente lesivi in quanto tali alla sfera
giuridica di un privato cittadino. Diventa veramente difficile considerare l'ordinamento degli U.S.A. un
ordinamento di " common law " se, partendo da ciò, si voglia affermare che il " common law " si
caratterizzi per la riconducibilità dei rapporti giuridici fra il privato e pubblico potere alla disciplina del
diritto privato sostanzialmente processuale48. Affermare questo significa negare la stessa evoluzione
storica del diritto degli U.S.A. e dei suoi principi costituzionali; la stessa genesi del procedimento
espropriativo statunitense concorre a mettere in crisi le distinzioni tradizionali fra modelli giuridici,
fondate sull' analisi del rapporto fra privato e P.A.
48 S.CASSESE, " La costruzione del diritto amministrativo ",Milano, 2000
20
Il concetto di autoritatività che ha segnato l' evoluzione del diritto amministrativo in Italia nella fese di
crisi dello Stato liberale, non può essere considerato un elemento di differenziazione fra il nostro
modello ed il " common law ", ma semmai una linea di demarcazione fra l' Italia e la sola Inghilterra.
Mentre infatti l' Inghilterra gettò lentamente le basi per la costruzione del diritto amministrativo
moderno, favorendo i modelli di definizione consensuale, gli U.S.A. concepirono, già alla luce di fine
'800 , delle tipologie decisionali di evidente stampo autoritativo, riconducibili alla categoria del " police
power ".49 L' autoritatività di indubitabile carattere pubblicistico che l'ordinamento U.S.A. riconosceva
al pubblico potere non si limitava infatti all' esercizio dell' " eminent domain " ma arrivava a
comprendere una potestà dai confini ben più ampi corrispondente al " police power ".
Il " Police power " all' interno del diritto costituzionale americano costituisce " the capacity of the
state to regulate behavior and enforce order within their territory for the betterment of the general
welfare, morals, health and safety of their inhabitants " 50.
Il potere decisionale fondato sul " police power " poteva quindi superare i limiti previsti dalla legge
in nome di quel principio dommatico " balance of interest " in nome del quale il diritto dell' individuo
poteva essere compreso in assenza del benché minimo riconoscimento indennitario , necessario
invece nell' ipotesi dell' esercizio dell' " eminent domain ".
Il percorso fatto dalla Giurisprudenza Americana per tracciare i confini fra " eminent domain " e "
police power " inizia già nella seconda metà dell' '800, quando l' Italia è ancora caratterizzata dalla
teoria della vendita obbligatoria e da una disciplina dell' espropriazione per pubblica utilità di
chiaro stampo liberale 51; l' individuazione delle ipotesi fondanti l' uno o l'altro tipo di potere
esercitato avrebbe prodotto conseguenze rilevanti in relazione agli strumenti rimediali azionabili dal
privato.
49 R.A. EPSTEIN," Bargaining with the State "; Orinceton,1993
A.RUSSELL , " Police power of the state and decision as illustrating and value of case law ", Chicago,1900
50 Definizione tratta da Encyclopedia Britannica, 2008, voce Police power
51 P.NICHOLS, " The power of eminent domain, Boston, 1909
B.A. ACKERMAN, "Private property and the Costitutio ", Yale, 1977
E.F. ROBERTS, " Land use planning, cases and materials ",New York, 1971
21
Considerare infatti un potere dell' Amministrazione espressione del " police power " avrebbe significato
escludere che la lezione arrecata alla sfera giuridica del privato dovesse essere compensata
attraverso la corresponsione di un indennizzo.
Un giurista inglese di fine ottocento non avrebbe avuto difficoltà ad etichettare come eresia giuridica
un simile modello di azione amministrativa.
L' ordinamento statunitense si è trascinato il problema fino ai nostri giorni , lasciando sempre alla
Giurisprudenza il gravoso onere di interpretare la volontà del' Ammnistrazione, riconducendola all' uno
o all' altro potere. Stante il progressivo ampliamento della potestà amministrativa, le pretese del
privato si spostarono, lentamente, dalla difesa strenua ed incondizionata del diritto domenicale, alla
legittima aspettativa di un procedimento ablatorio condotto dalla P.A. nel rispetto delle regole. In
quest' ottica le trasformazioni introdotte dall' affermazione della teoria della " new property "
rafforzavano in modo significativo il sistema delle garanzie procedimentali; infatti l' esame di questa
fase storica del modello U.S.A. ci ha posto di fronte a novità rilevanti che, nella prospettiva di un
costante bilanciamento di interessi, ampliavano le potestà ablatorie del pubblico potere ma al
contempo riconoscevano maggiori possibilità di tutela al privato proprietario:sia il concetto di taking
che il concetto di " public use " meritavano di essere interpretati prescindendo dal dato strettamente
letterale per essere applicati secondo una teoria estensiva, compatibile con i principi costituzionale,52
Ciò premesso, si ritiene che i mutamenti del senso giuridico attribuito all' azione amministrativa
aleatoria intesa come " taking property " ed al requisito del " public use " richiedevano un diverso
grado di estensività nella interpretazione proprio per non alterare gli equilibri del rapporto fra
interesse pubblico ed interesse privato. Il superamento della teoria del " no taking without touching
"consente di tutelare l' interesse privato, nell' ottica del riconoscimento delle garanzie indennitarie,
anche quando l' interesse pubblico venga perseguito con una limitazione della proprietà che non
comporti l' apprensione materiale della stessa; si riesce così ad assicurare la pari dignità giuridica fra
interessi confliggenti. Diversamente l'interpretazione esasperatamente estensiva del " public use "
rischia di compromettere la stabilità del rapporto tra interesse pubblico ed interesse privato. Proprio
la espropriazione a favore di privati si è sviluppata nel tempo attraverso una arbitraria visione
estensiva del " public use ", dimenticando che l' iniziativa economica privata appare avere minore
connessione con il benessere della collettività rispetto all' opera di pubblica utilità: per tale ragione
l' azione amministrativa ablatoria merita, nel piano delle scelte, un controllo ancora più approfondito
52 T.W.MERRILL-H.E.SMITH, " Property: principles and policies, Harvard Journal of law and Public Policy, 2007
H.E. SMITH," Exclusion and property rules in the law of public nuisance, in VA. Law Rewiew,33,2004
22
quando si tratti di acquisire la proprietà privata per destinarla all' attività d' impresa di un terzo
privato.
Il percorso storico che qui si tenta di compiere aiuterà a capire come nel tempo la espropriazione a
favore di privati abbia smarrito quel sistema di necessarie garanzie funzionali alla tutela del diritto di
proprietà.
VI. La legge fondamentale italiana
Nello stesso periodo storico, pur in assenza di una carta costituzionale, l' ordinamento italiano
riconobbe l' interesse pubblico come indefettibile requisito di legittimità del procedimento
espropriativo; si trattava però di un interesse pubblico ancora lontano dalla preminenza che il
concetto di autoritatività gli avrebbe attribuito il ' 900. Occorre del resto considerare a riguardo che la
legge fondamentale n° 2359 del 1865 risentiva fortemente dell' allora imperante concezione liberale
del diritto di proprietà che tanto avvicinava la nostra espropriazione al modello inglese.
Un primo riscontro è dato dalle scelte lessicali del legislatore del tempo dal momento che la legge
2359 è definita " Disciplina dell' espropriazioni forzate per cause di pubblica utilità ", laddove
espropriazione forzata corrisponde ala traduzione letterale di " compulsory purchase " che è
espressione giuridicamente più familiare al diritto privato.
Sul piano sostanziale i contenuti della legge del1865 rispecchiano i caratteri della visione del diritto di
proprietà all' epoca dominante.
53 Il rapporto tra il procedimento amministrativo ed interesse pubblico nel modello di origine della legge fondamentale n° 2359
del 1865 prende corpo nella regola normativa.
Il modello originario offre minori garanzie al privato, titolare del bene espropriando, per il rapporto difficile e poco regolato tra
il procedimento e garanzie. I limiti della regola normativa fondamentale, degli aggiustamenti successivi,parziali per quantità e
qualità di scienza della legislazione applicata, sono dipesi dalle vicende interne alla legislazione di settore.
La legge fondamentale, per tanti versi legge-provvedimento (cfr G.PALMA, "I procedimenti ablatori, in trattato di diritto
privato ", diretto da P.RESCIGNO, Torino, 1982 p.264 ) ha da subito scontato un progressivo affievolimento di una tentata
vocazione sistemica fino a rappresentare sempre meno quel ruolo di legge > fondamentale <, ruolo risultato
progressivamente limitato in quanto le sue disposizioni possono trovare applicazione solo nei casi, sempre più rari, nei quali le
leggi speciali omettano di dettare disposizioni specifiche " (cfr G.PALMA, " Op. ult. cit., p. 264 ).
54 Sulla legge fondamentale del 1865 e le garanzie da esso previste vedi G.PALERMO,"Espropriazione per pubblica utilità e
provvedimenti di urgenza ", Roma, 1971
23
Su questo aspetto pare opportuno richiamare quanto disposto dall’art 3 della legge secondo cui "
qualunque domanda che venga fatta da province, comuni, da corpi morali o privati, per ottenere la
dichiarazione di pubblica utilità, deve essere accompagnata da una relazione sommaria, la quale indichi
la natura e lo scopo delle opere da eseguirsi,la spesa presunta, i mezzi di esecuzione ed il termine entro
il quale saranno terminate".
In questa norma può individuarsi un esempio evidente dell' esistenza di garanzie che l' ordinamento
intendeva assicurare al diritto di proprietà.
Siamo ben lontani dal criterio decisionale del bilanciamento degli interessi, già previsto negli U.S.A. nell'
esercizio del " police power " troppo spesso acriticamente spostato a favore della P.A. Perché l' opera
potesse essere realizzata ed il diritto domenicale legittimamente sacrificato, dell'opera stessa doveva
essere provata la pubblica utilità sulla base di una relazione che evidenziasse la natura e lo scopo di
ciò che si doveva realizzare; in questo modo l' interesse pubblico si faceva strumento di garanzia della
sfera giuridica del privato. Non è poco.
Tuttavia l' inevitabile processo di pubblicizzazione che ha investito nel '900 l' istituto della
espropriazione ha smarrito, progressivamente, la dimensione quantitativa e qualitativa delle garanzie
previste da legislatore nel 165, snaturando il ruolo dell' interesse pubblico nella dinamica
procedimentale, rendendolo una figura centrale non controbilanciata da forme adeguate di tutela del
diritto come strumento di legittimazione del pubblico potere e non anche come garanzia del diritto di
proprietà ha prodotto modalità anomale di esercizio delle potestà ablatorie caratterizzate da scarsa
attenzione verso le ragioni del privato, soffocate da una concezione autoritativa della partecipazione,
secondo cui il coinvolgimento del privato costituisce come mera causa di rallentamento dell' azione
amministrativa.
55E.CANNADA BARTOLI," Beni pubblici ed espropriazione per pubblica utilità" , In oro amm.,1961
A.ANGELETTI, " Sull'impugnabilità dell'atto di motivazione dei beni espropriandi", in Foro pad.1967
ECC.
56G.PALMA, " I procedimenti ablatori ",in Trattato di Diritto privato
57W.GASPARRI, " Il punto logico di partenza. Modelli contrattuali, modelli autoritativi e identità disciplinare della dogmatica
dell' espropriazione per pubblica utilità", Milano, 2004
24
In nome dell' interesse pubblico e della sua abusata prevalenza, si è infatti costruito l' istituto della
occupazione di urgenza, che mai si è totalmente riusciti ad eliminare dal nostro ordinamento e si è
dato riconoscimento giuridico alle attività ablatorie consumate dalla P.A. in carenza di potere. Da
questo punto di vista, non può negarsi che l' impianto normativo dell' espropriazione forzata di fine '800,
pur con le lacune strutturali derivanti dall' ancora assente idea della Pianificazione Urbanistica del
territorio, rispettasse la dignità giuridica di tutte le parti coinvolte nel procedimento; il limite
dell'espropriazione fondata sul concetto di vendita obbligatoria consisteva piuttosto nell' effetto
paralizzante riconosciuto all' eventuale diniego formulato dal privato proprietario. L' imprescindibilità
del consenso del privato come requisito essenziale di vendita obbligatoria riduceva al minimo l'
incidenza dell' interesse pubblico facendo dell' interesse privato la figura apicale della espropriazione;
ma una simile impostazione è logicamente incompatibile con un istituto giuridico che ha nel suo fine il
perseguimento della pubblica utilità. Il consenso del privato più che garanzia dell' interesse privato
appariva un ostacolo al soddisfacimento dell' interesse pubblico:l' equilibri fra interesse pubblico ed
interesse privato doveva fondarsi su di un procedimento di garanzia,non potendo certo dipendere dalla
manifestazione di volontà unilaterale del privato. L' evoluzione del privato pur con limiti , ha
introdotto l' idea del procedimento ablatorio come garanzia ma al contempo come espressione
giuridica di un sacrificio, che prescinde dalla volontà del titolare del diritto domenicale in nome
del'interesse pubblico;58 la rinuncia coatta di diritto di proprietà che ha indotto ad intravedere una
affinità fra espropriazione e sanzione costituisce il presupposto perla pubblicizzazione del
procedimento espropriativo. Il problema che l' accettazione della autoritività del provvedimento di
esproprio ha prodotto negli ordinamenti conseguenze differenti. Mentre gi Stati Uniti hanno
provveduto a costruire un sistema di garanzie procedimentali ancora prima di disciplinare le forme di
tutele processuale, l' Italia, con colpevole indugio , e con risultati insoddisfacenti, ha previsto strumenti
di difesa del diritto di proprietà rivelatisi inidonei ad incidere sulle sorti del provvedimento.
VIII. La genesi della " compulsory purchase "
La genesi dell' istituto della espropriazione attraversò nel frattempo in Inghilterra tappe evolutive
profondamente diverse da quelle fin qui esaminate. Nel XIX sec. la connotazione pubblicistica dell'
istituto fu limitata, per non dire assente.
58N.NATTA, " Osservazioni sulla nuova retrocessione dei bei espropriati in studi in onore di Leopoldo Mazzaroli ", Padova,
2007
59 V.MOORE," Compulsory purchase in the U.K. ". Oxford, 1990
25
In mancanza di un riferimento legislativo di livello costituzionale, occorre considerare quale prima
tappa del percorso normativo il " Lands Clauses Consolidation Act " del 1845. Siamo ben lontani dalla
visione pubblicistica dell' Istituto concepita dalla Costituzione americana.
Il legislatore inglese di metà '800 era infatti persuaso dalla natura privatistica delle " Compulsory
purchase " in virtù della quale il diritto di proprietà era regola e la sua violazione rappresentava una
eccezione assoluta che, per consumarsi, necessitava della preventiva approvazione del Parlamento il
quale, di volta in volta, autorizzava con un " private bill " l' avvio di una procedura espropriativa:
tale impostazione sarebbe stata presto ridimensionata dall' avvento della rivoluzione industriale. Il
fenomeno dell' industrializzazione, radicatosi in tutto il Paese, impose l' avvio di un processo di
decentramento che consisteva nell' attribuzione diretta dei poteri ablatori alle singole Autorità
locali. Il " Lands Consolidation Act ", con il conferimento dei poteri alle " Local Authorities ", gettò le
basi per il processo di trasformazione della " Consultory Purchase " che avrebbe caratterizzato la
prima metà del '900.
VIII. Il riconoscimento del carattere pubblicistico della " compulsory purchase "
Innumerevoli ed importanti erano le opere pubbliche da realizzare sull' intero territorio nazionale. I "
private bills ", dietro lo scherma formale di provvedimenti legislativi, nascondevano, nella sostanza, i
caratteri di veri e propri atti amministrativi con i quali l' Autorità pubblica andava ad incidere sulla
sfera giuridica dei privati .61 Tuttavia questa lettura del fenomeno espropriativo era assolutamente
incompatibile con un periodo storico nel quale il giurista inglese negava ancora con fermezza l'
esistenza del diritto amministrativo ed ignorava, almeno apparentemente, il concetto di Pubblica
amministrazione; per il giurista inglese, peraltro, ricostruire dogmaticamente l' espropriazione
imperniandola sulla idea dell’ autoritatività avrebbe significato il ritorno ad un passato decisamente
lontano. Infatti l' acquisizione della proprietà privata sulla base dell' esercizio del potere dell' "
eminent domain ", pur essendo nell' '800 la lettura giuridica della " taking property " americana
preferita dalla dottrina , è una visione dell' espropriazione concepita dal diritto feudale inglese in
epoca medioevale. La clausola n° 39 della Magna Charta riconosceva il diritto naturale della corona di
di violare la proprietà privata per il perseguimento di scopi superiori; il procedimento espropriativo
inglese di metà '800, rifiutando l'idea che lo Stato potesse esercitare una incondizionata ingerenza
nelle libertà fondamentali dell' individuo, prevedeva che la proprietà privata non potesse essere
acquisita in assenza del consenso del proprietario ed in mancanza di una specifica approvazione da
parte del Parlamento. Ciò tuttavia non è di per sé sufficiente a negare in senso assoluto,la matrice
pubblicistica della " compulsory purchase " inglese apparendo riduttivo se non fuorviante.
60 E.W. ROOTH, J.PEREIRA, " The law of compulsory purchase Act ", 2004 Marston Book, 2011
61 M.CLARICH, " Modelli di semplificazione nell' esperienza comparata",Padova, 2001
AA.VV. ," Compensation for compulsory purchase: a comparative study", London , U.K., 1975
62 S.CASSESE, " Le basi del diritto amministrativo " , cit. p. 39
26
l' impostazione dottrinaria inglese di fine '800 che rifiutava l' esistenza del diritto amministrativo. Il
pensiero di Dicey che coglie la necessità di non distinguere, sul piano della forma e della sostanza, i
rapporti fra privati dai rapporti fra privati e pubbliche amministrazione, è un dato di fatto; esso
tuttavia rileva più sotto il profilo della tutela processuale di quanto non incida sulla disciplina del
procedimento; non a caso il disconoscimento della specialità del diritto amministrativo e delle
situazioni giuridiche da esso scaturenti, ha avuto un significativo riflesso nel diretto processuale inglese
che ha attribuito al giudice ordinario la " potestà decidendi " nelle controversie insorte tra privato e
P.A. Sarebbe errato individuare nel pensiero del Dicey il parametro di riferimento utile a negare la
pubblicizzazione della " compulsory purchase " sulla base del rifiuto del diritto amministrativo nella
cultura liberale inglese dell' '800. Il carattere ideologico più che storico dell' avversione al diritto
amministrativo da parte della dottrina inglese più conservatrice paradossalmente costituisce un
significativo elemento indiziario del graduale processo di pubblicizzazione dell' azione amministrativa e,
consequenzialmente, della stessa " compulsory purchase ".
Infatti, più che una descrizione dell' esistente, la tesi della negazione del diritto amministrativo rivelava
la preoccupazione di una certa parte politica a fronte di una emergente scienza del diritto
antitetica, nel suo riconoscimento di una autorità sovraordinata, all' individualismo di stampo liberale.
Del resto la stessa evoluzione del pensiero di Dicey consente di vedere nella sua polemica anti- diritto
amministrativo l' espressione di una reazione; una reazione condizionata dalle esperienze di Tudor e
degli Stuarts guardando al passato dall' affermazione del " welfare state " ragionando nella prospettiva
del tempo.
Tuttavia dalla teoria del Dicey è lecito argomentare, sul piano dell' effettività, non tanto la negazione
delle funzioni della P.A., quanto l' esigenza di prevedere un giudice unico, rifiutando la specialità del
diritto amministrativo; del resto gli avvenimenti storici e le scelte politiche del tempo non appaiono in
contraddizione con una simile considerazione.
I " private bills ", pur rispettando formalmente i principi posti a garanzia dei privati espropriandi,
svuotavano di fatto il diritto dominicale di qualsiasi contenuto alla stregua di un provvedimento
amministrativo di tipo ablatorio e la natura sostanzialmente pubblicistica dei provvedimenti di tipo
ablatorio sarebbe emersa, in modo ancora più evidente, con la riforma del " Lands consolidation Act
" che attribuì potere di intervento alle autorità locali.
IX. L' ottocento e la diversità dei modelli
L'800 vede pertanto modi diversi di concepire l' espropriazione pubblica.
Il giurista americano è senz' altro facilitato dalla facilità dalla previsione di principi di tendenza contenuti
nella Carta Costituzionale; le coordinate fondamentali dell' Istituto, rappresentate dall’ " eminent
domain ", dal " public use " e dalla " just compensation " sono gli elementi di diritto che, ancora
oggi, animano il dibattito dottrinario e segnano le novità giurisprudenziali più significative. Abbiamo visto
altresì che tanto in Italia quanto in Inghilterra, seppur in virtù di lacune diverse, l' inquadramento
27
dogmatico dell' espropriazione fosse ancora in una fase embrionale. Il modello italiano soffriva della
mancanza di una disciplina regolante l' uso del territorio e di una Costituzione che stabilisse i
principi legittimanti l' acquisizione della proprietà privata.
In Inghilterra non vi era un problema legato alla carenza delle fonti, quanto piuttosto l' esigenza di
costruire una giustificazione giuridica attendibile alla " compulsory purchase "; le tappe evolutive dell'
istituto, hanno tuttavia provato che le garanzie del privato potessero coesistere ,senza contraddizioni
logiche e giuridiche con un concetto così poco condiviso dal giurista inglese qual è l' autoritatività
della decisione amministrativa.
L' esistenza o meno di un impianto normativo di tipo costituzionale è stata assunta dalla dottrina,
quale parametro di misurazione del livello delle garanzie, in particolare il problema è stato posto all'
interno del " common law " rispetto alle differenze ordinamentali esistenti fra il modello
statunitense ed il modello inglese. E' stato a riguardo evidenziato che l' assenza, nel modello inglese, di
una Carta Costituzionale e di u " Bill of Rights ", abbia determinato un indebolimento delle libertà
economiche e di quelle civili sottoponendo alle aspettative proprietarie al grado di compressione
discrezionalmente scelto dal potere legislativo; su questo aspetto non vi è dubbio che i principi
costituzionali del V e del XIV emendamento abbiano attribuito al modello americano il primato
storico e giuridico della tutela dei diritti e delle libertà fondamentali armonizzati con il principio di
necessità dell' azione amministrativa, anche invasiva, quando legittimata dalla presenza del " pubblic use
". Tuttavia il rischio, seppur concreto, che un ordinamento, quale quello inglese, sfornito di principi
orientanti di rango costituzionale, potesse soffocare per via legislativa le ragioni del privato, non si è
materializzato. Il modello inglese è stato certamente restio ad accertare una dogmatica dell'
espropriazione per pubblica utilità fondata sul concetto di preminenza dell' interesse pubblico, ed
anche quando ciò è accaduto la legislazione inglese ha sempre evidenziato una attenzione rigorosa
per le aspettative giuridiche vantati dai privati proprietari all' interno del procedimento espropriativo;
alla luce di ciò risulta difficile condividere l' assunto secondo cui l' ordinamento inglese avrebbe
consentito, al potere legislativo, in assenza di una Carta Costituzionale, di vanificare le aspettative dei
privati proprietari perché il percorso storico della " compulsory purchase " è al contrario indice di una
volontà legislativa decisamente e sostanzialmente garantista e fortemente a disagio nel dover
ridurre la sfera di godimento delle libertà individuali.
E' altrettanto vero, però, che la tutela di garanzie del diritto di proprietà non abbia in ogni caso
impeditola pubblicizzazione di fatto del procedimento espropriativo inglese ed un approccio
sostanziale all' analisi del potere espropriativo esercitato per via legislativa rivela, paradossalmente, il
riconoscimento implicito di un principio di autoritatività più incisivo di quello previsto negli altri
ordinamenti esaminati.
Ed allora la nota di avversione della dottrina inglese per la scienza del diritto amministrativo rischia di
apparire un riferimento fuorviante nell' analisi dell' evoluzione normativa della " compulsory purchase
".
28
La disciplina dell' istituto è stata ispirata da contingenze di carattere storico più che da impostazioni
storiche;la stessa previsione, all' esito di un procedimento di una " Confirming Authority " è l' indice
del' accettazione, anche nel diritto inglese, di una autorità superiore cui è riconosciuto il potere di
decidere s di un determinato assetto di interessi, prescindendo anche dalla volontà delle parti
coinvolte. Viene da pensare pertanto che l' assenza di una Carta Costituzionale non abbia prodotto alcun
condizionamento sulla genesi della " compulsory purchase "; del resto le tormentate vicende dell'
espropriazione italiana sono l' ulteriore prova di quanto ininfluente possa rivelarsi la presenza di una
Costituzione scritta rispetto all' esigenza di tutela vantata dal soggetto titolare di un diritto dominicale.
Taluni istituti italiani infatti, quali l' acquisizione sanante, di recente dichiarata incostituzionalità e poi
reintrodotta dal legislatore e l' occupazione anticipata sono stati espressione di un potere legislativo
che ha attribuito alla P.A. una libertà di azione difficilmente compatibile con le garanzie costituzionali
della proprietà privata; entrambi gli istituti infatti hanno minato in modo irreparabile le soluzioni
rimediali che l' ordinamento offre ai privati proprietari. L' acquisizione sanante ha sterilizzato la tutela
processuale, consentendo all' Amministrazione di sanare con un provvedimento le illegittimità di un
intero procedimento, magari ribaltando il contenuto di una sentenza del giudice amministrativo. L'
occupazione anticipata ha ridotto al minimo la rilevanza della tutela procedimentale facendo del
privato una figura assolutamente marginale della fattispecie ablatoria.
Date queste premesse, cercheremo di dimostrare come un ordinamento per lungo tempo poco
incline nella teoria a riconoscere il concetto di P.A., abbia saputo realizzare un modello
procedimentale nel quale si contempla una decisione dell' Autorità amministrativa rispettosa delle
garanzie del privato;63 a questo risultato il legislatore inglese è arrivato rafforzando nel tempo, la
rilevanza di istituti tipici del diritto amministrativo continentale.
Le origini dei modelli espropriativi infatti rilevano tipologie di azione amministrative che appaiono in
evidente distonia con le teorie tradizionali. Il paradosso è che tra i modelli presi in considerazione,
quello italiano nell' '800, appare il meno incline a riconoscere ed accettare l' azione invasiva del
pubblico potere. Se infatti la teoria della vendita obbligatoria affermava la pari dignità procedimentale
fra il privato e la P.A. italiana, l' ordinamento inglese cedeva, per via legislativa all' idea che le
esigenze di interesse pubblico potessero giustificare l' acquisizione del diritto dominicale senza il
consenso del privato proprietario. Il successivo capitolo nell' affrontare le evoluzioni ordinamentali, si
confronterà in primo luogo con la disciplina delle garanzie che costituiscono il parametro primario di
valutazione del tasso di democraticità di un procedimento espropriativo.
63 F.FRACCHIA," Analisi comparata della partecipazione procedimentale nell' ordinamento inglese ed in quello italiano ", in
Dir. soc., 1997; A.MASSERA, " Forme e strumenti della tutela nei confronti dei provvedimenti amministrativi. Nel diritto
italiano, comunitario e comparato ", Padova, 2010; D.CORLETTO, " Procedimenti di secondo grado e tutela dell' affidamento
in Europa ", Padova, 2007
29
Nel solco dei principi fondanti la " compulsory purchase " il legislatore inglese ha previsto una
disciplina espropriativa attenta ad equilibrare gli interessi dell’ Amministrazione con le aspettative
del privato proprietario; diverso sarà il discorso da fare in relazione alle vicende italiane dell'
espropriazione per pubblica utilità , che nel '900 sarà caratterizzata da un rapido processo di
pubblicizzazione di tipo autoritativo con riflessi pregiudizievoli per la disciplina delle garanzie
partecipative.
Il XX secolo è peraltro anche il momento storico delle scelte ordinamentali in materia di soluzioni
rimediali: da un lato si porrà l' esperienza inglese con la fortunata scelta del modello procedimentale
di tipo quasi contenzioso,dall' altra si svilupperà il concetto di specialità della giustizia amministrativa
che in Italia, si segnalerà, in materia di espropriazione, per la debolezza del suo sindacato
giurisdizionale.
30
Parte seconda
Il novecento e l'espansione del pubblico interesse
31
I. Le garanzie procedimentali: il tramonto della natura negoziale dell' espropria-
zione
Se l' 800 è stato caratterizzato dalle differenze ordinamentali nel modo di concepire il rapporto fra
autorità e libertà nella regolamentazione dei limiti al diritto alla proprietà, il '900 presenta un tratto
comune all' interno dei diversi modelli; è stato infatti il secolo della definitiva pubblicizzazione del
procedimento espropriativo.
Alla base di questo fenomeno si pongono esperienze storiche e giuridiche diverse, legate però dal
comune denominatore del riconoscimento di una autorità superiore, legittimata ad acquisire, senza il
consenso del privato,il suo diritto di proprietà. Tale dato di fatto assume rilevanza particolare nel
modello inglese, fino ad allora caratterizzato dall' idea dell' inviolabilità assoluta del diritto di
proprietà. Per comprendere il fenomeno, occorre partire dal dato storico più che dalle dispute
dottrinali.
La II guerra mondiale, pur essendosi conclusa favorevolmente all'Inghilterra, aveva lasciato in eredità
non pochi problemi di riassetto del territorio; la gran parte del paese era stata devastata dai
bombardamenti e la ricostruzione costituiva la priorità assoluta.
Lo Stato diede vita ad un inevitabile processo di decentramento decisionale attraverso la distribuzione
di una serie di poteri agli Enti locali.
