TECNOLOGIA NEUTRA MA NON NEUTRALE
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TECNOLOGIA NEUTRA MA NON NEUTRALE in Patrizia Violi, Cristina Demaria
2009, “Tecnologie di genere. Teoria, usi e pratiche di donne nella rete” Bononia University
Press
Marzia Vaccari
PREMESSA
Negli ultimi anni il proliferare dell’informazione (e della controinformazione) proveniente da
fonti alternative digitali rispetto a quelle tradizionali, ha dato luogo ad un fenomeno di
“disinformazione per eccesso”, in cui la molteplicità, la frammentazione e la contraddittorietà
del gran numero di informazioni provenienti da una pluralità di fonti differenti ha finito per
paralizzare lettrici e lettori, anziché orientarle/i. È evidente che l’informazione di per sé non è
sufficiente per comunicare e che per stabilire un’interazione consapevole occorre mettere in
campo processi e azioni che consentano la circolazione di informazioni dotate di senso: le
informazioni infatti producono significati soltanto se organizzate in una sequenza di azioni e
relazioni correlate ed inserite in un contesto di riferimento che possa essere sensato.
Serve una pratica di comunicazione, e, conseguentemente una pratica gender oriented di
ricerca e costituzione delle informazioni, la cui attività non sia affidata solo alla parola ma a
processi molto più ampi nei quali la parola prende rilievo all’interno di un agire sensato.
È dal femminismo che vengono sottolineati il valore e l’efficacia di una pratica: «una pratica
è un processo a cui si dà inizio per dare una risposta inventiva ad un contesto e facendo così lo
si modifica. Produce degli effetti che non sono progettabili né prevedibili, ma che si possono
cogliere ed apprezzare nel corso stesso del processo» (Zamboni 2006). Una pratica, in
sostanza - e così è stato per la cultura espressa dalla politica delle donne in Italia - è intesa
come processo simbolico di significazione della realtà.
Serve dunque un simbolico che consenta di superare l’idea di tecnologie “neutre”, in realtà
fortemente informate dal maschile con le donne considerate come mera particolarità che o si
aggiunge al discorso generale maschile o lo specifica per complemento.
Emerge la necessità di cartografare e disegnare una mappa che analizzi e dia senso alle
tecnologie dal punto di vista della differenza sessuale, riflettendo sulle relazioni di genere
2
nella fase sia di progettazione sia d’uso degli artefatti, acquisendo riflessioni specifiche sulle
relazioni di genere. Si tratta, quindi di
[…] ricondurre l’ambito progettuale dell’artefatto tecnologico alla sua dimensione
politica e promuovere degli spazi alla possibilità di negoziare e mediare tra
molteplici differenze per avviare un processo di “democratizzazione” della tecnica.
Si pone la questione politica di quale potere e quale democrazia per il governo dei
processi della globalizzazione digitale.
Per noi si tratta di abitare la città digitale in modo differente per mostrare, da un
lato, che l’uso politico delle ICT può creare spazi pubblici virtuali di nuova
democrazia e, dall’altro, che dalla progettazione e dalla produzione di tecnologia
dotata di senso, potrebbe trarre vantaggio anche la qualità del software (Vaccari, in
corso di pubblicazione).
SIGNIFICAZIONE FEMMINISTA DELL’INFOSFERA
Il percorso di significazione della Rete in senso femminista re-interpreta l’impatto
dell’affermarsi dell'ambiente tecnologico sulla vita quotidiana e ne evidenzia il dato positivo –
potenziamento della libertà di scelta, emancipazione dalla scarsità, dalle limitazioni storiche e
biologiche, visibilità delle voci e delle azioni – non oscurandone però il potenziale sotteso alla
pretesa neutralità di una cittadinanza realmente poco o nulla attraversata e alimentata dalle
differenze: di genere, culturali, sociali, etniche, generazionali. Il gender digital divide viene
quindi ad assumere una connotazione ampia: non più considerato nella prospettiva riduttiva di
accesso/presenza delle donne on line, intese come soggetti svantaggiati o minori, ma come
differenti tipologie di usi e servizi e diversi stili e culture di navigazione e permanenza in rete
oltre che di progettazione di ambienti e logiche.
Divario, disparità, disuguaglianza digitale sono in sostanza la difficoltà o l’esclusione di
alcune soggettività, categorie sociali o di interi paesi di usufruire di tecnologie e dati digitali.
Accedere agli ambienti e ai dati digitalizzati necessita di abilità, di nuove percezioni delle
realtà, di nuovi posizionamenti culturali e sociali, oltre che ovviamente economici, di un
diverso approccio alla questione della capacità di azione (capabilities) per cui non è
sufficiente aumentare il numero di donne coinvolte nello sviluppo tecnologico. L’aumento del
numero di donne non porta, infatti, direttamente a proporre tecnologie diverse se queste non
riescono a vincere la tendenza a uniformarsi alla cultura dominante del settore, invece di far
valere e agire la propria soggettività avvalorandola.
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Le attività e le funzioni attribuibili alla cittadinanza digitale si basano sul “potere” delle
relazioni: si tratta di fare attività di networking, co-produrre saperi ed informazioni,
promuovere la mobilitazione ed attivare percorsi partecipativi collettivi. Credo servano le
competenze femminili e le soft skills1; ritengo utile favorire una vera e propria cultura della
partecipazione politica, creando i presupposti perché vengano ampliati gli spazi di dialogo e di
azione on e off line: non solo i luoghi istituzionali, a volte alieni ad una vera sollecitazione
partecipativa, ma i diversi spazi segnati dalle differenze di genere, di cultura, di generazione.
L’uso delle nuove tecnologie e della comunicazione non è solo una questione tecnologica. È
tanto più importante ribadirlo proprio mentre, in modo sempre più veloce e diffuso, la vita
quotidiana viene sommersa di proposte di automazione e informatizzazione sempre più
avanzate e “convergenti” (Jenkins 2006). Non si tratta solo di tecniche, di strumenti da usare
con più o meno abilità ed efficacia: ci sono mutamenti profondi di carattere antropologico e
culturale. Cambia il nostro rapporto con il mondo e con gli altri, cambia il modo di concepire
la vita sociale e civile.
