REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano Corte dei ... · delle attività universitarie”,...
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SENT. N. 14/14/R
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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
la
Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Regionale
per l'Emilia-Romagna
composta dai seguenti magistrati:
dott. Luigi Di Murro Presidente
dott. Marco Pieroni Consigliere
dott. Francesco Maria Pagliara Consigliere relatore
Visto l’atto di citazione in data 31 maggio 2013;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi nella pubblica udienza dell’11 dicembre 2013, con l’assistenza
del Segretario dott.ssa Nicoletta Natalucci, il Consigliere relatore
dott. Francesco Maria Pagliara, il Pubblico Ministero nella persona
del Procuratore Regionale dott. Salvatore Pilato e l’avv. Marcello
Mendogni per il dott. G. S.;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul giudizio iscritto al n. 43719/R R.G. instaurato dal Procuratore
Regionale nei confronti del dott. G. S., nato il Omissis, rappresentato
e difeso dagli avvocati Marcello Mendogni e Roberto Manservisi ed
elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Bologna via
Santo Stefano n. 16;
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Ritenuto in
FATTO
In data 31 maggio 2010 il II Gruppo della Guardia di Finanza di
Omissis inoltrava alla Procura Regionale della Corte dei Conti presso
questa Sezione Giurisdizionale una “segnalazione di iniziativa per
danno erariale” (nota prot. 0216968/10 del 28 maggio 2010) nei
confronti del dott. G. S., Docente Universitario Associato presso
l’Università degli Studi di Omissis.
Come rappresentato in detta segnalazione, la Presidenza del
Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica –
Ispettorato aveva delegato il Nucleo Speciale Spesa Pubblica e
Repressione Frodi Comunitarie della Guardia di Finanza di Roma ad
eseguire nei riguardi del dott. G., quale docente universitario di 2^
fascia dell’Università degli Studi di Omissis, le previste verifiche (di
cui agli artt. 1, commi da 56 a 65, della legge n. 662/1996 e 53 del
d.lgs. n. 165/2001) in materia di incompatibilità e cumulo di impieghi
dei dipendenti pubblici.
A sua volta, il Nucleo Speciale sopra indicato aveva sub-delegato per
competenza il Reparto di Omissis, che aveva quindi eseguito le
verifiche richieste dal citato Dipartimento della Funzione Pubblica,
accertando quanto segue.
Da una preliminare indagine espletata tramite la banca dati
dell’Anagrafe Tributaria, era emerso che il dott. G., docente
universitario associato e coordinatore del Corso di Omissis presso la
Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Omissis,
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era titolare di Partita IVA a far data dal 1° gennaio 1993, in relazione
all’esercizio di attività di lavoro autonomo ex artt. 5 del d.P.R. n.
633/1972 e 53 del d.P.R. n. 917/1986 avente ad oggetto “Altri studi
medici e poliambulatori specialistici”.
Inoltre, il sunnominato aveva dichiarato redditi da lavoro autonomo
derivanti dall'esercizio di arti e professioni, come da modello unico
per le persone fisiche degli anni dal 2003 al 2008, e aveva percepito
redditi da lavoro dipendente dall'Università degli Studi di Omissis,
quali risultanti dai CUD relativi agli anni dal 2003 al 2009.
Presso l’Università degli Sudi di Omissis era poi acquisita varia
documentazione amministrativa comprendente: 1) decreto rettorale
n. 123 del 31 marzo 1990, con il quale l'Università di Omissis aveva
nominato il dott. S. G. nel ruolo di ricercatore universitario all'esito di
procedura per pubblico concorso; 2) decreto rettorale n. 39 del 5
maggio 1994, con il quale il dott. G. era immesso nella fascia dei
“ricercatori confermati” con decorrenza dall'1 aprile 1993, con
l'attribuzione dalla data di adozione dello stesso decreto del
trattamento economico previsto per il regime di impegno “a tempo
definito”, in conformità alla dichiarazione di opzione presentata dal
docente per il biennio accademico 1993/1995; 3) istanza datata 16
luglio 2003 dichiarativa dell'opzione, da parte del dott. G., per il
regime di impegno “a tempo pieno” relativamente al biennio
accademico 2003/2005; 4) decreto rettorale n. 1330 del 24 luglio
2003 di attribuzione al dott. G. della variazione stipendiale
conseguente al passaggio dal regime di impegno “a tempo definito”
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al regime di impegno “a tempo pieno”; 5) comunicazione prot. n.
