Rivista Lavoro e Diritti, Fondazione Massimo D'Antona ... · diffusamente è presente in Emilia...
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Anno VI - N. 28-29 RIVISTA ONLINE DELLA FONDAZIONE PROF. MASSIMO D’ANTONA Luglio/Ottobre 2018
Lotta alcaporalato
Caporalato dixitdi Stefano Olivieri Pennesi
L’ircocervodi Fabrizio Di Lalla
Politiche attive e reddito di cittadinanzadi Gianluca Meloni
Lavoro@Confronto
Via Quintino Sella, 23
00187 Roma
www.lavoro-confronto.it
Numero 28-29 • Luglio/Ottobre 2018
Rivista bimestrale on line
della Fondazione Prof. Massimo D’Antona (Onlus)
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N. 4/2014 - In data 27 febbraio 2014
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Redazione:
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Claudio PALMISCIANO
Stefano OLIVIERI PENNESI
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ca ovvero on-line; la Fondazione Prof. Massimo D’Antona
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ma, di quanto pubblicato nella presente Rivista in difetto
di autorizzazione scritta dell’Autore.
Sommario:
Caporalato dixit
Stefano Olivieri Pennesi p. 3
L’ircocervo
Fabrizio Di Lalla p. 10
Politiche attive
e reddito di cittadinanza
Gianluca Meloni p. 11
Le novità del Decreto Dignità
sulle prestazioni occasionali
Marica Mercanti p. 15
Il nuovo contratto a termine
Valeria Affinita p. 18
Appalto illecito:
responsabilità retributiva
e contributiva
Pietro Cascioli p. 22
Un esempio di “collasso”
delle libertà sindacali
Gianna Elena De Filippis, Fabrizio
Proietti e Luca Parisella p. 24
Controlli interni e
controlli esterni: chi
controlla i controllori?
Palmina D’Onofrio p. 27
Assenze per malattia
e permessi per visite,
esami e terapie
Dorina Cocca, Tiziano Argazzi p. 29
Rendita vitalizia
per i dipendenti della PA
Stefano Stefani p. 36
Un interessante ritorno
agli anni Quaranta
Roberto Leardi p. 38
Effemeridi
Da principe a rospo
Fadila p. 39
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 3
Torniamo a parlare da queste colonne, a distanza di oltre un anno dall’uscita del n. 17 di questa
rivista (http://www.lavoro-confronto.it/archivio/numero-17/uomini-o-caporali) della Fonda-
zione D’Antona, dell’argomento Caporalato, anche in ragione dei recentissimi accadimenti luttuosi
di questo agosto 2018, che hanno riguardato la perdita di molte vite umane di lavoratori immigrati.
Ci riferiamo a quanto avvenute sulle strade del meridione, in provincia di Foggia, durante il tra-
sporto da e per i campi di raccolta dei pomodori, a causa di gravissimi incidenti stradali che ha visto
coinvolti furgoni scarsamente sicuri all’uopo utilizzati da caporali, ed anzi appositamente adattati
dagli stessi per aumentare la capacità numerica di trasporto, collocandovi panche di seduta al posto
dei regolari e omologati spazi con sedili.
Automezzi vetusti in uso, manutenuti approssimativamente nella quasi totalità in assenza di co-
perture assicurative e di documenti di proprietà e di circolazione regolari, frequentemente con targhe
estere della Bulgaria, Romania, Albania, Macedonia, e altri Paesi dell’Est Europa e quindi al di fuori
e non censiti nei nostri registri automobilistici.
dell’occidente sviluppato e quindi anche dall’I-
talia.
Per avere un quadro più dettagliato del fe-
nomeno su cui stiamo argomentando, di grande
aiuto risulta essere il contributo offerto dall’Os-
servatorio “Placido Rizzotto” della Flai-Cgil che
periodicamente presenta un proprio rapporto
scientifico su questo tema, vale a dire anche su
Agromafie e Caporalato, nonché svolgimenti e
approfondimenti con focus sull’economia illega-
le nel settore agro-alimentare.
Preliminarmente è bene sottolineare come
questo 4° ultimo rapporto confermi, sostanzial-
mente, scenari simili ai precedenti rapporti, te-
nendo conto anche di quanto fin qui prodotto
dalla nuova normativa di settore, approvata da
quasi due anni, vale a dire la legge n. 199/2016,
contro i fenomeni del lavoro nero e dello sfrutta-
mento del lavoro in agricoltura. Il giro di affari
stimato in questo ultimo anno ammonterebbe a
circa 5 miliardi di euro.
Secondo il dossier in questione i lavoratori
agricoli oggetto di “ingaggio” irregolare e quin-
di sotto caporale sarebbero tra i 400 e 430 mila;
più di 130 mila vivono in condizioni di vulnera-
bilità sociale.
Ammonterebbero a più di 300 mila lavorato-
ri agricoli, circa 1/3 del totale degli addetti, che
lavorerebbero meno di 50 giornate all’anno.
Dato allarmante che emerge dal rapporto ri-
guarda la stima che quantifica in oltre 30 mila
il numero di imprese che ricorrerebbero alla
intermediazione illecita di manodopera trami-
Parliamo di Agromafie e Caporalato
Lo sfruttamento del lavoro immigrato, ma non
solo, in ambito del settore agricolo, come pure
in quello dell’edilizia e della logistica, sotto for-
ma del cosiddetto fenomeno del caporalato, sta
evidentemente assumendo connotati di vera e
propria emergenza nazionale.
Ciò è in parte spiegabile con il fatto che
alcune attività lavorative, particolarmente
faticose e scarsamente gratificanti, vengono
svolte utilizzando, sempre più, manodopera
immigrata, sia regolare che irregolare, pre-
sente nel nostro Paese, grazie pure ad un co-
stante flusso di immigrazione proveniente sia
dai Paesi dell’Africa nord e sud sahariana, che
dall’est europeo, come pure dai Paesi orientali,
che ormai da oltre un ventennio rappresenta
una costante capace di fornire quel bacino di
forza lavoro utilizzato da imprese ed aziende
Caporalato dixit
Il Capor(alato) vola troppo in alto…
di Stefano Olivieri Pennesi [*]
4 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
te le figure dei caporali, ossia
¼ del totale delle aziende del
territorio nazionale.
E sottolineo nazionale in
quanto la piaga del Capora-
lato, è ormai appalesato, non
vede esclusa nessuna parte
del nostro Paese, anche se
forse nel meridione d’Italia
questa pratica di illecita in-
termediazione del lavoro si
data più lontano del tempo e
con ramificazioni più artico-
late e profonde.
La mappa delle Regioni
del nostro Paese dove lo stru-
mento del caporalato assume
indici di rilevante gravità ri-
sulta sempre più vasta. Come
detto sopra, non solo quindi le storiche Regioni
del meridione come: Basilicata, Calabria, Cam-
pania, Puglia, Sicilia, ma anche e sempre più
diffusamente è presente in Emilia Romagna,
Lombardia, Piemonte, Toscana; territori tut-
ti accomunati da uno sfruttamento selvaggio,
dove i lavoratori non hanno nessuna tutela,
nessun diritto garantito da contratti e da leggi,
nessun welfare. Dove la paga varia tra 2 e 4
euro l’ora, vale a dire 20/30 euro al giorno svol-
gendo dalle 8 alle 12 ore di lavoro continuativo
giornaliero. Situazione questa se possibile ul-
teriormente negativa per le lavoratrici donne,
anch’esse oggetto di sfruttamento da parte dei
caporali, ma penalizzate maggiormente, da pa-
ghe inferiori anche del 20% rispetto agli impor-
ti già inadeguati corrisposti agli uomini.
Non secondario, rispetto ad uno sfruttamen-
to immorale, il fatto che vengano sottratti a
questi lavoratori il costo del trasporto da e per
i terreni agricoli, in media 5 euro al dì. Come
pure il costo che i lavoratori si vedono decurta-
re dalle paghe percepite, già da fame, relativo
all’acqua 1,5 euro o per un panino circa 3 euro.
Altro dato significativo emerso nel rapporto
annuale risulta che nel 2017 a fronte di circa
1.000.000 di addetti in agricoltura, regolari, i
cittadini immigrati lavoratori sono complessi-
vamente oltre 280.000 vale a dire quasi 1/3, ri-
partiti sostanzialmente al 50% tra comunitari e
non comunitari.
Con questi dati è di tutta evidenza come in
questo comparto produttivo il lavoro immigrato
risulti essere elemento fondamentale e irrinuncia-
bile, almeno quello bracciantile. Ovviamente tale
situazione non deve confondersi come il bisogno
altrettanto indispensabile di disporre di forza la-
voro “regolare” sia essa autoctona che immigrata.
Lo Stato di diritto non può e non deve consen-
tire lo sfruttamento di uomini al limite della
schiavitù, con l’aggravante dello stato di biso-
gno e principalmente coloro che soggiacciono
in quanto presenti irregolarmente nel nostro
Paese.
In primo luogo si dovrebbe quindi compri-
mere, alla radice, quel bacino di forza lavoro
irregolare immigrata, attuando politiche chiare
di contrasto alla malavita, contestualmente al
deciso e legale controllo delle frontiere marit-
time e terrestri, limitando in tal modo un uso
indiscriminato di uomini e donne in stato di bi-
sogno, facile preda di organizzazioni criminose,
come pure di imprenditori unicamente asservi-
ti al mero guadagno e agli utili basati principal-
mente sullo sfruttamento lavorativo.
Sempre la ricerca qui menzionata si soffer-
ma sull’economia illegale di settore, successi-
vamente all’applicazione della già citata legge
199/2016 contro il caporalato.
Nel Paese l’economia “non osservata” è sti-
mata in oltre 200 miliardi di euro, il lavoro irre-
golare vale circa 77 miliardi e incide per il 15%
circa sul valore di comparto agricolo. Come det-
to sopra il business del lavoro irregolare e del
caporalato in agricoltura assommerebbe a circa
5 miliardi. L’evasione contributiva si avvicina a
circa 2 miliardi di euro.
Un discorso a se stante va fatto relativamen-
te al contesto dove si inserisce agevolmente e
si ramifica il fenomeno qui trattato del capo-
ralato. L’ambiente naturale è rappresentato da
quelle masse di lavoratori immigrati e special-
mente quelle irregolari soggiogate da violenze,
minacce, intimidazioni, e se donne spesso an-
che vittime di ricatti sessuali e ogni sorta di
vessazioni.
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 5
Uomini e donne che vivono in stato di assoluto
degrado assiepati in baraccopoli o tendopoli in
assenza di servizi igienici, corrente elettrica,
acqua potabile, in definitiva vere e proprie con-
dizioni disumane.
Ma questioni parallelamente rilevanti pos-
sono evincersi anche dalla eccessiva diffusio-
ne dei sodalizi cooperativi non propriamente
genuini, mi riferisco alle cosiddette “coope-
rative spurie”, dove il criterio fondamentale
della “mutualità” diffusa viene declinato im-
propriamente in gestione aziendalistica dove
la partecipazione alle scelte aziendali e alla
condivisione dei risultati economici è assente,
da parte appunto di tutti i soci, e anzi questi
pur essendo figurativamente appartenenti al
corpo sociale risultano svolgere di fatto funzio-
ni da puri lavoratori dipendenti. Come pure i
componenti dell’organo direttivo o CdA, così
come il presidente, solo fittiziamente risulta-
no soci di queste Coop. definibili spurie, ma di
fatto assurgono a ruoli decisori e quindi di ef-
fettivi imprenditori e titolari di azienda.
Molto frequentemente queste cooperative
(non cooperative) alle loro azioni illecite as-
sommano anche la fornitura di manodopera,
in maniera illegittima, usando proprio il si-
stema della “somministrazione” illecita e non
consentita.
Altro punto caldo, rispetto alla pervasività
del sistema caporalato, è rappresentato dalla
capacità di infiltrazione delle varie mafie, in-
terne ed esterne, (quali Bulgara, Rumena, Al-
banese) che allungano i loro tentacoli fin den-
tro il circuito dei “centri di accoglienza” o anche
centri di identificazione ed espulsione, dove
reperire stranieri privi di permesso di soggior-
no, ovvero immigrati in attesa dello status di
rifugiati o anche richiedenti asilo, è gioco facile,
soprattutto per la loro evidente disponibilità e
ricattabilità.
Combattere Il Caporalato
È proprio una attenta riflessione su questi
aspetti che dovrebbe condurci alla consapevo-
lezza che una efficace lotta al caporalato deve
poter essere condotta sul campo. Bisogna poter
incidere, per così dire, sulle relazioni umane
che si creano sul lavoro e per il lavoro.
Esiste anche una oggettiva stratificazione
culturale che in un certo senso “giustifica” il ca-
poralato (bianco), quand’anche non connotato
da intollerabili e ingiustificabili comportamen-
ti vessatori, violenti, oppressivi, inumani, che
però sempre più frequentemente emergono dai
report sulle azioni condotte dagli uomini delle
forze dell’ordine e delle istituzioni che contra-
stano questa piaga.
I maggiori risultati che si ottengono, è fa-
cile immaginarlo, sono strettamente connessi
con la capacità di ribellarsi allo sfruttamento
selvaggio, attuato con metodi schiavistici nei
confronti di uomini e di donne utilizzati nelle
nostre campagne, e quindi fare denunce presso
l’Ispettorato del lavoro ovvero presso le stazio-
ni dell’Arma dei Carabinieri o comandi della
Guardia di Finanza o uffici della Polizia di Sta-
to.
Esiste anche, è bene dirlo, tra chi fa impre-
sa agricola, un approccio di tolleranza al fe-
nomeno, che ha evidenti radici culturali, dove
sovente il caporalato (quello sopra indicato co-
raggiosamente e forse impropriamente bianco)
si giustifica nella misura in cui lo stesso riesce
ad incardinarsi nelle organiz-
zazioni della filiera di settore,
come elemento necessario.
Reperire manodopera alla
bisogna, a secondo degli an-
damenti climatici, produttivi,
economici, risulta essere ele-
mento determinante per le im-
prese agricole. Organizzare il
lavoro nei campi, controllare le
squadre di raccolta, governare
i quantitativi di produzione, e
altro, possono risultare tutti
incarichi che si delegano inop-
portunamente alle cosiddette
“figure di riferimento” quali
proprio i caporali.
In questo contesto una
possibile “emancipazione” da
6 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
parte delle sottostanti masse
di braccianti agricoli (quan-
do sfruttati all’inverosimile)
deve rappresentare obiettivo
comune per tutti gli attori in
campo.
In questo considererei
cruciale il nesso tra legalità
diffusa e lotta al fenomeno
caporalato. Queste forme di
sfruttamento hanno avuto la
capacità di far perpetuare ed
amalgamare sistemi “arcaici”
di procacciamento di forza
lavoro, ricorrendo alla figura
dei cosiddetti storici “media-
tori-sensali” da parte dei pro-
prietari terrieri latifondisti,
principalmente presenti fin
dall’800, e in epoca moderna con un sistema
incrementatosi dopo il secondo dopoguerra, in
particolare nel mezzogiorno d’Italia, con nuove
forme di intermediazione illecita di manodo-
pera. Ciò è avvenuto mettendo in atto “attivi-
tà” con organizzazioni e metodi criminali che
hanno saputo infiltrare, in maniera globale,
le grandi produzioni e filiere agro-alimentari,
pervadendo in tal modo, nel nostro caso l’intero
territorio nazionale, canalizzando e gemellan-
do, saldandosi, sodalizi malavitosi interni ed
esterni.
Per tali ragioni osserviamo, avendone diret-
ta conoscenza, che le varie Direzioni distrettuali
antimafia, come pure la stessa Direzione nazio-
nale, siano impegnate in una strenua e capillare
lotta sempre più concentrata a debellare il feno-
meno caporalato, ma più in generale il sistema
connesso delle così definite “Agromafie”.
Da questo osservatorio previlegiato della
Direzione antimafia è facile quindi esaminare
come il sistema articolato di sfruttamento del-
la forza lavoro in agricoltura, nel nostro Paese,
si sia profondamente ramificato ed anzi in più
casi si è potuto accertare che sempre più spes-
so opera un “sistema multiplo di caporali” in
stretta connessione tra loro e con connessioni
e contaminazioni con clan e famiglie mafiose,
dove si canalizzano intese per attuare una sor-
ta di “transumanza” stagionale e settoriale di
braccia, al fine di sfruttare forza lavoro a prezzi
irrisori, ricorrendo senza remore anche a siste-
mi di vero e proprio neo schiavismo.
È quindi in questo ambito che vanno con-
centrati ogni utile sforzo promuovendo siste-
mi di “tutela e protezione” per coloro (ancora
troppo pochi siano lavoratori che imprenditori)
che trovano il coraggio per denunciare presso le
Istituzioni tali forme estreme di sfruttamento e
oppressione dei lavoratori.
Continuando nelle nostre riflessioni giusto
rilievo deve destinarsi alla consapevolezza del-
le istituzioni che il fenomeno caporalato muove
nel nostro paese centinaia di migliaia di brac-
cianti sia uomini che donne. Lavoratori per lo
più stranieri sia comunitari che extracomuni-
tari, ma anche autoctoni, molto spesso prove-
nienti come detto dall’Africa, da est europeo e
oriente. Tutti sono accomunati da un estremo
stato di bisogno e per questo costretti a vivere
(soprattutto gli stranieri) in condizioni disuma-
ne presso accampamenti di fortuna quali veri
e propri ghetti ma anche casolari fatiscenti e
abbandonati disseminati nelle campagne.
È opportuno anche rammentare come a li-
vello di Prefetture, al fine di attivare efficaci
politiche territoriali di contrasto al caporalato,
si siano costituite apposite “cabine di regia” ne-
cessarie in primo luogo proprio per monitorare
i flussi migratori della manodopera presenti in
ambiti provinciali e regionali.
Tali cabine vedono operare insieme le or-
ganizzazioni sindacali, le parti datoriali e di
rappresentanza di categorie, l’ispettorato del
lavoro, le aziende sindacali, le associazioni di
volontariato, le Caritas, la Croce Rossa, le for-
ze dell’ordine, le istituzioni locali, e ovviamente
con il coordinamento dei Prefetti.
Esempi in tal senso, quali buone pratiche,
sono proprio le Prefetture maggiormente inte-
ressate dal fenomeno ossia: Foggia, Potenza,
Taranto, Reggio Calabria, Lecce, Caserta, solo
per citarne alcune.
Giusto sarebbe quindi un più stretto colle-
gamento tra le varie realtà operanti con queste
“cabine di regia” territoriali, al fine di condivi-
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dere con un proficuo scambio di notizie, in fun-
zione di buone pratiche attuate, tali esperienze.
Uno dei punti critici comunque emersi nel-
le sopra menzionate cabine di regia prefettizie,
è sicuramente il fattore “trasporto” della for-
za lavoro per raggiungere gli appezzamenti di
terreni coltivati. Gli ultimi tragici accadimenti
avvenuti nello scorso mese di agosto, sulle stra-
de del territorio Foggiano, dove hanno perso la
vita, in due distinti incidenti, ben 16 braccianti,
ne sono l’esempio plastico.
Furgoni, autovetture, van, pulmini, vengono
usati in modo massivo nel trasporto delle per-
sone da parte dei caporali. Mezzi inadeguati,
fatiscenti, riempiti all’inverosimile, con adatta-
menti che ne aumentano la capienza di fatto.
