TECNOLOGIA NEUTRA MA NON NEUTRALE

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1 TECNOLOGIA NEUTRA MA NON NEUTRALE in Patrizia Violi, Cristina Demaria 2009, “Tecnologie di genere. Teoria, usi e pratiche di donne nella rete” Bononia University Press Marzia Vaccari PREMESSA Negli ultimi anni il proliferare dell’informazione (e della controinformazione) proveniente da fonti alternative digitali rispetto a quelle tradizionali, ha dato luogo ad un fenomeno di “disinformazione per eccesso”, in cui la molteplicità, la frammentazione e la contraddittorietà del gran numero di informazioni provenienti da una pluralità di fonti differenti ha finito per paralizzare lettrici e lettori, anziché orientarle/i. È evidente che l’informazione di per sé non è sufficiente per comunicare e che per stabilire un’interazione consapevole occorre mettere in campo processi e azioni che consentano la circolazione di informazioni dotate di senso : le informazioni infatti producono significati soltanto se organizzate in una sequenza di azioni e relazioni correlate ed inserite in un contesto di riferimento che possa essere sensato. Serve una pratica di comunicazione, e, conseguentemente una pratica gender oriented di ricerca e costituzione delle informazioni, la cui attività non sia affidata solo alla parola ma a processi molto più ampi nei quali la parola prende rilievo all’interno di un agire sensato. È dal femminismo che vengono sottolineati il valore e l’efficacia di una pratica : «una pratica è un processo a cui si dà inizio per dare una risposta inventiva ad un contesto e facendo così lo si modifica. Produce degli effetti che non sono progettabili né prevedibili, ma che si possono cogliere ed apprezzare nel corso stesso del processo» (Zamboni 2006). Una pratica, in sostanza - e così è stato per la cultura espressa dalla politica delle donne in Italia - è intesa come processo simbolico di significazione della realtà. Serve dunque un simbolico che consenta di superare l’idea di tecnologie “neutre”, in realtà fortemente informate dal maschile con le donne considerate come mera particolarità che o si aggiunge al discorso generale maschile o lo specifica per complemento. Emerge la necessità di cartografare e disegnare una mappa che analizzi e dia senso alle tecnologie dal punto di vista della differenza sessuale, riflettendo sulle relazioni di genere

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TECNOLOGIA NEUTRA MA NON NEUTRALE in Patrizia Violi, Cristina Demaria

2009, “Tecnologie di genere. Teoria, usi e pratiche di donne nella rete” Bononia University

Press

Marzia Vaccari

PREMESSA

Negli ultimi anni il proliferare dell’informazione (e della controinformazione) proveniente da

fonti alternative digitali rispetto a quelle tradizionali, ha dato luogo ad un fenomeno di

“disinformazione per eccesso”, in cui la molteplicità, la frammentazione e la contraddittorietà

del gran numero di informazioni provenienti da una pluralità di fonti differenti ha finito per

paralizzare lettrici e lettori, anziché orientarle/i. È evidente che l’informazione di per sé non è

sufficiente per comunicare e che per stabilire un’interazione consapevole occorre mettere in

campo processi e azioni che consentano la circolazione di informazioni dotate di senso: le

informazioni infatti producono significati soltanto se organizzate in una sequenza di azioni e

relazioni correlate ed inserite in un contesto di riferimento che possa essere sensato.

Serve una pratica di comunicazione, e, conseguentemente una pratica gender oriented di

ricerca e costituzione delle informazioni, la cui attività non sia affidata solo alla parola ma a

processi molto più ampi nei quali la parola prende rilievo all’interno di un agire sensato.

È dal femminismo che vengono sottolineati il valore e l’efficacia di una pratica: «una pratica

è un processo a cui si dà inizio per dare una risposta inventiva ad un contesto e facendo così lo

si modifica. Produce degli effetti che non sono progettabili né prevedibili, ma che si possono

cogliere ed apprezzare nel corso stesso del processo» (Zamboni 2006). Una pratica, in

sostanza - e così è stato per la cultura espressa dalla politica delle donne in Italia - è intesa

come processo simbolico di significazione della realtà.

Serve dunque un simbolico che consenta di superare l’idea di tecnologie “neutre”, in realtà

fortemente informate dal maschile con le donne considerate come mera particolarità che o si

aggiunge al discorso generale maschile o lo specifica per complemento.

Emerge la necessità di cartografare e disegnare una mappa che analizzi e dia senso alle

tecnologie dal punto di vista della differenza sessuale, riflettendo sulle relazioni di genere

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nella fase sia di progettazione sia d’uso degli artefatti, acquisendo riflessioni specifiche sulle

relazioni di genere. Si tratta, quindi di

[…] ricondurre l’ambito progettuale dell’artefatto tecnologico alla sua dimensione

politica e promuovere degli spazi alla possibilità di negoziare e mediare tra

molteplici differenze per avviare un processo di “democratizzazione” della tecnica.

Si pone la questione politica di quale potere e quale democrazia per il governo dei

processi della globalizzazione digitale.

Per noi si tratta di abitare la città digitale in modo differente per mostrare, da un

lato, che l’uso politico delle ICT può creare spazi pubblici virtuali di nuova

democrazia e, dall’altro, che dalla progettazione e dalla produzione di tecnologia

dotata di senso, potrebbe trarre vantaggio anche la qualità del software (Vaccari, in

corso di pubblicazione).

SIGNIFICAZIONE FEMMINISTA DELL’INFOSFERA

Il percorso di significazione della Rete in senso femminista re-interpreta l’impatto

dell’affermarsi dell'ambiente tecnologico sulla vita quotidiana e ne evidenzia il dato positivo –

potenziamento della libertà di scelta, emancipazione dalla scarsità, dalle limitazioni storiche e

biologiche, visibilità delle voci e delle azioni – non oscurandone però il potenziale sotteso alla

pretesa neutralità di una cittadinanza realmente poco o nulla attraversata e alimentata dalle

differenze: di genere, culturali, sociali, etniche, generazionali. Il gender digital divide viene

quindi ad assumere una connotazione ampia: non più considerato nella prospettiva riduttiva di

accesso/presenza delle donne on line, intese come soggetti svantaggiati o minori, ma come

differenti tipologie di usi e servizi e diversi stili e culture di navigazione e permanenza in rete

oltre che di progettazione di ambienti e logiche.