Il Parlamento, infatti decise di delegare le " Local Country Authorities " all' instaurazione ed alla
conduzione dei procedimenti espropriativi.
La prima legge che regolò le fasi del procedimento fu " L' Acquisition of Lands " ( " Authorisation
Procedure " ) " Act " entrava in vigore il 1946; all' interno di questa legge convivevano due diverse
fattispecie, l' una avviata dall' Autorità locale, sulla base di una autorizzazione parlamentare, l' altra
direttamente affidata al Min. dei Trasp.: l' entrata in vigore della nuova legge aveva determinato la
rottura degli schemi rigidamente negoziali che avevano caratterizzato i primi anni di vita del "
Compulsory purchase " con la conseguenza che la contrattualizzazione dell' istituto lasciava spazio
all' autoritatività del procedimento di esproprio giustificava dalla primaria esigenza, coincidente con
l' interesse pubblico, di ricostruzione del paese. L' “acquisition of lands act " del 1946 aveva infatti
definitivamente rivelato che reale natura della decisione amministrativa nel procedimento
espropriativo; a prescindere dalla tipologia di autorità espropriante, la manifestazione di volontà posta
in essere dalla " Local Authority " o dal " minister ", che andava ad incidere sul diritto di "
ownership " vantato dal privato, appariva una misura non dissimile da un provvedimento
amministrativo.
32
Lo stesso problema ordinamentale si pose in Italia nel medesimo periodo storico, dopo l' entrata in
vigore della Costituzione Repubblicana, quando il passaggio definitivo alla concezione autoritativa del
procedimento espropriativo e, consequenzialmente, alla sua natura pubblicistica comportò la necessità
di definire lo strumento giuridico attraverso il quale acquisire la proprietà privata.
La differenza tra il legislatore inglese e quello italiano del tempo, sta nel fatto che quest' ultimo fu
orientato nella scelta dalla volontà di neutralizzare il malcontento popolare, optando per un espediente
giuridico, quale l' adozione dei decreti delegati che, di fatto, ostacolavano la tutela processuale
esperibile dal privato; la natura ibrida dei decreti delegati, a metà tra l' atto normativo ed il
provvedimento amministrativo, determinò un aspro conflitto di giurisdizione, finalizzato solo a stabilire
la sede giurisdizionale competente a decidere sull' impugnazione di tali decreti.1
Il problema era decisamente aggravato dall' assenza di tutela Costituzionale, nell' attesa dell' entrata
in funzione della Consulta, visto che di fronte alla debolezza degli strumenti di tutela processuale vi
era il rischio concreto che il potere ablatorio dell' Amministrazione corroborato dalla versione
autoritativa dell' espropriazione, si esprimesse in Italia al di fuori di ogni garanzia.
Il legislatore inglese aveva scongiurato un simile rischio, riuscendo a non trascurare l' esigenza di
tutela del privato e provvedendo ad inserire nell' " Act " l' antidoto ad una possibile deriva autoritativa
del procedimento espropriativo, così da creare un principio di dualità soggettiva ancora vigente.
L' " order " emanato dall' attività espropriante,per poter produrre effetti, doveva superare il controllo
di legittimità esercitato da una autorità amministrativa di secondo grado;in questo modo le garanzie del
privato potevano sopravvivere senza creare di vergenze insuperabili con l' interesse pubblico. Il limite
più grande della visione negoziale della " compulsory purchase " era stato quello di non aver saputo
ancora creare un legame perfettamente armonico tra le ragioni del privato e quelle dell'
Amministrazione dal momento che la realizzazione di un' opera di pubblica utilità non poteva
essere subordinata al consenso del privato espropriando.
Se questo principio fosse affermato all' interno del procedimento espropriativo, l' attività della P.A.
sarebbe spesso esposta alla paralisi.
Le reali garanzie del privato non risiedono pertanto nella potestà di inibire qualsiasi iniziativa
pubblica ma nella trasparenza dell' azione amministrativa coniugata all' effettività della partecipazione
procedimentale.
1 Cons. di Stato, ad. Plen. 20 marzo 1952, nn. 6 e 7, in Rass. Cons. di Stato, 1952, Cass. sez. unica 15 gennaio 1953; n° 157 in
Giur. Cons. Cass. civ. 1952
G.LANDI, "L' espropriazione per pubblica utilità", Milano, 1984, p.6 ss.
33
Finalmente il modello procedimentale disegnato dall' " Acquisition of Lands Act " non negava
l'interesse pubblico sulla base di una arbitraria prevalenza del diritto domenicale; esso piuttosto
tutelava l' interesse pubblico a condizione che il privato fosse parte attiva dal processo decisionale
all' esito del quale l'Amministrazione deliberava o meno l' acquisizione della proprietà privata. Tale
dato di fatto mette fortemente in crisi la suddivisione tradizionale delle famiglie di sistemi giuridici. Non
vi può essere ragionevole dubbio sul fatto che le soluzioni normative offerte dall' “Acquisition of
Lands Act " del 1946 in tema di garanzie procedimentali, avessero ridimensionato la vocazione
privatistica della " Compulsory purchase ", ciò che ha effettivamente distinto da questo momento
storico in avanti, il modello inglese da quello italiano e, in parte, da quello statunitense, è il profilo
rimediale.
La scelta di rafforzare, in sede procedimentale, gli strumenti di controllo dell' azione amministrativa e
delle sue scelte ha indotto, nel tempo, il privato a preferire il momento partecipativo come fase di
possibile ricomposizione degli interessi configgenti. Pertanto la linea di demarcazione fra i modelli di
" civil law " e quello britannico non va individuata nel riconoscimento o meno del diritto amministrativo
e del concetto di Stato - amministrazione, quanto piuttosto nella preferenza, nel modello inglese, per le
forme di tutela alternative alla giurisdizione. 2
II. Le diverse forme di procedimentalizzazione
Quando le già evidenziate ragioni di carattere storico hanno posto il giurista inglese di fronte all'
inevitabile accettazione di un diritto dell'Amministrazione e comunque di una oresenza invasiva del
pubblico potere nella vita del cittadino privato, l' Inghilterra ha iniziato a sviluppare una disciplina
organica delle garanzie procedimentali , tanto da far dire alla dottrina che " l' ordinamento giuridico
inglese,per lunga tradizione, offre le migliori occasioni di tutela non giurisdizionale avverso l' attività
illegittima o incongrua della Pubblica Amministrazione ".3
Su questi presupposti l' ordinamento inglese ha costruito un modello di azione amministrativa,
immaginato più nell'interesse del privato che dell' Amministrazione stessa, soprattutto nelle materie
quali l' espropriazione e, più in generale, il governo del territorio, nelle quali si avverte maggiormente il
conflitto fra autorità e libertà;l' Italia al contrario, aderendo all'idea francese della specialità del diritto
amministrativo e della giurisdizione del giudice amministrativo ha mostrato un' evidente predilezione
per la risoluzione delle controversie in sede giurisdizionale.
2E.BALBONI," Amministrazione giudiziale ", cit. p.21 ss.
I.GRIFFITH, " The politics of the judiciary ", London, 1981
3 A.POLICE, " La tutela del privato nel diritto urbanistico inglese; le garanzie del procedimento", cit.
M.CHITI, " L' affermazione della giustizia amministrativa in Inghilterra ", Milano, 1992
34
Al di là delle valutazioni sulla opportunità o meno di una simile impostazione ordinamentale, viene da
pensare che la scelta italiana si sia consumata in un percorso giuridico incompleto, viziato dalla
mancata attribuzione ai giudici amministrativi degli strumenti di controllo effettivo dell' attività
amministrativa perché è audace se non arbitrario ritenere arbitrario ritenere compatibile con il
sindacato del giudice amministrativo italiano l' idea francese secondo cui giudicare della pubblica
amministrazione è amministrare. L'idea di una amministrazione attiva del giudice amministrativo
presuppone un potere di indagine e di uno scrutinio sulle scelte dell' amministrazione così penetranti
da valutare l' opportunità delle decisioni amministrative e la loro reale rispondenza agli interessi della
comunità amministrata. Tuttavia la giurisdizione di merito del giudice amministrativo ha sempre
rappresentato una ipotesi residuale con la conseguenza che il privato cittadino ha goduto di limitata
tutela rispetto a quelle scelte dell' amministrazione che fossero caratterizzate dai profili di
discrezionalità della decisione assunta. Tale dato di fatto avrebbe potuto comportare una logica
propensione dell' ordinamento italiano verso la sede procedimentale quale fonte preferenziale di
tutela delle garanzie del privato. Tuttavia il procedimento espropriativo italiano risente della
connotazione formale che il diritto di partecipazione assume all' interno dell' azione amministrativa con
la conseguenza che il soggetto espropriando, stretto fra la discrezionalità delle scelte in materia
urbanistica ed il carattere meramente esecutivo del decreto di esproprio, gode di un limitatissimo
diritto di ascolto. Se dunque la genesi dell' istituto dell' espropriazione ha rivelato interessanti elementi
di affinità ordinamentale fra la disciplina italiana e quella inglese tali da confutare le tradizionali
distinzioni tra sistemi giuridici. E’ altrettanto vero però, che i percorsi giuridici imboccati da Italia ed
Inghilterra nel '900 nella regolamentazione dell' istituto siano profondamente diversi; la
procedimentalizzazione dell' espropriazione per pubblica utilità, da un punto di vista meramente
formale, ha rappresentato il tratto comune alle esperienze ordinamentali qui esaminate dal momento
che si l'Italia che l'Inghilterra hanno individuato nel procedimento il mezzo giuridico che ha segnato il
passaggio definitivo alla pubblicizzazione dell' istituto, con notevole ritardo rispetto a quanto accaduto
negli U.S.A. . Tuttavia sul piano sostanziale la pubblicizzazione e la consequenziale
procedimentalizzazione dell' istituto si sono espresse attraverso scelte normative differenti nelle
quali un peso decisivo è stato assunto dal diverso ruolo attribuito alla autorità giurisdizionale.
4 V.E.ORLANDO,"La giustizia amministrativa, u Primo trattato di diritto amministrativo italiano ",III, Milano
G.BARBAGALLO,"La giurisdizione del Consiglio di stato dalle origini al1923 nel Regio di Sardegna e el Regno d'Italia
G.ROEHRSEN,"La giurisdizione di merito del Giudice amministrativo", Milano, 1975
35
Quindi, il procedimento nella prospettiva inglese abbia svolto la funzione di garanzia primaria degli
interessi del privato cittadino, a differenza del cittadino italiano che ha attribuito al processo il
primato in materia di garanzia.
Analizzando la evoluzione normativa inglese infatti, ci accorgeremo di come la "compulsory purchase”
inglese, nell' attribuire priorità al profilo rimediale della partecipazione, abbia rafforzato la valenza
del rapporto collaborativo del privato cittadino, nel procedimento espropriativo del privato cittadino;
nel procedimento espropriativo italiano al contrario, l'Amministrazione ha sempre mostrato scarsa
sensibilità verso i profili di merito delle deduzioni formulate dal privato, sul presupposto che queste
corrispondessero a considerazioni estranee ad un eventuale riesame giurisdizionale di legittimità; la
valenza delle garanzie procedimentali invece si è sviluppata in Inghilterra proprio attraverso il
rafforzamento di quei principi di democraticità e di trasparenza che il procedimento italiano ha nel
tempo smarrito.
La connotazione unilaterale del procedimento espropriativo italiano, nel quale la medesima autorità
emana gli atti del procedimento ed esamina gli eventuali apporti collaborativi offerti dal privato nell'
esercizio del diritto ala partecipazione, rende inevitabilmente preferibile l'opzione per la tutela
processuale; ciò non significa che in astratto la tutela processuale sia necessariamente preferibile,
quanto piuttosto che il procedimento, sguarnito di adeguate condizioni di imparzialità, rischi di rivelarsi
rimedio inutile.
La coincidenza nella stessa Autorità del duplice ruolo di beneficiaria del' espropriazione e di Ente
emanante di atti del procedimento, suggerisce infatti, qualche perplessità sulla effettività della
partecipazione, sull' eventualità cioè che le ragioni del privato non sono soggetto di valutazione
approfondita da parte dell' Amministrazione che fa di esse parte del processo decisionale, non più
parlarsi di partecipazione e di procedimento, ma di un modus decidendi assolutamente unilaterale; su
questo aspetto le differenze ordinamentali sono profonde.
Ciononostante, il principio dell' alterità soggettiva non può considerarsi una prerogativa del modello
inglese.
III. La garanzia della terzietà nella " compulsory purchase " e nel modello italiano
Già il legislatore italiano nel 1865 aveva capito che concentrare, nel medesimo soggetto giuridico, l' Ente
beneficiario del procedimento espropriativo e l' Autorità emanante i provvedimenti ablatori, spostava
gli equilibri procedimentali in una direzione fin troppo favorevole all' Amministrazione. Il rischio di un
simile conflitto di interessi era scongiurato nella legge 1865 che attribuiva al Prefetto il potere di
demandare gli atti del procedimento, così assicurando la posizione di terzietà dell' Ente beneficiario
dell' espropr37
36
Tale distinzione soggettiva si è persa ed oggi il testo unico di cui al DPR n° 327/2001 consente la
riunione dei ruoli e delle funzioni in una unica Autorità.
L' Inghilterra, con coscienza logica e giuridica ha disciplinato la " compulsory purchase ", prediligendo
un modello procedimentale paritario nel quale l' apporto collaborativo del privato avesse una effettiva
incidenza sul processo decisionale della P.A. , la democraticità della " compulsory purchase ", si fonda
sulla garanzia della dualità soggettiva che rappresenta, all' interno del procedimento, espressione di
controllo e consequenzialmente di trasparenza dell' azione amministrativa. La previsione di una simile
garanzia aiuta a capire le ragioni di talune scelte ordinamentali ed a giustificare lacune solo apparenti
del sistema rimediale dal momento che la prevalenza delle garanzie procedimentali su quelle
processuali si spiega proprio alla luce dalla funzione esercitata dalla " Confirming Authority ", che
sottoponendo l' azione amministrativa ablatoria ad un riesame scevro da conflitti di interesse e da
possibili condizionamenti territoriali,rende oggettivamente superflua la previsione di un modello
giurisdizionale di " hard look ": In sostanza il privato cittadino e proprietario ha sempre potuto fare
affidamento alla presenza di una Autorità terza ed imparziale, impegnata tra l' altro a verificare che le
" objections " formulate fossero parte attiva del processo decisionale.
E' altrettanto errato sostenere che il modello italiano, a differenza di quello inglese, abbia preferito
equilibrare le posizioni giuridiche coinvolte, radicando del processo le garanzie del privato; occorre
osservare infatti che dall' entrata in vigore della Costituzione Repubblicana ad oggi, l' ordinamento
italiano si è trascinato il problema dell' assenza di un sistema adeguato di garanzie processuali a
tutela del diritto di proprietà. La natura del sindacato del giudice amministrativo fondata sullo scrutinio
di una mera legittimità ha infatti impedito che il nostro ordinamento potesse prevedere strumenti di
difesa del diritto di proprietà paragonabili per valenza ed efficacia a quelli offerti dalla " compulsory
purchase ".
Eppure la gravità di una simile carenza ordinamentale fu rilevata già in passato quando fu evidenziato
che "Suscita quantomeno un senso di inappagamento la riflessione che, siccome di regola il nostro
ordinamento non ammette alcun sindacato giurisdizionale sulle determinazioni amministrative che si
basino su scelte tecniche o discrezionali , un campo pullulante di diritti soggettivi di così elevato
patrimoniale, ed esposto a tante possibilità di arbitrio, venga sostanzialmente a rimanere sguarnito di
ogni protezione giudiziale.5
E' di tutta evidenza che la garanzia dell' imparzialità sia assente, per ragioni differenti, sia in sede
procedimentale che in ambito processuale; la terzietà dell' organo giurisdizionale non è di per sé
sufficiente a compensare la mancata previsione di una Autorità amministrativa di controllo in sede
procedimentale se l' Autorità giurisdizionale, autolimitandosi, dichiari di non poter sovrapporre
5A.M.SANDULLI, " Profili costituzionale della proprietà privata",In Riv. dir. proc. civ. II,1971, p.477
37
le proprie valutazioni a quelli rese dall' Amministrazione espropriante. L'Atteggiamento di " deference "
che ha caratterizzato l' approccio della giustizia amministrativa alle vicende espropriative ha di fatto
legittimato un' azione amministrativa che già nelle scelte di natura programmatoria si è sentita libera
di decidere, prescindendo completamente dalle deduzioni del privato.
In totale distonia da questa impostazione ordinamentale, il legislatore inglese, già all' inizio del'900 si
occupò della disciplina delle garanzie partecipative nelle materie aventi un legame giuridico diretto
con l' espropriazione per pubblica utilità; basti pensare che un netto anticipo rispetto all' Italia, l'
Inghilterra aveva creato una connessione tra il procedimento espropriativo e l' uso del territorio,
promulgando, nel 1925, il " Town Panning Act ". L' Act fu in parte modificato con l' entrata in vigore
della prima, fondamentale legge Urbanistica inglese, ossia il " Town and Country Planning Act " del
1932, che regolò la formulazione e l' esecuzione dei Piani Regolatori nell' Inghilterra e nella Scozia, la
dottrina, non solo inglese, apprezzò molto l' "Act " che in Italia fu considerato il " tentativo forse
meglio riuscito ad oggi di accordare i diritti dei proprietari con gli interessi superiori della collettività
".6
All' interno dell' "Act " era previsto che ove risultasse impossibile l' acquisizione di diritto dei beni
necessari alla esecuzione di un Piano, la " Local authority " potesse sottoporre all' approvazione del "
Minister " competente la " compulsory purchase order ", perché ciò avvenisse l'Amministrazione
doveva fornire la prova che l' espropriazione avesse come scopo la realizzazione di strade o il
controllo dell' utilizzazione di aree attigue a vie pubbliche.
A garanzia del privato non vi era solo questo obbligo, da parte dell' Amministrazione, di assolvere in
modo congruo ed analitico all' ordine motivazionale atteso che l' esecutività dell' order era subordinata
al superamento della conferma Ministeriale del controllo di legittimità Parlamentare;tale "modus
vivendi" mostra come la natura pubblicistica di un procedimento espropriativo non fosse
necessariamente un ostacolo alla tutela effettiva delle garanzie ed al rispetto delle " par condicio " fra
le parti.
IV. La connessione inglese fra garanzie procedimentali e governo del territorio
Parallelamente a queste forme partecipative, l' ordinamento inglese rafforzò le garanzie del procedimen-
6V.TESTA, "La nuova legge urbanistica inglese" ,Milano, 1933
A.POLICE, " La tutela del privato nel diritto urbanistico inglese, le garanzie del procedimento in Riv. giur. urb., 4,III,661 ss.
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to urbanistico, vista l' evidente connessione fra " compulsory purchase" e governo del territorio
affermata del " Town and Country Planning Act ". Ebbene nel procedimento di formazione dei " local
plans " di competenza delle Autorità comunali, accanto alle regole tradizionale della partecipazione,
individuabili anche nel modello italiano,si ponevano fasi procedurali di assoluta peculiarità; in
particolare, accanto agli istituti partecipativi delle " objections and rappresentation ", sostanzialmente
equiparabili alle osservazioni al piano,si pose la fase dell' inchiesta pubblica locale.
Attraverso la " pubblic inquiry " l' Autorità l' Autorità locale verificava l' eventuale fondatezza delle
deduzioni formulate dal privato nell' ambito del procedimento di formazione del piano; in Italia, al
contrario, la connessione fra l' espropriazione e governo del territorio, affermava la legge urbanistica
del 1942, non fu accompagnata dalla previsione di adeguate garanzie partecipative, con la
conseguenza che il privato proprietario si trovò sguarnito di tutela proprio nella fase rilevantissima della
pianificazione.
Il potere di pianificazione attribuito all' Autorità amministrativa appare, infatti, si dalla sua genesi,
come espressione di potestà autoritativa non mitigata da idonei principi regolatori fissati in sede
normativa; a proposito fu affermato: " non si vuole negare che la zonizzazione del territorio rientri nel
quadro della determinazione autoritativa dei modi di godimento della proprietà privata che il Comma
2 dell' art. 42 così espressamente prevede. Se la Costituzione ha statuito però in proposito una
riserva di legge, il legislatore non può attribuire la materia all' Autorità amministrativa senza
indicazione di criteri e limiti. Altrimenti pur prestando ossequio al principio di legalità non farebbe
altrettanto per quello della riserva di legge "7.
Il legislatore inglese in sostanza, già a cavallo fra le due guerre mondiali, aveva avvertito l' esigenza di
un contradditorio paritario fra privato e pubblica amministrazione, aspetto che avrebbe caratterizzato il
dibattito della dottrina italiana solo molti anni più tardi;8 a tale scopo il legislatore inglese arrivò,
immaginando il controllo di un organo Ministeriale sull' attività dell' Ente benificiario dell' esproprio.
Se dunque entrambi gli ordinamenti, allineandosi all' esperienza statunitense, arrivarono ad accettare
la pubblicizzazione del procedimento espropriativo, diversa fu l' interpretazione del concetto di
autoritatività. Esso in Italia fu collegato esclusivamente al carattere coattivo dell' espropriazione ed
alla consequenziale irrilevanza del consenso del privato proprietario rispetto all' avvio di una
procedura di esproprio; nel modello inglese al contrario l' affermazione dell' autoritatività fu letta nell'
ottica delle ragioni del privato proprietario che imponevano la previsione di un contropotere che
bilanciasse il peso specifico delle situazioni giuridiche coinvolte.
7A.M.SANDULLI,"Profili costituzionali della proprietà privata " Cit.
8F.MERRUSI, " Diritti fondamentali e amministrazione " in Div. Amm. 2005, p.545
39
Nella prospettiva di un procedimento trilaterale, al potere dell' Amministrazione espropriante poteva
opporsi il potere di controllo esercitato dall' Autorità Ministeriale.
V. Il controllo procedimentale inglese come strumento di equità
L' Autorità Ministeriale era chiamata ad esercitare la primario funzione di controllo sull' autorità della
Autorità espropriante ma godeva di ampia discrezionalità nella valutazione della rilevanza, ai fini di
decidere, delle deduzioni formulate dal privato; sia il privato che l'Amministrazione beneficiaria dell'
esproprio vedevano in sostanza le sorti dei propri interessi strettamente legati alla scelta della "
Confirming Authority ".
Si tratta di un modello procedimentale che non ha mai trovato forme equivalenti negli ordinamenti
statunitense ed italiano. Il rafforzamento degli strumenti di controllo sulle scelte ablatorie dell'
Amministrazione è stato previsto dall' ordinamento inglese per garantire il rispetto del principio di "
fairness " che, immaginando una corrispondenza lessicale potrebbe equivalere , almeno in linea
teorica, al concetto italiano di equità; all' interno della " compulsory purchase " il principio di " fairness "
è stato funzionale all' assolvimento da parte dell' Amministrazione " dell' obbligo di ascoltare gli
interessati raccogliendo materiale probatorio rilevante non solo per la decisione amministrativa ma
anche per il successivo riesame giurisdizionale della sua legittimità ". 9
L'interpretazione che il legislatore inglese ha dato della " fairness " dell' azione amministrativa ha
privilegiato il profilo qualitativo contemperando il diritto di ascolto del privato con il principio della
ragionevolezza dei tempi della decisione; è stato così concepito un modello di controllo dell' azione
amministrativa interno all' amministrazione, alternativo al rimedio giurisdizionale attraverso il quale il
legislatore oltremanica non si è limitato ad una puntuale disciplina della partecipazione ma ha
introdotto il modello di ing Act ". Il secondo significativo profilo di differenziane fra il modello italiano e
quello inglese può cogliersi rispetto a quella garanzia procedimentale che potremo definire di
effettività della partecipazione. La garanzia dell' imparzialità che abbiamo evidenziato all' interno del
“compulsory purchase” è funzionalmente correlata alla garanzia dell' effettività dal momento che il
controllo esercitato dalla " Confirming Auhority " valuta, fra l' altro , quale sia stato il grado di
coinvolgimento del privato all' interno del procedimento; perché ciò avvenga l' ordinamento inglese
contempla a monte un sistema analitico di istituti partecipativi utilizzabili dal privato.
Fra il procedimento espropriativo di primo grado e la fase di controllo rimessa alla "Conforming
Authority " si è infatti inserito il primo,essenziale momento di garanzia partecipativa consistente nella
formulazione delle " objections ".
9 S.CASSESE, " La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche. Saggio di diritto comparato. In Riv. Trim. dir.Pubblico,n° 1
p.113 ss.
40
La Section 13 del Compulsory purchase Act a riguardo dispone delle tipologie che si dividono in tre "
categorie ":
Alla prima appartengono quelle riconosciute a quanti vantino un legame diretto con il bene
espropriando ossia " " owneers ", " lessees " ed " occupiers " ma anche i soggetti che vivono o lavorano
in prossimità dell' area interessata dall'intervento.
Le " objections " del secondo tipo provengono dai soggetti che pur non contestando in assoluto la
volontà dell' Amministrazione di realizzare l' intervento, propongono un sito alternativo che sia
ritenuto più adatto all' opera pubblica che si intenda realizzare.
Alla base delle diverse forme di " obiections " vi sono contestazioni di natura differente; nel primo
caso la partecipazione acquisisce una funzione strettamente oppositiva, nel secondo caso assurge a
strumento di collaborazione fra le parti, dal momento che il privato non agisce nel proprio esclusivo
interesse ma anche, di riflesso, nell' ottica dell' interesse della Amministrazione; da ciò dipende che il
primo tipo di " objection " è solitamente rivolto a censurare profili di eventualità illegittimità della
proceduta ablatoria, mentre il secondo tipo di " objection" investe dei profili di merito dell' azione
amministrativa.
Vi è infine un terzo gruppo di " objection " che sono dirette a contestare il progetto dell' opera più
che la procedura espropriativa in senso stretto; il soggetto proponente infatti non chiede
l'annullamento della " compulsory purchase " ma del progetto dell' intervento nella parte in cui
preveda parti dell'opera da realizzare all' interno della sua proprietà.
Anche in questa ipotesi l' istituto della " objection " ha come fine il raggiungimento di una scelta
condivisa fra il privato e pubblica amministrazione che possono concordare, in sede procedimentale,
una variante al progetto originario.
Quanto al profilo normale le " objections " possono assumere tre differenti vesti giuridiche: " written
representations " public local inquiry " o " private hearings ";
Le “ written representations " non sono ammesse nelle procedure soggette ad una speciale
autorizzazione Parlamentare, ossia quelle aventi ad oggetto una " common land ".
Tutti hanno diritto a formulare " objections " avverso un " compulsory purchase order " ma solo
coloro che vantino un interesse diretto ad essere giuridicamente qualificato hanno sempre diritto
ad essere ricevuti dall' Autorità Ministeriale per la procedura di " hearing ", qualora ne facciano
richiesta.
Quando invece il diritto alla partecipazione sia esercitato da soggetti privi di un legame diretto con il
bene espropriando, l' instaurazione della fase di " hearing " è demandata alla discrezionalità dell'
Autorità Ministeriale che solitamente delega la funzione ad un " inspector " ; quanto al procedimento ,
per le espropriazioni di Autorità non Ministeriali si applicano le regole del " Compulsory purchase by ”
non " Ministerial Acquiring Authorities Rules " del 1994.
41
Qualora l' area esproprianda sia di dimensioni tali da aumentare significativamente il numero degli "
owners " e degli " occupiers " si predilige la procedura di " inquiry " rispetto a quella di " hearing "; l'
“ inquiry " presenta una struttura complessa, distinta in tre fasi: " procedure before the inquiry ", " at
the inquiry ", “ after the inquiry ".
Nella prima fase il Minister notifica all " acquiring authority " ed agli objectors " la volontà di avviare
una " inquiry ", individuando eventualmente le parti ad un pre " inquiry meeting ".
L'" inquiry " deve concludersi entro due settimane dalla " notice " del Minister di avvio della procedura
o, in alternativa, entro otto settimane dal pre " inquiry meeting " se si considera tale atto quale
avvio del procedimento . Instaurato il contradditorio procedimentale la " rule " 15 prevede che " the
acquiring authority begins or during the inquiry. He may and if requested must, make a site
inspection at the close of the inquiry and the acquiring authority's representative and any statutory
objector are entitled to accompany him on that visit ".
L' ispezione dei luoghi oggetto dell' intervento è una facoltà dell' organo ministeriale che si traduce in
atto dovuto qualora vi sia una istanza di una delle parti in tal senso.
La fase di " inspection " segna in modo ancora più evidente la distanza tra " compulsory purchase "
dall' espropriazione per pubblica utilità,già il sub procedimento di “ inquiry " per la valenza che
conferisce alla fase istruttoria, è espressione di civiltà giuridica che no ha elementi di corrispondenza
nel modello italiano di espropriazione. L' inspector si inserisce proprio in questa tipologia di azione
amministrativa, che non pretende di trincerarsi dietro l' insindacabilità delle scelte che cerca di
raggiungere la legittimità della decisione senza trascurare i profili di merito; in questo mood l'
opportunità di realizzare un' opera pubblica non è frutto di una valutazione unilaterale della P.A.,
censurabile solo per vizi di manifesta di illogica come accadrebbe in Italia, ma scaturisce da un
contradditorio procedimentale paritario, governato, nella fase più importante, da una Autorità terza ed
imparziale.
