Scultura greca kalokagathia
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La «Kalokagathia»
nella cultura greca
Nel periodo arcaico i poeti-
cantori, ispirati dagli dei,
raccontano la verità attraverso
il mito.
Le parole del poeta sono
ritenute belle poiché vere, in
quanto le Muse donano ai loro
messaggeri la capacità di
guardare oltre l’apparenza
sensibile per scorgere la verità
originaria.
Nella poesia greca delle
origini, la bellezza è
considerata un valore
assoluto, spesso legato alle
azioni degli eroi, i quali sono
ricoperti da un manto di alone
divino che li rende splendenti
agli occhi umani.
Il Mito e la bellezza
nella poesia greca
La bellezza
nella cultura greca arcaica
è concepita dunque come un
valore assoluto
donato dagli dei all'uomo
e spesso associato alle
imprese di guerra
dell'eroe omerico
L'espressione kalokagathìa
(in lingua greca, καλοκαγαθία) indica l'ideale di perfezione
umana secondo i Greci antichi.
Il termine rappresenta la sostantivizzazione di una coppia
d'aggettivi indicanti
l'armonioso sviluppo della persona :
καλὸς κἀγαθός, (kalòs kagathòs), crasi di
καλὸς καὶ ἀγαθός, (kalòs kai agathòs),
cioè "bello e buono«,
inteso come "valoroso in guerra",
e come "in possesso di tutte le virtù".
“Il più giusto è il più bello” (Oracolo di Delfi)
La scultura greca arcaica (VI sec. a.C.)
I soggetti
rappresentati nelle
sculture arcaiche
sono riconducibili
alle due tipologie
principali :
il kouros
(plurale kouroi)
maschile
la kore
(plurale korai).
femminile
kouros kore
Il kouros
(plurale kouroi)
E’ un giovane uomo nudo, in posizione stante
(statica), raffigurato con la testa eretta, le
braccia stese lungo i fianchi, i pugni serrati e la
gamba sinistra leggermente avanzata, ad
accennare un passo.
Il termine kouros identifica un giovane nel pieno
e vigoroso splendore del suo sviluppo fisico e
morale .
Bellezza, forza, onore e coraggio sono i tratti
fondamentali dell’eroe omerico donati dalla
divinità: il valore del corpo, la prestanza fisica
sono uniti alla lealtà, alla virtù, in quanto
l’estetica corrisponde all’etica.
Cleobi e Bitone, Polimede, 600 ca a.C., marmo, alt.
216 cm., Museo Archeologico, Delfi
Uno dei più importanti esempi di
scultura arcaica ci è offerto da una
coppia di kouroi, attribuiti a Polimede di
Argo. Si tratta delle statue, tozze e
rigide, dei fratelli Cleobi e Bitone,
scolpiti in posizione stante, con la
muscolatura del petto messa in
evidenza come il tipico sorriso arcaico.
Caso nuovo nella statuaria antica, gli
artisti greci si impegnano nella
rappresentazione del corpo nudo
maschile, che ritenevano più bello
rispetto a quello femminile, in quanto
era l’esaltazione del vigore e della
forza acquisiti con l’esercizio atletico.
I due Kouroi nudi
La scultura greca arcaica si
ispira, almeno nelle fasi
iniziali, a quella egizia e ciò è
dovuto ai frequenti scambi
commerciali nel Mediterraneo
che avevano messo in
contatto gli artisti greci con
statuette di provenienza
egizia.
Si riscontra nel kouros una
notevole somiglianza con le
statue egizie a fianco
soprattutto nella gamba
sinistra avanzata e nella
rigida posizione delle braccia
con i pugni serrati attorno a
due corti cilindri, simbolo di
potere. Il kouros
(600 a.C.) Micerino con la moglie,
(2520 a.C.)
a. egizia a. greca arcaica
la kore
(plurale korai)
E’ una giovane donna vestita
con il chitone (tunica) e
himation (mantello),
anch’essa in posizione stante
(statica), con la testa eretta, i
piedi uniti, un braccio steso
lungo un fianco a reggere la
veste e l’altro (solitamente il
destro) ripiegato in atto di
recare un vaso o un piatto
delle offerte.
La Kore con il peplo
Tipico esempio di kore,
statua greca del periodo
arcaico (600 ca. - 475
ca. a.C.), raffigurante una
fanciulla avvolta in un
peplo. Le korai, così
come i kouroi (analoghe
statue di soggetto
maschile), sono
rappresentazioni di
carattere statico,
concepite per una visione
frontale. La statua qui
riprodotta, realizzata
intorno al 530 a.C., è
conservata al Museo
dell'Acropoli di Atene.
Si tratta di una statua di
piccole dimensioni, con
ancora evidenti tracce di
decorazione policroma sul
volto (occhi e labbra), sui
capelli e sulle vesti.
