SMALL ZINE

16
2 Fabio Viale - Andrea Mastrovito - Pietro Mancini - Rosaria Iazzetta - Milton Blas Verano - Graziano Russo - De Crescenzo & Viesti - Clara Gallo - Maria Rosaria Cozza - Tiziana Manca - Giuseppe Colonese - Senso Plurimo - Pierluca Cetera - Paola Ascone - Mariagrazia Costa - Corpo Elettronico - Maria Teresa Sorbara - Niccolò De Napoli - Mauro Cuppone - Fratelli Calgaro - Plutino² Magazine di arte contemporanea / Anno I N. 2 / Trimestrale Free Press APRILE MAGGIO GIUGNO 2012 SMALL ZINE FABIO VIALE

description

Magazine di arte contemporanea

Transcript of SMALL ZINE

Page 1: SMALL ZINE

2

Fabio Viale - Andrea Mastrovito - Pietro Mancini - Rosaria Iazzetta - Milton Blas

Verano - Graziano Russo - De Crescenzo & Viesti - Clara Gallo - Maria Rosaria

Cozza - Tiziana Manca - Giuseppe Colonese - Senso Plurimo - Pierluca Cetera -

Paola Ascone - Mariagrazia Costa - Corpo Elettronico - Maria Teresa Sorbara -

Niccolò De Napoli - Mauro Cuppone - Fratelli Calgaro - Plutino²

Magazi

ne d

i art

e c

onte

mpora

nea /

A

nno I N

. 2

/ T

rim

estr

ale

Fre

e P

ress

APRILE

MAGGIO

GIUGNO 2012

SM

AL

L Z

INE

FABIO VIALE

Page 2: SMALL ZINE

2

2

FAUSTO CELSO Membro della Società Promotrice delle

Belle Arti_Torino

Contatti: 011/6680124 - 348/3387026 Via Baretti, 27 _ Torino

Page 3: SMALL ZINE

UN SARCASMO ANCESTRALE

Pierluca Cetera - Lorenzo Madaro

TALENT

TALENT

ROMPERE GLI SPIGOLI

Fabio Viale - Loredana Barillaro

2

Nello scenario artistico contemporaneo dell’area pugliese, tra le ricerche maggiormente condivise vi è quella legata alla pittura, a cui appartiene anche il lavoro di Pierluca Cetera (Taranto, 1969). Legato ad una cultura figurativa “grottesca”, così è stata non a torto battezzata, sempre digerita attraverso chiavi linguistiche e pratiche concettuali ricercate, sin da una delle prime serie pittoriche come i Trasudati del 2000, ha declinato la sua ossessione per il ritratto e le connotazioni psicodrammatiche dell’uomo, mixate a sviluppi formali e sensoriali densi di una quasi impercettibile ironia. Strani personaggi riempiono fondali asettici, quasi assenti nel loro vuoto monocromatico, così da far rivelare sguardi penosi e abiti dalle colorazioni acidognole. Un rigore formale frutto di un’ottima, ma mai tediosa, preparazione tecnica, che presuppone anche un uso liqui-do delle vernici, lo hanno spinto a persistere lungo il suo percorso, setacciando varie sfere e scrutando paesaggi domestici, talvolta autobiografici (il suo ritratto incombe spesso, con più o meno evidenza, nelle varie serie pittori-che di tutta la sua produzione), ma insieme unanimi nella loro mole tragicomica. Sulle tavole di minime dimensioni o sulle grandi superfici, l’impostazione del “quadro” per Cetera rimane inalterata, così come il sarcasmo ancestrale per cui si caratterizzano molti degli scenari da lui orchestrati, anche quando al cen-tro dei suoi interessi visivi vi sono piccoli fotogrammi con peccaminosi nudini o improbabili pic-nic atemporali. Il rapporto con l’aspetto dimensionale dell’opera e quindi con l’entità della percezione, si manifesta con una proget-

tualità definita che respira in una relazione costante con gli spazi. Si approda così alla recente costellazione di satelliti pittorici S.P.O.T. (Satelliti Per l’Osservazione Terrestre), presentati in anteprima nella sezione barese del Padiglione Italia dell’ultima Biennale: sagome pitto-riche che vivono un dialogo immobile per raccontare goffe e “dolenti” esperienze familiari, sempre nell’ottica dell’universalità del dramma domestico. Attraverso quest’opera, per dirla con lo stesso Cetera, “la rivoluzione attorno al microcosmo familiare è compiuta. Ma un altro giro può cominciare”. Chissà cosa ci proporrà.

Spot 2 - STIRA e AMMIRA, 2011. Installazione, piedistalli in ferro, h 1,50 cm, sagome di tavola dipinte ad olio. Courtesy dell’artista.

Raffinato, colto, eccentrico, straordi-nariamente contemporaneo e provo-catorio all’occorrenza. È così che appare il lavoro di Fabio Viale. Una perizia tale da consentirgli qualsiasi cosa, di raggiungere qualunque ri-sultato, anche quelli più impensati, inusuali. In grado di rendere il mar-mo leggero come un palloncino, mor-bido come la pelle o flessibile come la gomma, capace di plasmarsi a piaci-mento dell’artista e di porsi come elemento pienamente contempora-neo pur nell’inevitabile sguardo al passato, ma senza alcuna bisogno di rievocarlo. La natura di questo stra-ordinario materiale muta la sua es-senza, divenendo capace di incarnare le urgenze dell’universo contempora-neo. Opere incredibili, pronte ad ingannare lo sguardo, a provocare un impatto visivo ed emotivo sorpren-dente, basti pensare a La Gioconda di Leonardo che diventa souvenir gio-conda la quale si caratterizza per il suo incredibile effetto polistirolo che dona all’artista “la possibilità di rom-pere gli spigoli e di accostarsi, in tal

modo, al modello dipinto, al suo ma-gnifico effetto sfumato”. Nell’opera di Fabio Viale la scultura muta se stessa, andando oltre il con-cetto di fruizione che ne deriva. Non è più dunque “uno stare e basta”, ma essa acquisisce respiro e movimento. Così come ci dimostra Aghalla, la barca-scultura in grado di navigare e capace di mettere alla prova le leggi della fisica, di fare un passo avanti: “con Ahgalla ho sentito la necessità di andare oltre, restando nel “recinto” della scultura. Se ne percepisce il sen-so quando si sale a bordo: una volta acceso il motore si sente il marmo vibrare e si vede il mare in trasparen-za”. E la vista trae in inganno quando si hanno davanti sculture che potreb-bero sembrare oggetti soliti, persino banali, sottratti ad un uso quotidia-no, logoro e distratto, ma pronti ad acquisire una straordinaria poesia. E l’artista ne scandaglia la natura pur ricreandoli “tali e quali”, poiché, ad ogni livello, “le cose non sono mai quelle che sembrano”.

STARGATE, 2011. Marmo bian-co, 90x50x67 cm. Courtesy Ga-gliardi Art System, Torino & Sperone Westwater, New York.

Page 4: SMALL ZINE

TALENT

TALENT

RIFLESSIONI DI UN VIDEOGRAFO

Giuseppe Colonese - Serena Carbone

MORALE DELL’ESTINZIONE

Plutino² - Jasper Wolf

date dall’antico Egitto poco importa, lo scopo è sempre quello: conserva-re per l’eternità. Come dire: “Se il mio sé è costituito da ciò che ho, sono immortale se le cose che ho sono indistruttibili.” (E. Fromm). In questo territorio si muovono i gemelli Plutino, ci aiuta-no a ribadire la nostra superiorità di uomini nei confronti di una natura non sempre favorevole ma che ci illudiamo di poter in qualche modo controllare. Diventano i nuovi “taricheutai” (imbalsamatori) che con mezzi poveri, garze e colle, cre-ano le effigi dell’estinzione avvenuta o prossima. Ci forniscono il mezzo di controllo, il feticcio woodoo at-traverso il quale lo stregone, com-piendo il sortilegio della vita, risu-scita i morti e li piega al proprio volere, pur relegandoli in una ibrida sospensione che non è vita e non è morte. Ecco che gli animali di Plutino2 diventano l’antitesi del nostro sé in dissoluzione, il ritratto maledetto che assorbe il disfacimento.