Non dotati evidentemente di polizze assicurati-
ve come pure di regolari documenti di proprietà
e circolazione. Insomma, delle vere e proprie
trappole mortali che si aggirano soprattutto
in strade secondarie sterrate di campagna, per
eludere appositamente i controlli da parte delle
forze dell’ordine. Quelli che si riescono ad inter-
cettare e fermare e sovente a requisire sono di
fatto una minima parte; qui si dovrebbero per-
tanto intensificare e concentrare tutti gli sforzi
possibili per i sequestri conseguenti.
Sempre per menzionare delle buone prati-
che, presenti tra le Istituzioni pubbliche, fi-
nalizzate al contrasto efficace del Caporalato,
mi preme menzionare, essendone stato, chi
scrive, uno dei protagonisti, il Protocollo d’in-
tesa sottoscritto lo scorso luglio 2018, voluto
dalla Procura della Repubblica di Matera, ap-
provato unitamente con: Ispettorato del lavo-
ro di Potenza e Matera, Inps, Inail, Comandi
Provinciali dei Carabinieri e della Guardia di
Finanza.
Con tale Protocollo si intende contrastare, in
maniera più cogente, il fenomeno del Capora-
lato, particolarmente diffuso nella provincia di
Matera, nel settore agricolo e che vede quindi
molto esteso anche il fenomeno dell’utilizzo dei
lavoratori extracomunitari spesso occupati ir-
regolarmente e/o sfruttati.
Data la gravità della situazione è apparso
indispensabile, con tale atto di intesa, unifor-
mare la condotta da assumere da parte dei fun-
zionari di vigilanza civili e militari, nonché as-
sicurare il coinvolgimento costante e metodico,
per specifici profili di competenza, Carabinieri,
Guardia di Finanza, Istituto Previdenziale e
Assicurativo, nonché Ispettorato del lavoro, se-
gnalando tempestivamente, ed in maniera pun-
tuale, alla medesima Procura della Repubblica,
i possibili risvolti di natura penale riscontrati
durante le attività di Polizia Giudiziaria svolte.
Altro aspetto di rilevante impatto per con-
trastare efficacemente la piaga caporalato è
rappresentato da un più accorto e reale governo
della “rete dei centri di accoglienza” migranti,
ovvero i centri di ospitalità per rifugiati richie-
denti asilo.
Questi luoghi rappresentano evidentemen-
te, un bacino di riferimento per poter attingere
a quella forza lavoro, a bassissimo costo, (ne-
cessaria comunque per il nostro sistema agrico-
lo) sfruttando lo stato di reale bisogno e quindi
anche la conseguente ricattabilità degli immi-
grati in attesa di regolarizzare le loro posizioni
col rilascio di documenti di soggiorno.
È qui il caso ricordare che specificamente
per i richiedenti asilo, comunque è prevista la
loro “occupabilità” trascorsi almeno 60 giorni
dalla relativa istanza presentata alle nostre
autorità.
Riterrei ora azzardare una
affermazione forte, ossia che
il Caporalato e il suo contra-
sto, in senso ampio, non può
legarsi esclusivamente alla
coesistente emergenza immi-
grazione, che vive da alcuni
anni il nostro Paese, anche se
il tema immigrazione e con-
trollo delle frontiere assur-
ge a fondamentale elemento
politico, sociale ed economico
per il governo della nazione.
Si tratta infatti, altresì, di
affrontare le questioni legate
al salario o più precisamente
al sotto salario ossia ai trat-
tamenti retributivi minimi
previsti dai contratti collet-
8 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
tivi di lavoro di settore, na-
zionali come pure provinciali.
Ciò ovviamente senza distin-
zioni tra lavoratori stranieri
o autoctoni.
Il rispetto dei contratti per
tutti, rimane l’unico presidio
a garanzia per le tutele indi-
viduali e collettive. Lo sfrut-
tamento del lavoro, sovente,
non ha distinzioni di nazio-
nalità, razza, colore, genere,
religione, è solamente “atito-
lato” e privo di qualsivoglia
etica o moralità.
A puro scopo divulgativo
e conoscitivo si ritiene utile
citare l’importante iniziati-
va, (prima in Italia) assunta
alcuni mesi orsono dai Prefetti di Potenza e di
Matera e dal Direttore dell’Ispettorato nazio-
nale del lavoro della Basilicata, che concerne
la stipula di uno specifico “Protocollo di inte-
sa” avente lo scopo di monitorare i centri di
accoglienza permanenti e temporanei della
Regione, attivando giuste sinergie tra le di-
verse Amministrazioni pubbliche coinvolte a
vario titolo nella gestione del fenomeno immi-
grazione.
Le attività si esplicano mediante controlli
congiunti da svolgersi con personale delle Pre-
fetture, Ispettori del lavoro e uomini del Nil nu-
clei ispettivi dell’Arma dei Carabinieri, coadiu-
vati da personale delle aziende sanitarie e altre
Amministrazioni.
Altro aspetto significativo, che merita giusta
attenzione, è certamente quello che riguarda il
funzionamento dei Centri per l’Impiego pubbli-
ci, di fatto non trascurabile in quanto rappresen-
ta l’humus ideale dove si innesta agevolmente,
a causa di evidenti carenze ed inefficienze, la
cosiddetta intermediazione illecita di manodo-
pera messa in atto soprattutto dai caporali.
È un fatto che il nostro sistema paese di-
fetta gravemente per quanto attiene l’incontro
tra domanda e offerta di lavoro. Gli attuali cir-
ca 550 Centri per l’Impiego (un dato numerico
dinamico a causa di chiusure e/o accorpamenti
causati da pensionamenti e mancati turn over
di personale) intermediano soggetti occupabili
in una percentuale che oscilla tra il 3% e il 5%
per posti di lavoro reperiti. Questo evidente-
mente rappresenta un territorio di conquista
non solo per le Agenzie di somministrazione
private e riconosciute dal sistema accrediti
dell’Anpal (e prima ancora dal Ministero del
lavoro), ma anche e soprattutto, in maniera
preoccupante, da chi svolge illecitamente tale
mediazione sul lavoro.
È certamente più agevole, da parte di chi fa
impresa, (in assenza di etica) soprattutto nel
settore agricolo, rivolgersi a figure terze (i ca-
porali) al fine di procacciarsi braccianti in ma-
niera estremamente flessibile a seconda degli
andamenti della produzione, pagare questo ser-
vizio “disinteressandosi” di chi a valle esegue
giornate bracciantili, al di fuori di ogni regola
e liceità.
Per tali ragioni però proprio le istituzioni
con gli uffici preposti, dovrebbero migliorare
le prestazioni del servizio pubblico, garanten-
do efficienza della propria azione. Avendo la
necessità, ad esempio, di istituire degli uffici o
sportelli temporanei, magari nei maggiori cen-
tri agricoli del Paese, in maniera più capillare
con mediatori culturali e personale “adeguata-
mente formato”, con banche dati aggiornate,
con l’implementazione di “liste di prenotazione”
formate anche grazie all’ausilio delle associazio-
ni di rappresentanza, dotate anch’esse di elen-
chi e banche dati aggiornati, come Coldiretti,
Confagricoltura, Cia, con i nominativi censiti di
lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti
nel Paese, anche stagionali; con verifiche circa
gli assolvimenti prevenzionistici e controlli su
certificazioni e visite mediche assolte valevoli
per congrui periodi.
Conclusioni
Il grande banco di prova per chi attualmente
ha la responsabilità di Governo nel nostro Pa-
ese, è certamente legato al prendere provvedi-
menti di contrasto al Caporalato, che siano al
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contempo in linea con il bisogno di ripristinare
in primo luogo la “dignità umana” che in troppe
zone rurali di questo Paese da sud a nord come
da est a ovest, si è dimenticata o peggio accan-
tonata.
Serve una decisa e sicura “abiura” da parte
delle migliaia di imprese ed aziende agricole
che devono essere chiamate responsabilmen-
te ad inibire complicità con un sistema che
favorisca il caporalato quale strada semplice
in uso anche per abbassare il costo del lavo-
ro aumentando il proprio profitto. E in questo
determinante potrebbe essere di certo il ruolo
pedagogico delle associazioni di rappresentan-
za del mondo agricolo (come in parte sta avve-
nendo).
Questo però in un’ottica globale del merca-
to influenza in modo palese l’intera filiera agro
alimentare, sostanziando pratiche sleali a tutti
i livelli che incidono, inevitabilmente, sulla le-
gittima concorrenza nel mercato.
Non da meno, però, è il comportamento
scarsamente etico dei grandi marchi e grup-
pi della filiera della grande distribuzione, che
anch’essa condizionata dal bisogno spasmodico
di abbassare i prezzi all’inverosimile costringe
i produttori a comprimere il costo dei fattori
della produzione e in primo luogo quello della
manodopera (esemplificativo il fatto che per
alcuni marchi che distribuiscono la passata di
pomodoro costi di più il contenitore bottiglia di
vetro che non il medesimo prodotto contenuto il
pomodoro); come anche rispetto alla stessa qua-
lità e genuinità del prodotto finale.
In questo quadro assume notevole valenza
la consapevolezza dell’utente acquirente che
dovrebbe poter scegliere prodotti “tracciabili”
magari beneficiando di una etichetta con indi-
cazioni puntuali obbligatorie, del prezzo medio
all’origine riconosciuto prima delle fasi di tra-
sformazione e distribuzione.
Un altro elemento qualificante e indispen-
sabile al tempo stesso, per una efficace lotta al
caporalato e contro lo sfruttamento dei lavora-
tori, è la disponibilità e gestione di Fondi Euro-
pei esplicitamente stanziati e destinati a tale
scopo.
Bene però sarebbe anche utilizzare parte
di tali fondi per programmi di formazione pro-
fessionale, per nuove professioni e recupero di
antichi mestieri, come pure per il sostegno sco-
lastico, progetti di alfabetizzazione e cultura
civica rivolto ai migranti lavorativi.
Detti finanziamenti europei hanno assunto
varie denominazioni: Fondi Fami emergenziale,
Pon Legalità, Pon Inclusione, Fami nazionale,
programma Pasim Ministero Interni, Progetto
Su.Pre.Me ecc.. Giusto sarebbe, ritengo, mette-
re a sistema e razionalizzare queste quantità
di denari comunitari (frutto, è importante dirlo,
del contributo di tutti i Paesi Comunitari ma
in particolare proprio del nostro Paese), mo-
nitorando attentamente la platea progettuale
rappresentata da Ministeri, Regioni, Enti lo-
cali, Prefetture, ecc. ed evitando ovviamente
usi distorti se non illeciti, o anche scarsamen-
te significativi, al solo scopo di alimentare so-
dalizi cooperativi o imprenditoriali che hanno
fatto dell’immigrazione, dell’accoglienza, dell’e-
mergenza umana, una vera e propria terra di
conquista e speculazione, quand’anche zona
franca, spesso sodale con organizzazioni di ma-
laffare e malavita, come ci hanno insegnato
recenti indagini e azioni della magistratura in
questo ambito.
Per concludere il caporalato è certamente
qualche cosa di antico e di moderno al tempo
stesso, con i suoi primi palesamenti nell’Italia
postunitaria. Periodicamente l’argomento tor-
na all’attenzione e in auge grazie a gravi fatti
di cronaca che risvegliano le nostre coscienze ed
il sentimento comune.
Il punto è che troppo superficialmente si
tende a sovrapporre tale problema con quello
dell’immigrazione. Il caporalato, come già ab-
biamo detto, non ha nazionalità, colore, genere,
è semplicemente sfruttamento iniquo della vita
umana allo stato puro, e perciò anche se feno-
meno antico, necessita di essere combattuto con
mezzi moderni e soprattutto basandosi su un
diritto di tutti di godere della dignità di uomi-
ni liberi, non oppressi, non asserviti, detentori
di una civile autodeterminazione quale valore
inestimabile per la nostra società moderna. n
[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, tito-lare della cattedra di “Sociologia dei processi economici e del lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del lavoro”. Di-rigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, Capo dell’Is-pettorato territoriale di Potenza-Matera
10 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
È amaro costatare che ogni volta che si verifica il triste evento delle morti bianche, il governo e il
ministro del lavoro di turno ripetono le solite affermazioni di condanna degli esecutivi precedenti rei
di aver contribuito al degrado della vigilanza e impegnative assicurazioni di soluzione del problema,
salvo poi lasciare le cose come prima. Anche il drammatico evento dei dodici lavoratori neri deceduti
nel foggiano questa estate, conseguenza diretta del triste fenomeno del caporalato così diffuso non
solo in quell’area, è stato l’occasione per le quasi identiche affermazioni.
Speriamo che questa volta si riesca a intervenire efficacemente, della qual cosa qualche dubbio
ce lo abbiamo grazie anche al contributo, forse involontario, del ministro che ci pare abbia affrontato
l’argomento con una certa superficialità nel dichiarare che il problema va messo sulla giusta strada
col potenziamento del numero degli ispettori. Ci è parsa la solita affermazione a effetto ma molto
superficiale, senza entrare nel vivo del problema. È vero che il politico deve saper sintetizzare le
problematiche di cui ha competenza e responsabilità istituzionale per sintonizzarsi nel migliore dei
modi con l’opinione pubblica ed è vero anche che gli ispettori del lavoro non sono mai abbastanza, ma
siamo convinti che il nodo da sciogliere sia molto, molto più complesso.
è aggiunto in molte realtà un conflitto latente
tra gli enti del settore che in alcuni uffici sfocia
nella non collaborazione se non addirittura in
un pericoloso ostruzionismo.
Il numero complessivo degli operatori nel-
le diverse realtà istituzionali è di circa 4.500
unità, cifra non molto distante dall’organico
previsto nei tre istituti considerando anche che
c’è un bando in itinere per l’assunzione presso
l’INL di altri 150 ispettori. Ma prima o in con-
temporanea, visti i tempi lunghi dei concorsi,
occorre porre rimedio all’attuale sistema, sosti-
tuendolo con un organismo unitario, qualunque
sia la soluzione istituzionale, dotato di una mo-
derna e razionale struttura e risorse finanzia-
rie adeguate per rendere al meglio l’attività e
per sanare le illogiche diseguaglianze esistenti
tre il personale che svolge identiche funzioni,
frutto avvelenato delle clientele politiche degli
anni passati. Insieme a tutto ciò si potrà rivede-
re l’organico per aumentare il personale anche
per sanare le carenze storiche di alcuni uffici.
Vogliamo ribadire, per inciso, che le riforme a
costo zero così diffuse nel settore pubblico non
servono a niente, rappresentano solo lo spec-
chietto per le allodole. È questa la nostra pro-
posta di sempre per migliorare il servizio ma se
qualcuno ne ha una migliore si faccia avanti e
presto. n
[*] Giornalista e scrittore. Consigliere d’Amministrazione della Fondazione Prof. Massimo D’Antona
Riguarda, per la verità, diversi aspetti la cui
soluzione rappresenta la precondizione per su-
perare l’attuale stato d’inefficienza, vale a dire
l’organizzazione del lavoro, le risorse finan-
ziarie in aggiunta a quelle umane. Per come è
strutturato l’attuale sistema ispettivo, esso non
funzionerebbe neanche se venissero raddoppia-
te, triplicate le unità ispettive, quelle ammini-
strative e di supporto o se avesse la migliore
dirigenza del mondo.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, infatti,
che trova la sua origine nello Jobs Act e fatto
passare dalla politica come la riforma del seco-
lo, è, invece, un vero e proprio aborto, una cre-
atura fuori dal mondo come il mitico ircocervo
o per dirla con un’efficace espressione popola-
re, né carne, né pesce. E ciò è la conseguenza
del fatto che il progetto originario, sicuramente
condivisibile, di riunire tutte le unità ispettive
e le risorse in un unico organismo è stato mo-
dificato nel suo iter parlamentare attraverso
un’efficace opera di sabotaggio da lobby interne
ed esterne mosse da meri interessi di parte.
Dietro la finzione formale dell’organismo
unico ognuno è rimasto a casa propria e il fal-
limento da noi temuto si è realizzato nella pra-
tica, basta costatare i risultati scadenti dopo
due anni di attività, un periodo adeguato per
una seria valutazione, nonostante l’impegno
dei dirigenti e del personale tutto. Un impegno
superiore e più gravoso del periodo ante rifor-
ma perché alle responsabilità verso l’utenza si
L’opinione
L’ircocervodi Fabrizio Di Lalla [*]
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 11
• ricevere le domande di accesso al reddito di
cittadinanza, prendere in carico tutti i soggetti
previsti dalla norma e gestire le relative proce-
dure;
• coordinare le attività degli enti che partecipa-
no allo svolgimento dei procedimenti e racco-
glierne i pareri;
• registrare – al fine dell’implementazione del libretto formativo elettronico del cittadino e
del fascicolo personale elettronico del cittadi-
no – della scheda anagrafico-professionale del cittadino nel sistema informatico nazionale per
l’impiego.
Reddito di cittadinanza e ruolo dei centri per l’impiego
nella prospettiva di riforma del M5S
La strategia di riforma delle politiche del lavoro del governo scaturito dalle elezioni politiche
dello scorso 4 marzo ha, quale elemento cardine la realizzazione del cosiddetto “reddito di
cittadinanza”. Il testo presentato al Senato dal Movimento 5 stelle nella scorsa legislatura (Disegno di
Legge n. 1148) prevedrebbe in realtà l’introduzione nel nostro ordinamento non tanto di un “reddito di
cittadinanza”, ma bensì di quello che viene in generale definito “reddito minimo garantito”, attraverso un meccanismo finalizzato – grazie a l’integrazione del reddito esistente o l’erogazione di un reddito tout court – a garantire a tutti i nuclei famigliari il superamento della “soglia di povertà”.
A prescindere da quali saranno i contenuti dell’eventuale futura proposta di legge della maggioranza,
uno degli aspetti di principale rilevanza riguarda gli enti a cui la legge dovrà demandare le funzio-
ni la cui esplicazione è necessaria per il raggiungimento delle finalità previste in materia di politiche attive. Nella “visione” del M5S, un ruolo strategico è assegnato al centro per l’impiego,
definito dall’articolo 5 del Disegno di Legge n. 1148 “la struttura che ha il ruolo di regia”, al quale verreb-
bero attribuiti i seguenti compiti:
La norma proposta riconosce ulteriori com-
piti – ad integrazione e supporto del ruolo
dei Cpi – a differenti enti, nello specifico:• le scuole, le università e i centri di forma-
zione, chiamati a certificare per via telematica sia l’assolvimento degli obblighi scolastici sia
le competenze certificate degli studenti;• le regioni, a cui viene attribuito il compito di
valutare la distribuzione del reddito e la strut-
tura della spesa sociale, e a fornire le statisti-
che sulla possibile platea dei beneficiari;• le agenzie formative accreditate, chiama-
te a fornire ai centri per l’impiego le informa-
zioni relative alla programmazione
dei corsi e dei percorsi formativi, e i
dati relativi alla certificazione delle competenze dei soggetti tramite la
struttura informativa centralizza-
ta.
