Speciale legalità (anno 4)

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1 Numero 5 - Anno IV Giornalismo indipendente al Parini dal 2006 Gennaio MMX L’unico autentico bar pariniano al 100% ENJOY NANDO’S BAR! IL MENSILE DEGLI STUDENTI DEL PARINI Un libero spazio d’espressione Di Alesia Preite INDICE Intervista ad Alberto Nobili 2 Intervista a Livio Neri 4 Legalmente ricattabili 6 Il caso Graviano 6 Turciniuna d'agneddu 8 La lotta in difesa della legalità 9 Legalità o latitanza? 11 Le armi al popolo americano 12 Ce l’ho con... 14 Speciale legalità Parole di legalità Il Ministero dell’istruzione ha in- detto un concorso rivolto a tutte le scuole superiori di secondo grado dal tema “ parole di legalità “. Per partecipare occorre pubblicare un numero speciale del giornalino sco- lastico sul portale www.paroledile- galita.it. A decidere il vincitore, votando i singoli articoli, saranno gli utenti del sito. Ci è parso valesse la pena prendere parte a questo pro- getto. Lo speciale si apre con due intervi- ste, ad un pubblico ministero e ad un avvocato. Stanno su due diversi piatti della bilancia della Giustizia italiana, ma entrambi sembrano lot- tare per il suo funzionamento. Al- berto Nobili ci parla di mafia, Livio Neri di immigrazione. In Redazione abbiamo ritenuto fossero questi i temi più importanti in termini di le- galità in Italia. Sono infatti svilup- pati nelle pagine successive, con un articolo sulla tragedia di Rosarno per quanto riguarda l’immigrazione. Un pezzo sul boss mafioso Giovanni Graviano e uno che ricorda Giovanni Spampinato, giornalista dell’”Ora” di Palermo ucciso da Cosa Nostra nel 1972, trattano invece ancora di criminalità organizzata. Ci occu- piamo poi del conflitto fra potere po- litico e giudiziario e della contro- versa figura di Bettino Craxi. Per concludere andiamo oltre oceano ad affrontare il problema del secondo emendamento negli Stati Uniti. Il principio di legalità enuncia che tutti, Stato in primis, debbano rispet- tare la legge. Definire così questa parola sembra facile, più arduo è dare un quadro generale di ciò che il termine ha implicato da quando fu usato per la prima volta dagli Illumi- nisti francesi e implica al giorno d’oggi. Forse possono aiutare le pa- role di Rousseau: « […] perché l’impulso del solo ap- petito è schiavitù, e l’obbedienza alla legge, che noi stessi ci siamo prescritta, è libertà». Alla scuola, che ci fornisce i fondi per andare avanti a stampare, e in particolare alla Segreteria d’Istituto. Ai Redattori: Elisa Aliverti Piuri, Susanna Caminada, Sara Casotto, Ste- fano Clemente, Francesca Chiesa, Layla Colamartino, Roberto Croci, Giulia Da Cas, Federica Gardella, Stefano Ghezzi, Simone Milani, Elena Morgana, Sara Ottolenghi, Alesia Preite, Ayurzana Purevdorj, Beatrice Scattaro, Maria Sole Venanzi, Camilla Zoppolato. A tutti i nostri lettori ed i nostri fan, senza i quali questo giornalino non avrebbe ragion d’essere! Grazie a... Unisciti a noi! In Aula Studenti dalle 14.00 alle 15.00 Ogni Lunedì

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Per il concorso "Parole di legalità"

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Numero 5 - Anno IV Giornalismo indipendente al Parini dal 2006 Gennaio MMX

L’unico autentico barpariniano al 100%

ENJOY NANDO’S

BAR!

IL MENSILE DEGLI

STUDENTI DEL PARINI

Un libero spazio

d’espressione

Di Alesia Preite

INDICEIntervista ad Alberto Nobili 2Intervista a Livio Neri 4Legalmente ricattabili 6Il caso Graviano 6Turciniuna d'agneddu 8La lotta in difesa della legalità 9Legalità o latitanza? 11Le armi al popolo americano 12Ce l’ho con... 14

Speciale legalità

Parole di legalità

Il Ministero dell’istruzione ha in-detto un concorso rivolto a tutte lescuole superiori di secondo gradodal tema “parole di legalità“. Perpartecipare occorre pubblicare unnumero speciale del giornalino sco-lastico sul portale www.paroledile-galita.it. A decidere il vincitore,votando i singoli articoli, saranno gliutenti del sito. Ci è parso valesse lapena prendere parte a questo pro-getto.Lo speciale si apre con due intervi-ste, ad un pubblico ministero e ad unavvocato. Stanno su due diversipiatti della bilancia della Giustiziaitaliana, ma entrambi sembrano lot-tare per il suo funzionamento. Al-berto Nobili ci parla di mafia, LivioNeri di immigrazione. In Redazioneabbiamo ritenuto fossero questi itemi più importanti in termini di le-galità in Italia. Sono infatti svilup-pati nelle pagine successive, con unarticolo sulla tragedia di Rosarno perquanto riguarda l’immigrazione. Unpezzo sul boss mafioso GiovanniGraviano e uno che ricorda GiovanniSpampinato, giornalista dell’”Ora”di Palermo ucciso da Cosa Nostranel 1972, trattano invece ancora dicriminalità organizzata. Ci occu-piamo poi del conflitto fra potere po-

litico e giudiziario e della contro-versa figura di Bettino Craxi. Perconcludere andiamo oltre oceano adaffrontare il problema del secondoemendamento negli Stati Uniti.Il principio di legalità enuncia chetutti, Stato in primis, debbano rispet-tare la legge. Definire così questaparola sembra facile, più arduo èdare un quadro generale di ciò che iltermine ha implicato da quando fuusato per la prima volta dagli Illumi-nisti francesi e implica al giornod’oggi. Forse possono aiutare le pa-role di Rousseau:«[…] perché l’impulso del solo ap-

petito è schiavitù, e l’obbedienza

alla legge, che noi stessi ci siamo

prescritta, è libertà».

Alla scuola, che ci fornisce i fondi per andare avanti a stampare, e inparticolare alla Segreteria d’Istituto.

Ai Redattori: Elisa Aliverti Piuri, Susanna Caminada, Sara Casotto, Ste-fano Clemente, Francesca Chiesa, Layla Colamartino, Roberto Croci,Giulia Da Cas, Federica Gardella, Stefano Ghezzi, Simone Milani, ElenaMorgana, Sara Ottolenghi, Alesia Preite, Ayurzana Purevdorj, BeatriceScattaro, Maria Sole Venanzi, Camilla Zoppolato.

A tutti i nostri lettori ed i nostri fan, senza i quali questo giornalinonon avrebbe ragion d’essere!

Grazie a...

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Di Roberto Croci ed Alesia Preite

«Ecco la nuova mafia in giacca e cravatta»

I n che modo negli ultimi anni leorganizzazioni mafiose hanno

cambiato volto?Grazie in particolare agli immensiprofitti derivati dal traffico di stupe-facenti, dagli anni ‘80 la mafia ha as-sunto sempre più potere dipenetrazione sia nel territorio sia nelcircuito economico. Tra il ’92 e il ’93l’organizzazione criminale all’epocapiù aggressiva, Cosa Nostra, sferròperfino un attacco frontale alle istitu-zioni, nelle persone dei funzionaridello Stato che la contrastavano. È il periodo delle stragi, del tritolo,del ricatto mafioso. La mafia si erigea vero e proprio “potere” che si con-trappone a quello dello Stato, il qualereagisce con importanti indagini edoperazioni di polizia. Si verificanonumerosi arresti che arrivano a disar-ticolare anche le più importanti orga-nizzazioni mafiose. Per tutta risposta,a metà degli anni ‘90 Cosa Nostra de-cide di attuare la “strategia del silen-zio”, seguendo quel che già da tempofaceva la ‘ndrangheta. In sostanza l’organizzazione continuaad operare, ma tenendo un basso pro-filo, evitando una guerra aperta controlo Stato. L’obiettivo? Sottrarsi allepressioni investigative, ma soprattuttoscomparire agli occhi dell’opinionepubblica.Non dobbiamo però pensare che laforza dirompente delle mafie si siamitigata grazie a questa nuova poli-tica. La ferocia, l’efferatezza, l’arro-gante determinazione nel raggiungerei propri fini, la fame di potere e de-naro, insomma, tutti i tratti distintividella “cultura mafiosa”, restano im-mutati.A differenza delle altre tre grandi or-ganizzazioni (Cosa Nostra, ‘ndran-

gheta, Sacra Corona Unita), la ca-morra non ha aderito a questa strate-gia del silenzio. Questo perché essanon ha alcuna gerarchia verticistica.Quella che altrove è “la cupola” o “lacommissione” – un consesso di capile cui riunioni stabiliscono le prioritàe impongono ordini ai sottoposti – lìè un elemento del tutto assente. La suastruttura è orizzontale: un centinaio dicosche dislocate in tutto il territorio,ognuna conle propriearee di in-f l u e n z a ,ognuna sle-gata dallealtre. Eccoperché pur-troppo intale contesto criminale gli omicidisono normale strumento di soluzionedei contrasti.