La società nel suo insieme tende a evolversi con una complessità peculiare ed epocale. Invece
di riportare le trame, tessere le storie e mappare i significati delle differenti soggettività,
sottoculture e comunità che la popolano, secondo le promesse positive della Rete, il rischio
che tale società corre è l’uso indiscriminato delle tecnologie e la ridondanza delle risorse
digitali, con «la conseguente produzione di oggetti informativi semanticamente vuoti, la sovra-
produzione di informazione di scarso o nessun valore e la corruzione delle comunicazioni
trasformate in mero “noise” (rumore)» (Greco, Floridi 2002).
Ecco perché penso sia importante agire a livello politico/etico e filosofico e prendersi cura
“ecologica” dell’Infosfera prima che la situazione raggiunga il suo punto critico.
L’information welfare o communication welfare promette di affiancare al perseguimento
dello sviluppo sostenibile della società “reale”, lo sviluppo sostenibile dell’Infosfera.
Come scriveva il compianto Franco Carlini in uno dei suoi ultimi articoli su Chip&Salsa.
Le persone devono essere esposte a materiali [notizie e punti di vista,
ndr] che non hanno scelto in anticipo. Degli incontri non pianificati, non
anticipati, sono un elemento essenziale della democrazia […] È la differenza che corre tra il frequentare un club chiuso (di tifosi di una
1 Ascolto, flessibilità, creatività,accoglienza, cooperazione. In “Esserci Mitmischen. La banca dati delle
competenze femminili” dal sito http://www.forumpa.it/forumpa2007/donnepa/cdrom/home/progetto/65.html (31
gennaio 2008)
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squadra, di appassionati di arte digitale, di cultori di una sottocorrente del
buddismo) e invece circolare per le piazze e negli angoli di strada, dove
si incrocia, e magari si dialoga con altra umanità. È la differenza tra
coltivare l’identità in maniera esasperata e lasciarsi coinvolgere dalla
diversità. Questo atteggiamento, da strada e piazza pubblica, è un potente
antidoto a razzismi, settarismi ed estremismi. Questi sono tempi di
informazione sovrabbondante e dove, contemporaneamente, l’attenzione
è la risorsa scarsa. Per questo «il filtraggio è un fenomeno inevitabile, un
fatto della vita». Ma altrettanto utile è continuare ad alimentare e a
valorizzare i luoghi della diversità e del libero confronto. Anzi proporsi
esplicitamente di costruirli (Carlini 2007).
Non basta il mero esserci, serve piuttosto attribuire peso e riconoscimento di soggettività alla
presenza delle donne nello spazio pubblico digitale, contrastando l’agenda setting degli old e
new media: indagando dati disaggregati, facendo formazione tecnica, progettando software
gender sensitive, valorizzando l’autorevolezza femminile, offrendo una rappresentazione non
distorta e stereotipata di entrambi i sessi.
A partire dall’esperienza del Server Donne2 l’adottare questa strategia comunicativa proprio
nel campo delle ICT, che è il territorio del neutro, ha avuto e tuttora ha una valenza
rafforzativa. Come formatrici, in quest’ambito, ci siamo interrogate sulle differenze di genere
negli stili cognitivi e d’apprendimento. Come analiste e progettiste di software ci siamo
interrogate su come la parificazione debba passare da una serie di iniziative che vanno dalla
progettazione di strumenti software che in qualche modo imprimono il gender nel codice, al
costituirsi di gruppi di pari con ruoli e finalità di supporto nella definizione di specifiche
tecniche.
Appare inoltre fondamentale ridefinire l’approccio generale allo studio dell’informatica,
prendendo nella giusta considerazione il diverso ordine di immaginari e i diversi modi con cui
ragazze e ragazzi rappresentano le nuove tecnologie. Non poche inchieste hanno sottolineato
la funzione sociale del computer per le ragazze (mentre i ragazzi si concentrano in particolare
sulla macchina in se stessa): lo strumento deve servire a qualcosa di pratico ed essere
funzionale rispetto all’azione da compiere, sia essa di natura professionale, relazionale e/o
ludica. Utile nel migliorare competenze e condizioni di vita ma anche per entrare in contatto
con gli altri, fare rete: per stabilire i nuovi legami nella socialità della “società in rete”.
2 Più noto come www.women.it, si caratterizza per la gestione autonoma in capo ad un gruppo di tecniche
informatiche e della comunicazione on.line.
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Sembra opportuno, da questo punto di vista, abbassare la soglia di attenzione sulla velocità, la
potenza e l’ossessione della performance, che hanno una connotazione prevalentemente
maschile, e concentrarsi sulle diverse soggettività, degli individui/e e delle culture, al fine di
dotare di senso le informazioni / comunicazioni / produzioni.
CO-SIGNIFICAZIONE E NET-NEUTRALITY
Il processo di differenziazione sociale sotteso all’odierno sistema sociale, insieme
ipermoderno e postmoderno, implica inevitabilmente un moltiplicarsi di gruppi, categorie,
ceti, comunità, collettività, aventi interessi, scopi, attività e subculture anche profondamente
diversi quando non addirittura divergenti. Dunque, col proliferare di sempre nuove
problematiche e relative nuove prospettive, si registra il crescente indebolimento della
condivisione della co-significazione (cioè la condivisione non solo delle informazioni ma
anche dei significati che l’accezione del termine “comunicazione” impone) elemento
fondamentale di integrazione dei sistemi sociali e simbolici. Ciò porta alla perdita della
solidarietà e ad una accentuata perdita di pratiche di senso.
Interrogano e forniscono indizi non trascurabili la crescente femminilizzazione del lavoro
spesso intrappolata nelle maglie oppressive della flessibilità totale o l’individualismo in Rete,
come forma dominante di socialità versus la promessa della partecipazione a partire da sé e
l’estensione delle possibilità comunicative.