Divario, disparità, disuguaglianza digitale sono in sostanza la difficoltà o l’esclusione di

alcune soggettività, categorie sociali o di interi paesi di usufruire di tecnologie e dati digitali.

Accedere agli ambienti e ai dati digitalizzati necessita di abilità, di nuove percezioni delle

realtà, di nuovi posizionamenti culturali e sociali, oltre che ovviamente economici, di un

diverso approccio alla questione della capacità di azione (capabilities) per cui non è

sufficiente aumentare il numero di donne coinvolte nello sviluppo tecnologico. L’aumento del

numero di donne non porta, infatti, direttamente a proporre tecnologie diverse se queste non

riescono a vincere la tendenza a uniformarsi alla cultura dominante del settore, invece di far

valere e agire la propria soggettività avvalorandola.

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Le attività e le funzioni attribuibili alla cittadinanza digitale si basano sul “potere” delle

relazioni: si tratta di fare attività di networking, co-produrre saperi ed informazioni,

promuovere la mobilitazione ed attivare percorsi partecipativi collettivi. Credo servano le

competenze femminili e le soft skills1; ritengo utile favorire una vera e propria cultura della

partecipazione politica, creando i presupposti perché vengano ampliati gli spazi di dialogo e di

azione on e off line: non solo i luoghi istituzionali, a volte alieni ad una vera sollecitazione

partecipativa, ma i diversi spazi segnati dalle differenze di genere, di cultura, di generazione.

L’uso delle nuove tecnologie e della comunicazione non è solo una questione tecnologica. È

tanto più importante ribadirlo proprio mentre, in modo sempre più veloce e diffuso, la vita

quotidiana viene sommersa di proposte di automazione e informatizzazione sempre più

avanzate e “convergenti” (Jenkins 2006). Non si tratta solo di tecniche, di strumenti da usare

con più o meno abilità ed efficacia: ci sono mutamenti profondi di carattere antropologico e

culturale. Cambia il nostro rapporto con il mondo e con gli altri, cambia il modo di concepire

la vita sociale e civile.

La società nel suo insieme tende a evolversi con una complessità peculiare ed epocale. Invece

di riportare le trame, tessere le storie e mappare i significati delle differenti soggettività,

sottoculture e comunità che la popolano, secondo le promesse positive della Rete, il rischio

che tale società corre è l’uso indiscriminato delle tecnologie e la ridondanza delle risorse

digitali, con «la conseguente produzione di oggetti informativi semanticamente vuoti, la sovra-

produzione di informazione di scarso o nessun valore e la corruzione delle comunicazioni

trasformate in mero “noise” (rumore)» (Greco, Floridi 2002).

Ecco perché penso sia importante agire a livello politico/etico e filosofico e prendersi cura

“ecologica” dell’Infosfera prima che la situazione raggiunga il suo punto critico.

L’information welfare o communication welfare promette di affiancare al perseguimento

dello sviluppo sostenibile della società “reale”, lo sviluppo sostenibile dell’Infosfera.

Come scriveva il compianto Franco Carlini in uno dei suoi ultimi articoli su Chip&Salsa.

Le persone devono essere esposte a materiali [notizie e punti di vista,

ndr] che non hanno scelto in anticipo. Degli incontri non pianificati, non

anticipati, sono un elemento essenziale della democrazia […] È la differenza che corre tra il frequentare un club chiuso (di tifosi di una

1 Ascolto, flessibilità, creatività,accoglienza, cooperazione. In “Esserci Mitmischen. La banca dati delle

competenze femminili” dal sito http://www.forumpa.it/forumpa2007/donnepa/cdrom/home/progetto/65.html (31

gennaio 2008)

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squadra, di appassionati di arte digitale, di cultori di una sottocorrente del

buddismo) e invece circolare per le piazze e negli angoli di strada, dove

si incrocia, e magari si dialoga con altra umanità. È la differenza tra

coltivare l’identità in maniera esasperata e lasciarsi coinvolgere dalla

diversità. Questo atteggiamento, da strada e piazza pubblica, è un potente

antidoto a razzismi, settarismi ed estremismi. Questi sono tempi di

informazione sovrabbondante e dove, contemporaneamente, l’attenzione

è la risorsa scarsa. Per questo «il filtraggio è un fenomeno inevitabile, un

fatto della vita». Ma altrettanto utile è continuare ad alimentare e a

valorizzare i luoghi della diversità e del libero confronto. Anzi proporsi

esplicitamente di costruirli (Carlini 2007).

Non basta il mero esserci, serve piuttosto attribuire peso e riconoscimento di soggettività alla

presenza delle donne nello spazio pubblico digitale, contrastando l’agenda setting degli old e

new media: indagando dati disaggregati, facendo formazione tecnica, progettando software

gender sensitive, valorizzando l’autorevolezza femminile, offrendo una rappresentazione non

distorta e stereotipata di entrambi i sessi.

A partire dall’esperienza del Server Donne2 l’adottare questa strategia comunicativa proprio

nel campo delle ICT, che è il territorio del neutro, ha avuto e tuttora ha una valenza

rafforzativa. Come formatrici, in quest’ambito, ci siamo interrogate sulle differenze di genere

negli stili cognitivi e d’apprendimento. Come analiste e progettiste di software ci siamo

interrogate su come la parificazione debba passare da una serie di iniziative che vanno dalla

progettazione di strumenti software che in qualche modo imprimono il gender nel codice, al

costituirsi di gruppi di pari con ruoli e finalità di supporto nella definizione di specifiche

tecniche.

Appare inoltre fondamentale ridefinire l’approccio generale allo studio dell’informatica,

prendendo nella giusta considerazione il diverso ordine di immaginari e i diversi modi con cui

ragazze e ragazzi rappresentano le nuove tecnologie. Non poche inchieste hanno sottolineato

la funzione sociale del computer per le ragazze (mentre i ragazzi si concentrano in particolare

sulla macchina in se stessa): lo strumento deve servire a qualcosa di pratico ed essere

funzionale rispetto all’azione da compiere, sia essa di natura professionale, relazionale e/o

ludica. Utile nel migliorare competenze e condizioni di vita ma anche per entrare in contatto

con gli altri, fare rete: per stabilire i nuovi legami nella socialità della “società in rete”.