“Gomorra” ha mostrato comeormai la camorra e la mafia in ge-nerale in Italia siano un fenomenoeconomico, con giri di affari inim-maginabili. Come si configura lasua presenza, al Sud e al Nord?Un errore che porta molti a conside-rare la mafia un problema solo delSud è il fatto che lì c’è una presenzamolto più visibile sul territorio: i rionidelle città sono addirittura divisi perzone di influenza. Qui al Nord, in-vece, si inserisce nel tessuto econo-mico. C’è una mafia “in giacca ecravatta”, dal taglio imprenditoriale.L’80% del fatturato attuale di tutte lemafie deriva dal traffico della droga,soprattutto della cocaina. Altre atti-vità sono il “pizzo”, il traffico dellearmi, il gioco clandestino, lo smalti-mento dei rifiuti, l’usura…

I capitali illeciti vengono ripuliti inattività apparentemente lecite, soprat-tutto nel settore dell’edilizia, scavi,movimento terra ma anche nel com-mercio, in attività finanziarie, nel tu-rismo... La riconversione del denaroperò non corrisponde a quella del ma-fioso, che continua sempre ad usare isuoi sistemi e le sue logiche: il conse-guimento del profitto e del potere adogni costo. Anche col ricorso alla vio-

lenza, all’inti-midazione, allaprevaricazioneed alla corru-zione. Di qui la preoc-cupazione perl’Expo 2015. Ilrischio è che

parte degli assai considerevoli finan-ziamenti finisca nelle casse della‘ndrangheta, la mafia più presente epiù agguerrita qui in Lombardia.

Attualmente contro quale dellequattro grandi organizzazioni ma-fiose è più difficile lottare? Sicuramente la ‘ndrangheta, di cuinon si parla mai abbastanza e che hadiffuso la sua potenza ben fuori dal-l’Italia. I loro punti di forza, i fattori che lirendono coesi, sono il radicamentoalle tradizioni e ai costumi della Ca-labria ed il legame personale compat-tissimo, con frequenti episodi diendogamia.A titolo esemplificativo, ricordo chein un’ indagine si seguivano delledonne calabresi che si riteneva man-tenessero contatti con un latitante inGermania: portavano una valigiafiammante con loro. Il contenuto?Prodotti tipici calabresi e un compu-

Intervista al magistrato Alberto Nobili, procuratore aggiunto di Milano.

‘Ndrangheta la più forte. Importanti pentiti e intercettazioni, i magistrati aiutano la società civile.

”“

Alberto Nobili dal 1980 è in servizio allaProcura della Repubblica di Milano. Apartire dal 1983 si occupa ininterrotta-mente di criminalità organizzata, co-mune e di stampo mafioso. Ha lavoratoalla D.D.A. di Milano per 11 anni. Dal2007 è procuratore aggiunto.

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ter. Ecco, questi sono i simbolidella ‘ndrangheta di oggi: co-munque si espanda nelmondo, il riferimento è sem-pre alla “mamma”, cioè lazona della Locride con epi-centro in San Luca, dove cisono i capi storici. Il compu-ter invece simboleggia la mo-dernità. I figli dei mafiosisono compagni d’universitàdella futura classe dirigente.

Alla luce delle ultime vi-cende che hanno interessatoi pentiti, pensa che debbanoandare modificate le attualinorme che regolano la mate-ria? Come sempre sosteneva Gio-vanni Falcone, quando cisono i pentiti vuol dire che siè in presenza di un contrastoserio alla mafia da parte dello Stato.Il pentito affida la propria vita equella dei famigliari alle istituzioni.Oggi ce ne sono pochissimi, mentreandrebbero incentivati. Portano con-tributi di conoscenza che nessun tipodi indagine riesce a dare e storica-mente il loro apporto è stato di stra-ordinaria rilevanza già dal periododel terrorismo.Attualmente è previsto che un colla-boratore di giustizia prima di poterottenere benefici penitenziari debbascontare comunque un quarto dellapena o almeno 10 anni, se è stato con-dannato all’ergastolo. Considerate lesmagliature della legge italiana ed ilfatto che questi soggetti sono obiet-tivo di una campagna di stampa chetende a denigrarli, additandoli comecalunniatori ed opportunisti, pentirsinon conviene più.

Recentemente è stato rimesso in di-scussione il 41 bis. Lei ritiene ne-cessario il cosiddetto “carcereduro” per i boss? Tenendo bene a mente che nessunopuò ledere la dignità umana, tantomeno lo Stato, quello che comune-mente viene chiamato “carcere duro”è un male necessario perché utile ad

impedire i contatti con l’esterno. Piùdi una volta si è infatti scoperto che,nonostante il regime carcerario, iboss continuavano ad emanare diret-tive ed a coordinare le attività ma-fiose dai luoghi di detenzione.

Che cosa pensa della proposta dilegge sulle intercettazioni? La guardiamo con grande appren-sione. Temo che l’uso scorretto che diesse è stato fatto dal punto di vistagiornalistico sia stato preso a pretestoper restringerne l’ambito di applica-zione. Questo limita le possibilità operativedei magistrati: le intercettazioni sonouno strumento investigativo impor-tante. Inoltre non è vero che per lamafia non cambierà nulla. Anche se per i reati mafiosi sono for-malmente consentite, non va dimenti-cato che molte importanti inchiestehanno preso il via da fatti non imme-diatamente riconducibili alla crimina-lità organizzata. Con la nuovanormativa di fatto non si potrebbe piùintercettare a partire da eventi del ge-nere.

A cosa è stata dovuta la sua sceltadi diventare pubblico ministero?

Come si rivolgerebbe ad un giovaneche volesse intraprendere oggi lacarriera di magistrato?Partecipai al concorso per entrare inmagistratura perché durante gli studiuniversitari la figura del magistratoera stata quella che più mi aveva af-fascinato. Portato a termine l’“udito-rato” (tirocinio, NdA) ho deciso disvolgere le funzioni del Pubblico Mi-nistero, cioè di colui che coordina leindagini e poi sostiene l’accusa neldibattimento.La trovai una carriera confacente almio carattere. Il mestiere però è deli-catissimo perché si incide sulla vitaprivata altrui. Inoltre, tutto il mio la-voro ha a che fare con il dolore, siadelle vittime di un reato sia di chi in-vece ne è l’autore, soprattutto dellasua famiglia. Riportare l’equilibrio edil risanamento di un torto subìto è ciòche gratifica e giustifica i molti sacri-fici che impone questa attività. È unlavoro che consiglio: è affascinantema per farlo bene bisogna crederciveramente ed adoperarsi con tutte leproprie forze per fornire un contri-buto fondamentale alla società civile.

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C ome si è evoluto il fenomeno dimigrazione in Italia e in cosa sidifferenzia dagli altri Paesi euro-

pei?La particolarità dell’Italia è che haun’immigrazione relativamente re-cente. Negli ultimi anni il fenomeno siè evoluto: ora il numero assoluto di im-migrati è leggermente superiore allamedia europea. È un’immigrazione so-prattutto di prima generazione: solo dapochi anni si è avvertito il problema deifigli di immigrati nati in Italia, che sistanno coordinando in associazioni. Glialtri Paesi europei hanno affrontato giàda tempo questioni del genere.

In che modo sono cambiate le norma-tive in materia di immigrazione negliultimi anni?L’unico canale legale per venire a lavo-

rare in Italia, il meccanismo dei “de-creti flusso”, con cui il Governo fissale quote di stranieri che i datori di la-voro devono chiamare direttamente dalloro Paese, funziona poco e male. Cosìquasi tutti entrano irregolarmente in at-tesa della sanatoria.Lo stesso individuo che la legge consi-dera delinquente perché clandestino,magari dopo pochi mesi riesce a rego-larizzarsi e diventa improvvisamenteun “bravo immigrato”. Per questo mo-tivo, tutte le politiche che mirano a re-primere l’immigrazione irregolare inqualche modo la reprimono complessi-vamente.Il primo strumento adottato per contra-stare il fenomeno, fu il Testo Unico sul-l’Immigrazione (D.L. 286 del 1998,cosiddetta legge “Turco-Napolitano”NdA), che prevedeva la detenzione am-

ministrativa, i famosi CPT. Dopo qual-che anno, nel 2002, con la legge“Bossi-Fini” è prevista la detenzioneper chi occupa il territorio nazionalesenza permesso di soggiorno. Ed eccoci al “Pacchetto Sicurezza”,approvato nel 2009. Esso prevede chel’immigrazione irregolare resti materiapenale, introduce l’aggravante di clan-destinità per tutti i reati e nega alcunidiritti civili agli irregolari. Vieta adesempio il matrimonio a individuisenza permesso di soggiorno e com-plica la registrazione anagrafica deifigli di clandestini.Si pensa che , facendo terra bruciata at-torno all’immigrato, ad un certo puntodecida di andarsene oppure cessi di ri-vendicare tutele e diritti, restando aimargini della società. Oltretutto è sufficiente perdere il lavoro

Di Roberto Croci ed Alesia Preite

Intervista a Livio Neri, avvocato.

«Immigrati: persone, non solo manodopera»Tutelare i diritti civili. Cittadinanza e voto per integrare. L’Italia segua le direttive UE.“ ”

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e non trovarne uno nuovo entro 6 mesiper restare senza permesso di sog-giorno e ritrovarsi, da tutelati che siera, clandestini.

