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Malato da tempo, Eco morto ieri sera. Autore di romanzi bestseller mondiali, saggista rivoluzionario. sua ultima avventura da editore con Nave di Teseo .A. -..yIII GNOLI ue o tre cose venivano in mente in- contrando Umberto Eco: il whi- sky, i calembour e il Medioevo. Le prime due appartenevano alla sua natura giocosa e mondana, l'ultima era il frutto di una strepitosa curiosi- tà mentale. Quel mondo remoto, segnato dal- la superstizione e dalle nevrosi collettive, lo affascinava. Può stupire la dedizione a quei secoli, ingiustamente definiti bui, in un uo- mo che non ha mai dubitato della propria na- tura illuminista. Una spiegazione si ricava dal rapporto che ebbe con Luigi Pareyson, i cui vasti interessi filosofici spaziavano dalla cultura antica a quella contemporanea. li professore di Tori- no individuò in Eco (nato ad Alessandria nel 1932) e in Gianni Vattimo gli allievi più bril- lanti ai quali affidare le ricerche più ambizio- se e remote. A V attimo fu chiesto di occuparsi di Aristotele, mentre Eco venne indirizzato sull'estetica di Tommaso d'Aquino. Erano al- lievi mentalmente agili, spregiudicati, ambi- ziosi. Provenivano dal mondo cattolico. Arri- vavano dalla provincia. Ma si intuì che avreb- bero fatto molta strada. Il rapporto con Parer son fu per Eco fondamentale. Con la libera do- cenza le loro strade si divisero. Fu solo negli ultimi mesi di vita (Pareyson si spense nel 1991) che avvenne il riavvicinamento: «Com- presi che, per quanto forti fossero le divergen- ze culturali, era pur sempre stato il mio mae- stro. Se ci fai caso, mi disse, tutti i miei roman- zi sono come un Bild ungsroman: c'è un giova- ne che apprende da un legame formativo con un anziano. E la ragione per cui ho fatto il pro- i sapen te me d i evale che conosce va ® i l nome segreto della rosa fessore e resto in contatto affettuosissimo con tutti i miei studenti». A quelle parole, pronunciate con una certa nostalgia, mi venne in mente il rapporto tra Guglielmo e Adso ne Il nome della rosa (1980), il romanzo che gli cambiò la vita ma non il modo di pensare. Dopotutto, che cosa fu quel folgorante esordio narrativo se non anche un modo di tornare ai temi filosofici che gli erano più congeniali? Nel romanzo si sforzò di pensare come un uomo medievale. Immaginò, lasciandosene ammaliare, che l'uomo medievale fosse preda di oscure ne- vrosi alimentate da un'endemica condizione di angosciosa insicurezza. Per certi versi simi- le a quella nella quale oggi versiamo. Eco ne immaginò un vertice accattivante nella figu- ra di Guglielmo di Baskerville. C'è da dire che Il nome della rosa ribolle di araldica medieva- le, di simbologie minacciose, di contese teolo- giche, di enigmi interpretativi e di immagini mostruose. Da queste ultime Eco si sentiva at- tratto. Al punto che la riflessione sulla bellez- za - di cui si era a lungo occupato secondo i canoni classici dell'antichità - non lasciava fuori il gusto per il deforme e il difforme. Fu, insomma, consapevole che la cultura medie- vale - affascinata dal prodigioso ma, al tem- po stesso, dal difforme e dall'insolito- aveva fornito le basi a un nuovo modo di percepire la realtà e le sue rappresentazioni. Qualcosa di molto simile immaginò per la nostra con- temporaneità, afflitta anch'essa dal disordi- ne e dall'irregolare. Eco amava mescolare generi letterari ed epoche storiche, padroneggiando con abilità borgesiana l'universo dei libri e i suoi segreti. Tra le tante cose, fu anche un bibliofilo raffi- nato e competente. Come pochi seppe gioca- re con la realtà. Seppe affrontarla nei suoi to- ni alti e bassi. Nelle sue paradossalità e infin- gimenti. Pensava che le teorie del falso e del vero non fossero prerogativa del mondo con- temporaneo. E non fosse di nostra esclusiva pertinenza culturale la loro indistinzione. Il Medioevo aveva conosciuto la pratica di una verità riconducibile a Dio. Tuttavia, Dio non sempre era presente e in agguato c'erano i de- moni pronti a confondere la mente dei logici medievali. Certo, i processi di falsificazione attuati dal mondo contemporaneo - sia nell'universo politico che in quello mass-me- diologico che ben conosceva grazie alla sua esperienza in Rai nei primi anni Cinquanta - toccano solo in minima parte i problemi di fede e di credenza che l'ingenuità medievale aveva posto al centro del proprio universo. E chissà con quale sdegno Tommaso o Agosti-

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Malato da tempo, Ecomorto ieri sera. Autore di romanzi bestseller

mondiali, saggista rivoluzionario. sua ultimaavventura da editore con Nave di Teseo

.A. -..yIII GNOLI

ue o tre cose venivano in mente in-contrando Umberto Eco: il whi-sky, i calembour e il Medioevo. Le

prime due appartenevano allasua natura giocosa e mondana,

l'ultima era il frutto di una strepitosa curiosi-tà mentale. Quel mondo remoto, segnato dal-la superstizione e dalle nevrosi collettive, loaffascinava. Può stupire la dedizione a queisecoli, ingiustamente definiti bui, in un uo-mo che non ha mai dubitato della propria na-tura illuminista.