2 Più noto come www.women.it, si caratterizza per la gestione autonoma in capo ad un gruppo di tecniche

informatiche e della comunicazione on.line.

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Sembra opportuno, da questo punto di vista, abbassare la soglia di attenzione sulla velocità, la

potenza e l’ossessione della performance, che hanno una connotazione prevalentemente

maschile, e concentrarsi sulle diverse soggettività, degli individui/e e delle culture, al fine di

dotare di senso le informazioni / comunicazioni / produzioni.

CO-SIGNIFICAZIONE E NET-NEUTRALITY

Il processo di differenziazione sociale sotteso all’odierno sistema sociale, insieme

ipermoderno e postmoderno, implica inevitabilmente un moltiplicarsi di gruppi, categorie,

ceti, comunità, collettività, aventi interessi, scopi, attività e subculture anche profondamente

diversi quando non addirittura divergenti. Dunque, col proliferare di sempre nuove

problematiche e relative nuove prospettive, si registra il crescente indebolimento della

condivisione della co-significazione (cioè la condivisione non solo delle informazioni ma

anche dei significati che l’accezione del termine “comunicazione” impone) elemento

fondamentale di integrazione dei sistemi sociali e simbolici. Ciò porta alla perdita della

solidarietà e ad una accentuata perdita di pratiche di senso.

Interrogano e forniscono indizi non trascurabili la crescente femminilizzazione del lavoro

spesso intrappolata nelle maglie oppressive della flessibilità totale o l’individualismo in Rete,

come forma dominante di socialità versus la promessa della partecipazione a partire da sé e

l’estensione delle possibilità comunicative.

È opinione comune che l’ambiente digitale consente di sottrarsi alla “passività spettacolare”

tramite la costruzione di una sorta di protagonismo attivo, fondato sulla proliferazione di idee,

sentimenti, narrazioni di soggettività radicali interconnesse in un sistema di rete che

disconosce ogni centro controllante. È vero che permette nuove ed altre possibilità

comunicative connotate da un’azione locale coniugata ad un pensiero globale e universalistico.

È vero anche che agevola la formazione di gruppi capaci di tradurre l’alterità dei propri

linguaggi-comportamento in un valore di scambio sociale ed artistico sostanzialmente perché

predisposti al cosiddetto nomadismo psichico tra contesti culturali differenti.

È vero infine che accedere alle nuove tecnologie implica appropriarsi di linguaggi,

moltiplicare le possibilità di vita, rompere l’assedio psicologico imposto dal non sapere

utilizzarle e dall’esclusione che ne deriva. Tutto vero! Ma per condividere questa tensione

egualitaria e cosmopolita, per molte e molti principio attivo di una nuova socialità, è

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necessario superare la nuova soglia del divide: non più (almeno nei paesi industrializzati) di

accesso, ma di partecipazione e capacità di azione legata a nuove abilità. Non si tratta quindi

soltanto di usare gli artefatti tecnologici, ma di abitarli con cognizione di causa:

padroneggiandoli.

WWW – NET NEUTRALITY?

E’ noto che dopo il 1993 con la nascita del world wide web, la Computer Mediated

Communication (CMC) diventa un elemento della quotidianità di milioni di persone.

L’ambiente della CMC non è più un ambiente fisico e definito (es. un azienda, una

multinazionale, un gruppo di ricercatori universitari, etc.), ma un ambiente on line ad alta

forza di attrazione socio-simbolica: è ciò che conosciamo come cyberspazio, all’interno del

quale si formano identità, si acquisiscono linguaggi, si negoziano norme e si differenziano

ruoli. E dove si afferma il modello vincente della net neutralità, così definita dal creatore del

WWW, Tim Berners-Lee, che descrisse così la sua ‘creatura’:

Quando ho progettato il Web non ho avuto bisogno di chiedere il

permesso a nessuno. Le nuove applicazioni arrivavano sul mercato già

esistente di Internet senza modificarlo. Allora provai a rendere la

tecnologia del web una piattaforma al contempo universale e neutrale, e

ancora oggi moltissime persone lavorano duramente con questo scopo. Il

web non deve assolutamente discriminare sulla base di hardware

particolare, software, rete sottostante, lingua, cultura, handicap o

tipologia di dati3.

La presupposta neutralità della rete4 è dovuta al lungo processo di standardizzazione dei

protocolli di comunicazione, che in origine erano di tipo proprietario: i computer della IBM,

come quelli della Digital et similia, comunicavano fra loro attraverso il protocollo proprietario

dell’azienda. Con l’affermarsi del protocollo non-proprietario e gratuito TCP/IP (oggi il più

diffuso protocollo di comunicazione) si è andato determinando il linguaggio delle macchine,

3 Si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Tim_Berners-Lee.

4 Dal punto di vista della “trasmissione dati” si afferma che Internet è nata e cresciuta neutrale in base al

meccanismo del best effort “chi prima arriva viene servito”, oggi a rischio per l’acuirsi dei controlli proprio a

livello di traffico internet. Non intendo mettere in discussione questa caratteristica tecnica di Internet peraltro

destinata a evolversi, nell’attuale clima di “allarme sicurezza”, entro dinamiche che dovrebbero essere poste

anch’esse in termini di democratizzazione della tecnica.

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innalzando i suoi due principi cardine – gratuità e disponibilità illimitata – a rappresentazione

democratica e libera dell’ambiente digitale. In egual modo e misura, Google, il più usato (e

potente) motore di ricerca del mondo, ha superato e soppiantato i suoi (illustri) predecessori

(Allweb, il primo motore di ricerca web e Alta Vista, per citarne alcuni, fondati

sull’indicizzazione delle parole contenute nelle pagine HTML) grazie all’algoritmo PageRank,

che definisce il grado di popolarità di una pagina web, determinandone poi la posizione nei

risultati di ricerca. La gratuità di Google, condizione necessaria per essere usati diffusamente

nel cyberspazio5, e la disponibilità illimitata sembrano consolidare la rappresentazione della

presunta neutralità della rete.

