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STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE 16 BIG DATA Tutti li vogliono, pochi li analizzano. Le imprese, però, si preparano investendo in tecnologia e competenze. BANDA LARGA Avanti tutta con le reti di nuova generazione. L'obiettivo dei 100 Megabit per tutti entro il 2020 sarà rispettato? 20 NUMERO 12 | FEBBRAIO 2015 FABBRICHE DIGITALI Un inserto monografico staccabile sul digital manufacturing applicato alle aziende italiane. Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE” LA NUVOLA CHE VALICA LE ALPI Karl Manfredi, amministratore delegato di Brennercom, racconta come, investendo su fibra ottica e data center, si può esportare il cloud italiano in Germania.

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Magazine Technopolis N° 12 febbraio 2015

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STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

16 BIG DATATutti li vogliono, pochi li analizzano. Le imprese, però, si preparano investendo in tecnologia e competenze.

BANDA LARGAAvanti tutta con le reti di nuova generazione. L'obiettivo dei 100 Megabit per tutti entro il 2020 sarà rispettato?

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NUMERO 12 | FEBBRAIO 2015

FABBRICHE DIGITALIUn inserto monografico staccabile sul digital manufacturing applicato alle aziende italiane.

Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”

LA NUVOLACHE VALICALE ALPIKarl Manfredi, amministratore delegato di Brennercom, racconta come, investendo su fibra ottica e data center, si può esportare il cloud italiano in Germania.

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SOMMARIO 4 STORIE DI COPERTINA

La nuvola tricolore si muove verso nord

9 IN EVIDENZA

L’analisi: Internet of Things è il mantra

Wearable, il cervello in un bottone

Windows 10: la scomessa universale di Microsoft

La nuvola smuove gli investimenti Ict

La domotica italiana vince a Las Vegas

L’opinione: sicurezza It in azienda, l’approccio risk-based

16 SCENARI Lo sprint delle reti di nuova generazione

Le dorsali che fanno correre i distretti

Big Data: Italia a passo lento

I grandi dati in sanità: una grande occasione

25 SPECIALE

Cloud computing

35 ECCELLENZE.IT

Comune di Venezia - Avigilon

Enphase Energy - MultiTech/Telit Università Cattolica - Infor

38 ITALIA DIGITALE Agenda: sarà la svolta buona?

Spesa in tecnologie: lo stallo del pubblico

Archivi digitali: passo avanti, con cautela

42 OBBIETTIVO SU

Abb Sace

47 VETRINA HI TECH

Stampanti

In prova: Yota Yotaphone 2

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 12 - febbraio 2015

Periodico bimestrale registrato

presso il Tribunale di Milano al n° 378

del 09/10/2012.

Direttore responsabile: Emilio Mango

Coordinamento: Gianni Rusconi

Hanno collaborato: Alessandro Andriolo,

Piero Aprile, Valentina Bernocco, Carlo

Fontana, Paolo Galvani, Giandomenico

Nollo, Paolo Pasini, Maria Luisa Romiti,

Laura Tore, Elena Vaciago, Emily Wojcik

Progetto grafico: Inventium Srl

Sales and marketing: Marco Fregonara,

Francesco Proietto

Foto e illustrazioni: Istockphoto, Martina

Santimone, Dollar Photo Club.

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl

Via Faruffini, 13 - 20149 Milano

tel: 02 36505844

[email protected]

www.indigocom.com

Stampa: RDS Webprinting - Arcore

© Copyright 2015

Indigo Communication Srl

Tutti i diritti di proprietà letteraria

e artistica riservati.

Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

Pubblicazione ceduta gratuitamente.

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STORIA DI COPERTINA | Brennercom

Quella di Brennercom è la storia di una delle tante aziende che, avendo inve-stito in tecnologia, sono

riuscite a farsi trovare pronte all’appun-tamento con una nuova opportunità di mercato. Questa opportunità, nel 2013, è stata la crescente domanda di servizi di cloud computing.“Per la verità”, racconta Karl Manfredi, amministratore delegato della società, “anche se il nostro core business era l’of-ferta di servizi di fonia e banda larga, pri-ma del 2013 noi comunque erogavamo già alcune prestazioni in outsourcing, come le soluzioni per email aziendali e il farming dei server. Il cloud è stato quin-di un passaggio quasi naturale”.Anche se Manfredi minimizza, con la signorilità e la concretezza tipiche degli altoatesini, le infrastrutture tecnologiche necessarie per fare il “salto” dal mondo dei servizi gestiti al cloud hanno richie-sto notevoli investimenti in denaro e know-how; basti vedere i tre data center, situati a Bolzano, Trento e Innsbruck: tutti costruiti sfruttando le tecnologie più innovative (per gli addetti ai lavori, si tratta di strutture “tier 4”).Partendo dunque da fondamenta solide, tra cui una rete di telecomunicazioni proprietaria a banda larga da 10 Giga-

LA NUVOLATRICOLORE SI MUOVE VERSO NORDGrazie a importanti investimenti in tecnologia, tra cui spiccano le soluzioni di storage Emc, la società altoatesina punta a crescere in Italia ma anche nei Paesi di lingua tedesca.

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DNA ALTOATESINOCon un organico di circa 200 dipendenti e un parco clienti di oltre 12mila aziende, Brennercom è oggi uno tra i più solidi e dinamici operatori Ict in Italia. La sede centrale è a Bolzano, un secondo centro nevralgico è situato a Trento, mentre filiali sono presenti a Milano, Verona, Rovereto, Innsbruck e Monaco di Baviera.Brennercom ha costruito negli anni una rete in fibra ottica di ultima generazione, in grado di collegare a 10 Gigabit al secondo i clienti italiani dell’area nord-est (dal Trentino Alto Adige, passando per il Veneto e la Lombardia) e quelli di Austria e Germania. I servizi cloud si basano su tre data center. Due, quelli di Trento e Bolzano, sono “gemelli” (entrambi classificati tier 4, il livello più alto di affidabilità e disponibilità) mentre il terzo, situato a Innsbruck, viene utilizzato per le funzioni di disaster recovery. Tutti sono collegati attraverso una rete da 100 Gigabit al secondo, con tempi di latenza di un millisecondo.

bit al secondo che si estende in tutto il Nordest, Brennercom ha potenziato di recente le sue infrastrutture per poter of-frire livelli di servizio tali da espandere il business in ambito di cloud computing non solo in Italia, ma anche in Austria e Germania.“Avevamo l’esigenza di incrementare il livello di servizio”, racconta Manfredi, “e volevamo stringere una partnership con un brand multinazionale, che ci per-mettesse di avere un unico interlocutore e che fosse riconosciuto dai potenziali clienti (tra cui banche e Pubblica Am-ministrazione locale) come un fornitore affidabile”.

Dopo un’attenta valutazione delle alter-native presenti sul mercato, Brennercom ha scelto di puntare sulla virtualizzazio-ne, con la tecnologia Vmware, sugli ap-parati di rete di Cisco e sulle soluzioni storage di Emc, un partner strategico perché gli attuali tre Petabyte di dati (vale a dire 3.000 Gigabyte) sono desti-nati ad aumentare in modo esponenziale con l’avvento dei Big Data e con l’affer-marsi di Internet delle cose.

Flessibilità e affidabilitàprima di tuttoPer poter offrire servizi cloud a valore aggiunto, ma soprattutto per farlo assi-

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STORIA DI COPERTINA | Brennercom

LA SOLUZIONEBrennercom si è affidata a Emc per tutta l’infrastruttura di gestione e protezione dei dati, il cuore del business della società altoatesina. Nei due data center situati in Ita-lia sono stati implementati sistemi Emc Vnx unified storage, configu-rati con dischi Sas veloci, Nl-Sas ad alta capacità e flash drive. Tutto viene gestito attraverso Emc Fast Suite di Vnx, che permette di otti-mizzare la distribuzione dei dati tra le unità presenti nei sistemi. Bren-nercom ha anche scelto Emc Vplex Metro per realizzare una “storage federation” tra i sistemi Vnx dei

due siti, ed Emc Avamar per assi-curare il backup e il ripristino velo-ce dei dati.Per la replica (asincrona) delle informazioni, triangolando tra i data center di Bolzano, Trento e Innsbruck, è stata scelta la soluzio-ne Emc Recover Point. Quest’ulti-ma permette, tra le altre cose, di impostare i livelli di servizio desi-derati per ciascun cliente, simulan-do le attività di disaster recovery per verificare che corrispondano alle richieste. Emc Data Domain, infine, è il sistema selezionato per il backup e la deduplica su disco, che permette di accelerare il salva-taggio e recupero dei dati.

curando il massimo livello di flessibilità e scalabilità ai propri clienti (che poi è il motivo principale per cui le aziende si indirizzano al cloud), Brennercom ha deciso di realizzare un’infrastruttu-ra storage allo stato dell’arte. Ha scelto così di dotarsi di sistemi Emc Vnx uni-fied storage dotati sia di dischi tradizio-nali, ma veloci e capienti, sia di memo-rie flash ad alte prestazioni, collegando i due data center di Trento e Bolzano con una linea da 100 Gigabit al secondo.“Volevamo essere in grado di realizzare per i nostri clienti”, dice Manfredi, “so-luzioni cloud decisamente più affidabili di quelle che si possono già trovare sul mercato, ma volevamo anche salvaguar-dare la possibilità di costruirle su mi-sura, lavorando fianco a fianco con il cliente insieme ai nostri partner. Emc è stato un interlocutore ideale da questo punto di vista, sia a livello tecnologico sia umano”.Proprio grazie all’attenzione che Bren-nercom ha dedicato all’innovazione e agli aspetti tecnici, la società è riuscita a imporsi in un mercato che, nonostante la giovane età, è già presidiato da una parte da grandi imprese nazionali e in-ternazionali, dall’altra da piccoli ma ag-guerriti player locali.“Il rischio di non trovare il giusto spazio c’era”, confessa Manfredi, “ma l’abbia-mo scongiurato, anzi, abbiamo appro-fittato del rinnovamento tecnologico per rafforzare il presidio territoriale che ci ha sempre caratterizzati, assumendo anche nel mercato del cloud computing un ruolo importante di cerniera tra il Nord Italia e i Paesi di lingua tedesca. Da parte nostra, poi, cerchiamo sempre di differenziare la nostra offerta pun-tando su un modello di cloud intelli-gente, cercando di non scordare mai che per gestire i dati in modo efficace (ad esempio memorizzando quelli più importanti e più utilizzati in dispositi-vi ad alte prestazioni), le infrastrutture devono essere a loro volta intelligenti e flessibili”.

Emilio Mango

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Nella sua funzione di “pon-te” tra due mercati geogra-ficamente molto significa-tivi, il Nordest italiano e

l’area di lingua tedesca che compren-de l’Austria e il sud della Germania, Brennercom ha un punto di osserva-zione molto particolare. Punto che Technopolis non poteva non sfruttare, intervistando Karl Manfredi, ammi-nistratore delegato della società.

Ci dà qualche numero per capire meglio Brennercom?Nel 2013 il gruppo ha espresso un giro d’affari di 40 milioni di euro. Erano 37 nel 2012 e 34 nel 2011. Una crescita costante che sarà ratificata anche nel bilancio del 2014, nonostante tutte le difficoltà del mercato.Per l’anno in corso c’è qualche segnale di ottimismo sulla propensione agli in-vestimenti delle aziende, che ci fa ben sperare. Partiamo comunque da basi solide: 200 dipendenti e circa 12mila clienti, che negli ultimi anni sono cre-sciuti in dimensioni grazie ai nuovi ser-vizi cloud, rivolti a una fascia più alta di aziende rispetto all’offerta di telecomu-nicazioni precedente.

Come avete fatto a distinguere la vostra

proposta cloud rispetto alla già agguer-rita concorrenza?Facciamo servizi cloud (come ad esem-pio la gestione della posta elettronica) da quando siamo nati, solo che allora nes-suno ne parlava. Abbiamo anche sem-pre offerto i servizi legati ai data center, come l’housing o il farming. Avendo già le infrastrutture e notando una stagna-zione del mercato della fonia (quello in cui operavamo prima in prevalenza) abbiamo deciso di dare una svolta al no-stro business entrando ufficialmente nei servizi cloud.A differenza dei nostri competitor, ab-biamo da subito capito che non voleva-mo mettere a disposizione dei clienti un cimitero di dati, vale a dire Petabyte di informazioni raramente e difficilmente accessibili, ma data center intelligenti, in grado di capire se i dati sono “morti” o “vivi” e di organizzarli quindi su sup-

Il segreto della crescita? I data center intelligenti

Karl Manfredi

porti diversi. In questo senso abbiamo costruito, grazie ai nostri partner tecno-logici, una serie di eccellenze, organiz-zando il nostro servizio su ben tre data center, di cui uno in Austria.

Ci spiega la propensione verso un mer-cato apparentemente difficile come quello di lingua tedesca?Cominciamo col dire che, contraria-mente a quanto si possa pensare, le aziende italiane sono più avanti di quel-le tedesche sul fronte dei servizi cloud. Quindi in Austria e Germania abbiamo ancora parecchio margine di crescita. L’unico punto debole per un provider italiano in quei mercati è il tema della privacy e della sicurezza dei dati, nel quale ancora dobbiamo scontare alcuni pregiudizi.

Che programmi di espansione avete, quindi?Forti di ben cinque milioni di euro di investimenti in tecnologia legata ai data center (compresi i sistemi di sicurezza, condizionamento e antincendio) e di tutti gli sforzi fatti in precedenza per co-struire una solida rete di telecomunica-zioni, possiamo erogare livelli di servizio competitivi in qualsiasi settore, anche quelli più critici come il mercato delle grandi imprese e quello della Pubblica Amministrazione.Nel Nordest italiano siamo già leader, in Austria abbiamo un forte presenza e in Germania ci sono ottime premesse di espansione, obiettivo, quest’ultimo, che potremmo raggiungere anche attraver-so acquisizioni. Recentemente, infine, abbiamo anche acquisito una società in Arabia Saudita, un altro mercato molto promettente. E.M.

Con l'introduzione dei servizi cloud è cresciuta la dimensione media dei clienti. L'elemento distintivo dell'offerta è la gestione "smart" dei dati, distribuiti in tre diversi centri fra Italia e Austria.

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l’analisiLA TECNOLOGIE DEL 2015: L’INTERNET OF THINGS È IL MANTRA. NON ANCORA UNA PRIORITÀ

Se il numero uno di Samsung Electro-nics, Boo-Keun Yoon, battezza l’Inter-net of Things (IoT) come la più grande opportunità di business per l’industria tecnologica, sempre che tutti i player lavorino di comune accordo adottan-do un approccio aperto, un motivo ci sarà. Il presidente e Ceo del chaebol coreano in occasione del Ces di Las Vegas, a inizio gennaio, ha celebrato l’IoT come un fenomeno che rivolu-zionerà la nostra vita, confermando come entro il 2020 ogni dispositivo a catalogo del produttore sarà griffato dall’etichetta “connected”.Le parole del manager asiatico sono da prendere quindi molto sul serio, anche perché vanno nel solco delle previsioni per il 2015 stilate dalle principali so-cietà di ricerca e consulenza. Secon-do Idc, per esempio, l’anno appena iniziato sarà costellato soprattutto da grande dinamicità in segmenti già maturi come il cloud e in altri ancora agli albori come quello dell’Internet of Things, in attesa che le stampanti 3D e i wearable device conoscano realmente quel boom di cui sono accreditati.Analytics e IoT sono anche due facce dello stesso fenomeno, quello dei Big Data, e cioè i dati prodotti dalle con-nessioni fra oggetti e macchine, ma anche i contenuti (video, audio e im-magini) generati dai device in mano a centinaia di milioni di individui. Dati, app, oggetti connessi, social media, il cloud: l’ecosistema digitale accoglie ormai diversi elementi con-vergenti e fra questi vi sono, inevita-bilmente, anche persone e processi aziendali.

L’Internet delle cose, ed è la visione di Gartner, continuerà prenderà piede in campo industriale focalizzandosi su prodotti e processi. Di pari passo le applicazioni si doteranno di avanzate capacità analitiche e l’intelligenza “em-bedded” favorirà lo sviluppo di sistemi di rilevazione sensibili al contesto che ci circonda. Nei prossimi dodici mesi, insomma, assisteremo a un’ulteriore accelerazione verso quella società “full digital” in cui ogni cosa sarà connessa e in cui tecnologie smart di vario genere (dai robot agli assistenti virtuali) si af-fiancheranno ai tradizionali strumenti per lavorare e comunicare. Dal punto di vista privilegiato dei Ceo, e ce lo dice il report che Price-waterhouse Coopers ha presentato all’ultimo World Economic Forum di Davos, la sensibilità verso il richiamo dell’Internet of Things è sicuramen-

te in crescita. Dietro data mining e analytics, mobile e sicurezza, una delle voci più gettonate per il 2015 è proprio l’Iot. Il che non significa però investimenti a go-go. Se guardiamo ai propositi dei chief executive officer da oggi al 2019 (li ha identificati sempre Gartner), ci accorgiamo che nella loro lista della spesa l’IoT non c’è. Marke-ting digitale, e-commerce, gestione della customer experience, business analytics e cloud sono le cinque strade tech che i numero uno dell’It azienda-le hanno iniziato a percorrere per mi-gliorare le prestazioni di business delle proprie organizzazioni nei prossimi anni. La priorità è quella di mettere in pratica le strategie “customer-centric” per attrarre nuovi clienti e a mante-nere quelli esistenti. Per l’Internet of Things c’è tempo, ma non troppo.

Gianni Rusconi

Big Data, analytics, cloud e mobile rimangono i temi caldi. Wearable e stampa 3D sono attesi al boom. Ma sono gli oggetti connessi a catalizzare il futuro. Anche se nella testa dei Ceo ci sono marketing digitale e customer experience.