3

Invecchiare e restare per sempre giovani, incantati, congelati in una sorta di illusorio diorama in movi-mento. La bestia mummificata man-tiene integra, proprio per la sua natu-ra animale, primordiale e viscerale, una potenza espressiva dirompente. Nel mummificare l’animale abbia-mo cristallizzato noi stessi e lo stes-so “Regno dei Cieli” a cui l’umanità può ambire, la cui importanza e significanza non dovrebbero stare nei cieli ma, innanzitutto, qui in terra. Cosa ci sarà tra qualche milione di anni? Non ci saremo più? Alla Terra non importerà molto, alla re-stante parte dell’Universo ancora meno ma al rituale dell’arte oggi serve l’immortalità. Ps. Ho fatto un rapido calcolo: ipo-tizzando che uno degli squali tigre più grossi pesa mediamente intorno a 500 kg e considerando che lo squalo di Mr. Hirst è stato venduto a $12.000.000,00 Mr. Gagosian ha ricavato dal prelibato animale circa $24.000,00 al Kg… probabilmente il valore aggiunto era l’anima…

“…Batteva il sole su quel putridume come per cuocerlo a puntino, e ridare così centuplicato alla Natura quel che lei aveva messo insieme.” Tratto da Une charogne di Charles Baudelaire. Creiamo qui e adesso le nostre divinità e i nostri simulacri, investiamo sacerdoti e sciamani affinché ci regalino l’illusione dell’etermo apparire. Tecniche tassidermiche moderne, lo squalo in formaldeide di Hirst, o mummificazioni traman-

Giuseppe Colonese da tempo aggiunge al suo nome l’appellativo “Videografo”. Attraverso una semplice equazio-ne letteraria forse ricaviamo una prima chiave di lettura della sua pratica artistica: videografo = vĭdĕo + γράφω = vedere + scrivere = scrivere attraverso un’informazione elet-tronica rappresentante un’immagine che varia nel tempo. Mentre ascoltavo gli Underdog ho percepito l’atmosfera e la sensazione provata qualche giorno fa al San Giovanni di Catanzaro davanti all’ultimo lavoro di Giuseppe Colonese, Riflessioni. Percepita quella musica come scomposta, di rimando ho pensato alla scomposizione dei piani dell’immagine, mentre vedevo i gesti dei suoi protagonisti ricomporsi come in una sorta di gioco di “bambole interrotte”. L’azzeramento della gabbia prospettica, la ricercatezza ico-nografica, l’immaginario onirico, potente, materico e ancora la ri–flessione sull’oggetto e dell’oggetto caratterizzano i video di Colonese, come lo stesso ribaltamento dei ruoli che rende interattivo (protagonista) non solo l’oggetto guardato ma anche il soggetto che guarda. In Riflessioni la scala della configurazione ottica viene innal-zata, e nella sua esasperazione logica l’oggetto filmato si con-fonde con la superficie che ne proietta l’immagine stessa, alterandola fin quasi a perdere il contatto con ogni forma di significante. La fotografia sembra essere matrice dei lavori riflessi, ma ormai il flusso del tempo in un unico spazio ha il sopravvento. L’immaginifico oscuro mondo di Witkin, insie-me ai mostri della Arbus, sembrano aggirarsi nelle scene che pazientemente Colonese compone, sia che esse siano girate “en plain air” sia se realizzate in post produzione.

Il tempo filtra le immagini e un nordico mondo da fiaba si dispone. Nonostante questo, non di rado la contemporaneità, la storia e il socia-le fanno capolino nei lavori del videografo cosentino, e sempre vengono trattati con un sapiente equilibrio di scienza e umanità, di tecnica e inconscio fino ad armonizzare le dissonanze (vedi Red onion factory o Build Building). Non vi è la costante narrativa nella sua ricerca, anzi in lavori come uomochecorresudi1pratofioritoaltramonto, i segni estetici si riducono in frequenze, ma quando sullo schermo l’informazione elettronica si trasforma in immagine, come in SEcondo o in Riflessioni, allora pare di sentire Maria Gloria Bicocchi quando dice che “in Ameri-ca il mezzo è il linguaggio, non c’è dubbio. Ma in Europa il mezzo viene usato come tale, non è mai il linguaggio”.

RED ONION FACTORY, 2010. Still da video. Courtesy dell’artista.

CONTRONATURA, 2012. Garze, pigmenti e colle naturali, dimensioni variabili. Courtesy Technè Contemporary Art, Reggio Calabria.

Page 5: SMALL ZINE

INTERVIEWS QUASI TUTTO CON UNA MATITA

Andrea Mastrovito - Serena Carbone

4

AM/ Ho da poco avuto una sostituzione di due mesi e sto lavorando con i ragazzi, è bellissimo ed è uno scambio. Con loro e altri due arti-sti, Gian Maria Tosatti e Luca Francesconi, stiamo pensando di rea-lizzare un Vademecum, una sorta di manuale per giovani artisti. Se viene bene, l’idea è quella di diffonderlo anche nelle altre accademie. SC/ Padre putativo?

AM/ Due: Alighiero e Boetti. SC/ Raccontami di New York... AM/ All’inizio mi sono mosso da solo. Ho portato con me Enciclope-dia dei Fiori da Giardino, ho preso contatti con l’Istituto di Cultura, ho fatto vedere l’opera a curatori e critici, e dopo poco mi hanno chiamato per una mostra, e così via. Non amo Milano, preferisco New York, ma amo l’Italia e la sua diversità... ogni 500 km il paesag-gio cambia e quando sono lontano dopo un po’ mi manca. SC/ Oggi usi il video, la musica, ma all’inizio erano i collage, il mon-do dei fumetti (nella libreria dello studio intravedo una serie di Dylan Dog)... AM/ In realtà ho cominciato prima con i video e con la musica che con i collage. I collage sono più “conosciuti” perché sono facilmente riproducibili e più velocemente fruibili con internet e con i cataloghi. E per quanto riguarda i personaggi dei fumetti, penso di averli utiliz-zati in pochissimi lavori di tanti anni fa. SC/ La prima e l’ultima opera a cui hai lavorato? AM/ La Bellucci che teneva sospesa la testa di Keanu Reeves, scena del Dracula di Coppola. È una pittura ad olio su carta, misura 50x150 cm e ce l’ha una mia amica. Il padre è stato il mio primo col-lezionista. L’ultima è il disegno di nozze per la mia amica Camilla, l’ho finito proprio ieri sera.

Bergamo in inverno. Prima di arrivare allo studio facciamo tappa al Centro Congressi, alla GAMEC e ad un caffè. Sue ope-re sono esposte nelle prime due, un buon cappuccino ci atten-de alla terza. Poi un unico spazio, sospeso tra ritagli di carta e matite, racchiude il “quasi tutto” di Andrea Mastrovito. Ma ritorniamo al Centro Congressi... Serena Carbone/ Questa installazione mi fa venire in mente L’amore dipinto che ho visto allo spazio Oberdan qualche tem-po fa... Andrea Mastrovito/ In effetti la ragazza che qui salta su un letto in mezzo al bosco è la stessa di cui parlavo in quel lavoro. E poi il bosco ricorre spesso nei miei lavori, è una metafora ma è anche una questione segnica, legata al disegno. SC/ Alla GAMEC, ne Il bel paese dell’arte, esponi nella sezione Bar Sport Italia, sembra tu sia riuscito a portare l’attualità all’interno del museo... AM/ L’opera è un lavoro contro la Tessera del Tifoso e la re-pressione che, da parecchi anni, sta soffocando il tifo negli stadi italiani (che sono i più desolatamente vuoti d’Europa). In particolare a Bergamo la questione è sentitissima, la Curva Nord dell’Atalanta è una delle curve leader d’Italia. Il lavoro è lungo 145 metri e altro 1,5. SC/ Che rapporto hai con le gallerie? AM/ Ho preso contatti con le gallerie appena finita l’Accademia, lavoro con quattro, a Milano, Firenze, Ginevra e New York. Mi trovo bene con loro, come si fa senza?!

SC/ Come hai iniziato? AM/ Ho fatto l’Accademia qui a Bergamo. Allora il direttore era Mario Cresci, poi c’erano la Vettese, Pinto, Arienti, Cin-golani, Adrian Paci. L’Accademia in sé non mi ha insegnato nulla di nuovo a livello tecnico, ma a livello umano si. I profes-sori mi hanno dato le prime dritte e mi hanno aperto la testa. Mi dicevano “ok bravo questo lo sai fare e poi?”. L’arte è una questione di consapevolezza e l’artista credo abbia la capacità di rendere chiaro ciò che non lo è del tutto (prende la tazzina del cappuccino, la gira, il manico ora è a destra e la scritta è a me frontale). Prima c’è il concetto e poi il disegno. SC/ Sei rimasto in contatto con l’Accademia?