A mio parere, con l’affermazione del search engine di Google avviene un passaggio

fondamentale della rappresentazione indiscussa della net neutralità: prima di Google i processi

di indicizzazione, limitatamente al tipo di database implementato o alla capacità di calcolo

dell’hardware, determinavano con buona approssimazione il risultato corretto della ricerca e,

infatti, si ricorreva a meta-crowler che raggruppavano diversi motori per aumentare la qualità

e l’esaustività delle risposte ottenute. Con Google i siti sono ordinati anche in base ad un

indice di “popolarità” che è fornito dal numero di link – voto – che la pagina ottiene da altre

pagine e/o siti; il suo filtro ha uno scopo preciso: mostrare rapidamente un risultato scelto fra

l’enorme possibilità di risposte che l’indice offre. A questo punto, la neutralità della rete

sembra rafforzata da un presunta oggettività degli algoritmi di ricerca e dall’obiettività delle

macchine nel fornire risultati senza manipolazioni. La democrazia di Google consiste nell’aver

prodotto un algoritmo di ricerca di informazioni fondato sul maggior numero di “opinioni” -

link che un sito ottiene. Ma davvero qualcosa non vale se non è linkato? E che cosa succede,

ad esempio, se il documento “Moratoria contro l’aborto” ha più link dell’ “Appello contro la

moratoria contro l’aborto”?

L’algoritmo di ricerca «propaga una meccanismo di fiducia nell’oggettività della tecnica»

(Ippolita 2007, p. 82), ritenuta “buona” in quanto non condizionata dalle preferenze degli

individui umani. Per questa via attiva una raffinata strategia di marketing: l’utente conta sul

fatto che i risultati non siano filtrati e corrispondano alle “oggettive” preferenze di navigazione

generate dalle comunità virtuali/reali degli utenti posizionate culturalmente. Insieme

all’enorme quantità di pagine memorizzate offre l’illusione di poter ricercare in un ambiente

5 Il suo valore mercantilistico non deriva dalla vendita diretta dei risultati delle ricerca effettuata con il motore,

ma dall’indotto informativo che ciascuno di noi consuma nell’usare la rete – pubblicità on-line, transazioni

economiche risultato delle più variegate tipologie di servizi digitalizzati ecc.

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infinito invece che in un mondo chiuso “localizzato” in base ai filtri predisposti (lingua,

domini, ecc.) e ai meccanismi di emersione basati sull’indice di “popolarità” delle pagine.

L’algoritmo si riferisce all’universo finito di informazioni che costituiscono il punto di vista,

la posizione identitaria della trama di link che hanno fatto emergere quel risultato e non un

altro.

Per non essere “passive/i” fruitrici/tori di un “mondo di informazioni” immaginato unico ed

esaustivo è fondamentale sapere/aver percezione che il search engine utilizzato è “localizzato”

in base a posizionamenti ben precisi se non dalla mappa dei grafi disegnati dai percorsi dei

link, difficilmente intelligibili, almeno dalla pratica tecnologica che la realizza.

“IDENTITÀ” NELLA RETE E POSIZIONAMENTO CULTURALE

No, non basta esserci! Sia pur interconnesse, cooperative, collaborative, proliferanti,

consolidando vecchi e nuovi “vicinati”, come li definisce peraltro Arjun Appadurai,

indipendentemente dal loro essere virtuali o fisici dal momento che «i primi mobilitano idee,

opinioni, ricchezze e legami sociali che rifluiscono direttamente nei vicinati reali» (Appadurai

2001, p. 237).

Ed è proprio sui processi di formazione dell’identità che vorrei soffermarmi: credo che

l’individualismo in rete e la globalizzazione esplicitino molto bene ciò che tanta teoria

femminista sostiene da anni sulla “soggettività” e sul punto di vista situato correlato alla

natura fluida delle condizioni e delle identità nella postmodernità (Braidotti 2002). Penso alle

elaborazioni dell’identità incentrata sullo spazio che il femminismo di oltre oceano ha

utilizzato per descrivere la condizione delle donne nel tempo della velocità e della visibilità

della globalizzazione: concetti di identità femminista che si focalizzano su termini come luogo

di osservazione, posizionamento, multiposizionamento, intersezione e ibridazione.

Il discorso teorico femminista dell’identità multipla, nel tentativo di proporre un’articolazione

di un approccio tecno-femminista nel contesto della globalizzazione tecnologica, ci suggerisce

un modo di pensare la Rete abitata da donne che si esprimono attraverso identità in

movimento: l’identità di genere, in qualsiasi contesto ci si riferisca (localizzazione), viene

formata insieme a strutture più ampie comprese quelle derivanti dall’interazione con le

tecnologie. Il femminismo localizzato (Stanford Friedman 2006) assume, a mio avviso e

proprio in questa prospettiva, una forte rilevanza, in quanto pone la teoria femminista a livello

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globale; tuttavia, tiene in forte considerazione le differenze “locali” geografiche e socio-

culturali insieme, alla cui luce possiamo rileggere anche la questione degli stereotipi sul

comportamento maschile e femminile della e nella rete, che sembrano essere stati direttamente

trasferiti sui dati informatici.

L’ICT ha reso possibile la formalizzazione dell’alterità e della differenza culturale; attraverso

le potenze di calcolo degli attuali elaboratori di dati vengono processati milioni di testi

prodotti dalle più diversificate posizioni culturali. Mancano però comunità sufficientemente

numerose tali da determinare alti indici di “popolarità”. E come nel simbolico dove ciò che

non viene nominato non esiste, così in Rete ciò che non emerge nei risultati delle ricerche del

più potente motore di ricerca del mondo rischia di essere ricondotto nel nuovo silenzio

dell’eccesso di rumore del web.

NON NEUTRALITÀ DELLA RETE / NON NEUTRALITÀ DEL LINGUAGGIO.