La tematica dei sistemi informa-
tivi viene affrontata nell’’art. 6 del
Disegno di Legge n. 1148, nel quale
si individua nella “struttura infor-
mativa centralizzata” lo strumen-
to attraverso il quale i soggetti so-
pra descritti dovrebbero condividere
le loro banche dati al fine di rendere possibile l’implementazione del red-
dito di cittadinanza.
Politiche attive
e reddito di cittadinanza
Il ruolo strategico dei centri per l’impiego
di Gianluca Meloni [*]
12 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
La mancata modernizzazione
dei servizi pubblici per l’impiego
I compiti assegnati ai centri per l’impiego
nella visione del M5S – a prescindere dalle
specificità indicate nella proposta di legge sopra descritta - non sono, allo stato attuale,
assolvibili, e per essere resi tali richiedereb-
bero una serie di interventi, tesi a superare
innanzitutto due principali criticità.
La prima di carattere organizzativo e
strutturale: nel nostro paese il personale dei
centri per l’impiego è di poco superiore alle sei-
mila unità (solo per avere un termine di parago-
ne, in Francia sono poco meno di trentamila, nel
Regno Unito sessantasettemila e in Germania
settantaquattromila), con un rapporto tra disoc-
cupati registrati e operatori di 228 a 1. È evidente
che senza un forte investimento in risorse umane
o in innovazione tecnologica (con strumenti che
rendano davvero più agevole e veloce l’attività
degli operatori) gli obiettivi indicati nella propo-
sta del reddito di cittadinanza siano difficilmente raggiungibili: tali interventi richiedono non solo
risorse finanziarie considerevoli, ma anche una trasformazione organizzativa che necessita di
tempistiche non brevi.
Il secondo ostacolo attiene invece alla go-
vernance dei centri per l’impiego, i quali sono
di competenza regionale: qualsiasi percorso rifor-
matore necessita, di conseguenza, di un accordo
tra tutte le regioni. In base al Titolo V della Costi-
tuzione – la cui revisione fu approvata con la Leg-
ge Costituzionale n° 3 del 2001 – le Regioni hanno
infatti una competenza concorrente con lo Stato in
materia di mercato di lavoro: sul piano operativo,
tuttavia, le Regioni esercitano una competenza
pressoché esclusiva, in virtù del D.Lgs. 23 dicem-
bre 1997, n. 469, il quale attribuisce alle stesse
ampie funzioni in materia di organizzazione dei
servizi per l’impiego, di collocamento e di politica
attiva del lavoro.
Di fatto, nel nostro paese esistono ventuno si-
stemi pubblici per l’impiego, con politiche del lavo-
ro e sistemi informativi caratterizzati da notevoli
differenze e spesso non dialoganti tra di loro.
Negli ultimi vent’anni, successivamente all’ap-
provazione della Legge n. 469/1997, si sono sus-
seguite una serie di riforme del lavoro, le quali
hanno “lambito” ma non cambiato l’organizzazio-
ne e le funzioni dei servizi pubblici per il lavoro e
l’incisività delle politiche attive: in questo lasso di
tempo sono state realizzate riforme che ci resti-
tuiscono un quadro costituito da diverse trasfor-
mazioni – apertura del mercato agli intermediari
privati, modernizzazione del sistema dei contratti
di lavoro, realizzazione del SIL – ma anche da no-
tevoli ritardi.
Da ultima, la Legge delega 183/2014 aveva,
tra le proprie finalità principali, l’obiettivo di ri-definire le modalità di gestione delle politiche del lavoro, ma la mancata approvazione della ri-
forma costituzionale, nel cui ambito era pre-
vista la modifica del Titolo V, ha restituito una riforma del mercato del lavoro depoten-
ziata.
Alla luce della bocciatura della riforma
costituzionale, anche il ruolo dell’Anpal re-
sta di difficile collocazione, tra un dettato nor-
mativo che – in via teorica – attribuisce all’agen-
zia ampie funzioni di coordinamento sui servizi
per il lavoro, e una realtà la quale, anche a causa
della mancata attuazione di quanto previsto dal
Jobs Act in materia di politiche attive del lavoro,
relega l’agenzia ad un ruolo di marginalità.
Il mantenimento della distinzione organizzati-
va tra l’Anpal e i servizi per l’impiego territoriali,
i quali restano di competenza regionale, non con-
sente la realizzazione di quelle funzioni di coor-
dinamento e di valutazione sui livelli di servizio
dei centri per l’impiego che la norma ha attribuito
all’Agenzia nazionale.
È evidente che i ritardi nella modernizza-
zione dei centri per l’impiego non possono,
quindi, essere ricondotti esclusivamente a
una spesa insufficiente o al limitato apporto di personale; esistono problematiche “struttu-
rali” – di seguito descritte – che se affrontate e
superate possono consentire un notevole miglio-
ramento qualitativo dei servizi offerti a lavoratori
e aziende:
• Un assetto normativo che non prevede adegua-
ti meccanismi in grado garantire standard vin-
colanti per i servizi per l’impiego, sia riguardo
alle tempistiche di erogazione dei servizi, sia
relativamente alla misurazione delle presta-
zioni e della loro efficacia. A tale riguardo è in-
tervenuto il Jobs Act (in particolare attraverso
i LEP), ma gli obiettivi indicati dalla norma
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 13
devono essere recepiti e attuati a livello regio-
nale. Nello specifico, l’articolo 11 del D.Lgs, 150/2015 prevede che, allo scopo di garantire
livelli essenziali di prestazioni attraverso mec-
canismi coordinati di gestione amministrativa,
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
stipuli, con ogni regione e con le province au-
tonome di Trento e Bolzano, una convenzione
finalizzata a regolare i relativi rapporti e ob-
blighi in relazione alla gestione dei servizi per
il lavoro e delle politiche attive del lavoro nel
territorio della regione o provincia autonoma.
• La mancanza di una piena gestione integrata
tra politiche attive e politiche passive, a ini-
ziare dalla previsione di meccanismi di condi-
zionalità nell’erogazione dei sussidi di disoc-
cupazione. A tale proposito occorre investire e
rendere efficace l’assegno di ricollocazione.• L’incapacità di realizzare una trasformazio-
ne culturale dei centri per l’impiego, che sono
rimasti ancorati a pratiche e metodi tipici de-
gli uffici pubblici, attenti più a meccanismi e tempi delle pratiche burocratiche piuttosto che
alla mission di garantire servizi.
• La mancata realizzazione di una piattaforma
informativa integrata, capace di garantire da
un lato la gestione delle pratiche amministra-
tiva, dall’altro di essere un efficace supporto all’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Gli obiettivi di innovazione tecnologica previsti
dal Jobs Act, a iniziare dal sistema informativo
unitario per le politiche attive, non sono stati
realizzati.
Le misure previste nel Jobs Act avrebbero dovuto
consentire, nelle intenzioni del legislatore, il su-
peramento dei ritardi sopra descritti: il disegno
complessivo di rafforzamento delle politiche
attive del lavoro, che costituiva parte essen-
ziale di tale riforma, è però rimasto privo
degli strumenti che avrebbero dovuto darne
pienamente corso.
Centri per l’impiego:
innovare per sopravvivere
È evidente che senza un forte investimento in
risorse umane e in innovazione tecnologica
(con strumenti che rendano più agevole e veloce
l’attività degli operatori) i centri per l’impiego non
saranno in grado di rispondere efficacemente a tali sfide. Queste ultime però possono essere il pun-
to di svolta da cui fare iniziare un ripensamento
del ruolo dei servizi pubblici, e della loro mission,
in particolare con riferimento a quei contesti nei
quali gli operatori privati non sono in grado o non
vogliono intervenire perché estranei al loro busi-
ness (come ad esempio l’alternanza scuola lavoro).
L’attribuzione di nuove funzioni ai cen-
tri per l’impiego in assenza di nuovi investi-
menti rischia di aumentarne la marginalità:
è necessario che il legislatore operi in tempo
rapidi una ridefinizione del loro ruolo stra-
tegico – che è mancata nel Jobs Act – scegliendo
se questi ultimi debbano agire su un piano di com-
petizione con le agenzie per il lavoro, oppure se la
scelta debba essere quella della collaborazione e
dell’integrazione tra pubblico e privato. Nel primo
caso occorrerebbe costruire un percorso progres-
sivo di fuoriuscita dei servizi per l’impiego dalla
Pubblica Amministrazione, nel secondo caso i Spi
dovrebbero invece trasformarsi in un’infrastrut-
tura di servizi con compiti distinti da quelli attua-
li e dalle funzioni delle agenzie private.
Per consentire il pieno dispiegamento delle
politiche attive occorre una rete di servizi per il
lavoro, pubblici e privati, in grado di garantire ai
soggetti privi di occupazione un sostegno qualifi-
cato, e questo obiettivo non si raggiunge soltanto
inserendo nuove risorse più qualificate nei Cpi, ma anche con un mutato approccio degli operatori
e con la capacità di questi ultimi di dialogare e di
“fare rete” con i soggetti del territorio (scuole, uni-
versità, aziende, associazioni di categoria).
È possibile migliorare le performance dei
servizi pubblici per l’impiego - e metterli in
grado di gestire efficacemente le politiche attive e, eventualmente, il reddito di citta-
dinanza – soltanto con immissioni di nuovo
personale e ingenti investimenti finanziari? No, se non si ha la capacità di coniugare
due percorsi, uno di carattere organizzativo,
l’altro di natura tecnologica.
Con riferimento all’organizzazione dei servi-
zi, si potrebbe valutare la possibilità di trasferi-
re all’Inps le funzioni amministrative dei Cpi,
rispondendo in tale modo all’esigenza di una ra-
zionalizzazione dei compiti dei servizi pubblici per
l’impiego, i quali – nel contesto di tale prospettiva
– verrebbero ri-orientati verso una mission esclu-
siva di promozione e gestione delle politiche attive
14 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
del lavoro. Prima di qualsiasi intervento, è però
necessario risolvere “preventivamente” il nodo
della dualità tra Stato e regioni: la Conferenza
Stato, regioni e province autonome in questi anni
non ha dato prova di essere un organismo capace
di scelte rapide ed efficaci – né sembra idoneo a realizzare una ripartizione di competenze chiara-
mente definita.Una simile ipotesi però può funzionare in modo
efficace soltanto se si realizza una trasformazione culturale e organizzativa dei Spi e se si realizza
una piena integrazione, nell’ottica della completa
interoperabilità, tra i sistemi informativi di tutti
i soggetti pubblici che operano nel mercato del la-
voro, fino a prospettare la realizzazione di una
vera e propria “piattaforma 4.0”. L’efficace utilizzo delle moderne tecnologie informati-
che è il secondo nodo da cui passa la moder-
nizzazione dei servizi per l’impiego.
Il Sistema informativo unico delle politiche
del lavoro, previsto nel Jobs Act, è rimasto sulla
carta, e l’analoga “struttura informativa centra-
lizzata” indicata dalla proposta normativa del
M5S, attualmente non è stata né implementata,
né progettata, e richiede percorsi e soluzioni orga-
nizzative particolarmente complessi.
L’obiettivo della realizzazione del porta-
le nazionale delle politiche del lavoro pre-
visto dal D.Lgs. 150/2015 è lungi dall’essere
realizzato, e il Portale Anpal sembra ancora un
contenitore destinato a restare estraneo alle reali
esigenze del mercato del lavoro. A tale proposito,
un ulteriore elemento di forte criticità è rappre-
sentato dalla mancata previsione dei meccanismi
che consentirebbero ai SIL oggi, e domani
al sistema informativo unico delle politiche
del lavoro, di dialogare pienamente con i si-
stemi web di incontro tra domanda e offerta
di lavoro pubblici: nella situazione attuale vi
è infatti una netta separazione tra i sistemi in-
formatici deputati alla gestione amministrativa
delle attività dei servizi per l’impiego e i portali
di intermediazione tra lavoratori e aziende, e lo
stesso portale Anpal, così come Cliclavoro – seb-
bene quest’ultimo preveda nel suo funzionamento
il conferimento allo stesso delle richieste di lavo-
ro dei centri per l’impiego – costituisce un’entità
separata, “altra” rispetto alla rete territoriale dei
servizi per il lavoro pubblici. I quali, guarda caso,
sono i soggetti che concretamente gestiscono le po-
litiche attive.
Relativamente alle pratiche amministra-
tive, oggi esistono gli strumenti informatici che
garantiscono la possibilità, per gli utenti che ne
sono in grado e lo desiderano, di iscrizione ai Spi,
di prima analisi del CV e di fruizione dei servizi
di incontro domanda/offerta di lavoro direttamen-
te dal web, senza doversi recare fisicamente presso un centro per l’impiego: questo potreb-
be liberare una buona percentuale di operatori da
tali mansioni, consento agli stessi di occuparsi di
altri servizi. Analoghi servizi possono essere offer-
ti dal lato delle aziende.
La realizzazione del fascicolo elettronico
del lavoratore, previsto nel Jobs Act e richia-
mato nella proposta del M5S, sarebbe di indubbia
utilità: a tale fine è necessario che il legislatore ne individui le modalità operative di realizzazio-
ne in modo stringente, al fine di evitare che tale strumento resti soltanto sulla carta, come prece-
dentemente accaduto con il libretto formativo del
cittadino.
Dalla capacità di affrontare i nodi sopra
descritti dipende la possibilità per i servi-
zi pubblici per l’impiego di uscire dalla loro
condizione di marginalità, di aumentare la loro
forza attrattiva nei confronti delle persone senza
lavoro - in particolare di coloro che non si sono mai
rivolti ad un Cpi o addirittura hanno rinunciato a
cercare un’occupazione - e di divenire
finalmente soggetti in grado di pro-
muovere le politiche attive del lavoro,
in una prospettiva che deve essere
finalizzata non solo ad “assistere” le persone nella gestione delle pratiche
amministrative della disoccupazione
o all’elargizione di sussidi finanziari, ma anche, e soprattutto, a supportare
gli inoccupati e i disoccupati nel loro
percorso di inserimento e reinseri-
mento nel mercato del lavoro. n
[*] Consulente senior Mercato del lavo-ro e IT della e-land s.r.l. di Reggio Emilia (www.e-land.it). Blog: www.innovazionelavoro.it
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 15
Gli eredi dei voucher con la manovra
correttiva: Libretto Famiglia e contratto
di prestazione occasionale
L’eliminazione dei voucher è avvenuta a seguito
del D.L. n. 25 del 17 marzo 2017 recante “Dispo-sizioni urgenti per l’abrogazione delle disposizioni in materia di lavoro accessorio nonché per la modi-fica delle disposizioni sulla responsabilità solidale in materia di appalti”, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 64 del 17 marzo 2017. I voucher richie-
sti alla data di entrata in vigore del decreto po-
tevano essere utilizzati fino al 31 dicembre 2017.
La Legge n. 96 del 21 giugno 2017, pubblicata nel-
la Gazzetta Ufficiale n. 144 del 23 giugno 2017, ha convertito il D.L. n. 50 del 24 aprile 2017 (c.d.
Manovra Correttiva) nell’ambito del quale è stato
Introduzione
In data 7 agosto 2018 il Senato, dopo un delicato iter parlamentare, con 155 voti favorevoli, 125 contrari
e un astenuto, ha approvato la conversione in legge, con modificazioni, del D.L. n. 87 del 12 luglio 2018, il c.d. Decreto Dignità, recante “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”.
La Legge n. 96/2018 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 11 agosto 2018, è entrata in vigore il 12 agosto 2018.
Tra le varie novità introdotte, la legge di conversione è intervenuta anche sul regime delle prestazioni
occasionali, apportando alcune modifiche all’art. 54 bis del D.L. 50/2017.
introdotto l’art. 54 bis recante la “Disciplina delle prestazioni occasionali. Libretto Famiglia. Con-tratto di prestazione occasionale”.
Il Libretto Famiglia, riservato ai privati (per-
sone fisiche al di fuori dell’esercizio dell’attività professionale o d’impresa), può essere utilizzato
per prestazioni di lavoro occasionale solo nell’am-
bito dei lavori domestici, di giardinaggio, di puli-
zia o di manutenzione, nell’insegnamento priva-
to supplementare e nell’assistenza domiciliare a
bambini, anziani e disabili.
Il contratto di prestazione occasionale può inve-
ce essere utilizzato da professionisti, lavoratori au-
tonomi, imprenditori, associazioni, fondazioni e da
altri enti di natura privata, oltre che dalle ammi-
nistrazioni pubbliche (nei limiti di cui al comma 7),
ad eccezione delle imprese dell’edilizia ed affini, im-
prese esercenti attività di escavazione o lavorazione
di materiale lapideo, imprese del
settore delle miniere, cave e tor-
biere, nell’ambito dell’esecuzio-
ne di appalti di opere e servizi,
da parte degli utilizzatori che
hanno alle proprie dipendenze
più di cinque lavoratori subor-
dinati e dalle imprese agricole,
salvo che per le attività rese dai
soggetti di cui al comma 8 pur-
chè non iscritti nell’anno prece-
dente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
Sia per il Libretto Famiglia che
per il contratto di prestazione
occasionale, i limiti economici
previsti nel corso di un anno
civile sono i seguenti:
Le novità del Decreto Dignità
sulle prestazioni occasionalidi Marica Mercanti [*]
16 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
• compensi di importo non superiore complessi-
vamente a 5.000 euro per ciascun prestatore di
lavoro, con riferimento alla totalità degli utiliz-
zatori;
• compensi di importo complessivamente non
superiore a 5.000 euro per ciascun utilizzatore,
con riferimento alla totalità dei prestatori di
lavoro;
• compensi di importo non superiore a 2.500
euro per le prestazioni complessivamente rese
da ogni prestatore di lavoro in favore del me-
desimo utilizzatore, che non possono comun-
que superare il limite di durata pari a 280 ore
nell’arco dello stesso anno civile.
Dibattito sui voucher
Alla base delle criticità emerse in Parlamen-
to in merito ad una ipotetica reintroduzione dei
voucher, vi è la scia che tale strumento, nell’uso
verificatosi negli anni precedenti alla sua abroga-
zione, ha lasciato nel mondo del lavoro, una scia
segnata dal timore che lavorare con i voucher pos-
sa diventare sinonimo di ingresso “legalizzato” in
una precarietà senza via di uscita.
Nel corso del dibattito parlamentare sono emerse
differenti correnti di pensiero tra gli schieramenti
politici, che hanno messo in risalto le contrastanti
esigenze da contemperare:
• tutela dei lavoratori ed uso legittimo di tale stru-
mento, evitando un “pericoloso” ritorno al passato;
• ricondurre l’uso dei voucher alla ratio per cui
erano stati introdotti originariamente con il
D.Lgs. 276/2003, ossia favorire l’emersione di
lavori “marginali”, come giardinaggio, pulizie,
baby-sitting;
• consapevolezza che, in alcuni settori, tale stru-
mento possa garantire al prestatore di lavoro
livelli di tutela, contrastando il lavoro “nero” e
semplificando la gestione del rapporto di lavoro.
Di fronte a tali manifestate esigenze, il risultato
raggiunto si è concretizzato in uno “spiraglio” di
apertura sulle prestazioni occasionali introdotte
con il D.L. 50/2017, che ha trovato conferma in Se-
nato, con l’approvazione della conversione in legge
del decreto.
Le modifiche introdotte con l’Art. 2 bis della L. 96/2018
a) Introduzione dell’autocertificazioneViene prevista la necessità di un’autocertifica-
zione nei seguenti casi.