Enciclopedia dei fiori da Giardino - Pampurzini, 2009-2011, 550x250 cm, (part.). Room 2, Casa Testori, Novate Milanese (Mi) .

I AM DREAMIG OF...detail of the installation in the front window of the Sephora 5th Avenue, New York, handcut paper, gold acrylic paint, 800x1500 cm, 2011, Cour-tesy the artist and Foley Gallery.

Page 6: SMALL ZINE

“Accessibilità è un termi-ne alquanto inflazionato,

un aggettivo ambiguo, quasi banale che nella

sua semplice polivalenza racchiude un messaggio

fondamentale. È quasi un ossimoro, ma la decli-

nazione in accessibile non si riferisce all’idea di

“quadri economici”, sa-rebbe riduttiva poiché

sembrerebbe una mera svendita del prodotto

arte. Accessibile invece è la fiera stessa...”

INTERVIEWS L’ENTUSIASMO ACCESSIBILE

Tiziana Manca - Loredana Barillaro

5

Loredana Barillaro/ Cosa vuol dire Arte Accessibile, che tutto è a portata di mano? Tiziana Manca/ Accessibilità è un termine alquanto inflazio-nato, un aggettivo ambiguo, quasi banale che nella sua sempli-ce polivalenza racchiude un messaggio fondamentale. È quasi un ossimoro, ma la declinazione in accessibile non si riferisce all’idea di “quadri economici”, sarebbe riduttiva e non mi trova nemmeno molto d’accordo perché sembrerebbe una mera svendita del prodotto arte: accessibile invece è la fiera stessa, gratuita e aperta fino a tarda ora. Sarà accessibile e aperta a tutti l’inaugurazione, alle 19.00 del 12 aprile; accessibile do-vrebbe essere la poetica, un linguaggio diretto, che sensibilizzi i curiosi e i neofiti, non solo i collezionisti, del resto il contesto stesso - il palazzo de Il Sole 24 Ore - pullula di giovani, poten-ziali collezionisti, e ad attirare la loro attenzione ci sono ap-puntamenti variegati, che mettono in scena performance, vi-deoarte ed enogastronomia. Non ultimo accessibili sono gli stand per le gallerie, quelle che abbiano l’entusiasmo e l’energia di cogliere quest’opportunità per abbattere qualche barriera, che sia concettuale o commerciale. LB/ Giunti ormai alla IV edizione di Arte Accessibile si può dire senza ombra di dubbio che il format funzioni. Ma il successo di pubblico e di critica dello scorso anno sembra abbia sottolineato la richiesta di un evento a misura d’uomo, che si distingua sia dalle fiere tradizionali sia dalle fiere a basso profilo... TM/ Arte Accessibile Milano alla sua IV edizione nasce dalla mancanza di manifestazioni d’arte contemporanea alternative alle fiere d’arte tradizionali, accogliendo un pubblico eterogeneo da un punto di vista culturale e sociale, e rivolgendosi contempo-raneamente ai collezionisti più esigenti e ai neofiti. La scelta dello splendido palazzo di Renzo Piano, che ospita Il Sole 24 Ore e PwC, come sede espositiva e l’assenza del biglietto d’ingresso sono due segnali molto forti: da una parte si vuole sottolineare la quali-tà dell’offerta e dall’altra la speranza che il pubblico si lasci avvici-nare dall’arte contemporanea senza timori.

Troppo spesso si paga un pedaggio per visitare fiere che altro non sono che dei gran bazar dell’arte senza alcun fascino né, tanto meno, qualità. Quello che vogliamo evitare, affinché l’arte non perda il senso della sua mission, è discriminare e penalizzare la gente. Offriamo loro un’esperienza educativa che li vuole rendere interlocutori-protagonisti, naturalmente in modo gratuito. Soprat-tutto in questo momento particolarmente difficile di crisi economi-ca è importante promuovere la fiera con la sua giusta immagine.

Carlo Pasini, MAN AT WORK, 27X21,5X32 cm. Courtesy Loft Gallery. In alto: Gian Marco Montesano, FUMO NEGLI OCCHI, 2010. Olio su tela, 80x100 cm. Courtesy Art’s Events.

Page 7: SMALL ZINE

6

LB/ Mi parli delle novità di quest’anno. TM/ L’edizione 2012 di AAM si apre con un’installazione site-specific di 400 metri quadri realizzata dal fotografo Federico Co-melli Ferrari e interamente sponsorizzata da Océ e Bananaprint.it dal titolo metacittà virtuale che andrà a coprire le facciate esterne di PwC: una vera e propria ricognizione fisica e mentale, un lavo-ro in post produzione che permette all’artista di sezionare e ricuci-re un frastagliato e composito collage di segni e forme geometri-che che restituiscono l’architettura finale della città. Novità di quest’anno è la forte presenza di progetti curatoriali mono o bi-artista: 22 stand dedicati alle personali o collettive di artisti emergenti sostenuti da gallerie e da curatori esterni all’organizzazione che parteciperanno alla prima edizione del premio “Best Curator Price Award 2012” - secondo il quale vedre-mo i tre migliori progetti curatoriali aggiudicarsi i premi - e la seconda edizione del “Best Artist Price Awards 2012”, che asse-gnerà al vincitore un premio offerto da Winsor & Newton. Tra le rassegne collaterali saranno presenti i progetti “Interactive Perfomance” a cura di Chiara Canali, una rassegna performativa che alle tradizionali forme d’azione dal vivo unisce le nuove mo-dalità di interazione con i suoni, le immagini e i media digitali; e la sezione dedicata alla Video Arte a cura di Mariella Casile, che si pone come territorio di confronto, per artisti e pubblico, sulle molteplici forme della sperimentazione video. Dopo il grande successo dell’anno scorso anche quest’anno si terrà il Concorso di fotografia culturale “Back Stage” realizzato con Metro Editori aperto a tutti gli amatori fotografi dai 18 ai 99 anni.

LB/ AAM come termometro della condizione del sistema del contemporaneo oggi. Lei pensa che il convegno “Lo Stato dell’Arte Accessibile” potrà dare un quadro esaustivo della situazione? TM/ Penso di si o almeno spero; nel programma di AAM 2012 il convegno nazionale di due giorni dal titolo “Lo Stato dell’Arte Accessibile”, curato da Fortunato D’Amico, è stato realmente pensato come un osservatorio al quale partecipe-ranno i direttori dei musei, i responsabili delle fondazioni cul-turali, i gestori delle strutture espositive, gli organizzatori di eventi, i critici, gli amministratori pubblici preposti alla pro-mozione del patrimonio, le istituzioni culturali insieme ad importanti protagonisti dell’arte contemporanea. Il meeting esaminerà le attuali condizioni dell’economia inter-

nazionale che modificano velocemente i ruoli e gli assetti del settore, al fine di restituire agli addetti ai lavori il quadro ampio dei cambiamenti epocali. La congiuntura odierna consiglia di utilizzare logiche diffe-renti per affrontare il futuro, approntando la stesura di pro-getti istituzionali per favorire accordi di collaborazione tra enti pubblici e strutture private, finalizzati ad un rilancio

della produzione artistica e culturale. Noi vogliamo sempre, con lo spirito di accessibilità, rendere servizio, favorendo un incontro del pubblico con il mondo dell’istituzione. Semplicemente, senza inutili pretese.

Dall’alto in senso orario: Giovanni Lombardini, RIME, 2008. Tecnica mista su formica applicata su tavola, 150x150 cm. Courtesy Galleria PoliArt. Rosfer & Shakoun, FACE-OFF

I, 2009. Stampa da fotocolor inciso e dipinto, 100x80 cm. Courtesy Fabbrica Eos. Micha-el Rotondi, MEMO BOX, 2011. Tecnica mista su tela, 20x20 cm. Courtesy CircoloQuadro.