21326 del 24 luglio 2003, con la quale l’Università degli Studi di
Omissis comunicava all’Ordine dei Medici Chirurghi e degli
Odontoiatri di Omissis l’opzione a tempo pieno operata dal dott. G.;
6) decreto rettorale n. 285 in data 30 dicembre 2004 di nomina del
dott. G. a professore associato di seconda fascia a decorrere dal 30
dicembre 2004 con attribuzione di una variazione stipendiale per la
qualifica ricoperta e l’opzione di regime a “tempo pieno”.
Successivamente, dalla documentazione fiscale prodotta dal dott. G.
erano desunti i redditi di lavoro autonomo dichiarati dal predetto
nell’esercizio di arti e/o professioni per gli anni d’imposta 2003 –
2008, complessivamente ammontanti a circa € 440.000,00.
Lo stesso dott. G., in merito alle indagini svolte dalla Guardia di
Finanza, aveva a dichiarare quanto segue: “…non ho mai svolto altri
incarichi retribuiti o in maniera occasionale alle dipendenze di
soggetti pubblici o privati che non rientrano nella mia attività libero-
professionale per la quale emetto regolare fattura. In particolare ho
espletato attività di medico competente del lavoro presso aziende
private che lo richiedevano per sottoporre a visite mediche i propri
lavoratori dipendenti. Per le prestazioni eseguite da medico del
lavoro emetto regolare fatturazione per i compensi percepiti in
quanto titolare di partita IVA” (v. processo verbale redatto il 25
febbraio 2010 presso gli uffici del II Gruppo di Omissis della Guardia
di Finanza).
Infine, dagli accertamenti esperiti presso l’Ordine Provinciale dei
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Medici e Chirurghi di Omissis il dott. G. risultava: 1) iscritto all’albo
del predetto Ordine Provinciale di Omissis dal 17 gennaio 1984; 2)
iscritto nell’elenco speciale previsto, ai sensi dell’art. 11, ultimo
comma, del d.P.R. n. 382/1980 e degli artt. 1 e 2 della legge n.
158/1987, per i professori (ordinari, straordinari e associati) e i
ricercatori universitari che hanno optato per il tempo pieno; 3) iscritto
nell’elenco dei medici specializzati in Medicina del lavoro ai sensi
dell’art. 55, comma 1, del d.lgs. n. 277/1991.
Pertanto, nella citata segnalazione prot. 0216968/10 del 28 maggio
2010 - considerato che il dott. G. “ha continuato ad esercitare in
modo abituale e professionale, nel regime di impegno a tempo pieno,
dall’anno 2003 l’attività di lavoro autonomo attraverso prestazioni di
servizi nella medicina del lavoro rese nei confronti di dipendenti
relative ad imprese ubicate nella regione Emilia Romagna a fronte
delle quali emette fatturazioni esenti ai fini dell’imposta sul valore
aggiunto, ex art. 10 D.P.R. n. 633/1972, come si evince dalle
Dichiarazioni dei Redditi nel quadro RE”, e “in data 17/02/2010 ha
optato per il regime a tempo definito come da apposita istanza in
autocertificazione …presentata all’Università degli Studi di Omissis
non appena sono state iniziate le verifiche in materia di
incompatibilità di cui all’art. 1 c. da 55-65 Legge 23 dicembre
662/1996 ed art. 53 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165” – si
concludeva che “lo stesso non ha osservato le disposizioni contenute
nell’art. 11 del D.P.R. n. 382/1980, integrato dagli artt. 3 e 4 Legge
18/03/1989 n. 118 e dell’art. 3 Legge 09/12/1985 n. 705 in
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conseguenza del rapporto di esclusività con la Pubblica
Amministrazione”.
Di quanto sopra si informava la Procura Regionale “per l’eventuale
recupero degli emolumenti percepiti quale differenza tra il regime di
impegno a tempo pieno ed il regime di impegno a tempo definito”,
allegandosi un prospetto rilasciato dall’Università degli Studi di
Omissis evidenziante la differenza stipendiale tra il regime a tempo
pieno e il regime a tempo definito.