In che cosa consiste la proposta dilegge sulla cittadinanza agli immi-grati?La normativa italiana si basa sullo ius

sanguinis ed è tipica dei Paesi di forteemigrazione. I figli di italiani nati intutto il mondo acquisiscono la cittadi-nanza. I Paesi di immigrazione invecehanno leggi che si ispirano allo ius

soli: chiunque nasca sul loro territoriodiventa cittadino. Anche in Italia abbiamo però aspettiche convergono verso lo ius soli. Chinasce da genitori regolari e rimane re-sidente fino alla maggiore età acquisi-sce per un anno il diritto di chiedere lacittadinanza. Io credo che le propostetese ad abbreviare tale termine favori-scano l’integrazione dei figli degli im-migrati, che possono così sentirsiveramente italiani.

È d’accordo col diritto di voto pergli immigrati alle amministrative ealle politiche?Una democrazia liberale ha tra suoiprincipi fondamentali quello del no ta-

xation without representation. si do-vrebbe negareil diritto divoto a stranieriregolari chevivono in Ita-lia pagando leimposte e con-tribuendo conil loro lavoro allo sviluppo della so-cietà. Tanto più che individui total-mente estranei al nostro Paese possonovotare alle politiche solo in quantofigli di italiani.

Alle luce anche dei recenti avveni-menti, quanto può influire l’UE sullepolitiche italiane in materia di immi-grazione?Influisce in modo radicale. Quasi tuttele normative rilevanti in materia sonorecepite da direttive comunitarie. Inol-tre, se la direttiva europea è sufficien-temente chiara, i giudici possono nonapplicare le norme italiane in contra-

sto. In ogni caso, come è già successo,intervengono o la Corte Costituzionaleo la Corte di Giustizia dell’UE ad abro-gare la legge. Questo però richiedetempo, e ci sono norme che – se subitoapplicate – dal punto di vista politicohanno un grandissimo effetto. Pocoimporta se rimarranno in vigore pochimesi o qualche anno, perché palese-mente inique…

Riguardo agli avvenimenti di Ro-sarno?Oltre all’episodio gravissimo, di verae propria guerriglia, mi ha fatto im-pressione l’epurazione degli immigratidal comune. Improvvisamente i brac-cianti neri sono stati mandati via.La criminalità organizzata e gli im-prenditori con pochi scrupoli hanno bi-sogno di manodopera a basso costo.Dietro la manodopera però ci sonopersone; quando queste cominciano arivendicare i propri diritti, vengono so-stituite da nuove ondate di immigrati,facili da sfruttare perché non parlanola lingua e non conoscono i propri di-ritti.

Quali sono i requisiti per richiedereil diritto d’asilo?Intanto, lo status di rifugiato non èl’unica posizione di cui si può fruire:

esistono anche la prote-zione sussidiaria e il per-messo di soggiorno permotivi umanitari.Ognuna ha i propri re-quisiti, valutati da appo-site commissioniterritoriali durante

un’audizione e, in caso di ricorso, daun giudice. Le direttive europee in me-rito specificano che è possibile ricono-scere queste posizioni anche se nonesistono prove dei fatti narrati dal sog-getto, per l’evidente difficoltà che ciòcomporterebbe. L’importante è atte-stare la credibilità di una persona e delsuo racconto. Una volta provata que-sta, c’è una sorta di beneficio del dub-bio e si riconosce il diritto d’asilo.

Cosa è cambiato per i cittadini ro-meni residenti in Italia, ora che sonoentrati a far parte dell’UE?Un romeno può entrare senza nessuna

limitazione e con assoluta libertà nelsuolo italiano, soggiornandovi fino atre mesi senza dover rendere conto alleautorità.Se vuole fermarsi più a lungo , deve di-mostrare di studiare, lavorare o averelegami familiari con persone regolariin Italia. Se ha uno di questi requisiti,richiede l’iscrizione anagrafica e nonil permesso di soggiorno. In mancanzadi requisiti sufficienti si rischia il de-creto d’allontanamento, che se non ot-temperato comporta conseguenzepenali. A differenza dell’extracomuni-tario il comunitario, però, non incorrenel divieto di reingresso per 10 anni.

Lei ritiene che in Italia ci siano xe-nofobia e razzismo? Se sì, perché?Se ci sono la responsabilità è, almenoin parte, di chi prende decisioni e prov-vedimenti che possono indurre ad osti-lità nei confronti degli immigrati.Il “Pacchetto Sicurezza” prevede di-sposizioni e burocratismi quasi vessa-tori, il cui scopo di certo non è favorirel’integrazione. Peraltro il tanto sponso-rizzato rigore contro gli immigrati nonottiene nemmeno gli obiettivi così am-biziosi che si fissa. Ne è un esempio ilreato di immigrazione clandestina, pe-nalmente quasi inapplicabile: qui a Mi-lano ci sono stati solo una ventina diprocessi, per la maggioranza in contu-macia (cioè con l’imputato assente,

NdA). D’altro canto l’obiettivo è emar-ginare gli irregolari, non certo proces-sarli. Altrimenti le nostre carceri, giàsovraffollate, si riempirebbero di mi-gliaia di detenuti.

Perché ha scelto di fare l’avvocato?Cosa consiglierebbe ad un ragazzoche decidesse di intraprendere laprofessione?Dopo aver scelto di fare giurispru-denza senza avere le idee troppochiare, mi sono ritrovato in uno studioin cui fare l’avvocato vuol dire assi-stere persone che nella società e neirapporti di lavoro sono la parte svan-taggiata. Nonostante alcuni momentimeno godibili, la professione mi ap-passiona. Il fine che ci muove, e dovrebbe muo-verci, è quello di influire in positivosulla vita di una persona.

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Livio Neri, avvocato in Milano, èreferente per la Lombardiadell’ASGI (Associazione StudiGiuridici per l’Immigrazione) esocio fondatore di Avvocati perNiente Onlus.

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Vivevano a Rosarno in una cittànella città, fatta di muri di cartonee letti di coperte. Sopravvivevano

lavorando tutto il giornoper raccogliere arance emandarini, disponibili neinostri mercati a partire daun euro e mezzo al chilo, incambio di un compenso diuno o due euro l’ora, da cuierano sottratte strane tratte-nute destinate probabil-mente a finanziare la‘Ndrangheta. Si muove-vano all’alba e al tramonto,invisibili a molti dei quin-dicimila abitanti. Ma il settegennaio sono comparsi tuttiall’improvviso, si sono pa-lesati violentemente agliocchi di chi non si era mai accorto di loro.Due sono stati feriti a colpi di fucile a pallinitornando da un’altra giornata nei campi, equesto è stato la fatidica goccia che ha fattotraboccare il vaso. Un vaso colmo di rabbiaaccumulata fino a coprire la speranza concui erano partiti da paesi devastati dalla po-vertà, in cerca di una vita migliore. Si sonoriversati nelle strade e hanno fatto subito no-tizia, sfogandosi anche violentemente sucassonetti e automobili, e scatenando ira e

paure su chi assisteva alla scena. Il giornodopo avevano un posto sulle prime paginedi tutti i giornali: c’è chi li ha chiamati neri,

chi negri, chi clandestini, chi immigrati, chistranieri, chi diseredati, sfruttati, fantasmi,irregolari... Ma la cosa non si è fermata lì: ilgiorno dopo avevano un posto anche nellamente dei quindicimila rosarnesi, per moltidei quali l’indifferenza reciproca comin-ciava a non sembrare più possibile. E gliscontri sono diventati una vera e propriaguerriglia, fra cittadini e immigrati, italianie stranieri, rosarnesi e africani, bianchi eneri. E la guerriglia è diventata polemica,

motivo di acceso dibattito politico: si parladi razzismo e xenofobia, di mafia nascostae impunita che alimenta lavoro sommerso e

non pagato, di troppa tolleranza (mini-stro dell’Interno Maroni) o di troppapoca, di leggi come la Bossi Fini consi-derate inadeguate (leader del PD Ber-sani) o solo male applicate, diabbandono del Sud al proprio destino. Irosarnesi non apprezzano la nuova repu-tazione di “razzisti” e organizzano unamanifestazione silenziosa, ma non al ri-paro da ulteriori polemiche. Urge tro-vare una qualche spiegazione, qualchecolpevole per quei 67 feriti (31 stranieri,19 agenti di polizia e 17 residenti). Mauno striscione contro la ‘Ndranghetaviene arrotolato frettolosamente sotto gliocchi dei media. Paura? Forse.Urge però anche trovare una soluzione

per quei tremila fantasmi, gli immigrati ir-regolari. Fantasmi per lo Stato, ma proprioper questo facilmente ricattabili, vivono nel-l’illegalità senza potersi appellare alla lega-lità. Pena: il rimpatrio. “Mandiamoli a quelpaese” titola il quotidiano “Libero” in primapagina (otto gennaio). Oppure nei centri diidentificazione e espulsione o “d’acco-glienza”. Ovunque ma non più a Rosarno.E la baraccopoli di cartone diventa solo unvecchio ricordo, piegata sotto le ruspe.