Page 8: SMALL ZINE

NUOVI NUOVI -Luca Cofone/Loredana Barillaro

SPECIAL

7

Mariagrazia Costa/ Quando finisco un quadro l’unica cosa a cui penso sono le storie che raccontano le mie mi-niature immerse nel colore e non se il livello della mia e-spressività indichi se sono un’artista. Studiare aiuta a trasformare i “voli” della mia mente in segni e gesti pittorici. Decidere di studiare in Calabria è stata una scelta obbligata e nello stesso tempo una scoperta insolita. Qualche anno fa avevo esigenze di respirare ener-gie internazionali, guardare a prospettive più ampie, esi-genze ed esperienze che la struttura culturale calabrese non offriva. Successivamente mi sono accorta, durante il percorso di studio, che potevo ottenere maggiori risultati partendo proprio dalla Calabria, basti pensare alla possibi-lità magica di seguire tutto il processo di creazione di un quadro, dalla costruzione del telaio alla scelta del legname nelle falegnamerie, all’intelaiatura e all’ultimo tocco di pennello, cose che possono essere meno facili da seguire in una grande città. Restare al Sud per me vuol dire riuscire ad essere, in parte, costruttore di un tessuto sociale, partecipando da protago-nista alla valorizzazione del territorio, attraverso la creazio-ni di iniziative mosse a promuovere l’arte e lo sviluppo di centri culturali e di comunicazione per aiutare le giovani risorse del territorio ad esprimere la propria arte. Spesso le istituzioni si preoccupano soltanto di importare pacchetti artistici ben confezionati che generano grandi echi a livello nazionale ed internazionale ma che sono attrazioni effime-re che non colmano i grossi vuoti e la sterilità nell’humus sociale. Mi auguro, per il futuro, di ricevere il rispetto e l’attenzione intellettuale che un giovane artista, anche al Sud, dovrebbe meritare da parte di tutte le istituzioni.

Siamo partiti dal territorio, lo abbiamo fatto dalle fondamenta, i giovani artisti, coloro che hanno scelto, chi più chi meno, di esserlo qui e di iniziare partendo

da un’accademia calabrese. Abbiamo interpellato quattro artiste, allieve di pittura e scultura all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, i cui discorsi

sono pervasi da un sentire comune, che talora è un bisogno, un senso di rabbia mista a delusione e tal’atra si pone come un appello a chi dovrebbe spronarli, tutelari, incentivarli. Il risultato è una sorta di faccia a faccia di

fronte all’indifferenza di un territorio che sovente guarda all’esterno di-menticando le potenzialità, le risorse che ha intorno. Pensiamo che sia

l’inizio di un’indagine sul perché e per come qualcosa non va, qualcosa non decolli. Forse solo un punto interrogativo “…e poi?”. Un’indifferenza che tradi-

sce la sua natura assente per divenire un fatto ingombrante.

SENZA TITOLO, 2009. Resina, plastica di scarto, marmo, 43x43x20 cm. Courtesy dell’artista.

“Decidere di studiare in Calabria è stata una scelta obbligata e nello stesso tempo

una scoperta insolita.” MC

Maria Teresa Sorbara/ Studiare per fare l’artista oggi è di sicuro una grande aspirazione, farlo in una regione di periferia come la Calabria non è certo facile. Stare in una piccola accademia calabrese permette alcuni privilegi, come quello di avere un contatto e un confronto diretto con i docenti e i colleghi e di vivere come in un enorme laboratorio. Mancano però alcuni servizi connessi all’esistenza di un’accademia, dalla difficoltà nella reperibilità dei mate-riali che potrebbero interessare nuove sperimentazioni, a quei mezzi che ci permetterebbero di veicolare il nostro lavoro per avere un maggior confronto anche con il mon-do dell’arte fuori della nostra regione. La mia speranza è di riuscire a portare fuori, nel mondo, il mio lavoro, ma spero di poterlo fare da qui. Penso che l’arte contempo-ranea potrebbe dare un enorme stimolo al futuro di que-sta regione aiutandola a liberarsi da alcuni suoi nei. E sono contenta di vedere che alcune città calabresi, com-presa quella in cui studio, Catanzaro, si aprono al mondo dell’arte contemporanea. Mi auguro, quindi, che le istitu-zioni per prime si occupino anche dei loro giovani artisti permettendo in tal modo questa nuova interazione tra la Calabria e il mondo dell’arte.

“La mia speranza è di riuscire a portare fuo-ri, nel mondo, il mio lavoro, ma spero di po-

terlo fare da qui.” MTS

TROVARE UNA CASA, 2010. Tecnica mista su tela, 150x185 cm. Courtesy dell’artista.

Page 9: SMALL ZINE

8

Maria Rosaria Cozza/ Vorrei iniziare con la definizione della parola arti-sta: “chi opera nel campo dell’arte come creatore o come interprete, chi esegue il proprio lavoro con una perizia tale da raggiungere risultati unici”. Dopo questo posso dire che io mi sento artista perché lavoro e creo con pazienza delle opere che sono uniche. Questo mio sentirmi artista non vuo-le essere una presunzione, ma una riflessione sui risultati che producono le mie opere. La difficoltà maggiore nell’essere artista qui, in questa terra, dove si esaltano artisti illustri ma morti, è non credere nelle nuove promes-se calabresi. La Calabria è ancora rinchiusa in una cella di pregiudizi quali l’ipocrisia e la pudicizia. L’arte calabrese è rimasta ferma a Mimmo Rotella; da lì tutto è sospeso. Nelle accademie talora alcuni docenti si mettono in movimento per farci conoscere oltre la nostra terra, altri ci invogliano al sacrificio, al duro lavoro che verrà ripagato in futuro. Il problema comun-que è sempre quello: la Calabria dovrebbe essere orgogliosa dei suoi figli, aprirgli le porte non tarpando loro le ali. Noi speriamo di diventare qualcu-

no, ma le difficoltà sono tante, ecco perché dobbiamo emigrare verso quelle città che sono la culla dell’arte, del suo mercato e del business dell’economia. La mia speranza è di poter dire un giorno: sono orgogliosa di essere un’artista calabrese e ringrazio tutte quelle persone che mi hanno forgiato come arti-sta del futuro.

Paola Ascone/ È molto facile cadere nella retorica quando si parla di disa-gi, difficoltà, Calabria. Capita spesso di rifugiarsi dietro appellativi legati alla regione in cui viviamo, assecondando quel vittimismo che risulta nocivo alla creatività. Sono molti i settori in cui i disagi esistono realmente, nella piena consapevolezza degli organi che dovrebbero essere preposti a risol-verli. La coscienza collettiva esiste, ma a prevalere, nella maggior parte dei casi è la rassegnazione, che finisce per rifugiarsi dietro inutili luoghi comu-ni. Frasi come “… nonostante mille difficoltà siamo riusciti, ancora, a fare grandi cose” risultano vane, la loro durata è pari a quella dell’evento-circostanza del “qualunque”, solito, momento. Risulta forse più efficace dibattere sulla realtà locale della nostra Accademia di Belle Arti, che mutan-do periodicamente la sua parvenza attraverso “nuove” sedi, ristrutturazione dei corsi (solo sulla carta o sul web), rimane sempre uguale. Sarebbe inte-ressante capire perché esistano realtà oscure come l’Accademia in questio-ne, specchio fedele della Regione che non vuole cambiare. La voglia di mu-tare lo stato delle cose, come ampiamente dimostrato attraverso manifesta-zioni studentesche e articoli di quotidiani, è risultato vano. Nella logica e-goistica del “tutti contro tutti”, il risultato è il caos, a volte voluto, in cui la comprensione e il dialogo risultano difficili, e chiunque diventa una pedina manovrata dai pochi. Sarebbe auspicabile, inoltre, una corretta coscienza individuale, e se questa riuscisse a trovare punti in comune con quella di più individui, diventerebbe un ottimo punto di partenza sul quale fondare una sana coscienza collettiva, che possa cambiare la realtà delle cose.

“La difficoltà maggiore nell’essere artista qui, in questa terra dove si esaltano artisti illustri

ma morti, è non credere nelle nuove promesse calabresi.” MRC

SMALL ZINE Magazine di arte contemporanea

Iscrizione R.O.C. n. 21467 del 23/08/2011

Legge 62/2001 art. 16

Direttore Responsabile: Loredana Barillaro_Redazione e Grafica: Luca Cofone

Stampa: Poligrafica, Acri (Cs)

Redazione: Via della Repubblica, 119 87041 Acri (Cs) Editore: BOX ART & CO. Associazione Culturale

Contatti e info: 3393000574 / 3384452930 / 3479390857

[email protected] - www.smallzine.info

Hanno collaborato: Serena Carbone, Rosaria Iazzetta, Scarlett Matassi, Lorenzo Madaro,

Carla Sollazzo, Jasper Wolf

© 2011/2012 BOX ART & CO. È vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati senza

l’autorizzazione dell’Editore.