Da ultimo, si precisava che “l’Università degli Studi di Omissis,
essendo una Pubblica Amministrazione, è tenuta ad effettuare
verifiche a campione, sui propri dipendenti (personale
contrattualizzato e non contrattualizzato), aventi ad oggetto
l’osservanza della disciplina in materia di incompatibilità e cumulo
impieghi e incarichi”, soggiungendosi che “da accertamenti esperiti è
stato appurato che il citato ateneo non ha istituito i Servizi Ispettivi
come stabilito dalla Legge n. 662/1996 art. 1 comma 62 finalizzato
ad effettuare le verifiche in argomento”.
All’esito, poi, dell’attività accertativa demandata dalla Procura
Regionale al II Gruppo di Omissis della Guardia di Finanza, erano
appurate ulteriori prestazioni professionali di natura didattica, rese
dal prof. G. in favore del Omissis e consistenti nella tenuta di corsi in
materia di Omissis nonché nell’effettuazione degli esami di profitto
finali, con conseguente emissione di regolare fattura al termine delle
prestazioni medesime, assoggettate sia ad IVA che a ritenute
d’acconto (v. nota prot. n. 0361326/11 del 15 settembre 2011 della
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Guardia di Finanza – II Gruppo Omissis).
Era inoltre accertato, in riferimento all’attività da espletare presso
l’Università di Omissis, che i docenti universitari, fino alla data del 1°
marzo 2009, non avevano nessun obbligo di rilevamento degli orari
circa il lavoro svolto presso l’Università medesima, mentre a partire
da quella data, in accordo con l’Azienda Ospedaliera, “i soli docenti
che oltre all’attività didattica e di ricerca effettuano attività
assistenziale medica nei confronti dei pazienti, hanno l’obbligo di
timbrare il cartellino ovvero di utilizzare l’apposito badge elettronico
al fine di rilevare l’orario di entrata e di uscita dai locali lavorativi” (v.
nota prot. n. 0361326/11 del 15 settembre 2011 della Guardia di
Finanza – II Gruppo Omissis).
Pertanto, secondo quanto relazionato dalla Guardia di Finanza, il
prof. G., non avendo espletato alcuna attività assistenziale medica,
ma solo la docenza universitaria e l’annessa attività di ricerca
scientifica, non era mai stato assoggettato alla timbratura del
cartellino o all’utilizzo del badge elettronico, per cui l’unico strumento
utile al rilevamento dell’effettiva presenza del docente presso
l’Università era costituito dal “registro delle attività didattiche”, nel
quale sono annotate le ore di lezione svolte, ma non gli orari di
svolgimento.
Dai riscontri e raffronti effettuati non erano comunque emerse
discrasie tra le annotazioni apposte dal dott. G. sul “registro delle
attività didattiche” e le dichiarazioni rese dai soggetti economici che
avevano beneficiato delle prestazioni sanitarie nonché le relative
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fatture emesse.
Espletata l’istruzione documentale, la Procura Regionale ravvisava a
carico del dott. G. un’ipotesi di danno erariale per infrazione del
regime dell’incompatibilità e per il cumulo dell’attività libero-
professionale con il rapporto di lavoro pubblico in regime di tempo
pieno.
Tale danno era quantificato nella misura delle differenze retributive
tra il regime di impiego “a tempo pieno” e il regime “a tempo definito”
nel periodo temporale compreso dal 1° novembre 2003 fino al 31
dicembre 2009, ed era quindi stimato nell’importo di € 77.302,64
risultante “indebitamente percepito per effetto dell’opzione in favore
del regime a tempo pieno in costanza dell’esercizio dell’attività libero
professionale, mai interrotta neppure dopo l’istanza del 16 luglio
2003”, cui era da aggiungere, secondo la prospettazione accusatoria,
“il danno da disservizio arrecato all’amministrazione di appartenenza
preposta alla vigilanza sul buon andamento della organizzazione
delle attività universitarie”, da stimarsi nella misura approssimativa
del 5% circa delle somme indebitamente percepite.
Con atto del 25 gennaio 2013, notificato il 5 febbraio successivo, la
Procura attrice - in conformità a quanto stabilito dall’art. 5, 1° comma,
del decreto-legge 15 novembre 1993 n. 453, convertito, con
modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994 n. 19, come sostituito
dall’art. 1, comma 3-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996 n. 543,
convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639 -
invitava dunque il dott. G. a depositare deduzioni a sua difesa in
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ordine ai fatti contestati.