Il linguaggio […] porta iscritta al suo interno la differenza sessuale. Nel momento

in cui la parola dà forma alla nostra esperienza del reale, rendendo possibile la

nominazione, essa non è più neutra, ma rimanda, attraverso una metafora generale

che è già iscritta nella struttura grammaticale, ad un più profondo simbolismo di

natura sessuale. Fin dall'inizio però la differenza si presenta come segnata da un

interdetto che costruisce intorno alla nominazione del femminile uno spazio

ambiguo. Il movimento è duplice: il femminile è prima ricondotto a pura

derivazione dal maschile, quindi negativamente caratterizzato non sulla base di una

propria specificità, ma in quanto scarto e differenza rispetto a quel maschile che lo

fa esistere. Se nel linguaggio si può quindi leggere l'esclusione della donna da parte

di quell'ordine patriarcale che ne aveva già sancito il ruolo di oggetto, una nuova

domanda si fa strada. Quali saranno gli usi linguistici delle donne, come

articoleranno la loro parola, in che modo potranno mettersi in relazione ad un

linguaggio che ha già trasformato la differenza in negativo? (Violi 1986, p.95)

Vorrei tentare una risposta riproponendo, qui, la questione dell’ androcentrismo linguistico

definito come prevalenza del genere al maschile e la conseguente questione della differenza

sessuale nelle forme linguistiche, allora, e, oggi, nelle forme della comunicazione e nel

simbolico veicolato dalla Rete. Quando sì è svelata la non neutralità della lingua, la

desessualizzazione del linguaggio è parsa la proposta più agevole per far cadere le dissimetrie

linguistiche fra femminile e maschile, soprattutto in riferimento all’uso maschile come

generico (Violi 1986). La net-neutrality ripropone la medesima tensione per una soluzione

fondata su un linguaggio “androgino”, lingua senza sesso, cancellazione di ogni traccia che

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rimandi ad una differenza se non tutta ridotta in termini di subordinazione e inferiorità.

Come gli studi post-coloniali hanno rilanciato la necessità di lingue in grado di rendere conto

delle differenze, così oggi il limite della net-neutrality è riscontrabile nell’ambiguità dei

“motori di ricerca” quando, dietro all’apparente esaustività del risultato delle risposte (vedi

Google), nascondono il potere definitorio del brand.

L’esperienza della realizzazione di un motore di ricerca orientato al genere (Cercatrice di

Rete) ha mostrato che il linguaggio sessuato porta anche a differenti metadati6. Solo nei

metadati rimane la traccia delle diverse soggettività che hanno “scritto/costruito” in un testo

mai “concluso” il nuovo ambiente. Per questo motivo è importante riannodare fili di

conoscenze che, in apparenza, sembrano superate dalla nuova modernità delle ICT. In altre

parole è l’avvio di un ampio e complesso processo di anti-omologazione quello che consente

di liberarsi dal dominio di una lingua, di una tecnica, di un giudizio. Declinare diversamente il

linguaggio dei sistemi di metadati implica una differente (auto)rappresentazione delle donne e

del mondo: nominare il femminile moltiplica e diversifica l’immaginario collettivo, e svela le

‘voci, le azioni e le visioni delle donne’7 anche on line.

La peculiarità della rivoluzione tecnologica attuale consiste, non solo nella centralità della

conoscenza e dell’informazione, ma nell’applicazione delle stesse a dispositivi per la

generazione della conoscenza e per l’elaborazione e la comunicazione delle informazioni, in

un ciclo continuo di innovazione ed usi della stessa (autopoiesi). Si tratta, quindi, di usare la

Rete per svelare i nuovi meccanismi di “dominazione” inscritti nelle tecnologie dell’IC.

Su altri fronti e versanti, l’esperimento è già stato fatto: “il collettivo

londinese Mongrel8 (www.mongrelx.org) ha messo in Rete nel 1998 un

finto motore di ricerca “raced” (letteralmente “razzializzato”, sensibile alle

questioni razziali) - Natural Selection www.mongrelx.org/Project/Natural

- che mima il funzionamento dei search engine più noti, facendo ricorso a

essi nel caso di interrogazioni generiche. Quando però l’utente immette

6 Riprendo da wikipedia una definizione: «letteralmente “dato su un (altro) dato”, è l'informazione che descrive

un insieme di dati». Riferito alle parole all'interno dei documenti digitalizzati, il sistema dei metadati ne

permette la ricerca, la localizzazione, la selezione e l'iperoperabilità semantica dei descrittori. 7 “Voci, Visioni e Azioni di Donne - Sistema Informativo di Genere” titolo esteso del progetto Server Donne che

è all’origine del portale di genere www.women.it, vedi anche:

http://www.women.it/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=11&Itemid=33, (30 gennaio 2008) 8 Intervento di Massimiliano Geraci all’interno del ciclo di “azioni di dialogo” fra partecipanti al progetto

TechnéDonne Az. 2 - In. Com. EQUAL II fase – cod. PS IT-G2-EMI-040 – Rif. PA 2004-0356/Rer - Approvato

con Delibera RER n. 903 del 13/06/2005. Nella macrofase realizzativa IV si sono svolti seminari condotti da

Adele Pesce e Massimiliano Geraci con la partecipazione di esperte ed esperti di ICT ed esponenti della cultura

femminista e non , e aventi come tema la relazione fra saperi delle donne e le ICT.

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nel campo di ricerca un termine “razzialmente posizionato” (come “white

power, black, nigger” e via dicendo) il motore lo rinvia a una rete di siti

creati ad hoc, dai toni vagamente neo-nazisti, pornografici … .A dispetto

del nome, Natural Selection propone una selezione del tutto soggettiva e

“innaturale” intrecciandola con la graduatoria apparentemente obiettiva

stilata dai motori convenzionali. L’intervento di Mongrel sulla presunta

neutralità dei motori e sul loro potere di selezione reale rientra in una

riflessione più ampia sul software come specchio e veicolo di una

determinata cultura. … Fino a oggi, infatti, lo sviluppo del software ha

tenuto in scarsa considerazione le diverse culture in cui viene diffuso. Ciò

che Natural Selection fa con un intento provocatorio è ciò che Cercatrice

di Rete fa con una finalità operativa. Non più un finto motore di ricerca

“raced” ma un vero motore di ricerca “gender oriented”. (Geraci, Pesce

2007, p.16)

“Cercatrice di rete” è un progetto ambizioso: un esempio di software segnato dalla differenza

di genere. La macchina è in grado di cercare in porzioni (web localizzato) del web in base al

lessico costruito dalla ricerca femminile/sta: si tratta di un prototipo, anche se il motore è già

on line ed interrogabile all’indirizzo web cercatrice.women.it.