In copertina: Fabio Viale, SOUVENIR GIOCONDA, 2009. Marmo bianco, 70x40x60 cm. Courtesy: Gagliardi Art System, Torino & Sperone Westwater, New York

Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano

necessariamente quelle della direzione della rivista.

“Nella logica egoistica del “tutti contro tutti”, il risultato è il caos, a volte voluto, in cui la com-

prensione e il dialogo risultano difficili…” PA

SEMBIANZE UMANE, 2010. Stampa fotografica su forex, 50x70 cm. Courtesy dell’artista.

DALLE CENERI ACIDE, 2011. Stampa su carta fotografica, 46x60 cm. Courtesy dell’artista.

Page 10: SMALL ZINE

PEOPLE

ART

LA SCULTURA SOCIALE

Rosaria Iazzetta

questo e non solo, importante luogo per la de-molizione di navi. Tonnellate di ferro che si lasciavano tagliare dalla fiamma ossidrica, mi sembravano, e tutt’ora echeggiano, come mon-tagne predisposte a diventare altro di estetica-mente più limitato, e non per questo, straordi-nario. Il concetto di utilità che caratterizza il mio lavoro, oggi potremmo dire sociale, ma nei miei esordi lo chiameremo funzionale, è stato il ponte per la quale parte della mia crescita si è attuata in Giappone. Gyosho erano le sculture che progettai per vietare la pesca a strascico illegale, e incrementare la fauna marina, visti i mari depauperati. Le strutture prevedevano il recupero di parti di navi, ripulite da sostanze nocive e assemblate in nuove modalità esteti-che, al fine di creare un museo sottomarino. La struggente contemporaneità vissuta poi, in Giappone, ha integrato la fotografia al vigore delle mie sculture in acciaio, queste ultime evo-lutesi con la frequenza del Master in scultura, alla Tokyo National University of Fine Art and Music. La Soh Gallery di Tokyo, ha promosso e ancora oggi promuove il mio lavoro in Oriente. Quando la scultura non bastava a riempire gli animi, mi sono imposta di scendere più in bas-so, per arrivare ai distratti per strada, agli assor-ti nei problemi di sopruso, ai rinunciatari dei propri sogni, affinché l’utilità del mio fare met-tesse in scena non solo una partecipazione so-ciale e attiva, ma che arrivasse dove è giusto che l’arte faccia frutti, frutti umani più che frutti economici. Ed ecco allora, che chilometri di PVC, tra il centro e comuni limitrofi di Napoli, sono stati installati su strutture di entità pubbli-ca, in modalità temporanea o permanente. All’antica via di accesso di Napoli, Porta Capua-na, il progetto Le porte chiuse dalla camorra, pone l’accento su quanto il sopruso camorrista c’entri con la crisi di valori, di identità ed econo-mica in Campania. Nel quartiere Scampia, il progetto Parole da Cemento e Massime Eterne, pone una riflessione sulla parte sana che vive lì, ma che comunque viene ghettizzata, e su quan-to il sopruso occupi lo spazio lasciato vacante dall’amore e dalla giustizia. Nel comune di Pompei ed Ercolano il progetto PNP progresso non pubblicità, nasce per essere manifesto anti-camorra, senza mezzi termini e mezze misure. La Mala tolleranza, invece, edito nel 2011 da Ulisse & Calipso, è il testo che raccoglie molti degli scatti fotografici realizzati per i banner, e dà voce a tutte quelle esperienze di rinuncia che quotidianamente il sano è costretto a subire. Ad oggi, il concetto di scultura sociale, è diventato inevitabile nel mio processo creativo e praticato anche nella Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, dove dal 2010, sono docente. È proprio da lì che faremo partire, in giugno, un grido di speranza, con il progetto P.A.S. Piano d’Azione Scultoreo. Il progetto chiede l’aiuto di tutti, perché sa che la Cultura e l’impegno sociale sono sempre dal-la parte della verità, quando questa non viene compromessa dall’ignoranza e dall’arroganza.

Ho pensato che avrei potuto essere, in alternativa, una comica, non tanto per mania di protagonismo televisivo, o per desiderio di avere un pubblico seduto ad ascoltar-mi, ma per il fatto che le cose serie ed importanti, da queste parti, non sono più e-nunciate da chi dovrebbe, e si passa alla comicità per sentire e dire la verità. Ad oggi, di vero, c’è che le società sono strutturate in modo tale da emarginare i sostenitori del buon essere e del giusto fare, a tal punto, da trasformarli in dissidenti che, a parer loro, ostacolano la crescita e lo sviluppo collettivo. Ma come si può pensare di cresce-re dimenticandosi del valore che hanno certe cose che appartengono all’amore! È necessario l’amore per lo sviluppo libero e la creazione di un pensiero unico, e la giustizia sociale non deve essere latitante, altrimenti, oltre a creare privilegi per caste inaccessibili, trasforma gli uomini in numeri, utilizzati all’occorrenza per generare altri consumi e più soprusi. Il mondo, sin da giovane, mi è sembrato che fosse l’alibi per alcuni, e la necessità per altri; dove il debole fallisce nella creazione dei propri sogni, il forte agisce indisturbato, e usa il termine acquisto, anche in quelle pratiche che interagiscono con i valori, della dignità e della coscienza. Alle cose che non hanno prezzo, si è dato un prezzo, e alle cose che avevano un valore si è corrisposto un numero di soprusi, pari al valore da comprare. E a queste verità inappellabili, che dai tempi in cui le cose frivole non mi interessava-no, ho iniziato ad aver ben chiaro cosa dire, prima ancora di aver individuato la mo-dalità per dirlo. Dal pennello sulla tela mi ritrovai a rovistare tra gli sfasci di navi al porto di Napoli. Allora, dopo l’India, Napoli era un centro per la mano d’opera a basso costo, e per

PAROLE DA CEMENTO, 2008. PVC, 40 mq. Installazione permanente quartiere Scampia, Napoli. RITORNO AL BENE, 2011. Alluminio, lightbox, (scultura) 215x140x98 cm, (lightbox) 302x200x25 cm. Foto: Teresa Capasso.

9

Page 11: SMALL ZINE

SMALL

TALK

Loredana Barillaro/ Niccolò sembra che tu sia facendo un percorso ordinato e senza eccessi, rivelando un lavoro di ricer-ca di qualità. Parlami di quest’ultimo peri-odo, cos’è che ci mostrerai? Niccolò De Napoli/ Cosa mostrare lo decido solitamente poco prima di una mostra o di qualche evento importante, posso dirti su cosa sto lavorando, poi se lo mostrerò o meno sarà davvero un mistero. In seguito alla partecipazione alla Biennale di Venezia dello scorso anno, nella sezione calabrese del Padi-glione Italia, dove ho presentato il mio primo video Something in a Livingroom sto lavorando ora sul concetto di para-dosso, mi piace impostare il mio lavoro su diversi piani interpretativi, partendo sempre dall’impatto paradossale che ha l’opera sul fruitore. Sto utilizzando diver-si media, ma per quanto riguarda il mio ultimissimo lavoro, posso solo accennare che è un qualcosa di molto simile ad un “manuale” da poter consultare, del quale nessuno potrà fare a meno! Questo ma-nuale sarà un trattato sull’unico vero “luogo”, anzi “non luogo”: la nostra men-

te. Il solo prendere consapevolezza di ciò potrebbe mandare in tilt parecchi indivi-dui, e ti assicuro che questo manuale sarà la loro unica ancora di salvezza! LB/ Molti tuoi lavori si caratterizzano per la presenza assoluta del bianco e del nero, c’è una ragione precisa? NDN/ Perché da piccolo a scuola mi rubavano i pennarelli colorati, lasciando-mi solo il pennarello nero! Scherzi a par-te, l’utilizzo del bianco e del nero in molti miei lavori, non è frutto di un ragiona-mento razionale, bensì di un’intuizione profonda, quasi spontanea; sicuramente simbolo di un dualismo che mi pervade. A livello stilistico ed estetico, il loro uti-lizzo è la sintesi perfetta della mia idea che poi si palesa con il gesto. Definirei il bianco ed il nero come la mia personale percezione di “assoluto impermanente”. La mia ricerca artistica procede di pari passo con la conoscenza del sé, ed è mi-rata soprattutto al raggiungimento di una qualità del contenuto incomunicabi-le. Quando lavoro a qualcosa cerco di essere totalmente asettico ed anestetiz-

UN MURO DA DIPINGERE

Graziano Russo - Carla Sollazzo

COSA CI SALVERÀ?