Le controdeduzioni addotte non sono state, tuttavia, ritenute idonee a
definire il procedimento con provvedimento di archiviazione, sicché
con atto di citazione datato 31 maggio 2013, ritualmente notificato, il
Procuratore Regionale ha chiamato il dott. G. S. a comparire davanti
alla Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per l’Emilia-
Romagna, all’udienza poi fissata dal Presidente della stessa Sezione
per la data odierna, per ivi sentirlo condannare al pagamento in
favore dell’Università degli Studi di Omissis della somma di
complessivi € 77.302,64 “oltre al risarcimento del danno da
disservizio quantificabile con stima equitativa fino alla concorrenza di
euro 4.000,00, oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese del
presente procedimento”.
A fondamento della domanda, al fine della valutazione della
fattispecie emergente dall’espletamento della istruttoria documentale
come descritta nello stesso atto di citazione, è stata premessa una
ricostruzione del quadro normativo di riferimento facendosi anzitutto
richiamo al contenuto dell’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165 (“Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), del quale sono state
evidenziate le seguenti disposizioni:
- “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che
non siano stati conferiti o previamente autorizzati
dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione,
l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche
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potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori
universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei
disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione
nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del
divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità
disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente
svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del
percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di
appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del
fondo di produttività o di fondi equivalenti” (comma 7);
- “Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono
conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa
autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti
stessi….Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero
delle finanze”.
Si è rilevato che le medesime disposizioni sono, nei principi generali,
applicabili anche ai rapporti di lavoro nel settore sanitario, alla luce di
quanto statuito dall’art. 1 (“Misure in materia di sanità, pubblico
impiego, istruzione, finanza regionale e locale, previdenza e
assistenza”) della legge 23 dicembre 1996 n. 662 (“Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica”), nella parte in cui contiene
la disciplina inerente la costituzione dei rapporti di lavoro a tempo
parziale nelle pubbliche amministrazioni, ovvero la trasformazione
degli stessi da tempo pieno a tempo parziale.
Sono state quindi richiamate le relative disposizioni di cui al citato art.
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1 (commi 56, 58, 59, 60, 61, 62 e 63) sottolineando, in particolare,
quanto previsto dai commi 58 e 60: “La trasformazione del rapporto
di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa
dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella
quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo
che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il
predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui
l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un
conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal
dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in
relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal
dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione
stessa…”(c. 58); “Al di fuori dei casi previsti al comma 56, al
personale è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro
subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa
ne prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di
appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa. La richiesta di
autorizzazione inoltrata dal dipendente si intende accolta ove entro
trenta giorni dalla presentazione non venga adottato un motivato
provvedimento di diniego” (c. 60).
Secondo la Procura attrice, dunque, dalla ricostruzione del panorama
legislativo vigente si desume che lo status giuridico ed economico
dei dipendenti pubblici è contraddistinto da uno specifico divieto,
poiché i medesimi non possono svolgere incarichi retribuiti che non
siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di
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appartenenza, e “dalla inosservanza di tale divieto discende - salve
le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare –
l’obbligo, con adempimento a cura dell’erogante od in difetto del
percettore, di versare il compenso dovuto per le prestazioni
eventualmente svolte nel conto dell’entrata del bilancio
dell’amministrazione di appartenenza del dipendente, per essere
destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi
equivalenti”.
Si è arguito che i medesimi principi e la stessa ratio delle disposizioni
normative sono ravvisabili nello status giuridico ed economico del
docente universitario, il quale è assoggettato alla medesima
disciplina giuridica in materia di incompatibilità e di cumulo di
incarichi a garanzia del buon andamento dell’attività didattica, di
ricerca e di studio, anche con riferimento al regime di impiego a
tempo pieno (cit. art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001; d.P.R.
382/1980).
Si è soggiunto che il quadro normativo dei principi e delle
disposizioni vigenti in materia di cumulo di incarichi, di incompatibilità
e di conflitto d’interessi tra funzioni e incarichi, non è stato modificato
con apporti innovativi, ma anzi è stato “rafforzato e consolidato nei
più recenti interventi del legislatore in materia”.