È opinione comune che l’ambiente digitale consente di sottrarsi alla “passività spettacolare”
tramite la costruzione di una sorta di protagonismo attivo, fondato sulla proliferazione di idee,
sentimenti, narrazioni di soggettività radicali interconnesse in un sistema di rete che
disconosce ogni centro controllante. È vero che permette nuove ed altre possibilità
comunicative connotate da un’azione locale coniugata ad un pensiero globale e universalistico.
È vero anche che agevola la formazione di gruppi capaci di tradurre l’alterità dei propri
linguaggi-comportamento in un valore di scambio sociale ed artistico sostanzialmente perché
predisposti al cosiddetto nomadismo psichico tra contesti culturali differenti.
È vero infine che accedere alle nuove tecnologie implica appropriarsi di linguaggi,
moltiplicare le possibilità di vita, rompere l’assedio psicologico imposto dal non sapere
utilizzarle e dall’esclusione che ne deriva. Tutto vero! Ma per condividere questa tensione
egualitaria e cosmopolita, per molte e molti principio attivo di una nuova socialità, è
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necessario superare la nuova soglia del divide: non più (almeno nei paesi industrializzati) di
accesso, ma di partecipazione e capacità di azione legata a nuove abilità. Non si tratta quindi
soltanto di usare gli artefatti tecnologici, ma di abitarli con cognizione di causa:
padroneggiandoli.
WWW – NET NEUTRALITY?
E’ noto che dopo il 1993 con la nascita del world wide web, la Computer Mediated
Communication (CMC) diventa un elemento della quotidianità di milioni di persone.
L’ambiente della CMC non è più un ambiente fisico e definito (es. un azienda, una
multinazionale, un gruppo di ricercatori universitari, etc.), ma un ambiente on line ad alta
forza di attrazione socio-simbolica: è ciò che conosciamo come cyberspazio, all’interno del
quale si formano identità, si acquisiscono linguaggi, si negoziano norme e si differenziano
ruoli. E dove si afferma il modello vincente della net neutralità, così definita dal creatore del
WWW, Tim Berners-Lee, che descrisse così la sua ‘creatura’:
Quando ho progettato il Web non ho avuto bisogno di chiedere il
permesso a nessuno. Le nuove applicazioni arrivavano sul mercato già
esistente di Internet senza modificarlo. Allora provai a rendere la
tecnologia del web una piattaforma al contempo universale e neutrale, e
ancora oggi moltissime persone lavorano duramente con questo scopo. Il
web non deve assolutamente discriminare sulla base di hardware
particolare, software, rete sottostante, lingua, cultura, handicap o
tipologia di dati3.
La presupposta neutralità della rete4 è dovuta al lungo processo di standardizzazione dei
protocolli di comunicazione, che in origine erano di tipo proprietario: i computer della IBM,
come quelli della Digital et similia, comunicavano fra loro attraverso il protocollo proprietario
dell’azienda. Con l’affermarsi del protocollo non-proprietario e gratuito TCP/IP (oggi il più
diffuso protocollo di comunicazione) si è andato determinando il linguaggio delle macchine,
3 Si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Tim_Berners-Lee.
4 Dal punto di vista della “trasmissione dati” si afferma che Internet è nata e cresciuta neutrale in base al
meccanismo del best effort “chi prima arriva viene servito”, oggi a rischio per l’acuirsi dei controlli proprio a
livello di traffico internet. Non intendo mettere in discussione questa caratteristica tecnica di Internet peraltro
destinata a evolversi, nell’attuale clima di “allarme sicurezza”, entro dinamiche che dovrebbero essere poste
anch’esse in termini di democratizzazione della tecnica.
7
innalzando i suoi due principi cardine – gratuità e disponibilità illimitata – a rappresentazione
democratica e libera dell’ambiente digitale. In egual modo e misura, Google, il più usato (e
potente) motore di ricerca del mondo, ha superato e soppiantato i suoi (illustri) predecessori
(Allweb, il primo motore di ricerca web e Alta Vista, per citarne alcuni, fondati
sull’indicizzazione delle parole contenute nelle pagine HTML) grazie all’algoritmo PageRank,
che definisce il grado di popolarità di una pagina web, determinandone poi la posizione nei
risultati di ricerca. La gratuità di Google, condizione necessaria per essere usati diffusamente
nel cyberspazio5, e la disponibilità illimitata sembrano consolidare la rappresentazione della
presunta neutralità della rete.
A mio parere, con l’affermazione del search engine di Google avviene un passaggio
fondamentale della rappresentazione indiscussa della net neutralità: prima di Google i processi
di indicizzazione, limitatamente al tipo di database implementato o alla capacità di calcolo
dell’hardware, determinavano con buona approssimazione il risultato corretto della ricerca e,
infatti, si ricorreva a meta-crowler che raggruppavano diversi motori per aumentare la qualità
e l’esaustività delle risposte ottenute. Con Google i siti sono ordinati anche in base ad un
indice di “popolarità” che è fornito dal numero di link – voto – che la pagina ottiene da altre
pagine e/o siti; il suo filtro ha uno scopo preciso: mostrare rapidamente un risultato scelto fra
l’enorme possibilità di risposte che l’indice offre. A questo punto, la neutralità della rete
sembra rafforzata da un presunta oggettività degli algoritmi di ricerca e dall’obiettività delle
macchine nel fornire risultati senza manipolazioni. La democrazia di Google consiste nell’aver
prodotto un algoritmo di ricerca di informazioni fondato sul maggior numero di “opinioni” -
link che un sito ottiene. Ma davvero qualcosa non vale se non è linkato? E che cosa succede,
ad esempio, se il documento “Moratoria contro l’aborto” ha più link dell’ “Appello contro la
moratoria contro l’aborto”?