Il procedimento che in Italia consumerebbe il suo momento partecipativo nella mera osservazioni delle
deduzioni scritte dal privato espropriando, contempla nel modello inglese l' audizione delle parti nonché
di soggetti estranei alla procedura e persino l' ispezione dei luoghi per verificare la compatibilità dell'
intervento con il territorio circostante e, in presenza dei presupposti, la previsione di una variante al
progetto originario. Alla fine della fase di " inquiry " la rule 17 prevede che l' inspector predisponga una
relazione scritta sulle risultanze dell' istruttoria ; ai fini della decisione dell' Autorità Ministeriale il
report dell' inspector costituisce un parere obbligatorio ma non vincolante, atteso che relazione desse
parere positivo. Da quanto esposto, emerge un ulteriore profilo partecipativo alla fase di " inquiry ":
prima di decidere l' Autorità Ministeriale rende noto il suo orientamento alle parti coinvolte nel
procedimento assegnando loro un tempo per presentare ulteriori eventuali " written representation ",
attraverso questa forma di coinvolgimento delle parti; l' Autorità Ministeriale decidente evita che il
procedimento finale possa essere viziato dalla erroneità dei presupposti.
42
Concluso quest'ultimo momento partecipativo, l' Autorità di secondo grado può decidere se confermare
o meno l' efficacia del “ compulsory purchase order "; l' apporto collaborativo del privato, in quanto
privo di effetti vincolanti sulle scelte finali dell' Amministrazione, non poteva non essere tutelato
dall'intervento di una Autorità estranea al procedimento.
VI. Il ruolo dell' Autorità Ministeriale
L' Autorità Ministeriale , nel procedimento ablatorio, acquisisce la denominazione di " confirming
authority "; in questa definizione si percepisce la rilevanza del ruolo che il legislatore attribuisce all'
Autorità Ministeriale atteso che la garanzia del privato si fonda proprio sulle modalità di esercizio
del potere di controllo, da parte dell' Autorità di secondo grado. Il controllo non si esaurisce nella
verifica formale del rispetto, da parte dell' Autorità espropriante, della scansione temporale delle
diverse fasi del procedimento.
Esso investe piuttosto il profilo sostanziale delle scelte di merito operate dall' Autorità
espropriante,verificando che queste non siano viziate erroneità dei presupposti ed illogicità; a tal fine
l' ordinamento inglese prevede l' attività di " inquiry ".
La " public inquiry " consente all' Autorità Ministeriale , anche attraverso la raccolta di documenti e di
testimonianze rese dai soggetti interessati,di ricostruire le tappe del procedimento espropriativo di
primo grado; se l'esito di questa analitica attività istruttoria emergano elementi di illegittimità che
compromettano le sorti del provvedimento di primo grado, la " compulsion purchase order " verrà
revocata dall' Autorità Ministeriale e perde tutti i suoi effetti.
In questo modo la struttura complessa del procedimento incide sulla minore rilevanza che l' "order "
assume rispetto ad un decreto di esproprio; se infatti il decreto di esproprio si manifesta nell'
ordinamento italiano, come espressione della volontà finale della P.A., censurabili solo in sede
giurisdizionale, il " compulsory purchase order " non è idonea produrre qualsivoglia effetto giuridico fino
a quanto non sia intervenuta la pronuncia confermativa resa dall' Autorità Ministeriale; questa
peculiarità procedimentale impone un' analisi sul ruolo assunto dalla " Confirming Authority ", sulle
modalità di esercizio del potere riconosciuto dalla legge, e soprattutto sulla natura del sindacato che
venga effettuato rispetto alla decisione della Amministrazione espropriante.
La sfera valutativa dell' Autorità Ministeriale è strettamente legata alla presenza o meno di un
apporto collaborativo da parte del privato.
La sez. 13 dell' Acquisition of Lands Act del 1981 dispone che, in assenza di " objector " , il Minister "
may if the thinks fit, confirm the order with or without modifications. However , if any objection has
been made, and a public local inquiry has been held objection has been held or an objector
otherwise heard , the minister after considering the objection and the report of the person who held
the inquiry may confirm the order either with or without modifications"
43
Il Minister è chiamato a ricostruire l'intero iter procedimentale sfociato nella emanazione dell' "
order " tenendo conto delle deduzione formulate dal privato; all' interno del procedimento l' esercizio
da parte del privato espropriando del diritto alla partecipazione , rafforza l' ampiezza del controllo dell'
Autorità Ministeriale consentendole di decidere sula base di una rappresentazione completa dei
fatti. In questo la partecipazione del privato assolve due funzioni: l' una connessa all' interesse
evidentemente privato di difendere le sorti del diritto di proprietà; l' altra ben più rilevante perché
utile al soddisfacimento dell' interesse pubblico , di fornire all' Amministrazione elementi di fatto e
di diritto che orientino verso la decisione più giusta ; il diritto alla partecipazione appare dunque
strumento di garanzia degli equilibri tra l' interesse pubblico ed interesse privato. L' ampiezza del
sindacato dell' Autorità di secondo grado non può non indurre il privato espropriando ad offrire tutto l'
apporto collaborativo possibile. Che si tratti di un sindacato esteso al merito delle scelte amministrative
è dimostrato soprattutto dal potere Ministeriale di confermare parzialmente l' order , con
l'introduzione di " modification " rilevano infatti la potestà dell' Autorità ministeriale di considerare le
categorie dell' opportunità e della ragionevolezza, attraverso modalità alternative di realizzazione della
procedura espropriativa originariamente immaginata dall' Amministrazione. Che l' Amministrazione
Ministeriale rivesta un ruolo essenziale nella dinamica procedimentale è un dato di fatto certo ed
indiscutibile, ciò che tuttavia non è stato ancora sufficientemente evidenziato e che la centralità di
questo ruolo è stata affermata vigorosamente della giurisprudenza inglese già a partire dal secondo
dopoguerra per ribaltare la prassi amministrativa che riduceva la " compulsory purchase "
ad un rapporto tra privato ed Autorità espropriante. La funzione di controllo che l' Autorità Ministeriale
esercita sulla trasparenza e la legalità dei procedimenti ablatori si esprime anche attraverso la
repressione di accordi illeciti fra l' Amministrazione espropriante e privato espropriato; si tratta
pertanto di un controllo di legittimità che non si esaurisce nella verifica formale del rispetto delle
sequenze procedimentali previste dalla legge, ma interviene per scongiurare possibili situazioni di
abuso di potere da parte dell' Ente beneficiario dell' esproprio.
VII. La limitata incidenza della partecipazione nel procedimento espropriativo
italiano
Il procedimento espropriativo italiano presenta spazi di potestà decisionale fin troppo ampia che
l'Amministrazione esercita senza dover tollerare il controllo delle scelte che la " compulsory purchase "
riconosce al privato espropriando; 10
10A.PORPORATO, " Il principio del giusto procedimento nell' espropriazione per pubblica utilità ", Dir. e proc. ammin. ss.
G.ROMANO, " Il giusto procedimento ...........
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Sarebbe errato infatti immaginare di equiparare le diverse discipline ordinamentali sul presupposto
della comune previsione di un diritto alla partecipazione. Il coinvolgimento in Italia, del privato in una
procedura ablatoria è limitato ed è privo di quella valenza collaborativa che caratterizza l' esperienza
inglese; occorre ora soffermasi sulle cause.
L' incidenza esercitata dalla Pianificazione sui procedimenti espropriativi ha influito significativamente
sulla quantità e sulla qualità della partecipazione; la connessione fra urbanistica ed espropriazione ha
fatto sì che quest'ultima non godesse di una rilevanza giuridica autonoma ma costruisse un momento
attuativo di scelte predeterminate in materia di governo del territorio, producendo inevitabilmente
riflessi sulla scelta dei momenti a partecipazione necessaria.
In virtù di tanto, il D.P.R. 327/2001 ha stabilito la partecipazione del privato espropriando nella fase
dell' opposizione del vincolo preordinato all' esproprio e della approvazione del progetto definitivo; tale
previsione normativa si pone nel solco di un consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa
secondo cui, pur dovendosi riconoscere la necessità della partecipazione nel procedimento
espropriativo, tale partecipazione avrebbe dovuto essere considerata irrilevante rispetto ad atti
vincolati, quali l' occupazione di urgenza ed il decreto definitivo di esproprio. Questa scelta
ordinamentale si presta a non poche perplessità in parte già evidenziate dalla dottrina.
La negazione della partecipazione nella fase eventuale dell' occupazione di urgenza o nel momento
conclusivo del decreto di esproprio, sul presupposto che si tratti di tappe procedimentali prive di
carattere discrezionale, rappresenta una dimensione riduttiva del problema, atteso che non sono state
rare le ipotesi in cui l' Amministrazione manifesti dei ritardi anomali nella conclusione dell' iter
procedimentali, magari confidando nel lasso quinquennale di tempo decorrente dalla dichiarazione di
pubblica utilità ai fini dell' emanazione del decreto di esproprio. Né può ritenersi che la vincolatività del
decreto di esproprio, in quanto momento attuativo di scelte presupposte, possa assurgere a principio
di carattere generale. Nell' ipotesi in cui decorra un notevole lasso di tempo fra l' intervento della
dichiarazione di pubblica utilità e l' emissione del decreto di esproprio, non può escludersi un
mutamento significativo dello stato di fatto rispetto a quello esistente all' inizio del procedimento.
In questo caso il privato, attraverso lo strumento della partecipazione, può orientare l' Amministrazione
verso scelte diverse, magari evidenziando che i presupposti del decreto di esproprio, esplicitati in scelte
pianificatorie risalenti , siano venuti meno; sul punto è stato condivisibilmente affermato che " la
presentazione di osservazioni , sia pure di merito potrebbe avere una qualche utilità facendo insorgere
una sorta di resipiscenza da parte dell' Amministrazione incaricata di esaminare il progetto
originariamente programmato e , se proprio necessario, di valutare l' opportunità di spostare l'
originaria localizzazione in area più idonea ".
Per ragioni diverse anche il carattere vincolato del decreto di occupazione di urgenza può venire meno,
legittimando le pretese partecipative vantate dal privato;la presunta corrispondenza fra occupazione di
urgenza e vincolatività del provvedimento può venire meno già solo considerando che un eventuale
rallentamento dei tempi procedimentali può compromettere la sussistenza dell' indefettibile requisito
d'urgenza qualificata: la limitata incidenza della partecipazione del privato nel procedimento
espropriativo discende evidentemente dalla sua collocazione nelle fasi della procedura ablatoria
45
anche se, come è stato giustamente evidenziato " queste ed altre forme di opposizioni se pacifiche e
non violente , sono, anzi devono essere consentite o se si vuole tollerare, in un ordinamento democratico".
Ciò che manca nel modello ordinamentale italiano ed incide, in modo significativo sul livello delle
garanzie, è una previsione normativa che riconosca reale rilevanza alle deduzioni del privato
proprietario nel processo decisionale del' Amministrazione; se infatti il tratto comune ai modelli giuridici
qui esaminati è la volontà di rafforzare le garanzie partecipative del procedimento, è altrettanto
indubbio che le soluzioni normative introdotte sono state diverse producendo effetti diversi.
L' Italia sul piano della sostanza ha introdotto i risultati meno confortanti, anteponendo alla
partecipazione, sul piano delle gerarchie dei valori ispiranti l' azione amministrativa, i principi della
semplificazione e della celerità: segni evidenti di questa tendenza ordinamentale emergono dalla
legislazione italiana degli ultimi anni che, pur modificando una parte dell'impianto originario della
disciplina regolante i tempi ed i modi dell' azione amministrativa, non è mai intervenuta nel tempo
sulle norme concernenti il diritto alla partecipazione del privato.
E' stato infatti introdotto il principio della ragionevolezza dei tempi, connesso alla dequotazione dei
visi formali, ma alcuna modifica è stata immaginata per tutelare la rilevanza della partecipazione.
VIII. Le garanzie procedimentali nel modello statunitense
Ragionando nella prospettiva della comparazione, le lacune ordinamentali italiane su fanno più
evidenti, soprattutto considerando il diverso livello di incidenza che al privato proprietario è
riconosciuto nella " taking property " e nella " compulsory purchase " ; Gli U.S.A. vincolano, sul
punto, la legittimità del procedimento di " taking property ",al rispetto di un principio di rango
costituzionale. La Costituzione infatti esclude, sia per il potere federale che per il potere statale, la
possibilità di limitare le facoltà di godimento del privato proprietario al di fuori del " due process of
law "; si tratta di un principio di valore di valore universale, comune a qualsiasi " Code of public
Local " che, nell' attribuire i poteri ablatori all' Autorità Statale, la vincola all' applicazione del " due
process of Law ". I " due process " nella “ taking property " è soprattutto espressione di una esigenza
di tutela del privato dal rischio di qualsiasi manifestazione di volontà illogica o arbitraria da parte
della P.A.; su questo aspetto, la giurisprudenza U.S.A., fin dall' inizio del XX secolo, ha precisato che
“to establish a violation of their right to substantive due process, the Dadds must prove that the county's
action is cleary arbitrary and unreasonable, having non substantial relation to the public healthy
safety, morales or general welfare “. Negli anni è stato ribadito che " a substantive due process claim
require proof that the interference with property rights was irrational and arbitrary ".Le riflessioni
qui richiamate suggeriscono delle riflessioni sull' ampiezza di tutela che al privato proprietario è
riconosciuta per mezzo del " due process "; la sfera di controllo che la " taking
46
property " attribuisce al privato rispetto all' azione ablatoria dell' Amministrazione si articola in tre
facoltà fondamentali così individuate " the essential of due process of law are notice, an opportunity
to be heard and the right to process in an orderly proceding ".
Pur mantenendo , nel modello U.S.A., una struttura procedimentale complessa che coinvolga, alla
stregua di quanto avviene nella " compulsory purchase ", una Autorità controllante di versa di quella
beneficiaria dell' esproprio, l' effettività della partecipazione non viene compromessa dal momento che
il " right to be heard " è uno strumento attraverso il quale il privato può sindacare molteplici aspetti
del procedimento di " taking property "; infatti la discrezionalità che la giurisprudenza americana ha
sempre riconosciuto all' Amministrazione rispetto alla quantità ed alla qualità della partecipazione
riconosciuta nel " due process of law ", non rischia di compromettere il coinvolgimento del privato
proprietario nel processo decisionale dell' Autorità espropriante. L' assenza già evidenziata, di un
controllo amministrativo endoprocedimentale, affidato ad una autorità terza ed imparziale, è
compensata in sede giurisdizionale dal controllo rigoroso tipico dell' " hard look " che rafforza i
poteri di verifica successiva, da parte dell' Autorità giudiziaria, sull' effettività della partecipazione con
la conseguenza che " la fase della partecipazione, nel rispetto della legge nel procedimento
amministrativo, è lasciata alla discrezionalità dell' Amministrazione espropriante possa tramutarsi in
arbitrio è scongiurata perché , come è stato osservato ". Negli U.S.A. il giudice ordinario riconosce il
proprio limite, lasciando discrezionalità all' Amministrazione, ma si riserva il potere, di " process review
" anche sulla fase del procedimento nella quale si realizza la partecipazione dei privati " . L'
impostazione ordinamentale statunitense ha così il pregio di coniugare in modo razionale il carattere
pubblicistico della " taking property " con i principi fondanti il " due process of law "; ciò comporta che l'
Amministrazione espropriante goda di maggiore potestà decisionale di quanto non accada nella
“compulsory purchase ", con il limite successivo di un sindacato giurisdizionale che controlla l' effettività
del coinvolgimento del privato.
Vi è infatti conferma della rigidità del sindacato di " hard look " nelle categorie considerate dalla
giurisprudenza americana ai fini del controllo sul' avvenuto rispetto della " due process clause ";
basti pensare che la legittimità del procedimento di " taking proprerty " è messa in dubbio non solo
nell' ipotesi in cui le scelte dell' Amministrazione si rivelino illogiche o arbitrarie, ma sopratutto
quando manchi una relazione tra l' azione amministrativa ablatoria ed i principi della " public healt "
e del " general welfare ". Il sindacato di " hard look " costituisca forse il tentativo più felice, fra le
soluzioni giuridiche adottate, di riequilibrio fra le esigenze di celerità dell' azione amministrativa ed il
principio della democraticità della partecipazione procedimentale.
Lo spostamento delle garanzie dall' ambito procedimentale a quello processuale ha giovato,nel
diritto U.S.A., tanto all' interesse pubblico quanto all' interesse privato alla conservazione del diritto
dominicale; nel passato infatti l'utilizzo nella " taking proprerty " ed in generale, nell' azione
amministrativa di un modello procedimentale quasi giurisdizionale si è rivelata una scelta poco felice
dal momento che le " formal hearing " che, all' interno del procedimento di " adjudication "
riproponevano le caratteristiche proprie delle " public inquires " inglesi, ossia la terzietà dell' organo
istruttore e l' interrogatorio delle parti coinvolte nel procedimento si sono spesse tristemente
segnalate come una causa di rallentamento dell' attività della P.A., fin troppo frenata dall' obbligo di
garantire
47
il diritto alla informazione, al contradditorio, all' adeguata motivazione. Nella prospettiva della
comparazione tuttavia occorre osservare che l' opzione per la tutela processuale ha reso pubblico solo
nel caso in cui l' ordinamento contempli un sindacato giurisdizionale di merito che compensi la
discrezionalità goduta dall' Amministrazione nel corso dell' iter procedurale ablatorio. Infatti la sede
processuale diventa in questo modo la sede ideale per compenetrare interesse pubblico ed interesse
privato che proprio nel sindacato di merito troverebbero le rispettive garanzie: l' interesse privato
sarebbe soddisfatto attraverso una verifica giudiziaria della necessità del sacrificio richiesto al
proprietario del bene; ed allo stesso modo l' interesse pubblico sarebbe assicurato da una eventuale
pronuncia di legittimità di un esproprio che risulti corrispondente, negli obiettivi, alle ragioni del "
public use ".11
Il modello italiano ignora un modello procedimentale di " public inquiry " che vada a sindacare nel
merito le scelte della P.A. né la natura del sindacato esercitata dal giudice amministrativo, così
esasperatamente ancorato al solo scrutinio di legittimità, offre sufficienti garanzie sull' effettività del
controllo dell' operato della P.A.
A questo punto non si può prescindere da una valutazione sulle possibili opzioni rimediali ad oggi
sconosciute all' ordinamento italiano; ragionando, infatti, nell' ottica della comparazione non può non
cogliersi la carenza degli strumenti di tutela previsti dall' ordinamento italiano sia nella sede del
procedimento espropriativo sia nella sede processuale. Il " common law " suggerisce due diverse
ipotesi di contaminazione giuridica, ambedue astrattamente idonee a risolvere i troppi limiti dell'
impianto normativo italiano dell' espropriazione; il modello U.S.A. propone un sindacato ampio sui
contenuti delle scelte amministrative, quello inglese riconosce al privato un coinvolgimento effettivo
nel processo decisionale seguito dall' Amministrazione espropriante in sede amministrativa. Si tratta
quindi di previsione normative sconosciute all' ordinamento italiano, ma ugualmente applicabili; pare
però opportuno in questa sede porre a confronto il modello italiano prima con la " compulsory
purchase ", apparendo più ardua l' ipotesi di un adattamento. Come già detto, nel modello inglese si è
sempre preferito il rimedio giurisdizionale, il ricorso al modulo procedimentale quale strumento di
ricomposizione dei conflitti tra privato e P.A.; ciò è giustificato da due ragioni . La prima è di
carattere storico.
Credendo da sempre poco all' idea di un Giudice della P.A., il giurista inglese ha preferito la
costruzione di un modello procedimentale quasi contenzioso, imperniato sul contradditorio.
IX. La carenza di garanzie nel modello italiano e le possibili soluzioni
La seconda ragione discende dalla importanza che assume nel modello inglese, la fase dell' istruttoria.
48
L' istruttoria infatti a provare realmente se il procedimento espropriativo in itinere sia, non solo
legittimo, ma, soprattutto, opportuno; ciononostante l' idea dell' inapplicabilità all' ordinamento italiano
delle garanzie procedimentali di tipo anglosassone, non è, ipotesi facilmente sostenibile. Induce a
formulare questa considerazione non tanto, o comunque, non solo, la predilezione italiana per la
definizione giudiziale delle controversie, tanto da prevedere un sistema autonomo di giustizia
amministrativa; ciò che detta scetticismo è il rischio che le lungaggini procedimentali italiane, risultino
ulteriormente aggravate dalla creazione di un modello procedimentale di tipo quasi contenzioso, con
un danno evidente al principio irrinunciabile della ragionevolezza dei tempi della decisione. Del resto è
lo stesso ordinamento inglese a ritenere che le garanzie procedimentali non debbano compromettere
le ragionevolezza dei tempi della decisione, sfociando nella " over-judicialization "; il modello
espropriativo inglese, in sostanza, crede maggiormente al controllo amministrativo rispetto al controllo
giurisdizionale sulle scelte ablatorie dell' Autorità beneficiaria; al sistema procedimentale di secondo
grado, previsto dal " compulsory purchase act " si riflette sul piano processuale, l' istituto della "
Judicial review " che certo non può considerarsi un giudizio di merito. Viene da pensare, in
conclusione, che la soluzione più fedele alla tendenza ordinamentale italiana, potrebbe essere quella
di concentrarsi sul processo amministrativo, aprendolo in modo deciso al sindacato di merito. Il
rafforzamento del sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, del resto, produrrebbe dei
benefici indiretti ma rilevantissimi alla sfera delle garanzie partecipative, in particolare a quelle che
risentano in modo più significativo dei limiti di uno scrutinio di legittimità; a questo però la
connessione fra il governo del territorio e procedimento espropriativo impone di analizzare il
problema delle garanzie procedimentali italiane in materia urbanistica che rivela le incongruenze della
giustizia amministrativa italiana e dei suoi indirizzi.
X. Le garanzie procedimentali in materia urbanistica: i limiti ordinamentali
italiani
Ad oggi nell' ordinamento italiano il diritto di proprietà risulta compreso fra la natura di atti ammistra-
tivi generali attribuita agli “ Strumenti di pianificazione “ ed il carattere meramente esecutivo che si
attribuisce al decreto di esproprio;12
11 S.D'ACUNTO-A.D'ANGELO, " L' espropriazione per pubblica utilità nell' assetto normativo nazionale: una valutazione sul piano
dell' efficienza " in G.CLEMENTE DI SAN LUCA , "La tutela delle situazioni soggettive nel diritto italiano, europeo e
comparato ", Editoriale Scientifica
12M.D'ALBERTO," Lezioni di diritto amministrativo ", Torino, 2012
P.STELLA RICHTER, " Profili funzionali dell' urbanistica ",Milano, 1984
G,Correale, " Urbanistica, iniziativa economica, proprietà privata e poteri dell'A."Padova,2012 P.MARZANO GAMBA, "
Pianificazione urbanistica ed immobili esistenti:garanzie della proprietà e scelta della P.A.", Padova, 2002
49
La tesi ad oggi prevalente in giurisprudenza si fonda sul presupposto che il decreto definitivo di
esproprio costituisca il momento procedimentale meramente attuativo di scelte urbanistiche
predeterminate; ma un simile orientamento potrebbe essere condiviso solo nell'ipotesi in cui la
mancata partecipazione nella fase dell' emanazione del decreto di esproprio fosse compensata dalla
presenza di adeguati strumenti di partecipazione nella fase della pianificazione. Tale esigenza di tutela
si avverte già solo considerando che la lesione del diritto dominicale affonda le sue radici nelle scelte
della pianificazione urbanistica e quindi la necessità di un riequilibrio delle posizioni procedimentali si
avverte ancora pi più considerando che i legami tra urbanistica ed espropriazione sono così stretti
che la scelta legislativa che avesse deciso di separarli affidandoli a giudici diversi sarebbe stata
palesemente irrazionale:contraria sia alle esigenze di concentrazione e coordinamento di
controversie tra loro collegate, sia al' esigenza primaria che sta alla base della creazione di forme di
giurisdizione esclusiva, volta ad impedire le difficoltà e le conseguenze che il cittadino potrebbero
derivare da criteri insicuri di riparto della giurisdizione nei settori speciali.
Su questi presupposti l' espropriazione per pubblica utilità è di fatto divenuta espressione della
materia urbanistica tale da ricomprendere non soltanto gli aspetti normativi della disciplina dell' uso
del territorio, e cioè relativi all' esercizio delle potestà di pianificazione territoriale ma anche tutti gli
aspetti ulteriori dell' uso del territorio, ivi compreso quello gestionale concernente l' attuazione concreta
della pianificazione inerente la realizzazione delle scelte urbanistiche.
Tanto premesso, non può non conservarsi la debolezza delle garanzie procedimentali che l' ordinamento
italiano offre in materia di pianificazione urbanistica; ciò può apprezzarsi già solo considerando l'
esonero riconosciuto all' Amministrazione dall' assolvimento dall' onere motivazionale nell' adozione di
atti di programmazione. Su questa scia la Giurisprudenza italiana ha sempre riconosciuto grande
discrezionalità all' Amministrazione, facendo leva sull' assenza di un obbligo di motivazione per gli atti
amministrativi ad efficacia generale;la conseguenza è stata la carenza di garanzie, con la complicità
della giurisprudenza amministrativa, si è espressa sia rispetto al principio della partecipazione in
senso stretto, sia rispetto alla necessità del controllo sulle scelte amministrative.
L'idea da sempre dominante è che le osservazioni dei privati in ordine ai progetti di strumenti
urbanistici costituiscano un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non diano
luogo a peculiari aspettative con la conseguenza che il loro rigetto non richieda una specifica
motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli
interessi e le considerazioni generali poste alla base della formazione del piano. 13
13Giurisprudenza ormai costante,V. di recente ons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2011, n° 6049; in "Lexitalia .it, 12, 2011
Cons.Stato Sez. IV 9 dicembre 2010,n° 8682,nello stesso Cons. Stato Sez.IV, 13 ottobre 2010,n° 7492
50
Il deficit partecipativo produce inevitabilmente riflessi condizionanti l' ampiezza del controllo,con la
conseguenza che le scelte fatte dall' Amministrazione nell' adozione degli strumenti urbanistici
costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano
inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità sicché anche la destinazione data alle singole aree non
necessita di apposita motivazione.
Ben diversa è la prospettiva ordinamentale inglese , da sempre sensibile al principio delle garanzie in
materia di pianificazione urbanistica.
XI. La connessione inglese fra " compulsory purchase " e la " planning law "
Fino alla fine degli anni Sessanta infatti la procedura di formazione degli " structure plans "
contemplava il coinvolgimento del privato secondo il modello delle " public inquiries " , poi sostituito
negli anni settanta, dal modello della " examination in public "; il passaggio dalla " public inquiry " alla
" examination in public " non ha però minimamente scalfito l' impianto di democrazia partecipativa
che tanto avvicina il provvedimento di adozione dei " development plans " al procedimento di "
compulsory purchase ".Plurimi infatti sono i profili di analogia delle due procedure che condividono l'
essere espressione di una " judicial functon "; alla base di una simile procedimentalizzazione
complessa caratterizzata dal controllo di una Autorità ministeriale vi è quella impostazione
ordinamentale cui si è fatto già cenno ossia l' estraneità ad un sistema di giustizia amministrativa
che " ha indotto ad innestare degli interessi degli amministrati sul procedimento amministrativo ".
Il ruolo di garanzia che il " Secretary of State " svolge all'interno del procedimento assicura sia la
trasparenza dell' operato dell' Amministrazione sia l' effettività del coinvolgimento del privato nella
fase delle scelte; condizione imprescindibile perché vi sia l' approvazione del Piano da parte dell'
Autorità stessa è la verifica sull' avvenuto rispetto delle garanzie partecipative nella fase di "
examination in public ".
Le più incisive forme di controllo esercitate dal " Secretary of State " hanno ad oggetto la pubblicità
del procedimento e la considerazione delle proposte formulate dai privati; la pubblicità degli atti
costituisce requisito di legittimità evidentemente funzionale all' intervento, nel procedimento, di
soggetti residenti nell' area interessata dal piano. La rilevanza della trasparenza del procedimento
è tale che il " Secretary of State " può, riscontrata l'eventuale carenza della pubblicità degli atti,
negare l' approvazione, rimettendo lo strumento urbanistico nella mani dell' Amministrazione perché
provveda a darne adeguata pubblicità. L' incisività del controllo ripropone quella valenza equilibratrice
fra l' interesse pubblico e quello privato. La verifica sulla trasparenza degli atti del procedimento non
deve essere letta nella sola ottica, comunque necessaria, della tutela dell' interesse giuridicamente
51
qualificato vantato dal privato che pretenda la pubblicità di atti che comportino una
trasformazione del territorio. Il controllo del " Secretary of State " infatti risponde in primo luogo ad
esigenze di interesse pubblico; è il caso di ritenere infatti che la notazione procedimentale disposta
dall' organo di controllo nell' ipotesi di carenze pubblicitarie, abbia il pregio di non esporre l'
Amministrazione ad una condanna giurisdizionale, consentendo ad una sanatoria immediata del "
vulnus " procedimentale. Qualora invece la trasparenza dell' attività amministrativa sia stata garantita,
L'Autorità amministrativa sposta la sua sfera di controllo sulla effettività della partecipazione nel corso
della " examination in public " , assicurando anche in questa fase la natura rigorosa del suo controllo.