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Legalmente ricattabiliDi Sara Ottolenghi

All’inizio di Gennaio, il capoma-fia del quartiere palermitano diBrancaccio Giuseppe Graviano,

detenuto nel carcere di Opera a Milano,è uscito dal regime del carcere duro chegli era stato imposto alla condanna. Que-sto tipo di incarcerazione è una condi-zione di prigionia di assoluto isolamento,senza poter ricevere né visite di parentiné avere alcun tipo di contatto con glialtri detenuti, utilizzato spesso nei casi di

arresto per mafia. Ora, la corte d’assised’appello ha tolto parte di questo regime,non sottoponendolo più all’isolamentodiurno; non potrà comunque avere con-tatti con gli altri detenuti accusati di attimafiosi. Questa decisione è stata presa inseguito alla condanna definitiva del bossmafioso a due ergastoli, per un ricorso delsuo avvocato, andando contro la deci-sione favorevole ad una proroga dell’iso-lamento da parte della procura generale.

Infatti, secondo il legale, la proroga nonpoteva essere applicata in quanto lenuove condanne si riferiscono a fatti av-venuti prima dell’arresto di Graviano.Inoltre, quest’ultimo ha fatto presente ilfatto che la sua salute risentisse dellostato di prigionia, e per questo aveva de-ciso di non rispondere alle accuse mossea lui e al fratello Filippo, ad opera delpentito Gaspare Spatuzza, che aveva de-nunciato i loro rapporti col senatore Mar-

Il caso GravianoDi Elena Morgana

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cello Dell‘Utri e addirittura col presi-dente del Consiglio Silvio Berlusconi (ilpremier, in risposta alle accuse, rispondecosì, sorridendo ai giornalisti: “E che videvo dire...? Ci sono state delle comi-che”).Mentre Filippo Graviano ha negato, no-nostante avesse affermato di aver cam-biato vita «in favore dellalegalità», di aver presoparte alle stragi di Roma,Firenze e Milano, avvenutenel ’93, come affermato daSpatuzza, Giuseppe Gra-viano ha lasciato intendereche se il suo regime carce-rario fosse migliorato, al-lora anche la sua salute neavrebbe giovato e avrebbein un futuro potuto even-tualmente commentaresulle accuse rivoltegli dalpentito.Immediatamente sonocomparse le prime polemi-che. È indubbio che il cam-biamento di prigionia diGiuseppe Graviano non vada contro nes-suna legge, però, come afferma l’onore-vole Antonio Di Pietro: ”È un segnaleinquietante, pochi giorni dopo il silenzioomertoso del boss e, al di là delle inten-zioni, rischia di apparire come una ri-compensa”. “Graviano non ha diritto anessuno sconto né di giorno né di notte.Le leggi durante questi sedici annitroppo spesso sono andate in una sola di-rezione, in favore della mafia terrorista,e oggi si vedono i risultati”, dice Gio-vanna Maggiani Chelli, presidentedell’Associazione tra i familiari delle vit-time della strage di via dei Georgofili.Oltre che ad una ricompensa, il gesto ingenerale fa riflettere su come una leggepossa non risultare giusta in determinaticasi. Mi viene quasi da pensare che i suoimolto probabili contatti sociali con per-sone “importanti” potrebbero averlo aiu-tato in qualche modo, anche indiretto.Personalmente, non sono rimasta stupita,ma solo più rassegnata e delusa, nel sen-tire che esponenti della politica abbianoavuto contatti con la mafia. Con questonon voglio dire che i rapporti di cui si èparlato in quest’ultima vicenda siano perforza veri, se il tribunale non riesce a tro-

vare abbastanza prove non sarò certo ioa farlo, ma non sarebbe la prima volta incui politica e malavita si fondono.Secondo la mia modesta opinione, trovoche sia esagerato donare questa ecces-siva libertà a Graviano, un uomo che haindubbiamente compiuto atti estrema-mente violenti, o peggio, che li ha orga-

nizzati. Le stragi Falcone e Borsellino,per citare due tra le sue più famose con-danne.In effetti, non è accaduto nulla di ille-gale, ma può risultare giusto al senso co-mune ricompensare in un certo qualmodo un condannato solo per il suo si-lenzio? Una persona che invece di ri-spondere alle accuse fattegli si chiudenel mutismo? Un uomo che come il fra-tello, sebbene incarcerato dal 1994, è riu-scito a diventare padre? Come avrà fattoa concepire attraverso le sbarre della pri-gione? Un uomoche nonostantetutto questo abbiacontinuato a pro-testare al suo re-gime continuandoa fare allusionisulla sua salute,un uomo che èriuscito ad inviarecomunque letterecon le quali co-municava conl’esterno e conti-nuava a gestire lesue attività un

anno dopo l’incarcerazione.Non so che soluzione ci possa essere, népenso si scoprirà molto presto. Le leggi“ad personam“ sono qualcosa da nonfare, oltre che nel male, anche in buonafede, e non si può modificare una leggead ogni caso diverso. Forse il problemanon sono le leggi, ma chi lavora per la

giustizia in Italia,chi regge il nostropaese. Leggendo diquesta storia la miasensazione preva-lente è stata quelladi sentirmi un pic-colo puntino nellemanovre altrui, dipensare di essereinformata ma in re-altà di rendermip e r f e t t a m e n t econto che la mag-gior parte dei se-greti dei fratelliGraviano non verràmai svelata e che iloro legami col pre-

mier o con Dell’Utri non verranno maiconfermati e saranno dimenticati. Non sose sia tutta un’operazione ragionata, madi sicuro la vicenda non è ancora traspa-rente ai nostri occhi, e solo il nostro con-tinuo interesse potrà forse portarci allaverità, idea alquanto utopistica, ma se cidisinteressassimo, faremmo il gioco dichi vuole che noi dimentichiamo, e nondobbiamo farlo, non per forza per questavicenda, ma per il senso di giustizia.

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Gaspare Spatuzza

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Turciniuna d'agneddu*

Di Roberto Croci

Ragusa. Le urla dei giovani checontestano, lontane, attutite,ridotte a flebili eco dai gior-

nali “d’informazione”; la città in que-gli anni ancora impregnata di petrolio.Le strade asfaltate, i bar, gli alberghi,le macchine, anche il pane ne avevanol’odore.Dopo secoli di fatica sulle terre, di‘ssia benerica *2 biascicati a voce rottaai latifondisti profittatori,la gente aveva cominciato a scapparedalle campagne, dal pane duro e dallacipolla, a scoprire che sapore avesse lacarne.Giovanni Spampinato inizia a lavorarecome cronista a 23 anni, nel 1969. Loassumono come corrispondente ibleoall’ “Ora” di Palermo, un giornale se-rale. La tiratura è bassa, la paga ancoradi più: ma il lavoro stimola. Pochi mesi dopo, Piazza Fontana e lastrategia della tensione: arrivano glianni di piombo. Da Milano a Roma aGioia Tauro: dovunque scoppiano lebombe. Nel ‘71, addirittura il fallitocolpo di Stato a opera di Junio ValerioBorghese, militante di estrema destradalla Repubblica di Salò affrancatosidall’MSI di Almirante.E Ragusa?Assieme a Siracusa e Messina, condi-videva la fama di provincia babba:cioé a dire, sciocca, senza mafia. Gio-vanni aveva cominciato a mettere incrisi quest’idea, suffragata dalla poli-tica, dall’informazione, dalla Curia. In un mondo a blocchi in cui o guar-davi Saigon bombardata o plaudevi ivietcong, Spampinato non fece mai mi-stero di essere un giornalista schierato. Vicino agli ambienti della contesta-zione, espresse coi suoi articoli tutto ildisagio dei giovani nei confronti diquella società basata su mistificazionie illusioni, in procinto di un collassosia politico sia economico. I ragazzi dei gruppi indipendenti di si-nistra erano la sua fonte. Da loro fu informato delle frodi perpe-

trate ai danni dello Stato nella ricostru-zione post-terremoto del Belice e so-prattutto della massiccia presenzanell’isola di gruppi neofascisti, in con-tatto anche con alcuni militanti del re-gime dei colonnelli che si stavainstaurando in Grecia.Era dotato di un acume e di una sensi-bilità rari, Spampinato, tanto che riuscìa porre in relazione isolati fatti dellasua provincia babba con dinamiche direspiro nazionale.Scrive in un articolo intitolato “Squa-drismo in Sicilia: il partito della mala-vita” (L’Ora, 24/02/1972): «I soldi aifascisti iblei sembra che vengano, oltreche dai normali finanziamenti di agrarie grossi commercianti, dagli illecititraffici di certi camerati (sigarette,droga, prostituzione)». I ranghi deineofascisti a Ragusa si erano effettiva-mente ingrossati: tra gli altri, StefanoDelle Chiaie, braccio destro del già ci-tato golpista Borghese.