L’algoritmo di ricerca «propaga una meccanismo di fiducia nell’oggettività della tecnica»
(Ippolita 2007, p. 82), ritenuta “buona” in quanto non condizionata dalle preferenze degli
individui umani. Per questa via attiva una raffinata strategia di marketing: l’utente conta sul
fatto che i risultati non siano filtrati e corrispondano alle “oggettive” preferenze di navigazione
generate dalle comunità virtuali/reali degli utenti posizionate culturalmente. Insieme
all’enorme quantità di pagine memorizzate offre l’illusione di poter ricercare in un ambiente
5 Il suo valore mercantilistico non deriva dalla vendita diretta dei risultati delle ricerca effettuata con il motore,
ma dall’indotto informativo che ciascuno di noi consuma nell’usare la rete – pubblicità on-line, transazioni
economiche risultato delle più variegate tipologie di servizi digitalizzati ecc.
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infinito invece che in un mondo chiuso “localizzato” in base ai filtri predisposti (lingua,
domini, ecc.) e ai meccanismi di emersione basati sull’indice di “popolarità” delle pagine.
L’algoritmo si riferisce all’universo finito di informazioni che costituiscono il punto di vista,
la posizione identitaria della trama di link che hanno fatto emergere quel risultato e non un
altro.
Per non essere “passive/i” fruitrici/tori di un “mondo di informazioni” immaginato unico ed
esaustivo è fondamentale sapere/aver percezione che il search engine utilizzato è “localizzato”
in base a posizionamenti ben precisi se non dalla mappa dei grafi disegnati dai percorsi dei
link, difficilmente intelligibili, almeno dalla pratica tecnologica che la realizza.
“IDENTITÀ” NELLA RETE E POSIZIONAMENTO CULTURALE
No, non basta esserci! Sia pur interconnesse, cooperative, collaborative, proliferanti,
consolidando vecchi e nuovi “vicinati”, come li definisce peraltro Arjun Appadurai,
indipendentemente dal loro essere virtuali o fisici dal momento che «i primi mobilitano idee,
opinioni, ricchezze e legami sociali che rifluiscono direttamente nei vicinati reali» (Appadurai
2001, p. 237).
Ed è proprio sui processi di formazione dell’identità che vorrei soffermarmi: credo che
l’individualismo in rete e la globalizzazione esplicitino molto bene ciò che tanta teoria
femminista sostiene da anni sulla “soggettività” e sul punto di vista situato correlato alla
natura fluida delle condizioni e delle identità nella postmodernità (Braidotti 2002). Penso alle
elaborazioni dell’identità incentrata sullo spazio che il femminismo di oltre oceano ha
utilizzato per descrivere la condizione delle donne nel tempo della velocità e della visibilità
della globalizzazione: concetti di identità femminista che si focalizzano su termini come luogo
di osservazione, posizionamento, multiposizionamento, intersezione e ibridazione.
Il discorso teorico femminista dell’identità multipla, nel tentativo di proporre un’articolazione
di un approccio tecno-femminista nel contesto della globalizzazione tecnologica, ci suggerisce
un modo di pensare la Rete abitata da donne che si esprimono attraverso identità in
movimento: l’identità di genere, in qualsiasi contesto ci si riferisca (localizzazione), viene
formata insieme a strutture più ampie comprese quelle derivanti dall’interazione con le
tecnologie. Il femminismo localizzato (Stanford Friedman 2006) assume, a mio avviso e
proprio in questa prospettiva, una forte rilevanza, in quanto pone la teoria femminista a livello
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globale; tuttavia, tiene in forte considerazione le differenze “locali” geografiche e socio-
culturali insieme, alla cui luce possiamo rileggere anche la questione degli stereotipi sul
comportamento maschile e femminile della e nella rete, che sembrano essere stati direttamente
trasferiti sui dati informatici.
L’ICT ha reso possibile la formalizzazione dell’alterità e della differenza culturale; attraverso
le potenze di calcolo degli attuali elaboratori di dati vengono processati milioni di testi
prodotti dalle più diversificate posizioni culturali. Mancano però comunità sufficientemente
numerose tali da determinare alti indici di “popolarità”. E come nel simbolico dove ciò che
non viene nominato non esiste, così in Rete ciò che non emerge nei risultati delle ricerche del
più potente motore di ricerca del mondo rischia di essere ricondotto nel nuovo silenzio
dell’eccesso di rumore del web.
NON NEUTRALITÀ DELLA RETE / NON NEUTRALITÀ DEL LINGUAGGIO.
Il linguaggio […] porta iscritta al suo interno la differenza sessuale. Nel momento
in cui la parola dà forma alla nostra esperienza del reale, rendendo possibile la
nominazione, essa non è più neutra, ma rimanda, attraverso una metafora generale
che è già iscritta nella struttura grammaticale, ad un più profondo simbolismo di
natura sessuale. Fin dall'inizio però la differenza si presenta come segnata da un
interdetto che costruisce intorno alla nominazione del femminile uno spazio
ambiguo. Il movimento è duplice: il femminile è prima ricondotto a pura
derivazione dal maschile, quindi negativamente caratterizzato non sulla base di una
propria specificità, ma in quanto scarto e differenza rispetto a quel maschile che lo
fa esistere. Se nel linguaggio si può quindi leggere l'esclusione della donna da parte
di quell'ordine patriarcale che ne aveva già sancito il ruolo di oggetto, una nuova
domanda si fa strada. Quali saranno gli usi linguistici delle donne, come
articoleranno la loro parola, in che modo potranno mettersi in relazione ad un
linguaggio che ha già trasformato la differenza in negativo? (Violi 1986, p.95)
Vorrei tentare una risposta riproponendo, qui, la questione dell’ androcentrismo linguistico
definito come prevalenza del genere al maschile e la conseguente questione della differenza
sessuale nelle forme linguistiche, allora, e, oggi, nelle forme della comunicazione e nel
simbolico veicolato dalla Rete. Quando sì è svelata la non neutralità della lingua, la
desessualizzazione del linguaggio è parsa la proposta più agevole per far cadere le dissimetrie
linguistiche fra femminile e maschile, soprattutto in riferimento all’uso maschile come
generico (Violi 1986). La net-neutrality ripropone la medesima tensione per una soluzione
fondata su un linguaggio “androgino”, lingua senza sesso, cancellazione di ogni traccia che
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rimandi ad una differenza se non tutta ridotta in termini di subordinazione e inferiorità.