Una spiegazione si ricava dal rapporto cheebbe con Luigi Pareyson, i cui vasti interessifilosofici spaziavano dalla cultura antica aquella contemporanea. li professore di Tori-no individuò in Eco (nato ad Alessandria nel1932) e in Gianni Vattimo gli allievi più bril-lanti ai quali affidare le ricerche più ambizio-se e remote. A V attimo fu chiesto di occuparsidi Aristotele, mentre Eco venne indirizzatosull'estetica di Tommaso d'Aquino. Erano al-lievi mentalmente agili, spregiudicati, ambi-ziosi. Provenivano dal mondo cattolico. Arri-vavano dalla provincia. Ma si intuì che avreb-bero fatto molta strada. Il rapporto con Parerson fu per Eco fondamentale. Con la libera do-cenza le loro strade si divisero. Fu solo negliultimi mesi di vita (Pareyson si spense nel1991) che avvenne il riavvicinamento: «Com-presi che, per quanto forti fossero le divergen-ze culturali, era pur sempre stato il mio mae-stro. Se ci fai caso, mi disse, tutti i miei roman-zi sono come un Bild ungsroman: c'è un giova-ne che apprende da un legame formativo conun anziano. E la ragione per cui ho fatto il pro-

isapente medievaleche conosceva®il nome segreto della rosa

fessore e resto in contatto affettuosissimocon tutti i miei studenti».

A quelle parole, pronunciate con una certanostalgia, mi venne in mente il rapporto traGuglielmo e Adso ne Il nome della rosa(1980), il romanzo che gli cambiò la vita manon il modo di pensare. Dopotutto, che cosafu quel folgorante esordio narrativo se nonanche un modo di tornare ai temi filosoficiche gli erano più congeniali? Nel romanzo sisforzò di pensare come un uomo medievale.Immaginò, lasciandosene ammaliare, chel'uomo medievale fosse preda di oscure ne-vrosi alimentate da un'endemica condizionedi angosciosa insicurezza. Per certi versi simi-le a quella nella quale oggi versiamo. Eco neimmaginò un vertice accattivante nella figu-ra di Guglielmo di Baskerville. C'è da dire cheIl nome della rosa ribolle di araldica medieva-le, di simbologie minacciose, di contese teolo-giche, di enigmi interpretativi e di immaginimostruose. Da queste ultime Eco si sentiva at-tratto. Al punto che la riflessione sulla bellez-za - di cui si era a lungo occupato secondo icanoni classici dell'antichità - non lasciavafuori il gusto per il deforme e il difforme. Fu,insomma, consapevole che la cultura medie-vale - affascinata dal prodigioso ma, al tem-po stesso, dal difforme e dall'insolito- avevafornito le basi a un nuovo modo di percepirela realtà e le sue rappresentazioni. Qualcosadi molto simile immaginò per la nostra con-temporaneità, afflitta anch'essa dal disordi-ne e dall'irregolare.

Eco amava mescolare generi letterari edepoche storiche, padroneggiando con abilitàborgesiana l'universo dei libri e i suoi segreti.Tra le tante cose, fu anche un bibliofilo raffi-

nato e competente. Come pochi seppe gioca-re con la realtà. Seppe affrontarla nei suoi to-ni alti e bassi. Nelle sue paradossalità e infin-gimenti. Pensava che le teorie del falso e delvero non fossero prerogativa del mondo con-temporaneo. E non fosse di nostra esclusivapertinenza culturale la loro indistinzione. IlMedioevo aveva conosciuto la pratica di unaverità riconducibile a Dio. Tuttavia, Dio nonsempre era presente e in agguato c'erano i de-moni pronti a confondere la mente dei logicimedievali. Certo, i processi di falsificazioneattuati dal mondo contemporaneo - sianell'universo politico che in quello mass-me-diologico che ben conosceva grazie alla suaesperienza in Rai nei primi anni Cinquanta- toccano solo in minima parte i problemi difede e di credenza che l'ingenuità medievaleaveva posto al centro del proprio universo. Echissà con quale sdegno Tommaso o Agosti-