1) Computo dei compensi al 75% Il comma 8 dell’art. 54 bis del D.L. 50/17 pre-
vede il computo dei compensi per prestazioni
di lavoro occasionale in misura pari al 75% del
loro importo per titolari di pensioni di vecchia-
ia o di invalidità, giovani con meno di 25 anni,
persone disoccupate e percettori di prestazioni
integrative del salario, di reddito di inclusione
o di altre prestazioni di sostegno del reddito.
Al fine di poter usufruire di tale percentuale di computo, la L. 96/2018 introduce come con-
dizione un’autocertificazione da parte dei pre-
statori stessi in merito alla loro condizione,
all’atto della registrazione nella piattaforma
informatica INPS.
2) Prestazioni a favore di imprese agricole Per le prestazioni occasionali da rendere a fa-
vore delle imprese del settore agricolo, viene
introdotto l’obbligo per il prestatore di autocer-
tificare, nella piattaforma informatica INPS, che nell’anno precedente non sia stato iscritto
negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
b) Alberghi e strutture ricettizie: aumenta il
limite della forza lavoro
Il comma 14 dell’art. 54 bis del D.L. 50/17
vieta il ricorso al contratto di prestazione occa-
sionale per gli utilizzatori che hanno alle proprie
dipendenze più di cinque lavoratori subordinati
a tempo indeterminato. La L. 96/2018 introduce
un’eccezione per le aziende alberghiere e struttu-
re ricettizie che operano nel settore del turismo,
per le attività lavorative rese dai soggetti di cui
al comma 8 (pensionati, studenti con meno di 25
anni, disoccupati e percettori di forme di sostegno
al reddito), elevando il limite della forza lavoro
fino a otto lavoratori.
c) Versamento delle somme per il pagamento delle prestazioni tramite un intermediario
Il comma 15 dell’art. 54 bis del D.L. 50/17 pre-
vede che, ai fini dell’attivazione del contratto di prestazione occasionale, ciascun utilizzatore ver-
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 17
si, attraverso la piattaforma informatica INPS, le
somme utilizzabili per compensare le prestazioni.
La L. 96/2018 introduce la possibilità che tale
versamento possa essere effettuato tramite un in-
termediario di cui alla L. 12/1979, ferma restando
la responsabilità dell’utilizzatore. Inoltre viene
precisato che l’1% degli importi versati siano de-
stinati al finanziamento degli oneri gestionali a favore dell’INPS.
d) Dati da indicare nella comunicazione
Il comma 17 dell’art. 54 bis del D.L. 50/17 sta-
bilisce che l’utilizzatore di un contratto di pre-
stazione occasionale è tenuto, ad eccezione della
P.A., a trasmettere almeno un’ora prima dell’ini-
zio della prestazione, attraverso la piattaforma
informatica INPS ovvero avvalendosi dei servizi
di contact center messi a disposizione dall’INPS,
una dichiarazione contenente i dati anagrafici ed identificativi del prestatore, il luogo di svolgimen-
to della prestazione, la data e l’ora di inizio e di
termine della prestazione.
La L. 96/2018 introduce, tra i dati da indica-
re nella dichiarazione, nel caso di imprenditore
agricolo, azienda alberghiera o struttura ricetti-
zia che opera nel settore del turismo o di ente lo-
cale, la data di inizio e il monte ore complessivo
presunto con riferimento a un arco temporale non
superiore a dieci giorni (per le imprese agricole la
durata della prestazione da indicare prima della
L. 96/2018 era riferita ad un arco temporale non
superiore a tre giorni).
L’INPS ha predisposto le necessarie modifiche nella piattaforma telematica riservata alle azien-
de agricole, a decorrere dal 20 agosto 2018.
e) Pagamento al prestatore
Il comma 19 dell’art. 54 bis del D.L. 50/17 di-
spone che al pagamento del compenso al presta-
tore, sia per prestazioni rese nell’ambito del Li-
bretto Famiglia che del contratto di prestazione
occasionale, provvede l’INPS il giorno quindici del
mese successivo attraverso l’accredito delle spet-
tanze su conto corrente bancario o mediante boni-
fico bancario domiciliato pagabile presso gli uffici delle Poste Italiane Spa.
La L. 96/2018 prevede, su richiesta del pre-
statore espressa all’atto della registrazione nella
piattaforma informatica INPS, la possibilità del
pagamento del compenso, sempre con oneri a cari-
co del prestatore stesso, decorsi quindici giorni dal
momento in cui la dichiarazione relativa alla pre-
stazione lavorativa inserita nella procedura infor-
matica è divenuta irrevocabile, tramite qualsiasi
sportello postale a fronte della generazione e pre-
sentazione di univoco mandato o autorizzazione di
pagamento emesso dalla piattaforma informatica
INPS e stampato dall’utilizzatore che identifica le parti, il luogo, la durata della prestazione e l’im-
porto del corrispettivo.
f) Sanzioni in agricoltura
Il comma 20 dell’art. 54 bis del D.L. 50/17 pre-
vede una sanzione amministrativa pecuniaria da
euro 500 a euro 2.500 per ogni prestazione lavora-
tiva giornaliera per cui risulti accertata la viola-
zione dell’obbligo di comunicazione di cui al com-
ma 17 o di uno dei divieti di cui al comma 14.
La L. 96/2018 introduce per le imprese agricole
la mancata applicazione della sanzione nel caso
in cui la violazione del comma 14 derivi dalle in-
formazioni incomplete o non veritiere contenute
nelle autocertificazioni rese nella piattaforma in-
formativa INPS dai prestatori di cui al comma 8.
Conclusioni
Ciò che emerge dalle disposizioni contenute nella
L. 96/2018 è che questo spiraglio sulle prestazioni
occasionali si sia aperto nel rispetto condiviso di
un valore prioritario e fondamentale, quello della
“dignità”, valore che dà nome al decreto.
Ma che cos’è la dignità?
Dice Aristotele: “La dignità non consiste nel
possedere onori, ma nella coscienza di meritarli”.
Credo che tutti i lavoratori siano coscienti di
meritare non solo l’onore di lavorare, ma anche il
diritto di essere tutelati.
Estensione delle prestazioni occasionali quindi
con estrema cautela e attenzione.
E vediamo se stavolta funziona. n
[*] Funzionario dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Ancona. Le considerazioni contenute nell’articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegnano in alcun modo l’amministrazione di appartenenza. Vinci-trice del Premio Massimo D’Antona 2013.
18 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
Nella seduta del 7 agosto 2018 il Senato ha approvato la Legge n. 96 del 09 agosto 2018 di conversione
del D.L. n. 87/2018 cd. Decreto Dignità, con l’obiettivo di tutelare la dignità dei lavoratori e delle im-
prese, in primis tutelando le nuove generazioni attraverso una vera e propria lotta al precariato e, suc-
cessivamente, incentivando le assunzioni stabili e abbassando il costo del lavoro per gli imprenditori.
Nell’ottica del nuovo piano di governo, tale obiettivo è raggiunto “smontando” il Jobs Act con la mo-
difica degli artt. 19, 21, 28 e 34 del d. lgs. 81/2015 e dell’art. 3 del d. lgs. 23/2015 e con l’introduzione di nuove norme restrittive per i contratti a termine e i contratti di somministrazione.
Quella che per il Governo appare una vera rottamazione del Jobs Act, alla luce delle novità intro-
dotte può definirsi una parziale modifica, con la reviviscenza della vecchia disciplina della legge n. 230/1962 e del d. lgs. 368/2001. In sintesi, le novità sono le seguenti:
oltre i 24 mesi) solo qualora sia apposta una cau-
sale, individuata nelle seguenti condizioni:
• Esigenze temporanee ed oggettive, estranee
all’ordinaria attività;
• Ragioni sostitutive;
• Esigenze connesse ad incrementi tempora-
nei, significative e non programmabili dell’at-tività ordinaria.
Restano escluse da tale limite le diverse dispo-
sizioni dei contratti collettivi e i contratti per le
attività stagionali, che possono essere rinnovati
e prorogati anche in assenza delle causali.
L’apposizione del termine, a pena di ineffica-
cia, deve sempre avvenire per iscritto, con la sola
eccezione dei contratti di lavoro di durata non
superiore a 12 giorni. Una copia del contratto,
inoltre, deve essere consegnata al lavoratore en-tro cinque giorni lavorativi dall’inizio della pre-stazione.
Tali causali non sono assimilabili al cd. vec-
chio “causalone” del d.lgs. 368/2001, il quale, nato
per dare attuazione alla direttiva 99/70/CE, con
le sue “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” mirava a garantire ai
datori di lavoro un margine di flessibilità e di au-
tonomia nel potere di individuazione delle causali
libero dall’intervento sindacale e dal modello re-
golativo della precedente l. n. 230/1962. Al fine di porre rimedio alla controversa eccessiva generici-
tà della precedente formulazione della norma, il
nuovo art. 19 assimila gli indirizzi giurispruden-
ziali consolidatisi sotto la sua vigenza. In partico-
lare, la Corte di Cassazione[1] più volte è interve-
nuta in passato, non tanto sulla valutazione della
natura in sé della ragione giustificativa del termi-
• La reintroduzione delle causali alla scaden-
za dei primi 12 mesi, sia che tale limite sia
raggiunto per scadenza naturale del primo
contratto, sia che sia sopraggiunto a seguito
di rinnovo o proroga (anche qui la normativa
è stata modificata);• La durata massima del contratto a termine,
portata da 36 a 24 mesi, anche quale somma-
toria di più periodi;
• L’aumento dell’aliquota contributiva in caso
di rinnovo dopo il primo contratto;
• L’ampliamento dei termini per la proposizio-
ne dei ricorsi giurisdizionali.
Le causali
La principale modifica la troviamo nel nuovo art. 19 comma 1 del D.Lgs. 81/2015, il quale prevede
che il nuovo contratto a termine “a-causale” po-
trà avere una durata non superiore ai 12 mesi;
sarà possibile stipulare un contratto a termine
di durata superiore ai 12 mesi (e comunque mai
Il nuovo contratto a termine
Cosa cambia con il Decreto Dignità
di Valeria Affinita [*]
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 19
ne, quanto sulle modalità di obiettivazione della
stessa nel contratto: per la Suprema Corte solo
l’adeguata specificazione della ragione può soddi-sfare il limite richiesto dalla norma, preservando
la coerenza con la direttiva 70/1999/CE. La tra-
sparenza, la riconoscibilità e la verificabilità del-la causale assunta a giustificazione del termine dovrà garantirsi «già a partire dal momento della stipulazione del contratto di lavoro, attraverso la previsione dell’onere di specificazione, vale a dire di una indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contesto che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in genera-le circostanziale»[2].
Anche oggi con la nuova normativa, il pro-
blema, quindi, non sarà tanto di garantire la
sufficiente trasparenza e riconoscibilità delle causali, ma comprenderne il merito della loro
applicazione.
a) Le esigenze temporanee ed oggettive,
estranee all’ordinaria attività
Nessun problema interpretativo si pone per le
esigenze temporanee e oggettive, estranee all’or-
dinaria attività (i cd. “picchi di attività”), dove
sembra confermarsi ancora una volta l’orienta-
mento giurisprudenziale della Suprema Corte,
per la quale l’onere di specificazione consente di «rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto col-legamento con la stessa»[3].
Per la Corte il richiamo alla temporaneità è
riferito più cautamente alla durata della pre-
stazione lavorativa (temporaneità dell’impiego)
che non alla natura temporanea delle esigenze
aziendali, essendo necessaria la stretta coeren-
za tra l’estensione temporale del contratto e le
ragioni giustificatrici addotte. Manca, invece, nella nuova norma il riferimen-
to alle esigenze tecniche e produttive, pur previste
dal d.lgs. 368/2001 fino all’entrata in vigore del d.lgs. 81/2015, le quali consentivano alle imprese
margini di flessibilità nella stipulazione di contrat-ti a termine volti a consentire l’acquisizione di mag-
giore professionalità e specializzazione nell’ambito
produttivo per periodi limitati di tempo.
b) Le esigenze sostitutive
Il novellato art. 19 precisa che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto”, in controtendenza rispetto al vec-
chio art. 19 del d.lgs. 81/2015, per il quale l’ap-
posizione del termine poteva risultare dall’atto
scritto “direttamente o indirettamente”. Caduto
il riferimento all’indicazione indiretta del termi-
ne, si pone il problema dell’esatta determinazio-
ne del termine finale ove, per esempio, questo venga fatto coincidere con il momento del rientro
del lavoratore da sostituire. Tale indetermina-
tezza del termine finale non potrebbe che com-
portare la trasformazione del contratto nato a
termine in contratto a tempo indeterminato.
c) Le esigenze connesse ad incrementi tem-
poranei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria
L’ultima causale, richiedendo “esigenze connes-se ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria”, offre il
fianco ad un nuovo cospicuo contenzioso, ove nella sua formulazione sembrerebbe imporre tali requi-
siti in maniera congiunta.
Inoltre, la valutazione della
temporaneità, della non pro-
grammabilità e della significa-
tività dell’attività potrebbe av-
venire sulla base di parametri
totalmente incerti; potrebbe,
infatti, non riconoscersi il cri-
terio della temporaneità con
riferimento ad un contratto
che ab initio abbia la durata
di 24 mesi, oppure l’incremen-
to dell’attività potrebbe essere
valutato significativo o meno a seconda che lo si guardi con
l’occhio del datore di lavoro o
del giudice. Allo stesso modo la
programmabilità potrà essere
valutata solo in giudizio.
20 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
La durata del contratto a termine,
rinnovi e proroghe
In sede di conversione del d.l. n. 87/2018 è stato
inserito il comma 1 bis dell’art. 1, il quale preve-
de che “in caso di stipulazione di un contratto di durata superiore ai dodici mesi in assenza delle condizioni di cui al comma 1, il contratto si tra-sforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi”. Resta, invece, ancora in vigore la disposizione
dell’art. 19 comma 2 del d.lgs. 81/2015 che con-
sente alla contrattazione collettiva, anche azien-
dale, alla luce dell’art. 51 del d.lgs. 81/2015, di
derogare al limite massimo dei ventiquattro
mesi, nonché l’ipotesi di stipula di un ulteriore
contratto a tempo determinato tra gli stessi sog-
getti della durata massima di dodici mesi, pres-
so la ITL competente per territorio. In caso di
mancato rispetto di tale procedura, lo stesso si
trasforma in contratto a tempo indeterminato
dalla data della stipulazione.
In materia di rinnovi, l’art. 21 del d.lgs.
81/2015 prevede un nuovo comma 01, in virtù
del quale il contratto a termine (a prescindere
dalla sua durata inferiore o superiore ai 12 mesi)
può essere rinnovato solo in presenza di una del-
le causali previste dal comma 1 art. 19. Resta
fermo il periodo di “stop and go” (cd. periodi cu-
scinetto) introdotti dal Decreto Giovannini (d.l.
n. 76/2013), ossia 10 giorni, in caso di contrat-
ti di durata inferiore ai sei mesi, e 20 giorni, in
caso di contratti di durata superiore ai sei mesi.
In materia di proroghe, il numero massimo
consentito è di 4 proroghe (non più 5) nell’arco
dei 24 mesi; il superamento di tale limite com-
porterà che il contratto a termine si considererà
a tempo indeterminato dalla data di decorrenza
della quinta proroga. La proroga potrà interve-
nire sia nell’ambito dei 12 mesi ed, in tal caso,
non sarà necessaria alcuna causale, sia oltre
tale soglia, richiedendo necessariamente l’indi-
cazione di una esigenza specifica prevista dal comma 1 art. 19.
Indispensabile resta il consenso alla proroga
del lavoratore (reso in forma orale[4] o per fatti
concludenti[5] o fornito addirittura, in via preven-
tiva, al momento della stipula iniziale[6]), nonché il
divieto di adibire il lavoratore ad altre attività non
correlate a quelle per le quali il contratto era stato
originariamente stipulato[7], anche se sarà possibi-
le, fermo restando le mansioni, che si indichi nella
proroga una causale diversa da quella originaria
per la quale il contratto è stato stipulato.
Tali norme non trovano applicazione per le
attività stagionali, per il personale artistico e
tecnico delle Fondazioni di produzione musicale
e per le altre casistiche previste dall’art. 29 del
d.lgs. 81/2015 nonché per le start-up innovative
dell’art. 25 della l. n. 221/2012 per il periodo di
quattro anni dalla loro costituzione o per il “ri-
proporzionamento” di tale periodo previsto dalla
stessa norma per le società già costituite.
Contributo addizionale
La flessibilità del mercato del lavoro si paga… ed in tal caso ha il costo del contributo addizionale
pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, già previsto dall’art. 2 comma 28
della legge 28 giugno 2012 n. 92, aumentato dello
0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto
a termine. Tale contributo, che si applicherà per i
rinnovi effettuati a partire dal 14 luglio 2018, sarà
destinato a finanziare la Naspi, con la conseguen-
za che un contratto a termine prorogato o rinnova-
to per un massimo di 4 volte potrebbe portare fino ad un’aliquota contributiva pari al 3,4%.
Al fine di incentivare la stabilizzazione del lavoratore a termine, il Legislatore consente al
datore di lavoro di richiedere la restituzione del-
le ultime sei mensilità di contributo addizionale,
quando alla scadenza del contratto a termine,
lo stesso venga trasformato a tempo indetermi-
nato. Ciò è possibile anche nel caso in cui l’as-
sunzione a tempo indeterminato avvenga entro
il termine di sei mesi dalla cessazione del con-
tratto a termine, anche se la restituzione degli
ultimi sei mesi sarà parziale, detraendo dalle
mensilità spettanti (sei) un numero di mensili-
tà pari al periodo trascorso dalla cessazione del
precedente rapporto di lavoro a termine.
Termine di impugnazione e disciplina transitoria
L’art. 1 comma 1 lettera c) del d.l. n. 87/2018
introduce una modifica dei termini di impugna-
zione del contratto a termine, che da 120 giorni
passano a 180 giorni decorrenti, a pena di de-
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 21
cadenza, dalla cessazione del contratto. L’im-
pugnazione dovrà avvenire secondo le modalità
dell’art. 6 della legge n. 604/1966.
In ultimo, il Legislatore ha previsto un regi-
me transitorio per quei contratti in corso che,
alla data di pubblicazione del decreto legge, ab-
biano superato la soglia dei 24 mesi; l’art. 1 com-
ma 2 del d.l. 87/2018 come convertito dalla legge
n. 96/2018 prevede che “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai contratti a tempo deter-minato stipulati successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, nonché ai rinnovi e alle proroghe contrattuali successivi al 31 otto-bre 2018”.
Se nessuna perplessità sorge per i contratti
in scadenza al 13 luglio, per i quali continua ad
applicarsi la normativa del d.lgs. 81/2015, sce-
nari differenti, invece, si aprono per i contrat-
ti sottoscritti dopo tale data, ai quali la nuova
normativa sarà pienamente applicabile, sia in
ordine alla necessità della causale che al regime
delle proroghe e dei rinnovi.