IN EVIDENZA

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IN EVIDENZA

Dovrebbe vedere il mercato nella secon-da metà del 2015 ed è il nuovo passo in avanti di Intel nel mondo degli oggetti indossabili. La nuova scommessa per il computing di nuova generazione del colosso di Santa Clara si chiama Curie e al momento siamo ancora allo status di prototipo in attesa dell’approvazione da parte della Federal Communications Commission statunitense. Le premes-se, almeno sulla carta, sono comunque interessanti. A cominciare dalla natura di Curie, un componente grande come un bottone che integra al suo interno il nuovo system-on-chip Quark Se, un modulo Bluetooth Low Energy, sensori a sei assi con accelerometro e girosco-pio e una circuiteria per la ricarica della batteria.Un vero e proprio Pc in miniatura in-somma, che nasce con relativo software developer Kit da distribuire agli svilup-patori. Date le minuscole dimensioni, e questo è sicuramente uno dei suoi pregi, Curie potrà essere integrato in dispositivi indossabili di ogni genere, dagli smartwatch ai ciondoli passando per anelli, braccialetti, fitness tracker e, appunto, bottoni.

Dove troverà sbocco la nuova scom-messa di Intel? I settori della moda, del fitness e del lifestyle rappresentano sin d’ora un terreno di sperimentazione consolidato per l’azienda di Santa Cla-ra, e lo dimostrano gli accordi stretti nei mesi scorsi con marchi quali Luxottica, Basis Peak, Fossil Group e Vuzix. La partnership con Oakley (marchio di Luxottica Group), in particolare, por-terà entro l’anno al lancio commerciale di un braccialetto intelligente studiato per migliorare le prestazioni degli atleti.Il previsto boom dei wearable (Idc sti-ma un venduto di 112 milioni di gad-get indossabili nel mondo per il 2018, di cui tre milioni solo in Italia) non interesserà, intanto, solo il mondo con-sumer. Stando infatti a una recente in-dagine condotta da Ipswitch, circa un terzo delle aziende europee (francesi e tedesche in testa) prevede di utilizza-re device indossabili e di connetterli all’infrastruttura It esistente nel corso del 2015. Il rovescio della medaglia? Poco più di una su dieci dichiara di aver definito una policy per gestire l’impatto di questa tecnologia sulle prestazioni di rete e sulla sicurezza dei sistemi.

WEARABLE, IL CERVELLO IN UN BOTTONE

La nuova architettura al silicio di Intel per smartwatch e simili è un micro computer farcito di sensori. Ecco le criticità per lo sbarco in azienda dei dispositivi indossabili.

IL SUPER CHIP PER L’ABITACOLO Che Nvidia sviluppi chip per i disposi-tivi mobili è noto. Che strizzi da tempo l’occhio al mondo automotive lo è al-trettanto. All’ultimo Ces di Las Vegas è arrivato però un nuovo strappo in avanti dell’azienda californiana verso il mondo delle quattro ruote, con l’entrata in sce-na del processore grafico Tegra X1: un super cervello nato per pilotare i sistemi di car infotainment e i cruscotti delle vetture con funzionalità di guida auto-noma. Il componente mette in campo avanzate capacità di visual computing e streaming video (grazie a prestazioni su-periori al teraflop) ed è alla base di due applicazioni (Drive Cx e Drive Px) il cui compito sarà quello di gestire tutti i dispositivi digitali presenti nell’abitaco-lo e di elaborare in chiave “self driving” le informazioni provenienti dai diversi sensori installati a bordo.

“Non ci vergogniamo di quanto siamo indietro nel mobile. Quando entri in un mercato la cui curva di maturità è molto lunga, devi proseguire per la tua strada”.

Brian Krzanich,Ceo di Intel

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Il frutto più atteso e forse il più im-portante di quella filosofia “cross-device” che il Ceo Satya Nadella ha eletto fra i mantra del “new deal” di Microsoft. Windows 10, o meglio la sua Consumer Preview, ha visto la luce circa un mese fa con un de-ciso cambio di strategia del colosso di Redmond: l’aggiornamento al sof-tware, per chi utilizzi dispositivi con a bordo Windows 7, 8 e 8.1 e Win-dows Phone 8 e 8.1, sarà gratuito. Almeno per il primo anno dal rilascio del nuovo sistema. Novità tecniche a parte ‒ le più sfiziose sono la presen-za dell’assistente virtuale Cortana e il visore olografico HoloLens ‒ appare

LA SCOMMESSA UNIVERSALE DI MICROSOFT: UN SOLO WINDOWS PER PC, MOBILE E XBOX

oggi ancora più evidente l’intento di Microsoft di fare proprio il modello di Apple e Google. Gli aggiornamenti periodici e gratuiti del software (major release comprese) e la convinzione di ascoltare di più e meglio l’utenza (vedi il ritorno del menu Start per unifor-mare e semplificare l’utilizzo delle applicazioni tradizionali e di quelle pensate per i dispositivi touch) sono due esempi del cambio di filosofia. Se

La nuova versione del sistema operativo si presenta: aggiornamento a costo zero, menu Start, assistente virtuale e visore per la realtà aumentata.

PERSONAL COMPUTER,IL PEGGIO È PASSATO

Metabolizzato il boom dei tablet, il mercato dei Pc tradizionali è in lenta risalita. Nell’ultimo trimestre del 2014, a detta di Idc, le consegne su scala glo-bale sono arrivate a 80,8 milioni di uni-tà, scendendo ancora del 2,4% rispetto all’ultimo quarter del 2013. Un calo comunque inferiore, dimezzato per la

i Pc touch sono le macchine ideali per Windows 10, il vero “cambio in corsa” è la volontà di rendere comu-ne l’esperienza del sistema operativo (e dei suoi programmi più diffusi, a cominciare da Office) a tutti i device dell’ecosistema Windows, dai perso-nal computer agli smartphone, dai tablet alla console Xbox. Un prodotto universale, dunque, che rispecchia il proclama lanciato da Nadella: “Vo-gliamo fare innamorare gli utenti e non solo gli 1,5 miliardi di utenti che attualmente utilizzano Windows”. Cavalcando i paradigmi del mobile e del cloud e sposando anche le app (vedi Dropbox) e i prodotti che van-no per la maggiore (vedi la scelta di portare Office su iOs e Android) del-la concorrenza.

precisione, rispetto a quanto previ-sto precedentemente dagli analisti. Il crescente interesse per i Chromebook (sulla fascia bassa) e per i modelli touch convertibili (sulla fascia media e alta), oltre agli sforzi promozionali di Micro-soft per vendere Windows 8, hanno in parte risollevato la domanda. V.B.

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IN EVIDENZA

Poco meno di cinque miliardi di ogget-ti collegati a Internet già nel 2015, che nel 2020 diventeranno 25 miliardi. Sul-le dimensioni del fenomeno Internet of Things i numeri fioccano. Stando all’ul-timo rapporto stilato da Gartner, si sco-pre per esempio che, di questo esercito di dispositivi “always on”, oltre 250 milioni saranno automobili e che le case connesse (e in particolare le cucine e tutto il loro corredo di elettrodomestici intelligenti) contribuiranno nella misura minima del 15% al saving complessivo di cui godran-no, grazie all’IoT e ai Big Data, il settore alimentare e quello del beverage.Numeri a parte, la verità “nascosta” de-scritta dagli analisti interessa da vicino Cio e manager aziendali in genere. Ed è la seguente: fino al 2018 non ci sarà un ecosistema e una piattaforma IoT domi-nante. I responsabili It, di conseguenza, dovranno confrontarsi con la mancan-za di un insieme coerente di modelli di business e tecnologici per abbracciare l’Internet delle cose. Di standard, infatti, si parla da tempo ma le iniziative in tale direzione sono ancora allo stato inizia-le e l’attuale assenza di service provider dominanti in campo IoT complicherà ulteriormente il lavoro delle aziende. Il rischio di fallimenti, di vendor e di ecosi-stemi che stanno nascendo sull’onda lun-ga di questo paradigma, è quindi tutt’al-tro che remoto.

BOOM DELL’IOT, I RISCHI PER I CIO

Il primo esempio pratico di teleco-municazioni nel cloud è stato il ser-vizio VoLte (Voice over Lte), lanciato da Nokia Networks l’anno scorso. A partire da questo primo mattone, la multinazionale sta costruendo la sua nuova offerta, sfidando i temibili concorrenti che nel frattempo sono entrati nel mercato delle infrastrut-ture e dei servizi di rete per le tele-comunicazioni. “Il punto cruciale”, dice Massimo Mazzocchini, country director di Nokia Networks Italia, “è che lo scenario attuale, lato clienti fi-nali, è dominato dagli smartphone, e quindi non solo dalla richiesta di ser-vizi voce ma anche e soprattutto dati”. Gli operatori devono quindi puntare su architetture innovative, come le reti virtualizzate e flessibili, basate possibilmente su standard aperti. Da questa esigenza nasce l’offerta Telco Cloud, che Nokia ha intenzione di arricchire sia sul fronte delle tecnolo-gie (soprattutto software) sia su quel-lo di partner e integratori, per i quali è previsto un intenso programma di certificazione.“Nokia sta implementando una me-todologia pratica per consentire alle reti a banda larga mobile di erogare ef-

ficacemente un GB di dati per utente al giorno entro il 2020”, ha dichiarato Mazzocchini, “e persegue una strate-gia volta all’innovazione per consen-tire agli operatori di gestire adeguata-mente la montante marea di dati nelle reti wireless”.“Per i nostri prodotti software”, gli ha fatto eco Dario Boggio Marzet, head of technology per l’Europa sud-orien-tale di Nokia Networks, “abbiamo adottato una strategia basata sull’indi-pendenza da hardware e cloud stack”. Solo il tempo dirà sa la multinazio-nale riuscirà a imporre la sua visione “laica” delle architetture.

NOKIA NETWORKS PUNTASULLA NUVOLA TELCO

Virtualizzazione, software e flessibilità sono le nuove parole chiave dei finlandesi

VALUE LAB POLIGLOTTA NEL CRM La gestione del cliente è sempre più mul-ticanale, ed è quindi obbligatorio restare al passo con la tecnologia. Per questo Value Lab ha rilasciato la versione 3.1 di Value Clienteling, una soluzione mul-tilingua che si interfaccia tramite Api con software di cassa, di customer rela-tionship management, marketing au-tomation, enterprise resource planning

e altro, dalla gestione del magazzino all’e-commerce, passando dalle attività sui social network. “Abbiamo puntato su facilità d’uso e personalizzazione dell’in-terfaccia utente per uso mobile, e sull’in-tegrazione con i sistemi già presenti in azienda”, ha commentato Costanzo Mi-glionico, head of Omnichannel Custo-mer Experience Solutions di Value Lab.

Massimo Mazzocchini

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“Stiamo cercando di portare via Android da Google. Non ci baseremo più su nulla che arrivi da Mountain View entro i prossimi tre o cinque anni”.

Kirt McMaster,Ceo di Cyanogen

HUAWEI ENTRA NELL’ERA DELLE IMPRESE AGILILa divisione Enterprise del colosso cinese punta alle infrastrutture convergenti e rinnova la sua offerta di storage.

Si muove con tutta la potenza che può mettere in campo Huawei, forte di 150mila dipendenti e di un fat-turato di oltre 40 miliardi di dollari a livello mondiale. E se nel settore della telefonia cellulare l’azienda sta già percorrendo alla luce del sole la strada che prima di lei hanno at-traversato le coreane Samsung ed Lg, nel settore più compassato delle infrastrutture Ict per le imprese gli sforzi in ricerca e sviluppo e l’im-pressionante numero di ingegneri schierati dalla multinazionale cinese stanno già dando frutti, anche se più in sordina.“Il mercato europeo delle imprese è strategico per noi”, ha dichiarato a Technopolis Pablo Cui, vice presi-dente della divisione enterprise di Huawei Technologies per l’Europa occidentale, “e se la corporate cresce a livello mondiale del 10% circa, il business-to-business nel Vecchio Continente dovrebbe chiudere il 2014 con un balzo del 40%. Questo vuol dire lavoro per i nostri partner ma anche assunzioni, pure in Italia”.I nuovi capisaldi di questa crescita, che ovviamente va a discapito dei player tradizionalmente presenti nel mercato delle telecomunicazioni e

SHOW ROOM HI-TECH PER BTÈ stato inaugurato a dicembre a Milano uno dei quattro centri di avanguardia che Bt ha progettato in Europa per mostrare a clienti e prospect le proprie eccellenze tecnologiche. Il customer in-novation showcase (gli altri tre sono ad Amsterdam, Bruxelles e Madrid) costi-tuiscono il nucleo di una rete globale di strutture dove i visitatori possono toccare con mano le innovazioni più recenti in tema di telecomunicazioni, data center, sicurezza, unified commu-nication e Crm.“Gli showcase offrono ai Cio una gran-de opportunità di conoscere le soluzio-ni sviluppate nei laboratori di ricerca di Bt in tutto il mondo”, ha afferma-to Corrado Sciolla, presidente di Bt Global Services, “aiutandoli a diventare maestri in quella che chiamiamo ‘the art of connecting’”.

delle piattaforme It, sono le infra-strutture convergenti, e in particolar modo apparati di rete, storage e ser-ver fortemente ottimizzati per eroga-re il massimo delle prestazioni a costi sostenibili.“Il vantaggio nel progettare siste-mi integrati”, prosegue Cui, “sta nell’ingegnerizzare alla perfezione i componenti per lavorare insieme, eliminando così tutti i colli di bot-tiglia. Certo, le piattaforme riman-gono aperte, tanto che noi siamo tra i membri più attivi di Openstack”.Alla fine del 2014, Huawei ha lan-ciato in Europa parecchie soluzioni convergenti per i clienti enterpri-se, tra cui Agile Branch Solution e Cloud Fabric Solution. La prima permette alle aziende di rilasciare nuovi servizi in breve tempo e in po-chi clic, mentre la seconda, destinata ai data center, consente di offrire in modo rapido servizi cloud flessibili.Sul fronte dei prodotti, Huawei ha presentato la nuova linea di storage Oceanstore V3, in cui Nas e San convergono in un’unica piattaforma, e ha rilasciato il sistema operativo Oceanstore Os, completamente ridi-segnato per supportare le architettu-re software-defined.

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IN EVIDENZA

LA DOMOTICA ITALIANA VINCE SULLA PASSARELLA DI LAS VEGAS Le soluzioni per la “casa intelligente” hanno spopolato durante l’ultimo Ces, la più importante fiera internazionale dell’elettronica di consumo. Non è un caso, perché la domotica è e sarà parte corposa del boom dell’Internet of Things atteso dagli analisti (Idc, fra gli altri, pre-vede si conteranno 30 miliardi di oggetti connessi nel 2020). In questo campo spicca un’eccellenza italiana, Easydom Next, un software creato da Easydom, azienda comasca premiata a Las Vegas nella categoria Sof-tware e Mobile Apps. Attraverso un’in-terfaccia di facile uso e piante interattive degli ambienti domestici, tramite questa app è possibile controllare tutti gli im-pianti – riscaldamento, elettricità, siste-

ma antifurto, home theatre e via dicendo – monitorando i consumi e creando pro-fili personalizzati. Il tutto da Pc, tablet, smartphone (Android, iOs o Windows Phone) o da smart Tv. V.B.

In un Paese dove esiste ancora un 2% di imprese completamente “offli-ne”, prive di connessione Internet, il cloud computing continua a crescere raggiungendo una penetrazione del 40% all’interno delle aziende. I dati, ambivalenti, sono dell’Istat e si riferiscono al 2014, anno in cui in Italia quasi il 70% (il 69,2% per la precisione) delle attività lavorative poteva contare su una presenza onli-ne attraverso un sito Web e il 32% anche attraverso i canali social. Zoccoli duri di resistenza all’innova-zione a parte, la nuvola continua ad attrarre investimenti ed è già sfruttata per servizi di email (dal 34,5% delle organizzazioni), software per l’uffi-cio (16,5%), applicazioni di finanza e contabilità (13,4%), archiviazione

LA NUVOLA SMUOVE GLI INVESTIMENTI ICT.MA I TIMORI RESTANO

Secondo l’Istat, lo scorso anno il 40% delle imprese ha adottato il cloud computing per almeno un attività.

di file (12,7%), hosting di database (11,1%), applicazioni di Crm (5,8%)

SPESA IT AVANTI ADAGIOQuante e quali tecnologie si compre-ranno nel 2015? Secondo Gartner nel mondo si spenderanno 3,8 trilioni di dollari, il 2,5% in più rispetto allo scorso anno, e il dato appare leggermente meno positivo di quanto non sia il realtà se si tiene conto delle fluttuazioni del dollaro. I budget aziendali si gonfieranno soprat-tutto a favore delle soluzioni e dei servizi cloud, in parte responsabili della crescita del 5,5% stimata per il segmento dei sof-tware aziendali (il cui valore raggiungerà 335 miliardi di dollari). Meno ottimisti-ca la previsione per il mercato italiano di The Innovation Group: nel 2014 gli investimenti Ict sono calati del 2% ed al-trettanto faranno quest’anno, scendendo a 67,9 miliardi di euro.

e risorse di calcolo per eseguire sof-tware (3,2%). A rallentare l’adozione del cloud, sempre secondo l’Istat, in-tervengono timori circa il furto dei dati, la difficoltà nel trasferirli in caso di recesso di contratto con il fornito-re, problemi di compliance, difficoltà di accesso ai servizi e costi. A.A.