In questo caso oggetto di esame del " Secretary of State " sono le " objections " formulate dai privati
intervenuti nel procedimento; si ripropone in sostanza quell' aspetto peculiare tipico del procedimento
inglese fondato sul controllo, in sede amministrativa, della partecipazione. Del tutto condivisibile a
riguardo è l'idea di riconoscere un diritto di partecipazione che sia proporzionale al peso specifico
della situazione giuridica fatta valere nel procedimento; benché infatti le " objections " possano essere
formulate anche da terzi intervenienti, estranei al novero dei soggetti lesi dalle nuove previsioni di
piano, l' ordinamento, per ovvie ragioni di celerità del procedimento, riconosce all 'Autorità Ministeriale
la facoltà di ammettere o escludere l' intervento del terzo. I differanti gradi di partecipazione connessi
all' entità del pregiudizio sofferto costituiscono la prova di come un modello procedimentale basato
sullo " judicial system " possa coniugare la pienezza del contradditorio con il principio della
ragionevolezza dei tempi della decisione è elemento che concorre a determinare l' equilibrio dei
rapporti fra i contrapposti interessi. L' interesse pubblico infatti non può esaurirsi nella pur
imprescindibile sussistenza della pubblica utilità dell' opera dovendo necessariamente ricomprendere
la celerità della realizzazione della stessa; tuttavia l' interesse privato infatti che nella partecipazione
trova il suo più significato baluardo, rischia di ledere in modo ingiustificato le ragioni del pubblico
interesse nel momento in cui assume un carattere meramente oppositivo finalizzato a paralizzare un'
azione amministrativa ablatoria che meriti di essere portata a compimento in tempi rapidi; la
previsione di diversi livelli di partecipazione scongiura proprio l' ipotesi che la partecipazione stessa
del privato si risolva in uno sterile e strumentale ostruzionismo. Da quanto sin qui esposto emerge
che l'ordinamento inglese abbia voluto caratterizzare la " compulsory purchase ", fin dalla sua genesi,
per la democrazia partecipativa ed il controllo rigoroso sulle scelte amministrative.
Per ragioni diverse l' esperienza U.S.A. e quella italiana sono state segnate, nel primo '900, più dal
ruolo dell' interesse pubblico che dalla definizione delle garanzie partecipative; ora se è vero che la
centralità dell' interesse pubblico non può essere negata all'interno del procedimento espropriativo, è
altrettanto indubbio che la sua affermazione non dovrebbe prescindere da una relazione con le
garanzie partecipative; il procedimento infatti dovrebbe essere la sede giuridica più adatta per
dimostrare al privato la sussistenza dell' interesse pubblico e la consequenziale necessità del sacrificio
del suo diritto di proprietà. La garanzia dell' interesse pubblico, disancorata dal procedimento, è stata
messa in relazione nella storia U.S.A. con il momento processuale, evidenziando un percorso non
sempre uniforme, spesso anzi sospeso tra gli indirizzi giurisdizionali più propensi allo scrutinio di
merito e quelli favorevoli al concetto di insindacabilità; nel modello italiano invece la tendenza all'
insindacabilità si è manifestata in modo molto più rapido se si considera che la giurisprudenza più
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garantista sulla necessità di provare l'interesse pubblico si ferma, come vedremo, alla prima metà del
'900.
XII. Le garanzie dell' interesse pubblico: il sindacato di merito sulla sussistenza del
" public use "
Nell' immediato dopoguerra il legislatore americano non si è posto il problema della necessità o meno
di una autorità terza ed imparziale, occupandosi piuttosto di stabilire quanto grande dovesse essere il
potere ablatorio da attribuire alla P.A. e soprattutto di immaginare l' ampliamento dei possibili
beneficiari di una procedura espropriativa.
Se infatti fosse dimostrata la sussistenza del requisito del " public use ", censure del privato dirette a
contestare una presunta imparzialità dell' autorità espropriante si sarebbero rivelate inconsistenti;
occorreva pertanto stabilire fino a che punto potesse legittimamente spingersi l'Amministrazione nel
decidersi se una determinata opera potesse considerarsi compatibile del requisito del " public use ".
Su questo aspetto si è già evidenziato di come il procedimento di " taking property " sia sorto negli
U.S.A. con l' immediato riconoscimento della sua natura pubblicistica; il problema che il nuovo secolo
poneva al giurista americano era, ancora una volta, la definizione dei confini giuridici del " public
use”, con la differenza, però, che l' angolo visuale dal quale affrontare la questione era quello della
sindacabilità o meno delle scelte operate dal pubblico potere per rispettare l' interesse pubblico.
La giurisprudenza del tempo, nell' affermare " it is well established that the question what is a public
use is a judicial one ", dimostrava di non volersi trincerare dietro lo schermo dell' insindacabilità; il
concetto di insindacabilità infatti era messo da parte perché rappresentava un ostacolo rispetto alla
tutela, in sede giurisdizionale, di principi costituzionali irrinunciabili. Questo potere di sindacato sull'
effettiva presenza del pubblico interesse era ritenuto funzionale alla tutela spessa dei principi
emanati nel V emendamento e recepiti, per effetto del XIV emendamento, dalle singole Costituzioni
statali. Si precisò infatti che " the question remains a judicial issue which this Court must decide in
performing the its duty of enforcing the provision of the federal Constitution ".
Dei signori di Cincinnati, Ohio, erano proprietari di terreni nella città e l' Amministrazione comunale, a
ciò delegata dall' Autorità statale, avevano avviato un procedimento di " injunction procedings " nei
confronti della proprietà dei ricorrenti. Questi contestarono la illegittimità del procedimento,
lamentando la violazione dello statuto del' Ohio e del XVI emendamento della Costituzione federale; a
detta degli attori il procedimento di " taking " intrapreso dall'Amministrazione di Cincinnati non
avrebbe soddisfatto il fine del perseguimento del pubblico interesse. L' opera , secondo la prospettiva
attorea, aveva ben poco da condividere con il " public use ".
L' Amministrazione di Cincinnati giustificò la sua scelta affermando che il fine dell' esproprio fosse l'
ampliamento della " Fifth street ", una delle strade principali della città, approvato con una delibera
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del Consiglio comunale mai contestata dai privati espropriandi; il problema centrale della controversia
era stabilire se il procedimento in questione configurasse o meno una ipotesi di " excess
condemnation ". I privati espropriandi lamentarono che l' Amministrazione avesse intenzione di
acquisire una porzione di area ben superiore a quella occorrente per i lavori di ampliamento della
" Fifth street " e che pertanto non fosse il " public use " il presupposto effettivo dell' azione
amministrativa oggetto del giudizio. Il sindacato giurisdizionale, di fronte a censure di tal genere,
superava i confini di un ordinario vaglio di legittimità, investendo questioni di merito; la delibera con
la quale l'Amministrazione di Cincinnati aveva disposto l' acquisizione di aree ulteriori rispetto a quelle
necessarie per i lavori di ampliamento , era l' oggetto fondamentale della controversia; secondo i
soggetti espropriandi tali aree sarebbero state destinate dall' Amministrazione ad ospitare iniziative
economiche private. Del resto l' acquisizione di tali aree non era stata congruamente motivata. La
Corte accolse la tesi dei privati espropriandi, ritenendo che in assenza di una specifica motivazione in
punto di pubblico interesse, la legittimità delle principali " appropriations ", non potesse autonomamente
estendersi “ all' excess appropriation ", anche alla luce delle inequivocabili prescrizioni contenute
nella " Constitution dell' Ohio ".
La Corte concluse il suo percorso argomentativo sostenendo la tesi degli espropriandi.
XIII. L' inversione di rotta verso l' insindacabilità
L' indirizzo giurisprudenziale richiamato che imponeva di motivare puntualmente le ragioni di
pubblico interesse poste a base di una procedura espropriativa, non può non meritare condivisione;
come già evidenziato in precedenza, l' estensione dei confini del " public use " richiedeva,
inevitabilmente, il riequilibrio delle posizioni procedimentali attraverso il riconoscimento al privato di
garanzie formali e sostanziali.
Tale indirizzo giurisprudenziale non ha tuttavia avuto lunga vita. Anche negli U.S.A., molto presto,
hanno ceduto alla tentazione dell' insindacabilità, spostando quello che per lungo tempo aveva
rappresentato un orientamento decisamente minoritario; in realtà negli U.S.A. il XX secolo si aprì già
con delle scosse significative alla teoria dello " use by the public ".Il primo rilevante elemento di
novità fu rappresentato dalla lenta una inesorabile trasformazione della natura del sindacato
giurisdizionale; iniziò ad affermarsi il concetto di discrezionalità dell' azione amministrativa,
considerata libera di esprimersi pur nel rispetto di comuni canoni di ragionevolezza.
Con questa inversione di rotta la Giurisprudenza americana aveva intrapreso una strada che non
avrebbe più abbandonato poiché sulla via dell' insindacabilità delle scelte del pubblico potere
nacque un filone giurisprudenziale che arrivava a mettere in discussione il senso pubblico stesso del
concetto di " public use "; l' inversione di rotta avviata dalla Giurisprudenza ridimensionava la
centralità assunta nel XIX secolo dal requisito oggettivo del " public use " in senso stretto ma non
rinunciava alla tutela delle garanzie da riconoscere al privato proprietario. Piuttosto si era deciso di
54
spostare l' esigenza di tutela delle garanzie sul profilo economico della corresponsione della " just
compensation " ; l' idea nuova che gradualmente si sarebbe diffusa nella Giurisprudenza americana
era che anche una iniziativa imprenditoriale di natura privata potesse indirettamente creare un
profilo per la collettività, così soddisfacendo l' elemento del " public use "; su questo presupposto il
diritto di proprietà, alla luce del " due process of law ", doveva essere rispettato attraverso una
effettiva compensazione del pregiudizio patito dal privato espropriando.
L' estensione dei confini giuridici dell' espropriazione poteva in sostanza essere considerata legittima,
a patto che l'indennità da liquidare fosse rapportata alla perdita del proprietario e non al profitto
goduto dall' espropriante.
La rilevanza del diritto di proprietà non fu messa in discussione, furono piuttosto i principi correlati al
diritto dominicale a subire un significativo mutamento nella considerazione della Giurisprudenza; la
sacralità del diritto di proprietà non si fondava più su di un concetto di quasi - inviolabilità, ma sulla
legittimità pretesa di un indennizzo che corrispondesse dal punto di vista quantitativo, al danno
patito dal privato espropriando. Fu questo il primo passo verso la costruzione di una nuova
prospettiva del diritto, aperta ai profili economici.
L' " economic development " iniziò, da questo momento storico, a contendere il primato fino ad
allora vantato dal " public use " nel procedimento di " taking property ", su questa scia, all' inizio
degli anni cinquanta la Giurisprudenza affermò per la prima volta che anche una procedura
espropriativa a favore di un privato potesse essere giustificata da ragioni di " public use ". Il " District
of Columbia " aveva deciso di esercitare il suo potere di " eminent domain " per favorire una
compagnia privata. Il fatto che a beneficiare dell' esproprio fosse un soggetto privato suonava come
una grave ed inaccettabile violazione del dettato costituzionale, eppure la Corte decidente ritenne
l’operato dell' Amministrazione conforme ai parametri costituzionali.
Alla base di una simile decisione vi era una interpretazione decisamente estensiva del " public use " che
iniziava ad essere considerato un fine perseguibile attraverso svariate forme di intervento;fra
queste fu, per la prima volta ammissibile anche l' intervento del privato, nell' ipotesi in cui si fosse
rivelato strumento in grado di rivitalizzare un ' area depressa.
Nel percorso argomentativo della Corte la centralità era assunta dalla funzione del " redevelopment
plan " nel quale andavano ricercate le ragioni di " public interest "; se l' interesse egoistico di un
privato avesse paralizzato l' attuazione dl piano di sviluppo, l' interesse pubblico alla rinascita dell'
area depressa sarebbe stato mortificato.
Il caso Barman scatenò una reazione immediata nella Giurisprudenza di molti Stati dell' Unione che
riaffermarono la sacralità dell'inviolabilità dell' interesse pubblico in senso stretto e per molto tempo
la Giurisprudenza U.S.A. non avrebbe messo in discussione l' interpretazione tradizionale della
“taking clause ". Tuttavia gli elementi di assoluta novità introdotti dal caso Barman rappresentarono un
significativo punto di partenza per un dibattito dottrinale: la funzione garantista assolta dal " public
55
use " previsto dalla Costituzione Americana rischiava di essere fortemente ridimensionata dal concetto
di " economic development " ormai in via di espansione. Ma questo processo di espansione del
procedimento espropriativo mal si sarebbe conciliato con la volontà espressa dai Padri costituenti che
avevano creduto fermamente nella supremazia del diritto di proprietà-
XIV. Il sindacato giurisdizionale italiano sull' interesse pubblico del primo
novecento
Nello stesso periodo storico il modello ordinamentale italiano non mostrò particolare sensibilità verso
il problema della natura del soggetto beneficiario dell' espropriazione. Basti pensare che già l' art. 2
della Legge fondamentale del 1865 prevedeva che " possono essere dichiarate di pubblica utilità non
solo le opere che si debbono eseguire per conto dello Stato, delle Province o dei Comuni, nell'
interesse pubblico, ma anche che allo stesso scopo intraprendono corpi morali, società private o
particolari individui 14.
Nell' ottica del legislatore italiano del tempo era lo scopo dell' azione amministrativa l' elemento di
congiungimento fra le diverse fattispecie espropriative. Non contava chi fosse il beneficiario, contava
piuttosto che la procedura ablatoria fosse posta in essere per il perseguimento di un interesse
pubblico;il problema si spostava dunque sula necessità di chiarire se vi potesse essere effettiva
corrispondenza fra l' interesse pubblico e la natura privata di un intervento e questa delicatissima
verifica, per talune categorie di opere era rimessa alla volontà del legislatore.
Si pensi alla Legge sugli alberghi (R.D.L. 21 ottobre 1937, n° 2180 conv. in Legge il 7 aprile 1938, n°
475 ), in materia di campi sportivi (RDL 2 febbraio 1939 n° 302 conv. il Legge 2 giugno 1939, n° 739)
o delle acque pubbliche ed impianti elettrici (TU 11 dicembre 1933, n° 1775 ).
Come accaduto del resto anche in Inghilterra il processo di procedimentalizzazione dell'
espropriazione legato all' affermazione dell' autoritatività dell' atto amministrativo ha ridotto sempre
più nel tempo le ipotesi di dichiarazione espressa, della pubblica utilità da parte del Legislatore:Ciò
che qui’ interessa maggiormente è l' esame dell' ipotesi già contemplata dalla legge fondamentale del
1865 in cui " a prescindere dagli accennati casi di dichiarazione legislativa della pubblica utilità di
opere promosse da privati, anche l' utilità pubblica indiretta e consequenziale di opere da eseguirsi
nell' interesse privato può essere legittima causa di dichiarazione di pubblica utilità; ma è riservato al
prudente criterio dell' Amministrazione valutare il grado di interesse pubblico necessario allo scopo
".15
14 L.MAROTTA, " I nuovi profili dell' espropriazione per pubblica utilità" Padova, 1985
S.PUGLIATTI, " Teoria dei trasferimenti coattivi ", Messina, 1931
R.LUCIFREDI, " Le prestazioni obbligatorie in natura dei privati alla P.A., II,Le prestazioni di cose, " Padova, 1935
56
La potestà decisionale era dunque rimessa alla discrezionalità valutativa della P.A .Ma quali e quanti
erano i parametri cui la P.A. doveva ispirarsi per considerare legittimo l'esproprio a favore dei privati
? Volendo rispondere utilizzando le categorie giuridiche ed economiche contemporanee, ivi comprese
quelle proposte dei sistemi del " common law ", verrebbe da dire che “ l' economic development "
fosse l' elemento di raccordo fra l' interesse pubblico e quello privato;la giurisprudenza del tempo ci
aiuta a capire che una simile interpretazione fosse ben lungi dall' essere presa in considerazione,
giacché pur riconoscendo in astratto la compatibilità fra l'interesse pubblico ed interesse privato
beneficiario, la giustizia amministrativa rifiutava una loro automatica giustificazione. L' esigenza di
una distinzione concettuale tra le due categorie giuridiche rese inevitabile lo sviluppo di un sindacato
di merito da parte del giudice amministrativo; l' autorità giurisdizionale infatti valutava caso per caso
se un' opera immaginata per soddisfare un interesse privato, potesse al contempo contenere profili
di pubblico interesse. Si riteneva a riguardo che " è certo che anche attività ideate e svolte da
soggetti privati possono tendere ad un fine della collettività e favorire il bene pubblico attraverso l'
interesse dei soggetti medesimi, ma, come si è già detto, nelle espropriazioni in favore di singoli utile
privato ed utile pubblico debbono concorrere in misura almeno equivalente. Così, ad esempio,
sebbene sia d' alto interesse pubblico evitare la disoccupazione operaia, ciò non basta a trasformare
in opera d' utilità pubblica quella di carattere e di interesse privato che assorbe un notevole
contingente di lavoro manuale ". La giustificazione dell' espropriazione a favore di privati resa dalla
Giurisprudenza richiamata presenta argomentazioni ben più condivisibili rispetto a quelle formulate
dalla Giurisprudenza contemporanea, che ha immaginato, tanto in Italia quanto negli U.S.A. una
equivalenza funzionale pressoché automatica tra interesse pubblico e sviluppo economico; il bene
della collettività infatti merita un accertamento più attento ed approfondito di quello necessario per
valutare la sussistenza di un " economic development ". Esso impone un' effettiva considerazione della
realtà del territorio interessata dall' intervento e delle esigenze della popolazione, avendo come
irrinunciabile punto di riferimento l' equivalenza fra interesse pubblico ed interesse privato; ciò
15G.LANDI- A.QUARANTA, " Rassegna di giurisprudenza sulla espropriazione per pubblica utilità",Milano,1973
G.LANDI, " L'espropriazione per pubblica utilità ",Milano, 1984
U.ARDIZZONE,"Dichiarazione di pubblica utilità", in Enc.Dir.,XII,Milano
F.BARTOLOMEI, "L' Espropriazione del diritto pubblico",Milano,1965
G.VERBARI,"La dichiarazione di pubblico interesse ",Milano,1974;Citr.Cons.Stato, IV Sez.,26 Novembre 1940, n°170 in Riv. Dir.
Punbbl., 1941,II
57
significa che un diritto di proprietà non possa automaticamente considerarsi meritevole di una tutela
inferiore a quella riconosciuta ad una iniziativa economica privata, per il solo fatto di corrispondere
ad una situazione giuridica di tipo statico. L' analisi storica delle garanzie italiane in materia
espropriativa non può, a questo punto, prescindere dalla valutazione dei principi costituzionali e dei
consequenziali riflessi prodotti nell' evoluzione dell' istituto. Se è vero che il '900 apre le porte al
superamento della pubblicizzazione in senso stretto del procedimento espropriativo è altrettanto vero
che tale fenomeno si consuma sulla base di linee guida poste a tutela del diritto di proprietà; in
Italia la Costituzione Repubblicana del 1948 pur attribuendo un riconoscimento espresso all'
espropriazione per pubblica utilità, non trascurò di evidenziare che la violazione del diritto dominicale
non potesse realizzarsi al di fuori di imprescindibili garanzie. Il Comma 3 dell' art. 42 della
Costituzione contiene la norma che conferisce il riconoscimento giuridico all' acquisizione, in nome
del pubblico interesse, della proprietà privata, affermando che la stessa possa essere " nei casi
preveduti dalla legge e salvo indennizzo, espropriata per interesse generale"; si tratta di una norma
apparentemente coerente con i principi espropriativi enucleati dall' art. 834 del c.c. secondo cui "
nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di una proprietà se non per causa di
pubblico interesse, legalmente dichiarata e contro il pagamento di una giusta indennità "; ed invece,
nella norma costituzionale può cogliersi una locuzione verbale quale " interesse generale " che
manca nella previsione codicistica nella quale si fa espresso e specifico riferimento al carattere
pubblico dell' interesse :la novità lessicale è il segno di un punto di svolta che chiude la parentesi
conservatrice dell' espropriazione per pubblica utilità fondata sul concetto della vendita obbligatoria
dell' epoca liberale.
La nostra carta costituzionale ha, del resto, rifiutato l' idea della inviolabilità connessa al diritto di
proprietà così come delineata nello Statuto Albertino del 1848; l' aver previsto come requisito l'
interesse generale piuttosto che l' interesse pubblico ha significato la rinuncia all' idea che solo l'
interesse pubblico in senso stretto potesse giustificare il sacrificio della proprietà privata. Ciò tuttavia
non ha impedito allo stesso legislatore costituente di tutelare il diritto di proprietà attraverso le
categorie del riconoscimento e della garanzia; si tratta di difendere quello che nella prospettiva
civilistica è pur sempre lo " ius excludendi omnes alios ".
Scegliendo questo punto di partenza, non si vuole affatto riaffermare la concezione del diritto
dominicale, elaborata dalla ideologia liberal - conservatrice, fondata sulla equazione " proprietà –
libertà”; si tratta di una impostazione come affermato dalla più autorevole dottrina, profondamente
antidemocratica e storicamente superata dai mutamenti sociali che hanno caratterizzato le esperienze
costituzionali di gran parte degli Stati dell' Europa contemporanea.
In quest' ottica il merito dell' art. 42 della Costituzione italiana è stato quello di riequilibrare interesse
pubblico e diritto di proprietà senza mortificare le aspettative delle parti coinvolte nel procedimento,
l'ordinamento italiano ha in sostanza autorizzato l' ampliamento delle ipotesi espropriative,ammettendo
anche quelle non contraddistinte dall' interesse pubblico in senso stretto a patto che fosse
assicurato il riconoscimento del diritto di proprietà nella prospettiva consequenziale di introdurre più
incisive forme di tutela di tale diritto.
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Il taglio con il passato è consentito soprattutto nel superamento del carattere prevalentemente
patrimoniale delle garanzie che l' impianto normativo italiano ha riconosciuto in epoca liberale al
privato espropriando.
Il legislatore costituente ha infatti sostituito al termine " indennità " dal Codice civile e
corrispondente all' effettivo valore reale del bene il termine " indennizzo " configurante il massimo di
ristoro e di riparazione che la P.A. potesse garantire all' interesse privato; ciò tuttavia non deve essere
letto quale esplicita rinuncia alle garanzie del diritto dominicale.16
La garanzia della proprietà privata è affidata dalla Costituzione all' azione del legislatore ordinario
che ne assicura la funzione sociale, tenendo in considerazione, nel particolare del procedimento
espropriativo, l'interesse generale, libertà allora può significare garanzia assoluta della proprietà
privata, garanzia che, in mancanza dei presupposti, la proprietà non sia ingiustamente svuotata dei
suoi contenuti essenziali. I limiti imposti al diritto di proprietà in nome della funzione sociale, in
quanto eccezione e non regola, rispetto allo " ius excludendi omnes alios ", non possono al di fuori
di ogni tutela sostanziale, vanificare un diritto che, in quanto riconosciuto dalla legge, sia dalla stessa
garantito. La Costituzione italiana, nell' esprimere un' assoluta meritevolezza di tutela a favore del
diritto di proprietà, ha previsto che il suo sacrificio fosse subordinato alla presenza di talune
condizioni, prima fra tutte l' interesse generale.
La limitazione di un diritto di rango costituzionale non può prescindere dalla certezza dell' interesse;
da tale riflessione possiamo collegarci affrontato poc' anzi, ossia l' aspetto dalla estensione al privato
del ruolo di beneficiario di una procedura espropriativa.
E' infatti nella certezza dell' interesse che la Giurisprudenza italiana del '900 ha fissato il punto di
partenza verso la costruzione di ipotesi ampliative dei poteri oblatori; è interesse generale certo che
l'interesse pubblico si traduca, sul piano pratico, sia nell' opera pubblica sia nell' opera di utilità
pubblica. Diverso è il caso di una proprietà inutilizzata, collocata in un' area depressa che possa
essere rivitalizzata da una importante iniziativa privata economica; solo in un' ipotesi di tal genere si
può affermare con certezza che il soddisfacimento di un interesse pubblico scaturente da una
iniziativa privata non mortifichi il diritto di proprietà e la sua esigenza di tutela. Ciò significa che lo
sviluppo economico prodotto da una iniziativa imprenditoriale privata non sia di per sé sufficiente a
legittimare la violazione di un diritto dominicale e su questo aspetto, la Giurisprudenza italiana non
ha, per molto tempo avuto dubbi, ispirandosi nell' esame delle vicende espropriative ad una
interpretazione delle condizioni dei procedimenti che fosse fedele ai principi costituzionali. Tuttavia l'
esperienza normativa italiana più recente, dalla seconda parte dl '900 ad oggi, ha decisamente
16 M.S. GIANNINI, " Basi costituzionali della proprietà privata ",In Pol.Dir. 1971;G.ROLLA," La misura dell' indennità espropriativa
",Milano, 1973;L.MAROTTA, " I nuovi profili dell' espropriazione per pubblica utilità ",Padova, 1985.
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rinnegato i principi di tutela del diritto di proprietà offerti dalla Costituzione italiana e la
procedimentalizzazione italiana dell' azione amministrativa che ha fortemente influenzato anche la
disciplina del procedimento espropriativo, ha introdotto forme di garanzia meramente formali,
incapaci di incidere sul contenuto della decisione amministrativa finale.
Quanto al requisito della certezza dell' interesse, che per lungo tempo ha rappresentato l' unico
baluardo a difesa del diritto di proprietà, si è verificato un progressivo ampliamento delle ipotesi
legittimanti l' espropriazione per pubblica utilità, accompagnato da una sempre minore propensione
del giudice amministrativo a verificare la sussistenza di un effettivo interesse pubblico all' acquisizione
di una proprietà privata.
Più tormentato sin dal '900 è stato il percorso ordinamentale U.S.A., dove, a fronte del requisito del "
public use ", affermato dalla Suprema Corte, vi è stata una Giurisprudenza che, in modo sempre più
convincente, ha introdotto nelle vicende espropriative categorie di analisi sempre più vicine all'
economia di quanto non lo fossero al diritto, al fine di giustificare procedure espropriative prive del
requisito della natura pubblica dell' opera.
Problema trascinatosi nel tempo fino ad oggi, è il dilemma dell' esatta definizione del " public use " nel
procedimento di " taking property ". In soccorso del giurista statunitense sono così intervenute
categorie economiche che, calate nel contesto dell' espropriazione, hanno consentito di ampliare il
novero delle tipologie ablatorie legittime. Ciò è stato possibile immaginando, con l' ausilio dell' analisi
economica del diritto, una connessione, se non un' equivalenza , fra interesse generale e sviluppo
economico, ma l'interesse generale che si vuole individuare nell' espropriazione a favore di privati,
non sempre è un interesse certo perché esso più che avere un fondamento giuridico, ha una
giustificazione economica: il pubblico potere fa prevalere l' interesse di un privato, ossia il
beneficiario dell' espropriazione, sull' interesse di un altro privato ( il soggetto espropriando) nella
convinzione che i benefici siano superiori ai costi; una simile scelta tuttavia è inevitabilmente esposta
al rischio di impresa. L' interesse economico che, sotto le false spoglie dell' interesse generale,
diventi il presupposto per l' espropriazione a favore di privati, rischia di sacrificare inutilmente il diritto
di proprietà. Da questo punto di vista i primi significativi segnali di cambiamento si sono avuti negli
U.S.A. negli anni ottanta del 'Novecento, quando iniziò ad affermarsi l' espropriazione a favore di
privati. Nella controversia " Hawaii Hausing Authority V. Midkiff " il giudice relatore O' Connor,
estensore della tesi maggioritaria all' interno del Collegio rilevò che " where the exercise of the
eminent domain power is rationality related to a conceivable public purpose, the Court has never
held a compensated taking to the proscribed by the public use clause. It is only the taking's
purpose and not its mechanics, that must pass inspect under the Public use Clause ". A distanza di
trent' anni dal caso Berman si riproponeva il problema della contabilità della " taking clause " con l'
espropriazione a favore dei privati. La Giurisprudenza individuava nel " taking purpose " l' elemento
di risoluzione del problema ritenendo che non fosse la natura dell' opera ma piuttosto lo scopo in
vista del quale l' esproprio dovesse essere realizzato, a dover essere sottoposto al vaglio di legittimità
di un collegio giudicante.
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Tale teoria rileggeva l' istituto della espropriazione in un' ottica di una analisi economica del diritto,
in virtù della quale il " development ", inteso sia come intervento imprenditoriale, sia in senso
letterale come sviluppo, giustificava un' azione amministrativa di tal genere; volendo quì prescindere
dalle aporie di una simile versione del fenomeno espropriativo, la teoria del " taking purpose ", per
come resa dal Collegio della vicenda Midkiff, ben si inserisce nel problema tutto italiano del rapporto
fra interesse pubblico ed interesse generale. Tuttavia proprio la Giurisprudenza poc' anzi considerata
dimostra che non sia l' esproprio a favore di privati in quanto tale a compromettere l' interesse
pubblico, quanto piuttosto l' interpretazione resa nel tempo dalle diverse soluzioni ordinamentali. Le
scelte, fra loro diversissime, fatte dal legislatore inglese e quello italiano nel primo 'Novecento, sono
due esempi di garanzia del privato espropriando, nel primo caso per via procedimentale,nel secondo
per via processuale. Gli U.S.A. diversamente presentarono un percorso non uniforme privo di indirizzi
certi e costanti giacché si passò nel giro di pochi anni, da una visione garantista dei " takings " in
virtù della quale le Corti sindacavano l' effettiva sussistenza del " public use ", ad un progressivo
ampliamento dei confini della potestà decisionale della P.A. cui era riconosciuto il potere di
individuare, di volta in volta, la presenza del requisito del public use all' interno di una procedura
ablatoria.
L' avvento del terzo Millennio ha completato, come si vedrà di seguito, il processo di sottrazione
delle decisioni amministrative dal controllo giurisdizionale; a ciò si è giunti attraverso una correlazione
tra categorie giuridiche e categorie economiche. L' istituto dell' espropriazione a favore di privati
negli U.S.A. si è affermato proprio attraverso questa commistione.