In sintesi, i regimi sono quattro:
• Il primo operativo fino al 14 luglio, al quale si applicherà il Decreto Poletti;
• Il secondo, relativo al periodo il 14 luglio (data
di entrata in vigore del Decreto Dignità) e l’11
agosto (data di entrata in vigore della legge di
conversione), al quale si applicherà il Decreto
Dignità; la proroga o il rinnovo del contratto,
intervenuti in tale periodo, dovranno preve-
dere la causale, qualora comportino il supe-
ramento dei 12 mesi;
• Il terzo, relativo al periodo tra l’11 agosto
(giorno successivo alla pubblicazione della
legge di conversione in Gazzetta Ufficiale) ed il 31 ottobre, durante il quale opererà il re-
gime transitorio; la proroga o il rinnovo del
contratto, intervenuti in tale periodo, non im-
porranno l’obbligo della causale, in quanto la
legge di conversione posticipa la vigenza del-
la nuova disciplina al 1 novembre;
• Il quarto, operativo dal 1 novembre, al quale
si applicheranno le nuove norme; la proroga
o il rinnovo del contratto, intervenuti dopo il
1 novembre, soggiaceranno alla nuova disci-
plina e, quindi, richiederanno l’obbligo della
causale solo con il superamento dei 12 mesi.
Dalla guerra alla precarietà
alla massima occupazione
Dopo il restyling operato dal Jobs Act, il contrat-
to a termine ha costituito la tipologia contrat-
tuale più flessibile e utilizzata nel nostro Paese. L’Istat evidenzia come i contratti a termine non
sono mai stati così tanti[8]. Attualmente sono 3
milioni gli italiani occupati con contratto a ter-
mine su oltre 17 milioni di lavoratori dipendenti.
E si tratta di un numero destinato a crescere.
In tale scenario interviene il Decreto Dignità,
fortemente voluto dal Governo, in controtendenza
rispetto al legislatore passato, che aveva consenti-
to forme di “personalizzazione” del rapporto di la-
voro a vantaggio dei datori di lavoro. Il ritorno alla
causali e la diminuzione della durata massima del
contratto a termine, sebbene a rischio di ritorno di
notevoli contenziosi giudiziari, hanno il pregio di
smascherare e porre fine a situazioni di vero e pro-
prio precariato e sfruttamento lavorativo. Resta
inteso che tale guerra alla precarietà dovrà, però,
necessariamente prevedere l’abbassamento del co-
sto del lavoro, da inserire nella legge di bilancio,
per tutelare aziende e lavoratori. In mancanza,
non si farà che far ricadere nel sommerso una par-
te di quei 900mila contratti a termine in scadenza
ad agosto e 600mila in scadenza a fine anno. n
Note
[1] In RIDL, 2010, II, 742. Cass. n. 1576 n. 1577 del
26 gennaio 2010.
[2] Cass. 16.3.2010, n. 6328, FI, 2010, I, 1755; Cass.
1.2.2010, n. 2279, RIDL, 2010, II, 754; Cass. 27.1.2011,
n. 1931, Rep FI, 2011, voce Lavoro (rapporto), 801.
[3] Cass. 27.4.2010, n. 10033, MGL, 2010, 824; Cass.
17.11.2011, n. 24145, leggiditalia.it; Cass. 25.11.2011,
n. 24895, ivi; Cass. 21.11.2011, n. 24479, ivi.[4] Cass. n. 6305/1988.
[5] Cass. n. 4939/1990.
[6] Cass. n. 6305/1988.
[7] Cass. n. 10140/2005; Cass. n. 9993/2008.
[8] https://www.istat.it/it/archivio/218036.
[*] Ispettore del Lavoro in servizio presso la Sede dell’Is-pettorato Territoriale del Lavoro di Caserta.
22 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
Con circolare n. 10 dell’11 luglio u.s., l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha messo un punto sulla
diatriba del gravame degli obblighi contributivi nelle ipotesi di appalto illecito.
Sul tema, infatti, non vi era unità di intenti, palesandosi una difformità fra orientamenti degli
Istituti previdenziali e Guardia di Finanza da un lato, ed Ispettorato del lavoro dall’altro.
Il problema posava sull’imputazione degli obblighi contributivi in caso di appalto illecito.
Per gli Istituti previdenziali e la Guardai di Finanza assume rilevanza esclusiva il rapporto di
lavoro di fatto; nella prevalente prassi degli uffici periferici dell’INL vi era invece una tendenza a
favorire l’applicazione di un regime di solidarietà tra appaltatore-somministratore e appaltante-uti-
lizzatore.
si ad ipotesi di subfornitura, propende per una
interpretazione estensiva dell’art. 29 comma 2
del D. Lgs. 276/03 – che nelle ipotesi in cui, per
qualsiasi motivo, non vada in porto il recupero
contributivo nei confronti dell’appaltante-uti-
lizzatore, ci si può rivolgere allo pseudo appal-
tatore-somministratore.
L’INL aggiunge ancora nella circolare, che sarà
attivato un attento monitoraggio sugli eventua-
li contenziosi che dovessero insorgere al riguar-
do, quasi a voler riconoscere a priori l’audacia
adottata nella soluzione prospettata.
Posto che va dato atto all’Inl di essere riuscito
ad uscire dal guado con una soluzione che tutto
sommato accontenta tutti; mi piace chiamarla
però – soluzione “Badoglio” –, perché nel con-
tempo è gravida di un poten-
ziale contenzioso che potrà
esplodere ed incartare le pro-
cedure.
Ed allora, sul tema ven-
gono spontanee due osser-
vazioni: la prima inerisce al
rapporto di lavoro, la seconda
al regime di solidarietà appli-
cato.
Per quanto riguarda la pri-
ma, è chiaro che si palesa una
certa incoerenza e contraddi-
zione tra imputabilità delle
responsabilità e titolarità del
rapporto di lavoro. In sostan-
za la circolare ci dice che per
quanto riguarda gli obblighi
retributivi tutto ricade sul
Con questa circolare l’INL trova una soluzio-
ne mediana, confermando intanto l’esclusiva
imputazione degli obblighi retributivi in capo
allo pseudo appaltatore-somministratore desti-
natario anche di eventuale diffida accertativa;
mentre per gli obblighi contributivi, seguendo
in parte la giurisprudenza di legittimità ed
abbracciando il principio della natura pubbli-
cistica delle “assicurazioni sociali” con la con-
seguente “indisponibilità” dei diritti correlati,
riconosce l’imputabilità di detti obblighi in capo
all’appaltante-utilizzatore, quale datore di la-
voro effettivo.
Tuttavia, aggiunge – e qui sta la novità e
il punto di vero componimento e svolta rispet-
to ai due precedenti orientamenti, anche alla
luce della recente sentenza della Consulta n.
254 del 6 dicembre 2017 che seppur riferendo-
Appalto illecito: responsabilità
retributiva e contributiva
Contraddizioni e potenziale contenzioso
di Piero Cascioli [*]
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 23
responsabile principale, è sovrapponibile a
quello di cui all’art. 6 della legge 689/81, che
non prospetta una vera e propria obbligazione
solidale, bensì una solidarietà che si aziona in
via sussidiaria, vale a dire, solo laddove il re-
sponsabile principale non adempia allora vien
tirato in ballo l’altro soggetto, che nella fatti-
specie descritta dall’art. 6 della citata legge è la
società commerciale e nelle ipotesi di cui stiamo
argomentando è il soggetto pseudo appaltatore.
E questo potrebbe rappresentare un ulterio-
re elemento di criticità che può sfociare verso
eventuali contenziosi.
Per concludere, il cerchio è stato chiuso, ma
con un sistema che riporta alla memoria quello
“Aristotelico-tolemaico”, due grandi menti, un
filosofo ed un matematico, che però vennero
sconfessati dalla realtà dei fatti, seppur tanti
secoli dopo.
Ora, nella “modernità liquida” decantata dal
grande sociologo polacco Zygmunt Bauman,
tutto è velocissimo e non passeranno secoli,
nemmeno anni, forse solo qualche mese, ma
temo che qualche nodo verrà al pettine. n
[*] Responsabile Area Vigilanza 1 di coordinamento dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Roma. Vincitore del Premio Massimo D’Antona 2016. Nel mese di Giugno 2018, Piero Cascioli è stato eletto Sindaco del Comune di Segni (RM), incarico che svolge a tempo pieno.Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frut-to esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di ap-partenenza.
datore di lavoro formale – che
è lo pseudo appaltatore –. Per
i contributi, trattandosi di di-
ritti indisponibili, e pertanto
a prescindere che il lavora-
tore scelga di attivare la pro-
cedura prevista dall’art. 414
del cpc richiamata dall’art.
29 comma 3 bis del D. Lgs.
276/03, la responsabilità ri-
cade comunque sull’appal-
tante-utilizzatore per i moti-
vi sopra richiamati. E qui si
consuma lo scollamento. Il
rapporto di lavoro resta an-
corato ad un soggetto che è
diverso da quello a cui si va
a chiedere la copertura previ-
denziale ed assicurativa.
Meglio era allora la regolamentazione prevista
dalla abrogata legge 1369/60, che prevedeva
l’automatica costituzione del rapporto di lavoro
in capo all’effettivo utilizzatore il quale rispon-
deva, dunque, sia della parte retributiva che di
quella contributiva. In questo modo abbiamo un
rapporto di lavoro e l’obbligo retributivo in capo
ad un soggetto – l’appaltatore –; l’obbligo contri-
butivo in capo ad un altro soggetto – l’utilizzato-
re –, con la possibilità però di gravame sull’ap-
paltatore nel caso in cui il primo non adempia.
Certamente il cerchio si chiude, ma a singhiozzo.
L’altra osservazione riguarda il regime di so-
lidarietà. La circolare ci dice, appoggiandosi
sulla pronuncia della Corte Costituzionale,
che ben può estendersi l’applicazione della
norma contenuta nel comma 2 dell’art. 29 D.
Lgs. 276/03 – cioè il regime di solidarietà –, a
quei casi di decentramento dove si attua una
dissociazione tra titolarità del contratto e uti-
lizzazione della prestazione. Ma la circolare ci
dice anche che tale regime scatta solo laddove il
soggetto individuato come responsabile princi-
pale – l’utilizzatore –, sia inadempiente. E poi,
quasi a voler ammettere una certa temerarietà,
conclude invitando ad un attento monitoraggio
sugli sviluppi che tale procedura può innescare,
preavvertendo un rischio di alta litigiosità.
Certamente non si tratta della solidarietà di
cui all’art. 1292 c.c., dove tutti i debitori sono
obbligati per la medesima prestazione e dove
ognuno può essere chiamato ad adempiere per
la totalità e l’adempimento libera tutti gli altri.
Il regime di solidarietà prospettato inve-
ce dalla menzionata circolare nelle ipotesi di
inadempimento del soggetto individuato come
24 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
Da maggio scorso, i mass media, giornali, radio e tv, ci raccontano della “punizione” posta in essere da
ATAC SpA, la grande società di trasporto pubblico locale romano, a totale partecipazione del comune
di Roma, nei confronti della signora Micaela Quintavalle, lavoratrice dipendente dell’azienda stessa
nelle mansioni di Autoferrotranviere dal 2007.
La lavoratrice è Segretario Nazionale del Sindacato Cambia-Menti M410, sindacato di categoria
nel settore degli Autoferrotranvieri. Questo neonato sindacato, da 3 anni, porta avanti notevoli bat-
taglie per bloccare il processo di peggioramento delle condizioni lavorative degli Autoferrotranvieri
in ATAC SpA.
Si è assistito, da tempo, a spiacevoli episodi che, purtroppo, hanno posto le fondamenta per creare
nuovi gruppi sindacali di “opposizione” rispetto a sistemi poco “trasparenti” all’interno dell’azienda.
La situazione di ATAC SpA è evidente, da tempo, ai più come un vero e proprio “fatto notorio”, con
rischi riflessi di enorme entità anche a livello sociale.
rico![2] A questo si aggiungano i servizi igienici
inidonei, in stato di degrado totale, le notevoli
anomalie/avarie dei mezzi che provocano anche
gravi malattie professionali agli autisti (troppo
spesso, vengono riconosciuti “inidonei alla gui-
da” dall’INAIL) e tante altre cose dai medesimi
vissute, denunciate e raccontate costantemente.
Non sono serviti a molto gli “scambi” diplo-
matici tra l’azienda e i lavoratori. Ci racconta-
no che si è giunti ad un punto di esasperazione
tale che il Segretario Nazionale di Cambia-Men-
ti M410, Micaela Quintavalle, contattata dalla
trasmissione d’inchiesta LE IENE, ha deciso di
rilasciare dichiarazioni su un bus ATAC, a volto
scoperto, denunciando diverse anomalie tecni-
che riguardanti proprio gli autobus e i rischi ad
essi collegati.
Il servizio è andato in onda il 10 mag-
gio 2018 alle ore 21:00 (www.iene.mediaset.
it/video/martinelli-atac-autobus-fiamme-ro-
ma-104139.shtml). Detto servizio, girato con la
sindacalista dai giornalisti di LE IENE, è sta-
to fatale per la medesima. Da esso è derivata la
sospensione cautelare dal soldo e dal servizio
a tempo indeterminato per avere recato danno
all’immagine e alla reputazione aziendale, come
da contestazione disciplinare a lei conse-
gnata il 17 maggio 2018.
In verità, le riprese includono sul set la
ricorrente ed altri due colleghi ATAC SpA col viso coperto che confermano i guasti e
l’insicurezza dei bus, convenendo e raffor-
zando la veridicità delle dichiarazioni rese
dalla signora Micaela Quintavalle.
La partecipata romana ha un debito di 1,3 mi-
liardi; oggi, formalmente ammessa dal Tribu-
nale di Roma, Sez. Fallimentare, alla procedura
concorsuale del concordato preventivo in con-
tinuità aziendale, l’azienda continua a vivere
quotidianamente momenti drammatici con il fe-
nomeno denominato dai mass media “Flambus”,
autobus che prendono fuoco durante il servizio,
con il malcontento e il timore dei lavoratori che
avvertono su di sé grandi timori per la loro inco-
lumità e per quella degli utenti. Continue anche
le violente aggressioni subite dal personale di
front office; nel frattempo, gli utenti insoddisfat-
ti “subiscono” condizioni di trasporto pubblico
lontane da ogni standard qualitativo richiesto
dai regolamenti europei e, inferociti per questo,
sfogano spesso la loro “lamentela” con gli autisti,
anche con gesti prepotenti e irruenti.
Giova rammentare, del resto, che il trasporto
pubblico è per definizione un servizio pubblico
essenziale e, pertanto, teoricamente, dovrebbe
garantire livelli minimi di “qualità”[1].
Il sindacato di appartenenza della signo-
ra Micaela Quintavalle, tra gli altri, ha posto
in essere uno sciopero lo scorso 6 luglio. Tra le
motivazioni dello sciopero vi era la violazione
dell’articolo 2087 del codice civile sull’inadempi-
mento datoriale nel garantire ed attuare misure
di sicurezza a salvaguardia dei lavoratori. Anno-
so ed irrisolto problema era ed è quello del man-
cato funzionamento del microclima sui mezzi di
trasporto; a temperature disumane, i lavoratori
vengono sollecitati a proseguire il servizio pena
l’avvio di un procedimento disciplinare a loro ca-
Un esempio di “collasso”
delle libertà sindacali
La destituzione della sindacalista Micaela Quintavalle
nell’indifferenza di molti
di Gianna Elena De Filippis [*], Fabrizio Proietti e Luca Parisella
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 25
Considerata la stasi aziendale e permanendo la
sospensione cautelare dal soldo e dal servizio, la
lavoratrice decide di fare ricorso all’autorità giu-
diziaria contro la sospensione cautelare, essendo
già danneggiata non solo sotto il profilo patri-
moniale-economico (senza stipendio), ma anche
sotto il profilo non patrimoniale per danni con-
cernenti la sua immagine personale come Segre-
tario Nazionale dell’O.S. Cambia-Menti M410 e
concernenti la sua salute, compromessa da stati
ansiosi-depressivi dovuti al timore della perdita
definitiva del posto di lavoro.
Nel frattempo, l’azienda le formalizza l’”opi-
namento di destituzione” definitiva, così come
previsto nel R.D. n. 148/1931. Il R.D. n. 148/1931
è un complesso di norme, “antico”, obsoleto e in
parte superato dalla giurisprudenza, e prevede
trattamenti molto peculiari per i lavoratori Au-
toferrotranvieri.
Senz’altro discutibile, sul piano della certez-
za del diritto, il fatto che possa ancora esistere
in un ordinamento giuridico “avanzato” una di-
sposizione normativa di sospensione cautelare
dal soldo e dal servizio a tempo indeterminato in
pendenza di un procedimento disciplinare.
La “tenuta sulla graticola” – prima della co-
municazione di destituzione – è durata 70 lun-
ghissimi estenuanti giorni, all’esito dei quali è
seguito appunto l’“opinamento di destituzione”.
Un periodo temporale esageratamente lungo
durante il quale la lavoratrice non ha percepito
stipendio e, soprattutto, non poteva percepirne
altrove essendo solo sospeso il rapporto di lavo-
ro. Ella, inoltre, non poteva neanche chiedere
la NASPI, non essendo formalmente licenziata.
Una stasi paludosa che merita attenzione giu-
ridica rispetto ad una presumibile incostituzio-
nalità della misura cautelare indicata e tuttora
vigente.
Ma, in questa sede, l’attenzione maggiore va
posta sull’azione discriminatoria di stampo
antisindacale addebitabile all’azienda e su
cui si attende, fiduciosi, il giudizio dell’adito Tri-
bunale di Roma, Sez. Lavoro.
Dov’è il confine tra la legittima critica
aziendale, la condotta antisindacale, la
giusta causa di licenziamento per violazio-
ne del codice etico aziendale e per lesione
dell’immagine aziendale?
Cosa ha denunciato, in fondo, la sindacalista
nella trasmissione d’inchiesta LE IENE?
Nulla è stato mai contestato alla ricorrente
in qualità di lavoratrice dipendente di ATAC
SpA per possibili omissioni nell’eseguire la sua
prestazione lavorativa; nulla è stato mai con-
testato alla medesima per quanto concerne
la diligenza adottata nell’esecuzione delle
mansioni di autoferrotranviere cui è pre-
posta; alcuna contestazione è mai stata for-
mulata alla ricorrente, ad esempio, per mancato
rispetto dell’orario di lavoro o dei turni assegna-
ti; per inosservanza di ordini e/o direttive impar-
titi dai suoi superiori gerarchici, ecc..
Ogni contestazione disciplinare ha trat-
to origine SOLO ED ESCLUSIVAMENTE
dalle sue azioni sindacali di protesta e/o
di “denuncia” pubblica, anche a mezzo so-cial e a mezzo testate giornalistiche, finalizzate
e dirette solo ed unicamente a salvaguardare i
lavoratori Autoferrotranvieri, sollecitando l’opi-
nione pubblica a riflettere sui motivi reali per i
quali il servizio è via via sempre meno efficiente
e meno confortevole, volendo ella “scagionare”
la categoria professionale di appartenenza dalle
esorbitanti responsabilità che, fino ad oggi, in-
giustamente tutti i media le hanno additato, nel
completo ed assordante silenzio aziendale. Non
può sfuggire la brutta “nominata” degli Autisti
a Roma: fannulloni, scansafatiche, colpevoli se
l’autobus non passa mai!