Cercatrice ha mappato il web delle donne in italiano, i principali giornali on line, alcuni

portali accademici, i maggiori service provider. Inoltre il motore ‘comprende’ una lingua

sessuata, LinguaggioDonna 9, il primo thesaurus in lingua italiana che tiene conto degli aspetti

sessuati del linguaggio e la cui prima edizione risale al 1991. Un thesaurus di genere, che si

discosta dal sessismo corrente che impregna il linguaggio, ed in particolare i linguaggi di

classificazione perché tende a dare conto delle differenze, diventando per noi uno strumento

utile ed importante per dotare di senso le interrogazioni sul web. Chi usa la Rete fa

continuamente ricerche utilizzando più di una parola insieme, adottando parole composte e

cercando di essere il più preciso/a possibile per non essere sopraffatto/a dalla mole di risultati

inutili. L’utilità di “suggerire” direttamente on line, durante l’operazione di ricerca, l’uso del

linguaggio sessuato è proprio perché la generalità viene sempre espressa nei termini al

maschile, spesso singolare: Uomo, Bambino, Ragazzo, Anziano, Lavoratore, Disoccupato.

9 Thesaurus: lista di termini utilizzabili per l'indicizzazione di materiali documentali. Thesauri di genere, lista di

termini che tengono conto della differenza sessuale nel linguaggio della classificazione. La prima versione del

Thesaurus Linguaggio Donna è stata elaborata dal Centro di studi storici sul movimento di liberazione della

donna in Italia, in collaborazione con la Libreria delle donne di Firenze, nel 1991. Gli due altri micro-thesauri

sessuati, Tempi e Spazi e Inviolabilità sono stati elaborati all’interno delle attività del progetto Abside, in

http://www.cdsdonnecagliari.it/?Title=Abside&P=PROGETTI&PID=4 (14 ottobre 2007) ; insieme ad altri

termini riferiti al gender divital divide costituiscono “i suggerimenti” alla ricerca di Cercatrice.

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12

UNA PRATICA POLITICA

Come ben evidenzia Tiziana Terranova «Internet è certamente un medium espansivo e

imperiale» (Terranova 2006, p. 83) ma, è anche «il medium della moltitudine» (Terranova

2006, p. 59) attraverso il quale le pratiche diventano interdipendenti e le relazioni in continuo

divenire. I nuovi media rispondono all’esigenza di connettere le “moltitudini” di uomini e

donne. Moltitudini ma animate da soggettività differenti. Abitare con differenza, molto

semplicemente, significa non essere assoggettate/i ad un potere altro e gestire “ a partire da sé”

ed “in relazione” lo spazio virtuale che abitiamo. È il tema dell’autodeterminazione che si

applica anche al campo informatico/telematico, perché solo la non subalternità può permettere

alle donne che vogliano essere attive protagoniste di cultura di innescare i necessari processi di

cambiamento anche nell’ambiente delle nuove tecnologie.

Questa è stata la mia scelta e la scelta dell’Associazione di donne Orlando, fin dagli inizi degli

anni ’90: un percorso personale e collettivo attraverso cui ho acquisito una diversa

consapevolezza sulla non neutralità delle nuove tecnologie, sull’importanza della

valorizzazione e/o partecipazione delle diverse soggettività, sulla sostenibilità ed accessibilità

degli artefatti. Dove la dimensione politica delle ICT si è tradotta in pratica politica espressa in

costituzione di spazi fisici e virtuali10

. In un continuo gioco di rimandi fra spazio pubblico

reale e spazio pubblico nell’Infosfera; nascono nuovi modi di fare rete e, da un’idea di

Federica Fabbiani di Women.it, la formula dei BarCamp11

è stata decostruita e ricostruita

intorno all’evento del FemCamp12

, un barcamp tematico per parlare di donne nelle tecnologie

e tecnologie delle donne.

Il FemCamp ha nominato/rappresentato/valorizzato le donne,

perseguendo l’obiettivo di moltiplicare e diversificare l’immaginario

collettivo, svelare competenze e pratiche esistenti, tuttavia meno note,

citate, narrate. Adottare questa strategia comunicativa proprio su / via

10

A Bologna in luoghi reali quali: la Sala da The Internet (i corsi di alfabetizzazione telematica) , il Centro di

Risorse Multimediali (la produzione multimediale) e il Laboratorio TechnéDonne (la produzione di software); in

Rete con il dominio Women.it e i suoi portali: www.women.it; www.porticodonne.it; www.technedonne.it; 11

Il BarCamp è una non-conferenza il cui tema di discussione non è pre-stabilito, si caratterizza per la

convergenza del reale sul virtuale (e viceversa) attraverso la diffusione in tempo reale dell’evento nello spazio

web con dirette web-TV e connessioni wireless dei partecipanti che intrattengono comunicazioni on.line con le

proprie Reti di appartenenza. 12

Al sito http://barcamp.org/FemCamp la traccia degli argomenti dibattuti e il link alla diretta streaming

dell’evento.

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13

Internet, che è certamente il regno del neutro, ha avuto e tuttora ha

valore rafforzativo. Sessuare il linguaggio, il web, il software, quindi,

per valorizzare la creatività ed i talenti delle donne ancora così

poveramente rappresentate on e off line. Ecco perché si può dire che

TechnéDonne, e contestualmente il FemCamp, che ne ha concluso

degnamente l’avventura, sia stato non solo un organo di informazione,

ma una vera e propria presenza "politica" che ha creato un nuovo

linguaggio di comunicazione con codici grafici e comunicativi

specifici e personali. (Fabbiani F. 2007)

Vera e propria azione discorsiva fondata sul simbolico della differenza sessuale che poteva e

può veicolare, anche nell’infrastruttura di Internet, la significativa presenza dei saperi

femminili. Ed è dal punto di vista infrastrutturale che vorrei continuare la mia analisi sulla non

neutralità della tecnologia. Ritengo utile e interessante rintracciare attraverso l’evoluzione

delle architetture di rete, intese come infrastrutture tecnologiche di supporto alla memoria (gli

archivi) e all’invenzione (il nuovo tecnologico), il senso di un’esperienza che considera

centrale la visibilità della produzione culturale delle donne: dalla messa in Rete dei cataloghi

bibliografici (anni ’90) alla conversazione collaborativa del web 2.0. Il punto di partenza è

chiaro: l’esigenza che i saperi, le competenze, la produzione di informazione, la produzione

culturale, gli archivi, i cataloghi, diano ragione a un modo di rappresentare il mondo che è

specificatamente di genere rispetto a un generico neutro. La diffusione delle ICT, accresce

sempre di più il potere della tecnologia stessa e di coloro che hanno la capacità di sfruttarla. Le

nuove tecnologie non sono solo nuovi strumenti da applicare, ma soprattutto nuovi processi da

sviluppare.