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PARTE TERZA
IL TERZO MILLENNIO:
L' EQUAZIONE ECONOMICA
" DEVELOPMENT - PUBLIC USE "
e L’ESPROPRIAZIONE A FAVORE DEI PRIVATI
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I. Il nuovo modo di intendere la garanzia dell' interesse pubblico
L' elemento comune alle diverse discipline espropriative quì analizzate è la sempre più accentuata
commistione, agli inizi del Terzo Millennio,fra diritto ed economia nelle scelte ablatorie delle
Amministrazioni; la conseguenza di questo fenomeno è stata il progressivo ampliamento delle ipotesi
legittimanti l' espropriazione della proprietà privata.
La città di New London, nel Connecticut, sul finire degli anni '90 è stata classificata come area
depressa dalla competente Autorità Amministrativa statale; da poche ore aveva chiuso i battenti il "
Naval Undersea Targare Center ", con il conseguente licenziamento delle 1.500 unità lavorative e
l'Amministrazione comunale, di fronte al rischio di un inarrestabile declino economico, diede mandato
alla "N.L.C.D." ( New London Development Corporation ) per la redazione di un progetto di
riqualificazione della città.
Il development plan immaginato contemplava, oltre alla realizzazione di ristoranti, alberghi e centri
commerciali, anche l' insediamento di uno stabilimento del colosso farmaceutico Pfzzer.
Per l' attuazione del progetto furono avviati i procedimenti ablatori riguardanti i terreni di una serie
di privati espropriandi ; tra questi Susette Kelo rifiutò l' indennità, dando vita ad un lungo iter giudiziale
che la vide contrapposta all' Amministrazione comunale di New London, accusata di aver violato il
quinto emendamento della Costituzione per aver disposto l' acquisizione della proprietà privata a
favore di un privato. Nell' ordinamento statunitense non esiste una norma di diritto positivo che
preveda espressamente l' espropriazione a favore dei privati.
A ciò deve aggiungersi la non certa equivoca espressione della Carta Costituzionale Americana, già
più volte richiamata, che limita la possibilità dello Stato di esercitare l' Eminent Domain , acquisendo la
proprietà privata, all'ipotesi dell' effettiva presenza della ragioni del " public use ".
Orbene, l' interpretazione letterale del V Emendamento poteva,al massimo, sollevare dubbi sull'
estensione del public use nell' ambito pubblicistico, se cioè potesse individuarsi in un' opera funzionale
al godimento di una limitata categoria di soggetti, o dovesse giocoforza corrispondere ad un' opera
destinata alla funzione dell' intera collettività. Sempre dal punto di vista letterale, il confronto tra il "
public use " e l' espropriazione da favore di privati suscita non poche perplessità: se si parla di uso
pubblico del bene per il quale si acquisisce la proprietà privata, non è chiaro di capire quale " public
use " possa individuarsi in un imprenditore che eserciti un' attività economica.
La portata decisamente rivoluzionaria del caso Kelo sta nel fatto che la maggioranza del Collegio
decidente abbia sostenuto la legittimità del procedimento espropriativo, sul presupposto che gli
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obiettivi di sviluppo economico rappresentino una forma di uso pubblico legittimo, in base al V
Emendamento della Costituzione; questo impianto motivazionale solleva tuttavia non pochi dubbi. A
proposito del caso Kelo è stato correttamente sollevato che la Corte abbia deciso spostando il
principio per il quale " lo svolgimento di qualsiasi funzione pubblica attribuita agli organi politici
costituisce di per sé un valido Public Use Clause, divenendo in questo modo una attribuzione di
poteri piuttosto che una limitazione ".
Al di là dell' ampliamento dei confini del " taking clause ", che rappresenta, sul piano giuridico la
conseguenza più facilmente percepibile, il caso Kelo ha introdotto una lettura assolutamente
paradossale dell' espropriazione e delle sue fonti normative. Si è infatti posto in essere un
sostanziale ribaltamento delle finalità di una norma, quale è il V Emendamento della Costituzione
americana, originariamente immaginato quale tutela della sacralità del diritto di proprietà e
reinterpretato, dalla Giurisprudenza come strumento di legittimazione indiscriminata dell' attività
della P.A. Questa presunta equivalenza fra " economic development " e " public use " si presta a
due chiavi di lettura che non sono incompatibili fra di loro:la prima strada è quella di affrontare il
problema avendo come punto di riferimento l' elemento di insindacabilità del merito delle scelte
della P.A., che è un argomento assai caro al diritto amministrativo italiano..Ebbene la discrezionalità
della P.A., pur essendo una categoria tipica del diritto amministrativo italiano, non è sconosciuta ai
sistemi di " common law ", sia per quel che riguarda il modello inglese, sia per quel che concerne il
modello U.S.A.; basti pensare che tra le “ categories of unreasonablenes " dell' azione
amministrativa, la dottrina inglese individua “ l' abuse of discrection ", tutte le volte in cui l' Autorità
pubblica decida di acquisire la proprietà privata per fini che travalicano i limiti imposti dalla legge.
Il diritto americano, che per lungo tempo aveva fermamente creduto al controllo giurisdizionale sull'
attività della P.A.,si era poi convertito all' insindacabilità, sul presupposto che oggetto del giudizio non
fosse la tipologia di opere da realizzare, bensì il " taking's purpose ".
Proprio il riferimento al " taking's purpose " però è la prova che le motivazioni della sentenza Kelo
non possano essere giustificate solo attraverso il concetto di insindacabilità. Se il parametro di
riferimento era diventato il " taking' s purpose " ossia lo scopo in vista del quale la proprietà privata
dovesse essere espropriata, era evidente che le Corti decidenti avessero optate per una nuova
visione del Pubblico potere quale Amministrazione di risultato; q questo punto uno scrutinio di
legittimità imperniato su criteri di valutazione così nuovi e così diversi rispetto al passato,
presupponeva, inevitabilmente, un' analisi economica e non solo strettamente giuridica, di una
controversia. Gli U.S.A., del resto, sono stati il primo paese al mondo a proporre la soluzione dei
problemi giuridici, utilizzando le categorie della " law and economics ", fin dalla seconda metà dell' 800;
non può negarsi difatti, come già sul finire del XIX secolo, vi fossero talune pronunce, benché ancora
minoritarie , che avevano visto le attenzioni delle Corti statunitensi concentrarsi più sugli obiettivi
della P.A., che sul merito delle sue scelte.
L' assimilabilità del concetto di " economic development " al " public use " desta tuttavia non poche
perplessità. Una prima considerazione è suggerita da una esigenza di certezza delle situazioni
giuridiche coinvolte nella dinamica procedimentale; fino a che punto la collettività può trarre
vantaggio da una iniziativa imprenditoriale privata in nome della quale sia sacrificata la proprietà
privata ?
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E' certamente vero che nella vicenda Kelo, l' apertura del nuovo stabilimento della " Pfizer " abbia
creato le condizioni per l' innalzamento dei livelli occupazionali in un' area ferita dal degrado
economico e sociale. Si pensi tuttavia al rischio di impresa. La eventualità, non da escludere , che
un' attività di impresa possa fallire, produce molteplici , gravissimi pregiudizi anche per il pubblico
interesse; a tale considerazione, peraltro può arrivarsi, anche prediligendo criteri di lettura del
problema presi in prestito dall' analisi economica. Ragionando nell' ottica della comparazione tra costi
e benefici infatti, i danni per la P.A. sarebbero enormi; si pensi soltanto al danno economico che
scaturirebbe per i lavori di realizzazione di uno stabilimento industriale destinato ad un successivo
fallimento, ai costi relativi alla " just compensation ", all' eventualità dell' inevitabile licenziamento
delle maestranze impiegate nell' iniziativa economica programmata.
La legittimità e l' opportunità dell' espropriazione a favore di privati devono essere valutata caso er
caso; la peculiarità dell' istituto, più che un' analisi di carattere generale, meriterebbe un giudizio
strettamente legato alla fattispecie nella quale si cali la scelta dell' Amministrazione.1
L' equazione sviluppo economico - interesse pubblico non può tuttavia assurgere a principio di
carattere generale; spesso infatti il sacrificio del diritto dominicale non è giustificato da iniziative
imprenditoriali di interesse strategico ma avviene a favore di attività economiche che, per
dimensione e profitto, ben poco hanno da condividere con l' interesse pubblico.
Di queste situazioni diventa spesso complice involontario l'Autorità giurisdizionale, frenata dalla natura
del suo sindacato. Ciò premesso non può sottacersi che accanto alla Giurisprudenza fin qui esaminata,
si presentino molteplici decisioni, provenienti dalle Corti statali che rifiutano la teoria del " public
purpose " , sulla base di Costituzioni statali che non si prestano ad interpretazioni estensive del
concetto di " public use ":La Corte suprema del Michigan ad esempio ha annullato il procedimento di
esproprio avviato dall' Amministrazione comunale della cittadina di Wayne, a favore di una
compagnia privata che avrebbe realizzato un parco tecnologico sull' area adiacente il Metropolitan
Airport di Detroit “.
Sulla stessa lunghezza d' onda, la Corte Suprema dell' Illinois ha stabilito, in modo ancora più incisivo
che l " eminent domain could not be used to acquire as parking because such use would not be
considered a public use ".
E' facile percepire che taluni Stati intendano difendersi anche per via giurisprudenziale dai recenti
attacchi al diritto di proprietà; le due sentenze poc' anzi ricordate testimoniano di come la
giurisprudenza più conservatrice rifugga dall' idea di un binomio discrezionalità - insindacabilità per
affermare un modello di sindacato giurisprudenziale assolutamente di merito.
1 R. DE NICTOLIS, " Le espropriazioni a favore dei privati", in F.CARINGELLA ( a cura di L' Espropriazione per pubblica utilità
) ,Milano, 2007
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Il problema della giurisprudenza, in questo caso infatti, non è quello di accertare il fine dell'
esproprio, ma di cogliere la natura dell' opera che si intende realizzare; solo un sindacato di tal
genere, può garantire , ad avviso di chi scrive, un controllo effettivo sull' attività della P.A.Ci sono
peraltro Stati dell' Unione che hanno cercato di tutelare il diritto di proprietà facendo ricorso alla
certezza del dato normativo; la Costituzione del Wisconsin, già negli anni '70, ha recepito il principio
Giurisprudenziale, stabilito dalla Corte Suprema locale, che impedisce manipolazioni giuridiche alla
categoria del " public use ".
Altri Stati come il Michigan hanno inserito un emendamento nella Costituzione che vieta " the taking
of private property for transfer to a private entity for the purpose of economic development or
enhacement of tax revenues ".
II. Il progressivo processo di privatizzazione dell' espropriazione per pubblica
utilità
L' apertura dell’ Ordinamento statunitense a favore della privatizzazione dell' espropriazione per
pubblica utilità è il segno di un cambiamento che caratterizza, con modalità diverse, le esperienze
giuridiche dei sistemi qui considerati, all' inizio del III Millennio.
Il problema, va ribadito non risiede nella mera ammissibilità dell' espropriazione a favore di privati. Si
tratta piuttosto di analizzare quest' istituto, senza trascurare il profilo delle garanzie del diritto di
proprietà e senza immaginare di poter legittimare un istituto giuridico attraverso delle giustificazioni
esclusivamente economiche.
Del resto abbiamo già avuto modo di evidenziare che le interpretazioni rese dalla giurisprudenza
italiana di fine '800 sulla vendita obbligatoria a favore di privati siano ben più convenienti di quelle
più elaborate dalla recente giurisprudenza americana a proposito dell' " economic development " nella
" taking property " se però il tratto comune alle tendenze ordinamentali attuali è quello di rafforzare le
potestà ablatorie delle Amministrazioni , occorre soffermarsi su quali e quanti strumenti di tutela
siano riconosciuti al privato proprietario nei diversi ordinamenti.
E' però approssimativo ritenere che l' " economic development " sia oggi un elemento caratterizzante
il modello espropriativo di " common law ", come tale individuabile anche nella disciplina inglese della
" compulsory purchase "; esso deve piuttosto essere considerato una prerogativa della " taking
property " statunitense che non trova una perfetta corrispondenza all' interno della " compulsory
purchase ".
La giurisprudenza inglese attuale va decisamente oltre le giustificazioni meramente economiche e
considera la Convenzione per i diritti umani il parametro di riferimento rispetto alla legittimità dell'
azione amministrativa, avendo il diritto di proprietà come angolo di visuale preferenziale. Ciò non
significa che il diritto di proprietà gode in Inghilterra di una tutela assoluta ed indiscriminata tale da
ridimensionare del tutto eventuali profili di interesse pubblico; ciò che rivela è che la giurisprudenza
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inglese valuta la legittimità o meno di un procedimento espropriativo senza trascurare il merito
delle scelte amministrative. Non vi è infatti, nella giurisprudenza inglese, una propensione acritica per
l' interesse pubblico, come non vi è un' affermazione automatica del diritto di proprietà; il peso
specifico dell' una e dell' altra situazione giuridica deve essere valutata con particolare attenzione
alle specificità di ogni singole fattispecie. Un bene che sia oggetto di un diritto di proprietà privata
che versi in stato di abbandono può essere legittimamente sacrificato in nome dell' interesse
pubblico, non essendovi in questo caso alcuna violazione del principio di proporzionalità previsto
nella " Convention of Human Rights ".
Su questo presupposto è stata respinta la pretesa di una cittadina inglese di salvare la sua fattispecie
proprietà, ritenendosi legittima la decisione del " Secretary of State " " to confirm a compulsory
purchase order to purchase her property, the site of her derelict house in which she lived. The
claimant’s contentions that there was an alternative to compulsory purchase and that a reasoned
decision could not be given on the proportionality of the interference with her rights under article
8, and article 1 of the first protocol, to the Convention on Human Rights, were dismissed by the
judge ".
Vero è che la definizione dell' interesse pubblico e delle garanzie del diritto di proprietà,
presentano,nel modello inglese, maggiori difficoltà di inquadramento sistematico dovute all' assenza
di una Costituzione scritta; ciononostante la dottrina inglese ha rivendicato, per la " compulsory
purchase ", gli stessi principi generali stabiliti dalla Costituzione americana, a tutela del diritto di
proprietà. Ciò premesso, si tratta di chiarire la dimensione dell' interesse, ossia il peso che il legislatore
d' oltremanica attribuisca al " public good " ( o public benefit ),corrispondente al nostro concetto di
interesse generale. Ebbene il concetto di discrezionalità non è sconosciuto al legislatore inglese; in
realtà la mancanza di qualsiasi previsione normativa di rango costituzionale e il recepimento previa
analogia dei principi stabiliti dall' ordinamento americano facilitano l' affermazione della discrezionalità
dell' Amministrazione;in assenza di una interpretazione univoca da parte del legislatore sul senso
giuridico da attribuire al public benefit discende che " the expression public benefit is a very wide
one and that broadly it is for Parliament to decide the purpose for which compulsory purchase
power many he granted ". In ogni caso il rischio che il public benefit possa essere mortificato dalla
discrezionalità amministrativa è scongiurato proprio dal controllo sull' azione amministrativa previsto
all' interno della " compulsory purchase "; sarebbe perciò forviante omologare l' esperienza recente
inglese a quella Nordamericana sul presupposto che entrambi gli ordinamenti abbiano optato per un
concetto di interesse pubblico decisamente ampliato; il modello inglese infatti è solidamente fondato
sulla tutela del privato espropriando e, fin dal " Compulsory purchase Act " del 1981, ne ha innalzato il
livello delle garanzie.
A ciò va aggiunto che i rischi di una dilagante discrezionalità, ai confini con l' arbitrio, sono scongiurati
dal controllo puntale, effettivo, esercitato dal Parlamento sui " purpose " di qualsiasi procedura
espropriativa,basti pensare che fino alla seconda metà degli anni '80 il potere espropriativo è stato
attribuito per mezzo dei Private Acts, una sorta di leggi provvedimento, con le quali il Parlamento
effettuava un controllo, al contempo di merito e di legittimità sulle procedure espropriative.
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Il primo esempio è dato dal " Golden Railway Act " del 1801 con il quale il Parlamento inglese
autorizzò la " Wandsworth Company " a realizzare la " Surrey Iran Raiway ".
Ma i " private Acts ", come già anticipato hanno avuto frequente applicazione anche nel XX Sec.
Ne sono la prova il London transport Act del 1969 con il quale il parlamento diede via libera ai lavori di
ampliamento della Metropolitana di Londra o il più famoso " Channel Tunnel Act del 1987 ".
Ancora una volta la comparazione fra modelli rivela la maggiore propensione del modello inglese alla
effettività delle garanzie offerte; in particolare la garanzia dell' interesse pubblico risulta fortemente
penalizzata, in Italia come negli U.S.A., dalla predilezione per la tutela processuale che in entrambi
gli ordinamenti è stata caratterizzata da una affermazione sempre più vigorosa della insindacabilità
delle scelte amministrative. A fronte di queste esperienze ordinamentali si pone la disciplina della
“Compulsory purchase ", che riesce attraverso la peculiare completezza della sua fase istruttoria a
verificare la reale compatibilità di un esproprio con le ragioni del " public benefit " , scongiurando
ogni possibile ipotesi di arbitrio.
Il paradosso emergente dall' analisi storica è che il concetto di interesse pubblico ha dominato la
scena giuridica in Italia e negli U.S.A. in modo anomalo, perdendo progressivamente cioè l' originaria
rilevanza nelle vicende espropriative, nato come strumento di garanzia del diritto di proprietà privata,
è diventato col tempo un elemento di rafforzamento della potestà ablatoria dell' Amministrazione.
L' equivalenza di matrice statunitense fra economic development e public use infatti, più che perseguire
il fine primario dell' equilibrio fra i contrapposti interessi, si mostra come strumento di legittimazione
del pubblico potere in quelle vicende espropriative nelle quali le ragioni del privato, soffocate da
grandi interessi economici, finiscono con il non avere il benché minimo diritto di ascolto.
L' interesse pubblico è così irrimediabilmente snaturato: non più garanzia ma espressione di
discrezionalità laddove si consente all' Amministrazione espropriante di stabilire, nella sua autonomia
insindacabile, scevra da parametri di riferimento ed estranea a puntuali controlli giurisdizionali,la
riconducibilità di un intervento ai caratteri del " public use ".L' esperienza inglese al contrario
dimostra che la " compulsory purchase ", partendo dalla elaborazione di principi di tendenza diversi,
sia arrivata in modo indiretto al riconoscimento della centralità del diritto pubblico, senza perdersi
nei meandri di qualificazioni giuridiche, ma prediligendo l'effettività della tutela.
E' proprio infatti sulla sussistenza del " public benefit " che la " Confirming Authority " ha da sempre
concentrato le sue principali attenzioni ai fini di decidere;con la conseguenza che il procedimento riesce
di per sé a soddisfare l' ineludibile esigenza di garanzie del diritto di proprietà consentendo al privato
di verificare in modo puntuale e rigoroso la compatibilità con l' interesse con l'interesse pubblico
dell' iniziativa che abbia determinato l' avvio di una procedura ablatoria.
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Tale opzione ordinamentale rende obiettivamente irrilevante, perché non necessaria, la previsione di
un sindacato giurisdizionale di tipo forte;il problema si pone tuttavia per altri modelli giuridici che
non contemplano un procedimento espropriativo permeato di una struttura di tipo quasi
giurisdizionale. Fatta infatti eccezione per l'ordinamento inglese che ha sempre sostenuto la
necessità di un controllo analitico sul merito delle scelte amministrative, l' ampliamento delle ipotesi
ablatorie ha determinato la necessità dello sviluppo, nel terzo Millennio, di un sindacato
giurisdizionale forte delle potestà ablatorie. La fase processuale, a fronte di un' azione amministrativa
caratterizzata da una eccessiva discrezionalità, diventa l' unico strumento di verifica della
compatibilità di una procedura ablatoria con le ragioni di " public use "; tuttavia l' esame delle
garanzie processuali non rivela, specialmente nelle esperienze italiane, la previsione di forme efficaci
di tutela del diritto di proprietà dagli abusi dell' Amministrazione. La ragione sta nella natura del
sindacato di legittimità della giustizia amministrativa italiana che esclude le categorie riconducibili al
merito , quali l' opportunità della decisione amministrativa, dal novero delle ipotesi rientranti nella
sfera di cognizione del giudice amministrativo. La necessità di ampliare i confini del sindacato
giurisdizionale per assicurare, nella sede processuale, l' equilibrio tra interesse pubblico ed interesse
privato pone però una problematica di ordine storico: andare oltre il sindacato di mera legittimità
significa rinnegare la tradizione della giustizia amministrativa e tale aspetto merita di essere
considerato, come vedremo a breve, nella valutazione dei diversi strumenti di garanzia del diritto di
proprietà.
III. Le garanzie processuali: il modello processuale statunitense
L' indagine comparativa condotta nell' analisi delle garanzie processuali ha rivelato il netto primato
dell' ordinamento inglese in materia di qualità della partecipazione ed effettiva del contradditorio.
A questo punto del lavoro è necessario spostare l' attenzione sul livello processuale delle garanzie all'
interno degli ordinamenti che prediligono la tutela del diritto dominicale in sede giurisdizionale; il
procedimento giurisdizionale di " condemnation " statunitense presenta una struttura profondamente
diversa da quella italiana, da momento che non si assiste ad una fattispecie in cui il privato
espropriando ad impugnare gli atti ablatori dell' Amministrazione.
La vicenda processuale sorge per iniziativa dell' Amministrazione che propone una " condemnation
action " per ottenere l' acquisizione coattiva della proprietà privata; il privato proprietario può
difendersi con una opposizione alla " action ", " because the proposed taking is not for public use,
or the condemnor is not authorized to take the subjet property or as not following the proper
substantive or procedural step as required by law ".
Trattandosi di azione esperibile dall' Amministrazione essa deve necessariamente illustrare i profili di
legittimità dell' esproprio nell' ottica della eventuale proporzione di un " claim " da parte del privato.
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La nota rilevanza del concetto di public use nel diritto statunitense fa in modo che alcuni
ordinamenti statali prevedano delle condizioni preventive di procedibilità.
L' ordinamento della California contempla una " Resolutio of Necessity in Eminento Domain Actions”
che anche di recente la Giurisprudenza locale ha chiarito essere lo strumento con il quale l'
Amministrazione “ defines the scope of the agensy's acquisition and the agency is typically
prevented from contracting the terms of resolution in the eminent domain action ".
La " Resolution of Public Need " che ciascuno stato disciplina nei modi e nei tempi, costituisce in
senso temporale, la prima fase del " legal process of the condemnation "; assolta la fase dichiarativa
della pubblica utilità, l' Amministrazione inoltra al privato la proposta di acquisto del bene. In questa
fase può cogliersi appieno la valenza lessicale rilevante la natura coattiva del termine " condemnation”
atteso che il rifiuto del privato alla cessione della proprietà, quando preceduto dalla " Resolution of
public need " e dalla " good faith offer ", legittima la dichiarazione giudiziale che produce l' effetto
traslativo richiesto dall' Amministrazione. Senza volersi qui soffermare sulla preferibilità in astratto del
rimedio giurisdizionale rispetto a quello procedimentale, appare piuttosto necessario riflettere sulla
utilità di una simile struttura processuale. La " condemnation " U.S.A. pare rifiutare l' affermazione
teorica ed aprioristica del concetto di prevalenza dell' interesse pubblico sull'interesse privato in
assenza di elementi idonei a delineare il peso specifico dell' uno o dell' altro interesse; questo
perché la prevalenza dell' interesse pubblico passa attraverso un inevitabile verifica sulla " necessity "
che, al contempo, consente, anche con modalità coattive di portare a compimento l' opera pubblica o
di pubblica utilità meritevole di realizzazione e scongiura, in fattispecie diverse " il rischio di un inutile
sacrificio del diritto di proprietà.
IV. Le differenze con il modello italiano
La struttura della " condemnatio action " si pone in evidente antitesi con la tradizionale
caratterizzazione demolitoria del processo amministrativo italiano; il primo, evidente e significativo
elemento di differenziazione si coglie rispetto alla posizione dell' Amministrazione che, sguarnita di
una protezione giuridica equivalente alla presunzione di legittimità degli atti amministrativi, si trova
costretta ad adire l'Autorità Giudiziale nell' ipotesi in cui il privato non intenda cedere
spontaneamente la sua proprietà. Da ciò discende un consequenziale ribaltamento dell' onere della
prova, atteso che spetta interamente all' Amministrazione l' onere di dimostrare la compatibilità del
suo fine espropriativo con le ragioni dell' interesse pubblico.
In questo modo il controllo giurisdizionale è più ampio di quanto non avvenga in un modello, qual
è quello italiano, nel quale un vizio del decreto di esproprio non censurato dal privato ricorrente,
sfugge al sindacato del giudice amministrativo; in un certo senso la completezza e l' effettività del
controllo giurisdizionale compensano le carenze della fase procedimentale, con la conseguenza la
proprietà privata vedrà valutata nel dettaglio ogni singola fase del suo operato. Al controllo
scaturente dall' attività giurisdizionale successiva alla proposizione della " condemnatio action " si
70
aggiunge poi quelle eventuale, scaturente dai motivi di doglianza del privato opponente che contesti
l' assenza del " public use " o il mancato rispetto delle scansioni temporali del procedimento.
In questo modello processuale si realizza così un sindacato pieno, che fa salva la discrezionalità
amministrativa in sede procedimentale per poi sottoporla in sede giurisdizionale ad una verifica di
effettività; occorre però precisare che la struttura processuale degli U.S.A. legata a doppio filo alle
sorti del procedimento, risente inevitabilmente della maggiore anzianità che l'APA ha rispetto alla "
Judicial rewiew " .La centralità delle garanzie procedimentali si riflette nelle sorti del processo dal
momento che l' esito della " condemnation " dipende necessariamente dalla effettività della
partecipazione del privato nella fase della " good faith offer ".
La fase processuale si propone in un certo senso come rafforzamento della garanzia primaria che è
quella procedimentale; verificando che la discrezionalità riconosciuta all' Amministrazione non si sia
tradotta in un illegittimo restringimento del diritto alla partecipazione che l' ordinamento riconosce al
privato. Procedimento e processo non appaiono così come binari separati e non comunicanti ma
come fasi diverse di un percorso giuridico comune nel quale il fine condiviso è l' equilibrio fra gli
interessi. Se è vero infatti che le garanzie processuali statunitensi abbiano maggiore incisività rispetto
a quelle procedimentali, è altrettanto vero che queste ultime godano di una autonoma, significativa
rilevanza giuridica: la discrezionalità amministrativa può infatti generare di per sè un controllo pieno
e soddisfacente caratterizzato dalla effettività della partecipazione in sede procedimentale o può
provocare un nuovo controllo in sede processuale che, nell' ottica della tutela del diritto di proprietà,
si ponga nel solco del controllo procedimentale per rimediare alle sue lacune.
V. Le anomalie espropriative italiane di provenienza pretoria come limite alle
garanzie
Abbiamo già evidenziato la debolezza del modello espropriativo italiano nel confronto con quello
inglese sul piano della tutela procedimentale; allo stesso modo l' analisi delle garanzie processuali
italiane raffrontare con quelle statunitensi rivela l' assenza di un contradditorio paritario e di un
sindacato giurisdizionale forte. La prima evidentissima differenza scaturisce dalla struttura stessa del
processo amministrativo italiano che è giudizio di parte nel quale il decreto di esproprio si pone
come espressione di una autoritatività immediatamente esecutiva.
Il controllo giurisdizionale oltre ad essere inevitabilmente condizionato dalla rilevanza e dalla
consistenza delle censure formulate dal privato, risente della presenza ingombrante dell' interesse
pubblico che incombe incidendo spesso in modo sproporzionato nel processo valutativo del giudice
amministrativo. La mina vagante dell' interesse pubblico, di per se idonea a limitare il peso
processuale del diritto di proprietà, coniugata alle vicende ablatorie consumate in carenza di potere,
rischia di vanificare del tutto le esigenze di tutela connesse alla titolarità di un diritto dominicale.
L'ordinamento italiano infatti accanto al procedimento espropriativo ordinario, ha posto figure
giuridiche anomale quali l' occupazione acquisitiva o l' annessione invertita, che seppur concepite in
71
sede giurisdizionale, hanno ottenuto un successivo, seppur tormentato riconoscimento normativo che
ridimensiona in modo significativo le garanzie processuali del privato proprietario.1
L' idea che l' acquisizione sanante, già bocciata dalla Consulta ed ora reintegrata dall' art. 42 bis del
D.P.R. n° 327 del 2001 possa considerarsi la normativa più giusta al problema delle espropriazioni
amministrative senza potere non convince. L' acquisizione sanante anche nell' attuale versione imposta
dalla dichiarazione di incostituzionalità dell' art. 43, si presenta come una forma di legalizzazione dell'
illegale che produce riflessi pregiudizievoli sul sistema delle garanzie processuali; basti pensare che l'
effetto scaturente dall' applicazione della norma è quello di inibire al giudice amministrativo il
riconoscimento al privato, nell' ipotesi di fondatezza del gravame, del diritto alla restituzione del bene.
Il nuovo testo della norma prevede infatti che " valutati gli interessi in conflitto, l' autorità che utilizza
un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace
provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità può disporre che esso sia acquisito non
retroattivamente al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo
forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene. Di fatto la
norma legittima la produzione dell' effetto traslativo attraverso comportamenti piuttosto che per atti
consentendo che un diritto costituzionalmente garantito possa essere compromesso per mezzo di
manifestazioni di potere anomale. Eppure la Corte Costituzionale già pronunciandosi sull' art. 43
aveva evidenziato che il legislatore avrebbe potuto " disciplinare in modi diversi la materia ed anche
espungere del tutto la possibilità di acquisto connessa esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la
restituzione del bene al privato, in analogia con altri ordinamenti europei."