Principale destinatario delle denunce media-
tiche poste in essere dalla sindacalista è sempre
la controparte datoriale che, “sorda” rispetto ai
disagi espressi dai suoi dipendenti, ha prosegui-
to in misure e disposizioni interne non proprio
attente ai bisogni, ai pericoli ed ai rischi dei la-
voratori e delle lavoratrici (aumentano i casi di
aggressioni da parte di utenti infuriati dal fatto
che i bus non sono frequenti come dovrebbero
essere e/o in quanto i bus sono senza confort al-
cuno, alla stregua di “camere di soffocamento”;
aumenta l’utenza irregolare di individui social-
mente pericolosi e delinquenti).
Risulta esserci, indubbiamente, un chia-
ro collegamento finalistico tra l’azione del-
la sindacalista Micaela Quintavalle (nel
prendere parte al servizio di inchiesta te-
levisiva “LE IENE”, oggetto di contestazio-
ne disciplinare), le sue funzioni sindacali e
lo scopo sindacale perseguito: il proselitismo
per Cambia-Menti M410; la protesta per il bene
collettivo della categoria; la resistenza rispetto
26 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
a peggioramenti contrattuali posti in essere da
ATAC SpA, rispetto della salute e della integri-
tà fisica dei lavoratori messe continuamente a
rischio.
Da questo assioma risulta palese il nes-
so di causalità tra l’evento “denuncia me-
diatica” e la funzione di rappresentante
sindacale della lavoratrice talchè, in con-
clusione, l’azienda ha punito espressamen-
te l’azione sindacale nella sua accezione
più genuina, combattiva, anticonformista
e non assoggettata al potere datoriale.
Si è di fronte ad una grave menomazio-
ne della libertà sindacale, costituzional-
mente garantita.
Molto si potrebbe ancora scrivere in me-
rito ma, in attesa del verdetto giudiziario, su
cui si pone grande fiducia, si intende, intanto,
sollecitare una profonda riflessione in tutte le
istituzioni pubbliche, ivi incluso l’Egregio
Ministro Luigi Di Maio, nonché l’Egregio
Ministro delle Infrastrutture e dei Tra-
sporti Danilo Toninelli, affinché si prenda
atto di quanto sia accaduto ai danni di una lavo-
ratrice onesta, diligente e seria cui pare sia ini-
quamente addebitato “un fatto sovrastimato”…
cadendo in oblio – forse – la gravità di misfatti
ben più pesanti che unicamente hanno causato
in maniera concreta e determinante il disastro
economico-finanziario di ATAC SpA[3] e la sua
perdita di pregio in termini di immagine.
Intanto, proprio in questi giorni, abbondano
nuove notizie “scandalo” sui problemi dell’azien-
da, problemi certamente non riconducibili ad
azioni legittimamente intraprese da una sinda-
calista espulsa!
L’altra riflessione, anche più importan-
te, deve, invece, riguardare lo stato di in-
soddisfazione e le ragioni che spingono i
lavoratori a denunciare e a scioperare per
motivi legati alla loro sicurezza e alle loro
condizioni di lavoro. Bisognerebbe, piuttosto,
andare alla radice dei problemi, senza soffocare
le manifestazioni di dissenso e vivendo la con-
dizione ordinaria dei lavoratori – ormai disaffe-
zionati alla loro professione – anche solo per un
giorno: i rappresentanti istituzionali, per esem-
pio, potrebbero prendere un autobus a Roma
insieme all’autista, seguirlo per tutta la durata
del suo turno, 6 ore e 30 minuti (6 ore e 40 mi-
nuti in punta massima), con brevissime pause di
pochi minuti all’arrivo ai capolinea (insufficienti
per andare persino in bagno!), per capire cosa
accade quotidianamente durante il suo servizio,
quali pericoli incontra soprattutto nelle zone pe-
riferiche romane con utenti tutt’altro che “racco-
mandabili”, quanto caldo si sente in agosto se il
microclima in vettura non funziona e “subirlo”
per 6 ore e 30 minuti, e tante altre evenienze
scomode che stanno riducendo questo lavoro a
quanto di più disonorevole possa fare un uomo e
una donna nella propria vita professionale.
L’espulsione di chi denuncia il malessere dei
lavoratori non può essere giustificato in nessun
contesto democraticamente “conformato”, alla
luce della Costituzione, dello Statuto dei Lavora-
tori e di tutte le fonti di diritto europeo ed inter-
nazionale che tutelano massicciamente la facoltà
dei lavoratori di unirsi in qualsiasi forma associa-
tiva e di esercitare i diritti e le libertà sindacali e
di opinione senza che queste diventino causa di
ritorsione a loro carico da parte aziendale. n
Note
[1] Il Regolamento UE n. 181/2011 del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 16
febbraio 2011 stabilisce, tra gli altri, che uno degli
obiettivi dell’UE è garantire un livello elevato
di protezione dei passeggeri nel trasporto
con autobus e una maggiore protezione
dei consumatori, tenuto conto anche della loro
possibile ridotta mobilità per disabilità, malattia,
anzianità, maternità, nel più ampio ambito dei
diritti dei viaggiatori della direttiva 90/314/CEE.
[2] A nulla rilevando, oltretutto, l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui, in violazione dei
vincoli di cui al d.lgs. n. 81/2008, il lavoratore
ha diritto di rifiutare di svolgere prestazione lavorativa, senza subire alcuna ritorsione o
trattenuta retributiva trovandosi di fronte ad un
inadempimento contrattuale datoriale.
[3] IL DISSESTO DELL’AZIENDA DI TRASPOR-
TI DI ROMA - Atac, ecco tra costi vivi e occulti
il buco da oltre 8 miliardi in 15 anni, di Fabio
Pavesi, 28 luglio 2017, da IL SOLE 24 ORE.
[*] Consulente del Lavoro, www.sibillaconsulting.com, in collaborazione con lo studio legale Prof. Avv. Fabrizio Pro-ietti e Avv. Luca Parisella.
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 27
Da alcuni decenni le Pubbliche amministrazioni hanno la necessità di predisporre piani per
verificare se e in che misura i servizi da loro prestati siano rispondenti alla loro “mission” e
soddisfacenti per il cittadino-utente. Alcune di queste verifiche, tipo quelle legata alla customer satisfaction sono rivolte prevalentemente a valutazioni e giudizi esterni all’amministrazione.
Esistono anche controlli interni per valutare atti, processi e performance, come, ad esempio,
la regolarità del processo amministrativo-contabile e la qualità delle prestazioni delle risorse
umane.
Anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro è chiaramente interessata a queste novità legislative
e alla loro applicazione. Proprio nei giorni scorsi il capo dell’Ispettorato ha adottato e pubblicato
un Decreto avente ad oggetto l’attività di Audit. Si tratta di un insieme di attività di “controllo
interno” su materie che furono introdotte nel 1999 dal D.Lgs 286 e poi ampliate nel 2009 dal D.
Lgs 150/2009 (cd decreto Brunetta).
Piano della Performance e se la gestione or-
ganizzativa amministrativa e contabile sia
corretta e rispondente alle esigenze specifi-
che. Queste verifiche permetteranno, laddo-
ve vengano rilevate delle distorsioni, di ap-
portare gli opportuni correttivi.
Per la realizzazione di queste attività l’Am-
ministrazione ha adottato Linee Guida dove
vengono descritte i principi, le procedure,
le metodologie e gli strumenti di lavori del
Gruppo Audit istituito nel giugno del 2018
(D.D. n. 19) per le attività di verifica della
regolarità e dei processi e
degli atti adottati.
L’Audit interno, viene pre-
cisato, è un’attività indi-pendente ed obiettiva di consulenza per migliorare l’efficacia, l’efficienza e l’e-conomicità dell’azione am-ministrativa. Il gruppo è
composto da 15 dirigenti
di II fascia e da 20 funzio-
nari di area III individua-
ti a seguito di ricognizione
e appositamente formato
partecipando a un corso or-
ganizzato dalla Scuola Na-
zionale dell’Amministrazio-
ne (SNA). Vengono anche
Il Piano adottato è triennale ed è strettamen-
te correlato al Piano delle Performance con
le sue direttive e il Piano triennale per La prevenzione della Corruzione e della Traspa-renza.
Le materie oggetto del controllo interno ri-
guardano la regolarità amministrativa e con-
tabile, il controllo di gestione, la valutazione
della dirigenza, la valutazione e il controllo
strategico. Queste verifiche mirano a capire
se le attività svolte dall’amministrazione si-
ano rispondenti agli obiettivi dichiarati nel
Controlli interni e controlli esterni:
chi controlla i controllori?di Palmina D’Onofrio [*]
28 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
strumento innovativo necessita innanzitutto
di essere collaudato ma anche di essere capi-
to ed implementato non solo dagli Auditors
ma da tutti gli attori protagonisti, in quan-
to elementi come il grado di attenzione del
personale rispetto alle materie dell’Audit e le
esperienze formative e professionali di tut-
ti hanno un ruolo significativo per ottenere
buoni risultati.
Spesso invece si assiste a una cattiva “gestio-
ne” e ad una altrettanto cattiva comunicazio-
ne di questi “piani” che portano non tanto al
malcontento come avviene in relazione alla
valutazioni delle Performance ma a un disin-
teresse generalizzato. Anzi può addirittura
capitare che qualcuno non sa proprio di cosa
si parli.
Insomma sarebbe doveroso ricordare a chi di
dovere che in ossequio alle
Leggi non devono essere
date mere “risposte proto-
collari” ma è opportuno far
comprendere l’importanza
di certi passaggi. In altre
parole alla pubblicazione e
alla adozione degli atti va
fatta seguire la condivisio-
ne. Ma chi scrive è convinta
che l’Ispettorato del Lavoro
sta andando, pian pianino,
proprio nella giusta direzio-
ne. n
[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona Onlus
indicati i casi di incompa-
tibilità del ruolo di Auditor
incaricato. Nello svolgimen-
to delle sue funzioni l’Audi-
tor deve essere imparziale
ed autonomo nel giudizio;
competente con adeguata
professionalità e garantire
il massimo rigorosa corret-
tezza. I rilievi che lo stesso
evidenzia devono poggiare
su elementi probanti e cir-
costanziati e comunicati al
soggetto verificato affinché
questi possa apportare gli
interventi correttivi neces-
sari.
Vengono poi fornite indica-
zioni circa gli ambiti di intervento e le pro-
cedure anche comunicative da adottare dopo
aver individuato la mappa dei rischi anche in
riferimento all’attività ispettiva.
Il progetto Audit ha l’innegabile pregio di
dare opportuni strumenti alla pubblica am-
ministrazione per conoscere, misurare e va-
lutare eventuali situazioni critiche che si
frappongono tra gli obiettivi espressamente
dichiarati e le azioni – intese in senso lato
– rese. Ma trattandosi palesemente di per-
corsi interni, non sono suscettibili di ulteriori
controlli e, quindi, c’è il rischio concreto che i
rilievi oppure le soluzioni adottate non siano
adatte. Spontanea sorge anche la domanda:
chi controlla i controllori?
Ad avviso di chi scrive, trattandosi di uno
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 29
Introduzione
Nel precedente numero di questo periodico[1] si sono esaminate alcune delle tante novità contenute nel CCNL
del 12 febbraio 2018 relativo al personale del Comparto Funzioni Centrali (nel seguito Nuovo CCNL). In tale
occasione si è cercato di approfondire gli artt. 31-34 relativi ai permessi. Le argomentazione che seguono invece
riguardano gli artt. 35, 37 e 38.
Nelle ultime settimane l’Aran e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro rispettivamente con note prot. 12389
dell’11.06.2018 e 10916 del 10.08.2018 hanno fornito interessanti indicazioni sulle principali disposizioni
introdotte dal Nuovo CCNL fra cui le materie commentate nel prosieguo.
cui il permesso abbia una durata superiore ad un’ora
andrà contabilizzato per il tempo effettivamente
usufruito, senza arrotondamento alcuno[2].
Assenze per malattia:
dal vecchio al nuovo CCNL
In premessa giova evidenziare che il precedente
contratto non contemplava permessi specifici per visite, terapie ed esami diagnostici. L’art. 18 co.2 del
CCNL Comparto Ministeri del 16.05.1995, stabiliva
semplicemente che, a domanda del dipendente – per
particolari motivi personali o familiari debitamente
documentati – erano concessi, nell’anno, tre giorni
di permesso retribuito, fruibili anche in modalità
oraria, nel limite massimo di 18 ore.
A questa mancanza contrattuale ha sopperito
la legge. Infatti con il co. 5-ter
dell’art. 55-septies del D.Lgs
165/2001[3] è stato stabilito
che “Nel caso in cui l’assenza
per malattia abbia luogo per
l’espletamento di visite, terapie,
prestazioni specialistiche od
esami diagnostici, il permesso
è giustificato mediante la presentazione di attestazione,
anche in ordine all’orario,
rilasciata dal medico o dalla
struttura, anche privati, che
hanno svolto la visita o la
prestazione o trasmessa da
questi ultimi mediante posta
elettronica”.
A seguito di tali modifiche, in
Però, prima di trattare tali argomenti, appare
doveroso evidenziare, che le ipotesi applicative
formulate dagli scriventi nel precedente articolo,
hanno poi trovato puntuale conferma nelle soluzioni
proposte dall’Aran con la nota appena ricordata.
Unica eccezione è costituita dalle modalità di
contabilizzazione dei permessi di cui all’art. 32 con
rubrica “Permessi orari retribuiti per particolari
motivi personali o familiari”. Nell’approfondimento
veniva evidenziato che, stante il divieto posto dal
Nuovo CCNL, di fruizione di tali permessi per
frazione di ora, al verificarsi di una tale situazione, il debito orario corrispondente andava considerato
come orario flessibile di cui all’art. 26. L’Aran ha fatto invece presente che se il permesso ex art. 32 ha una
durata inferiore all’ora la relativa contabilizzazione
è pari ad un’ora intera, ciò anche al fine di evitare una eccessiva frammentazione. Invece nell’ipotesi in
Assenze per malattia e permessi
per visite, esami e terapie
Cosa prevede il CCNL delle Funzioni Centrali
di Dorina Cocca e Tiziano Argazzi [*]
30 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
particolare quelle introdotte dal D.L. 101/2013, il
Dipartimento della Funzione Pubblica, con Circ. n.
2 del 17 febbraio 2014, impartì precise disposizioni
a tutte le Pubbliche Amministrazioni disponendo
che “a seguito dell’entrata in vigore della novella,
per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni
specialistiche od esami diagnostici il dipendente
deve fruire dei permessi per documentati motivi
personali, secondo la disciplina dei CCNL, o
di istituti contrattuali similari o alternativi
(come i permessi brevi o la banca delle ore). La
giustificazione dell’assenza, ove ciò sia richiesto per la fruizione dell’istituto (quali ad esempio permessi
per documentati motivi personali), avviene mediante
attestazione redatta dal medico o dal personale
amministrativo della struttura pubblica o privata
che ha erogato la prestazione”.
La circolare de qua venne poi dichiarata illegittima
dal TAR del Lazio[4]. I Giudici amministrativi,
dopo avere affermato che l’Amministrazione
non può emanare una circolare per cambiare
unilateralmente ciò che è stabilito e regolato per
via contrattuale, chiarirono che detta circolare era
da considerare illegittima in quanto, da un lato, “i
permessi regolamentati nei rispettivi contratti di
comparto hanno una finalità del tutto diversa da quella relativa alla cura dello stato di salute e anche
per la loro esiguità non possono essere estesi ad
altri scopi” e dall’altro che “la materia oggetto della
novella trova il suo naturale elemento di attuazione
nella disciplina contrattuale da rivisitare e non in
atti generali che impongono modifiche unilaterali in riferimento a CCNL già sottoscritti”.
La decisione del Tribunale Amministrativo ha per
certi versi “imposto” al Dipartimento della Funzione
Pubblica, all’Aran ed alle Organizzazioni sindacali,
in sede di rinnovo contrattuale, un percorso condiviso
per regolamentare, in via negoziale, tali assenze.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica
nell’atto di indirizzo per la riapertura dei tavoli
di contrattazione[5] aveva quindi rappresentato
la necessità di affrontare, in sede di rinnovo
contrattuale, la materia dei permessi, assenze
e malattia. E ciò è avvenuto con l’inserimento
nel Nuovo CCNL dell’art. 35 recante in rubrica
“Assenze per l’espletamento di visite, terapie,
prestazioni specialistiche ed esami diagnostici”. In
tal modo si è proceduto ad una complessiva rivisita
di tutte le tutele connesse alle assenze per malattia,
introducendo un nuovo istituto che permette la
fruizione di specifici permessi, nella misura massima di 18 ore annue, fruibili su base giornaliera od oraria,
per sottoporsi a visite, prestazioni specialistiche,
terapie ed esami diagnostici, comprensive anche dei
tempi di percorrenza da e per la sede di lavoro.
Le assenze e i permessi per visite,
esami e terapie: cosa prevede l’Art. 35
del nuovo CCNL
La disposizione in commento, composta da 15 commi,
disciplina nei primi dieci “gli specifici permessi”, fruibili su base giornaliera ed oraria, spettanti per
visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami
diagnostici. Il comma 1 ne stabilisce la fruizione su
base giornaliera od oraria nell’ammontare massimo
annuo di 18 ore, comprensive anche dei tempi di
percorrenza da e per la sede di lavoro[6].
Tali permessi sono assimilati alle assenze per
malattia ai fini del periodo di comporto (per il computo, sei ore di permesso usufruite su base oraria
corrispondono convenzionalmente ad una giornata
lavorativa) e sono sottoposti al medesimo regime
economico. Nel caso fruizione
per l’intera giornata lavorativa,
l’incidenza dell’assenza sul
monte orario a disposizione del
dipendente viene computata
con riferimento all’orario di
lavoro che il medesimo avrebbe
dovuto prestare nella giornata
di assenza. Nell’ipotesi in cui
la fruizione sia “ad ore” non
è prevista la decurtazione
del trattamento economico
accessorio, prevista per i primi
dieci giorni di assenza per
malattia.
La seconda parte dell’articolo
(nello specifico i commi 11,
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 31
12 e 14) riguarda invece situazioni di incapacità
lavorativa temporanea “concomitanti” o da porre in
relazione con prestazioni, visite, esami diagnostici
e terapie (anche periodiche o ripetute per un tempo
significativo) comportanti incapacità al lavoro. In queste ultime ipotesi l’assenza è imputata alla
malattia, con la conseguente applicazione della
disciplina legale e contrattuale in ordine al relativo
trattamento economico.
A ben vedere, quest’ultima parte della norma
contrattuale pone vari interrogativi. Uno su tutti:
in ragione della disciplina organica in tema
di malattia introdotta per via contrattuale è
ancora possibile invocare, per le assenze a tale
titolo, il co. 5-ter dell’art. 55-septies del D.Lgs
165/2001?
L’Aran, con la nota già ricordata, ha
“preliminarmente” chiarito che l’art. 35 del Nuovo
CCNL introduce una organica ed esaustiva
disciplina in materia di “assenze per l’espletamento
di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami
diagnostici”, che non si pone in contrasto, né su un
piano diverso, rispetto alla previsione normativa
dettata dal co. 5-ter dell’art. 55-septies del D.Lgs.