“IN GENERE”

Mi sembra possa essere di interesse indiziario riferire quanto rilevato anche da Geraci e

Pesce, nel citato rapporto Le differenze di genere nel ciberspazio, e cioè che i motori di ricerca

non distinguono in modo affidabile il termine genere e il termine donne. Il genere sembra

essere solo femminile, quando ovviamente riguarda e chiama in causa anche il maschile: gli

uomini si identificano e si sentono rappresentati dall’universale e non hanno bisogno di alcuna

specifica, mentre le donne necessitano di politiche, di azioni, di specificazioni ‘di genere”,

perché sono la particolarità, la parzialità per derivazione. E così accade che sul web uno stesso

documento possa essere recuperato cercando sia “donne e tecnologie” sia “genere e

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14

tecnologie”: un esempio semplice e banale che svela all’istante l’ambiguità delle parole e la

scarsa pertinenza dei significati: “genere” come “genere grammaticale”, si trova molto spesso

segnalato, e lo si trova ad esempio nelle copie cache dei documenti, nell’espressione “in

genere”.

Basta poco, in sostanza, per verificare che Internet è sì un insieme di testi collegati tra loro, ma

che questi collegamenti sono spesso deboli, potremmo definirli solo sintattici-grammaticali,

privi di un legame significante. Basta poco, insomma, per verificare, nella pratica e non solo

leggendo articoli e saggi specialistici, che siamo ancora bel lontane dal web semantico, cioè da

un web che possegga strutture di collegamento capaci da dare risposte complesse.

La struttura di genere condiziona la stessa tecnologia in una doppia prospettiva: le gender

relations influenzano il design e lo sviluppo delle tecnologie, ma sono influenzate e plasmate

dalle medesime (con dominio nella relazione del genere maschile) (Webster 1996). Prendiamo

ad esempio la dominazione linguistica all’interno di un’architettura di rete qual è il Sistema

Bibliotecario Nazionale, che raccoglie i cataloghi di 15.000 biblioteche italiane. Cerchiamo

una monografia? Una rivista? Del materiale documentale qualsiasi pur essendo sprovviste di

esatta bibliografia? Un sistema software di questo tipo consente la ricerca per parole chiave in

vari campi: soggetto, classificazione, numero, descrizione. User friendly, a prima vista.

Digitando la parola “stupro” (argomento di genere femminile, purtroppo) nel campo Soggetto,

però, si ottengono solo due risultati. Due item (di cui uno è il Processo per stupro della regista

femminista Loredana Rotondo) sul tema dello stupro (parola evidentemente fastidiosa ai

thesaurus neutri) nelle quindicimila biblioteche del Sistema Bibliotecario Nazionale. Un clic

del mouse per passare su un’altra piattaforma software: la Rete Lilith 13

, stessa funzione

informatica del precedente link, ossia l’interrogazione di cataloghi, ma diverso contenuto

informativo. In questo caso, digitando la parola stupro nel campo parole chiave, si ottengono

163 risultati14

. In sintesi, qualche numero che parla da solo sull’importanza di una lingua

sessuata nei Thesauri e nella soggettazione: due item in un sistema che cataloga 15.000

biblioteche vs 163 item in un sistema che riunisce i cataloghi di una trentina (30) di Centri di

Documentazione delle Donne Italiani.

13

Si veda www.retelilith.it 14

Certamente l’OPAC del Sistema Bibliotecario Nazionale ci ha permesso l’interrogazione del suo patrimonio

monografico quando quello dei Centri di documentazione delle donne, oltre alle monografie, permette di

consultare anche le riviste, ma entrambi i sistemi impiegano il medesimo campo di ricerca della “soggettazione”.

E’ su questo che si pone l’accento per l’evidente differenza di risultato.

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Possibili superamenti derivano dall’evoluzione, verso i search engine, delle piattaforme di

information retrieval. I motori di ricerca, in generale, funzionano da un lato, in forma

sotterranea, con procedure di indicizzazione di grandi quantità di pagine, e dall’altro con un

algoritmo che cerca negli indici che la precedente operazione crea, attraverso una procedura

che genera un elenco di risposte ordinate in base al numero di volte che una parola - la parola

chiave oggetto di ricerca - viene trovata nel testo combinata con il numero e le volte che quel

testo è stato “linkato da altre/i”. Il limite del meccanismo della soggettazione dei cataloghi

bibliografici, per opera di umani, sembra superato dall’automatismo elettronico che mette in

connessione in base alla citazione in Rete. Come detto in precedenza il punto di svolta o di

non ritorno che dir si voglia sulla strada della visibilità o del totale oscuramento digitale è

proprio in quell’essere ‘linkate/i”: su questo si fonda il page rank, epigono proliferante della

peer review, «la revisione tra pari» (Ippolita 2007, p.19), attraverso la quale ottiene dignità di

primato chi ottiene più link, collegamenti, citazioni.

Di nuovo, il problema non è esserci – ci siamo e siamo in tante – quanto piuttosto costituire

una rete autorevole di posizioni e di interconnessioni. Il divide è possibile superarlo cercando

di guadagnare un nuovo paradigma cognitivo: passando dalla rappresentazione verticale

gerarchica tipica della società del modello broadcast alla navigazione reticolare-orizzontale

praticabile nella realtà digitale, dalla cosiddetta democrazia di massa alla democrazia

proliferante in cui l’ambiente di rete, la pluralità possibile dei mondi di vita (e di senso), di

soggettività, rende obsoleto quello di spettacolo.

Questa rete, tuttavia, ancora fatica a realizzarsi, in Italia ed altrove. All’estero «esistono grandi

network telematici che legano associazioni, dipartimenti universitari, centri di ricerca,

istituzioni attive nel campo dei media e delle ICT, capaci di promuovere campagne e dibattiti

sul tema della presenza femminile nei mezzi di comunicazione. In Italia una rete simile non

esiste, come ha dimostrato una ricerca di Claudia Padovani, docente di comunicazione

internazionale all’Università di Padova» (de Federico T., 2006), mirata a indagare la esistenza

di un network nazionale sul tema donne-media-ICT.