Niccolò De Napoli - Loredana Barillaro

10

STATI MENTALI E TANGIBILI, 2010. Vetro, legno, resina, cenere, dimensioni variabili. Courtesy dell’artitsa. Foto: Andrea Miceli Rovito.

Carla Sollazzo/ Mi parli del tuo lavoro? Qual è stato il momento in cui ti sei detto “voglio fare questo nella vita”?

Graziano Russo/ Ho iniziato facendo graffiti, nel 1994, a Locri, dove sono nato. Un territorio che ha formato la mia sen-sibilità in maniera indelebile. I sequestri in Aspromonte, le faide tra le famiglie di ’ndrangheta, e una società con la cultura ferma alla Magna Grecia. In Accademia ho iniziato a conoscere i nuovi linguaggi, come il video e le installazioni. Ed è stato un modo in più per “allargare il muro su cui dipingere”. Nonostante abbia smesso di fare graffiti da quando sono a Roma, ho ancora quella sensazione di fare qual-cosa di illegale, con il rischio di esser preso a calci. E nell’arte sono bravissimi a prenderti a calci. In questo periodo sto lavorando sul progetto BUNKER VISIT, una serie di installazioni e sculture che analizzano il concetto di latitanza. Non so quando ho detto “voglio fare questo nella vita”, di certo mi domando ancora se “posso fare questo nella vita”. CS/ Hai partecipato a diversi concorsi. Qual è quello a cui sei più legato e per-ché? GR/ Ho partecipato per due anni al Pre-mio Celeste, esponendo a Berlino e an-dando due volte in catalogo. Ma vincere i

premi è un’altra cosa. È stata una bella esperienza, ma quello che mi ha dato più soddisfazione, è Festarte, perché ho rea-lizzato quel video - dove chiudo i buchi di un cartello stradale crivellato da colpi di pistola - partendo dal loro tema, violenza invisibile, ed è stata l’occasione per tor-nare in Calabria e fare un atto eroico secondo me, pieno di sentimento. CS/ 114 barchette di Corano sul Mar Ionio. Cosa rappresenta per te? GR/ Le pagine del Corano, così come qualunque altro testo sacro, hanno una forza di sopravvivenza invidiabile. La religione in questo caso è, come afferma Umberto Eco, “la cocaina dei popoli”. Trovo che alcuni fenomeni vengano co-nosciuti solo per la loro drammatica esperienza, o con un approccio di basso profilo politico. Degli sbarchi clandestini a me interessava l’aspetto sociologico, la forma di colonizzazione a cui stiamo lentamente assistendo. È un’installazione che è nata dopo aver partecipato al workshop di Shirin Neshat a Salisburgo, con la quale ho potuto ap-profondire questo argomento.

MENTRE IL PAESAGGIO, DICONO, È COSÌ BELLO. 2010. Still da video. Courtesy dell’artista.

zato, infine mi occupo solo di manipolare le mie visioni e le mie intuizioni. Penso che tra la figura dell’artista e quella dello sciamano ci siano molte analogie, tutti gli artisti a modo loro sono un po’ sciamani!

Page 12: SMALL ZINE

UNTITLED, 2010. Acrilico e inchiostro su carta, 30x21 cm Courtesy dell’artista.

SMALL

TALK

Serena Carbone/ Contaminazione, leggerezza, poesia, mi sembrano parole che ben leggono il tuo lavoro, come na-scono le tue fotografie? Pietro Mancini/ Varie sono le conta-minazioni del mio lavoro, sono un onni-voro che sceglie, con adeguata accortezza, ingredienti letterari e visivi, mentre altri elementi sono acquisiti nel vissuto, rac-colgo dalla quotidianità cose che mi “appartengono” e che fanno parte della mia “valigia interiore”. I protagonisti dei miei lavori sono quasi sempre adolescenti e preadolescenti, periodi del nostro vivere in cui la consapevolezza della bellezza e il suo appannamento sono forti. Credo si possa dire che quel tempo di respiri liberi e di respiri interrotti sia comune a tutti noi. SC/ Quale rapporto hai con il tempo?

PM/ Il “tempo” è la nostra vita, che non so come, viene, viene ogni giorno, una secchiata di ore a nostra disposizione e a noi la possibilità dell’utilizzo. Poi c’è la memoria, la mia valigia, in cui spero di mettere ordine e, prima o poi, buttare ciò che non serve più, per tenere chiaro il

TEMPI CONTAMINATI

Pietro Mancini - Serena Carbone

LA CONCLUSIONE DI UN RICORDO PASSATO

Milton Blas Verano - Loredana Barillaro

11

PM/ Il futuro degli adolescenti che ri-traggo è il futuro di tutti noi, piccoli e grandi, un futuro/presente fatto di piccole conquiste quotidiane, di alleggerimenti, di fiducia nel silenzio, di saper anche stringere i denti nei momenti difficili... per poi tornare all’apprezzamento. SC/ Raccontami dell’esperienza di Offici-na Tom... PM/ Officina Tom - Primo Sole è un grup-po creativo formato da persone con disa-gio psichiatrico e nasce all’interno della Cooperativa sociale Primo Sole. Il gruppo fa scattare dei sentimenti di unione e di forza, ma la risultante finale è un lavoro a più mani e più teste, in cui ricopro il ruolo di direttore artistico. Il lavoro è rivolto all’arte contemporanea, però con una funzione: le opere diventano spesso com-plementi d’arredo, come attaccapanni, specchi, tavoli ed altro ancora, questo ci permette di entrare in una particolare nicchia dell’arte e della vendita. La nostra forza è la poesia adattata su materiali di recupero. Officina Tom è una realtà che produce arte, e vuole comunicare che tutti hanno le stesse esigenze ed aspirazioni.

CERCATORE DI FREQUENZE, 2010. Fotografia, di-mensioni variabili.

Loredana Barillaro/ Milton, hai scelto di usare la pittura, una pittura soffusa, dai soggetti molto pacati in atmosfere surre-ali, sospese, unita a supporti di piccole dimensioni a costruire racconti per tappe, visioni… Milton Blas Verano/ Tutta la mia pit-tura degli ultimi anni, e tutti i soggetti hanno sempre cercato di far rivivere delle storie, delle esperienze, come conclusione di un ricordo passato. Il misterioso univer-so dell’essere umano mi ha sempre affasci-nato, già all’età di dieci anni mi resi conto che queste storie sulle esperienze di vita, sui momenti particolari dell’infanzia, ma an-che su quelle situazioni anonime che fan-no parte della memoria di ogni individuo, potevano essere raccontate attraverso le immagini. Le opere concepite tra il 2010 e 2011 appartengono ad una serie di trenta dipinti realizzati su carta. Questo supporto, per ragioni tecniche, mi permette maggior libertà nella rarefazione del colore, lascian-do trasparire una forte carica emotiva, ma-linconica e umana. Nello spazio creato, preva-lentemente rettangolare, il soggetto principale sembra materializzarsi dallo sfondo con

un’interessante fusione di valori cromati-ci, che tendono al monocromo. La suddi-visione in due parti simmetriche di colori opposti, bianco e nero, creano un dualismo, l’equilibrio e la stabilità. L’uso del nero paradossalmente contiene la luce neces-saria per creare uno spazio luminoso, il bianco crea trasparenza, somma luce a luce. Queste presenze della realtà quotidia-na mescolate e re-interpretate, sembrano provenire da un tradizionale “racconto noir”, dove lo spettatore vi è coinvolto sen-za volerlo. Il presente è indefinito, tende a cancellarsi, il soggetto perde il suo nome e si snatura. La fragilità di vivere entra in una realtà che si trasforma in un segno evidente del nostro limite umano. LB/ Quanto è importante aver preso parte alla 54. Biennale di Venezia, Padi-glione Accademie? MBV/ Stiamo parlando della mostra d’arte contemporanea più prestigiosa al mondo che ha dato origine a tutte le Bien-nali d’arte. Una finestra per la carriera di un artista, mi sento onorato e orgoglioso della mia partecipazione.

il ricordo della bellezza, del piacere di esistere. SC/ Arriverà il futuro per gli adolescenti che ritrai e quale sarà?