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A pochi giorni dopo si data lo scooppiù grande, lo scoop mortale. Viene ucciso Angelo Tumino, ingeg-nere, collezionista e imprenditore. Gio-vanni si mette in cerca di una pista, edopo due giorni già scrive:«probabile che abbia pes-tato i piedi a qualcuno: èuna sorta di mafia checontrolla vari settori tracui quello edile».Il giornalista continua adindagare, e scopre dafonti in Procura che sottoindagini sarebbe anche ilfiglio del Presidente delTribunale, Roberto Cam-pria. Espone la notizia in unarticolo, per il quale vieneimmediatamente quere-lato dal giovane: inizia unperiodo di tensione e an-

goscia. Spampinato percepisce di aver valicatol’invisibile confine del “giornalistascomodo”; per incuria o sprovvedu-tezza, viene lasciato solo dalla sua re-dazione. La sua firma rimane l’unicaper quell’inchiesta: il giornale non gliaffianca nessuno.Due anni prima, il rapimento di DeMauro, un suo collega dell’“Ora”. Gio-vanni temeva per sé e per la famiglia:lo scrive nelle lettere e lo lascia intuirenegli articoli. Eppure la sua attività non si ferma.Dopo alcuni pezzi di critica allo stallodelle indagini, accetta di parlare conCampria – la cui querela era stata riget-tata – affinché fornisca la propria ver-sione dei fatti. La sera del 27 ottobre,a bordo della sua vecchia Cinquecento,Giovanni Spampinato si dirige all’in-contro.Vai verso un bar, possiamo chiarirci lì,ammonisce Campria, salito in mac-china. Il bar è chiuso. Vai in centro, lìci sarà qualcosa di aperto. Lungo lastrada buia ma trafficata appare il car-cere. Accosta, sto male. Giovannisterza a sinistra; Roberto Campriaestrae due pistole, da cui esplode seicolpi. La Cinquecento fuori controllocol guidatore morto in una pozza disangue sta per sbandare. Campria apre

di scatto lap o r t i e r a ,scende, in-golla del tran-quillante e vaa costituirsi. Lontano, loschianto delparaurti con-tro un muro.

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Di Sara Casotto

Politica e magistratura: lalotta in difesa della legalità

L egalità. Principiofondamentale perla vita di una co-

munità. Legalità.Principio per il quale biso-gna lottare, a costo di farsimale.Abbiamo capito: legalità.Sicuri? Siamo in Italia, ri-cordiamocelo. Siamo nelpaese in cui bisogna averpaura della legge quando siè nel giusto e invece staretranquilli nel momento incui si sgarra. Leggi, leggi,leggi, articoli e numeri sunumeri che regolano ilcomportamento dell’uomo,essere imperfetto, all’in-terno di un sistema che per-fetto deve essere. C’è unequilibrio da rispettare, nelquale ogni persona devemuoversi senza uscire dai

confini della proprialibertà per intaccarequella altrui. Tutta-via, da quando sononata ho avuto pochevolte testimonianzadell’efficacia di que-sti strumenti di con-trollo.Siamo ormai nel2010, e sto smettendodi sperare. E’ vero:dobbiamo ammettereche tutte le genera-zioni passate in qual-che modo hannovissuto in una ma-niera peggiore dellanostra, ma con questonon significa che era“migliore” sia sino-nimo di era “buona”,e soprattutto era “giu-sta”. Sono entrata nel

IMMAGINARIO EPITAFFIO, CIMI-TERO DI RAGUSA IBLA

Giovanni Spampinato (6/11/1946 –27/10/1972)

«Scrivi col sangue: e allora impareraiche il sangue è spirito»

(Friederich Nietzsche, “Così parlòZarathustra”)

Pagato saltuariamente dalla sua testata,non fu mai un vero giornalista: ilgiorno dopo la sua morte il presidentedell’Ordine caracollò a casa della fa-miglia, sventolando il tesserino di pub-blicista e mille scuse. Eppure egliaveva trascurato lo studio, la carriera,perfino i sentimenti, per dedicarsi alleinchieste. Quasi coetaneo della nostraRepubblica, la seppe servire a dovere.Fino all’assassinio. Anzi, al macello.Perché fu così che visse i suoi ultimigiorni e morì: come un agnellino desti-nato al macello pasquale.

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Questo articolo è per tutti i ragusani egli italiani dimentichi non di questapersona, ma di ciò che rappresenta;quelli che dicono – e continuano a dire– agli Spampinato che incontrano:“Ma cu t’ù fici fari?” *3.Giovanni Spampinato non avrebbe vo-luto questo. Avrebbe voluto che si ri-flettesse sulla sua storia. Ci avrebbevoluti tutti, comunque, coinvolti.I suoi pezzi non erano prosa asettica daeditorialista sapientone, da cronista di-sinteressato e distante. Riusciva ad es-sere sarcastico, tagliente e ironico;sintetico fino alla brutalità. Alcune suefrasi, le più vive, sono così concitateche non hanno quasi verbi.Scrivere senza verbi? I verbi rendono il mondo logico, razio-nale, ordinato come delle villette a

schiera con i giardini impeccabili. Mache diritto abbiamo, noi, di sentircicosì?

Note:* = piatto tipico ragusano, preparatocon interiora d’agnello. Il nome “turci-niuna” è dovuto al fatto che, nella pre-parazione, i singoli pezzi si“attorcigliano” l’un l’altro a mo’ di in-voltini.*2 = alla lettera, “ che voi siate bene-detto”. Saluto rispettoso verso personedi rango sociale più elevato.*3 = “Ma chi te l’ha fatto fare?”

Bibliografia:Alberto Spampinato, “C’erano bei canima molto seri”, Ponte alle Grazie

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mio diciottesimo anno di età, mi avvicinoal numero fantastico che mi permetterà diandare a votare nel 2011, tuttavia il sognodi una carriera da magistrato si affievoli-sce ogni giorno di più, non tanto perchèmi manca la voglia di studiare, non tantoperché ci stiamo avvicinando ad una ipo-tetica fine del mondo, quanto per il fattoche in questo momento mi pare che la ma-gistratura abbia le mani abbastanza legate.Rabbia, solo rabbia: ecco quel che provonel dover ammettere che la situazione siamessa in questo modo. Quel principio dilegalità “fondamento” non è difeso pro-prio da questo organo, che è addirittura“autonomo e indipendente” da ogni altropotere?Gli italiani si pongono tante domande, al-cune costruttive, altre totalmente inutili.Gli italiani spesso creano da soli e tentanodi risolvere dei problemi irrilevanti, prividi qualsiasi importanza. Ma ultimamentesembra che qualcosa si sia svegliato nellatesta del cittadino, qualcosa che si chiamadesiderio di giustizia. Pare infatti, dagliultimi aggiornamenti, che non ce ne siapoi tanta in questo paese, un po’ per i ca-villi, come dappertutto, un po’ per il si-stema specifico che si è sviluppato nellaPenisola.La guerra dei due mondi: magistratura epolitica. Due mondi opposti e uguali, duemondi separati ma in un certo senso uniti,due mondi che in punti lontani della ga-lassia trovano un allineamento disconti-nuo. Legge e potere si battono in questomomento su piani diversi con armi a dir

poco ridicole, si incontrano al confine, main pochi secondi corrono a nascondersidietro le trincee. E in mezzo al campo dibattaglia, tra mine e bombe a mano, cisono gli italiani, indifesi e smarriti, chevengono catturati come ostaggi da i dueeserciti ma che non ottengono mai un ri-scatto adeguato per la loro libertà.E alla fine chi vincerà?Gennaio 2010. Siamo ad un punto critico,a mio parere, critico per il Paese, criticoper tutte le istituzioni che lo regolano.Siamo ad un punto in cui il mondo poli-tico si pone su un gradino più alto rispettoal mondo della magistratura. Difesa dellalegalità? Benessere del Paese? Sembraquasi che non possa esistere una se noncon la morte del-l’altro; la lotta perla legalità sta in-tralciando un la-voro ormai avviatoda mesi, il lavorodel Governo, cheper dribblarel’ostacolo sta cer-cando i tutti i modidi trovare il metodo più efficace. Ma que-sta ricerca richiede esercizio, tempo, e iltempo, come si suol dire, è denaro. Civuole l’impegno dei vari ministri, di se-natori e deputati, ci vuole l’impegno diuna maggioranza che ovviamente, e giu-stissimamente, si dedica alla guerra e tra-scura per un breve, brevissimo periodo ilpopolo, che non può mica aspettarsi sem-pre “la pappa pronta”, come dice il buon