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l’opinione

C’è un rischio molto specifico su cui aziende e istituzioni pubbliche risul-tano non preparate: quello relativo alle tecnologie Ict e alla gestione dei dati e delle informazioni critiche. Al giorno d’oggi non sono più soltan-to le organizzazioni “information in-tensive” (banche, utilities, pubbliche amministrazioni) a risultare sensibili a queste tematiche, in quanto il tema interessa oramai tutte, comprese le piccole aziende che partecipando a supply chain estese possono diventa-re l’anello debole in una catena più ampia. Nella realtà complessa in cui ci si trova a operare, molti fattori hanno impatto sulla capacità di un’azienda di proteggersi dal rischio cyber: dalla crescita degli assalti mirati all’errore umano, passando per le nuove super-fici di attacco (data center e Internet delle cose) e per le tecniche di difesa basate sull’intelligence. Per seguire un corretto approccio nella defini-

SICUREZZA IT IN AZIENDA: L’APPROCCIO GIUSTO È QUELLO RISK-BASED

zione di una strategia per la cyberse-curity, che sia correlata ai bisogni del business, le aziende devono partire da un risk assessment prendendo in con-siderazione almeno le seguenti classi di “pericolo” specifiche per il mon-do Ict: il rischio di non-compliance, quello associato a incidenti, quello reputazionale e, infine, quello legato ai fornitori di servizi e tecnologie di-gitali.Il passo successivo è la scelta della più corretta strategia di risk management, che parte dalla valutazione delle va-

EVENTI E COMMUNITY PER DIFENDERSI MEGLIO Come possono le aziende definire con il giusto approccio la loro strate-gia di sicurezza? La “ricetta” di The Innovation Group (Tig) si chiama “Cybersecurity and risk management leadership program” e comprende di-versi “ingredienti”: workshop e tavole rotonde, webinar, una serie di appun-tamenti, un canale tematico con news, commenti sulle evoluzioni normative in corso, interviste a Cso, security e

risk manager. E poi, ancora, una sele-zione di ricerche e studi costantemente aggiornata, oltre a indagini e approfon-dimenti prodotti dagli analisti di Tig e dal partner tecnico Deloitte Italia, e alla possibilità di partecipare a dibattiti con gli altri iscritti al programma. Questo è rivolto a tutte le figure professionali interessate al tema della cybersecurity (Cio e insurance manager inclusi) e si propone di costruire una community

rie alternative: dal trasferimento del rischio a terze parti, all’evitare il ri-schio, al ridurne gli effetti negativi e infine all’accettare in parte o total-mente le conseguenze.Un approccio di tipo risk-based alle problematiche di cybersecurity, oltre a riportare nel suo corretto alveo la gestione di uno dei più importanti pericoli che un’azienda si trova oggi ad affrontare, presenta vantaggi dal punto di vista economico perché permette di definire un giusto inve-stimento per la sicurezza delle infor-mazioni e delle risorse Ict. Inoltre, è oggi promosso dalle stesse norme dei legislatori europei (Eu-ropean Data Protection Regulation, Direttiva su Network and Informa-tion Security) oltre che dal National Institute of Standards and Techno-logy statunitense.

Elena Vaciago, research manager, The Innovation Group

di persone che condividono esperienze per poter trasferire le indicazioni più importanti al board e i decision maker aziendali. Il “Cybersecurity and risk management leadership program”, di cui Technopolis è main media partner, è stato messo a punto da Tig, Deloitte Italia e un advisory board di esperti e di aziende leader del settore.http://channels.theinnovation-group.it/cybersecurity

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SCENARI |

| FEBBRAIO 2015

Gli ingredienti sul tavolo dell’ultra broadband sono parecchi. Ci sono i fondi europei e le risorse pubbliche, le manovre degli operatori, i piani del governo. L’obiettivo è noto: portare entro il 2020 la connettività a 100 Megabit alla quasi totalità della popolazione, dell’industria e della Pa nazionale.

SCENARI | Banda larga

LO SPRINT DELLE RETIDI NUOVA GENERAZIONE

La soglia del nuovo digital divide è oggi quella dei 30 Megabit per secondo (e non più quella dei 2 Mbps) ed è pronta a scalare da

subito verso la vetta dei 100 Megabit, almeno in ambito pubblico. Si può partire da questo parametro tecnico, e quindi dalla velocità delle connessioni, per inquadrare il piano nazionale che vuole dotare il Belpaese di quelle “au-tostrade informatiche” oggi disponibi-li solo a macchia di leopardo. Il piano in questione è stato definito sotto la regia del Ministero dello Svi-luppo economico: Ngi gestirà gli in-terventi in Liguria, Emilia Romagna, Marche ed Umbria, Telecom Italia in

Toscana, Veneto, Lazio, Campania, mentre a Infratel (tra opere infrastrut-turali condotte in proprio e affidate a terzi) andranno le restanti regioni. La corsa contro il tempo è in pieno svol-gimento: vanno, infatti, rispettati i tempi imposti dalla Commissione Eu-ropea per la spesa dei fondi strutturali 2007-13. E se tutto andrà come pre-visto sulla carta, il Mezzogiorno potrà vantare un indice di penetrazione della banda ultralarga superiore alla media europea. Rilanciare l’economia puntando sul digitale, del resto, è uno dei pallini del premier Matteo Renzi. Sulla questio-ne Ngn (Next Generation Network),

il Governo ha però il compito di scio-gliere diversi nodi che attanagliano da anni lo sviluppo delle telecomunica-zioni “made in Italy”. Il più importante e noto riguarda la costituzione di un nuovo soggetto pubblico-privato che possa assicurare la governance necessaria per garanti-re un accesso paritetico alla rete per tutti gli operatori. Il ruolo giocato da Telecom Italia (al momento in cui scriviamo non si conoscono gli esiti del Cda in programma il 19 febbraio), a cominciare dall’ipotesi di integrazione con Metroweb, è ovviamente uno de-gli snodi fondamentali. Renzi, da parte propria, ha spesso ripe-

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tuto lo slogan secondo cui “la grande opera infrastrutturale di cui ha biso-gno oggi come il pane l’Italia è la ban-da larga”. L’obiettivo del Piano Strate-gico nazionale per la banda ultralarga, in tal senso, lo conosciamo: portare entro il 2020 la connettività a 100 Mbps ad almeno l’85% della popola-zione italiana attraverso una copertu-ra che dovrà coinvolgere anche le sedi della Pa, aree di interesse economico o ad alta concentrazione demografica, snodi logistici e industriali. Il restante 15%, che interessa sostan-zialmente le aree rurali e a fallimento di mercato, conterà invece su velocità a 30 Mbps. Note sono anche le risorse

IN TOSCANA IL COMUNE PIÙ VIRTUOSOÈ Capannori, cittadina di 45mila abitanti in provincia di Lucca, il Comune vincitore dell’edizione 2014 del contest “Italia Connessa” indetto da Telecom Italia. Il suo programma di digitalizzazione del territorio, finalizzato a diffondere l’utilizzo dei servizi informatici fra cittadini, aziende e pubbliche am-ministrazioni, è risultato il più inno-vativo tra quelli degli altri 118 centri di medie dimensioni in gara. Le sue peculiarità? La capacità di va-lorizzare il patrimonio culturale loca-

le tramite un sistema informatizzato per la gestione dei servizi turistici, e l’avvio di progetti partecipativi di social government e di mobilità so-stenibile. Telecom, da parte propria, realizzerà nel territorio comunale tutte le infrastrutture fisse e mobili di ultima generazione (comprese le reti 4G Plus) in anticipo rispetto al piano di sviluppo che prevede oltre 3,4 miliardi di euro dedicati all’ultra-broadband (a oggi sono oltre cento le città italiane cablate dalla fibra ottica dell’operatore).

che il Governo metterà a disposizione: oltre sei miliardi di euro, pescando qua e là da finanziamenti europei (fondi Feasr e Fesr) e dal Fondo per lo Svi-luppo e la Coesione (da anticipare con la Banca europea degli investimenti). I soggetti privati, da parte loro, mettera-no sul piatto due miliardi nel triennio 2014-2016.

I risultati aspettatiSecondo quanto riportato dal Piano Strategico, circa 800 città saranno rag-giunte entro il 2015 da linee a 30 Mbps mentre per gli uffici pubblici (comprese tutte le scuole, i plessi sanitari e le sedi periferiche del Ministero della Difesa) i collegamenti in via di realizzazione nei prossimi mesi saranno invece a 100 Mbps. Nel 2016, secondo l’obiettivo dichia-rato dal Piano, si salirà a 1.130 centri, sommando la copertura garantita dagli interventi pubblici (657 città) e quella (482 città) prevista dai piani di inter-vento autonomi degli operatori privati. Se guardiamo alla situazione del 2013, quando l’Italia occupava mestamente l’ultimo posto della classifica europea sulla “next generation access broadband coverage” redatta da Screen Digest and Point Topic, qualcosa è effettivamente

cambiato. O sta per cambiare.Tornando in casa Telecom, l’ex ope-ratore incumbent ha confermato a più riprese le sue velleità in fatto di banda larghissima, prevedendo nel piano in-dustriale 2014-2016 circa tre miliardi l’anno di investimenti per sviluppare le reti Ngn. L’idea è quella di sperimen-tare su larga scala prima i sistemi vec-toring per le linee Vdsl2, per velocità fino a 100 Megabit, e quindi abbrac-ciare già da quest’anno Fast, la tecnolo-gia trasmissiva su doppino di rame che abilita capacità fino al Gigabit. Anche Fastweb e Vodafone, dal canto loro, hanno deciso di basare l’espansione del proprio network ultrabroadband su un mix di fibra e rame con due reti parallele, mentre la maggior parte dei Paesi Europei punta in modo esteso sulla tecnologia ottica e su reti su cavo coassiale. Se, come giustamente dice il Presidente di Telecom, Giuseppe Recchi, “è de-cisivo adeguare subito le infrastrutture su cui viaggiano i dati perché è in atto la quarta rivoluzione industriale, quel-la dell’Internet of Things”, non ci sono più margini di attesa. Lo sviluppo e la diffusione delle reti di nuova genera-zione non possono più aspettare.

Piero Aprile

“ Entro il 2015, circa 800città saranno raggiunte

da linee a 30 Mbps e tutti gli uffici pubblici, comprese scuole

e plessi sanitari, sarannocollegati a 100 Mbps ”

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Il ritornello è noto: il Belpaese paga un’evidente carenza infrastruttu-rale in fatto di diffusione delle reti (fisse) a banda larga e larghissima, e

tale handicap si ripercuote sulla com-petitività delle imprese che operano lontano dai centri metropolitani. Eppure le prove che la disponibilità di collegamenti a Internet ad alta veloci-tà possa migliorare le prestazioni eco-nomiche delle aziende non mancano. Fra queste ci sentiamo di segnalarne una che, per quanto non recentissi-ma, ha misurato l’impatto delle reti “broadband” su scala locale. La ricer-ca, a firma della Fondazione Bruno Kessler, ha calcolato nello specifico che, fra il 2010 e il 2012, un mese di disponibilità delle connessioni super-veloci (su tecnologia Adsl 2 di Telecom Italia, portata via via in tutti i comu-ni trentini grazie alla dorsale in fibra ottica di collegamento delle centrali implementata da Trentino Network) si è tradotto per le imprese attive nel territorio in un aumento stimato del volume d’affari del 4,7%. Estendendo a 15 mesi l’accesso ai ser-vizi a banda larga a 20 Megabit, la cre-scita delle performance economiche è salita al 19%. Questo per dire che, là dove esiste una rete che funziona bene e velocemente, le imprese ne traggo-

no giovamento. Dove sta il problema, dunque? Nel fatto che gli operatori di telecomunicazioni privati non sono sempre nelle condizioni di garantire la copertura ad alta velocità in tutte le aree, causa la limitata profittabilità degli investimenti necessari per realiz-zare le nuove infrastrutture nelle aree cosiddette rurali. La presenza di un “backbone” in fibra ottica in grado di assicurare connettivi-tà ad alte prestazioni in modo capillare (cablare l’intera Penisola avrebbe un costo stimato di 15 miliardi di euro) è non a caso uno dei “nodi” su cui sta la-vorando su più piani il Governo in sede di attuazione dei piani dell’Agenda Di-gitale e del decreto Crescita Digitale.

Il ruolo degli operatori alternativiA giocarsi la partita per conquistare la domanda di connettività e servizi cloud del tessuto aziendale italiano ci sono gli operatori di prima fascia (e quindi Telecom Italia, Fastweb, Vodafone, Bt) e tutte le telco alternative (Interoute, Between, CloudItalia, Infracom, Re-telit e Tiscali tanto per fare dei nomi) che lavorano sul territorio con una pro-pria infrastruttura di rete. Proprio que-ste ultime, con all’attivo dorsali e reti metropolitane di migliaia o di decine di migliaia di chilometri sviluppati in

LE DORSALI CHE FANNO CORREREI DISTRETTISulla fibra ottica corrono i servizi digitali di nuova generazione. Le connessioni a banda larghissima possono incrementare sensibilmente la produttività delle imprese attive sul territorio. È solo un problema di governance?

SCENARI | Banda larga

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IL WIFI A 4,6 GBPS ARRIVA NEL 2015?Navigare su reti wireless con velo-cità cinque volte superiori rispetto a quelle garantite dalle tecnologie attuali. È la possibilità che prospet-ta Samsung sfruttando il nuovo standard WiFi 802.11ad, capace di garantire connessioni fino a 4,6 Gi-gabit per secondo, su una frequen-za di 60 GHz, eliminando le interfe-renze fra i dispositivi collegati sullo stesso router. Le problematiche relative alle scarse capacità di pe-netrazione degli ostacoli, causa di basse prestazioni e instabilità del-la rete in determinate circostanze, vengono aggirate mediante l’uso

La telefonia mobile di quarta ge-nerazione è di fatto una sfida a due: Tim e Vodafone si conten-dono lo scettro del 4G con oltre tremila comuni coperti a testa, un dato che equivale a circa il 75% della popolazione. L’obiet-tivo di entrambi gli operatori è quello di raggiungere fra l’80% e il 90% degli italiani entro la fine del 2016. E per quanto riguarda Wind e 3 Italia? La prima dichia-rava di aver installato le proprie antenne, al 31 ottobre 2014, in 217 centri, con una copertura nell’ordine del 30%; 3 Italia si posiziona poco sopra, con una diffusione della propria rete Lte 4G pari al 36%. Il numero di utenti che sfrutta connessioni Lte è però lontano dai dati di copertura, complice anche la scarsità di smartphone omologati. Telecom Italia dichia-ra 860mila clienti di offerte Tim 4G, mentre si arriva a 1,2 milioni per Vodafone. Quest’ultima con la propria infrastruttura 4G+ (Lte Advanced) ha raggiunto oltre 150 comuni. In casa Telecom, invece, la connessione mobile super-veloce da 225 megabit al secondo si è estesa a fine no-vembre scorso a 120 città con l’obiettivo di arrivare a 200 con l’inizio della primavera. 3 Italia e Wind, da parte loro, promettono di voler quadruplicare nel corso del 2015 il numero dei siti in tec-nologia 4G Lte attivati nel 2014.Sullo sfondo c’è anche la lotta per i servizi Voice over Lte, ter-reno dove Vodafone si è mossa per prima ed è presente attual-mente a Milano, Roma e Ivrea (To).

A CHE PUNTO È LA RIVOLUZIONE 4G

alcuni casi su scala paneuropea, sono più o meno concordi sull’idea che oc-corra creare una nuova infrastruttura di rete in fibra ottica capillare, di pro-prietà di un soggetto unico e pubblico, da mettere a disposizione di tutti gli operatori di telecomunicazione a parità di condizioni tecniche ed economiche. Una rete che favorirebbe, se sfruttata a dovere, una crescita del Pil nell’ordine dell’1,5%.La corsa in avanti, dal punto di vista tecnologico, è quella di garantire sui backbone basati su tecnologia di tra-sporto Dwdm (Dense Wavelength Division Multiplexing) capacità a 100 Gigabit, e di conseguenza la massima affidabilità (per azzerare il rischio di congestionamento della rete) e disponi-bilità nei servizi di connettività e data center (appoggiandosi a server farm di proprietà dislocate nei principali snodi di rete del territorio nazionale), nelle soluzioni cloud di comunicazione voce e dati, nel full outsourcing di sistemi It. A dispetto delle ambizioni “monopo-listiche” degli operatori di prima fa-scia, anche i provider alternativi vanno quindi considerati una risorsa vitale

per completare lo sviluppo dell’infor-matizzazione dei distretti produttivi italiani. Il principio vale soprattut-to per quelle aziende che prediligono l’aspetto della flessibilità, dando per scontata l’affidabilità del servizio, ri-spetto a quello di una potenza di fuoco (leggi: capacità di banda) sulla carta superiore. Se l’Italia vuole recuperare il gap che paga a molti Paesi europei in fatto di infrastrutture di connettività, e se le reti di nuova generazione vanno

intese come punto fermo del piano di crescita digitale, serve probabilmente un cambio di governance (quindi an-che politico) sulle politiche di sviluppo della banda larga e larghissima. E, for-se, serve anche un atteggiamento più propositivo delle aziende verso le tec-nologie che già oggi sono disponibili sulle dorsali telematiche che attraver-sano lo Stivale.

Piero Aprile

di antenne direzionali ad ampio raggio d’azione, supportate da si-stemi in grado di ottimizzare il flus-so delle onde millimetriche. La tec-nologia messa a punto dal gigante coreano dovrebbe trovare applica-zione nelle piattaforme di domo-tica (le cosiddette smart home) e più in generale nelle soluzioni In-ternet of Things. I primi dispositivi con a bordo la soluzione, e quindi apparecchi audio/video e medicali e apparati di telecomunicazione, dovrebbero arrivare in commercio forse già entro la fine dell’anno. 

“ Una nuova infrastruttura di rete in fibra ottica da mettere a disposizione di tutti gli operatori favorirebbe una crescita del Pil

nell’ordine dell’1,5% ”

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SCENARI |

| FEBBRAIO 2015

SCENARI | Big Data

Lo scenario dell’adozione delle tecnologie dei Big Data in Ita-lia è piuttosto desolante, perché poco o nulla è stato fatto negli

ultimi due anni se non sotto forma di sperimentazioni. Talvolta, le tecnolo-gie pensate per i grandi dati sono state introdotte in realtà solo per innovare precedenti, più tradizionali sistemi di analisi, con l’obiettivo di ridurre costi di acquisto e di esercizio delle tecnolo-gie di gestione delle informazioni.Tutto ciò, nonostante le imprese italia-ne attribuiscano un valore potenziale molto rilevante ai Big Data, in parti-colare in alcune aree specifiche di ap-plicazione, quali le analisi delle dina-miche del comportamento d’acquisto dei clienti (al fine di valutare la loro

I volumi non sono l'aspetto più rilevante dei Big Data, più importante è la capacità di generare informazioni utili attraverso nuove figure professionali. Ma in Italia partono solo progetti pilota.