Ma, come ho provato a dire, la presenza non basta senza il simbolico e le pratiche “abitate”!

L’associazione Orlando già da una decina d’anni si è posta all’interno di una visione

“orizzontale”, quella di abitare le tecnologie portando l’autonomia e la libertà delle donne,

quell’autonomia e libertà appresa e praticata in tanti altri luoghi. E’ stata messa in discussione

la ricorsività della macchina autopoietica (rischio dell’essere fine a se stessa) e praticato il

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16

metodo femminista dell’interdisciplinarietà e della contaminazione delle pratiche e dei saperi

(vedi il pensiero nomade di Rosi Braidotti) e della diversa consapevolezza: con questa eredità

abbiamo potuto “apprendere”, cioè decostruire, e fare/pratica, ossia costruire in un altro punto

della nuova scena storica (inizio del millennio) con un altro punto di vista. E negli interstizi di

senso che abbiamo individuato e determinato, abbiamo praticato una progettualità dotata di

senso attraverso la quale cercare di divincolare le nuove tecnologie dalle logiche di mercato,

che rischiano costantemente di trasformare la cittadina in pura consumatrice di servizi

elettronici. Si tratta di andare oltre la logica del consumo delle tecnologie, della rete, della

proprio identità digitale.

Per questo abbiamo allestito una piattaforma di search engine – Cercatrice di Rete – che certo

non ha la potenza di calcolo di Google e che, quindi, come tale, si pone in termini di confronto

epistemologico. Nella pratica, abbiamo indicizzato attraverso pratiche di condivisione di

saperi, passando da una logica di management ad una logica di democrazia partecipativa,

mettendo insieme un gruppo di lavoro con competenze diverse, da quelle

ingegneristiche/informatiche, a quelle linguistiche, da quelle biblioteconomiche a quelle

femministe15

. Il punto di partenza è stata la cultura delle donne per cercare di definire una

metodologia di classificazione che normalmente l’informatico non prende in considerazione

perché non “tecnico” e/o non neutro: fin dal principio sono state fatte delle domande attraverso

le quali tener conto del punto di vista delle donne (e che può potenzialmente assumere anche

altri punti di vista, quello delle disabilità per esempio). Abbiamo cercato di popolare il motore

di Cercatrice partendo dai linguaggi naturali e dall’analisi dei testi; e, soprattutto, abbiamo

usato Google e la sua potenza di calcolo per immagazzinare siti previa attenta analisi di

genere. Questo sul back-end; sul front-end, la maschera di ricerca che l’utente finale visualizza

on line per intenderci, abbiamo creato dei suggerimenti alla ricerca con il lessico del thesaurus

LinguaggioDonna. Ad esempio, Cercatrice suggerisce una serie di ramificazioni di parole

chiave che colgono le esigenze potenziali delle donne (per esempio, digitando la parola

“violenza” si ottiene una lista di suggerimenti possibili, quali “centri di accoglienza”,

“violenza sessuale” ecc.. che orientano la ricerca in direzioni che tengono conto delle

informazioni di cui una donna può aver bisogno). Una sorta di proto-web semantico che tiene

conto della cultura delle donne.

15

Il gruppo di lavoro era composto da: Patrizia Bassi, Pia Brancadori, Domenica Barresi, Beatrice Cristofoli,

Riccardo Carlesso, Piera Codognotto, Federica Fabbiani, Marco Innocenti , Fernanda Minuz, Carlo Pentimalli,

Marzia Vaccari.

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La rappresentazione dell’identità di genere e dell’immagine della donna nelle Rete si

estrinseca non poco attraverso il linguaggio. Certo, è difficile cambiare le strutture profonde di

senso iscritte nel sistema informatico e nel suo simbolico, tuttavia è certo che abbiamo la

necessità di osare ed abbiamo iniziato a farlo, adottando/modificando dei dispositivi e delle

operazioni per la definizione di una messa in Rete della soggettività femminile e di un

immaginario altro rispetto agli stereotipi. Mi auguro, insieme alle amiche di Orlando, di aver

aperto una frontiera, mostrando una concreta possibilità di far emergere dal web, attraverso le

ricerche che si possono effettuare con Cercatrice, la differenza sessuale.

È stata certamente una sfida! Una sfida che la logica di mercato non consente però di portare a

termine causa l’attuale sistema di produzione dei Metadati. Cercatrice è un modo per abitare le

tecnologie da soggetti sessuati; tuttavia servono (oppure dovrei dire mancano?) macchine

potenti e un network di “cercatrici”: la Rete autofinanzia logiche di dominio e di controllo e

Cercatrice, migrante di una lingua altra e diversa, non è sostenuta né dal capitale finanziario di

Google ne tanto meno dal suo sistema di rete di server (Googleplex e i suoi 25 Centri Dati

sparsi in tutto il mondo).

Confido molto sull’evoluzione del web e, certamente la pratica della folksonomy (folks +

taxonomy), ossia la libera attribuzione di parole chiave ai post di un blog, di un sito oppure

agli articoli on line, potrebbe aiutarci nell’intento. Non più quindi una tassonomia gerarchica,

forse ordinata, tuttavia imposta, bensì una tassonomia personale, a tratti caotica, ma

rappresentativa ed identificativa delle soggettività delle singole e dei singoli. La folksonomy è

un utile strumento per mettere in relazione libera “le identità autonarrantesi” dei blog (cfr.

Violi infra) e delle diverse identità in rete. Ne sono un esempio grafico le “tag cloud”:

rappresentazione visuale di una lista di tag contenuti in un blog o in un sito. Le nuvole di

parole chiave (tag) sono formate dal numero di volte che una parola ricorre, diventando una

sorta di analisi del testo di tipo grafico per produrre l’effetto del “colpo d’occhio”16

.

Procedendo per analogie e differenze si possono individuare narrazioni rispondenti ai nostri

intenti. La rete è abitata dalla moltitudo e non solo da chi ha il potere della citazione. L’idea di

posizionalità e connettività già presente nel pensiero di Haraway e Hayles diventa più che mai

attuale nel promuovere nuove progettualità, questa volta di luoghi virtuali amichevoli

nell’Infosfera.

16

Un esempio: la nuvola di parole in basso nel sito www.women.it

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18

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