L’andamento della statua è
tutto verticale ed è
sottolineato dalla semplicità
del panneggio (disposizione
delle pieghe di un tessuto)
privo di increspature.
Perdura il sorriso arcaico sul
volto incorniciato
dall’acconciatura a trecce
che le ricadono
sinuosamente sulle spalle
Agelada il Giovane
(maestro di Policleto),
bronzista di Argo, è attivo
alla metà del V sec. a.C.
E’ autore del Bronzo B
trovato nel 1972 ,
insieme al Bronzo A, nel
mare Ionio, al largo di
Riace (provincia di
Reggio Calabria).
Ad Alcamene il Vecchio si
attribuisce invece il
Bronzo A.
A B
La scultura greca pre-classica (V sec. a.C.)
I due bronzi raffigurano due guerrieri privi delle armi e dello scudo.
Attualmente si trovano al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio
Calabria, dove sono diventati uno dei simboli del museo e della città stessa.
Il Bronzo di Agelada il
Giovane è l’unico
dell’antichità ad avere i
denti (realizzati in
argento).
Ambedue i Bronzi hanno
gli occhi in pietra e in
avorio, mentre le labbra e
i capezzoli sono in bronzo
rosso.
La scultura greca classica (V sec. a.C.)
L’identità tra
«bellezza» e «virtù»
o «Kalokagathia»
permane nella
glorificazione del nudo
caratterizzante la
produzione greca del
V° secolo a.C.
Policleto di Argo
è un celebre bronzista che,
circa a metà del V secolo
scrive un trattato chiamato
Canone (dal greco
kanon=norma, regola) nel
quale, dopo aver misurato
un certo numero di uomini
ed aver ricavato delle
misure medie, espone le
leggi per il
proporzionamento ideale
del corpo umano,
fondandole su precisi
rapporti numerici.
In particolare la testa deve
essere circa 1/8 del corpo
umano, il busto deve
corrispondere a tre teste e
le gambe a quattro.
La bellezza aveva,
per un artista greco,
una precisa base
matematica, fatta di
numeri e rapporti
precisi.
Il canone di Policleto
diventa quindi una
"regola d’arte"
per generazioni di
artisti che lo
seguiranno.
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Policleto e il «Canone»
Come modello
concreto delle sue
teorie realizzò il
Doryphoros: portatore
di lancia (dal greco
dory = lancia e phèrein
= portare), detto anche
Canone.
La statua del Museo di
Napoli è la copia più
completa pervenutaci
del celebre originale in
bronzo che come tutte
le altre di Policleto
sono andate perse.
Policleto e il Doriforo
Copia romana
h. 2,12 m.
Prima età imperiale
(da un originale del
440 a.C. ca.).
Pompei, palestra
sannitica,
Museo Archeologico di
Napoli
Ciò a cui tende
Policleto è infatti
un corpo perfetto
le cui misure sono
ricavate dallo
studio di misure
reali (media
matematica)
rilevate sui corpi
dei giovani atleti
olimpici.
Nella copia di sx
manca la lancia o
il giavellotto
che era retto dalla
mano sinistra e si
appoggiava sulla
spalla.
Qui accanto la foto del Doriforo con sezione
aurea, dimostra che Policleto ha utilizzato un
rapporto aureo per realizzare il "Canone "
RETTANGOLO AUREO Esiste uno speciale rettangolo le cui proporzioni
corrispondono alla sezione aurea. Il suo nome è
rettangolo aureo. Per costruire il rettangolo aureo
si disegni un quadrato di lato a i cui vertici
chiameremo, a partire dal vertice in alto a sinistra
e procedendo in senso orario, AEFD. Quindi
dividere il segmento AE in due chiamando il punto
medio A'. Puntando in A' disegnare un arco che da
F intersechi il prolungamento del segmento AE in
B. Con una squadra disegnare il segmento BC
perpendicolare ad AB. Il rettangolo ABCD è un
rettangolo aureo nel quale Ab è diviso dal punto E
esattamente nella sezione aurea:
AE:AB=EB:AE
Il Doriforo e la «sezione aurea»
Il Doriforo di Policleto, scultura famosa nel mondo per la perfetta armonia fra le
parti del corpo, dovuta all’utilizzo da parte di Policleto della sezione aurea (il
rapporto 1:0.618) per realizzarla.
Le due versioni modificate, a destra e sinistra dell’immagine, hanno il tronco più
lungo (sezione = 1:0.74); o il tronco più corto (sezione = 1:0.36).
Nel Doriforo Policleto ha raggiunto l’equilibrio
tra movimento e stasi utilizzando uno schema
compositivo nel quale la disposizione di
braccia e gambe, e di bacino e spalle è
regolata da un equilibrio incrociato che
conferisce alla figura una sorta di
dinamismo trattenuto e composto.
L’atleta (o divinità o eroe), colto durante il
movimento, è rappresentato gravitante sulla
gamba destra che è detta, per questo, gamba
portante ed è rigida.