ITALIA AVANTI ADAGIO NEL MARE DI INFORMAZIONI

customer experience multicanale), gli insight a supporto delle decisioni stra-tegiche dell’impresa (predizioni, scena-ri e previsioni di medio-lungo termi-ne), le analisi di dati strutturati e non strutturati che derivano dai documenti aziendali dematerializzati (fascicoli sa-nitari, gestione sinistri) e l’ottimizza-zione dei processi aziendali.Il continuo aumento dei volumi e delle tipologie di dati di cui le aziende pos-sono (potenzialmente) disporre è un dato di fatto, ma è inutile continuare a lanciare scenografici proclami con l’intenzione di colpire la suggestione del pubblico, come il fatto che ogni secondo si generino su Web o tramite le reti di sensori digitali fissi o mobi-li, Tera o Peta byte di dati (ben inteso,

non di informazioni!). I volumi, spesso confusi col termine “big”, tra l’altro, non sono l’aspetto più qualificante ed interessante dei Big Data; la varietà e la velocità sono molto più importanti nel generare nuove informazioni utili nel mondo fisico-scientifico (ad esempio meteorologia o medicina) e nel mondo manageriale (decisioni di marketing o di rischio). Il valore aziendale dello sfruttamento di un tale potenziale in-formativo è difficilmente quantificabile ma non è sicuramente in discussione. Dove risiede, quindi, il problema? Per-ché quella che sulla carta risulta esse-re un’opportunità unica e imperdibile non viene colta al volo dalle aziende italiane?A parte la fisiologica “prudenza” del-

Paolo Pasini

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Conservati in archivi polverosi e magazzini off-site, i volumi di “dark data” sono presen-

ti in quasi tutte le aziende, in genere sottovalutati e non presi in considera-zione. I recenti sviluppi tecnologici e l’adozione di dispositivi mobili hanno dato vita a una nuova aspettativa da parte degli utenti: accedere alle infor-mazioni ovunque e in ogni momento. Questa collaborazione sta consenten-do agli utenti di creare e condividere i dati a piacimento, e ai “dark data” di fluttuare liberamente fra una am-pia gamma di dispositivi, tra cui smartphone, tablet e laptop “tradizio-nali”. Il problema è che molte aziende non dispongono delle policy e delle tecnologie necessarie per determinare best practice mirate alla protezione e all’archiviazione efficiente dei dati al di fuori del data center aziendale.Gli It manager sono spesso in difficol-tà per il fatto di avere scarsa (o nulla) visibilità su quali dati vengano creati, oltre a disporre di un controllo limita-to sulla loro modalità di archiviazione e mancata conoscenza del loro valore di business. Nonostante tutto questo non si traduca in un’interruzione di business, può senz’altro causare un aumento dei costi e il mancato sfrut-tamento di numerose opportunità. In una recente indagine, il Com-pliance, Governance, and Oversight Counsel (Cgoc) ha scoperto che, in media, il 69% dei dati aziendali non ha valore. Sostanzialmente le aziende

SCAVARE NEI DATI PER TROVARE L'OROI “dark data” accumulati in anni di attività possono rivelarsi una vera miniera di informazioni preziose per il business.

potrebbero spendere fino al 20% del proprio budget annuale per l’archivia-zione di dati inutili. Oltre al costo dello storage di dati superflui, i rischi legati all’individua-zione di dati necessari in caso di una violazione o in risposta a un’azione le-gale sono considerevoli. Tutto questo può rubare tempo e budget agli It ma-nager, sottraendo banda alle esigenze di business immediate o richiedendo costose risorse esterne. La chiave per soddisfare l’esigenza di accumulo delle informazioni sta nell’identificare quali dati abbiano valore per un determinato diparti-mento aziendale e per quanto tempo. Una volta che i dati sono stati valuta-ti e indicizzati in modo appropriato, le aziende possono decidere meglio come e quando archiviarli – sia che questo avvenga localmente, nel cloud, fuori sede o utilizzando una combi-nazione di queste possibilità. I “dark data” rappresentano opportunità mai sfruttate di trasformare un’azienda.

Emily Wojcik, senior product marke-ting manager, information manage-ment di CommVault.

le nostre aziende nell’essere pionieri dell’innovazione It (e al netto della congiuntura ancora difficile), la critici-tà risiede nella difficoltà di dotarsi del-le opportune tecnologie da un lato, e delle necessarie competenze di analisi e interpretazione dei Big Data dall’altro. La sensazione emergente da questi ul-timi due anni è che le imprese italiane, prima di lanciare veri e propri proget-ti, si stiano dotando per l’appunto del necessario mix di competenze che può creare le condizioni di base, da un lato, per ottenere i reali benefici promessi dai Big Data e, dall’altro, per far leva sull’esperienza fatta con le generazioni precedenti di strumenti e applicazioni di Business Intelligence.Parlando di competenze collegate al mondo dei grandi dati, non si può non citare il data scientist: non è un It ma-nager, non è uno statistico, non è un matematico, non è un programmatore. Non è nemmeno un analista di pro-cessi e dati per le decisioni aziendali e funzionali, nè un esperto di data mo-deling o di decision making process modeling, e non è un risk manager. È, invece, una figura manageriale che combina diverse professionalità fonda-te su un mix armonico di conoscenze e competenze che presentano gradi di in-tensità diversi, oltre a una base comune di soft skill. Queste ultime riguardano, da una parte, le abilità creative di pro-blem solving, la curiosità e l’originalità nella ricerca e nell’uso dei dati, la capa-cità di trovare l’inaspettato, il pensiero laterale, il teamworking, la gestione del cambiamento (soprattutto di natura cognitiva); dall’altra parte, con pari rilevanza, riguardano le abilità di co-municazione e relazione per narrare in modo intellegibile che cosa suggerisca-no i dati e per fornire risposte coerenti con i fabbisogni informativi espressi.

Paolo Pasini, direttore Unit Sistemi Informativi, Sda Bocconi School of Management e responsabile dell’Os-servatorio BI di Sda Bocconi.

Emily Wojcik

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22 | FEBBRAIO 2015

Il nuovo paradigma si può così sinte-tizzare: milioni e milioni di persone sono dedite a tracciare i parametri delle attività fisiche e di recupero e

gli operatori sanitari sono sempre più stimolati ad adottare sistemi per analiz-zare questi dati e migliorare l’efficienza delle prestazioni mediche. La cartella clinica di ogni singolo individuo tenderà ad aggiornarsi in real time (grazie a spe-cifiche app mobili) e si renderà disponi-bile sempre e dovunque. Il percorso teso a portare i dati delle attività personali di ogni cittadino/utente all’interno dei servizi sanitari è, però, solo all’inizio. La maggior parte della spesa in fatto di Big Data nel settore healthcare, infatti, è attualmente orientata alla realizzazio-

Device e app mobili, m2m e Big Data: i processi di cura e terapeutici possono migliorare grazie alle tecnologie. L’esperienza delle agenzie Usa e il caso dei “Pdta” in Italia.

I GRANDI DATI IN SANITÀ: LA VERA OCCASIONE

ne dei framework e delle infrastrutture necessarie a sostenere i progetti di stu-dio in campo farmaceutico. Ma le appli-cazioni capaci di raccogliere, catalogare e analizzare la grande mole di informa-zioni relative alla salute personale sono già ora un fenomeno in forte ascesa. Stando a uno studio commissionato da Emc a MeriTalk, un’associazione ame-ricana pubblico-privata attiva nel cam-po dell’e-government, l’impatto che i grandi dati avranno nel settore sanitario è tutt’altro che trascurabile. Saranno in particolare le nuove tecnologie, a co-minciare dal mobile (device e app) per finire con il machine-to-machine (inteso come apparati per raccogliere e distribu-ire i dati medici senza l’intervento uma-

no), ad alimentare questo cambiamento.Il 60% dei dirigenti sanitari intervistati afferma che i Big Data aumenteranno la capacità di fornire cure preventive e si dichiara convinto che il raggiungimento dei propri obiettivi nei prossimi cinque anni dipenderà dal saper massimizzare con successo le informazioni a dispo-sizione. Le agenzie sanitarie, dal canto loro, stanno pian piano abbracciando la materia: una su tre ha lanciato almeno una iniziativa sui Big Data, una su tre li utilizza per migliorare la cura dei pa-zienti e per ridurre i costi di assistenza e circa una su cinque vi ricorre per au-mentare il numero di diagnosi precoci. Ma c’è un problema: meno del 20% del-le agenzie sanitarie censite si dice pronto

SCENARI | Big Data

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ANALYTICS INDOSSABILIll mercato delle soluzioni di analytics in campo healthcare potrebbe valere oltre 52 milioni di dollari entro il 2019. Un valore risibile rispetto ai circa 30 miliardi spesi nel complesso da aziende e governi per i Big Data (hardwa-re, software e servizi) nel 2014? Sì, ma il dato espresso da Abi Research indica una tendenza ben precisa, e cioè che l’utilizzo dei grandi dati interesserà sem-pre di più il mondo della sanità. Anche grazie a un fenomeno molto di moda quale quello dei wearable (wireless) devices. Tut-te le informazioni raccolte dai dispositivi indossabili dedicati al fitness e alla cura della salute co-stituiranno, infatti, una parte im-portante dell’universo di “byte” che via via verranno integrati nei sistemi di health management e di assistenza sanitaria.

a lavorare con le tecnologie abilitanti per i Big Data e solo un terzo ha investito in sistemi e soluzioni It per ottimizzare il data processing e ha preparato il perso-nale informatico a gestire i grandi dati. Limiti che, stando agli orientamenti de-gli addetti ai lavori, dovrebbero essere presto superati, al pari delle criticità le-gate alla protezione dei dati dei pazienti. E in Italia?

Più terapie e minori costi Un quadro di come e quanto le tecno-logie Ict in genere siano utilizzate nella sanità italiana l’ha disegnato di recente un’indagine a firma della Fiaso, la fede-razione che riunisce Asl e ospedali del Belpaese. Il dato su cui ragionare è quel-lo relativo ai cosiddetti Pdta, acronimo che sta per Percorsi Diagnostico Tera-peutici e Assistenziali. Quelli dichiara-ti attivi o di prossima attivazione dalle 43 aziende campione sono circa 340; di questi, 293 risultano già funzionanti mentre altri 45 lo saranno entro l’an-no. Il risparmio stimato dal Ministero della Salute derivante dall’uso di questo strumento, solo evitando le prescrizio-ni farmaceutiche improprie, ammonta

a circa 8 miliardi di euro. Il problema è che solo il 16% dei Pdta si avvale di supporti informatici e ben 18 aziende su 43 non hanno alcun percorso informa-tizzato. Se si integrassero con la cartel-la sanitaria elettronica, peraltro ancora poco diffusa, i Pdta porterebbero a una riduzione di circa il 20% dei giorni di ricovero per le infezioni e le polmoniti e del 42% delle complicazioni prevenibili in ospedale. Un saving vitale per il sistema sanita-rio nazionale, che conferma come l’ap-plicazione delle tecnologie nei percorsi assistenziali possa tagliare i costi dei processi di cura, e in particolare quelli legati alla documentazione e all’adesio-ne del paziente alle terapie. I dati, i Big Data, nelle aziende sanitarie ci sono. Basterebbe “solo” utilizzarli al meglio, rendendo pervasivo e sistemico, come dice espressamente Walter Locatelli, Vice presidente Fiaso e Dg della Asl di Milano, il ricorso alle tecnologie infor-matiche pensato per i Pdta. Con l’idea, perfetta sulla carta, di costruire sistemi che traccino costi e percorsi assistenziali e terapeutici di ogni singolo paziente.

Piero Aprile

ALLA SCOPERTA DELLA NETWORK PHYSIOLOGYOltre al volume, alla velocità di gene-razione e alla varietà di formato, un elemento che caratterizza trasversal-mente i Big Data è la complessità. La generazione di grandi dati prevede l’u-tilizzo di sensori, la misura e il monito-raggio di fenomeni che evolvono con differenti scale temporali, la necessità di individuare relazioni tra sistemi, la definizione di modelli descrittivi e in-terpretativi. La gestione di queste nuove fonti di dati richiede più evolute capacità di immagazzinamento e recupero degli stessi, nonché lo sviluppo di meto-dologie di analisi e rappresentazione. Applichiamo questo assunto al corpo

umano, una macchina complessa in cui diversi sistemi fisiologici interagiscono continuamente e in cui il cattivo fun-zionamento dell’uno può influire su-gli altri, causando un deterioramento del sistema nel suo complesso. Sino a oggi si è privilegiato lo studio del singolo organo e della sua funzionali-tà. Serve quindi una più approfondita conoscenza delle capacità di interazio-ne dei diversi organi. L’invecchiamento della popolazione e la capacità di cura rispetto a molte patologie sta determi-nando un cambio dei profili di salute, con soggetti sempre più anziani e af-fetti da malattie croniche multiorgano. Questo nuovo quadro epidemiologico

rappresenta una delle principali cause di ripetuta ospedalizzazione e sta de-terminando importanti cambiamenti nell’approccio clinico. Lo studio di questo universo di dati e relazioni, che guarda alla fisiologia dei sistemi, passa sotto il nome di “network physiology”. L’attenzione dei ricercatori è quindi ri-volta allo sviluppo di nuove tecnologie di analisi volte all’identificazione delle diverse reti fisiologiche e all’applica-zione dei Big Data a uno spettro sem-pre più ampio delle patologie che ac-compagnano il nostro invecchiamento.

Giandomenico Nollo, BIOtech dip. ing. industriale Università di Trento

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Nonostante permangano alcuni timori legati alla sicurezza e alla riservatezza dei dati, il public cloud sta crescendo a tassi superiori rispetto al private. Il motivo? Piace soprattutto alle piccole e medie imprese, anche italiane.

SPECIALE | Cloud computing

IL PUBBLICO VINCE SUL PRIVATO

Le aziende italiane sono le più propense a optare per la nuvola pubblica (53% contro una me-dia europea del 46%). Questo

secondo una ricerca commissionata da Barracuda Networks a Techconsults, che conferma un trend positivo e in forte crescita rispetto all’andamento in Europa. Nel Vecchio Continente è soprattutto il reparto It a promuovere

l’utilizzo dei servizi di cloud pubbli-co nella maggior parte delle aziende (54%), seguito dai responsabili delle business unit (30%). L’Italia è abba-stanza allineata, con un’unica signi-ficativa differenza: il management lo promuove meno che nel resto d’Euro-pa (9% contro la media del 30%). Secondo quanto riportato da Netcon-sulting, il cloud continua nella sua in-

cessante ascesa, sia per la componente pubblica sia per quella privata. Ma se il modello “private” cresce con un tasso superiore al 20%, con quello “public” si arriva quasi al 50%. L’incremento registrato nei primi sei mesi del 2014, e riportato da Assinform, va a confer-ma dei trend notati già nell’anno pre-cedente. Un’importante crescita del cloud pubblico emerge anche dai dati

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SPECIALE | Cloud computing

resi noti dall’Osservatorio Cloud & ICT as a Service, edizione 2014, pro-mosso dalla School of Management del Politecnico di Milano: +40% ri-spetto al 2013 e un mercato che vale 320 milioni di euro.In base all’indagine di Barracuda Networks lo scambio e trasmissione dei dati, messaggistica e storage sono le aree in cui oggi come oggi si nota maggiore propensione ad adottare il cloud pubblico. L’unico dato in con-trotendenza per l’Italia riguarda il trasferimento dei dati (9% rispetto al 15% della media europea). Dal report dell’Osservatorio del Politecnico risulta che, tra i settori in cui le aziende ita-liane hanno maggiormente investito, ci sono il document management, il finance & accounting e il Crm & sales. Sono ambiti dinamici anche l’enter-prise social collaboration, la business intelligence, il marketing demand ge-neration, il social & web analytics e le soluzioni verticali per specifici ambiti di business.

Timori per la sicurezzaDalla ricerca di Barracuda Networks emerge che poco più della metà degli It

manager coinvolti ritiene che la sicurez-za sia uno dei principali timori quan-do si implementa un servizio di cloud pubblico: il 39% sostiene che esistano problemi di compliance e il 35% non vuole rinunciare al controllo. L’Italia non fa eccezione ma, rispetto agli altri Paesi, la sfiducia generale verso questo genere di servizi è meno rilevante (6% contro una media europea del 18%). La prevalenza degli intervistati (66%) è convinta che le informazioni aziendali non siano maggiormente tutelate nella propria infrastruttura. Infatti, se il 27% ritiene che le agenzie di intelligence go-vernative possano accedere inosservate ai dati su cloud pubblico, circa il 22% (in Italia la quota si dimezza all’11%) pensa che questo possa accadere anche per i server aziendali. Anche secondo Microsoft uno dei temi cruciali è la sicurezza. “È tra i maggiori ostacoli, insieme alla localizzazione dei dati e all’eccesso di standardizzazio-ne delle soluzioni, per l’adozione del cloud pubblico”, spiega Andrea Car-dillo, direttore della divisione cloud & enterprise di Microsoft Italia. “Per quanto riguarda la sicurezza abbiamo un fortissimo posizionamento sul mer-

cato attestato da una serie di certifica-zioni Eu Model Clauses”. Remore sì, ma superabili e superate, come afferma Stefano Sordi, diretto-re marketing di Aruba: “Quando le aziende hanno capito che i propri dati erano custoditi da professionisti esperti dotati di hardware di classe professio-nale e in grado di occuparsi autono-mamente di tutta la parte di aggiorna-menti e bug, hanno iniziato ad affidarsi con sempre maggiore fiducia al cloud, liberandosi dell’infrastruttura”.