Page 13: SMALL ZINE

SPACES SOSTENERE UN’IDEA

Clara Gallo/TERRAIN VAGUE - Loredana Barillaro

Loredana Barillaro/ Dimmi Clara, come nasce il biso-gno di tornare a Cosenza e di aprire uno spazio espositivo? Cosa pensi di poter dare agli artisti, al pubblico e a te stessa? Clara Gallo/ L’idea di aprire uno spazio espositivo a Cosenza c’era da molti anni. Ma una serie di stimoli miei personali e lavorativi dopo gli studi mi hanno spinta ad allontanarmi da Cosenza e a confrontarmi con realtà che potessero in qual-che modo offrirmi spunti di riflessione e crescita “altri” ri-spetto alla mia città, un’esigenza naturale credo, che non potevo né dovevo respingere. La permanenza a Firenze per circa sette anni non ha fatto altro che rendermi più forte come artista e come persona che ama le sfide e che vede il linguaggio creativo come mezzo di apertura intellettuale, a 360°. Rientrare, sotto quest’ottica, è stata sì una scelta me-ditata, ma naturale e consapevole. Mi sono chiesta che senso potesse avere, oggi, e in una città come Cosenza, intraprendere un’impresa di questo tipo. Forse, paradossalmente, è proprio in momenti storici come questo e in città di provincia come Cosenza che diventa necessario osare, l’esercizio della mente è, e rimane ovunque, la cosa più importante. Ho iniziato a guardarmi intorno, e ciò che vedevo era un territorio confu-so, ricco di “scintille” positive, ma maledettamente scom-bussolato, un territorio indefinito, precario, un terrain va-gue. È questo che voglio dare agli altri e a me stessa, il senso della sfida, della caparbietà di “sostenere” un’idea, ponendola in campo, con la consapevolezza forte del margine di rischio. E di questa vaghezza, precarietà, vuotezza fare dei punti di forza. LB/ “Clara verso Clara”, più artista o gallerista? CG/ Questa è una domanda difficile che mi sono posta anch’io spesso e che continuo a pormi. Ti dico subito che Terrain Vague non vuole essere una galleria d’arte nel senso tradi-zionale e “unidirezionale” del termine, non potrebbe esserlo e non nasce con questi intenti. Lo Spazio è stato caratteriz-zato in un certo modo e l’aria che vi gravita intorno si sta definendo sempre più come “territorio di scambio”, zona di insediamento, ricettacolo di forze creative e intellettuali. Quando ho scelto Terrain Vague come nome per questo spazio mi ha particolarmente colpito la definizione di Igna-si de Solà Morales che parla dei terrain vague delle città in questi termini: “La relazione tra l’assenza di uso, di attività e il senso di aspettativa è fondamentale per comprendere il potenziale evocativo dei terrain vague della città…” Ancora una volta il paradosso del messaggio che riceviamo da que-sti spazi indefiniti e incerti non è del tutto negativo. Penso che l’impronta creativa del mio essere in primis una pittrice o artista visiva, scegli tu, sia un’ulteriore tratto caratteriz-zante e non meno importante di questo spazio creativo e del secondo ruolo che mi trovo a rivestire e non credo possa essere diversamente. Ci sarà sempre un condizionamento/arricchimento tra “Clara verso Clara”! LB/ Come pensi di improntare il tuo lavoro di artista alla luce del nuovo contesto culturale in cui trovi ad operare dopo Firenze. E che impronta pensi di dare a Terrain Vague, uno spazio “multidisciplinare” caratterizzato da più anime? CG/ Anche questa è una domanda complessa, che ha gene-rato in me diverse riflessioni nel momento in cui, doverosa-mente e obbligatoriamente, Clara l’ha fatta a se stessa. Sce-gliere di vivere in un’altra città, esporsi al “rischio” del con-fronto è di per sé un notevole addestramento al proprio lin-guaggio creativo e umano, in seguito mi sono sentita pronta ad affrontare un rientro, a saper gestire una comparazione di

12

realtà diverse in cui entra in campo anche il discorso della multidiscipli-narità, la presenza di più anime non vuole e non deve essere intesa come assenza di un centro focalizzante e coordinatore, tutt’altro, bensì una forza generatrice, che possa mirare a quel famoso concetto di “accentramento” di voci, che penso sia il problema più evidente e malsano del nostro Sud, una marginalità data da un individualismo poco propenso al confronto. L’idea di accogliere il linguaggio dell’arte visiva, in tutte le sue innumerevoli forme ed espressioni, ma anche quelli più originali della musica, della letteratura e della poesia non può che nascere e svilupparsi da questa idea forte e chiara che sta all’origine del mio progetto.

LB/ Finora hai esposto lavori di artisti di varia provenienza stilistica, pensi di orientarti su un percorso strettamente “contemporaneo” che possa rendere Terrain Vague “competitivo e appetibile” in un contesto sempre più di qualità? CG/ Terrain Vague tende ad essere uno spazio “competitivo ed appetibi-le” che miri ad accentrare la qualità artistica emergente del nostro territo-rio ed oltre - un po’ come è avvenuto per la nostra prima collettiva NO LAND BORDERS - in una scelta artistica che faccia della “contemporaneità” un riferimento evidente, non trascurando però la multidisciplinarietà dei lin-guaggi. Come dire, assolutamente no ad una settorializzazione troppo stretta, che vedo e interpreto come noiosa e forse anche superata. L’arte ha bisogno di ritrovare una dimensione comunicativa, deve assolutamente ritrovare il suo potere di “condizionamento della realtà”. Credo siano necessa-ri oggi meno snobismi e più attacchi forti e reali a ciò che ci circonda, biso-gna uscire dagli autoproclami e dai soliloqui dell’ambiente culturale e intellettuale che si è creato in questi ultimi anni. Le nostre città e gli am-bienti in cui viviamo soffrono di apatia e “routine del pensiero”, bisogna ripopolare i terrain vague, farli diventare zone ruderali, territori in cui possano insediarsi e nidificare “specie protette”, originali. Occorre re-imparare a pensare in termini di “ricchezza” delle possibilità. Questa la mia direttiva artistica e il senso che Terrain Vague vuole affermare a Cosenza e non solo. È questa è una sfida ulteriore.

Alcuni lavori di Clara Gallo dalla

mostra NO LAND BOR-

DERS. In alto: veduta della

galleria TER-RAIN VAGUE, Cosenza. Cour-tesy dell’artista.

Page 14: SMALL ZINE

SHOW

REVIEWS

SENSO PLURIMO

Cantieri Teatrali Koreja - Lecce - Lorenzo Madaro SENSO PLURIMO, Lecce. Veduta della mostra di Francesca Speranza.

Senso Plurimo è il titolo della rassegna di arti visive che Mari-nilde Giannandrea cura, per il terzo anno consecutivo, all’interno del foyer dei Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, conte-nitore culturale sempre aperto ai nuovi contagi creativi. Da febbraio ad aprile 2012 si susse-guiranno le personali di quattro artisti under 40 dell’area puglie-se (Sandro Marasco, Pierpaolo Miccolis, Maria Grazia Carriero e Alessandro Passaro) che si confronteranno anzitutto con uno spazio inconsueto e versati-le: un cubo – progettato apposi-tamente da Rune Ricciardelli – all’interno del quale ognuno concepirà il proprio intervento site-specific. Oramai Senso Plu-rimo è un termometro della gio-vane creatività pugliese, giacché in queste tre edizioni ha ospita-to alcuni tra i più qualificati artisti nati e/o attivi in questa regione: da Carlo Michele Schi-rinzi (che lo scorso sedici marzo

CORPO ELETTRONICO

Complesso Monumentale del San Giovanni - Catanzaro - Luca Cofone

Una sovrapposizione di tempi e luoghi, un fluire da uno spazio all’altro in un fare liquido così come è liquida la videoarte, e sentirsi disorientati per un passaggio continuo, un dentro e un fuori a metà fra la “preoccupazione” di cosa ci aspetta oltre la soglia e la nostalgia per ciò che stiamo lasciando. Dall’effetto visivo, a quello sonoro, a quello interattivo. Lo spettatore è chia-mato in causa sin dall’inizio in un crescendo di emozioni, quasi un respiro che da pacato diviene affannoso in un’immersione totale all’interno di una dimensione altra, senza tempo e spazio, nel contesto globale del video. Un lavoro straordinario - attra-verso cui ancora una volta la Fondazione Rocco Gugliemo si fa promotrice e mecenate del contemporaneo – curato da Andrea La Porta e Gianluca Marziani. I meccanismi della comunicazio-ne, della visione, della memoria collettiva e personale si sovrap-pongono determinando necessariamente un contesto tempora-le che muta la sua natura, ne dilata la durata in un percorso in cui il pubblico diviene prolungamento del suono, del movimen-to, dell’immagine, accompagnando e accompagnandosi in un percorso pensato per far crescere il “pathos”. Una compenetra-zione a tutti gli effetti, basti pensare a Vucciria di Salvo Cuccia, una “scatola” in cui tutto rincorre tutto all’interno di una di-mensione straniante, in cui – così come afferma l’artista – scompare il senso del prima e del dopo. Passo dopo passo la visione, la fruizione intima del suono, l’immersione fisica e l’intervento pratico alla realizzazione dell’opera - un battito di mani, un urlo - ed il lavoro di Studio Azzurro, Frammenti della battaglia, che chiude la mostra, si anima divenendo sostanziale dialogo, contatto, in quello che nasceva come pacato e graduale incontro per poi divenire una “performance” collettiva alimen-tata dallo sconfinare attraverso lo spazio.