Come gli studi post-coloniali hanno rilanciato la necessità di lingue in grado di rendere conto
delle differenze, così oggi il limite della net-neutrality è riscontrabile nell’ambiguità dei
“motori di ricerca” quando, dietro all’apparente esaustività del risultato delle risposte (vedi
Google), nascondono il potere definitorio del brand.
L’esperienza della realizzazione di un motore di ricerca orientato al genere (Cercatrice di
Rete) ha mostrato che il linguaggio sessuato porta anche a differenti metadati6. Solo nei
metadati rimane la traccia delle diverse soggettività che hanno “scritto/costruito” in un testo
mai “concluso” il nuovo ambiente. Per questo motivo è importante riannodare fili di
conoscenze che, in apparenza, sembrano superate dalla nuova modernità delle ICT. In altre
parole è l’avvio di un ampio e complesso processo di anti-omologazione quello che consente
di liberarsi dal dominio di una lingua, di una tecnica, di un giudizio. Declinare diversamente il
linguaggio dei sistemi di metadati implica una differente (auto)rappresentazione delle donne e
del mondo: nominare il femminile moltiplica e diversifica l’immaginario collettivo, e svela le
‘voci, le azioni e le visioni delle donne’7 anche on line.
La peculiarità della rivoluzione tecnologica attuale consiste, non solo nella centralità della
conoscenza e dell’informazione, ma nell’applicazione delle stesse a dispositivi per la
generazione della conoscenza e per l’elaborazione e la comunicazione delle informazioni, in
un ciclo continuo di innovazione ed usi della stessa (autopoiesi). Si tratta, quindi, di usare la
Rete per svelare i nuovi meccanismi di “dominazione” inscritti nelle tecnologie dell’IC.
Su altri fronti e versanti, l’esperimento è già stato fatto: “il collettivo
londinese Mongrel8 (www.mongrelx.org) ha messo in Rete nel 1998 un
finto motore di ricerca “raced” (letteralmente “razzializzato”, sensibile alle
questioni razziali) - Natural Selection www.mongrelx.org/Project/Natural
- che mima il funzionamento dei search engine più noti, facendo ricorso a
essi nel caso di interrogazioni generiche. Quando però l’utente immette
6 Riprendo da wikipedia una definizione: «letteralmente “dato su un (altro) dato”, è l'informazione che descrive
un insieme di dati». Riferito alle parole all'interno dei documenti digitalizzati, il sistema dei metadati ne
permette la ricerca, la localizzazione, la selezione e l'iperoperabilità semantica dei descrittori. 7 “Voci, Visioni e Azioni di Donne - Sistema Informativo di Genere” titolo esteso del progetto Server Donne che
è all’origine del portale di genere www.women.it, vedi anche:
http://www.women.it/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=11&Itemid=33, (30 gennaio 2008) 8 Intervento di Massimiliano Geraci all’interno del ciclo di “azioni di dialogo” fra partecipanti al progetto
TechnéDonne Az. 2 - In. Com. EQUAL II fase – cod. PS IT-G2-EMI-040 – Rif. PA 2004-0356/Rer - Approvato
con Delibera RER n. 903 del 13/06/2005. Nella macrofase realizzativa IV si sono svolti seminari condotti da
Adele Pesce e Massimiliano Geraci con la partecipazione di esperte ed esperti di ICT ed esponenti della cultura
femminista e non , e aventi come tema la relazione fra saperi delle donne e le ICT.
11
nel campo di ricerca un termine “razzialmente posizionato” (come “white
power, black, nigger” e via dicendo) il motore lo rinvia a una rete di siti
creati ad hoc, dai toni vagamente neo-nazisti, pornografici … .A dispetto
del nome, Natural Selection propone una selezione del tutto soggettiva e
“innaturale” intrecciandola con la graduatoria apparentemente obiettiva
stilata dai motori convenzionali. L’intervento di Mongrel sulla presunta
neutralità dei motori e sul loro potere di selezione reale rientra in una
riflessione più ampia sul software come specchio e veicolo di una
determinata cultura. … Fino a oggi, infatti, lo sviluppo del software ha
tenuto in scarsa considerazione le diverse culture in cui viene diffuso. Ciò
che Natural Selection fa con un intento provocatorio è ciò che Cercatrice
di Rete fa con una finalità operativa. Non più un finto motore di ricerca
“raced” ma un vero motore di ricerca “gender oriented”. (Geraci, Pesce
2007, p.16)
“Cercatrice di rete” è un progetto ambizioso: un esempio di software segnato dalla differenza
di genere. La macchina è in grado di cercare in porzioni (web localizzato) del web in base al
lessico costruito dalla ricerca femminile/sta: si tratta di un prototipo, anche se il motore è già
on line ed interrogabile all’indirizzo web cercatrice.women.it.
Cercatrice ha mappato il web delle donne in italiano, i principali giornali on line, alcuni
portali accademici, i maggiori service provider. Inoltre il motore ‘comprende’ una lingua
sessuata, LinguaggioDonna 9, il primo thesaurus in lingua italiana che tiene conto degli aspetti
sessuati del linguaggio e la cui prima edizione risale al 1991. Un thesaurus di genere, che si
discosta dal sessismo corrente che impregna il linguaggio, ed in particolare i linguaggi di
classificazione perché tende a dare conto delle differenze, diventando per noi uno strumento
utile ed importante per dotare di senso le interrogazioni sul web. Chi usa la Rete fa
continuamente ricerche utilizzando più di una parola insieme, adottando parole composte e
cercando di essere il più preciso/a possibile per non essere sopraffatto/a dalla mole di risultati
inutili. L’utilità di “suggerire” direttamente on line, durante l’operazione di ricerca, l’uso del
linguaggio sessuato è proprio perché la generalità viene sempre espressa nei termini al
maschile, spesso singolare: Uomo, Bambino, Ragazzo, Anziano, Lavoratore, Disoccupato.