Grande spinta dalle PmiDall’indagine Barracuda Networks emerge che la “nuvola” pubblica si sta rapidamente diffondendo in Italia e Spagna, ovvero dove prevalgono le organizzazioni di piccole e medie di-mensioni che sono state maggiormente colpite dalla crisi economica. Queste preferiscono il public cloud per varie ragioni, tra le quali innanzitutto l’otti-mizzazione dei costi, la flessibilità e la semplificazione. Lo conferma Simone Battiferri, diret-tore business di Telecom Italia e presi-dente di Olivetti: “Nell’ultimo anno è stato il cloud pubblico ad avere il mag-giore incremento, rispetto a quello pri-vato, più maturo e comunque cresciu-to in modo costante. Una forte spinta arriva dalle piccole e medie imprese, grazie all’adozione di servizi ‘ready to use’ come office automation, posta certificata, unified communication e così via. Servizi che nel modello tra-dizionale non erano accessibili a causa degli elevati investimenti necessari”. Telecom Italia ha potuto constatare come le Pmi italiane apprezzino che questi servizi siano proposti, spiegati e venduti da una persona in grado di offrire anche supporto e assistenza alla configurazione, perché spesso il livello di informatizzazione è basso, almeno su alcuni settori in cui permane un gap culturale e tecnologico. Per Giuseppe Sini, direttore commer-ciale di Retelit, “Le Pmi sono sem-

AZIENDE E SERVIZI DI CLOUD PUBBLICO

Fonte: Barracuda Networks e Techconsults, 2014

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IL MODELLO IBRIDO AIUTA LA TRANSIZIONENegli ultimi dodici mesi si è assisti-to a un’accelerazione importante nell’adozione del cloud da parte delle aziende italiane e internazio-nali. Oggi sta avendo un’ulteriore trasformazione verso modelli ibridi che uniscono ciò che c’era prima, sistemi on prEmise, con quello che ci sarà dopo (cloud), in un concetto allargato di azienda estesa, sempre più orientata a trovare il modo di colloquiare con i propri clienti, a carpirne i comportamenti e realiz-zare servizi competitivi da portare

velocemente sul mercato. Così dice Filippo Rizzante, Cto di Reply. “L’e-sperienza maturata sul campo in pro-getti cloud importanti, la ricerca, la formazione di competenze in innova-zione tecnologica, metodologica e di processo, ci consentono oggi di sup-portare il cliente in tutte le fasi di un progetto cloud. Per fare degli esempi, grandi aziende nel retail, così come i telco operator, sono tra quelli ad es-sersi maggiormente attivati nell’ado-zione del cloud a supporto di servizi quali l’e-commerce e sistemi di Crm”.

pre più convinte che le caratteristiche dell’infrastruttura cloud, soprattutto la rapidità e la facilità di utilizzo, possano migliorare notevolmente il loro busi-ness”. Dello stesso avviso anche Ro-berto Patano, senior manager systems

Filippo Rizzante

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SCAMBIO/TRASMISSIONE DEI DATI

COMUNICAZIONE

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STORAGE

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SICUREZZA IT

NESSUNO

UTILIZZO ATTUALE

UTILIZZO PREVISTO

GLI AMBITI DI ADOZIONE

engineering di NetApp: “Tra le aree emergenti ci sono gestione e ammini-strazione del personale, Erp/gestionali e posta elettronica certificata. Proprio da questi elementi emerge il fatto che il cloud è un settore in cui si comincia a

vedere la presenza crescente delle pmi, che prima erano più restie per una serie di motivazioni, tra cui anche la man-canza degli skill necessari per approc-ciare determinati argomenti”.

Maria Luisa Romiti

Fonte: Barracuda Networks e Techconsults, 2014

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28 | FEBBRAIO 2015

TECHNOPOLIS PER DELL

VIOLAZIONI IT: LE IMPRESE E LA VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA

La sicurezza è lungi dall’essere una scienza esatta e il motivo è semplice: si tratta di un ambito molto comples-so. Le aziende intervistate che hanno sperimentato un attacco citano violazioni dall’esterno, errori dell’utente, manchevolezze del service provider e phishing come alcune delle cause. Le società di servizi finanziari han-no evidenziato gli attacchi dall’esterno come principale causa di violazione e considerano gli hacker professioni-sti il rischio principale da combattere nei prossimi cinque anni.Le minacce si nascondono in reti, endpoint e dispositivi, spesso celate in setting e permessi mal configurati, o in policy di data governance, di accesso e di utilizzo ineffi-caci. Queste minacce non identificate fino a poco tempo fa arrivano dall’intero perimetro dell’organizzazione e possono facilmente permeare processi, asset e account individuali. Proviamo a immaginare un costo per ciascu-na di queste violazioni e minacce. Ognuna potrebbe causare un outage It minimo oppure un malfunzionamento critico. Pensiamo a un istituto fi-nanziario che “perde” un email server per una giornata: come si calcolano i danni? Il 58% di queste realtà ritiene che il rischio maggiore sia legato alla perdita di dati criti-ci, ma come conteggiare realmente questo costo?Il primo passo è quello di fare un audit a livello azien-dale. Se il budget è limitato, assegnare delle priorità agli asset principali è un buon punto di partenza. Poiché le minacce arrivano sia dall’esterno sia dall’interno dell’a-zienda, valutare la protezione del perimetro è un’opera-zione che comprende l’ambiente It fisico, la rete virtuale, l’accesso alle applicazioni da parte di utenti, partner e clienti, oltre al sabotaggio – intenzionale o meno – da parte dei dipendenti.Solo monitorando e analizzando ogni failure, calcolan-done il costo per l’azienda, è possibile farsi un’idea chia-ra delle perdite causate dalle violazioni. Forse va contro la natura dei Cio affermare che le perdite derivano da un malfunzionamento dell’It. Attualmente, un istituto finanziario spende in media il 16,5% del proprio bud-get totale sulla sicurezza It. Dimostrando in maniera più accurata il collegamento tra le violazioni e le perdite di fatturato, i chief information officer potrebbero ottenere molto di più quando si tratta di definire le allocazioni di budget.

Negli ultimi anni gli attacchi alla sicurezza sono costati milioni di euro ad aziende pubbliche e private. Un re-cente sondaggio svolto da Dell su circa 1.500 aziende in tutto il mondo ha rivelato che l’87% di queste ha sperimentato un attacco nei dodici mesi precedenti, con perdite per circa un miliardo di dollari. È quindi abbastanza evidente che le imprese stan-no adottando un approccio alla security basato su un rapporto costi/benefici. Tutti sanno che la sicurezza è importante, quasi tutti hanno vissuto una violazione di qualche sorta, e tuttavia meno del 20% è disposto o è in grado di fare investimenti che rendano la sicurezza proattiva invece che reattiva.Per utilizzare una terminologia tipica del risk manage-ment, alcune perdite vengono considerate un rischio accettabile, e cioè un rischio compreso e tollerato poiché il costo o la difficoltà legati all’implementazione di una contromisura efficace eccedono le aspettative di perdita.Tutto questo discorso è un po’ vago e non tranquillizza i chief information officer.

Florian Malecki,director product marketing di Dell Software

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Pubblico, privato o ibrido, per offrire infrastrutture, piattaforme e software. Tante combinazioni e proposte differenti, adatte a soddisfare le esigenze delle grandi aziende così come quelle delle piccole e medie imprese.

TUTTO SULLA NUVOLA

Nel cielo delle aziende italia-ne si allarga la nuvola del cloud pubblico. Negli ul-timi mesi questo modello

è stato adottato non solo da start up o da aziende nativamente digitali, ma anche da società di grandi dimensioni che stanno intraprendendo progetti di It transformation, spesso guidate dalla ricerca di maggiore flessibilità infra-strutturale e di minori costi. I servizi più ricercati sono le soluzioni Infra-strucutre-as-a-Service (IaaS), apprez-zate per ragioni di costi, e quelle che consentono di realizzare i progetti di

Big Data, altrimenti troppo complessi da gestire in house. È questo il pensie-ro di Andrea America, head of cloud platform in Google for Work Italia, che così illustra l’offerta dell’azienda: “A fianco dei servizi di messaging & collaboration, Google Apps for Work, negli ultimi anni Google ha lanciato e arricchito gradualmente la propria piattaforma, costituita da un set di servizi modulari cloud-based, e fonda-ta su una componente IaaS, Compute Engine, che mette a disposizione oltre quaranta configurazioni di virtual ma-chine su sistemi operativi Linux (free e

SPECIALE | Cloud computing

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SPECIALE | Cloud computing

a pagamento) e Windows. C’è poi una componente Platform-as-a-Service, App Engine, che consente di eseguire le applicazioni in un ambiente com-pletamente gestito e, quindi, di foca-lizzarsi sullo sviluppo degli applicativi anziché sulla parte infrastrutturale”.Amazon Web Services sta continuan-do a espandere la propria proposta: at-tualmente sono disponibili più di qua-ranta servizi che vanno dall’offerta di capacità di calcolo, storage, database, networking fino a sistemi per l’analisi di dati, per il deployment, manage-ment, monitoring e per lo sviluppo di applicazioni mobile. “Abbiamo la capa-cità di eseguire hardware dedicato a un singolo cliente, ottimizzare l’investi-mento e gestire la capacità con istanze on-demand, reserved, e spot”, afferma Nicola Previati, territory manager di Amazon Web Services per l’Italia. Il Marketplace offre attualmente più di 1.600 prodotti software da eseguire su Aws e disponibili su base oraria da Isv come Sap, Oracle o Adobe. “Parlan-do di Paas”, prosegue Previati, “propo-niamo Amazon Elastic Beanstalk, che consente agli sviluppatori di avviare semplicemente la propria applicazione nel cloud ed eseguirla automaticamen-te. Per quanto riguarda invece la neces-sità di gestire operazioni più sofisticate, due sono i sistemi che possono aiutare i nostri clienti: Aws Cloud Formation e Aws OpsWorks”.Nella visione di Clouditalia, come spiega Francesco Baroncelli, diretto-re mercato e operations, il passaggio

delle aziende italiane al cloud pubbli-co, almeno per una parte della propria infrastruttura, è possibile e facilitato se affrontato con un approccio adatto al nostro Paese. “Per questo”, spiega il manager, “proponiamo un cloud di prossimità, non affidato ai player inter-nazionali ma a un provider locale con riferimenti sul territorio e con soluzio-ni non solo standard. Un processo già sperimentato con successo nelle Tlc e adesso integrato con i servizi cloud”, Clouditalia offre soluzioni Iaas (virtual data center, disaster recovery, backup e servizi professionali), oltre a soluzioni Paas e Saas a progetto. “Disponiamo di un e-commerce per la vendita di virtual machine, che è anche una piat-taforma white label per la rivendita di servizi da parte dei partner”, conclude Baroncelli.Le offerte di IaaS e di PaaS sono sfrut-tate dalle aziende per migrare o per modificare applicazioni già esistenti. Il Software-as-a-Service è, invece, il modello dominante nell’area della col-laboration. Nel caso di Microsoft Ita-

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IBRIDO È MEGLIO,ECCO PERCHÉPoter utilizzare un mix di risorse on premise ed esterne, spostan-do dinamicamente i carichi di lavoro a seconda della tipologia e delle necessità, rappresenta un vantaggio operativo e di bu-siness. Secondo Andrea Bertol-do, responsabile servizi cloud, Europe di Bt Global Services, le ricerche sul campo mostrano che le aziende hanno necessità di soluzioni cloud flessibili e ca-paci di comprendere elementi diversi: ed è per questo che le preferenze, in fase di scelta dei fornitori, si stanno orientando verso provider in grado di or-chestrare la gestione di data center e reti. “Potendo contare sulle pro-prie riconosciute competenze di ‘networked It service pro-vider’, con una rete globale e una consolidata strategia cloud che l’ha portata ad avere oggi venti piattaforme cloud locali in quattro continenti”, afferma il manager, “Bt ha nel tempo co-struito un’offerta (la famiglia di servizi Bt Cloud Compute) che permette alle aziende di gestire l’inevitabile complessità delle loro infrastrutture It con archi-tetture cloud ibride”.

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lia, come spiegato dal direttore della divisione cloud & enterprise, Andrea Cardillo, “l’offerta SaaS legata alla col-laboration e alla produttività include Office365 e Dynamics Crm Online. Per quanto riguarda le modalità IaaS e PaaS, a guidare è Azure, che a oggi presenta più di quaranta servizi di piat-taforma che vanno dall’evoluzione dei data center, ai servizi Web e mobile, ai Big Data e all’Internet of Things”.

Data center “nazionali”“A partire dal 2012 l’offerta cloud di Fastweb, FastCloud, è evoluta per essere sempre più competitiva”. Pa-rola di Marco Pennarola, manager of Marketing Enterprise dell’azienda, che spiega: “Questo è avvenuto grazie alla realizzazione di una piattaforma infra-strutturale proprietaria, base irrinun-ciabile per l’erogazione di un servizio dotato di elevati gradi di performance, affidabilità, unitamente alla diffusio-ne geografica della rete, all’evoluzione tecnologica della virtualizzazione, ai data center di nuova generazione, a skill e know-how del competence cen-ter interno. La strategia di eccellenza su tutta la proposizione di servizi It si è concretizzata con un notevole inve-stimento per la realizzazione di nuovi data center, il primo a Milano, unico in Italia certificato Tier IV dall’Uptime Institute”. La proposizione end-to-end di servizi pensata per il mondo azien-dale si è sviluppata con soluzioni IaaS di virtual server, storage, backup, disa-ster recovery, virtual data center, e con soluzioni SaaS di unified communica-tion & collaboration.KpnQwest Italia ha attivi quattro data center all’interno del campus di via Caldera a Milano. “La nostra archi-tettura cloud è totalmente ridondata in due data center distinti collegati in fibra ottica”, spiega il direttore com-merciale, Marco Sproviero. “Grazie alla partnership da poco siglata con Hp, stiamo per abilitare l’infrastruttura per offrire anche servizi di virtual data

center: il nostro cliente potrà control-lare in piena autonomia tutte le com-ponenti della propria architettura vir-tuale, contando sempre su un supporto specialistico diretto e personalizzato”. Lo scorso anno Fujitsu ha rafforzato la strategia di investimento in Italia, nel settore della nuvola e dei servizi gesti-ti, con l’annuncio dell’infrastruttura Fujitsu Cloud IaaS Private Hosted ero-gata da un data center situato a Mila-no. “In questo modo riusciamo a dare maggiori garanzie ai clienti locali pri-vati e pubblici dal punto di vista della prossimità territoriale dei dati, nonché a fornire una notevole potenza elabo-

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rativa ai nostri servizi gestiti”, precisa Federico Francini, presidente e ammi-nistratore delegato di Fujitsu Italia. “Il nuovo data center completa la nostra offerta perché permette di superare al-cuni dei maggiori ostacoli all’adozione del cloud, come la preoccupazione per il rispetto delle normative connesse alla gestione dei dati locali e per il controllo dell’accesso”.

IaaS pubblico e privatoAruba propone soluzioni di cloud pubblico e privato fornite in modalità Iaas per graddi aziende, Pmi e Pubbli-ca Amministrazione. “Lo scorso anno

SOLUZIONI A 360 GRADILe piattaforme tecnologiche di Te-lecom Italia permettono di offrire servizi a tutti segmenti di mercato, dall’enterprise alla piccola impresa. qualche che cambia è il packaging, ossia come sono strutturate le of-ferte. A dirlo è Simone Battiferri, direttore business di Telecom Italia e presidente Olivetti. “Le grandi aziende”, spiega, “pre-diligono servizi IaaS, in cui solidità e dimensione delle infrastrutture di Telecom Italia giocano un ruolo fondamentale, e utilizzano le piat-taforme per far girare software di loro proprietà. Le piccole e medie imprese, invece, tendono a preferire servizi ‘chiavi in mano’ (ovvero SaaS)

perché difficilmente hanno risorse e know-how per configurare i servizi, installare o sviluppare internamente gli applicativi. L’offerta di Telecom Italia è strutturata per soddisfare tut-te queste esigenze”.Da ottobre 2014 l’operatore di tele-comunicazioni ha messo a disposizio-ne delle piccole e medie imprese e di professionisti il nuovo portale Nuvola Store: un marketplace di servizi che vanno dall’offerta IaaS di base al do-minio, all’antivirus, fino a Office 365. Tutti possono essere acquistati con carta di credito, PayPal e altre mo-dalità che comprendono, per i clienti Telecom Italia, anche l’addebito sul costo della bolletta telefonica.

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SPECIALE | Cloud computing

abbiamo lanciato numerosi servizi per ampliare l’offerta, dal Cloud Object Storage al Cloud Unified Storage, fino all’Extra Control Monitoring, pensato per le imprese che vogliono controllare nel dettaglio il consumo delle proprie virtual machine e di Cloud Backup per la gestione e il mantenimento in piena sicurezza dei propri backup, anche di interi server dedicati o virtuali”, affer-ma Stefano Sordi, direttore marketing di Aruba. “Credendo fortemente nella multicanalità abbiamo anche lanciato l’applicazione Aruba Cloud Compu-ting, che consente di visualizzare le caratteristiche dei data center e di ef-fettuare operazioni sui cloud server via smartphone e tablet”.Il marchio di Retelit per il mercato corporate, e-via, propone una solu-zione cloud con connettività Ethernet privata o Internet pubblica alle aziende bisognose di estendere gli ambienti di storage in modo facile e trasparente. L’offerta consente di realizzare in au-tonomia, o con il supporto del team di progettazione, soluzioni di disaster recovery e business continuity persona-lizzate, potendo contare sulle prestazio-ni delle connessioni in fibra ottica. “Il cloud di e-via”, spiega Giuseppe Sini, direttore commerciale di Retelit, “viene erogato all’interno dei nostri data cen-ter in modalità IaaS. L’estrema flessibi-lità è garantita anche dal modello pay per use”.