Le soluzioni rimediali prospettate dalla Corte sono del resto in sintonia con il consolidato indirizzo
della Corte di Giustizia Europea, secondo cui la espropriazione " sine titulo " viola il principio di
legalità, dal momento che consente all' Amministrazione di trovare vantaggio da una situazione di
fatto scaturente da un' azione illegale;il paradosso giuridico prodotto dalla vigente disciplina dell'
acquisizione sanante è che l' istituto, seppur fortemente limitativo delle garanzie processuali, è
caratterizzato, nella previsione dell' art. 42 bis da una serie di garanzie procedimentali che sarebbero
auspicabili, ragionando " de iure condendo " anche all' interno del procedimento espropriativo
ordinario. Si tratta di rilevanti profili di tutela procedimentale assenti nel testo dell' art. 43 dichiarato
incostituzionale che consentiva all' Amministrazione di emanare il provvedimento di acquisizione "
valutati gli interessi in conflitto ".
1 C.BARBATI, " Politica e amministrazione nelle autonomie locali ",ivi, pag. 123 ss.
G.CLEMENTE DI SAN LUCA, " La definizione dell' interesse pubblico tra politica e amministrazione,ivi pag. 349A.ANGIULLI," La
società in mano pubblica come organizzazione ", , ivi, pag 157;
F.VOLPE, " Le espropriazioni amministrative senza potere ," Padova, 1996
E.STICCHI DAMIANI "La dichiarazione di pubblica utilità",Milano, 1983
72
La vaghezza e la genericità della formula ampliano irragionevolmente la sfera della discrezionalità
amministrativa, con la conseguenza che anche l' eventuale sub-procedimento di acquisizione si riduce
ad una decisione autoritativa, priva di adeguate garanzie; l'eccesso di potere era poi aggravato dalla
mancata previsione di criteri che orientassero l' Amministrazione nel processo di valutazione della
rilevanza dei contrapposti interessi.
Ora il comma 4 dell' art. 42 bis stabilisce che " il provvedimento di acquisizione, recante l'
indicazione delle circostanze che hanno condotto all' indebita utilizzazione dell' area e se possibile la
data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificatamente motivato in riferimento alle attuali ed
eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l' emanazione, valutate comparativamente
con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l' assenza di ragionevoli alternative alla sua
adozione ". L'esposizione dei fatti è l' indizio non solo della correttezza dell' operato dell'
Amministrazione ma soprattutto della effettiva, reale, inevitabilità del ricorso alla utilizzazione senza
titolo. Se poi l' Amministrazione provvede ad indicare il " dies a quo " dell' avvenuta utilizzazione,
risulta più agevole verificare se sia maturata l' irreversibile trasformazione del fondo, tale da rendere
legittimamente ipotizzabile l' adozione di un provvedimento di acquisizione .
Ancora più rilevante però, sul piano delle garanzie, è il passaggio effettuato dal Legislatore al comma
4 dell' art. 42 bis, laddove si impone all' Amministrazione di assolvere ad un analitico onere
motivazionale, articolato in più punti; devono essere dimostrate le eccezionali ragioni di interesse
pubblico, la loro prevalenza rispetto all' interesse vantato dal privato e, soprattutto, la mancanza di
ipotesi alternative all' adozione del provvedimento di acquisizione.
Il legislatore introduce così il requisito della eccezionalità dell' interesse pubblico e le condizioni
della prevalenza dell' interesse pubblico e della non percorribilità di soluzione alternative; il tratto
comune ai tre fattori indicati è il rafforzamento della tutela procedimentale del privato a cui viene
riconosciuta una effettiva potestà di controllo sulla decisione dell' Amministrazione e sulle ragioni
poste a fondamento della stessa. Rispetto al passato infatti, nel redigere l' impianto motivazionale di
un provvedimento di acquisizione, l' Amministrazione non potrà limitarsi ad invocare , con una mera
clausola di stile, la prevalenza dell' interesse pubblico all' esito di un sommario bilanciamento delle
contrapposte ragioni, giacché dell' interesse presunto l' Amministrazione dovrà fornire la prova della
eccezionalità, al fine di giustificare una limitazione atipica della proprietà privata.
Tuttavia nemmeno il requisito oggettivo della eccezionalità è di per se idoneo ad esprimere
legittimamente il diritto dominicale del privato, qualora emergano ragionevoli alternative alla adozione
del provvedimento di acquisizione. Tali alternative possono essere suggerite proprio dal privato in sede
di dialogo procedimentale, magari ipotizzando una diversa localizzazione dell' opera pubblica da
realizzare o una variante alla progettazione originaria. E' forse questo l' aspetto di maggiore impatto
innovativo offerto dal nuovo art. 42 bis, ossia la previsione di un diritto alla partecipazione di tipo
collaborativo e non strumentalmente oppositivo, finalizzato non a rallentare o a congelare l' azione
amministrativa ma ad orientarla verso la decisione più giusta.
73
L' ultimo elemento di novità si coglie nella retroattività della norma laddove al comma 8 si precisa che
le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in
vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o
annullato; trattasi però di una retroattività condizionata. Infatti perché la norma possa regolare anche
le fattispecie acquisite consumatesi prima della sua entrata in vigore, è necessario che sia " rimasta
la valutazione di attualità e di prevalenza dell' interesse pubblico a disporre l' acquisizione ".
Non vi può essere pertanto una rinnovazione approssimativa ed acritica del processo valutativo,
fondata sui vaghi criteri dell' art. 43 dichiarato incostituzionale; ciò significa che anche il privato
estromesso in un precedente iter procedimentale, potrebbe trovare diritto di ascolto qualora l'
Amministrazione si trovi a decidere sulla reiterazione di un provvedimento di acquisizione. Le garanzie
partecipative che caratterizzano il sub procedimento di acquisizione sanante costituiscono pertanto
una novità normativa pienamente condivisibile; resta però il limite originario della norma nella parte
in cui consente la sanatoria postuma di una attività amministrativa viziata, impedendo al privato di
attivare le soluzioni rimediali fisiologiche ossia consequenziali ad un comportamento " contra legem
" dell' Amministrazione. Le garanzie partecipative contemplate nella seconda parte della norma,nel
merito condivisibili, sarebbero più utili a tutelare l' interesse del privato nel procedimento
espropriativo ordinario di quanto non avvenga nel sub-procedimento di acquisizione; alla patologia
dell' espropriazione " sine titulo " dovrebbe sempre opporsi la conseguenza della restituzione dell'
area al privato espropriato, senza che ciò debba essere interpretato come un pregiudizio
sproporzionato per l' interesse pubblico. Qualora infatti l' Amministrazione dovesse vantare un
persistente interesse dotato del carattere della eccezionalità, ben potrebbe acquisire la proprietà
privata rinnovando il procedimento espropriativo " ab origine ", nel rispetto di tutte le garanzie
partecipative e dei tempi necessari per il loro assolvimento, piuttosto che rifugiarsi in un sub-
procedimento di sanatoria di dubbia costituzionalità; è infatti il caso di ritenere che la soluzione
rimediale fondata sulla novazione procedimentale avrebbe il pregio di contemperare interesse
pubblico e quello privato, rispettando la dignità giuridica del diritto di proprietà sia in sede
procedimentale che i sede processuale. L' integrità del contradditorio procedimentale oltre a garantire
la partecipazione del privato assicurerebbe, alla stregua del modello U.S.A., una duplicazione del
controllo. L' Amministrazione infatti sia nella fase fisiologica del procedimento che in quella eventuale
del processo avrebbe l' onere di dimostrare la congruità della sua scelta senza che un potere
abnorme di sanatoria postuma possa concludere al giudice amministrativo l' esame della vicenda
espropriativa; né potrebbe obiettarsi che la riedizione del procedimento come alternativa all' esercizio
del potere di acquisizione sanante possa rivelarsi causa di sproporzionato rallentamento dell' attività
amministrativa. Qualora infatti la procedura ablatoria fosse supportata da reali ragioni di interesse
pubblico insuperabili per il privato proprietario, ben potrebbe l' Amministrazione giustificare un
eventuale deficit partecipativo richiamando il principio di dequotazione dei vizi formali introdotto
dall' art. 21 octies della legge 241 del 1990. La valutazione affidata al giudice amministrativo sulla
effettiva vincolabilità di una procedura ablativa si tradurrebbe sia in una verifica di compatibilità del
procedimento espropriativo con l' interesse pubblico sia, nell' interesse del privato, nell' accertamento
del fatto che il diritto dominicale non sia stato ingiustamente compresso.
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L' ipotesi di riattivazione del procedimento espropriativo, tuttavia, non è stata esente da critiche
formulate dalla giurisprudenza amministrativa che ha visto nella novazione procedimentale un' attività
amministrativa elusiva del dato normativo. E' stato rilevato a riguardo che in via generale l'
Amministrazione dispone di due distinte modalità di acquisto del bene, l' una di natura consensuale
perfezionabile con lo strumento negoziale del contratto, l' altra autoritativa fondata sulle regole del
procedimento espropriativo.
Nel momento in cui l' opera sia stata realizzata in violazione del paradigma normativo regolante il
procedimento, l' Amministrazione può ricorrere solo " al contratto, tramite l' acquisizione del consenso
della controparte , perché l' opera è stata già realizzata e l' espropriazione sarebbe quindi illegittima
perché contrastante con l' ipotesi di sanatoria specificatamente prevista dalla legge ".
Due distinte ragioni inducono a ritenere non condivisibile la suddetta impostazione.
La prima concerne il carattere discrezionale della potestà che il legislatore riconosce all' Autorità
Amministrativa nel disciplinare l' acquisizione sanante: il nuovo art. 42 bis è una fattispecie rimediale
che non esclude affatto l' utilizzo di soluzioni alternative che abbiano una matrice pubblicistica; del
resto non può trascurarsi l' ipotesi che l' illegittimità di un procedimento espropriativo sia sorte
sulla base di violazioni formali.
Diventa così possibile collegarsi alla seconda ragione giuridica a favore della riedizione del
procedimento. Alla illegittimità di ordina formale non si accompagna la consumazione del potere
amministrativo che è fatto salvo a patto di non riproporre vizi già stigmatizzati dal sindacato
giurisdizionale; pertanto quando l' azione amministrativa ablatoria sia compromessa da un deficit
partecipativo ma sia sorretta da effettivi profili di interesse pubblico, l' instaurazione di una nuova
attività procedimentale può offrire le garanzie spettanti al privato; se invece la rinnovazione del
procedimento si pone come mero espediente finalizzato a paralizzare pretese risarcitorie o
restitutorie del privato proprietario, la sede procedimentale diventa per il privato stesso occasione di
controllo attraverso il quale cogliere eventuali cause di illegittimità sostanziali della attività
amministrativa.
VI. L' opportunità di un sindacato di merito
Sarebbe in ogni caso auspicabile che il giudizio sulla vincolatività della decisione amministrativa fosse
condotto non su parametri di mera legittimità ma elaborando un' analisi sul merito dell' azione
amministrativa intrapresa. Il riconoscimento al giudice amministrativo nella materia espropriativa di
questi poteri sostitutivi che abbiano già visto essere stati introdotti dal legislatore italiano in materia
di appalti, potrebbe essere la soluzione ordinamentale più adeguata alle attuali lacune del nostro
modello processuale; non può non considerarsi a riguardo che le più recenti novità normative in
materia di appalti possano essere interpretate come un indizio della volontà del legislatore italiano
di estendere i confini del sindacato del giudice amministrativo oltre le categorie tradizionali; si pensi
75
all' art. 122 del nuovo codice del processo amministrativo che sostanzialmente riproponendo il
contenuto dell' art. 245 ter del D.L.vo 163/ 2006, ha previsto che " il giudice che annulla l'
aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza,
tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell' effettiva possibilità del ricorrente di
conseguire l' aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della
possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell' aggiudicazione non comporti l'
obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta ". 1
La norma richiamata attribuisce di fatto al giudice amministrativo un potere di amministrazione attiva
che va oltre l' impianto classico del potere di sindacato di tipo demolitorio, riducendo fortemente, se
non eliminando del tutto, i margini di discrezionalità riconosciuti ad una Amministrazione nell'
esecuzione di una decisione giurisdizionale; la prospettiva di dotare il giudice amministrativo di un
siffatto potere di sindacato anche in materia espropriativa sarebbe auspicabile per una serie di
rilevanti ragioni. In primo luogo, come già accennato, si scongiurerebbe il rischio che la garanzie del
privato restino soffocate dalla valenza meramente formale della partecipazione procedimentale e
successivamente dalla sterilità dello scrutini giurisdizionale di mera legittimità; il superamento del
solo effetto demolitorio di una sentenza di annullamento precluderebbe all' amministrazione l'
esercizio di un potere di rideterminazione in senso pregiudizievole per il privato proprietario, con la
conseguenza che l' esercizio di un potere sostitutivo del giudice amministrativo impedirebbe all'
Amministrazione di vanificare gli effetti della tutela processuale richiesta dal privato.
VIII. I Procedimenti ablatori come specie dei procedimenti sanzionatori
Non può tuttavia trascurarsi la difficoltà di porre in atto una riforma che muti radicalmente la natura
del sindacato del giudice amministrativo. Si tratterebbe di una inversione di rotta difficilmente
compatibile con la tradizione giuridica della giustizia amministrativa italiana, con la tipicità del suo
giudizio demolitorio e con il dogma del limite insuperabile rappresentato dal concetto di discrezionalità
amministrativa. Risulta però difficile accettare l' impostazione ordinamentale attuale e riconoscerle una
giustificazione giuridica convincente. L' unica strada percorribile in questo senso è quella di inquadrare
i procedimenti ablatori del " genus " più ampio dei procedimenti sanzionatori.
Il quest'ottica potrebbe invocarsi proprio il concetto statunitense di " condemnation " che rievoca
nella sua intensità lessicale l' idea di una Amministrazione punitiva; del resto l' equiparazione fra i
1 G.VOLPE, " Sulla giurisdizione di merito del giudice amministrativo in materia di appalti ", Cass. Sez, U. 10 febbraio 2010 n°
2906 in Lexitalia
G.VOLPE, " La reintegrazione in forma specifica ed il giudice amministrativo", in Lexitalia it, 10,2003
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procedimenti ablatori e quelli sanzionatori al fine di giustificare un' attività amministrativa carente nel
riconoscimento delle garanzie, è una tesi già elaborata dalla dottrina; si tratta dell' unica opzione
interpretativa dell' istituto dell' espropriazione per pubblica utilità compatibile con le forme di tutela
del diritto di proprietà previste dall' ordinamento italiano.
Tuttavia l'idea di una Amministrazione che agisce per punire e che nel fare ciò opera in carenza di
garanzie ma in nome dell' interesse pubblico non convince. Vi è una profonda diversità nei
presupposti giuridici fra i procedimenti sanzionatori e quelli ablatori; nel procedimento sanzionatorio
l' Autorità amministrativa interviene per censurare una condotta illegittima. Nel procedimento ablatorio
al contrario il privato che si relaziona con l' Amministrazione procedente non ha posto in essere una
condotta “ contra legem ", essendo piuttosto titolare di un diritto di rango costituzionale; l' assenza
dell' elemento oggettivo dell' infrazione rende improponibile una simile soluzione interpretativa.
Altrettanto arbitrario però sarebbe immaginare una corrispondenza fra diritto italiano e statunitense
facendo leva sulla vocazione sanzionatoria del concetto di " condemnation "; occorre considerare in
primo luogo che il concetto americano di " condemnation " non limiti affatto le garanzie del privato
proprietario, onorando piuttosto l' Amministrazione del dovere di dimostrare le ragioni di " public use
" e soprattutto di tentare preventivamente il raggiungimento di una soluzione consensuale con il
privato proprietario. In quest' ottica il concetto di " condemnation " deve essere letto non come forma
sanzionatoria ma come sacrificio che l' ordinamento chiede al privato in nome del " public use "; a
tanto deve aggiungersi che il suddetto sacrificio è preceduto da una verifica giurisdizionale di " hard
look " sulla congruità delle motivazioni che hanno indotto l' Amministrazione ad attivare il
procedimento di " condemnation ".
Pertanto quand' anche si volesse attribuire alla " taking property " una caratterizzazione
sanzionatoria, non potrebbe non rivelarsi la presenza di un sistema di garanzie sia procedimentali
che processuali che all' interno dell' ordinamento italiano non è dato riscontrare. La tesi della
rapportabilità dei procedimenti sanzionatori ai procedimenti ablatori glissa sull' aspetto,
rilevantissimo della volontà del soggetto privato all' interno del procedimento; la scelta ablatoria dell'
Amministrazione si consuma prescindendo totalmente dalla volontà del soggetto espropriando,
volontà che al contrario diventa elemento essenziale del procedimento sanzionatorio, laddove la
condotta " contra legem " rappresenta il presupposto per l' applicazione di una sanzione.
Tuttavia può essere d' aiuto nella prospettiva della comparazione, per cogliere appieno il senso
giuridico della fase patologica della " taking property " statunitense. Fermo restando che nemmeno la
“taking proprerty " possa considerarsi un procedimento sanzionatorio, è altrettanto vero che il sub
procedimento di " condemnatio " possa essere interpretato come espressione di una volontà
sanzionatoria solo se ricollegato al profilo di " public use ", esternate nell' ambito di adeguate garanzie
procedimentali, rifiuti di rinunciare al suo diritto di proprietà.
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E' evidente però che l' ipotesi di una ablazione di tipo sanzionatorio possa profilarsi solo al termine
di un iter procedimentale nel quale l' Amministrazione deve dar conto di scelte poi sottoposte ad una
" hard look rewiew ".Tanto per affermare che il meccanismo sanzionatorio è ammissibile solo se
preceduto dalle garanzie procedimentali e processuali che fanno venir mano il carattere rigidamente
autoritativo dell' espropriazione.
Pertanto l' inquadramento dell' espropriazione per pubblica utilità italiana come espressione giuridica
di un procedimento sanzionatorio, di per sè non condivisibile, potrebbe acquisire una certa
ragionevolezza solo se il rischio della sanzione fosse temperato dalla previsione di un sindacato
giurisdizionale più penetrante; una simile soluzione tuttavia si scontrerebbe con l' avversione storica
nutrita dalla giurisdizione italiana nei confronti del sindacato di merito. Nel quadro ordinamentale
quindi pare esservi poco spazio per l' affermazione di una contiguità fra procedimenti sanzionatori;
se infatti ci si volesse limitare al lessico adoperato dal giudice amministrativo ed utilizzarlo come
riferimento per la qualificazione giuridica dell' istituto, sarebbe agevole definire sacrificio piuttosto che
sanzione il provvedimento ablatorio emanato all' esito di un procedimento espropriativo; basti
pensare che in talune fattispecie sottoposto al suo esame lo stesso giudice amministrativo, di fronte
alla debolezza delle garanzie riconosciute al privato ha visto nel decreto di esproprio un sacrificio e
non certo una sanzione.
VIII. La sterilità delle garanzie giurisdizionali nelle fasi procedimentali ad alta
lesività
Se quindi ci si limita ad analizzare il dato normativo attuale che esclude, in materia espropriativa un
sindacato del giudice amministrativo sul merito delle scelte dell' Amministrazione, non si può che
prendere atto, nell' ottica della comparazione, della penuria degli strumenti di tutela previsti dall'
ordinamento italiano. A fronte di un sistema debole di garanzie procedimentali si pone un modello
processuale che, per tanti aspetti, si fa complice della caratterizzazione meramente formale del
procedimento; il processo italiano infatti è restio a giudicare della effettiva democraticità della
partecipazione in materia urbanistica in relazione a quelle scelte di natura pianificatoria che incidano
sulle sorti del diritto di proprietà.
Lo stesso processo italiano peraltro si è spesso prestato ad una interpretazione arbitraria dell' interesse
pubblico, troppo spesso visto come garanzia dell' Amministrazione e non del diritto di proprietà.
Tuttavia sempre limitando l' indagine al dato normativo attuale non può che individuarsi nell'
interesse pubblico l' unico reale elemento di garanzia che l' ordinamento italiano riconosca al
privato. Basti pensare che la nuova disciplina dell' acquisizione sanate pone l' accento sulla necessità
di provare l' eccezionalità delle ragioni di interesse pubblico ai fini dell' acquisizione della proprietà
privata da parte dell' Amministrazione.
Ciò significa che il sacrificio della proprietà privata presupponga necessariamente una valutazione in
sede giurisdizionale non sulla mera sussistenza dell' interesse pubblico ma sull' eccezionalità dello
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stesso; è il primo passo verso il riconoscimento di una garanzia processuale posta a tutela del diritto
di proprietà e non più intesa come strumento di legittimazione dell' azione amministrativa ablatoria.
In sostanza l' interesse pubblico non è solo un elemento rilevante come garanzia fine a sé stessa del
diritto di proprietà, ma anche come punto di contatto fra garanzie procedimentali e garanzie
processuali. In tutti i modelli fin qui esaminati del resto, seppur con le già evidenziate differenze
ordinamentali, l' interesse pubblico costituisce il tratto comune al procedimento e al processo; nel
modello inglese, infatti, il "public use" è strettamente legato alle altre garanzie procedimentali
previste dalla " compulsory purchase ".
Vi è quasi un nesso di relazione funzionale fra il " public benefit " e le garanzie procedimentali di
natura istruttoria quali l' " inquiry ". Le indagini dell' Autorità Ministeriale infatti rilevano non solo
autonomamente come espressione di trasparenza e di imparzialità dell' azione amministrativa ma
soprattutto come verifica dell' interesse pubblico.
La centralità dell' interesse pubblico è un dato certo nell' analisi dell' espropriazione, che riemerge
ogni volta si discuta di garanzie. Ebbene l' interesse pubblico può giustificare,per svariate ragioni, la
riduzione dei tempi del procedimento, creando i presupposti per quella che l'ordinamento italiano
ha definito per anni occupazione di urgenza ed oggi la normativa vigente qualifica come occupazione
anticipata. Cercheremo a questo punto di esaminare il livello delle garanzie poste a tutela del diritto
di proprietà privata nell' ipotesi in cui il pubblico potere non solo possa acquisirne la titolarità,ma sia
anche legittimato a farlo in tempi brevi.
IX. Le garanzie nelle procedure di urgenza
Nelle procedure ablatorie di urgenza il problema delle garanzie procedimentali appare ancor più
complesso.1
Evidenti ragioni di ordine lessicale inducono a ritenere incompatibile l' apporto collaborativo del
privato con un procedimento caratterizzato da esigenze di celerità.
1F.PUGLIESE, " L' occupazione preliminare nel procedimento di espropriazione ",Napoli,1984
A.GIANOGLIO, "Le occupazioni di urgenza", Milano, 1963
R.ORTANI, "Occupazione di urgenza costruzione dell' opera pubblica, decreto di occupazione tardiva del proprietario,
contributo ad uno studio interdisciplinare " Nota del TAR Sicilia, Palermo sez.II, 14 gennaio 2009,n°50 in Giur.
G.PALERMO,"Espropriazione d'urgenza destinata a diventare definitiva, in Amm.it 1965, pag. 409
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Tuttavia un' attività amministrativa consumata nella assoluta carenza di garanzie sarebbe
irrimediabilmente viziata dall' eccesso di potere, soprattutto nello scenario ordinamentale attuale nel
quale gli effetti lesivi prodotti da un decreto di occupazione di urgenza un pregiudizio irreversibile;
per cogliere compiutamente questo aspetto può essere di aiuto ripercorrere le tappe che hanno
segnato l' evoluzione storia dell' occupazione. L' istituto è previsto dal legislatore italiano già all' interno
della legge fondamentale del 1865,seppur con significative differenze rispetto alla disciplina attuale;
infatti l'occupazione temporanea contemplata dall' art. 64 della legge fondamentale 25 giugno 1865,
n° 2359, presentava dei profili funzionali che non è dato di individuare nella occupazione di urgenza
dei nostri giorni. La norma giuridica consentiva di " occupare temporaneamente i beni privati per
estrarre pietra, ghiaia, terra o zolle, per farvi deposito di materiali, per stabilire magazzini ed officine,
per praticarvi passaggi provvisori, per aprire dei canali di divisione delle acque e per altri usi necessari
alla esecuzione dell' opera stessa ". La finalità della norma era quella di semplificare lo svolgimento
delle attività propedeutiche alla realizzazione dell' opera di pubblica utilità. Accanto all' occupazione
temporanea ordinaria di cui all' art. 64 vi era quella regolata dall' art. 71 che prevedeva l' occupazione
temporanea di beni immobili privati, disposta dal Prefetto. La norma prevedeva che " Nei casi di
rottura degli argini, di rovesciamenti di ponti per impeto delle acque e negli altri casi di forza
maggiore ed assoluta urgenza, i Prefetti ed i Sottoprefetti, previa la compilazione dello stato di
consistenza dei fondi da occuparsi, possono ordinare l' occupazione temporanea del beni mobili che
occorressero alla esecuzione delle opere all' uopo necessarie. Si procederà con le stesse norme nel
caso di lavori dichiarati urgenti ed indifferibili dal Consiglio Superiore dei LL.PP. Se poi l'urgenza fosse
tale da non consentire nemmeno l' indugio richiesto per fare avvertire il Prefetto o il Sottoprefetto ed
attenderne il Provvedimento, il Sindaco può autorizzare l' occupazione temporanea dei beni
indispensabili per l' esecuzione dei lavori sopraindicati, con l' obbligo però di partecipare
immediatamente al Prefetto o Sottoprefetto la concessa autorizzazione. Già solo confrontando il testo
della citata norma con le disposizioni vigenti in tema di occupazione anticipata, non può non
condividersi la riflessione formulata in dottrina secondo cui " l' occupazione è divenuta in molti casi
un mero espediente amministrativo per rendere più celere la procedura di espropriazione ". La legge
fondamentale del 1865 scongiurava un simile rischio gravando l'Amministrazione di un onere
motivazionale particolarmente analitico e coinvolgendo nel provvedimento Autorità ulteriori rispetto
a quella beneficiaria dell' esproprio. L' Amministrazione comunale era infatti parte del procedimento
nell' ipotesi residuale in cui l'urgenza fosse tale da non consentire l'attesa del provvedimento
prefettizio;una previsione di tal genere rifletteva chiaramente la volontà legislativa di inquadrare l'
espropriazione come un procedimento di garanzia nel quale la proprietà non fosse violata al di fuori
delle scansioni temporali previste dalla tutela stessa del diritto di proprietà.
La stessa urgenza, requisito imprescindibile per l' applicazione dell' istituto, non poteva risolversi in una
mera clausola di stile, dovendo necessariamente essere provata sia nell' ipotesi di adozione del
80
provvedimento prefettizio, sia nella eventualità straordinaria contemplante l' intervento dell' Autorità
beneficiaria.2La caratterizzazione decisamente garantista della disciplina dell' occupazione dell' epoca,
rivela quella volontà condivisibile di contemperare l' interesse pubblico con le esigenze di tutela del
diritto di proprietà che abbiamo già avuto modo di apprezzare in sede di analisi del procedimento
espropriativo italiano di fine '800; nella legge fondamentale del 1865 può infatti cogliersi una
connessione strettissima fra l'interinalità e l'interesse pubblico vantato dall' Amministrazione. L'
interesse pubblico che scaturiva da ipotesi eccezionali, tassativamente individuate dal legislatore,
poteva giustificare una deroga ai tempi ordinari dell' azione amministrativa ablatoria fermo restando,
nell' interesse del privato proprietario e nel rispetto della dignità giuridica del suo diritto dominicale, il
carattere essenziale della temporaneità, senza il quale l' occupazione si sarebbe trasformata di fatto,
in una forma di espropriazione anticipata. La prima significativa inversione di rotta si è avuta con l'
entrata in vigore della legge n° 5188 del 1879. L' art. 71 di detta legge prevedeva l' emissione di un
decreto prefettizio di occupazione di urgenza qualora i lavori di realizzazione dell' opera pubblica
fossero stati dichiarati indifferibili ed urgenti dal Consiglio Superiore dei LL.PP. Il concetto di
indifferibilità ed urgenza ha segnato il passaggio ordinamentale dalla occupazione temporanea alla
occupazione di urgenza con riflessi significativi sulle sorti del diritto di proprietà, ancor più accentuati
dall' art. 20 della legge n° 865 del 1971 che ha legato indissolubilmente l' occupazione di urgenza al
decreto di esproprio. Con l' occupazione di urgenza delle aree da espropriare è tramontata,
definitivamente, la teoria consolidatasi in sede giurisprudenziale, dei sub procedimenti autonomi, il
legame tra i due procedimenti ha sensibilmente ridimensionato il livello delle garanzie godute dal
privato proprietario. La creazione pretoria di anomalie giuridiche riconducibili al " genus " delle
espropriazioni amministrative senza potere ha fatto in modo che l' occupazione anticipasse
illegittimamente la produzione dell' effetto traslativo a favore della Pubblica Amministrazione. L'
istituto della occupazione anticipata, introdotto dal D.L.vo n° 302 del 2002 ha, di fatto, vanificato il
fine del Testo Unico del 2001 di ripristinare il procedimento di garanzia che impedisce all'
Amministrazione di realizzare l' opera pubblica prima che si sia consumato il passaggio del diritto di
proprietà. L'occupazione anticipata malcelata dietro lo schermo di una norma che dovrebbe disciplinare
la stima dell' indennità provvisoria, consente tutt' ora al pubblico potere di prendere possesso della
proprietà privata in dispregio alle scansioni temporali del procedimento ordinario;
2 U.ARDIZZONE, " Due questioni in tema di espropriazione per pubblica utilità",In Foro pad., 1964,I ,p.1443
G.BOBBIO," L' espropriazione per pubblica utilità del recente testo inico". Roma, 2004
G.LA TORRE, " Opere pubbliche: occupazione di urgenza non seguita dal perfezionamento della procedura espropriativa",L'
amm.Ital.