165/2001. Il motivo è presto detto: l’indicato articolo
di legge prende in considerazione solo un aspetto
di per sé limitato (il contenuto della giustificazione del permesso fruito) e non anche la regolazione, in
modo organico ed esaustivo – come fa l’art. 35 del
Nuovo CCNL – dei permessi per l’espletamento di
visite, terapie, prestazioni ed esami. È quindi di
tutta evidenza che con il Nuovo CCNL è stata data
specifica attuazione alla previsione legislativa di cui al co. 5-ter dell’art. 55 – septies del D.Lgs. 165/2001.
Inoltre, da una lettura combinata della norma
appena citata con l’art. 35 del Nuovo CCNL, a cui
deve aggiungersi anche la sentenza del TAR del
Lazio n. 5714/2015, risulta in maniera piana che le
assenze dal lavoro per malattia “per l’espletamento
di visite, terapie, prestazioni specialistiche od
esami diagnostici” indicate nel co. 5-ter dell’art.
55-septies del DLgs 165/2001 rimangono possibili
solo per le ipotesi introdotte dall’art. 35 del Nuovo
CCNL e descritte ai commi 11 (concomitanza tra
l’espletamento di visite specialistiche, l’effettuazione
di terapie od esami diagnostici e la situazione di
incapacità lavorativa temporanea del dipendente
conseguente ad una patologia in atto), 12 (incapacità
lavorativa determinata dalle caratteristiche di
esecuzione e di impegno organico delle visite
specialistiche, degli accertamenti, esami diagnostici
e/o delle terapie) e 14 (necessità per il lavoratore
di sottoporsi a terapie periodiche, anche per lunghi
periodi, che determinano incapacità di lavoro).
Tutti e tre i casi indicati sono caratterizzati da uno
stato di incapacità lavorativa, con ciò intendendo
una temporanea impossibilità del dipendente a
rendere la prestazione di lavoro. Per tale motivo le
assenze di cui trattasi, si differenziano dai permessi
regolati negli altri commi, presentando una più
diretta riconducibilità alla nozione di malattia. In
tali casi, quindi, l’assenza non è fruibile ad ore e non
vi è riduzione del monte ore annuo di 18 ore indicato
al co.1.
Da ultimo, come specificato nel comma 15, per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni
specialistiche od esami diagnostici il dipendente
potrà fruire - in alternativa ai permessi di cui al co.1
dell’art. 35 - di: (a) permessi brevi a recupero; (b)
permessi per motivi familiari e personali; (c) riposi
connessi alla banca delle ore e (d) riposi compensativi
maturati a seguito di effettuate prestazioni di lavoro
straordinario.
La giustificazione delle assenze
disciplinate dall’Art. 35
Il Nuovo CCNL delinea un quadro preciso per
quanto riguarda sia la presentazione della
domanda di permesso e, soprattutto, in ordine alla
giustificazione delle assenze effettuate a tali titoli.
La domanda di fruizione è presentata, di norma, dal
dipendente nel termine di preavviso di (almeno) tre
giorni. In caso di particolare e comprovata urgenza
o necessità, è ammessa la presentazione dell’istanza
anche nelle 24 ore precedenti la fruizione, ma
comunque non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del
giorno in cui il lavoratore ha necessità di fruire del
permesso orario o giornaliero.
Puntuali anche le modalità di giustificazione di tali assenze. Il comma 9 stabilisce che la giustificazione dei permessi orari o giornalieri contemplati
32 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
al comma 1 avviene mediante attestazione di
presenza, anche in ordine all’orario, predisposta
dalla struttura sanitaria, anche privata, dove si
è svolta la prestazione. La relativa attestazione
andrà poi trasmessa all’Ufficio di appartenenza direttamente dal dipendente oppure inoltrata in
via telematica dalla struttura che ha erogato la
prestazione sanitaria.
Come precisato meglio più avanti, si ritiene
che l’indicazione dell’orario nella attestazione
giustificativa dell’assenza, sia tassativa per tutti i permessi fruiti sia in modalità oraria e sia
giornaliera.
Più articolata la giustificazione delle assenze di cui ai commi 11, 12 e 14. Nella disposizione
contrattuale si parla sempre di “incapacità
lavorativa”, un concetto ampio che, in via generale,
sta ad indicare l’inidoneità - parziale o totale,
temporanea o permanente – a svolgere un lavoro,
realisticamente esigibile, nel campo della abituale
attività del soggetto interessato. Sembra evidente
che l’incapacità lavorativa a cui fa riferimento
l’articolo 35 del Nuovo CCNL sia quella determinata
da uno stato di malattia. Il Dipartimento della
Funzione Pubblica, richiamando due sentenze della
Suprema Corte di Cassazione[7] ha fatto presente
(Circolare n. 8/2008) che per ricondurre a malattia
le visite mediche, gli esami clinici e gli accertamenti
diagnostici è necessaria una stretta correlazione
tra essi ed uno stato patologico in atto che non
consenta la prestazione lavorativa. Possono altresì
essere imputate a malattia le terapie che si rendano
indispensabili – anche in momenti successivi alla
fase acuta - ai fini della guarigione del lavoratore ovvero, nel caso di affezioni croniche, per evitare un
peggioramento dell’infermità.
Quindi in ambito lavoristico la malattia viene
definita come una situazione di incapacità lavorativa, collegata ad una patologia in atto, che
rende impossibile l’effettuazione della prestazione
lavorativa. Tale valutazione terminologica rileva ai
fini delle modalità di giustificazione delle assenze effettuate per tali titoli.
Tre sono le fattispecie previste dal Nuovo CCNL[8]:
Giustificazione dell’assenza riconducibile al comma 11: in tale ipotesi l’assenza è giustificata mediante attestazione di malattia del medico
curante ed attestazione di presenza, anche in ordine
all’orario, predisposta dalla struttura sanitaria,
anche privata, dove si è svolta la visita o la
prestazione.
Giustificazione dell’assenza riconducibile al comma 12: Nell’articolato contrattuale viene
indicato che l’assenza è giustificata a mezzo di attestazione di presenza, anche in ordine all’orario
predisposta dalla struttura sanitaria, anche privata,
dove si è svolta la visita o la prestazione. L’Aran con
proprio parere del 4.07.2018 ha evidenziato che “La
giustificazione dell’assenza, nel caso di cui all’art. 35, comma 12, è fornita mediante attestazione di
presenza che documenti l’effettivo svolgimento
della prestazione, la quale, oltre alle indicazioni
circa l’orario, dovrà dare conto anche dello stato di
incapacità lavorativa determinatosi in conseguenza
della stessa prestazione”.
Quindi, per ricondurre l’assenza nell’alveo
del comma 12 è necessario che la struttura
sanitaria, dove si è svolta la prestazione, certifichi l’incapacità lavorativa del soggetto, che deve essere
determinata dalle “caratteristiche di esecuzione”
e di “impegno organico” delle visite specialistiche,
degli accertamenti, degli esami
diagnostici e/o delle terapie.
La stessa Agenzia con altro
proprio parere del 15.06.2018, ha
dato indicazioni anche in merito
alle modalità di trasmissione del-
la attestazione di presenza eviden-
ziando che “secondo la previsione
contrattuale, l’attestazione deve
essere prodotta, dalla struttura,
anche privata, che ha svolto la
prestazione. Il contratto non
prescrive che essa vada trasmes-
sa necessariamente in via tele-
matica, né menziona specifiche modalità di trasmissione. Sempli-
cemente, richiede l’inoltro all’am-
ministrazione a cura del dipen-
dente o direttamente da parte
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 33
della struttura che ha erogato la prestazione, anche
per via telematica. La trasmissione in via telematica
costituisce, pertanto, una mera possibilità”.
Giustificazione dell’assenza riconducibile al comma 14: se i dipendenti, a causa delle patologie
sofferte, debbono sottoporsi periodicamente, anche
per lunghi periodi, a terapie è sufficiente un’unica certificazione, anche cartacea, del medico curante che attesti la necessità di trattamenti sanitari
ricorrenti, comportanti incapacità lavorativa,
secondo cicli o calendari stabiliti. Tale attestazione
andrà prodotta all’Ufficio di appartenenza dai
lavoratori interessati prima dell’inizio delle terapie
fornendo, se possibile, anche il relativo calendario.
A questa prima attestazione fanno poi seguito le
singole certificazioni di presenza nella struttura
sanitaria da cui risulti l’effettuazione delle terapie e
la loro calendarizzazione come prescritte dal medico.
Da ultimo si rileva che il Nuovo CCNL fa riferimento
a “singole attestazioni di presenza” da ciò appare
del tutto evidente, a parere di chi scrive, che
dovrà essere prodotta una certificazione per ogni giornata di terapia non parendo ammissibile una
certificazione cumulativa che ricomprenda tutte le giornate di cura.
Le assenze per malattia disciplinate
dagli Artt. 37 e 38
L’articolo 37 disciplina le assenze per malattia ed
il trattamento economico spettante. Il Nuovo CCNL
nulla innova rispetto al precedente, in merito al
comporto. Invece vi sono parecchie novità per
quanto concerne la risoluzione del rapporto di lavoro
a causa dello stato di malattia. Innanzi tutto se il
dipendente, superati i periodi di conservazione del
posto, venga riconosciuto idoneo a proficuo lavoro, ma non allo svolgimento delle mansioni del proprio
profilo professionale, l’Amministrazione procede secondo quanto previsto dal D.P.R. 27.07.2011 n.
171, ed in particolare in base all’art. 7. Ove non
sia possibile applicare l’art. 7 oppure nel caso in
cui il dipendente sia dichiarato permanentemente
inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l’Amministrazione, con le procedure di cui al D.P.R.
n. 171/2011, può risolvere il rapporto di lavoro,
Per fruire dei permessi Art. 35: domanda o semplice comunicazione
Il co. 8 del più volte citato art. 35 precisa che il dipendente per la fruizione dei permessi di cui al co.1 deve presen-tare “domanda” all’Ufficio di appartenenza. Il termine non parrebbe pienamente adeguato al contenuto dell’articolo in commento. Infatti se al dipendente viene richiesto di presentare una domanda, l’Amministrazione poi dovrebbe formulare un parere (positivo o negativo) in merito all’istanza ricevuta. Invece, come peraltro precisato dall’Aran, “l’effettuazione di una terapia, di una visita o di un esame diagnostico, come pure il ricorso a prestazioni specialistiche, anche con finalità di mera prevenzione, vengono a costituire il titolo che determina l’insorgenza del diritto all’assenza in oggetto, che va pertanto giustificata solo con la relativa attestazione di presenza”. Quindi, a parere di chi scrive, il termine “domanda” indicato nell’articolato contrattuale dovrebbe essere inteso come semplice “comunicazione” da presentare all’Ufficio di appartenenza nel rispetto del termine di preavviso di almeno tre giorni e, nei casi di comprova-ta urgenza e necessità, anche nelle 24 ore precedenti la fruizione ed, in ogni caso, non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui il dipendente intende fruire del permesso orario o giornaliero.
Unico adempimento per il dipendente rimane quello di giustificare l’assenza mediante l’attestazione di presenza re-datta dalla struttura sanitaria, pubblica o privata, che ha erogato la prestazione.
Viene precisato che nella attestazione deve essere ricompreso anche l’orario. Al riguardo si ritiene che l’indicazione dell’orario sia da ritenere tassativa per tutti i permessi fruiti, sia in modalità oraria e sia giornaliera.
La valutazione trova conferma anche nella nota dell’INL del 10.08.2018 recante in oggetto “Indicazioni sulle principali disposizioni innovative introdotte nel CCNL del 12 febbraio 2018, relativo al personale del Comparto Funzioni Centra-li” dove viene ribadito che l’assenza viene giustificata mediante attestazione di presenza (presso la struttura che ha erogato la prestazione) anche in ordine all’orario. La terminologia utilizzata, “anche in ordine all’orario”, fa presumere che nella attestazione debba essere inserito solamente l’orario in cui si è svolta la visita o la prestazione e non anche l’ora di entrata e di uscita dalla struttura.
34 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
previa comunicazione all’interessato, entro 30 giorni
dal ricevimento del verbale di accertamento medico,
corrispondendo, se dovuta, l’indennità di preavviso.
Per quanto poi riguarda il trattamento economico
viene stabilito che spetta:
(a) l’intera retribuzione mensile fissa e continuativa con esclusione di ogni altro compenso accessorio,
comunque denominato, per i primi nove mesi
di assenza. Nell’ambito di tale periodo, per le
malattie superiori a quindici giorni lavorativi o
in caso di ricovero ospedaliero e per il successivo
periodo di convalescenza post ricovero, al
dipendente compete anche il trattamento
economico accessorio fisso e ricorrente, ivi compresa l’indennità di posizione organizzativa,
esclusi i compensi per le prestazioni di lavoro
straordinario, nonché le indennità legate allo
svolgimento della prestazione lavorativa;
(b) il 90 % della retribuzione di cui alla lettera “a”
per i successivi tre mesi di assenza;
(c) il 50 % della retribuzione di cui alla lettera “a” per
gli ulteriori sei mesi del periodo di conservazione
del posto.
I trattamenti accessori correlati alla performance
dell’anno competono, secondo i criteri definiti dal contratto collettivo nazionale integrativo, solo se e
nella misura in cui sia valutato un positivo apporto
del dipendente ai risultati, per effetto dell’attività
svolta nel corso dell’anno, durante le giornate
lavorate, secondo un criterio non necessariamente
proporzionale a queste ultime.
Superato il periodo in cui si ha diritto alla
conservazione del posto (i primi 18 mesi di assenza),
l’ulteriore periodo eventualmente concesso dall’Am-
ministrazione (e pari ad ulteriori 18 mesi), su
richiesta del dipendente, in casi particolarmente
gravi, non è in alcun modo retribuito.
Si evidenzia altresì che ai fini della determinazione del trattamento economico spettante al lavoratore
in caso di malattia, le assenze dovute a day-hospital,
al ricovero domiciliare certificato dalla Asl o da struttura sanitaria competente, purché sostitutivo
del ricovero ospedaliero o nei casi di day-surgery, day-
service, pre-ospedalizzazione e pre-ricovero, sono
equiparate a quelle dovute al ricovero ospedaliero e
ai conseguenti periodi di convalescenza.
Nulla è cambiato in relazione alla comunicazione
all’Ufficio dell’assenza per malattia. La situazione, salvo comprovato impedimento, deve essere
portata a conoscenza dell’ufficio di appartenenza tempestivamente e comunque non oltre l’inizio
dell’orario di lavoro del giorno in cui si verifica, anche nel caso in cui trattasi di prosecuzione dell’assenza.
I commi 14 e 15 delineano gli adempimenti a
carico del lavoratore assente per malattia, nel
caso debba allontanarsi dal proprio domicilio. In
tale ipotesi il dipendente, anche se in possesso
di espressa autorizzazione del medico curante
ad uscire, è tenuto a farsi trovare nel domicilio
comunicato all’Ufficio di appartenenza, in ciascun giorno, anche se domenicale o festivo, nelle fasce di
reperibilità previste dalle disposizioni vigenti. Se
poi il lavoratore debba allontanarsi dal domicilio
comunicato, durante le fasce di reperibilità, per visite
mediche, prestazioni o accertamenti specialistici
o per altri giustificati motivi, che devono essere, a richiesta, documentati, è tenuto a darne preventiva
comunicazione all’Ufficio di appartenenza.
Da ultimo alcune considerazioni in merito alle
patologie gravi che richiedono terapie salvavita.
Al riguardo, l’art. 38, stabilisce che in presenza di
gravi patologie che richiedono terapie salvavita -
come ad esempio l’emodialisi e la chemioterapia ed
altre ad esse assimilabili, attestate dalle competenti
strutture medico legali delle Aziende Sanitarie
Locali – i relativi giorni di ricovero ospedaliero
o di day – hospital ed i giorni di assenza dovuti
per sottoporvisi, non rientrano nel computo delle
assenze per malattia.
Parimenti non rientrano nel computo anche i giorni
di assenza dovuti agli effetti collaterali delle citate
terapie, comportanti incapacità lavorativa, per un
periodo massimo di quattro mesi per ciascun anno
solare. I giorni di assenza dovuti alle terapie e
agli effetti collaterali delle stesse dovranno essere
debitamente certificati dalla struttura medica convenzionata ove è stata effettuata la terapia ovvero
dall’organo medico competente. La procedura per il
riconoscimento della grave patologia è attivata dal
dipendente e, dalla data del riconoscimento della
stessa, decorrono le disposizioni della norma. Va da
sé che la nuova disciplina si applica alle assenze a
tale titolo effettuate successivamente alla data di
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 35
sottoscrizione definitiva del Nuovo CCNL e quindi dal 12.02.2018.
(2-Continua)
Note
[1] Lavoro@Confronto Anno
VI - N. 27 - Maggio/Giugno
2018 – pagg. 17-23: “Pubblico
impiego: tante le novità nel
nuovo CCNL”;
[2] A tale proposito, si richiama
il recente orientamento
applicativo CFC1 del
15/06/2018 dell’Aran con il
quale si ritiene, per evitare
problematiche applicative,
che l’espressione “non sono fruibili per frazione
di ora” possa essere interpretata nel senso
che i permessi in questione non sono fruibili
per un arco temporale inferiore ad una sola
ora. Conseguentemente, puntualizza l’Aran, il
dipendente non potrà fruirne per 20 o anche per
50 minuti (dovendo in questo caso, comunque,
contabilizzare un’intera ora), mentre si ritiene
possibile l’utilizzo per periodi composti da
un’ora o da un numero intero di ore, seguiti da
frazioni di ora (ad esempio un’ora e un’ora e
quindici minuti, un’ora e trenta minuti, due ore
e venti minuti, etc.). A titolo esemplificativo se il permesso ha un durata di 20 o anche di 30 o
50 minuti la contabilizzazione sarà comunque di
un’ora. Se invece il permesso è di un’ora e trenta
minuti la contabilizzazione sarà pari ad un’ora e
trenta minuti.
[3] Comma introdotto dall’art. 16 co.9 del D.L.
6.07.2011 n. 98 convertito con modificazioni nella Legge 15.07.2011 n. 111 e poi modificato, nella odierna formulazione, dall’art. 4 co. 16
bis del D.L. 31.08.2013 n. 101 convertito con
modificazioni nella Legge 30.10.2013 n. 125;[4] Sentenza TAR Lazio n. 5714 pubblicata in data
17 aprile 2015;
[5] Dipartimento della Funzione Pubblica, Atto
di indirizzo per la riapertura dei tavoli di
contrattazione trasmesso all’Aran con nota
prot.39110 del 6.07.2017. In particolare veniva
evidenziato che “le assenze dal servizio per
l’espletamento di visite, terapie, prestazioni
specialistiche od esami diagnostici richiedono
una specifica disciplina contrattuale. Tali assenze presentano la caratteristica di non
essere assimilabili in tutto all’assenza per
malattia, in quanto può mancare il presupposto
della patologia in atto, e di essere comunque
entro certi limiti giustificabili, per la particolare
causa, consistente nell’esigenza di cura o di
prevenzione. (…..). Visti i variegati problemi di
gestione dell’istituto e considerata la maggiore
flessibilità della fonte negoziale, il rinnovo contrattuale costituisce l’opportunità per dare
contorni più definiti, superando le attuali incertezze applicative, all’istituto delle assenze
dal servizio per l’espletamento di visite, terapie,
prestazioni specialistiche o esami diagnostici”.