Roberto Castelli. Lui si faceva i kilometriquando lavorava per andare dai clienti,eh! E meno male per lui, che almenoaveva la possibilità di lavorare.Ma continuiamo con la diretta sullo scon-tro: la guerra sta per finire? Chissà.Si combatte per la giustizia italiana, diceil governo, anche se non ho capito chi dipreciso voglia veramente difenderla. Giu-stizia e legalità vanno di pari passo. Senzail rispetto delle leggi la giustizia non esi-ste, e nel momento in cui questo rispettoviene a mancare, essa va applicata, in ognicaso. La difesa della legalità ha portatol’Italia a degli scontri inimmaginabili, chenon dovrebbero essere così naturali comeinvece sembrano.Un’opera di salvataggio nei confronti diun principio che sta affogando si è trasfor-mata in uno scontro a mare aperto; il prin-cipio fondamentale della società non hapossibilità di salvezza, se non con la vit-toria dei suoi difensori, i magistrati.Silvio Berlusconi. Mi dispiace tirarlo inballo, volevo evitare (sul serio, Pariniani),ma mi è impossibile. Presidente attualedel Consiglio, dal ‘94, dopo la sua scesain campo, lo è stato per ben quattro volte.E ora, dopo anni di politica e imprendito-ria, è arrivato ad un numero incalcolabiledi processi a suo carico, chiusi, aperti, ri-chiusi, riaperti. La legalità non è proprioil suo forte, lo abbiamo capito, e non puòfarla franca. Non può? Certo che può. Cela sta facendo.Ma Silvio Berlusconi non è l’unico, è

ovvio. Ci sono tanti politici-de-linquenti, che hanno preso lastrada del potere per salvaguar-dare le proprie manovre; ognimese ne trovano almeno uno, adestra come a sinistra, quasitutti impuniti e ancora sulla seg-giola. La guerra non è scoppiataper lui, visto che non è stato ilprimo nè sarà l’ultimo capace di

arrivare al potere totale e incontrastato siain campo economico sia in quello politicopolitico. Ma la lotta, ora come ora, sta an-dando avanti per lui, non per me. Se nonci fosse Berlusconi, forse non sarebberostate inventate negli ultimi anni tuttequelle leggi incostituzionali e ingiuste. Ilgoverno dovrebbe pensare al bene delpaese, e invece pensa solo alla difesadell’individuo. I magistrati dovrebbero

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La guerra dei duemondi: magistratura e po-litica. Due mondi oppostie uguali, due mondi sepa-rati ma in un certo sensouniti, due mondi che inpunti lontani della galassiatrovano un allineamentodiscontinuo. ”

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L’Italia, un paese legale,certamente, tanto legalequanto lo sono leggi in-

costituzionali.Ma a proposito di legalitàavrete sentito, lettori, la letteredi Napolitano ad Anna Craxi,moglie dell’ex leader sociali-sta. Personaggio discussoquello di Bettino Craxi, dob-biamo si ricordare che aiutòl’economia dell’Italia con unaserie di leggi, come quella ri-guardante lo scontrino fiscale,ma d’altro cantò decise di lasciare l’Italiamentre era ancora in corso il processo diMani Pulite. E qui ci soffermiamo, lui lasciòl’Italia, rifugiandosi in Tunisia, per evitarela sentenza e il carcere, e non perché qual-cuno glielo impose. C’è differenza fra un la-titante e un esiliato, e questo, lettori, lodobbiamo ricordare. Poco prima della let-tera di Napolitano la “questione Craxi” erastata sollevata anche dal nostro sindaco, laMoratti, che proponeva di intitolargli unospazio pubblico di Milano. Voglio riportarele parole di Di Pietro “Se proprio voglionofare una targa scrivano “Bettino Craxi, po-litico, condannato, latitante”, perché è questala storia di quella persona”. Ha affermatocose che nessuno può negare, eppure subitosono partiti gli attacchi da Bondi e dal restodel suo partito: “un uomo che fa della pro-vocazione, dell’insulto, della volgarità il suoprogramma politico”. Mentre i vari partitisono occupati a discutere, Napolitano si au-spica, sempre nella sua lettera, “una più se-

rena considerazione delcammino della democra-zia italiana”. Che dire, celo auspichiamo anche noi,ma ogni giorno vedo l’Ita-lia, o meglio la sua lega-lità, la sua democrazia, lasua libertà, sempre più pe-ricolosamente in bilico.Da una parte i cittadini, laCostituzione, i giudici,dall’altra il governo, le sueleggi nell’interesse di unsingolo, e non della popo-

lazione, degli italiani.A beneficio dei lettori meno esperti e menoinformati, mi soffermerò un po’ per cercaredi ripercorrere, nel modo più oggettivo pos-sibile, il lavoro di Craxi. Nel ’68 entrò inparlamento e nel giro di una decina d’annisalì al governo. Fece varie riforme, special-mente in campo economico, non riuscendomai a realizzare una riforma istituzionale,che rimase “un inutile abbaiare alla luna”,come lo definì lo stesso Craxi. Poi comin-ciarono le indagini, Mani Pulite, Craxivenne accusato di corruzione e si rifugiò adHammamet, in Tunisia. La moglie, in rispo-sta alla lettera del presidente della repubblicasostiene che Craxi “lavorò tutta una vita perl’affermazione delle idee in cui egli ha cre-duto con passione ed entusiasmo per raffor-zare i valori di democrazia e di libertà inItalia e nel mondo. Egli riposa in terra di Tu-nisia, ma non smise mai di pensare al benedell’Italia e dei suoi concittadini.” Certo seegli intendeva come bene per l’Italia il vio-

larne le leggi, commettendo così untorto non solo alla magistratura, maspecialmente alla popolazione, aglistessi cittadini che egli diceva esserela cosa più importante. Vi lascio, let-tori, con la speranza che in un futuronon troppo lontano i nostri politiciaprano gli occhi davanti all’attuale si-tuazione dell’Italia, perdendo menotempo dietro commemorazioni di cri-minali e latitanti e usandolo per pro-blemi se non migliori, per lo meno piùutili.

Legalità o latitanza? Cosa fa più notizia?Di Francesca Chiesa

occuparsi della difesa della legalità ed ef-fettivamente se ne stando occupando, perquanto è possibile.Ci sono dei limiti, come detto all’inizio,da rispettare. Gli uomini dai tempi deitempi hanno stabilito dei confini per re-golare la vita della comunità e hanno as-segnato dei compiti a gruppi o a singoli.Uno di questi gruppi regola il rispettodella legalità e oggi quel gruppo sichiama magistratura. La magistraturadeve avere spazio, e ha il compito di de-cidere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Lapolitica deve restar fuori, altrimenti si ar-riva ad una lotta impari. Le cosiddette“leggi ad personam” non sono incostitu-zionali tanto per dire; quel benedettopezzo di carta sarà stato scritto per qual-che motivo, e sicuramente un giudicedella Corte Costituzionale, seppur ex mi-litante di sinistra (o di destra, a secondadei casi), non decide di dichiarare inco-stituzionale una legge senza una motiva-zione valida.La difesa della legalità. In questa guerrasono i magistrati ad essere nel giusto, manon solo loro; sono soprattutto gli italiania dover pretendere di più dalle istituzioni,a pretendere quel famoso riscatto di cuiprima parlavo, il riscatto dovuto ad ognimembro dello stato. Questo riscatto nonsono soldi, ma diritti: lavoro, assistenza,integrazione. E da qui deriva la giustizia.La lotta della magistratura non è soltantouna lotta pratica nei confronti i un delin-quente ma anche morale in difesa del cit-tadino. Pensiamo allo scandalo “ManiPulite”. Sembrò una vittoria da partedella magistratura di fronte allo sgomentogenerale dell’Italia e alla scomparsa dipartiti storici. Parve un trionfo della giu-stizia, che appunto doveva essere assolu-tamente sciolta da vincoli politici. Maanche dopo quello scandalo nacque unanuova lotta contro i magistrati, che ave-vano come unica colpa quella di aver di-feso, appunto, la legalità.La situazione sta peggiorando: andiamoavanti ma torniamo praticamente indie-tro, cerchiamo uno sbocco ma troviamosoltanto porte chiuse. Lo scoppio dellascintilla nasce da una sola domanda: giu-dicare il governo sulla base dell’azionepolitica oppure dell’integrità dei suoi mi-litanti?

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Di Ayurzana Purevdorj

Ènoto che la Carta dei Diritti (Bill ofRights) degli Stati Uniti d’Americaenuncia il diritto del popolo di pos-

sedere e portare armi, all’interno del se-condo emendamento:“Essendo necessaria alla sicurezza di unoStato libero una ben organizzata milizia,non si potrà violare il diritto dei cittadinidi possedere e portare armi”.Che tale diritto venga esplicitamente men-zionato proprio in uno dei documenti co-stituzionali più importanti è un fattopiuttosto anomalo, che tende a destare per-plessità fra i commentatori di altre nazioni,e che viene solitamente posto in risalto ecriticato assieme alla “cultura delle armi”tipica degli Stati Uniti (o meglio di alcunezone di essi) e ai tassi di criminalità e diomicidi da arma da fuoco eccezional-mente alti che contraddistinguono questopaese da molti decenni.Per capire tutta la particolarità di questodiritto occorre considerare le condizionistoriche in cui venne enunciato: la Cartadei Diritti è l’insieme dei primi dieciemendamenti (ratificati nel 1791) alla Co-stituzione americana del 1788; essi furonoaggiunti per stabilire alcuni diritti fonda-mentali dei cittadini, diritti che agisconoperlopiù nel senso di porre delle garanziee dei limiti al potere del governo centrale.Nel clima in cui nacquero gli Stati Uniti sicontrapponevano infatti due correnti ideo-logiche, i federalisti (in maggioranza) e gliantifederalisti: mentre i primi, pur ricono-scendo la necessità di una forma di statofederale, sostenevano una maggiore de-lega di poteri dai singoli stati al governocentrale, i secondi erano fortemente av-versi a ogni intromissione del governo fe-derale negli affari dei singoli stati, di cuirivendicavano gelosamente l’autonomia incampo legislativo e giudiziario; per co-storo esisteva sempre il rischio di una de-riva autoritaria e tirannica del governofederale (in ogni caso bisogna tenere inmente che questo atteggiamento di diffi-denza nei confronti dell’autorità di Wa-shington è rimasto molto vivo nella