Alla gamba portante destra corrisponde,
secondo uno schema a X detto «chiasmo», il
braccio sinistro flesso e la spalla leggermente
spostata in alto. Il capo si volge verso il lato
della gamba portante e si inclina leggermente.
La gamba sinistra è invece flessa, mentre il
braccio destro è rilassato con la spalla
leggermente abbassata.
gamba destra rigida portante
braccio sinistro flesso
gamba sinistra flessa
braccio
destro
rilassato
Il Doriforo e il «chiasmo»
Il termine «chiasmo»
deriva dalla lettera
greca X (in greco è
pronunciata "chi") ed
indica una
disposizione in cui le
parti creano un
incrocio. Nel caso
delle statue di
Policleto la
disposizione
incrociata è tra gli
arti inferiori e gli arti
superiori.
L'ideale classico di perfezione
è il risultato cui tende lo scultore greco, eliminando ogni difetto,
che, seppur minimo, è sempre presente in ogni singolo individuo.
La statua diviene così un ideale di perfezione umana, superiore alla realtà stessa.
È dunque impossibile non notare che, nonostante rappresentino individui diversi
(leggendarie o reali), tutte le sculture sono accomunate dagli stessi canoni e dagli
stessi tratti fisici, a testimonianza della tendenza greca all’astrazione e alla
ricerca di un modello di bellezza ideale ed universale che superi le caratteristiche
individuali per giungere ad un utopistico concetto di estetica.
È inoltre interessante scoprire che gli artisti greci non idealizzavano la bellezza
nella composizione delle proprie opere, bensì ricercavano la bellezza ideale
attraverso l’assemblaggio di diverse costituenti corporee.
Un artista non partiva dunque da un unico modello, ma selezionava le parti
migliori di diversi soggetti, unificandole poi in un’unica entità armonica ed
omogenea.
La riscoperta dei valori classici nel Rinascimento
XIV – XV sec.
I valori di bello ideale, di simmetria, proporzione ed armonia Vengono
riscoperti nel Rinascimento. Si ha dunque una riscoperta dell’antica civiltà
classica, intesa come suprema sintesi dei più alti valori umani.
Nell’ altorilievo «Battaglia dei centauri»
(1492) su lastra in marmo, eseguita da
Michelangelo per Lorenzo il Magnifico è
evidente come l’artista abbia presto
assimilato i “modelli classici”,
apprezzandone soprattutto gli esempi
caratterizzati da forte dinamismo e
intensità patetica, come i rilievi dei
sarcofaghi con battaglie o lotte di
Centauri, che ispirano appunto
quest’opera.
Michelangelo ed il «David»
La nudità del «David» (1501) giovane
eroe biblico è concepita da
Michelangelo, prima ancora che come
reminiscenza dell’antico, come chiara
manifestazione di “ira e forza”, prime fra
le virtù civiche poiché condizioni
necessarie alla conquista e alla difesa
della libertà.
Rispetto agli altri David realizzati da
Verrocchio e da Donatello, in questo di
Michelangelo sembra trasparire un forte
concetto di solidità, perfezione e potenza
legate assieme da linee armoniose e
dolci; un prototipo perfetto di bellezza
assoluta.
La riscoperta dei valori classici nel Neoclassicismo
XVIII sec.
Johann Joachim Winckelmann, teorico tedesco, con le proprie opere contribuì in
modo significativo alla rifioritura dello stile classico. Ispirandosi soprattutto alla
scultura greca, Winckelmann pubblicò diversi saggi, che propongono le opere
classiche come modello di “nobile semplicità” e di “serena grandezza”. Secondo
il filosofo, difatti, l’arte doveva essere equilibrata e composta, priva di
passionalità, capace di rievocare la bellezza ideale dei tempi antichi
Antonio Canova nelle sue opere
femminili, idealizza al massimo la
bellezza naturale.
Nell’opera “Paolina Borghese come
Afrodite dea dell’amore ” la donna è
presentata con il pomo vinto quale più
bella fra tre dee eletta dal giudizio di
Paride, secondo la nota vicenda
mitologica.
L'opera “Amore e Psiche” (1788)
rappresenta, con un erotismo sottile
e raffinato, il dio Amore mentre
contempla con tenerezza il volto
della fanciulla amata, ricambiato da
Psiche da una dolcezza di pari
intensità.
L'opera rispetta i canoni dell'estetica
Winckelmanniana : infatti le figure
sono rappresentate nell'atto subito
precedente al bacio, un momento
carico di tensione, ma privo dello
sconvolgimento emotivo che l'atto
stesso del baciarsi provocherebbe
nello spettatore.
Questo è il momento di “equilibrio”,
dove si coglie quel momento di
amoroso incanto tra la tenerezza
dello smarrirsi negli occhi dell'altro e
la carnalità dell'atto.
Canova e «Amore e Psiche»