9 Thesaurus: lista di termini utilizzabili per l'indicizzazione di materiali documentali. Thesauri di genere, lista di
termini che tengono conto della differenza sessuale nel linguaggio della classificazione. La prima versione del
Thesaurus Linguaggio Donna è stata elaborata dal Centro di studi storici sul movimento di liberazione della
donna in Italia, in collaborazione con la Libreria delle donne di Firenze, nel 1991. Gli due altri micro-thesauri
sessuati, Tempi e Spazi e Inviolabilità sono stati elaborati all’interno delle attività del progetto Abside, in
http://www.cdsdonnecagliari.it/?Title=Abside&P=PROGETTI&PID=4 (14 ottobre 2007) ; insieme ad altri
termini riferiti al gender divital divide costituiscono “i suggerimenti” alla ricerca di Cercatrice.
12
UNA PRATICA POLITICA
Come ben evidenzia Tiziana Terranova «Internet è certamente un medium espansivo e
imperiale» (Terranova 2006, p. 83) ma, è anche «il medium della moltitudine» (Terranova
2006, p. 59) attraverso il quale le pratiche diventano interdipendenti e le relazioni in continuo
divenire. I nuovi media rispondono all’esigenza di connettere le “moltitudini” di uomini e
donne. Moltitudini ma animate da soggettività differenti. Abitare con differenza, molto
semplicemente, significa non essere assoggettate/i ad un potere altro e gestire “ a partire da sé”
ed “in relazione” lo spazio virtuale che abitiamo. È il tema dell’autodeterminazione che si
applica anche al campo informatico/telematico, perché solo la non subalternità può permettere
alle donne che vogliano essere attive protagoniste di cultura di innescare i necessari processi di
cambiamento anche nell’ambiente delle nuove tecnologie.
Questa è stata la mia scelta e la scelta dell’Associazione di donne Orlando, fin dagli inizi degli
anni ’90: un percorso personale e collettivo attraverso cui ho acquisito una diversa
consapevolezza sulla non neutralità delle nuove tecnologie, sull’importanza della
valorizzazione e/o partecipazione delle diverse soggettività, sulla sostenibilità ed accessibilità
degli artefatti. Dove la dimensione politica delle ICT si è tradotta in pratica politica espressa in
costituzione di spazi fisici e virtuali10
. In un continuo gioco di rimandi fra spazio pubblico
reale e spazio pubblico nell’Infosfera; nascono nuovi modi di fare rete e, da un’idea di
Federica Fabbiani di Women.it, la formula dei BarCamp11
è stata decostruita e ricostruita
intorno all’evento del FemCamp12
, un barcamp tematico per parlare di donne nelle tecnologie
e tecnologie delle donne.
Il FemCamp ha nominato/rappresentato/valorizzato le donne,
perseguendo l’obiettivo di moltiplicare e diversificare l’immaginario
collettivo, svelare competenze e pratiche esistenti, tuttavia meno note,
citate, narrate. Adottare questa strategia comunicativa proprio su / via
10
A Bologna in luoghi reali quali: la Sala da The Internet (i corsi di alfabetizzazione telematica) , il Centro di
Risorse Multimediali (la produzione multimediale) e il Laboratorio TechnéDonne (la produzione di software); in
Rete con il dominio Women.it e i suoi portali: www.women.it; www.porticodonne.it; www.technedonne.it; 11
Il BarCamp è una non-conferenza il cui tema di discussione non è pre-stabilito, si caratterizza per la
convergenza del reale sul virtuale (e viceversa) attraverso la diffusione in tempo reale dell’evento nello spazio
web con dirette web-TV e connessioni wireless dei partecipanti che intrattengono comunicazioni on.line con le
proprie Reti di appartenenza. 12
Al sito http://barcamp.org/FemCamp la traccia degli argomenti dibattuti e il link alla diretta streaming
dell’evento.
13
Internet, che è certamente il regno del neutro, ha avuto e tuttora ha
valore rafforzativo. Sessuare il linguaggio, il web, il software, quindi,
per valorizzare la creatività ed i talenti delle donne ancora così
poveramente rappresentate on e off line. Ecco perché si può dire che
TechnéDonne, e contestualmente il FemCamp, che ne ha concluso
degnamente l’avventura, sia stato non solo un organo di informazione,
ma una vera e propria presenza "politica" che ha creato un nuovo
linguaggio di comunicazione con codici grafici e comunicativi
specifici e personali. (Fabbiani F. 2007)
Vera e propria azione discorsiva fondata sul simbolico della differenza sessuale che poteva e
può veicolare, anche nell’infrastruttura di Internet, la significativa presenza dei saperi
femminili. Ed è dal punto di vista infrastrutturale che vorrei continuare la mia analisi sulla non
neutralità della tecnologia. Ritengo utile e interessante rintracciare attraverso l’evoluzione
delle architetture di rete, intese come infrastrutture tecnologiche di supporto alla memoria (gli
archivi) e all’invenzione (il nuovo tecnologico), il senso di un’esperienza che considera
centrale la visibilità della produzione culturale delle donne: dalla messa in Rete dei cataloghi
bibliografici (anni ’90) alla conversazione collaborativa del web 2.0. Il punto di partenza è
chiaro: l’esigenza che i saperi, le competenze, la produzione di informazione, la produzione
culturale, gli archivi, i cataloghi, diano ragione a un modo di rappresentare il mondo che è
specificatamente di genere rispetto a un generico neutro. La diffusione delle ICT, accresce
sempre di più il potere della tecnologia stessa e di coloro che hanno la capacità di sfruttarla. Le
nuove tecnologie non sono solo nuovi strumenti da applicare, ma soprattutto nuovi processi da
sviluppare.