Tecnologie e soluzioni per i forni-tori di servizi cloudNetApp collabora con i principali pla-yer di mercato per fornire soluzioni che semplifichino la transizione verso il cloud. Recentemente ha reso dispo-nibili su Amazon Web Services due nuovi prodotti. “Il sistema NetApp Cloud Ontap su Aws permette ai clien-ti di controllare i propri dati in cloud con le stesse funzioni di gestione del sistema operativo NetApp Data Ontap e con una serie di semplici interfacce e strumenti che utilizzano anche on

premise”, afferma Roberto Patano, senior manager systems engineering di NetApp. “Si possono anche sostitu-ire le tradizionali soluzioni di backup, archiviazione e recupero con lo storage integrato nel cloud NetApp SteelStore, per fare il backup e recuperare i dati aziendali su Aws in modo sicuro ed ef-ficiente”. Emc ha adottato un programma spe-

cifico per i cloud service provider che prevede lo sviluppo e l’analisi dei ser-vizi secondo i loro differenti target e le richieste del mercato, attraverso una piena partnership. A detta di Salvatore Turchetti, responsabile divisione servi-ce provider di Emc Italia, il programma “sta ottenendo un rilevante successo” e si pone come obiettivo “la parnershipcon grandi player internazionali e real-tà regionali, per soddisfare le specifiche esigenze delle aziende”, operino esse a

livello locale o internazionale.In qualità di membro Platinum tra i fondatori di OpenStack Foundation, Hp ha assunto un ruolo guida nello svi-luppo di offerte indirizzate alle grandi aziende e basate sulle tecnologie Open-Stack. “A livello internazionale”, ag-giunge Alessandro Gabrielli, cloud di-rector di Hewlett-Packard Italiana, “lo scorso anno Hp ha finalizzato l’acqui-

sizione della piattaforma Eucalyptus, che permette di creare un’infrastruttura cloud privata, ma compatibile con l’of-ferta di Amazon Web Services. Nello Stivale, invece, l’azienda statunitense ha stretto di recente un accordo com-merciale con Telecom Italia per pro-porre alle grandi aziende e alla Pubblica Amministrazione, “un’offerta integrata di servizi di cloud transformation ero-gati in modalità end-to-end”, conclude Gabrielli. M.L.R.

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TECHNOPOLIS PER BT

gli strumenti, le risorse, l’esperienza e soprattutto la flessi-bilità, per mettere a punto soluzioni cloud personalizzate e perfettamente coerenti con le sfide di mercato che le aziende devono affrontare. BT Cloud Compute supporta le esigenze di business spe-cifiche grazie all’ampia gamma di opzioni disponibili, dal public al private cloud, e può essere integrato e gestito in ambienti ibridi. BT ritiene, infatti, che il cloud ibrido sia l’architettura ottimale per gestire l’inevitabile complessità di un’infrastruttura It aziendale, poiché consente all’a-zienda di selezionare il modello più opportuno di delivery dei servizi per ciascuna applicazione. Cloud Compute per-mette di migliorare il time-to-market e di ridurre i costi operativi del servizio grazie al self-service, che permette di impostare l’infrastruttura più adatta con tempi di provisio-ning quasi immediati, alle economie di scala e all’utilizzo di tecnologie standard. Il delivery automatizzato consente quindi di lanciare nuovi servizi in modo rapido ed effi-ciente, con i più alti livelli di scelta, flessibilità e controllo. BT Cloud Compute è stato progettato per offrire la massi-ma resilienza e la massima disponibilità (99,95%) grazie anche a capacità di “self healing”, con costante separa-zione fisico/logica per assicurare l’integrità. Rispetto agli approcci tradizionali, BT Cloud Compute permette di ri-sparmiare fino al 40% e di avere l’affidabilità necessaria, grazie a un’infrastruttura enterprise-class che è in grado di scalare a livello globale, con presenza “locale” (uno dei venti data center cloud-enabled si trova in in Italia).Il cloud richiede un nuovo tipo di It e un nuovo approccio da parte dei Cio. Si tratta di creare nuove possibilità af-finché le imprese possano innovare e sperimentare, conti-nuando a svolgere le proprie funzioni essenziali in modo affidabile e sicuro. Per questo le imprese si aspettano che i provider assumano un ruolo di guida per l’innovazione e che sappiano gestire, e orchestrare, l’insieme dei servizi forniti da un ecosistema di partner. Nessuno conosce me-glio di BT il funzionamento di reti e It. Grazie alle nostre competenze e capacità operative, possiamo mettere a disposizione tutto quello che occorre per liberare la creati-vità e sfruttare le possibilità che il cloud offre.

Per approfondire l’offerta cloud di BT:http://www.globalservices.bt.com/it/it/products/cloud_compute

La grande varietà di opzioni offerte dal cloud permette di fare sempre la scelta migliore e di perseguire la soluzio-ne ottimale, con il vantaggio di pagare solo per quello che si utilizza potendo comunque contare su prestazioni e affidabilità. È possibile anche continuare a sfruttare gli investimenti in It già compiuti, collegando le architetture on-site ai data center per poter accedere ai servizi cloud più rapidamente e facilmente, e senza dover riprogettare completamente le infrastrutture aziendali.Grazie a venti data center cloud-enabled, distribuiti in tutto il mondo, BT può aiutare le imprese a sfruttare pie-namente i benefici del cloud, offrendo servizi prossimi alle sedi delle aziende, in modo da favorire sia le performan-ces sia la compliance normativa. BT ha messo a punto un’offerta in cui l’approvvigionamento dei servizi è sem-plice, la capacità può essere adattata in modo flessibile e lo spostamento di dati tra cloud pubblici e privati è facile. Le aziende possono anche avvalersi dei servizi “enterprise class” di backup, sincronizzazione e condivisione di file basati su cloud, evitando i rischi di perdite di dati e i data leak che caratterizzano i servizi di archiviazione consumer, spesso meno sicuri. L’offerta IaaS di BT, denominata BT Cloud Compute, pre-vede un’infrastruttura di data center preconfigurata che consente di creare, implementare, monitorare e gestire i servizi cloud aziendali. Un portale self-service garantisce

SFRUTTARE LE POSSIBILITÀOFFERTE DAL CLOUD

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ECCELLENZE.IT | Sed ut perspiciatisTECHNOPOLIS PER BROTHER

34 | FEBBRAIO 2015

BROTHER HL-S7000DN:INNOVAZIONE, RISPARMIO E RISPETTO PER L’AMBIENTE

Brother, multinazionale nipponica fortemente orientata all’innovazione, vanta un’offerta ampia e variegata di ap-parecchiature per la stampa. Fiore all’occhiello è una stam-pante monocromatica unica nel suo genere: HL-S7000DN. Questo apparecchio, oltre a soddisfare le esigenze di am-bienti di lavoro caratterizzati da ingenti volumi di stampa, si distingue per perfomance elevate, innovative funzionalità e massima tutela per l’ambiente.Caratteristica fondamentale e fortemente differenziante di questo modello è la velocità strabiliante: ben 100 pagine al minuto. E, come se non bastasse, il costo pagina è altamen-te competitivo grazie alle cartucce da 30.000 pagine. La capacità carta è altrettanto elevata: la macchina può infatti gestire fino a 2.100 fogli. Oltre al design moderno e lineare e alla configurazione mo-dulabile in base alle specifiche necessità, HL-S7000DN si caratterizza per l’elevata robustezza e l’affidabilità, elemen-ti che accomunano tutti i prodotti Brother.HL-S7000DN si basa su una tecnologia “ibrida” che la ren-de unica in termini di prestazioni e rispetto per l’ambiente. Il fulcro è la combinazione di tre componenti: acqua, inchio-stro e Primer. Quest’ultimo è un rivoluzionario sistema di pre-rivestimento della carta che fissa l’inchiostro riducendo così i rischi di sbavatura. Questo processo di stampa a fred-do genera un consumo energetico pari a soli 130W, ben al di sotto dei 920W che caratterizzano una stampante laser tradizionale paragonabile come produttività. La tecnologia ibrida consente quindi di risparmiare notevolmente sui co-sti energetici e sul livello di emissioni di anidride carbonica. Questa particolare attenzione all’ambiente conferma l’im-pegno di Brother che, attraverso nuove tecnologie, realizza prodotti sempre più efficienti, funzionali e in grado di attua-re uno sviluppo sostenibile. Per HL-S7000DN, come per altri dispositivi professionali, Brother ha recentemente formulato Pagine+, un program-ma di stampa gestita semplice e immediato. Pagine+ per-mette di amministrare il dispositivo di stampa in maniera snella e con costi di esercizio certi, convenienti e fissi per ben tre anni. La qualità delle pagine prodotte è inoltre ga-rantita dall’utilizzo di soli consumabili originali.Il programma Pagine+ consente all’utilizzatore di ordinare i

consumabili mediante un semplice portale, con una conse-gna in tempi brevi e garantiti. Il portale fornisce inoltre una visione chiara sulla gestione del dispositivo, sui suoi ritmi di funzionamento e sui costi legati a tali attività.Il programma Pagine+ basa i suoi conteggi sul numero di pagine prodotte e garantisce dunque un controllo totale dei costi oltre al monitoraggio costante dell’investimento economico legato ai sistemi di stampa. HL-S7000DN e Pagine+ concretizzano tutto l’impegno di Brother nella proposta di prestazioni elevate per il lavoro d’ufficio, nella semplice e chiara gestione dei dispositivi di stampa e nella tutela dell’ambiente!

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35FEBBRAIO 2015 |

ECCELLENZE.IT | Comune di Venezia

Milioni di turisti (55mila ogni giorno) e di residenti e un patrimonio artistico e pae-

saggistico unico al mondo meritano di essere protetti senza sosta. Fra gondole e canali, l’occhio della videosorveglian-za non può mai dormire, ma quello del Comune di Venezia fino a poco tempo fa era un occhio miope, lento e non ab-bastanza vigile. La città lagunare dispo-neva, infatti, di mezzi ormai obsoleti. “Il sistema di videosorveglianza precedente, di proprietà comunale, era costituito da circa sessanta videocamere analogiche a bassa risoluzione, molto difficili da analizzare”, spiega Luciano Marini, comandante della Polizia Municipale di Venezia. “Gli apparecchi di registra-zione video si guastavano spesso, con perdita parziale dei feed e conseguente difficoltà a utilizzarli come prove”. La svolta è arrivata con Avigilon: un’a-zienda specializzata in sistemi di video-sorveglianza, consigliata al Comune ve-neziano da un suo partner, Venis. “Gli altri produttori non offrivano soluzioni comparabili in termini di risoluzione e neppure offrivano un’adeguata scelta di lenti per i diversi tipi di fotogramma”, sottolinea Marini. Diverse videocamere con risoluzione da 16 e da 8 megapixel

sono state installate in punti chiave della città, da Piazza San Marco al Ponte di Rialto, per trasmettere immagini verso il centro operativo di telecomunicazioni e videosorveglianza della polizia locale e verso ulteriori punti di controllo (in Piazza San Marco, nel comando opera-tivo provinciale dei Carabinieri di Vene-zia e nel centro operativo della Polizia di Stato di Venezia). La trasmissione dei dati in Hd si appoggia alla rete in fibra ottica di proprietà del Comune.I risultati? Il sistema è un’arma potente nella lotta alla criminalità, al vandali-smo e al commercio abusivo, un’arma basata su uno sguardo d’insieme in cui si può zoomare fino ad arrivare al det-taglio. “L’utilizzo di telecamere ad alta risoluzione, come quelle da 16 Mp, ci consente di ottenere immagini estre-mamente dettagliate che è possibile vi-sualizzare anche durante l’analisi delle registrazioni”, spiega Marini. “Per otte-nere gli stessi risultati, avremmo dovuto installare più telecamere sui monumenti vicini, con tutte le complicazioni del caso”. Impiegando il software Avigilon Control Center Enterprise, inoltre, le forze dell’ordine hanno ridotto drastica-mente i tempi di ricerca dei fotogram-mi. “I vantaggi si riscontrano quotidia-

L’OCCHIO VIGILE SULLA LAGUNAÈ DIGITALE E IN ALTA DEFINIZIONE

Le videocamere Hd di Avigilion sono state installate in punti chiavi della città e nella piazza principale di Mestre. Grazie alla possibilità di zoomare, sono un valido strumento di sorveglianza e di indagine nella lotta alla criminalità e al vandalismo.

namente”, testimonia il comandante Marini. “Per esempio, per contrastare le attività commerciali non autorizzate in precedenza dovevamo verificare tutte le segnalazioni, mentre ora possiamo mo-nitorare le aree interessate e compiere interventi mirati”.

LA SOLUZIONE

Due telecamere Hd Pro di Avigi-lon da 16 e 8 Mp sono state instal-late nel Campanile di San Marco, celate negli archi, e altre sono state collocate sul Ponte di Rialto e a Me-stre, in Piazza Ferretto. Il Comune utilizza inoltre il software Avigilon Control Center per le funzioni di ricerca e i registratori video in rete Network Video Recorder di Avi-gilon per archiviare un minimo di sette giorni consecutivi di riprese. Gli encoder Avigilon permettono di convertire in Hd tutti i feed video prodotti dalle telecamere analogiche esistenti. L’intero siste-ma poggia su un’infrastruttura di fibra ottica Multiprotocol Label Switching costruita da Venis ma di proprietà del Comune.

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36 | FEBBRAIO 2015

ECCELLENZE.IT | Sed ut perspiciatisECCELLENZE.IT | Enphase Energy

Un futuro più eco-friendly pas-sa anche da una migliore con-nettività. Le comunicazioni

machine-to-machine possono miglio-rare l’utilizzo dei pannelli solari come fonte di energia in grado di alimentare e riscaldare le case: lo sta dimostrando Enphase Energy, azienda california-na che distribuisce in tutto il mondo i suoi apparati fotovoltaici, insieme a MultiTech Systems e a Telit. Come? Integrando un sistema per il trasferi-mento dati all’interno dei pannelli, e superando il vecchio metodo che preve-deva di appoggiarsi a una rete WiFi o cablata domestica. Appoggiandosi alla rete di AT&T, i prodotti di Enphase possono trasferire centinaia di milioni di messaggi al giorno verso i server della società, con numerosi vantaggi: diven-ta possibile gestire da remoto i pannelli solari, monitorandone le attività e dia-gnosticando eventuali problemi. Questi sistemi fotovoltaici non sono soltanto meglio connessi, ma anche più abili e onnicomprensivi rispetto ai “vecchi” pannelli che limitavano i loro compiti al

riscaldamento dell’acqua: oltre a racco-gliere il 25% di energia in più rispetto al passato, possono convertire i raggi solari in elettricità utilizzabile per vari scopi nel contesto domestico. Questa evolu-zione si traduce in un aumento della quantità di dati: dai pannelli partono oltre 500 milioni di messaggi al giorno, diretti verso i server di Enphase.Per gestire questo traffico, nei suoi pro-dotti l’azienda ha scelto i dispositivi Sy-stem MultiConnect rCell 100 di Multi-Tech: integrati all’interno dei pannelli, portano direttamente “sul tetto” la con-nettività che in passato doveva sfruttare, con peggiori risultati, le reti domestiche WiFi o cablate. Il cuore di questi router è rappresentato dai moduli Telit della famiglia xE910, specifici per le connes-sioni machine-to-machine. Molti i van-taggi di questa triplice combinazione di tecnologie: i sistemi fotovoltaici posso-no essere monitorati e gestiti da remo-to, e possono fare affidamento su con-nessioni stabili e ininterrotte. Inoltre, rispetto all’impiego di una rete WiFi, scompare il disagio di dover riconfigu-

rare la connessione in caso di cambio di una password o di altre modifiche. Secondo la visione di Enphase, i bassi costi connessi all’utilizzo di applicazio-ni cellulari affidabili e i progressi delle tecnologie m2m aiuteranno a portare energia pulita su due miliardi di tetti di abitazioni e luoghi di lavoro.

LE CASE PIÙ ECOLOGICHE HANNO TETTI PIÙ CONNESSIIl produttore di pannelli fotovoltaici utilizza i router di MultiTech Systems, basati su moduli Telit per le connessioni m2m: l’energia green diventa, così, più facilmente monitorabile e gestibile da remoto.

LA SOLUZIONE

II pannelli fotovoltaici di Enpha-se utilizzano i router industriali System MultiConnect rCell 100 di MultiTech, i quali incorporano moduli m2m di Telit della serie xE910 (i modelli CE910, DE910, GE910, HE910 e LE910). Attra-verso la rete di AT&T, il sistema di gestione Envoy-S Gateway di Enphase permette di monitorare e amministrare da remoto i pannelli solari. L’utente può accedere ad al-cune funzioni gestionali attraverso Enlighten, un’app per smartpho-ne, tablet e Pc.

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37FEBBRAIO 2015 |

ECCELLENZE.IT | Sed ut perspiciatisECCELLENZE.IT | Università Cattolica del Sacro Cuore

Una storia iniziata nel 1921. Cinque campus universitari, fra Milano, Cremona, Brescia,

Piacenza e Roma, 46 istituti, 25 dipar-timenti, 76 centri di ricerca. Nella sola sede meneghina, oltre 140mila metri quadrati di aule, laboratori, mense, aree di servizio e spazi carichi di valore sto-rico e architettonico. Per far superare la prova del tempo e mantenere al top tutto questo patrimonio, l’Università Cattolica del Sacro Cuore si è rivolta all’asset management: un approccio che si adatta agli ambienti complessi delle grandi aziende o – in questo caso – a quello del più importante ateneo catto-lico d’Europa. Il corredo dell’Università comprende impianti di condizionamen-to, di illuminazione e di sicurezza, con migliaia di dispositivi come estintori e altre apparecchiature antincendio, ascensori, porte e uscite di emergenza, quadri elettrici, sistemi di continuità con componenti e servizi correlati. A complicare ulteriormente le operazioni, il fatto che in molti casi questi dispositi-vi sono collocati in aule e spazi di gran-de valore storico e architettonico.