13

Salvo Cuccia, VUCCIRIA, 1995. Sill da video. Courtesy Fondazione Rocco Gugliemo, Catanzaro.

ha proposto un evento speciale dedicato a Carmelo Bene) a Pierluca Cetera e Francesca Speranza, da Ingrid Simon a Dario Agrimi. Come ad ogni edizione, Marinilde Giannan-drea tiene anche una serie di momenti di dialogo tra gli ope-ratori del settore e il pubblico tout court, grazie agli interventi di Giusy Caroppo, curatrice indipendente, e del neo diretto-re dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, Claudio Delli Santi. Pertanto Koreja si conferma un avamposto per la sperimenta-zione e la riflessione, operando nella panoramica di tutti i me-dia in quel box che, per dirla con Franco Ungaro, “è un invito a entrare come si entra in una stanza; è qualcosa di chiuso, di intimo, ma ha anche porte, fine-stre e pertugi da cui poter guar-

dare, fuori e dentro”. Il dialogo tra l’interno dell’ambiente cubi-co e il foyer si svilupperà, come annunciato, in quattro step.

Dall’installazione con i tubi a neon di Sandro Marasco, al liquido percorso visionario e metaforico di Pierpaolo Miccolis, agli ibridi codici di Maria Grazia Carriero, senza rinunciare al medium pitto-rico, grazie all’ultimo intervento in calendario, quello di Alessan-dro Passaro, che confermerà l’attitudine materica e vulcanica della sua indagine. Alla chiusura della mostra, così come ad ogni edizione, Marinilde Giannandrea pubblicherà un catalogo che conterrà le fotografie degli interventi installativi, i testi critici che accompagneranno i vari appuntamenti e i profili dei singoli artisti.

Page 15: SMALL ZINE

IL NUOVO CORSO DI DE CRESCENZO & VIESTI: QUESTIONE DI DNA

DE CRESCENZO & VIESTI - Roma - Scarlett Matassi

SHOW

REVIEWS

“C’è poco da fare – spiegano Floriana e Stefano – questi 300 metri quadri articolati su due livelli aumentano sensibilmente la nostra libertà di manovra e rendono possibile l’introduzione di una serie di novità in cui crediamo molto”. Il primo so-gno tirato fuori dal cassetto è quello della realizzazione, accanto all’arioso spazio espositivo del primo piano, di un Art Shop. “Qui proponiamo og-getti di design, anche gioielli e borse, la cui particolarità è quella di non essere progettati da designers ma da artisti, preferibilmente in esclusiva per De Crescenzo & Viesti”. È il caso delle strepitose borse-scultura di Luigi Mulas Debois e, soprattutto, di Lobster, il suo ultimo progetto. Realizzata pensando all’aragosta, Lobster è un cilindro in tela canvas rivestito da una corazza di segmenti mobili in pelle. Una scultura pro-grammata per uscire per strada e, al contempo, un oggetto funzionale capace di adattare la sua forma alle esigenze e allo stato d’animo di chi riuscirà ad entrare in possesso dei pochi esemplari realizzati. L’idea del design progettato da artisti

14

non può non piacere, ma funzionerà sul mercato dei tristi tempi della crisi? Forse sì, anche perché i prezzi di questi oggetti così originali ed e-sclusivi risultano sorprendentemente ragionevoli. Forse hanno ragione loro ad investire e rischiare mentre gli altri stanno a guardare. D’altra parte, quando rac-cogli un’eredità pesante come quella dello storico Studio d’Arte Giuliana De Crescenzo hai onori ed oneri e non puoi sottrarti alla responsabilità di tentare nuovi percorsi. Quei nuovi percorsi sui quali, negli anni Settanta, Giuliana De Crescen-zo, la madre di Stefano, costruì la sua leggenda di gallerista dal fiuto infalli-bile contribuendo al successo di arti-sti in seguito divenuti star di livello internazionale come Anselmo, Beuys, Boetti, Chia, Clemente, Cucchi, Merz, Penone, Zorio e tanti altri riferibili ai più interessanti filoni di ricerca di quell’epoca inquieta. Ora i tempi sono cambiati, ma da De Crescenzo & Viesti l’idea è quella di sempre: o si fa ricerca o si muore. Questione di DNA.

Ora che l’inverno ci sta per lasciare possiamo dirlo, l’inaugurazione della nuova sede di De Crescenzo & Viesti è stata, a Roma, una delle poche novità di rilie-vo di una stagione che il mercato dell’arte contempo-ranea ha giocato sostanzialmente a bocce ferme. Del resto anche Stefano De Crescenzo e Floriana Viesti hanno a lungo procrastinato il trasferimento dalla storica sede di Via del Corso al nuovo bellissimo spa-zio di Via Ferdinando di Savoia 2, proprio a ridosso di Piazza del Popolo, ma alla fine la voglia di aprire un nuovo capitolo della loro lunga storia professionale ha prevalso sull’atteggiamento di prudente attesa che da qualche tempo sembra aver ingessato le scelte dei galleristi d’arte della capitale.

ARTISTI PER CASA/Mauro Cuppone - Fratelli Calgaro

Via della Zecca, 9 - Bolzano - Redazione

Al bando ordine, rigore, pareti linde e al bando pure i curatori. L’artista “militante” si fa avanti. Mauro Cuppone e Fratelli Calgaro intervengono in una quotidianità “senza eccessi”, in cui a quanto pare è l’atmosfera della casa a fare la differenza. Non c’è rottura o invasione, un luogo fertile da cui tutto nasce e a cui ogni cosa potrebbe ritornare. È forse l’odore delle pareti a determinarne l’atmosfera? Un evento, un party, forse un vero e proprio happening, e se per happening intendiamo puntare l’attenzione sull’evento più che sull’oggetto, allora di questo si tratta. Tutto - dai lavori esposti alle bevute - diviene una performance collettiva, oggetto di partecipazione e attenzione. “Memorie dal sottoscala: lo scorso marzo, il giovedì 15 e il venerdì 16, in via della Zecca 9 a Bolzano, al quarto piano di un condominio anni Sessanta, tra opere edite, video inediti, cose accatastate e polverose di un appartamento in disuso da tempo (ma per anni accudito con la tenerezza e il gusto amaro della solitudine), Mauro Cuppone e Fratelli Calgaro ricevevano amici, conoscenti e vicini scono-sciuti. Francobolli veri e falsi, formiche con le bare, topini con foulard di Hermes, polaroid di nudi e di famiglie al ristorante. Tutto trova una collocazione naturale mimetizzandosi nelle pareti incorniciate di polve-re, tra soprammobili, stampe di nature morte e barometri. Un dialogo con la memoria, ad memoriam, da Belfagor a Facebook. Nel corso dei due giorni, fino ad esaurimento delle storie, gli artisti hanno accolto gli ospiti con un bicchiere di Rosso Antico in una visita happening contro il logorio della vita (e dell’arte) contemporanea. Un momento di euforia, un salto tra vecchi mobili e nuove idee, tra profumi dimenticati e sapori demodé, per metabolizzare un’arte che riesce ad essere veramente quoti-diana solo quando non si prende troppo sul serio. Trasparente e consi-stente come la scia che una lumaca lascia al suo passaggio.” E non pote-va essere più chiaro, esaustivo, divertente ciò che gli “artefici” hanno scritto per noi!

Veduta della nuova sede della Galleria De Crescenzo & Viesti, Roma.

Dall’alto: Mauro Cuppone, ERANTRECENTOAGGIUNGIUNCOMMENTO. Installazione/performance Artisti per casa, Bolzano 2012. Fratelli Calgaro, NON TI SCORDAR DI ME… Installazione/performance Artisti per casa, Bolzano 2012.

Page 16: SMALL ZINE