CFR CONS. di Stato sez. IV del 29 maggio 2009, in Lexitalia.it n°5 del 2009
81
il legislatore non ha chiarito peraltro se l' occupazione anticipata dei beni immobili necessari all'
esproprio debba o meno essere giustificata da una urgenza qualificata; si è limitato a distinguere l'
ipotesi dell' adozione di un decreto di esproprio urgente dall' ipotesi della emanazione del decreto di
occupazione. Tale distinzione si riflette nelle categorie giuridiche, decisamente generiche, dell' urgenza
richiesta per il decreto di esproprio urgente e dalla particolare urgenza che è presupposto del
decreto di occupazione.
In questa incertezza, generata dalla vaghezza del lessico adoperato dal legislatore, diventa decisiva
l'interpretazione resa dalla giurisprudenza.
Sul punto desta non poche perplessità l' indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa che
ritiene legittimo un provvedimento di occupazione d' urgenza nel quale vi sia un generico
riferimento all' urgenza di realizzare opere previste dalla pubblicazione di pubblica utilità, ravvisando la
necessità di una specifica motivazione sulla particolare urgenza di avviare i lavori.
La tesi è arbitraria non solo perché attribuisce alla Amministrazione una discrezionalità che mortifica
l' esigenza delle garanzie procedimentali vantate dal privato ma perché ripropone l' idea, già sostenuta
rispetto al decreto di esproprio, secondo cui gli effetti lesivi discenderebbero da atti preparatori quali
il vincolo preordinato all' esproprio o la dichiarazione di pubblica utilità. Ed invece la giurisprudenza
amministrativa appare poco propensa all' idea di riconoscere al privato delle specifiche garanzie
partecipative nella fase dell' occupazione d'urgenza; è stato infatti affermato, riproponendo
sostanzialmente la stessa tesi elaborata in relazione alla natura attuativa del decreto di esproprio che
“ il principio del giusto procedimento e della partecipazione procedimentale non può essere avocato
con riguardo alla fase, meramente attuativa dell' occupazione di urgenza .Il giusto procedimento ha
invece ragion d'essere nell' ambito della dichiarazione pi pubblica utilità, che conserva momenti di
scelta discrezionali, ma non più nell' ambito dell' occupazione di urgenza meramente attuativa dei
provvedimenti presupposti ". L' argomentazione qui richiamata che riflette un indirizzo ormai
consolidato si presta a due obiezioni. La prima induce a contestare l' idea che le garanzie partecipative
debbano essere riconosciute nella fase delle scelte programmatorie della P.A.; si tratta di fasi
procedimentali che, per espressa affermazione della giurisprudenza richiamata, presentano " ampi
momenti di scelte discrezionali ".
Ebbene il carattere discrezionale delle scelte amministrative esonera l' amministrazione dall' onere di
una valutazione approfondita delle deduzioni del privato, di fatto svuotando di qualsiasi valenza
funzionale il diritto alla partecipazione.
La seconda perplessità scaturisce dalla considerazione della eccezionalità dell' occupazione di urgenza
e delle condizioni di legittimità della stessa; il limite ad una concezione riduttiva delle garanzie
partecipative scaturisce dal carattere derogatorio che l' occupazione di urgenza esprime nel contesto
del procedimento espropriativo.
Se alla base dell' occupazione si pongono ineludibili ragioni di urgenza qualificata cioè comprovata, il
diritto alla partecipazione dovrebbe rispecchiare nella sua ampiezza il potere che l' Amministrazione
ha di derogare alle regole ordinarie; il privato in sostanza dovrebbe poter contestare già in sede
82
amministrativa la scelta dell' amministrazione, qualora questa non abbia provato l' esistenza di una
urgenza che non consenta di attendere i tempi del procedimento ordinario.
Tuttavia la già evidenziata natura oppositiva e non collaborativa attribuita in Italia alla partecipazione
fa in modo che il coinvolgimento del privato sia considerato un ingiustificato rallentamento dell'
azione amministrativa soprattutto quando quest' ultima sia connotata da ragioni di urgenza; ed invece
l' occupazione anticipata, proprio per la sua natura di atto eccezionale che accelera il processo di
affievolimento del diritto di proprietà dovrebbe essere legittimata, per un ineludibile principio di
civiltà giuridica, con l' assolvimento di un onere motivazionale che dia conto dell' urgenza qualificata.
Ed invece è stato affermato che " inseguito alla entrata in vigore del T.U. espropriazione per
pubblica utilità in presenza di presupposti procedimentali prescritti per l' ordinanza di occupazione (
il vincolo preordinato all' esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità; nel sistema del T.U. è
divenuta infatti irrilevante una specifica dichiarazione di indifferibilità ed urgenza, rilevante invece nel
precedente sistema per ragioni storiche ma di per sé sussistente in re ipsa ) l' Amministrazione ben
può immettersi senz' altro nel possesso dell' area in esecuzione dell' ordinanza, per realizzare le opere
per le quali vi è stata l' approvazione del progetto e lo stanziamento delle relative risorse ".3
Tale ricostruzione dell' art. 22 bis non convince soprattutto se la si raffronta con l' indirizzo reso da
diversi Tribunali Amministrativi Regionali, teso a sostenere la necessità di una motivazione analitica
che dia conto di una urgenza qualificata doppia. Nelle intenzioni del legislatore infatti l'
Amministrazione occupante è tenuta non solo a provare la particolare natura dell' opera, ma a
dimostrare la particolare urgenza che giustifichi la disposta occupazione; se così non fosse,
risulterebbe legittimo anche un provvedimento di occupazione la cui urgenza discenda da colpevoli
ritardi dell' Amministrazione.
L' eccezionalità del provvedimento dunque impone un controllo, al contempo di legittimità e di merito,
cioè finalizzato a verificare i profili di ragionevolezza e di logicità sulla scelta dell' Autorità
occupante; tale controllo è esercitato dal giudice amministrativo, soprattutto nella parte del
provvedimento in cui l' Amministrazione dovrebbe evidenziare la sussistenza dei presupposti di fatto
e di diritto; assume pertanto una rilevanza centrale il requisito dell' urgenza.
Su questo aspetto il legislatore fornisce solo un esempio espresso di urgenza nella parte in cui al
Comma 2 della lett. a) dell' art. 22 bis, sancisce l' applicabilità della procedura agli interventi di cui
alla Legge 21 dicembre 2001, n° 443.
Eppure vista la connotazione profondamente lesiva del decreto di occupazione, sarebbe stato
preferibile, spostando un criterio di certezza, tipizzare tassativamente, in sede normativa, le
3Cons. di Stato, Sez. IV, 29 maggio 2009, n° 3550 in Lexitalia.it, n° 6
Su tutte V.Tar Calabria, di Reggio Calabria,3 ottobre 2005,n° 1745
83
fattispecie nelle quali possa farsi legittima applicazione dell' istituto; in assenza di criteri certi che
orientino il giudice amministrativo nell' indagine sulla urgenza qualificata, l' Amministrazione opera
sulla base di un margine eccessivo di discrezionalità che in prospettiva è difficile ritrovare.4
La compatibilità dell' istituto dell' occupazione d' urgenza con le garanzie procedimentali dipende
dalla qualificazione giuridica che si intenda attribuire al concetto di urgenza; l'urgenza infatti
ponendosi come condizione di procedibilità dell' occupazione diventa al contempo l' unico strumento di
garanzia degli interessi del privato in un contesto procedimentale che deroga agli standards
partecipativi ordinari.
X. La motivazione dell' atto ablatorio come garanzia primaria delle procedure di
urgenza
Affinché l' urgenza non si risolva in mero mezzo di legittimazione dell' azione amministrativa ablatoria
ma svolga contestualmente la funzione garantista che l' ordinamento le affida, non può che esservi una
stretta connessione fra l' urgenza stessa e l' obbligo di motivazione. Occorre tuttavia premettere che
esiste in Italia un indirizzo giurisprudenziale, peraltro già richiamato, che nega la necessità di motivare
l' urgenza; se si spostasse la causa, l'intera impalcatura garantista cadrebbe ed il concetto di urgenza
resterebbe in piedi a solo uso e consumo dell' Amministrazione che potrebbe invocarne la sussistenza
senza essere gravate da particolari oneri probatori.
Non può però condividersi questa impostazione perché nega in radice quell' esigenza di tutela della
sfera del privato, senza la quale l'azione amministrativa acquisisce una caratterizzazione esasperatamente
unilaterale. Del resto questa impostazione immagina una centralità assoluta della dichiarazione di
pubblica utilità, rispetto alla quale l' occupazione rappresenterebbe un mero momento attuativo;
trattasi di un indirizzo che valorizza un principio di continuità fra il T.U. di cui al D.P.R. n° 327/2001
ed il previgente modello espropriativo nel quale " l' ordinanza di occupazione di urgenza riguardava
una fase puramente attuativa di quella riguardante la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità
ed urgenza dei lavori, con la conseguenza che era sufficiente l' espresso richiamo a tale dichiarazione,
che ne costituisca l' unico presupposto.
E' ad oggi infatti decisamente minoritario l' indirizzo giurisprudenziale secondo cui il decreto di
occupazione d' urgenza deve essere " congruamente motivato in ordine alle oggettive ragioni che
denotano la conclamata urgenza dell' intervento, potendo tale obbligo motivazionale escludersi nei soli
casi in cui questa risulti in re ipsa dalla natura stessa dell' intervento ", cfr. Cons. di Stato,Sez. IV, 19
gennaio 2011, n° 385,in Lexitalia.it, I, 2011, nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. IV,22 maggio 2008, n°
2459
4 in Lexitalia.it, 10, 2005, Tar Sicilia,Palermo,Sez. II. 17 maggio 2005, n° 778, in Lexitalia.it,5, 2005
84
Su questa base si è precisato che " anche a seguito dell' entrata in vigore dell' art. 22 bis del T.U.
sugli espropri va considerata sufficiente la motivazione dell' ordinanza di occupazione, che rilevi
l'urgenza di consentire la realizzazione delle opere previste nella dichiarazione di Pubblica utilità ". 5
Occorre osservare tuttavia che l' inquadramento dell' occupazione come semplice mezzo per la
traduzione in atto della dichiarazione di pubblica utilità riproporre i limiti già affrontati in tema
garanzie connesse alla dichiarazione di p.u.; in astratto la preferenza riconosciuta agli atti prodromici
come momenti procedimentali a partecipazione necessaria ha un suo senso giuridico perché la
caratterizzazione acceleratoria dell' occupazione dovrebbe imporre la rinuncia al coinvolgimento del
privato. Tuttavia questa scelta ordinamentale si scontra con la qualità della partecipazione nei momenti
procedimentali contenenti le scelte programmatorie.
La limitata incidenza che l' apporto collaborativo del privato esercita sul contenuto degli strumenti di
pianificazione urbanistica fa in modo che la teoria dell' accessorietà dell' occupazione rispetto agli
atti presupposti si risolva in una legittimazione di una attività amministrativa scevra da reali garanzie;
infatti anche il requisito dell' urgenza, lungi da essere congruamente esplicitato finisce con l' essere l'
espressione di una motivazione per " relationem "
L' importanza dell' opera da realizzare e la consequenziale improcrastinabilità della stessa non devono
essere ricercate nel decreto di occupazione avente natura esclusivamente attuativa, essendo previste
all' interno di un atto di pianificazione spesso risalente nel tempo ed adottato in assenza di un
effettivo contradditorio procedimentale. L' affermazione di urgenza qualificata come requisito essenziale
dell'istituto riconosce implicitamente al privato l' ulteriore garanzia fondata sul dovere di motivare da
parte dell' Amministrazione; 6 la motivazione infatti è l' unica opportunità di controllo per il privato
rispetto alla congruità delle valutazioni rese dall' Amministrazione.
La doverosità della motivazione sui profili di urgenza implica però la necessità di chiarire i
presupposti di fatto e di diritto per ritenere sussistere l' urgenza stessa.
5 Cons. Stato,Sez. IV, 29 maggio 2009,n° 2250, in Lexitalia.it; Cons. Stato,Sez. IV, 29 maggio 2009, n° 3350, it.
G.TAGLIENTI, " Occupazione di urgenza preordinata all' esproprio, in Giustizia amministrativa. it
F.PUGLIESE, L' occupazione preliminare nel procedimento espropriativo , Napoli, 1984
F.PUGLIESE, L'occupazione preliminare, cit. p.37
85
XI. La definizione del concetto di urgenza
Senza la definizione dei presupposti il rischio è che l' urgenza riproponga la vacuità che la dottrina
ebbe modo di riscontrare già nel concetto di indifferibilità ed urgenza.
Il punto di partenza è il legame, irrinunciabile fra la presunta urgenza e la gravità insita nella
fattispecie ablatoria; senza questa condizione, l' occupazione, come già fu affermato, finisce con l'
essere " piuttosto rivolta ad ovviare alla ritenuta lentezza del procedimento espropriativo ",
mostrandosi come un procedimento autonomo dall' espropriazione della quale ripropone, in tempi più
celeri, le stesse lacune partecipative.
Il sistema di garanzie che l' ordinamento offre rispetto all' occupazione anticipata espone la sfera
giuridica del privato a conseguenze che travalicano il profilo funzionale dell' istituto stesso ed il
carattere interinale dell' occupazione esprime una valenza meramente teorica se si considera che la
definitività propria del solo decreto di esproprio si produce contestualmente al momento occupatorio
grazie alla consumazione di effetti che la giurisprudenza considera irreversibili. Basti pensare che la
stessa generale applicabilità dell' acquisizione sanante è stata messa in discussione rispetto a
fattispecie di opere realizzate e già entrate a far parte del demanio stradale per le quali, seppur con
argomentazioni non condivisibili, si continua a parlare di occupazione acquisitiva.
Rispetto a vicende come quella richiamata, caratterizzate cioè dalla totale assenza di atti amministrativi
idonei a produrre l' effetto traslativo, l' occupazione crea dei presupposti per un trasferimento di
proprietà privo di garanzie; la definitività di fatto dell' occupazione anticipata fa in modo che la
proprietà sia acquisita in un sub-procedimento che non deve essere congruamente motivato e che in
virtù di generiche ragioni di urgenza, prescinde dal coinvolgimento del privato anche se la
dequotazione delle garanzie partecipative non dovrebbe tradursi in un espediente giuridico per
anticipare i tempi per l' acquisizione della proprietà privata. La riduzione dei tempi del procedimento
deve essere letta in connessione con l' urgenza qualificata.
Solo la dimostrazione di improcrastinabili ragioni di urgenza può giustificare un " deficit "
amministrativo; l' urgenza qualificata infatti costituirebbe un' espressione dell' interesse pubblico e al
contempo una condizione imprescindibile per il compimento di quel sacrificio giuridico che l'
ordinamento chiede al privato nell' acquisirne la proprietà privata. Perché l' equilibrio fra interesse
pubblico ed interesse privato possa essere conservato anche all' interno di una procedura
acceleratoria, non può prescindersi da un esame analitico delle ragioni addotte dall' Amministrazione
a sostegno della presunta urgenza. A tal fine è il caso di ritenere che il controllo in sede processuale
sia, nella prospettiva rimediale, decisamente preferibile all' opzione procedimentale, naturalmente
preferibile all' opzione procedimentale, naturalmente incompatibile con una azione amministrativa che
deroghi, nel suo svolgimento, ai tempi ordinari.
6 Cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. III, 18 gennaio 2012, n° 554, in Lexitalia.it
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Un controllo " ex post " in sede giurisdizionale dovrebbe però contemplare un sindacato di merito
che valuti la congruità dell' iter logico valutativo seguito dall' Amministrazione nel dichiarare le ragioni
dell' urgenza; appare in quest' ottica come la soluzione ordinamentale più ragionevole, perchè più
idonea ad assicurare il bilanciamento degli interessi, quella proposta dal modello statunitense che fa
salva la discrezionalità della decisione amministrativa per poi sottoporla ad un sindacato di " hard
look ".
XII. " La quick take procedure " statunitense
Il modello americano contempla, nella disciplina dei takings, l' istituto della " quick take procedure ", i
cui presupposti sono disciplinati dalle singole legislazioni statali. 7
L' Amministrazione comunale di Baltimora decise nel 2006, di avviare un progetto di riqualificazione
che comprendeva l' espropriazione di una serie di immobili della " Charles Street ", sorti sull' area che
avrebbe ospitato un nuovo centro commerciale.8
L' Autorità amministrativa faceva ampio affidamento sul principio della corrispondenza fra " economic
development " e " public use ", affermato dalla Corte Suprema nel caso di Kelo, confortata dalla
costituzionalità dell' esproprio a favore dei privati, la città di Baltimora, intendeva avviare con celerità
il procedimento espropriativo.
A tal fine l' Amministrazione chiese alla Corte competente per territorio che i privati espropriandi
fossero sottoposti alla procedura di " quick take condemnation ".
Gli atti di un procedimento amministrativo non hanno, nel sistema U.S.A., efficacia esecutiva
immediata; pertanto, perché un decreto di esproprio possa produrre effetti traslativi, nell' ipotesi di
mancata acquiescenza del privato proprietario, è necessario che la P.A. avvii una procedura di
“inverse condemnation ".
Si instaura in tal modo un giudizio di cognizione piena all' esito del quale l'Autorità giudiziaria,
ravvisata la presenza di ragioni di " public use ", condanna il privato opponente alla cessione del suo
diritto di proprietà. Nella fattispecie la città di Baltimora intendeva occupare anticipatamente l' area in
questione, proponendo l' azione di " quick take condemnation "; a tale richiesta si era opposto George
Valsamaki proprietario di uno degli immobili espropriandi, lamentando l' assoluta carenza di
presupposti di fatto e di diritto per l' applicazione dell' occupazione di urgenza dal momento che l'
Amministrazione non aveva fornito alcuna motivazione che provasse la " necessity " di una simile
proposta accelleratoria.
7 D.J. MITCHELL, Amended quick take hill head to the house, the advocate. com, 5, 2012
8Mayor and City Council of Baltimore city v. G.Valsamaki, n° 55, 298006008, 2007
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Tale omissione costituiva una palese violazione del Parag. 21 del " Code of Public Local Law of
Baltimore City " secondo cui " whenever any proceeding are instituted under title 12 of the Real
Property Article of Public General Council of Baltimore for the acquisition of any property for any
public purpose whatsoever, the Mayor and city council of Baltimore simultaneously with the fling of
said proceeding or at any time the after, may file a petition understating that is necessary for the
City have immediate possession of ore immediate title to and possession of said property and the
reason therefor."
Disapplicando la norma statutaria qui richiamata, l' Amministrazione espropriante aveva ritenuto che l'
esistenza di un " economic development " e la sua conformità al " Plan " vigente fossero ragioni
sufficienti per disporre l' occupazione anticipata degli immobili.
La " Circuit Court " in primo grado aveva rigettato la richiesta di occupazione d' urgenza formulata dall'
Amministrazione, ritenendo vincolanti, e come tali inderogabili, le disposizioni del " Code of Public
Local law " vigente.
La " Court of Appeals " del Maryland confermò la decisione di primo grado sul presupposto " that
pursuant to 21 - 16 of the Public Local Law of Baltimore City, the City, the City failed to provide
sufficient reason for its immediate possession of and title to the subject property ".
Nell’ impianto motivazionale della sentenza fu evidenziato che “ the opportunities to challenge a
condemnation are shorter and truncated when quick take condemnations is used as apposed to
regular condemnation ".
Nel formulare tale tesi la " Court of Appeal " aveva reso una interpretazione della norma del " Conde
of Public Local Law ", conforme ai criteri di ragionevolezza ed imparzialità dell' azione amministrativa.
La " quick take procedure " non poteva diventare l' espediente adottato dalle P.A. per aggirare i
tempi e le regole del procedimento ordinario; a riguardo la tesi audacemente sostenuta dall'
Amministrazione della città di Baltimora era che l' opzione per l'occupazione di urgenza fosse una
opzione di una scelta discrezionale, come se il rapporto fra l'ordinario procedimento di " taking
property " e la " quick take " si fondasse su di un regime di alternatività. Ed invece, ricondotto a
parametri di legittimità, il rapporto tra " taking property " e " quick take " configura quest' ultima
come un momento procedimentale eccezionale, di cui la " necessity ossia dell' urgenza qualificata, l'
ordinamento U.S.A. si preoccupa di rendere una interpretazione puntuale ed intellegibile, benché
variabile, nei contenuti, all' interno delle diverse legislazioni statali. Nei sistemi legislativi richiamati
la " necessity " è implicita nella volontà dell' Amministrazione di pagare anticipatamente il valore dell'
area. Alla luce di questi ed altri modelli offerti dalla legislazione statale U.S.A.,sarebbe più opportuno
e linguisticamente corretto parlare , a proposito della " quick take " di procedura espropriativa d'
urgenza piuttosto che di occupazione d' urgenza; non si tratta di una mera questione di rilevanza
lessicale.
La " quick take " non ha vincoli giuridici che la leghino alla " taking property " e l' urgenza
qualificata, pur giustificando la riduzione dei tempi dell' azione amministrativa ablatoria, non
mortifica le esigenze partecipative vantate dal privato.
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Ciascun sistema statale assicura, nella sua legislazione, il bilanciamento dei succitati principi; cio' che
cambia,a seconda della tipologia procedimentale in atto, è l' oggetto delle contestazioni formulate dal
privato in sede procedimentale.
Nell' ipotesi di procedimento ordinario di " taking property ", il privato è coinvolto, nella fase di "
hearing ", ai fini della contestazione del profilo del " public use " cioè in relazione alla natura dell'opera
che l ' Amministrazione intenda realizzare ; qualora invece l' Amministrazione espropriante intenda
procedere secondo le regole del " quick take ",il privato può, esercitando il diritto della
partecipazione, lamentare la carenza dell' indefettibile requisito della 2necessity ";su questi presupposti
si inseriscono i modelli partecipativi statali decisamente peculiari. La " eminent domain law " del North
Dakota ad esempio prevede che i " landowners may contest the use or necessity of the taking of
their land. If the landower contest these issue, the court will schedule a separate hearing to
determine these question under state law, a judge must decide the legal question of use or
necessity. The landownerand the condemnatory each appeal the decision of the judge to the North
Dakota Supreme Court if they are not satisfied with the judges decision "
La norma è particolarmente interessante perché crea una insolita connessione tra procedimento e
processo; qualora infatti oggetto dell' impugnativa del privato sia la legittimità del procedimento di "
quick take ", la Corte competente per territorio, fissa una udienza per l' audizione del soggetto
interessato.
In questa soluzione normativa l' apporto collaborativo del privato non si riduce ad un mero
adempimento formale giacché il controllo sulla integrità del contradditorio procedimentale spetta
all' Autorità giurisdizionale. Esistono tuttavia, accanto a soluzioni normative fin qui richiamate,scelte
legislative statali che disciplinano la " quick take procedure " come fase eventuale di un ordinario
procedimento di " taking property ". In queste ipotesi normative l' amministrazione espropriante,
senza attendere le lungaggini della fase giudiziale di fissazione della " compensation ", può provvedere
ad una immissione in possesso anticipata, previa autorizzazione da parte dell' Autorità giurisdizionale; è
evidente pertanto che l'Amministrazione procedente debba fornire in ogni caso la prova della "
necessity ". Abbiamo avuto già modo di evidenziare sul punto la profonda differenza di senso giuridico
che divide il concetto di " necessity " dalla categoria italiana dell' urgenza qualificata, Non ci siamo
tuttavia soffermati sulle conseguenze ordinamentali prodotte dalle diverse discipline normative.
Se si parte dal presupposto della eccezionalità, indiscutibile, delle procedure ablatorie d' urgenza,la "
necessity ", si appalesa, nell' ottica del rispetto delle garanzie procedurali, come l' unico strumento
giuridico in grado di legittimare la deroga alle regole ordinarie.
Se vi è ciò la prova della " necessity ", l'Autorità Pubblica ben può acquisire la proprietà privata
secondo tempi e modi diversi da quelli fisiologici; si badi bene però che la deroga in quanto tale si
traduce nell' abbreviazione dei tempi, senza però compromettere le modalità legittime di esternazione
del potere; la " quick take procedure " è comunque un procedimento, che in presenza dei presupposti
di legge, deve concludersi entro taluni termini decadenziali affinché l' acquisizione anticipata della
proprietà privata trovi giustificazione e fondamento giuridico in un atto amministrativo valido ed
efficace.
89
Ed invece la prospettiva si ribalta nell' ordinamento italiano laddove, di fatto, la categoria dell'urgenza
qualificata,ed ancor prima la categoria indifferibilità e dell' urgenza, lungi dall' essere strumenti di
garanzia, hanno rappresentato il presupposto per la creazione di figure giuridiche ibride. Alludiamo ai
famigerati comportamenti delle Pubbliche amministrazioni.8
La linea di confine può dunque essere individuata nella rilevanza riconosciuta al requisito oggettivo della
" necessity ".
Mentre infatti il modello italiano tende frettolosamente all' inglobare l' urgenza nell'interesse pubblico
con mere formule di stile, il diritto statale U.S.A. prevede, in tutte le sue espressioni legislative, l'
obbligo di esternare compiutamente le ragioni della " necessity " nell' impianto motivazionale di un
provvedimento occupatorio; vi è dunque uno standard soddisfacente di garanzie partecipative che nel
modello italiano non è dato di riscontrare; la ragione può cogliersi nell' interpretazione assolutamente
contradditoria che spesso investe il decreto di occupazione d'urgenza che proprio per la sua
autonomia funzionale rispetto al decreto di esproprio, esprime una forte valenza lesiva; ciononostante
la previsione delle garanzie che dovrebbero essere connesse all'urgenza è compromessa dalla
natura di atto meramente esecutivo che al decreto di occupazione è attribuita. A fronte di questa ed
altre già esaminate lacune ordinamentali, viene spontaneo chiedersi se l' applicazione dell' istituto
della cessione volontaria non possa essere, in virtù della sua vocazione negoziale, la soluzione più
adatta per assicurare,nel rapporto costante fra interesse pubblico ed interesse privato, quell' equilibrio
che, specie i Italia, le procedure ablatorie di tipo autoritativo non riescono a determinare.
Tuttavia la comparazione non rivela, nelle diverse discipline dell' espropriazione condivisa, quell' uguale
livello di garanzie che sarebbe lecito attendersi considerando quelli che sono, o dovrebbero essere, i
profili funzionali dell'istituto.
XII.Le garanzie nell' espropriazione condivisa: cessione volontaria e " purchase
by agreement "
Nell' ordinamento inglese l' espropriazione richiesta dal privato preesiste al " compulsory purchase ".
K' istituto che gli inglesi definiscono " purchase by agreement " fu introdotto nell' ordinamento britannico
dall' Open Spaces Act " del lontano 1906; all' epoca l' espropriazione della proprietà privata per
ragioni di p.u. era ammessa solamente in presenza di una manifestazione del consenso da parte del
soggetto espropriando e non poteva aver luogo secondo le regole di tipo coattivo.
8 S.BENINI, I comportamenti delle P.A., le occupazioni illegittime della P.A.,
A.CARIOLA-G.D'ALLURA-F.FLORIO I comportamenti delle P.A. ,Torino,2006
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La cessione volontaria conosciuta dal sistema inglese si presenta in vesti giuridiche assai simili a
quella della dottrina italiana di fine '800 definiva vendita obbligatoria; basti pensare che il giurista
inglese parla di vendita " under the shadow of compulsory purchase power " ossia di vendita conclusa
dietro l'ombra dei poteri ablatori riconosciuti all' Amministrazione.
La traduzione letterale dell' espressione coniata dal diritto inglese evidenzia le aporie logiche e
giuridiche di un istituto che, per come interpretato, suscita non poche perplessità dal momento che
non può condividersi l' idea secondo la quale una manifestazione del consenso possa avere come
presupposto l' esercizio, da parte della P.A. di un potere di tipo coercitivo. La volontà di contrarre, che è
espressione della volontà negoziale, mal si concilia con la imposizione, proveniente dall' alto, dell'
obbligo di cedere la proprietà; ciò rende difficile l' inquadramento sistematico dell' istituto e la
conseguente individuazione della sua natura giuridica.
La purchase by agreement si concilia piuttosto facilmente sia con il modello d' origine della
espropriazione inglese, esasperatamente conservatore, sia con le evoluzioni storiche che in parte hanno
modificato la giustificazione giuridica dell' istituto.
All' inizio del XX secolo, di fatto, la " compulsory purchase " si distingueva ben poco dalla " purchase
by agreement " per la comune centralità attribuita all' elemento del consenso del privato proprietario;
nell' espropriazione ordinaria si era di fronte ad un consenso indotto, in un certo senso necessitato,
a differenza di quanto avveniva in una fattispecie espropriativa conclusa " by agreement ".
Quando poi le vicende storiche già descritte e le nuove scelte normative del legislatore inglese hanno
in parte rinnegato la concezione negoziale dell' espropriazione,la distinzione fra l' espropriazione
ordinaria e la cessione volontaria ha iniziato ad essere più netta e facilmente percepibile. In Italia il
problema è più complesso giacché fatta eccezione per le tentazioni conservatrici di stampo anglofilo
maturate nel secondo '800 e sfociate nella già affrontata teoria della vendita obbligatoria , la
costruzione del diritto amministrativo è avvenuto secondo canoni tradizionali in virtù dei quali il dogma
della autoritatività della P.A. e dei limiti che, in nome dell' interesse pubblico possono essere posti
alla libertà dell' individuo, giustifica pienamente il sacrificio di un diritto di proprietà.