Nel 2012 è emersa l’esigenza di un cam-biamento: “Gli strumenti su cui poteva-mo contare per supportare queste attivi-tà di gestione erano ormai obsoleti, dal punto di vista sia tecnologico sia funzio-nale”, testimonia Stefano Vincini, capo servizio manutenzione e sviluppo appli-cativi della Direzione di area sistemi in-formativi dell’Università. “Disponeva-mo infatti di un sistema dedicato per il ticket management che non permetteva in alcun modo la gestione degli asset, ma si limitava a raccogliere le segnala-zione di guasto e attivare le ditte esterne per gli interventi di manutenzione”.Da qui è nata l’idea di realizzare un sistema di asset management, capace di gestire con efficienza un ambiente complesso e di ridurre gli interventi di riparazione dei guasti a favore di una manutenzione pianificata e preventiva. Il sistema, inoltre, doveva consentire di monitorare in modo continuo e pre-ciso gli edifici e gli asset architettonici

UN PATRIMONIO DA TUTELARECON L’ASSET MANAGEMENTIl più grande ateneo cattolico d’Europa ha catalogato i suoi 13mila asset con il software Infor Eam, personalizzato con funzionalità di visualizzazione delle mappe planimetriche e di accesso da mobile. Dalla riparazione dei guasti si è passati alla manutenzione pianificata.

LA SOLUZIONE

Il software Infor Enterprise Asset Management ha permesso di cata-logare e monitorare 13mila asset, di registrare la storia del loro ciclo di vita e di produrre statistiche su Kpi, operatività ed efficienza degli interventi delle ditte esterne. Il modulo OpenCad, sviluppato da CadService, copre le esigenze di space management dell’Ateneo. La soluzione integra anche una suite di applicazioni mobili, usate dal personale addetto alla manuten-zione su una trentina di smartpho-ne e tablet Android per consultare mappe planimetriche e segnalare se l’intervento è andato a buon fine.

presenti, anche sfruttando tecnologie di gestione grafica. Il software Infor Enterprise Asset Management (Eam) ha permesso di catalogare circa 13mila asset in base a un duplice punto di vista, tecnologico e di ubicazione geografica: ogni voce può essere ricercata a parti-re dalla posizione planimetrica oppure dalla tipologia (categoria di impianto o singolo componente). Due partner di Infor, CadService e KnowHow, hanno realizzato rispettivamente l’integrazione di un modulo grafico, OpenCad, e della componente mobile. “Ogni anno”, sot-tolinea Vincini, “abbiamo in gestione circa 7mila interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e 25mila inter-venti di manutenzione programmata e di controllo sicurezza; riuscire a combi-nare queste attività in spazi quotidiana-mente vissuti da 40mila studenti è una sfida che ci è possibile affrontare con successo avendo a disposizione gli stru-menti adeguati”.

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ITALIA DIGITALE |

| FEBBRAIO 2015

Male che vada, il 2015 una novità per l’Agenda Digitale l’avrà porta-ta. Quella di un nuovo

nome: Crescita Digitale. Perché così si chiama il piano che il governo ha faticosamente messo a punto per av-viare la trasformazione della macchina pubblica e ottemperare alle richieste dell’Unione Europea. Quest’anno, secondo gli addetti ai lavori, è l’anno chiave per l’Agenda: si entra, anzi si deve entrare, nella fase di realizzazio-ne di quei cambiamenti, pensati e più volte rielaborati negli anni scorsi, che nel prossimo futuro (dal 2016 in poi) dovranno migliorare la vita dei cittadi-ni e delle aziende italiane. In fatto di “riforme” già concretizzate per ora siamo fermi alla fatturazione elettronica e poco altro. Sulla banda larga, i primi effetti del nuovo piano che mira a diffondere in tutta Italia connessioni a 30 Megabit si vedranno probabilmente solo a fine anno. Sulle startup innovative si è discusso molto e il quadro regolatorio (finanziamenti compresi) dedicato alle nuove impre-se tecnologiche non è lontano, mentre anagrafe unica e identità digitale saran-no un vanto (quest’anno) solo di pochi comuni e, dicono i bene informati, di un numero limitato di servizi. Sul tavolo non mancano, inoltre, le pra-tiche relative a sanità e scuola digitale e alle smart city, per cui è lecito aspettarsi maggiore concretezza in termini di at-tuazione dei progetti messi su carta. E

Il 2015 sarà un anno fondamentale per la buona riuscita del progetto Agenda, ma ne vedremo i frutti solo nel 2016. Sul tavolo, la questione del nuovo quadro normativo e la gestione dei fondi europei. In gioco c’è un contributo al Pil di mezzo punto l’anno.

AGENDA DIGITALE: SARÀ LA SVOLTA BUONA?

ITALIA DIGITALE

non meno importante è la questione delle competenze che servono a pilotare la trasformazione digitale. La “fase due” dell’Agenda parte almeno da alcune certezze. Il ruolo più definito dell’Agenzia per l’Italia Digitale (e del nuovo direttore generale, Alessandra Poggiani), i piani strategici per la banda ultralarga e per la Crescita Digitale, ol-tre a circa tre miliardi di euro per inizia-re a completare alcune azioni program-matiche, dalla connettività WiFi di tutti

gli edifici pubblici alla razionalizzazione delle risorse It della Pa fino alle varie piattaforme che dovranno abilitare i processi telematici di aziende ospedalie-re, scuole e tribunali. Un altro miliardo abbondante è stato stanziato per i cosiddetti programmi di accelerazione, che comprendono Italia Login (il sistema attraverso il quale cit-tadini e imprese potranno gestire online le loro identità e tutte le interazioni con l’amministrazione pubblica), le compe-

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È uno scenario a luci e ombre quello che descrive lo stato di avanzamento dei lavori dei Pae-si dell’Unione rispetto alle linee guida dell’Agenda Digitale. I dati dicono, infatti, che esiste estrema disomogeneità tra i diversi Pae-si e che accanto a segnali positivi emergono ritardi preoccupanti, che coinvolgono purtroppo anche l’Italia. Se, in generale, la Ue può compiacersi del fatto di aver già raggiunto alcuni target fissati per il 2015 (fra questi la percentuale di popolazione che utilizza servizi di eGovernment e trasmette mo-duli online alla Pubblica Ammini-strazione,  salita al 26,1% rispetto all’obiettivo del 25%) e di essere vicina a smarcarne altri (per esem-pio la fetta di popolazione che usa Internet regolarmente, arrivata al 74,6% rispetto al 75% prefissato) deve anche misurarsi con parame-tri poco incoraggianti. Il numero delle Pmi che vendono i propri prodotti sul Web, fermo al 14,5% e lontano dal target per il 2015 fissa-to al 33%, è uno di questi.Un dato che si specchia in un’Euro-

tenze digitali e i progetti per le città e le community intelligenti. Progetti, fino-ra, tutto fuorché concreti.

I fondi ci sono, gli alibi sono finiti“Oggi ci sono i presupposti per cambia-re il passo, ma nel 2015 devono partire i progetti di digitalizzazione della PA in cantiere, deve essere completato il qua-dro normativo e impostata una gestione efficiente dei fondi europei e disponibili per il periodo 2014-2020. In gioco ci sono potenziali risorse per 18 miliardi di euro (di cui 9 elargiti dalla Ue, ndr) in sei anni che, per l’effetto moltiplicatore dell’Ict, possono significare un contribu-to al Pil di mezzo punto l’anno”. Parole pronunciate a fine gennaio da Elio Ca-tania, presidente di Confindustria Di-gitale. Un messaggio chiaro, assai con-divisibile, ricco di buoni propositi e di nodi da sciogliere, ma che lascia sempre adito a dubbi e domande. Se al governo tocca (giustamente) il compito di gestire il cambiamento, come deve affrontare questo passaggio il tessuto imprendito-riale del Belpaese? E quale ruolo devono giocare le aziende dell’Information and communications technology? Che queste ultime debbano contribuire all’innovazione del Paese è qualcosa di scontato (chi, se non loro?); quanto sia-no state capaci di accompagnare le im-prese nostrane, e le Pmi in particolare, nell’adozione delle nuove tecnologie lo è forse un po’ meno. Sul fatto che l’obiet-tivo, come ha detto Catania, sia quello di spingere sull’accelerazione dei pro-cessi di trasformazione digitale e di far emergere nuove opportunità di crescita, siamo tutti d’accordo. Lo stato dell’arte dell’Italia al digita-le può essere così riassunto: l’industria Ict tricolore conta oggi circa 600mila addetti e sviluppa un mercato (in con-trazione) di oltre 65 miliardi di euro. Il primo problema è che la nostra spe-sa in tecnologie incide (dato aggiornato al 2013) sul 4,8% del prodotto interno lordo, rispetto a una media Ue del 6,6% e agli indicatori decisamente migliori

pa che viaggia, come detto, a ve-locità differenti, in un ecosistema spaccato in due fra Paesi virtuosi e ritardatari verso l’adozione del ver-bo digitale. Il buon risultato conse-guito nei servizi di eGovernment, questo l’esempio più indicativo, si deve sostanzialmente alle virtù delle nazioni scandinave (Danimar-ca, Finlandia e Svezia) e dell’Olan-da, tutte oltre il 50%; Italia, Repub-blica Ceca, Bulgaria e Romania, tutte sotto il 12%, sono l’altra fac-cia della medaglia. Lo stesso dica-si per le piccole e medie imprese impegnate nell’e-commerce: Re-pubblica Ceca, Danimarca e Cro-azia viaggiano nell’ordine del 25% mentre Bulgaria e Italia sono il fa-nalino di coda fermo al 5%. Fra le luci dell’Agenda c’è quella relativa all’uso “nomade” della rete, fuori da casa e dalla sede di lavoro, con Pc e tablet. Segno che la tendenza dello “smart working” è sempre più forte. Peccato che fra le ecce-zioni ci sia ancora una volta l’Italia, stazionaria in penultima posizione (con una diffusione pari al 13,6%) e davanti alla sola Romania.

di Germania (6,9%), Francia (7,0%) e Regno Unito (9,6%). Il gap è di 25 miliardi di euro l’anno di mancati inve-stimenti in innovazione rispetto al resto dell’Europa.Che cosa fare, dunque, per invertire la tendenza? La ricetta di Catania è sulla carta molto chiara: riportare il settore in crescita nel 2015 e raggiungere un rapporto Ict/Pil del 5,5% nel 2017 e del 6,6% nel 2020, creando 700mila nuo-vi posti di lavoro e allineando la spesa per il digitale alla media Ue entro cin-que anni. Secondo l’ex manager di Ibm, Atm Milano e Ferrovie dello Stato, “i presupposti ci sono”, sotto forma di se-

gnali macroeconomici e di positiva col-laborazione tra pubblico e privato. Sarà, ma i dubbi circa l’effettivo status della salute del sistema Paese rimangono. E quel “non ci sono più alibi” pronunciato dal numero di Confindustria Digitale suona da stimolo diretto alle capacità di reazione alla leadership pubblica e privata. Se il processo di trasformazio-ne digitale del Paese non sarà messo in moto neppure quest’anno, e se il rag-giungimento degli obiettivi della Digi-tal Agenda europea per il 2020 risulterà una mera utopia, sapremo a chi dare la colpa.

Gianni Rusconi

EUROPA BENE A METÀ

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40 | FEBBRAIO 2015

I dati sono quelli dell’Osservatorio Netics, redatto sulla base di un’in-dagine che ha coinvolto un'ottan-tina di chief information officer di

enti della Pubblica Amministrazione centrale, di Regioni e grandi Comu-ni. Un campione qualitativo più che quantitativo (comunque rappresentante il 60% del budget It complessivo degli enti pubblici italiani) e fucina di indi-cazioni che non lasciano adito a facili entusiasmi. Anzi, tutt’altro. Le spese alla voce CapEx, e quindi quelle de-stinate all’acquisto in conto capitale di asset durevoli, quest’anno saranno in flessione rispetto a un 2014 già non par-ticolarmente brillante. A destare preoc-cupazione (a sorpresa, ma forse fino a un certo punto) è il dettaglio relativo alle Regioni e ai grandi Comuni del Centro-Nord, tradizionalmente catalo-gati come big spender pubblici per l’in-formatica. Ebbene, in quattro ammini-strazioni con livelli di spesa superiori ai 40 milioni di euro il salto all’indietro del budget destinato alle tecnologie sarà del 35%.Meglio va con gli indicatori relativi alle spese operative OpEx. Le politiche di spending review hanno ovviamente la loro incidenza e il calo stimato è nell’or-

I budget It della Pa sono in netta flessione. Colpa della spending review, ma non solo. I Cio stanno alla finestra, in attesa di capire gli impatti del piano di Crescita Digitale. Le buone notizie arrivano solo dalla sanità.

SPESA IN TECNOLOGIE: LO STALLO DEL PUBBLICO

Promesse e attese sono un leitmo-tiv quando si parla di Agenda Digi-tale, e il tema delle smart city non fa eccezione. Fra il 2011 e lo scorso anno sono stati investiti circa 800 milioni di euro di fondi pubblici per sostenere imprese, università ed enti di ricerca impegnati in progetti sperimentali di smart community, incluse attività di formazione e svi-luppo di competenze. Risultato: le sperimentazioni sono rimaste tali, senza trovare un’applicazione su

SOLDI SPRECATI? ORA SI CAMBIAvasta scala ad opera delle ammini-strazioni locali. È da qui che, con un Decreto Legislativo varato nel 2012, il Comitato Smart Communi-ties è stato chiamato a intervenire, con lo scopo di trasformare prototi-pi e progetti pilota in realtà. A con-tribuire alla causa interverrano i 400 milioni di euro di fondi strutturali e ulteriori risorse previste dal Piano Nazionale delle Comunità Intelli-genti che il governo Renzi presen-terà entro la fine di febbraio.

ITALIA DIGITALE | PA

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ARCHIVI DIGITALI: PASSO AVANTI, CON CAUTELAL’addio alla carta da parte della Pub-blica Amministrazione italiana è sta-to sancito da un decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: nel giro di diciotto mesi, i documenti elettro-nici dovranno diventare lo standard. “Si tratta di un atto importante”, commenta Roberto Pozzi, regional director Southern Europe di Check Point Software Technologies, “che ci mette sullo stesso piano di altre nazioni tipicamente più aperte ver-so la tecnologia e che porterà a nu-merosi vantaggi in termini di dispo-nibilità e fruizione dei documenti, nonché di aggiornamento e confor-mità alla normative”. Ma c’è un ma: quello verso la sma-terializzazione documentale, a det-ta di Pozzi, “è un passaggio che ri-

dine del 4,5%, un dato più o meno omogeneo a livello nazionale. In soldoni si tratta di circa 140 milioni di euro sot-tratti alle tecnologie e all’aggiornamen-to dei sistemi informatici. Sempre che le uscite coincidano realmente con quelle messe a budget, perché il gap fra somme impegnate e somme effettivamente spe-se, soprattutto nelle Regioni e gli enti locali del Mezzogiorno, è tutt’altro che trascurabile.Analizzando le diverse dinamiche che descrivono l’adozione delle soluzioni It nelle Pa, Netics ha messo in eviden-za una tendenza che certo non gioca a favore dell’innovazione: le tariffe per i servizi professionali erogati da socie-tà terze sono in caduta libera. In altre parole, sotto la pressione della spending review le amministrazioni continuano a perseverare nel giro di vite sui com-pensi riconosciuti ai fornitori e l’Italia, a livello europeo, si vede sempre più spinta verso il fondo di questa specia-le classifica. Il ricorso alle piattaforme open source operato da molti Cio, dice

chiede una certa attenzione sotto il profilo della sicurezza, perché gli ar-chivi digitali devono essere trattati in modo del tutto differente rispetto a quelli cartacei. Devono essere stabi-lite regole chiare per l’archiviazione e la conservazione dei documenti, ma anche per garantirne la sicurez-za e inviolabilità. E si dovrà agire in modo da poter di fatto rendere di-sponibili i documenti alle persone che ne hanno diritto, e solo a loro”. Come agire? Per prima cosa, serve un diverso atteggiamento “cultura-le”: la sicurezza dev’essere il cuore pulsante della Pubblica Amministra-zione digitale, da integrare da subito all’interno dei processi di gestione documentale. Bisogna poi conside-rare le questioni più tecniche. “I si-

stemi di sicurezza perimetrale di cui molte amministrazioni dispongono sono una buona base, che non sarà più sufficiente quando i dati verran-no resi disponibili online”, spiega Pozzi. “Sarà importante in questa fase dotarsi di un sistema di Data Loss Prevention per tenere sotto controllo i dati cosiddetti sensibi-li, evitando che escano dalla rete dell’organizzazione. E quindi abbi-nare un sistema di Access Control per stabilire dei privilegi di acces-so ai vari livelli dell’infrastruttura, in modo da abilitare i diversi utenti ad accedere solo ai sistemi di pro-pria competenza”. I dati, inoltre, devono essere accessibili senza ri-schi da qualsiasi dispositivo, inclusi smartphone e tablet. V.B.

lo studio, sembra più il frutto di mos-se tattiche per risparmiare sui costi di licenza e ridurre il Tco (total cost of ownership) nel medio periodo, che non la conseguenza di virate strategiche dal punto di vista tecnologico. L’atteggia-mento di chi gestisce l’informatica della macchina pubblica è, in buona sostan-za, quello della prudenza, dello “stare a

guardare” perché ci sono meno risorse e perché non esistono certezze sulle linee di evoluzione governative in materia di digitalizzazione della Pa. Qualche esem-pio? Gli investimenti nei data center e in nuovi progetti cloud latitano in fun-zione dei piani di razionalizzazione dei Ced pubblici previsti dall’ex Agenda e ora ereditati dal nuovo “Piano Cresci-

ta Digitale”. Aggiungiamoci lo scarso entusiasmo con il quale i vendor, mul-tinazionali in testa, stanno gestendo la situazione di stallo (per non parlare della questione dei pagamenti arretrati) e il quadro è completo. Certo poco edi-ficante per un Paese che deve correre se vuole completare in tempi brevi la ne-cessaria trasformazione digitale. L’unica buona notizia arriva dalla sanità. Netics prevede un incremento della spe-sa It dell’1,2% in questo settore dopo che il 2014 si è chiuso con investimen-ti di oltre 1,5 miliardi di euro, di cui 964 milioni attribuibili ai vari enti del mondo pubblico (aziende ospedaliere, Asl e Regioni). Siamo di fatto in uno status di calma piatta o quasi, ma visto in prospettiva il dato previsionale per quest’anno fa ben sperare. Soprattutto se le Regioni cavalcheranno a dovere l’onda dei progetti ascrivibili diretta-mente o indirettamente al Fascicolo Sanitario Elettronico e alle piattaforme per le prescrizioni elettroniche.