no avrebbero reagito alla messa in discussio-ne dei concetto di autenticità. A volte lo scrit-tore mostrava insofferenza verso chi liquida-va i suoi lavori più popolari come il frutto eva-nescente della postmodernità. Al contrario,la sua mente era quanto di più moderno si po-tesse immaginare. Enciclopedica, classifica-toria, erudita, paradossale. Giocosa. Fu tra ifondatori del Gruppo 63 insieme a Nanni Ba-lestrini, Oreste Del Buono e Angelo Gugliel-mi, uno dei rari movimenti di neoavanguar-dia nell'Italia di quegli anni e poi fondatoredel Dams, altro esperimento inconcepibile ditrasformare in disciplina accademica arti ematerie non allineate. Il tutto senza mai per-dere l'ironia. Colse nel riso una qualità esclusi-vamente umana. Capace di allontanare l'uo-mo dall'idea di morte. Descrisse Rabelais,che congiunse il mondo medievale con il mo-derno, come il più straordinario interpretedell'ilarità eversiva. In questo richiamo almondo medievale Eco rintracciava le radicistesse dell'Europa. Non solo nelle acquisizio-ni cristiane, non solo nelle mire espansioni-ste che l'Occidente cominciò a darsi con leCrociate e poi attraverso i primi viaggi; maanche mediante la riscoperta delle conoscen-ze filosofiche antiche. li paradigma medieva-le fu la stella che orientò il suo cammino. Perfi-no nei rapporti con Joyce, forse lo scrittorecontemporaneo che ha amato più di ogni al-tro, Eco misurò la vicinanza con il Medioevo.La devozione che il grande dublinese ebbeper quei secoli - per Tommaso e la scolasti-ca, come pure per Dante - furono la ragionedi un segreto rispecchiamento. Un'idea semi-nale che lo avrebbe accompagnato per tuttola vita. Tra i grandi meriti di questo intellet-

Umberto Eco è morto. E ilmondo perde uno dei suoi piùimportanti uomini di culturacontemporanei. Aveva 84 anni,è stato scrittore, filosofo, grandeosservatore ed esperto dicomunicazione e media. Laconferma della scomparsadell'autore do "Il nome della

tuale c'è anche lo straordinario interesse chele sue opere hanno suscitato a livello interna-zionale. Fu così che l'Italia, quasi d'improvvi-so, apparve grazie a lui, un paese cultura]-mente meno asfittico e deprimente. Egli stes-so si meravigliò del grande clamore che il suonome stava producendo. L'ironia lasciò il po-sto a una sottile preoccupazione. Come se tut-to ciò distogliesse dai veri compiti dello stu-dioso di semiotica e di filosofia che nel corsodei decenni ci ha regalato saggi importanti,su tutte le sue variegate materie di studio: daOpera aperta (1962) ad Apocalittici e inte-grati (1964); daLa struttura assente (1968)a Trattato di semiotica generale (1975); finoalle sue raccolte di articoli, come quel Diariominimo (1963) che contiene due dei suoiscritti più noti al grande pubblico, Fenomeno-logia diMikeBongiorno ed Elogio di Fronti. Epoi ci sono le tante Bustine di Minerva disse-minate, negli anni, sull'Espresso, amatissi-me dai lettori. E naturalmente i romanzi suc-cessivi a il nome della rosa, come il pendolodi Foucault (1988 ), L'isola del giorno prima(1994), Il cimitero di Praga (2010) e l'ulti-mo, Numero zero, pubblicato nel gennaio del-lo scorso anno. Ma questa produzione lettera-ria recente non ha esaurito la vitalità di Eco.Perché la sua ultima grande avventura è co-minciata lo scorso novembre, quando con ildirettore editoriale Elisabetta Sgarbi e un fol-to gruppo di autori italiani e internazionaliha lasciato Bompiani, nel pieno della fusionetra Mondadori e Rcs, per fondare una nuovacasa editrice, La Nave di Teseo. Ed è davverotriste che non abbia fatto in tempo a vederlasalpare.

3 RIVROOULONERISkNVA fA

Rosa", '"Il pendolo di Foucault","L'isola del giorno prima" finoall'ultimo, "Numero Zero", èstata data dalla moglie Renata edal figlio Stefano a Repubblicaieri sera tardi. La morte èavvenuta alle 22.30 nella suaabitazione milanese.

LE ORIGINIUmberto Eco nascead Alessandria nel1932. Figlio dicommercianti,nel 1954 si laureacon una tesisull'esteticadi San Tommasod'Aquino

LA CARRIE RAAll'università lavoradal 1961, in diversecittà. A Bologna,dove ha insegnatosemiotica, è statoanche direttore delDams. Ha lavoratoanche in diversiatenei stranieri

LE ONORIFICENZEMembro dei Lincei,ha ottenuto tantiriconoscimentiprestigiosi. Ècavaliere di GranCroce dellaRepubblica italiana eufficiale della Legiond'Onore francese

SAGGI, ROMANZI , RACCOLTEIn alto, da sinistra a destra, Il nome della rosa(1980), II Pendolo di Foucault (1988), il suoultimo romanzo Numero Zero (2015), laraccolta di saggi Diario Minimo (1963)Sotto, sempre da sinistra,Apocalittici e integrati (1964)e Trattato di semiotica generale (1975)Tutti i libri sono editi da Bompiani

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