[6] È appena il caso di precisare che i permessi
di cui all’art. 35 vanno ad aggiungersi a quelli
riconducibili ai particolari motivi personali e
familiari disciplinati dall’art. 32;
[7] Per la Suprema Corte in ragione dell’art. 2110
Cod. civ. la malattia va intesa come stato
patologico in atto, non come generica alterazione
dello stato psicosomatico, ovvero come mera
esigenza terapeutica, sganciata dalla concreta
ed accertata impossibilità di proseguire nella
prestazione lavorativa (Cass. civ., n. 5027 del 5
settembre 1988; Cass. civ. n. 3578 del 14 giugno
1985);
[8] L’Aran, con riguardo a tali tre situazioni, ha
evidenziato che si caratterizzano per stati di
incapacità lavorativa. Per tali ragioni essi
si differenziano dai permessi regolati negli
altri commi, presentando una più diretta
riconducibilità alla nozione di malattia.
Conseguentemente, in tali casi, l’assenza non è
fruibile ad ore e non vi è la riduzione del monte
ore annuo di 18 ore..
[*] Dorina Cocca e Tiziano Argazzi sono in servizio presso la sede di Rovigo dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Ferrara Rovigo. Le considerazioni contenute nel presen-te intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale degli Autori e non hanno carattere in alcun modo impe-gnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
36 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
Può accadere, per i più svariati motivi, che il datore di lavoro privato non provveda al versamento
dei dovuti contributi pensionistici in favore del lavoratore dipendente, oppure li versi in misura in-
feriore al dovuto perché li calcola su una retribuzione inferiore a quella corrisposta. Trascorsi 5 anni
il datore di lavoro non può più versare tali contributi né l’INPS richiederli perché è intervenuta la
prescrizione.
In questa deprecabile situazione lavoratore perde il diritto alla quota di pensione corrispondente
ai contributi non versati? In altri termini, il lavoratore avrà una pensione inferiore (eventualmente
nessuna pensione!) a quella che si sarebbe aspettato in rapporto alla retribuzione percepita? La ri-
sposta a queste domande è certamente affermativa: quando nella posizione assicurativa del lavora-
tore sono presenti contributi inferiori al dovuto, l’INPS calcola una pensione proporzionale ad essi e,
dunque, inferiore a quella che sarebbe stata attribuita se fossero stati accreditati tutti i contributi.
Tuttavia l’ordinamento prevede uno strumento di tutela per il lavoratore che permette, in qualche
modo, di ovviare alla omissione del datore di lavoro: la costituzione della rendita vitalizia. Attraverso
questo strumento il lavoratore potrà avere una pensione coerente con i periodi e le retribuzioni per-
cepite.
La rendita vitalizia può essere richiesta
all’INPS da parte del lavoratore (con eventuale
rivalsa sul datore di lavoro) oppure effettuata
spontaneamente dal datore di lavoro.
La disciplina della rendita vitalizia succinta-
mente descritta sembrerebbe non interessare gli
impiegati statali iscritti alla Cassa Stato (CTPS).
Può mai lo Stato aver omesso il versamento dei
contributi previdenziali dei propri dipendenti?
In effetti, il Ministero dell’economia e finanze
– NOIPA – rappresenta che ha “sempre effettua-to tutti i versamenti contributivi corrispondenti al pagato” tuttavia riconosce che la banca dati
INPS delle posizioni assicurative dei dipendenti
“è gravata dalla presenza di vuoti contributivi o errori relativi alla retribuzione imponibile” (Mi-
nistero Economia e Finanze/DSII - ProtNum:
0015855/2018 del 06/06/2018). Dunque, la ban-
ca dati INPS presenta delle mancanze che po-
trebbero avere come conseguenza una pensione
inferiore oppure nessuna pensione (in caso di
mancato raggiungimento dei requisiti minimi
previsti).
Stando così le cose è imprescindibile che ogni
dipendente statale controlli la propria posizione
assicurativa per verificare l’eventuale “presenza di vuoti contributivi o errori relativi alla retribu-zione imponibile”.
Ma c’è di più, infatti il controllo dovrà riguar-
dare non solo le retribuzioni pensionabili (dal
1/1/1993) ma anche i periodi utili a pensione sia
La rendita vitalizia non consiste nel versamen-
to ora per allora dei contributi ormai prescritti,
cosa non più possibile, ma nel pagamento del
riscatto di quella quota di pensione che spetta
al lavoratore dipendente in relazione contributi
omessi.
L’onere di riscatto “È determinato sulla dif-ferenza tra l’importo della pensione che spet-terebbe al richiedente sulla base dei contributi complessivamente accreditati, compresi quelli oggetti di riscatto, e l’importo della pensione de-terminato sulla base della contribuzione effetti-vamente accreditata nel fondo in cui si chiede il riscatto (Circ. 162 del 19.7.1997)” (testo estrat-
to dal sito INPS).
Naturalmente l’INPS riconoscerà la quota di
pensione solo completato il riscatto, che potreb-
be avvenire anche in un momento successivo
alla data del pensionamento.
Rendita vitalizia
per i dipendenti della PA
Meglio sistemare la posizione assicurativa entro il 31 dicembre 2018
di Stefano Stefani [*]
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 37
quelli c.d. utili ex se (es.: ruolo, maggiorazioni,
militare di leva, ecc.) sia quelli riconosciuti con
provvedimento formale delle amministrazio-
ni statali (es.: computi, riscatti, ricongiunzioni,
ecc.). Il controllo può essere effettuato agevol-
mente confrontando i dati della posizione assi-
curativa INPS-CTPS con gli atti in proprio pos-
sesso.
Se la posizione assicurativa INPS risultasse
incompleta o errata, il dipendente dovrà presen-
tare all’INPS per via telematica la “Richiesta di
Variazione Posizione Assicurativa” (RVPA) [che]
“rappresenta lo strumento attraverso il quale il lavoratore dipendente pubblico può far rilevare le inesattezze e gli errori contenuti nell’Estrat-to Conto Gestione Dipendenti Pubblici” (testo
estratto dal sito INPS). Tramite la RVPA il di-
pendente potrà inviare all’INPS la documenta-
zione giustificativa per permettere all’Istituto di
rettificare o integrare i dati in proprio possessoe
l’INPS, a sua volta, potrà, a tale fine, richiedere
anche all’ente datore di lavoro di sistemare la
posizione assicurativa per la sua parte(cf. INPS
circolare n. 148 del 21/11/2014 e successive).
In particolare, fino al 31/12/2018 gli enti da-
tori di lavoro pubblici possono continuare a si-
stemare le posizioni assicurative secondo le mo-
dalità già in uso e dettate dall’ex INPDAP per
la regolarizzazione contributiva. La dirigenza
statale ha le competenze per proseguire nella
sistemazione delle posizioni assicurative dei di-
pendenti statali già avviate, tuttavia il termine
del 31/12/2018 si avvicina.
Anche le organizzazioni sindacali e le asso-
ciazioni di patronato si sono rese parte attiva al
fine di sostenere il dipendente statale nella si-
stemazione della posizione assicurativa.
Ma cosa succederà dal 1/1/2019 per le posi-
zioni assicurative di quei dipendenti statali per
i quali gli enti datori di lavoro non hanno prov-
veduto a sistemare la posizione assicurativa se-
condo le modalità attualmente in uso ed entro il
31/12/2018?
Ebbene, i dipendenti statali possono conti-
nuare a presentare la RVPA anche dal 1/1/2019
in poi perché l’INPS non ha posto limiti a que-
sta possibilità (notizia riportata sul sito INPS in
data 13/8/2018), ma diversa è la situazione per
gli enti datori di lavoro.
Infatti permane il limite di 5 anni alla pre-
scrizione dei contributi a decorrere dal 1/1/2019
(INPS circolare n. 169 del 15/11/2017) e, a tale
proposito, l‘INPS precisa: “i datori di lavoro pub-blici potranno quindi continuare ad aggiornare le posizioni assicurative dei dipendenti, ma per i flussi trasmessi dal 1° gennaio 2019 dovranno sostenere un onere calcolato secondo le indica-
zioni della circolare INPS 169/2017 (ossia [l’ente datore di lavoro]sarà obbligato a sostenere l’one-re del trattamento di quiescenza riferito a periodi di servizio per cui è intervenuta la prescrizione, utilizzando come base di calcolo il criterio della rendita vitalizia)” (notizia riportata sulla home
page INPS con data 13/8/2018).
In altri termini, poiché dal 1/1/2019 intervie-
ne la prescrizione quinquennale dei contributi,
gli enti datori di lavoro (le amministrazioni sta-
tali) potranno sistemare le posizioni assicurative
dei dipendenti statali pagando l’onere di riscatto
previsto per la rendita vitalizia per i contributi
ormai prescritti.
In conclusione, se da un lato è importante per
i dipendenti statali presentare la RVPA il pri-
ma possibile, dall’altro sarebbe opportuno per
gli enti datori di lavoro provvedere a sistemare
le posizioni assicurative entro il 31/12/2018 al
fine di evitare di sostenere l’onere per la quota
di pensione relativa ai contributi prescritti pa-
gando il riscatto secondo il criterio della rendita
vitalizia.
Proprio con riferimento al pagamento del ri-
scatto la novità e complessità della situazione
che si è creata può far sorgere alcune semplici
domande: chi provvederà (es.: le amministrazio-
ni statali, il Ministero dell’economia e finanze,
…), come provvederà (es.: d’ufficio, a domanda
dell’impiegato/pensionato, a seguito di sentenza,
…) e quando provvederà (es.: al momento della
richiesta dell’impiegato o dell’INPS, al momento
del pensionamento, …) al pagamento del riscat-
to?
Si confida in una sinergia e una condivisione
tra MEF, INPS e Amministrazioni statali al fine
di giungere compiutamente e rapidamente alla
soluzione delle problematiche, come auspicato
nelle Conclusioni della nota MEF del 6/6/2018
sopra citata. n
[*] Esperto di problemi previdenziali del Pubblico Impiego. Rappresentante Regionale per il Lazio nella Assemblea Nazionale della Fondazione Massimo D’Antona.
38 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018
Nella prima decade degli anni quaranta la nostra
società, soprattutto quella provinciale, almeno nella
parte numericamente più consistente, vale a dire il
mondo contadino, aveva mantenuto sostanzialmente
i valori tradizionali, mentre la sua evoluzione proce-
deva al ritmo lento, in modo quasi impercettibile, del
passato. Allora il nostro Paese era ancora prevalente-
mente rurale, con la sua massima concentrazione nel
nord est e meridione della penisola, dove gran parte
degli addetti, braccianti, fittavoli e piccoli proprietari di fondi improduttivi, conduceva la vita miserevole
di sempre, legata a usi e costumi secolari, mentre i
risultati delle scoperte scientifiche e del progresso tecnologico erano pressoché sconosciuti. I loro effetti
positivi, infatti, riguardavano quasi esclusivamente il
ceto borghese e avevano qualche riflesso sulle masse proletarie.
I contadini, invece, trascinavano la loro esistenza fa-
ticosa simile a quella dei loro avi secondo tradizioni e
consuetudini che risalivano a tempi immemorabili su
cui incombeva una religiosità non priva di elementi di
superstizione. Essa, tuttavia, svolgeva un’importante
funzione salvifica perché l’idea di un mondo miglio-
re nell’aldilà contribuiva ad alleviare e sopportare le
condizioni spesso disumane patite in terra, cariche di
miseria, fame e malattie.
Una realtà questa appena sfiorata da un’imper-
cettibile progressione economica e priva della possi-
bilità di avanzamento sociale; una situa-
zione di cui era difficile liberarsi se non con una via di fuga rappresentata, per
circa un secolo, dall’emigrazione verso
terre sconosciute per affrontare la quale
occorreva una buona dose di coraggio o
un sentimento di estrema disperazione.
La vita, d’altra parte, non era facile
neanche per le altre classi sociali, salvo
la ristretta elite dominante, perché la
nostra era ancora una nazione povera
e arretrata almeno rispetto alle altre
La conclusione del mandato di Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona per il nostro Fabrizio Di Lalla
ha coinciso con l’arrivo nelle librerie del suo nuovo libro “Un mondo a parte”, Edizioni Tabula Fati, Euro 16.
E mentre volentieri ne diamo informazione dalle pagine di questa nostra Rivista, non possiamo non sottoline-
are che questo suo ultimo lavorosi discosta nettamente dalla produzione precedente, concentrata sul colonialismo
italiano. Riguarda, infatti, un argomento dimenticato se non addirittura rimosso dalla nostra memoria collettiva:
come vivevano gli italiani negli anni quaranta e cinquanta in una realtà profondamente diversa da quella attuale.
società del mondo occidentale. Inoltre, agli antichi
mali si erano aggiunti gli effetti deleteri della guerra
disastrosa, durata cinque anni di cui quasi due com-
battuti sul nostro suolo e terminata con una dolorosa
sconfitta. Pertanto, nel ricordare quei tempi, é diffici-le provare nostalgia o rimpianto se non per la perduta
gioventù e la gioia di vivere a essa legata.
Poi, dalla seconda metà degli anni cinquanta, tut-
to da noi è cambiato a seguito di una vera e propria
rivoluzione che in un decennio ha trasformato alla ra-
dice il tradizionale modello allineandoci alle nazioni
più progredite. Sto parlando di quello che fu chiamato
boom economico, una definizione molto riduttiva per-
ché lo sviluppo di cui beneficiò tutta la popolazione, seppure con diversa gradualità, andò ben oltre tale
aspetto incidendo profondamente anche su relazio-
ni e avanzamenti sociali, sull’attività culturale e sui
rapporti sessuali spazzando via gran parte dei tabù
fino allora imperanti.L’estensione, la profondità e soprattutto la rapi-
dità di questa trasformazione hanno rappresentato
una vera e propria cesura tra prima e dopo. I valori e
il modo di vivere d’allora sono diventati progressiva-
mente incomprensibili ed estranei ai nati degli anni
sessanta e alle generazioni che si sono succedute nel
tempo. Così un velo d’oblio è calato su quel periodo,
determinando una situazione non positiva per la so-
cietà perché la perdita della memoria storica può rap-
presentare un elemento che alla lunga
corrode le basi su cui essa si poggia.
Bene ha fatto Fabrizio Di Lalla a ri-
cordarcelo in un libro da leggere tutto
d’un fiato nei suoi cinquanta racconti brevi, in cui una realtà a volte dramma-
tica è narrata con levità attraverso i ri-
cordi di quando era bambino. n
[*] Segretario della Fondazione Prof. Massi-mo D’Antona
Un interessante ritorno
agli anni Quaranta
“Un mondo a parte” di Fabrizio Di Lalla
di Roberto Leardi [*]
Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018 39
Finito il volontario esilio del periodo estivo, ho ripreso la mia vita quotidiana con alcuni elementi che
stanno diventando delle vere o priore ritualità, come gli incontri col mio amico brontolone di sempre
che mi diverto a stuzzicare, in qualche caso con un pizzico combinato di sadismo e masochismo, ti-
rando in ballo i temi scabrosi dell’attualità. Questa volta l’ho trovato più arrabbiato di sempre; forse,
ho pensato, sono andate male le vacanze o al contrario, chi lo sa, sono state così belle che ancora non
riesce a riadattarsi alla routine quotidiana. Fatto sta che questo suo stato d’animo così esasperato lo
ha spinto questa volta, diversamente dal solito, a precedermi e a dare il via al dialogo.
Siamo diventati più di sempre – ha iniziato – un popolo di chiacchieroni inconcludenti. L’ultimo stu-
pido dibattito di moda tra i politici è il dilemma se ammodernare o no il Paese con l’adeguamento e la
costruzione delle necessarie strutture, le cosiddette grandi opere. Intanto, mentre da tempo prevale
il chiacchiericcio, l’Italia rischia di andare definitivamente in malora. Cadono i ponti e le strade sono
ridotte peggio del groviera, provocando vittime e danni ingenti in termini economici e di credibilità
internazionale per le nostre imprese.
che resiste dal 1876, per non parlare di quelli
romani che hanno duemila anni di vita. Alcuni
ne conoscevano le condizioni e i più avveduti,
pochi per la verità, hanno cercato di correre ai
ripari con un progetto alternativo, ma l’Italia
delle fazioni è riuscita a bloccare tutto. E per
i responsabili è il momento dello scaricabarile,
un altro degli sport preferiti dagli italiani.
Sei sempre il solito pessimista che vede più
nero di quel che è in realtà; – ho risposto al mio
amico – d’accordo, non stiamo attraversando un
bel periodo, sicuramente abbiamo più problemi
di sempre, ma le tue affermazioni danno l’idea
ingiusta di un popolo senza speranza. Sei come
sempre un disfattista.
Mettila come ti pare – mi ha risposto – ma non
vedo salvezza. Prendi le dichiarazioni del mini-
stro che più ci riguardano da vicino. Di fronte
alle tante morti legate al mondo del lavoro come
quelle degli extracomunitari in Puglia, chi do-
vrebbe rappresentare il nuovo che avanza se n’è
uscito con la solita banalità di sempre: occorrono
più ispettori. Forse ne occorrono veramente di
più, ma questo è solo la punta dell’iceberg di un
problema molto più complesso che dovrebbe es-
sere affrontato in modo radicale e rapidamente.
Sarà che sono un inguaribile ottimista – ho con-
cluso – ma so che dopo che si è toccato il fondo
non c’è altro che la risalita. n
Fino a qualche tempo fa eravamo ritenuti, ri-
tengo a ragione, dentro e fuori i confini, fino
nei punti più remoti del pianeta, i più abili co-
struttori di opere pubbliche, soprattutto legate
alla viabilità, un’eredità trasmessaci dai roma-
ni; quest’unanime credibilità, ci faceva vincere
ovunque grandi commesse che significavano
lavoro, benessere e sostegno della bilancia dei
pagamenti. Adesso dopo i tanti disastri, spes-
so annunciati, ben pochi si fideranno di noi in
questo campo.
La realtà è che dopo le grandiose trasforma-
zioni del ventennio d’oro del dopoguerra in cui
le infrastrutture furono un elemento determi-
nante per la rivoluzione italiana che da nazione
contadina si trasformò in uno dei grandi paesi
industriali del mondo, tutto si è fermato o qua-
si proprio dal momento in cui ci eravamo illusi
di essere diventati non con la bacchetta magica
delle favole, ma con lavoro, sacrifici, perseve-
ranza e intelligenza. Si ha la sensazione che
quella trasformazione da rospo a principe si sia
esaurita e che rischiamo di tornare alle sem-
bianze originarie.
Siamo, stati informati dopo il crollo del pon-
te di Genova, che gli addetti ai lavori sapevano
da tempo della sua pericolosità dovuta a una
serie di cause, compresa quella dell’età ormai
di mezzo secolo. Sebbene venisse chiamato, per
una certa somiglianza, ponte di Brooklin, si è
visto amaramente che non aveva nulla di simi-
le o peggio non veniva curato come l’originale
Effemeridi • Pillole di satira e costume
Da principe a rospodi Fadila
40 Lavoro@Confronto - Numero 28-29 - Luglio/Ottobre 2018