“IN GENERE”
Mi sembra possa essere di interesse indiziario riferire quanto rilevato anche da Geraci e
Pesce, nel citato rapporto Le differenze di genere nel ciberspazio, e cioè che i motori di ricerca
non distinguono in modo affidabile il termine genere e il termine donne. Il genere sembra
essere solo femminile, quando ovviamente riguarda e chiama in causa anche il maschile: gli
uomini si identificano e si sentono rappresentati dall’universale e non hanno bisogno di alcuna
specifica, mentre le donne necessitano di politiche, di azioni, di specificazioni ‘di genere”,
perché sono la particolarità, la parzialità per derivazione. E così accade che sul web uno stesso
documento possa essere recuperato cercando sia “donne e tecnologie” sia “genere e
14
tecnologie”: un esempio semplice e banale che svela all’istante l’ambiguità delle parole e la
scarsa pertinenza dei significati: “genere” come “genere grammaticale”, si trova molto spesso
segnalato, e lo si trova ad esempio nelle copie cache dei documenti, nell’espressione “in
genere”.
Basta poco, in sostanza, per verificare che Internet è sì un insieme di testi collegati tra loro, ma
che questi collegamenti sono spesso deboli, potremmo definirli solo sintattici-grammaticali,
privi di un legame significante. Basta poco, insomma, per verificare, nella pratica e non solo
leggendo articoli e saggi specialistici, che siamo ancora bel lontane dal web semantico, cioè da
un web che possegga strutture di collegamento capaci da dare risposte complesse.
La struttura di genere condiziona la stessa tecnologia in una doppia prospettiva: le gender
relations influenzano il design e lo sviluppo delle tecnologie, ma sono influenzate e plasmate
dalle medesime (con dominio nella relazione del genere maschile) (Webster 1996). Prendiamo
ad esempio la dominazione linguistica all’interno di un’architettura di rete qual è il Sistema
Bibliotecario Nazionale, che raccoglie i cataloghi di 15.000 biblioteche italiane. Cerchiamo
una monografia? Una rivista? Del materiale documentale qualsiasi pur essendo sprovviste di
esatta bibliografia? Un sistema software di questo tipo consente la ricerca per parole chiave in
vari campi: soggetto, classificazione, numero, descrizione. User friendly, a prima vista.
Digitando la parola “stupro” (argomento di genere femminile, purtroppo) nel campo Soggetto,
però, si ottengono solo due risultati. Due item (di cui uno è il Processo per stupro della regista
femminista Loredana Rotondo) sul tema dello stupro (parola evidentemente fastidiosa ai
thesaurus neutri) nelle quindicimila biblioteche del Sistema Bibliotecario Nazionale. Un clic
del mouse per passare su un’altra piattaforma software: la Rete Lilith 13
, stessa funzione
informatica del precedente link, ossia l’interrogazione di cataloghi, ma diverso contenuto
informativo. In questo caso, digitando la parola stupro nel campo parole chiave, si ottengono
163 risultati14
. In sintesi, qualche numero che parla da solo sull’importanza di una lingua
sessuata nei Thesauri e nella soggettazione: due item in un sistema che cataloga 15.000
biblioteche vs 163 item in un sistema che riunisce i cataloghi di una trentina (30) di Centri di
Documentazione delle Donne Italiani.
13
Si veda www.retelilith.it 14
Certamente l’OPAC del Sistema Bibliotecario Nazionale ci ha permesso l’interrogazione del suo patrimonio
monografico quando quello dei Centri di documentazione delle donne, oltre alle monografie, permette di
consultare anche le riviste, ma entrambi i sistemi impiegano il medesimo campo di ricerca della “soggettazione”.
E’ su questo che si pone l’accento per l’evidente differenza di risultato.
15
Possibili superamenti derivano dall’evoluzione, verso i search engine, delle piattaforme di
information retrieval. I motori di ricerca, in generale, funzionano da un lato, in forma
sotterranea, con procedure di indicizzazione di grandi quantità di pagine, e dall’altro con un
algoritmo che cerca negli indici che la precedente operazione crea, attraverso una procedura
che genera un elenco di risposte ordinate in base al numero di volte che una parola - la parola
chiave oggetto di ricerca - viene trovata nel testo combinata con il numero e le volte che quel
testo è stato “linkato da altre/i”. Il limite del meccanismo della soggettazione dei cataloghi
bibliografici, per opera di umani, sembra superato dall’automatismo elettronico che mette in
connessione in base alla citazione in Rete. Come detto in precedenza il punto di svolta o di
non ritorno che dir si voglia sulla strada della visibilità o del totale oscuramento digitale è
proprio in quell’essere ‘linkate/i”: su questo si fonda il page rank, epigono proliferante della
peer review, «la revisione tra pari» (Ippolita 2007, p.19), attraverso la quale ottiene dignità di
primato chi ottiene più link, collegamenti, citazioni.
Di nuovo, il problema non è esserci – ci siamo e siamo in tante – quanto piuttosto costituire
una rete autorevole di posizioni e di interconnessioni. Il divide è possibile superarlo cercando
di guadagnare un nuovo paradigma cognitivo: passando dalla rappresentazione verticale
gerarchica tipica della società del modello broadcast alla navigazione reticolare-orizzontale
praticabile nella realtà digitale, dalla cosiddetta democrazia di massa alla democrazia
proliferante in cui l’ambiente di rete, la pluralità possibile dei mondi di vita (e di senso), di
soggettività, rende obsoleto quello di spettacolo.
Questa rete, tuttavia, ancora fatica a realizzarsi, in Italia ed altrove. All’estero «esistono grandi
network telematici che legano associazioni, dipartimenti universitari, centri di ricerca,
istituzioni attive nel campo dei media e delle ICT, capaci di promuovere campagne e dibattiti
sul tema della presenza femminile nei mezzi di comunicazione. In Italia una rete simile non
esiste, come ha dimostrato una ricerca di Claudia Padovani, docente di comunicazione
internazionale all’Università di Padova» (de Federico T., 2006), mirata a indagare la esistenza
di un network nazionale sul tema donne-media-ICT.
Ma, come ho provato a dire, la presenza non basta senza il simbolico e le pratiche “abitate”!