cultura politica degli Americani, special-mente di coloro che vivono negli statidell’interno del continente).I primi dieci emendamenti costituisconodunque delle importanti concessioni allerichieste degli antifederalisti; la necessitàdi tenere in vita una milizia formata da ci-vili armati è appunto una di queste richie-ste. Essa va interpretata proprio come unaforma di difesa contro l’esercito di uneventuale governo usurpatore e tirannico,come una sorta di garanzia di quel dirittodel popolo a ribellarsi a un governo ingiu-sto che fu già previsto dai teorici liberaliinglesi. Naturalmente questa forma di mi-lizia non si è mai concretizzata nella storiaamericana, e al suo posto la prerogativadell’impiego della forza fu assunta da unesercito regolare e da una polizia, come intutte le altre nazioni.Ma il secondo emendamento rimase, e conesso nacque nel tempo un nutrito dibattitosull’interpretazione da darne. Abbiamovisto che nelle sue prime fasi il diritto dipossedere e portare armi venne concepitoessenzialmente dai costituenti americanicome un diritto collettivo esercitabile daicittadini solamente nella forma di una mi-lizia ben addestrata e controllata, compo-sta da tutti gli uomini in età adulta, perpremunirsi dalle minacce che potevano in-combere sulla popolazione: un’insurre-zione armata, un esercito straniero oppurelo stesso esercito federale controllato daun governo illegittimo. In questo senso,tale diritto avrebbe senso solo come lapossibilità per i cittadini di avere a dispo-sizione delle armi per esercitare un doverecivico e costituire una forma estrema di di-fesa della repubblica, forma che potrebbeessere oggi considerata anacronistica.Nel corso dell’Ottocento si fece strada in-vece l’idea che il secondo emendamentopotesse essere interpretato invece come di-ritto individuale di ogni cittadino a portarearmi da fuoco per proprio uso personale.Attualmente chi si oppone a una forte re-golamentazione sulle armi da fuoco si rifàprincipalmente a questa posizione, che

vede il possesso di armi come un dirittonaturale dell’uomo, che esiste indipenden-temente dalla costituzione e che è legatoessenzialmente al diritto dell’uomo allavita e alla difesa personale. È interessantenotare che fra i primi accesi sostenitoridella possibilità di disporre liberamentedelle armi vi siano stati tanto il predicatoreabolizionista John Brown, che guidò per-sonalmente varie forme di insurrezione ar-mata, quanto molti schiavisti del Sud, chedopo l’abolizione della schiavitù teme-vano un’azione armata degli schiavi libe-rati, e che però, seguendo un pensiero cheè sempre stato diffuso negli Stati Uniti, sipremunivano contro questo pericolo nonrichiedendo il controllo delle armi ma ar-mandosi essi stessi. Nel clima di violenzadiffusa contro i neri che seguì la guerra ci-vile si inserisce anche il caso United States

vs. Cruikshank (1875) in cui la Corte Su-prema annullò la condanna di tre membridi una banda di bianchi che massacraronoun centinaio di neri in uno scontro a fuoco,e che furono accusati di impedire ai nerila fruizione del diritto di portare armi. LaCorte stabilì che gli emendamenti dellaCostituzione non tutelavano i cittadinidalle azioni di altri cittadini, (compitosvolto dalle leggi statali, che però neglistati ex-schiavisti discriminavano di fattoi neri), ma solo dalla legislazione del Con-gresso. Questo problema è relativo alla co-siddetta “dottrina dell’incorporamento”,grazie alla quale nell’epoca successiva allaguerra civile molti emendamenti furonoinvece “incorporati”, cioè estesi a tutti glieffetti alla legislazione dei singoli stati, permeglio tutelare i diritti di tutti i cittadini, ein particolare dei neri, a cui precedente-mente venivano di fatto negati legalmentedei diritti costituzionali. Il secondo emen-damento non è stato tuttavia ancora incor-porato, e in sentenze successive (come inPresser vs. Illinois del 1886, in cui unuomo fu accusato di reclutare illegalmenteuna formazione paramilitare di operai ar-mati contro le bande assoldate dagli indu-striali di Chicago) la Corte Suprema ribadì

Bve storia di un’idea dei Padri Fondatori

Le armi al popolo americano

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alitàche gli stati potevano imporre una legisla-zione restrittiva sulle armi da fuoco senzaviolare il secondo emendamento.Questa linea di sentenze è stata però ca-povolta dal recente caso District of Co-

lumbia vs. Heller (2008), che ha segnatoun nuovo precedente, e nel quale la CorteSuprema ha dichiarato anticostituzionalela legge che proibiva di fatto a quasi tuttigli abitanti del Distretto di Columbia ilpossesso di armi da fuoco. Ciò che è im-portante è che la Corte ha incontroverti-bilmente affermato che il secondoemendamento tutela un diritto individualedei cittadini, e ha annullato di fatto unalegge statale per questo. Nei mesi succes-sivi la National Rifle Association, l’asso-ciazione che promuove il possesso el’utilizzo di armi da fuoco, ha intentatocinque cause per far valere questa inter-pretazione del secondo emendamentonella legislazione degli stati, ed è preve-dibile che nell’immediato futuro ci saràuna tendenza a rimuovere le imposizionipiù restrittive sul possesso delle armi.Questo può risultare avverso a molti fracoloro che, negli Stati Uniti (e nel restodel mondo), sono contrari alla diffusionedi armi da fuoco e ne propongono una ri-

gida limitazione, se non la totale aboli-zione. La motivazione principale cheanima questo movimento è da ricercarenaturalmente nella prevenzione dei cri-mini, ma la questione è molto complessa.Coloro che sostengono la restrizione sullearmi fanno notare la correlazione evidentefra l’elevata proliferazione di armi dafuoco negli Stati Uniti e l’elevato tasso diomicidi commessi con tali armi, mentrechi difende il diritto a possederne ribatteche è proprio il possesso di armi da partedegli onesti cittadini che agirebbe da de-terrente efficace contro i criminali, i qualisarebbero comunque in grado di acquisireun’arma. Ci possono essere delle fallaciein questo tipo di ragionamento, ma in re-altà non è nemmeno provato che la corre-lazione fra possesso di armi e criminalitàsi traduca effettivamente in un rapporto dicausalità; gli studi statistici sul rapportofra crimini e possesso di armi da fuocohanno dato risultati piuttosto contrastanti,che sembrerebbero di volta in volta favo-rire l’una o l’altra delle due posizioni.Al di là delle polemiche su come gestirela regolamentazione delle armi da fuocoche dividono i cittadini americani (inparte fra Democratici e Repubblicani, e in

misura molto maggiore fra la popolazionedelle coste e delle grandi zone urbane equella degli stati del Sud e dell’interno,tradizionalmente più a favore delle armi)rimane il fatto che il secondo emenda-mento, nell’una o nell’altra delle sue in-terpretazioni principali, vienericonosciuto dalla maggioranza degliAmericani come un elemento di grandevalore per gli ideali democratici che ani-marono i loro Padri Costituenti. Il presi-dente John F. Kennedy, che appoggiòdurante il suo governo un progetto dilegge (poi approvato dopo la sua morte)per porre delle importanti restrizioni alpossesso e al commercio di armi, siespresse così in un discorso al Senato:“Pur essendo molto improbabile che il ti-more della tirannia che generò il secondoemendamento possa risultare in una mi-naccia importante alla nostra nazione,l’emendamento rimane un’importante di-chiarazione dei rapporti che intercorronofra la nostra sfera civile e quella militare,per i quali ogni civile deve essere prontoa partecipare alla difesa del suo paese. Perquesto motivo credo che il secondo emen-damento rimarrà sempre importante”.

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Numero 5 - Anno IV Giornalismo indipendente al Parini dal 2006 Gennaio MMX

Ce l’ho con...Di Stefano Clemente

CE L’HO CON...

...quello che scrivo.

È un capitolo concepito postumo a di-ventare il mio testamento prenatale.Creare un po’ di disagio, confonderel’inizio con la fine: il finto dualismodelle fraseologie spicciole, i due estremiche coincidono nel petto dell’insipiente.Tutto comincia con una resa, s’accendedi questa ritrosia del pensiero, si riper-corre fino a indovinarsi embrione: è unostinato ripresentarsi del prefisso, e io

non voglio esser più io. Non si troverànulla di coincidente o continuo, se nonuna latenza del peccato. Non si troverànulla, neanche a voler sbagliare. Si per-petui all’in(de)finito questa latitanzadella persona, questa ricercata eclissi delsenso, questo insistito dimostrare e di-mostrarmi. Divorziare dal lirismo è spo-sarlo in modo più carnale. Una bestiaingorda che s’infrange sul proprio ri-flesso.

Lo specchio e la copula sono abomine-

voli, perché moltiplicano il numero degli

uomini.

CE L’HO CON...

...i ragazzini napoletani che infestano lecittadine dell’entroterra campàno con iloro fuochi d’artificio prodotti di con-

trabbando e venduti a prezzi irrisoridalle botteghe artigianali gestite da ex-zappatori arricchiti.