Piero Aprile

“ Le pubbliche amministrazioni continuano a perseverare

nel giro di vite sui compensi riconosciuti ai fornitori e l’Italia

è sempre più spinta verso il fondo della classifica europea ”

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A bb Sace, una delle cinque divisioni del Gruppo mul-tinazionale con sede in Svizzera, produce e com-

mercializza apparecchiature e sistemi per l’impiantistica elettrica e per l’au-tomazione. Sembrerebbe un’area di business piat-ta e poco attraente, per chi si occupa di alta tecnologia, e invece nasconde un fascino inaspettato. Primo, perché, almeno in Italia, raccoglie la tradizio-ne di un’industria che ha fatto la sto-ria del nostro Paese (sono confluiti nel Gruppo Abb, negli anni, oltre a Sace,

nomi come Ercole Marelli, Elsag Bai-ley e Ansaldo Trasformatori); secon-do, perché il manufacturing 4.0 e il building (e home) automation stanno vivendo un momento di grande inte-resse e impulso, non più solo sulla car-ta ma anche e finalmente sul mercato. Così, in questi anni, il business di Abb Sace si sta evolvendo velocemente pro-prio verso l’automazione e le soluzioni per il residenziale, che sulla spinta di Internet delle cose diventano sempre più intelligenti e richiedono un mag-gior valore aggiunto sia in fase di pro-duzione sia di post-vendita.

DALLA RICERCA NASCE LA FUTURA DOMOTICA Anche in Italia il Gruppo Abb investe e supporta la nascita di nuove soluzioni, soprattutto nel settore dell'automazione impiantistica di edifici e appartamenti.

OBBIETTIVO SU | Abb Sace

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CON SEIMILA DIPENDENTI E OLTRE 2,3 MILIARDI DI EURO DI FATTURATO, ABB ITALIA INVESTE IL 3,2% DEL PROPRIO GIRO D'AFFARI IN RICERCA E SVILUPPO.

Mentre il quartier generale italiano di Abb è a Sesto San Gio-vanni, alle porte di Milano (foto grande in apertura), Abb Sace ha recentemente inaugurato la sua nuova sede di Bergamo (qui sopra) che include anche i laboratori prove, dotati di strumenti moderni e sofisticati per la ricerca e i test.

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OBBIETTIVO SU | Abb Sace

LA DIVISIONE "LOW VOLTAGE" DI ABB HA UNA GAMMA ENORME DI PRODOTTI: DALLA SEMPLICE FASCETTA AL QUADRO DI POTENZA SONO OLTRE 44MILA.

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Per la gestione della casa sono disponibili due diverse interfacce: il pannello di controllo Mylos Touch e un cronotermostato programmatore. Quest’ultimo consente di controllare fino a quattro diverse zone.

MYLOS PER LA CASAMylos è il sistema integrato di Abb in grado di offrire soluzioni evolute per la moderna impiantistica nel rispetto dello standard internazionale Knx. I dispositivi disponibili a catalogo sono oltre 150 e possono essere abbinati a quattro diverse tipologie di cornici, rettangolari o arrotondate.La programmazione è semplice e intuitiva, grazie a menu configurabili e visualizzabili su ampi display touch da 5,7 pollici.

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47FEBBRAIO 2015 |

VETRINA HI-TECH

Il mercato della stampa aziendale è passato negli ultimi anni attraverso varie trasformazioni, tutte guidate dalla necessità di ottenere maggiore

efficienza e abbassare i costi. Non è un mistero, infatti, che le spese di stampa siano uno degli aspetti in cui è possibile ottenere grandi risultati in termini di ri-sparmi ottimizzando le soluzioni adot-tate. Le tendenze viste negli ultimi anni sono tutte confermate: minore numero di dispositivi, possibilità di stampare direttamente da mobile, grande atten-zione alla gestione delle autorizzazioni di stampa e diffusione più generalizzata del cosiddetto “follow me printing”.Questo concetto – a volte definito an-

A fare la differenza nei sistemi aziendali sono sempre più le soluzioni di gestione, invece dell’hardware, che permettono di ottimizzare i flussi di lavoro, ridurre i costi e aumentare la sicurezza.

LA FORZA DELLA STAMPASTA NEL SOFTWARE

che come “pull printing”, “find-me printing” o “release printing” – per-mette di eseguire la stampa qualunque postazione di lavoro e di ritirarla su uno qualunque dei terminali di printing aziendali, previa autenticazione dell’u-tente. Non si tratta di una funzione specifica del dispositivo di stampa, ma di una opportunità offerta da software di gestione sempre più sofisticati, che ogni produttore sviluppa in proprio o, a volte, integra nella propria soluzione partendo da quanto creato da terze par-ti. È quello che accade per esempio con Hp, che ha scelto di appoggiarsi a una delle soluzioni più note, la Follow Me di Ringdale.

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Le opportunità sono nei serviziIl tema della stampa aziendale è diven-tato così complesso che molte volte conviene rivolgersi a fornitori di ser-vizi di printing gestiti. Tanto che Idc – nelle sue previsioni annuali dedicate al mondo dell’imaging, della stampa e delle soluzioni documentali – vede nuove opportunità proprio nei servizi, nelle soluzioni e nei mercati verticali legati alla gestione dei documenti in generale. Sul fronte hardware, la so-cietà di ricerche di mercato focalizza la sua attenzione sullo spazio conquistato dalla tecnologia a getto d’inchiostro, dalla stampa 3D e dalla cartellonistica digitale.Già nel 2014 si è assistito a una mag-giore attenzione da parte delle aziende per l’ottimizzazione del flusso di lavoro e dei documenti digitali, molto più che per la semplice eliminazione della car-ta, come avveniva in passato. Secondo una ricerca Idc di qualche mese fa, i documenti aziendali venivano gestiti per il 55% in formato cartaceo e per il 45% in digitale. Tra la fine del 2015

e l’inizio del 2016 queste percentuali dovrebbero diventare rispettivamente il 39 e il 61%.Le aziende produttrici di dispositivi per la stampa si stanno adeguando a questi cambiamenti, non limitandosi a potenziare l’hardware, ma lavorando soprattutto sulla componente software. Canon, per esempio, consente di ge-stire le sue ultime multifunzione A4 ImageRunner (C1335iF, C1225iF e C1325iF) attraverso la soluzione Uni-Flow, che supporta la funzionalità My Print Anywhere e che identifica l’uten-te tramite una card. La nuova serie di multifunzione, disponibile da marzo, pone un occhio di riguardo anche alla sicurezza, gestendo tra l’altro la crit-tografia dei file Pdf generati in fase di scansione.

Ricoh, pinzatrice senza graffetteTra le novità di casa Ricoh va inve-ce segnalata la gamma Mp C (Mp C4503(A)Sp, Mp C5503(A)Sp e Mp C6003Sp) in grado di stampare sul for-mato Sra3. (Per saperne di più sui for-

mati carta si veda il box nella pagina a fianco). Questi multifunzione, insieme a quella della famiglia Mp C2000 per il formato A3, possono essere gestiti dal controller Gwnx, che consente di uti-lizzare l’Active Directory di Windows Server 2008 R2 per non duplicare i profili utente. Esclusiva delle macchine Ricoh è poi la possibilità di unire fino a cinque fogli senza ricorrere a graffette.Brother permette di personalizzare il display touch dei suoi modelli. Grazie alla tecnologia Brother Solutions Inter-face, gli sviluppatori possono mettere a punto soluzioni utili per gestire al me-glio il workflow, per monitorare l’uti-lizzo delle macchine, per ridurre i costi e per garantire la sicurezza. Il software B-Guard permette di attivare le funzio-ni di “follow me printing”, Mail2Print e ScanDirect. A puntare molto sullo sviluppo di software personalizzato è anche Kyo-cera, che mette a disposizione la sua piattaforma HyPas. Quest’ultima si caratterizza per la possibilità di lavo-rare sia con i kit di sviluppo Java sia

HP COLOR LASERJET ENTERPRISE M680 Disponibile in tre versioni, questo mul-tifunzione può essere equipaggiato con sistemi modulari per il caricamen-to della carta in grado di accogliere fino a 3.100 fogli. In opzione è dispo-nibile anche un raccoglitore con cuci-trice a tre scomparti, la cui capienza arriva a 900 fogli.

CANONIMAGERUNNER C1225IFL’ultima generazione di multifunzione Canon supporta la tecnologia AirPrinte la modalità di stampa mobile Mo-pria. File Pdf crittografati, possibilità di gestione tramite la piattaforma UniFlow, card reader per la funzionali-tà “follow me printing” garantiscono la sicurezza dei documenti.

BROTHER MFC-L9550CDWT Display da 4,8 pollici del multifunzio-ne Brother è completamente perso-nalizzabile grazie alla Brother Solu-tions Interface. Il dispositivo utilizza cartucce di toner ad alta capacità (fino a seimila copie nella dotazione base) e dispone di una funzione per la ridu-zione del consumo di energia.

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Quando ci si riferisce ai formati carta si pensa subito ai classici A4 e A3. In effetti, questi sono i due standard più diffusi in assoluto sulle printer da ufficio, ma la necessità della stampa senza bordi ha aguzzato l’ingegno dei progettisti, che in alcuni casi scelgono di ricorrere a formati leggermente più grandi che possano essere rifilati in un secondo momento. Per farlo, la carta deve avere dimensioni leggermente superiori, che sono codificate dallo standard Iso 217. I formati ulteriori

vengono definiti con il prefisso R (che sta per Raw) ed Sr (Supplementary Raw). Le misure dei tagli più utilizzati sono indicati nella tabella qui sotto. Se la stampa su questo tipo di formati è aziendalmente importante, bisogna porre attenzione alla scelta dei dispositivi. Non tutti i produttori, infatti, propongono

CARTA, IL FORMATO È STANDARD

XEROXWORKCENTRE 6655 Grazie a un accordo con McAfee e Ci-sco, questo multifunzione Xerox è uno dei pochi a disporre di un sistema in-corporato di protezione da potenziali minacce esterne. Che si aggiunge a strumenti per la gestione delle mac-chine come ConnectKey e alla compa-tibilità AirPrint e Mopria.

KYOCERATASKALFA 2551CI Grazie alla compatibilità con la piat-taforma HyPas, i multifunzione Kyo-cera possono essere integrati con applicazioni software per la gestio-ne documentale. Il modello TaskAlfa 2551ci può arrivare a gestire fino a 4.100 fogli combinando diversi cas-setti opzionali.

RICOHMP C2503SP Consumi elettrici contenuti (un solo Watt in modalità stand-by), possibilità di gestire opzionalmente il formato SRA3 e capacità (sempre a richiesta) di unire fino a cinque fogli senza l’uti-lizzo di graffette rendono questa unità ideale per gruppi di lavoro che hanno bisogno di versatilità.

con quello dei servizi Web. Unendo le due tecnologie si può aumentare no-tevolmente la versatilità dei sistemi di gestione della stampa. Infine, va segna-lata la tendenza a spingere l’accelera-tore sul fronte della tecnologia a get-

modelli compatibili con gli standard Ra ed Sra. In generale, le stampanti o i multifunzione che arrivano fino alle dimensioni A3 solitamente sono in grado di usare carta Sa4 ed Sra4, ma non tutti possono comprendere il formato Sra3. Tra i vendor con dispositivi capaci di gestire queste dimensioni ci sono Canon, Ricoh, Hp.

to d’inchiostro, fino a poco tempo fa considerata adatta solamente a piccoli o piccolissimi volumi di stampa. Ep-son e Hp, in particolare, stanno inve-ce cercando di spostare l’asticella verso l’alto, proponendo prodotti capaci di

cicli mensili importanti. La gamma WorkForce di Epson è in grado di ar-rivare a 65mila pagine mese, mentre le OfficeJet Enterprise di Hp possono toccare le 80mila.

Paolo Galvani

I FORMATI CARTA PIÙ DIFFUSI SECONDO LE SPECIFICHE ISO Codice (Iso 216) Formato (mm) Codice (Iso 217) Formato (mm) Codice (Iso 217) Formato (mm)

A0 841 × 1.189 RA0 860 × 1.220 SRA0 900 × 1.280

A1 594 × 841 RA1 610 × 860 SRA1 640 × 900

A2 420 × 594 RA2 430 × 610 SRA2 450 × 640

A3 297 × 420 RA3 305 × 430 SRA3 320 × 450

A4 210 × 297 RA4 215 × 305 SRA4 225 × 320

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Di questi tempi trovare vere innova-zioni su uno smartphone non è facile: sistemi operativi, processori, scher-mi hanno ormai raggiunto livelli tali da rendere difficile l’effetto “wow!”. Nella battaglia tra i top di gamma – dall’iPhone 6 di Apple al Samsung Galaxy S5, fino ai Lumia di ultima generazione – è però entrato un nuo-vo contendente che ha delle carte da giocarsi: lo YotaPhone 2 è infatti l’u-nico prodotto del suo genere a vanta-re un doppio schermo. Il principale è un cinque pollici Amoled Full Hd (di qualità superba), mentre sul retro del telefono è stato adottato un display a “inchiostro elettronico” (e-ink) da 4,7 pollici con risoluzione di 960 per 540 punti. Si tratta della stessa tecnologia comunemente utilizzata per i lettori di libri elettronici.La presenza di due schermi aumenta la versatilità dello smartphone e, nel-le intenzioni del produttore, dovrebbe prolungarne la durata della batteria, grazie al consumo estremamente con-tenuto dell’e-ink. Per poter sfruttare adeguatamente il secondo schermo, la russa Yota Devices ha studiato delle

estensioni del sistema operativo An-droid 4.4 KitKat che ne permettono l’uso in diverse situazioni. Sul secondo schermo possono essere visualizzate delle schermate, chiamate Pannelli, che raggruppano dei widget personalizzabi-li, oppure una mera copia dello scher-mo principale (YotaMirror) o delle foto personali da visualizzare in maniera sta-tica o come presentazione. Lo schermo e-ink viene definito “sempre attivo”, perché quanto visualizzato non scom-pare mai, nemmeno a batteria comple-tamente scarica.Grazie ai widget è possibile tenere sot-to controllo lo stato delle notifiche, gli aggiornamenti di Twitter o un feed Rss senza la necessità di accendere lo scher-mo principale. Questo, abbinato a una modalità di gestione dell’energia battez-zata YotaEnergy, dovrebbe aumentare notevolmente l’autonomia complessiva del dispositivo. Nella realtà, questo si verifica solo in parte: è vero che noti-fiche e posta elettronica possono essere controllate sullo schermo secondario, ma è anche vero che la sua reattività al tocco non è all’altezza di quello prima-rio e quindi alla fine spesso si ricorre a

LE CARATTERISTICHEA COLPO D’OCCHIO

Dimensioni: 144,9x69,4x8,95 mmPeso: 145 grammiSchermo Amoled: 5”, 1.920x1.080 ptSchermo e-ink: 4,7”, 960x540 ptMemoria: 32 GB non espandibiliProcessore: Quad-Core 2,2 GHzRadio: Gsm, Umts, Hspa+, LteConnettività: Wi-Fi 02.11ac, Bluetooth 4.0, Gps, NfcFotocamera: 8 megapixel principale, 2,1 megapixel anterioreAltro: accelerometro, bussola, girosco-pio, sensore luminosità e prossimità

PREZZO: 749 EURO

quello a colori. Il risultato è quello di arrivare a sera senza troppi patemi, ma un secondo giorno di autonomia rima-ne una chimera.Chi viaggia molto, ed è quindi costret-to a porre maggiore attenzione all’au-tonomia, può “forzarsi” a usare spesso l’e-ink e trarne quindi il massimo van-taggio, così come chi vuole leggere libri elettronici con applicazioni tipo Kindle può significativamente aumentare la durata della batteria. Utile in generale è la modalità di risparmio energetico che esclude le connessioni WiFi, 2G, Bluetooth e dati cellulari per prolun-gare la vita della batteria quando si è in condizioni di necessità.Il vero limite dello YotaPhone 2 (a cui serve una nano Sim) sta però nel prez-zo: 749 euro lo rendono lo smartpho-ne più caro di tutti. Vale la pena inve-stire una tale cifra per avere un secondo schermo e un po’ di autonomia in più? Se vi piace distinguervi la risposta può essere positiva, ma se cercate un rap-porto qualità/prezzo che non vi delu-da, affiancare uno smartphone di fascia medio-alta a un lettore di e-book po-trebbe essere la scelta vincente.

Paolo Galvani

YOTAYOTAPHONE 2

Due schermi sono meglio di uno? Se uno di questi è basato su e-ink probabilmente sì: aumentano la versatilitàe (un po’) l’autonomia. Ma il prezzo elevato dello YotaPhone 2 è una barriera che bisogna essere molto motivati a superare…

SMARTPHONE A DUE FACCE

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L’infrastruttura IT delle aziende deve essere adeguata alle priorità del business, garantire risultati sostenibili e consentire una continua innovazione.

Grazie alle soluzioni Business-Centric Computing è possibile allineare la capacità di calcolo alle esigenze aziendali e rendere l’elaborazione

infrastruttura desktop virtuale, accesso e protezione dei dati, piattaforma Web e applicazioni.

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