L’associazione Orlando già da una decina d’anni si è posta all’interno di una visione
“orizzontale”, quella di abitare le tecnologie portando l’autonomia e la libertà delle donne,
quell’autonomia e libertà appresa e praticata in tanti altri luoghi. E’ stata messa in discussione
la ricorsività della macchina autopoietica (rischio dell’essere fine a se stessa) e praticato il
16
metodo femminista dell’interdisciplinarietà e della contaminazione delle pratiche e dei saperi
(vedi il pensiero nomade di Rosi Braidotti) e della diversa consapevolezza: con questa eredità
abbiamo potuto “apprendere”, cioè decostruire, e fare/pratica, ossia costruire in un altro punto
della nuova scena storica (inizio del millennio) con un altro punto di vista. E negli interstizi di
senso che abbiamo individuato e determinato, abbiamo praticato una progettualità dotata di
senso attraverso la quale cercare di divincolare le nuove tecnologie dalle logiche di mercato,
che rischiano costantemente di trasformare la cittadina in pura consumatrice di servizi
elettronici. Si tratta di andare oltre la logica del consumo delle tecnologie, della rete, della
proprio identità digitale.
Per questo abbiamo allestito una piattaforma di search engine – Cercatrice di Rete – che certo
non ha la potenza di calcolo di Google e che, quindi, come tale, si pone in termini di confronto
epistemologico. Nella pratica, abbiamo indicizzato attraverso pratiche di condivisione di
saperi, passando da una logica di management ad una logica di democrazia partecipativa,
mettendo insieme un gruppo di lavoro con competenze diverse, da quelle
ingegneristiche/informatiche, a quelle linguistiche, da quelle biblioteconomiche a quelle
femministe15
. Il punto di partenza è stata la cultura delle donne per cercare di definire una
metodologia di classificazione che normalmente l’informatico non prende in considerazione
perché non “tecnico” e/o non neutro: fin dal principio sono state fatte delle domande attraverso
le quali tener conto del punto di vista delle donne (e che può potenzialmente assumere anche
altri punti di vista, quello delle disabilità per esempio). Abbiamo cercato di popolare il motore
di Cercatrice partendo dai linguaggi naturali e dall’analisi dei testi; e, soprattutto, abbiamo
usato Google e la sua potenza di calcolo per immagazzinare siti previa attenta analisi di
genere. Questo sul back-end; sul front-end, la maschera di ricerca che l’utente finale visualizza
on line per intenderci, abbiamo creato dei suggerimenti alla ricerca con il lessico del thesaurus
LinguaggioDonna. Ad esempio, Cercatrice suggerisce una serie di ramificazioni di parole
chiave che colgono le esigenze potenziali delle donne (per esempio, digitando la parola
“violenza” si ottiene una lista di suggerimenti possibili, quali “centri di accoglienza”,
“violenza sessuale” ecc.. che orientano la ricerca in direzioni che tengono conto delle
informazioni di cui una donna può aver bisogno). Una sorta di proto-web semantico che tiene
conto della cultura delle donne.
15
Il gruppo di lavoro era composto da: Patrizia Bassi, Pia Brancadori, Domenica Barresi, Beatrice Cristofoli,
Riccardo Carlesso, Piera Codognotto, Federica Fabbiani, Marco Innocenti , Fernanda Minuz, Carlo Pentimalli,
Marzia Vaccari.
17
La rappresentazione dell’identità di genere e dell’immagine della donna nelle Rete si
estrinseca non poco attraverso il linguaggio. Certo, è difficile cambiare le strutture profonde di
senso iscritte nel sistema informatico e nel suo simbolico, tuttavia è certo che abbiamo la
necessità di osare ed abbiamo iniziato a farlo, adottando/modificando dei dispositivi e delle
operazioni per la definizione di una messa in Rete della soggettività femminile e di un
immaginario altro rispetto agli stereotipi. Mi auguro, insieme alle amiche di Orlando, di aver
aperto una frontiera, mostrando una concreta possibilità di far emergere dal web, attraverso le
ricerche che si possono effettuare con Cercatrice, la differenza sessuale.
È stata certamente una sfida! Una sfida che la logica di mercato non consente però di portare a
termine causa l’attuale sistema di produzione dei Metadati. Cercatrice è un modo per abitare le
tecnologie da soggetti sessuati; tuttavia servono (oppure dovrei dire mancano?) macchine
potenti e un network di “cercatrici”: la Rete autofinanzia logiche di dominio e di controllo e
Cercatrice, migrante di una lingua altra e diversa, non è sostenuta né dal capitale finanziario di
Google ne tanto meno dal suo sistema di rete di server (Googleplex e i suoi 25 Centri Dati
sparsi in tutto il mondo).
Confido molto sull’evoluzione del web e, certamente la pratica della folksonomy (folks +
taxonomy), ossia la libera attribuzione di parole chiave ai post di un blog, di un sito oppure
agli articoli on line, potrebbe aiutarci nell’intento. Non più quindi una tassonomia gerarchica,
forse ordinata, tuttavia imposta, bensì una tassonomia personale, a tratti caotica, ma
rappresentativa ed identificativa delle soggettività delle singole e dei singoli. La folksonomy è
un utile strumento per mettere in relazione libera “le identità autonarrantesi” dei blog (cfr.
Violi infra) e delle diverse identità in rete. Ne sono un esempio grafico le “tag cloud”:
rappresentazione visuale di una lista di tag contenuti in un blog o in un sito. Le nuvole di
parole chiave (tag) sono formate dal numero di volte che una parola ricorre, diventando una
sorta di analisi del testo di tipo grafico per produrre l’effetto del “colpo d’occhio”16
.
Procedendo per analogie e differenze si possono individuare narrazioni rispondenti ai nostri
intenti. La rete è abitata dalla moltitudo e non solo da chi ha il potere della citazione. L’idea di
posizionalità e connettività già presente nel pensiero di Haraway e Hayles diventa più che mai
attuale nel promuovere nuove progettualità, questa volta di luoghi virtuali amichevoli
nell’Infosfera.
16
Un esempio: la nuvola di parole in basso nel sito www.women.it
18
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