Eccoli. Distillati di cattiveria di mezzometro, il portamento spavaldo da scu-gnizzo, equipaggiati con giubbe plasti-ficate che custodiscono gli arsenali piùletali: dai poderosi “magnum”, orgogliodei bombaroli più tenaci, agli intrigantie fastidiosi “miniciccioli”, piccoli stru-menti di morte e distruzione nelle manidi questi certosini Unabomber del Mez-zogiorno. I più navigati non fanno man-care quel tocco di esotismo alla loro giàcollaudata scorta: “candele” esplosive,“tracchi” assordanti e i misteriosi“raudi”, le cui deflagrazioni improvvisesono un incognita per i poveri residentidelle vie più martoriate da questo com-patto esercito di teppistelli randagi. Aquesto punto, non si sa più con chi pren-dersela: l’uvetta dei panettoni ha la suabuona dose di colpa, ma non bisognasottovalutare l’apporto mascolino e buz-zurifico di uomini volitivi come Costan-tino Vitagliano. A dare fastidio non ètanto lo scoppio imprevisto della tuacassetta delle lettere, o il cappotto cheva in fiamme dopo essere entrato in con-tatto con la furia bacchica di certi delin-quenti in nuce: no. La cosa piùinsopportabile è il vociare mafiosetto-camorrista che rimbomba per le strade(l’habitat naturale di questi sovversividella polvere da sparo), lo zampettio

prolungato e feroce da piccoli insetti di-voratori di raccolti, l’inestinguibile vita-lità della miseria. Non si possonovincere. Nulla si può vincere. Quella deinativi adulti non è una connivenza egoi-stica, e neanche rassegnazione: è il ru-more sordo di corpi vuoti. Napoli comela pirateria. Uccidere o essere uccisi.

CE L’HO CON...

...il professor Paolo Aziani e il tanto di-scusso “Impegno d’Onore”.

Con una prodezza funambolica, questostimato educatore è riuscito nella ammi-revole impresa di rubare un po’ del no-stro prezioso tempo (scherzo: il temponon è nostro e non è neanche prezioso).Il tutto ha origine qualche settimana fa,quando il reprobo si presentava in classecon una proposta per i suoi alunni: ve-niva offerta loro la possibilità di firmareun accordo scritto, chiamato “Impegnod’Onore”, col quale il discente si sa-rebbe impegnato a “non copiare”.Il suo impegnativo proclama, che rie-cheggia ancora vigorosamente nelle auledestinate all’accoglienza dei genitori enelle testate locali più conosciute a mo’di strillo forsennato, è quello di “con-durre gli studenti ad una maggiore re-sponsabilizzazione”, “sottrarre i suoialunni dall‘ansia di dovere far copiare“.A noi, spettatori del tutto estranei alla vi-

Nasce una nuova rubrica, dall’esplicativo titolo di “Ce l’ho con…”: uno spazio riservato ad unacritica personale e personalizzata, esercitata solo ed unicamente dal sottoscritto.

Una avvertenza preliminare ai lettori: la mia critica si avvantaggia proprio della mancanza di un saldocontraddittorio. Per questa ragione, si tenterà di evitare ogni tipo di attacco personale, nei limiti imposti dalla decenza. Finché ladecenza non impone un intervento, intendo. Similmente, essa non farà il gioco di questo o quel politicante cretino: nella fermaconvinzione che esistano luoghi ben più adatti a simili argomenti, la satira politica sarà ridotta al minimo. Nessun nano psicoticoriceverà mai attenzioni da questa piccola fucina di contestazioni. Anche perché, in tutta sincerità, io parlo ed argomento in mododel tutto casuale. Non faccio satira, non faccio ridere e non sensibilizzo neanche i molari cariati.Lasciando quindi ad altri l’ingrato compito di risvegliarvi dal vostro angusto sonno dommatico, possiamo cominciare.

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cenda, è sorto spontaneo un interroga-tivo: in che modo questa incomprensi-bile e pomposa ufficializzazioneburocratica (che, tra l’altro, abusa di unconcetto giuridicamente indefinito,quello di “onore”) di una norma giàcontenuta nei regolamenti scolastici puògarantire maggiore trasparenza neicompiti in classe? In che modo lo stu-dente, grazie a questo contrattino sifulodal sapore arcaicizzante, può dirsi “piùresponsabilizzato”? Da quando ad es-sere ansiosi sono quegli studenti prepa-rati che scelgono di passare il pizzinocon le soluzioni dei quesiti e non quelliche, non avendo studiato, sono in baliadegli eventi? È come se un gruppo discimmie urlatrici si sentisse responsa-bile dell’olocausto, con la non trascura-bile differenza che le scimmie nondevono sorbirsi Verga o Pavese.Difficile dare una risposta chiara, dun-que. Semplice, invece, è pensare chedietro questa buffonata moralistica sinascondano motivazioni un po‘ menonobili. Perché, come è stato detto, la no-tizia di questa importantissima “svoltamorale” ha avuto notevole risonanza.Fiumi di parole sono stati spesi dai piùnoti quotidiani per esaltare questa “lo-devole iniziativa”; lo stesso professoreha confessato di avere passato la notiziaa un suo contatto del mondo del giorna-lismo, senza preoccuparsi ― aggiun-giamo noi ― di comunicarlo ai propristudenti. Sì: la diffusione dell’opera-zione “Impegno d’Onore” non ha in-contrato l’approvazione degli alunni,molti dei quali si sono detti ignari delleintenzioni divulgative del professore.Di sicuro, Kant avrebbe disapprovatoquesta condotta da “quindici minuti dipopolarità”. Ma probabilmente Kantavrebbe fatto anche tante altre cose: ri-derci su, mangiare i panettoni con i can-diti o bombardare coi raudi i balconidella signora Scognamiglio.Per rispondere alle critiche di chi lo ac-cusava di volere mettere in difficoltà glistudenti, poi, il professor Aziani ha so-stenuto che un simile impegno avrebbe,contrariamente a quanto si pensi, gio-vato anche ai più asini: “chi copia fa delmale a se stesso”, lo si è visto ribadirecon forza.Con la dovuta educazione, ci permet-

tiamo di dimostrare che non funzionacosì ― stante che il copiare non do-vrebbe mai essere tollerato dal docente.In primo luogo, l’equazione “personache copia = persona impreparata” non èsempre verificata. Si pensi a quanti fat-tori, il più delle volte impredicibili enon connessi all’effettiva preparazionedello studente, possono turbare il rego-lare svolgimento di un compito inclasse. E’ ben noto che la tensione emo-tiva, in corrispondenza di test magaridecisivi e in modo direttamente propor-zionale alla difficoltà dello stesso o al-l’importanza della materia, puòriservarci brutti tiri: una dimenticanza,una difficoltà di lettura o una leggera di-sattenzione che preannunciano i peg-giori disastri, come sanno bene iconoscitori delle discipline matemati-che. A volte, è la sola idea di potersiconfrontare col proprio vicino di bancoa sollevare da questo peso invalidante.A volte, invece, si scopiazza propriotutto. Ma rientra nella casistica.Ascrivere l’insicurezza a una mancanzadi studio, così come pensare che questaansia da prestazione possa estinguersicon una esperienza ripetuta, è bieca-mente semplicistico.La sottoscrizione di questo impegno ob-bliga gli studenti a negare indiscrimina-tamente un aiuto al proprio compagnoin difficoltà (il quale, tra l’altro, puòanche non comparire tra i firmatari delpatto); per di più, essendo già in vigore

una normativa che non consente il sug-gerimento, un ulteriore documentoscritto si presenta come una sovrastrut-tura perfettamente pleonastica, una so-spetta ripetizione che, invece dibeatificarci, ci trasforma in potenzialicarnefici.Se poi noi volessimo imporre il muti-smo ai compagni di sventura (perchémai? meglio tariffare gli aiuti: merci-monio dell’altruismo), anche senzafirme e controfirme, non troveremmonessuno ad ostacolarci. La vera respon-sabilizzazione passa sempre per una au-tonoma e spontanea presa di coscienza,mai per le grosse bordate di qualche mi-stico part-time.Rinnoviamo la stima per questo profes-sore (eh, sì, altrimenti censurano ilpezzo), ma lo invitiamo, per il bene ditutti (e in particolar modo della sua im-magine), a non prodursi più in questieccessi sensazionalistici.

CE L’HO CON...

...tante altre cose, ma non ho più vogliadi scrivere. Al prossimo numero, forse.

L’unico autentico bar pariniano al 100%Il Nando’s Team sponsorizza Zabaione!

Nando is waiting for you!

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Concorso letterario!

Contatti utiliE-mail:

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gruppo “Zabaione - Gior-nalino del Liceo Parini”

A.Gi.Sco:[email protected]

Ricordiamo che il termine del concorso letterario organizzato da Zabaione è 1 MARZO 2010.

Per partecipare dovete mandare il vostro testo all’indirizzo e-mail [email protected]

specificando il vostro nome e cognome (e magari anche la vostra classe, così sarà più facile

per noi rintracciarvi).

Un solo redattore, non partecipante alla giuria del concorso, avrà accesso alla casella di posta

elettronica di Zabaione. La giuria, per garantire l’imparzialità, non sarà a conoscenza del-

l’identità dell’autore di ciascun testo.

Vi informiamo inoltre che il primo premio verrà consegnato al vincitore in classe.

SCRIVETE NUMEROSI!