Diventa più difficile dar conto di un provvedimento ablatorio concordato tra le parti o,nella prospettiva
civilistica, di un negozio giuridico nel quale si assiste a manifestazioni di consenso diverse fra loro.
Viene spontaneo chiedersi, come punto di partenza, se l' atto di cessione volontaria, sia un negozio
giuridico nel quale si assista a manifestazioni di consenso diverse fra loro.
La credibilità della prima ipotesi risulta fortemente ridimensionata dalle parole del legislatore; secondo
la legislazione vigente infatti, l' atto di cessione volontaria può intervenire fino a quando non vi sia
emanato un decreto definitivo di esproprio; ciò presuppone,a monte, l' esistenza di un procedimento
ablatorio già avviato.
Non siamo così di fronte ad un consenso puro del privato, ma ad una volontà di rinunciare,a condizioni
diverse da quelle ordinariamente imposte. ad un diritto dominicale già affievolito; di provvedimento
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amministrativo sui generis pare più opportuno parlare, soprattutto se si considera che la disciplina
vigente della cessione volontaria ben poco si distingue, sul piano delle garanzie, da un ordinario decreto
di esproprio. L' istituto della cessione volontaria suggerisce tuttavia ulteriori spazi di riflessione quanto
al profilo dell' incontro tra volontà del privato e volontà dell' Amministrazione; la storia dei modelli
giuridici induce ad inquadrare la cessione volontaria come una modalità di definizione del
procedimento di tipo non autoritativo e come tale riconducibile più facilmente alla famiglia del "
common law ".
E' in ogni caso arbitrario individuare in una presunta natura consensuale della cessione volontaria l'
elemento di più significativa peculiarità dell' istituto; si tratta in ogni caso di un consenso ibrido,
indotto sostanzialmente da una manifestazione di volontà dell' Amministrazione che si esprime però, e
questo è il reale elemento di differenziazione, attraverso modalità alternative al procedimento
ordinario. Ciò che conta è capire se la forma sia i grado di produrre effetti sostanziali, se cioè il fatto
di acquisire la proprietà privata sulla base di un accordo e non di un provvedimento unilaterale,
possa incidere in senso effettivo sul livello delle garanzie; a riguardo la disciplina italiana della cessione
volontaria evidenzia, chiaramente, l' approssimazione di una interpretazione dell' istituto secondo
schemi di lettura civilistici.
Infatti, l' art. 45 del D.P.R. n° 327 del 2001 dispone che " Fin da quando è dichiarata la pubblica utilità
dell' opera e fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio, il proprietario ha diritto di
concludere col soggetto beneficiario dell' espropriazione un accordo di cessione del bene o della sua
quota di proprietà.
L' accordo si inserisce in una dinamica procedimentale già avviata dall' Amministrazione al fine di
acquisire, in modo coattivo, la proprietà privata; ciò vuol dire che la cessione volontaria configuri una
ipotesi d accordo sostitutivo di provvedimento piuttosto che un negozio di diritto pubblico, e quindi
rappresenti comunque un " modus decadenti" della P.A., del resto il consolidamento della concezione
pubblicistica della cessione volontaria viene da lontano.
Già la Legge n° 865 del 1971 proponeva la cessione volontaria come tipologia provvedimentale
alternativa, rilevante soprattutto ai fini della fissazione dell' indennità.
L' art. 12 della predetta legge prevedeva che " i proprietari entro trenta giorni dalla notificazione dell'
avviso di cui al IV comma dell' art. 11 possono convenire con l' espropriante la cessione volontaria
degli immobili per un prezzo non superiore al 10 % all' indennità provvisoria ".Di visione negoziale
della cessione può convintamente parlarsi solo con riferimento alla Legge n° 2359 / 1865 che
immaginava la fissazione del' indennità all' interno di una libera contrattazione di compravendita.
In ciò è stata individuata la linea di confine tra la precedente impostazione normativa e quella
sviluppatasi a partire dagli anni '70; si è messa da parte la volontà legislativa che " lasciava alle parti
piena libertà di negoziare, nella fiducia che l' accordo si sarebbe stabilito nel naturale punto di
incontro tra la domanda e l' offerta; mentre la legge n° 865 ritiene che la giustizia risieda nel prezzo
nel prezzo d' impero e diffida dalle pattuizioni che da esso troppo sensibilmente si discostino ".La
richiamata riflessione aiuta a capire quanto profondo sia stato il cambiamento che ha caratterizzato
la disciplina dell' istituto e dei suoi profili funzionali;la natura negoziale implicitamente sostenuta dal
92
legislatore del 1865 si colloca perfettamente in un contesto storico ancora restio a riconoscere il
principio di autoritatività degli atti della P.A.
In quella prospettiva storica e giuridica è condivisibile l' idea che la cessione volontaria esuli dal
contesto del procedimento espropriativo ordinario e rappresenti una fattispecie a carattere negoziale;
questa interpretazione diventa tuttavia decisamente improponibile quando il legislatore della Legge
n° 2359 riduce, di fatto, la cessione volontaria a potenziale strumento migliorativo delle pretese
indennitarie vantate dal privato. Può ritenersi che le alterne fortune della cessione volontaria
rispecchino i mutamenti che, nel tempo, hanno caratterizzato l' evoluzione, o meglio, la trasformazione
dell' espropriazione per pubblica utilità. Più l' espropriazione ha assunto i caratteri di una tipica
manifestazione autoritativa della P.A., più la cessione volontaria ha perso,gradualmente quelle
prerogative negoziali e di garanzia che avevano segnato la sua genesi. La storica propensione dell'
ordinamento inglese per le fattispecie negoziali ha fatto in modo che l' istituto della cessione
volontaria fosse, fin dall' età del XIX secolo,una frequente modalità di conclusione dei procedimenti
espropriativa. Nonostante tuttavia il legislatore inglese inquadri la " purchase by agreement " come
un momento procedimentale eventuale, la dottrina giuridica incontra, ancor oggi, non poche difficoltà
nello stabilire la natura giuridica di un " order " generato da un consenso delle parti, o meglio nel
conciliare la definizione di " contract " con la collocazione dell' "agreement" all' interno di un
procedimento espropriativo. Se è vero che la " an agreement night he made at any stage following
the confirmation of a compulsory purchase " dovrebbe derivarne, applicando il criterio argomentativo
poc' anzi usato a proposito dell' Italia, che l' agreement abbia natura decisamente pubblicistica.
Ed invece la Giurisprudenza inglese, nel tempo, ha più volte ribadito che " the notice to treat and
the agreement to the price constitute a statutory contract which is inforceable "; ciò dimostra come
l' ordinamento inglese riconosca alla " purchase by agreement ", seppur nell' ambito di una
fattispecie procedimentale, una valenza contrattuale che incide, in modo significativo, sul regime delle
regole da applicare. E' stato a riguardo osservato che " where no notice to treat has been served by
the autority, and un agreement is made, the agreement will only be inforceable if it complies with
the provisions of section 2 of the law of property Act 1989. Section 2 of the 1989 Act was enacted to
replase section 40 of the law the property Act 1925, which provided that no agreement for the
sale or other disposition of land could be enforce unless there was some memorandum or note in
writing evidencing the agreement. It has been held that compliants with agreed a price, and where a
notice to treat where the parties have agreed a price, and where a notice to treat has been
served on the owner by the authority ".
L' individuazione della natura della cessione volontaria rileva anche ai fini dei profili patologici del
rapporto giuridico; la non negoziabilità dell' indennizzo suggerisce infatti forti dubbi sulla possibilità
dell' inquadramento dell' istituto quale negozio giuridico.
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Le difficoltà che scaturiscono dalla disciplina italiana dell' istituto riguardano per esempio l' applicabilità
o meno all' atto di cessione delle categorie privatistiche della rescissione e della risoluzione piuttosto
che atti quali l' annullamento o la revoca rientranti nell' esercizio del potere di autotutela; optare per
l' una o per l' altra soluzione ermeneutica , significa propendere per il riconoscimento di una
contrattazione da parte della P.A. conclusa " iure privatorum ", piuttosto che per l' attribuzione alla
stessa P.A. di una sfera di autoritatività seppure ibrida.
La scelta fra le due opzioni è strettamente legata alla valutazione dei profili funzionali dell' istituto. Si
tratta di una scelta difficile perché condizionata da una impostazione ordinamentale, quale è quella
italiana, che a differenza di quella inglese, non fa emergere caratteristiche di stretta negoziabilità dell'
istituto; sembra pertanto a dir poco approssimativo considerare la cessione volontaria come uno
strumento teso ad accorciare le distanze tra privato e P.A. In questo senso viene da dire che la
stessa terminologia giuridica possa indurre in errore; se infatti la scelta lessicale porta a parificare "
cessione volontaria " e " purchase by agreement ", le disposizioni normative rilevano una volontà
legislativa differente. In G.B. la " purchase by agreement " riflette la propensione di " common law "
a prediligere soluzioni procedimentali concordate, riducendo in modo significativo la sfera decisionale
di tipo autoritativo della P.A.; questa stessa visuale prospettica è attribuibile al già esaminato modello
italiano di fine '800, non certo all' istituto per come disciplinato dalla legislazione vigente che ha
rifiutato qualsiasi tentazione civilistica pura, riducendo al minimo la possibilità di una libera
contrattazione del privato.
Nella cessione volontaria vi è la sola differenza, peraltro non particolarmente significativa, dell'
anticipazione dei tempi dell' acquisizione di un diritto di proprietà, comunque compromesso, vista la
dubbia democraticità del nostro procedimento espropriativo.
L' unico effettivo vantaggio scaturente dal perfezionamento della cessione volontaria si realizza per l'
Amministrazione che si sottrae alle lungaggini della procedura di stima dell' indennità; ed allora diventa
inevitabile interrogarsi sulla valenza funzionale dell' istituto, teoricamente concepito per avvicinare le
parti, ma incapace di restituire al privato proprietario le garanzie che mancano nel procedimento
ordinario.9
L' alternativa al modello ordinario, di tipo autoritativo, dovrebbe essere , alla stregua di quanto è
contemplato nell' ordinamento inglese, la previsione di un regime di libera contrattazione che
subordini l' efficacia della cessione al raggiungimento dell' accordo fra privato ed Amministrazione
espropriante.
9 S.CASSESE, Procedimenti ablatori, in Le basi del diritto amministrativo,Torino, 1998,p. 275 e s.
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XIV. La garanzia indennitaria
La sostanziale identità autoritativa che accomuna l' espropriazione ordinaria alla cessione volontaria
induce a soffermarsi sul profilo indennitario, l' unico strumento di garanzia a cui l' ordinamento italiano
abbia nel tempo riconosciuto dignità giuridica 1.
E' stato sul punto osservato che " la cessione volontaria abbia ormai il suo perno e la sua ragione, più
che negli spazi lasciati all' accordo tra le parti, nell' offerta predeterminata e non contrattabile, di
compensi extra e di incentivi che premiano la docilità dell' espropriando e la sua arrendevolezza all'
esproprio in quanto tale ed alle offerte dell' espropriante. "
La disciplina italiana concernente il procedimento di stima dell' indennità di espropriazione è un utile e
prezioso ausilio alla nostra comparazione; non vi è dubbio infatti che confrontando le Norme del T.U.
concernenti questa fase dell' azione amministrativa ablatoria, con le precedenti tappe procedimentali
fin qui esaminate, emerga un maggior tasso di democraticità ed un incisivo favor del legislatore verso
un ampio coinvolgimento del privato.
Ancor prima di analizzare nel dettaglio le soluzioni normative italiane, occorre tuttavia anticipare che
sarebbe fuorviante l' idea di considerare la partecipazione del privato nel procedimento di stima dell'
indennità soltanto come un raro e condivisibile elemento di affinità con gli " standards " di
democraticità offerti dal modello di " common law ". Mentre le tipologie partecipative degli U.S.A. e,
soprattutto inglesi, vedono nella partecipazione l' espressione ordinamentale di una equiparazione tra
priva e Amministrazione, il modello partecipativo italiano si fa complice di una interpretazione
ordinamentale decisamente autoritativa e poco incline ad ipotesi di definizione del procedimento di
tipo negoziale. L' elemento di evidente differenziazione fra la fase qui considerata e l' impianto
complessivo del procedimento del procedimento espropriativo sta nella previsione di un modello
complesso di doppio grado, che distinge una fase necessaria di determinazione della indennità
provvisoria da una fase eventuale di determinazione dell' indennità definitiva. Il Comma 1 dell' art. 20
del DPR n° 327/2001 prevede che " Divenuto efficace l' atto che dichiara la pubblica utilità, entro i
successivi trenta giorni il promotore dell' espropriazione compila l' elenco dei beni da espropriare, con
una descrizione sommaria dei relativi proprietari ed indica le somme che offre per le loro
espropriazioni." La fase di stima dell' indennità provvisoria è dunque affidata all' Autorità espropriante
ma è altresì caratterizzata da norme che riconoscono il diritto di intervento del privato espropriando.
Il Comma 2 e 3 del citato art. 20 stabiliscono che " ove lo ritenga opportuno in considerazione dei dati
acquisiti e compatibilmente con le esigenze di celerità del procedimento, l' Autorità espropriante
invita il proprietario e, se del caso, il beneficiario dell' espropriazione a precisare , entro un termine
superiore a venti giorni ed eventualmente anche in base ad una relazione esplicativa, quale sia il
valore da attribuire all' area ai fini della determinazione della indennità di esproprio. Valutate le
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osservazioni degli interessati,, l' Autorità espropriante, anche avvalendosi degli Uffici degli Enti locali,
dell' Ufficio Tecnico Erariale o della Commissione provinciale prevista dall' art. 41, che intende
consultare, prima di emanare il decreto di esproprio, accerta il valore dell' area e determina in via
provvisoria la misura della indennità di espropriazione."
Lo spazio di intervento riconosciuto al privato è funzionale ad una celebre definizione del
procedimento; se infatti il dialogo procedimentale fa emergere un punto di incontro fra la proposta
dell' Amministrazione e le pretese del privato, l' iter procedimentale può concludersi con l' emanazione del
decreto di esproprio;in questo modo l' Amministrazione può scongiurare le lungaggini della fase
procedimentale eventuale di stima dell' indennità definitiva che comporta, come già anticipato, il
coinvolgimento di una Autorità terza, estranea all' organo emanante gli atti del procedimento. L' art. 21
del T.U. prevede che " se manca l' accordo sulla determinazione dell' indennità di espropriazione, l'
Autorità espropriante invita il proprietario interessato a mezzo di ufficiale giudiziario, a comunicare
entro i successivi venti giorni se intenda avvalersi per la determinazione dell' indennità, del procedimento
previsto nei seguenti comma. Nel caso di comunicazione positiva del proprietario, l' Autorità espropriante
nomina due tecnici, tra cui quello eventualmente già designato dal proprietario e fissa il termine entro il
quale va presentata la relazione da cui si evinca la stima del bene".
L' attività valutativa degli esperti si realizza in collaborazione con i privati interessati; il Comma 8
infatti sancisce che " gli interessati possono assistere alle operazioni anche tramite persone di loro
fiducia, formulare osservazioni orali e presentare memorie scritte e documenti, di cui i tecnici
tengono conto ".
Siamo di fronte ad uno dei rari passaggi, all' interno del T.U. dove sia possibile individuare un livello
adeguato di garanzie per il privato proprietario espropriato, attraverso previsioni che si affiancano per
contenuti alla norma di Legge fondamentale del1865 che già prevedeva la nomina del collegio
peritale; l' obiezione che è stata mossa da più parti a questa modalità di determinazione dell'
indennità è quella di allungare eccessivamente i tempi del provvedimento, soprattutto nelle ipotesi in
cui l' esproprio riguardi più aree appartenenti a diversi proprietari, con la conseguenza di un' attività
contemporanea di differenti collegi portatori di diversità di vedute.
Non è la prima volta che ci troviamo di fronte al problema della paralisi procedimentale generata dalla
troppa partecipazione; il coinvolgimento di una Autorità terza e imparziale all' interno di un
procedimento di tipo autoritativo diventa inevitabile quando l' attività l' attività dell' Autorità che
emana gli atti del procedimento non sia accompagnata dalle necessarie garanzie partecipative e
soprattutto quando la tipologia di sindacato giurisdizionale prevista da un ordinamento non sia in
grado di tutelare adeguatamente talune situazioni giuridiche soggettive.
1
D.CORLETTO, I procedimenti di determinazione dell' indennità di esproprio, In Commento sistematico al D.P.R. n° 327/2001
a cura di G.Sciullo, Torino, 2004, p. 223
A.PUBUSA, L' indennità di esproprio, note e sentenze della Corte costituzionale n° 283/1993A.GIACONIA,Indennità di
espropriazione a Cedu;la Corte costituzionale va oltre la giurisprudenza di Strasburgo,in Giustizia civ. 2011, fascic. 12 p. 2789
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La carenza di soluzioni di tipo negoziale all' interno del DPR n° 327/2001, visti i limiti della nostra
cessione volontaria, rendono inevitabili appesantimenti procedimentali qualora questi servano a
ridurre il tasso di autoritatività. A riguardo la centralità dell' elemento indennitario nel procedimento
espropriativo inglese affonda le sue radici nel " Lands Clauses Consolidation Act " del 1845 che
vietava " the taking of private property without compensation ".
Ciò che da allora ha sempre rappresentato motivo di riflessione per la dottrina e la giurisprudenza è
la definizione della compensation, se essa cioè dovesse considerarsi la mera espressione della
valutazione di mercato dell' area o fosse piuttosto il ristoro per la perdita patita dal privato non solo
della proprietà in sé, ma soprattutto dell' uso connesso alla proprietà violata.
Su quest' ultimo aspetto già la giurisprudenza del primo '900 evidenziava " that expression included
not only the price for the land but also any injurious affection to retined land "; la valutazione dell'
indennità era legata alla dimensione dell' interesse del privato proprietario leso atteso che " it is not
the interest which has been acquired by the acquirings authority that has to be estimated, but the
value of the interest taken from the person with whom the authority deals ".
Ciò significa che l' importo della indennità non debba essere commisurato al valore dell' opera pubblica
da realizzare ma quantificato tenendo conto della rilevanza dell' interesse legittimo del privato
espropriato.
La considerazione della consistenza giuridica del diritto fatto valere dal privato rappresenta, non solo
limitatamente al profilo indennitario, l'aspetto di evidente differenziazione fra il modello italiano ed il
“common law "; il peso specifico che il diritto di proprietà smarrisce dinanzi alla compressione della
iniziativa pubblica, trasformandosi in diritto affievolito, dovrebbe essere recuperato nella fase del
ristoro indennitario.
Il compimento dell' esproprio essendo, come già visto, espressione di un sacrificio piuttosto che di una
sanzione, dovrebbe pertanto essere accompagnato da una valutazione premiale ispirata da criteri sia
statici che dinamici; in sostanza il pregiudizio sofferto dal privato deve essere commisurato non solo
tenendo conto della rilevanza intrinseca al diritto di proprietà, ma anche commisurando i benefici
scaturenti per il privato proprietario dal godimento di una proprietà che sia stata espropriata.
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CONSIDERAZIONI FINALI
Con il presente lavoro si è cercato di mettere in discussione i tradizionali principi fondanti la distinzione
tra modelli giuridici caratterizzati o meno dal riconoscimento del diritto amministrativo.
L' evoluzione della " compulsory purchase " dimostra che anche Oltremanica l' azione invasiva del
pubblico potere è giunta a comprimere il diritto di proprietà per ragioni di interesse pubblico fin dai
tempi in cui la dottrina inglese era apertamente ostile alla scienza del diritto amministrativo.
Le differenze più significative devono piuttosto essere ricercate nel diverso livello di garanzie
ordinamentali poste a tutela del diritto di proprietà.
Su questo aspetto non può non registrarsi una regressione nel modello italiano segnato, nel passaggio
dal modello liberale di fine '800 al modello repubblicano del secondo dopoguerra, dall' affermazione di
un principio di autoritatività non equilibrato da strumenti adeguati di partecipazione.
Tuttavia, la concezione della procedura ablatoria come vendita obbligatoria, maturata nell' epoca liberale,
si prestava sul piano dell' interpretazione, ad incongruenze logiche e giuridiche insuperabili che abbiamo
già avuto modo di evidenziare.
La pubblicazione italiana del procedimento espropriativo in astratto condivisibile, non è stata
accompagnata dal riconoscimento del peso giuridico del diritto di proprietà tanto nella sede
procedimentale quanto nell' ambito processuale.
La storia italiana dell' espropriazione per pubblica utilità caratterizzata da debolezze ordinamentali
tanto procedimentali quanto processuali ci ha indotto a ricercare la migliore soluzione per ridurre il
deficit di garanzie partecipative che distingue l' Italia dagli altri modelli presi in considerazione; si sono
poste a riguardo due distinte problematiche, l' una di ordine pratico, l' altra di natura strettamente
teorica. Il profilo di ordine pratico è quello legato alla consolidata lentezza dell'azione amministrativa
italiana che induce a respingere l' ipotesi di un modello procedimentale complesso sulla scia della
“compulsory purchase " inglese; in assenza di plausibili alternative l' unica soluzione possibile è la già
auspicata apertura del giudice amministrativo al sindacato di merito nella materia espropriativa. La
preferibilità dell' una piuttosto che dell' altra opzione rimediale appare fortemente condizionata dall'
ampiezza del controllo esercitabile sulle scelte amministrative ablatorie.
La tutela procedimentale persegue il fine di una azione amministrativa conforme a principi di democrazia
partecipativa in virtù dei quali interesse pubblico ed interesse privato interagiscono allo scopo di
concepire una decisione condivisa.
Se si considera la natura autoritativa del procedimento ablatorio, è interessante la prospettiva che
l'apporto collaborativo del privato, pur immaginato per soddisfare un interesse privato,si manifesti
anche per tutelare, di riflesso, l' interesse pubblico, suggerendo all' Amministrazione una decisione
diversa da quella originariamente elaborata. L' interazione tra interesse pubblico ed interesse privato
può però realmente concretizzarsi solo riconoscendo al privato una facoltà di sindacato effettivo,con
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un contradditorio paritari o sulle scelte di programmazione concernenti il governo del territorio;
rispetto a queste scelte infatti ogni osservazione resa dal privato dovrebbe comportare una valutazione
una valutazione motivata da parte dell' Amministrazione. In un simile contesto il coinvolgimento del
privato prima della decisione amministrativa appare l' ipotesi più idonea a contemplare interesse
pubblico ed interesse privato; la decisione amministrativa infatti nasce, in questo caso, dall' esame di
tutti gli elementi di fatto e di diritto che meritino di essere considerati.
Al contrario l' opzione per la tutela processuale ridimensiona la valenza della parte istruttoria del
procedimento espropriativo,atteso che eventuali deduzioni del privato proprietario concernenti profili
di merito, rischiano di essere neutralizzati da un principio di insindacabilità consolidato nella
Giurisprudenza amministrativa italiana e non del tutto estraneo alla giurisprudenza U.S.A.
Spostando l' analisi del problema da un contesto valutativo di carattere generale ad un contesto più
specifico e cioè limitato ai confini di un determinato modello giuridico, la prospettiva cambia
decisamente.
Infatti in un modello quale quello italiano che tende ad ampliare le sfera di discrezionalità decisionale
dell' Amministrazione espropriante , non convince l' idea di u controllo endoprocedimentale affidato al
privato proprietario.
In questo caso l' ipotesi di un controllo " ex post " sulla decisione amministrativa,appare quanto meno
in astratto, più in grado di soddisfare le esigenze di tutela del privato, soprattutto nella prospettiva,
recentemente delineatasi, per via legislativa in materia di appalti, di una graduale seppur lenta
apertura del giudice amministrativo al sindacato di merito. Il legislatore ha infatti attribuito al giudice
amministrativo un evidente potere di amministrazione attiva fondato sulla possibilità di ordinare l'
affidamento di un appalto ad una ditta e di dichiarare il sub ingresso nel contratto di una ditta ad
un' altra che sia stata illegittimamente dichiarata aggiudicataria.
Se un simile potere è previsto per la materia degli appalti che vanta un legame indiretto con un
diritto a rilevanza costituzionale qual è il diritto di impresa, ancor più deve riconoscersi un simile
potere in relazione alla materia del diritto di proprietà che gode di un espresso riconoscimento
costituzionale e rappresenta nella storia degli ordinamenti giuridici moderni il diritto soggettivo di
maggior rilievo. A fronte del sacrificio ordinamentale che, in nome dell' interesse pubblico si richiede
al diritto di proprietà, l' esame del giudice amministrativo dovrebbe essere esteso quindi alle
categorie dell' opportunità e dell' utilità dell' azione amministrativa ablatoria per evitare che il
sacrificio risulti vano.
L' idea dell' espropriazione come espressione di un sacrificio ordinamentale può essere considerata l'
elemento comune ai modelli qui esaminati ed al contempo il punto di partenza logico giuridico per
il superamento delle differenze ancora esistenti; se infatti si afferma l' impossibilità di modificare il
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procedimento espropriativo italiano, adattandolo alle regole della " compulsory purchase ", il sacrificio
del diritto di proprietà, per come contemplato nell' ordinamento U.S.A. può apparire la soluzione
preferibile perché più in linea con la tradizione giuridica italiana.
Il procedimento giurisdizionale di " condemnation " U.S.A. riesce contemporaneamente a garantire
diritto di proprietà ed interesse pubblico senza il rischio di paralizzare l' azione amministrativa; il diritto
di proprietà è infatti adeguatamente tutelato con l' onere gravante sull' Amministrazione, di
dimostrare la sussistenza delle ragioni di " public use ".
In questa fase emerge la centralità del sindacato giurisdizionale nel controllo esercitato sulle scelte
dell' Amministrazione; solo il sindacato di merito può infatti assicurare al privato proprietario la
certezza che il suo sacrificio ordinamentale abbia un senso giuridico ed in quest'ottica il " public use "
si appalesa al contempo come strumento di garanzia del diritto di proprietà e come requisito
oggettivo essenziale ai fini delle legittimità della " taking property ".
Nel momento in cui il sindacato giurisdizionale accerti che l' opera da realizzare sia effettivamente
riconducibile a ragioni di " public use ", la " taking property " assume le vesti giuridiche di una “ sanction”,
da non intendersi letteralmente quale sanzione ma come misura limitativa, equiparabile al concetto
di sacrificio giuridico.
In sostanza la violazione del diritto di proprietà si rileva legittima qualora l'Amministrazione riesca a
fornire la prova della sua inevitabilità. L' inevitabilità del resto non può prescindere ai fini del suo
accertamento, dalla previsione di un sindacato di merito che verifichi la configurabilità in astratto di
scelte alternative meno pregiudizievoli per la sfera giuridica del privato proprietario,L' affermazione di
questa tipologia peculiare di sindacato giurisdizionale del diritto di proprietà ma piuttosto alla luce del
legame che si determina fra il privato e l' oggetto del diritto dominicale, legame che non è dato di
riscontrare nel diritto di altri diritti soggettivi.
Pur dovendo a questo punto riconoscere le significative lacune ordinamentali, nella prospettiva della
comparazione con i modelli caratterizzati da livelli più alti di garanzie partecipative deve in ogni caso
evidenziarsi un passo avanti significativo fatto dall' ordinamento italiano. Seppur nella sola disciplina
delle ipotesi espropriative anomale, consumare in carenza di potere, il legislatore italiano ha infatti
dato un riconoscimento giuridico al concetto di inevitabilità; come già anticipato, il nuovo art. 42 bis
del DPR n° 327 del 2001, nel regolare l' istituto dell' acquisizione sanante ha, fra l' altro, stabilito che “ il
provvedimento di acquisizione, recante l' individuazione delle circostanze che hanno condotto all'
indebita utilizzazione dell' area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificatamen-
te motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano
l' emanazione, valutati comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'
assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione "
Le condizioni richieste dalla norma ai fini della sua applicazione impongono un controllo rigoroso sulle
scelte dell' Amministrazione; in particolare l' esame delle eventuali ipotesi alternative in sede
100
giurisdizionale comporta una valutazione di merito della scelta amministrativa trasfusa nel
provvedimento di acquisizione e prevalsa sulle altre possibili determinazioni.
Il problema, peraltro già affrontato è a monte, nell' anomalia cioè del potere ablatorio che l' istituto
dell' acquisizione sanante attribuisce all' Amministrazione. Su questo aspetto del resto la Corte
costituzionale ha già espresso il suo punto di vista, evidenziando le non poche perplessità rispetto alla
legalizzazione di un comportamento amministrativo che non può essere considerato la soluzione
opportuna al problema delle espropriazioni senza potere; se dunque è auspicabile un nuovo intervento
del giudice delle leggi per rimuovere dal mondo giuridico anche la nuova disciplina della acquisizione
sanante intesa come potere espropriativo, è altrettanto vero che dell' art. 42 bis del D.P.R. n°
327/2001 possano essere fatte salve le garanzie partecipative previste perché siano collocate all'
interno del procedimento espropriativo ordinario.
In questo modo potrebbe realizzarsi quel controllo effettivo sulle scelte ablatori del pubblico potere
che accorcerebbe le distanze del modello italiano dalle soluzioni ordinamentali del " common law ".
Diversamente il procedimento espropriativo italiano rischia di continuare ad apparire espressione di
una azione amministrativa esasperatamente unilaterale nella quale le garanzie del diritto di proprietà
non trovano un riconoscimento giuridico certo e sostanziale.