In particolare, sono state ricordate la legge 30 dicembre 2010 n. 240
(“Norme in materia di organizzazione delle università, di personale
accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per
incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario”), che
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all’art. 6, comma 12 ha richiamato il principio del divieto di conflitto
d’interesse tra funzioni didattiche e incarichi professionali, e tra
questi ultimi e le cariche accademiche, e la legge 6 novembre 2012
n. 190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”), che
all’art. 1, comma 42, nell’apportare alcune modifiche all’art. 53 del
d.lgs. n. 165/2001, “conferma la giurisdizione della Corte dei conti
sulla responsabilità patrimoniale del dipendente pubblico gravato
dall’obbligazione restitutoria dei compensi illegittimamente percepiti
(dopo il comma 7 è inserito il seguente: ‘7-bis L’omissione del
versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito
percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla
giurisdizione della Corte dei conti’)”.
Si è dedotto che il quadro interpretativo e giurisprudenziale esposto
sulla disciplina vigente in materia di incompatibilità e di cumulo di
impieghi (art. 53 d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165), nella ipotesi della
infrazione del divieto di svolgimento di incarichi preventivamente non
autorizzati, “ha trovato piena e definitiva conferma nella soluzione
data alla questione sulla spettanza della giurisdizione in ordine
all'obbligo di riversamento degli emolumenti percepiti in situazione di
conflitto d'interesse, la quale è stata risolta dalla Corte di Cassazione
in favore della competenza della Corte dei conti nell'ambito della
distinzione (ritenuta utile) tra obblighi interni ed obblighi esterni al
rapporto di servizio” (cit. Cassazione – Sezioni Unite, 2 novembre
2011 n. 22688), e la richiamata modifica introdotta all’art. 53 del
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d.lgs. n. 165/2001, secondo la quale “l'omissione del versamento del
compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore
costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla
giurisdizione della Corte dei conti” (c.7-bis), “chiude definitivamente
qualsiasi spazio di dubbio o di oscillazione sui principi e sulle
disposizioni applicabili alla fattispecie introdotta in giudizio”.
E’ stato poi osservato come l’esercizio dell’attività libero-
professionale da parte dei medici appartenenti al Servizio Sanitario
Nazionale sia stato assoggettato ad una disciplina normativa
“fondata sul principio di esclusività del rapporto di lavoro con la P.A.
(art. 4 comma 7 legge 30 dicembre 1991 n. 412, ‘Disposizioni in
materia di finanza pubblica’, legge finanziaria per l’anno 1992), il
quale è compatibile - in relazione di alternatività e non di cumulabilità
- o con il ‘regime extramurario’ (in costanza del quale il rapporto di
lavoro si converte -in ‘forma non esclusiva’), oppure con il regime
intramurario (in costanza del quale il rapporto di lavoro conserva ‘la
forma esclusiva’; v. art. 1, comma 5 legge 23 dicembre 1996 n. 662,
‘Misure di razionalizzazione della finanza pubblica’, legge finanziaria
per 1' anno 1997).
In tal modo – si è soggiunto – il Legislatore è intervenuto per
determinare gli unici regimi di esercizio della libera professione
ritenuti compatibili con il rapporto di lavoro dei medici dipendenti
dalle pubbliche amministrazioni appartenenti al SSN: 1) un regime
extramurario, ove il rapporto di impiego a tempo parziale con la
struttura pubblica è caratterizzato dalla possibilità di svolgere attività
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quale libero professionista al di fuori della struttura pubblica (attività
extramoenia); 2) un regime intramurario, caratterizzato da un
rapporto di esclusività, a tempo pieno, con il servizio sanitario
nazionale e dalla possibilità di svolgere, al di fuori del monte ore di
lavoro, attività quale libero professionista all'interno della struttura
sanitaria con delle tariffe prestabilite (attività intramoenia).
Si è inoltre rilevato che la legge finanziaria per il 1999 (l. n. 448/1998)
ha demandato alla contrattazione collettiva la regolamentazione degli
aspetti economici del rapporto dei sanitari che optano per il regime
extramurario, disponendo, comunque, delle decurtazioni retributive
(art. 72 commi 4 e 5), ed ha previsto, altresì, incentivi economici per i
dirigenti del ruolo sanitario che optano per l’esercizio della libera
professione intramuraria, fermo restando, per costoro, il divieto di
effettuare “alcuna altra attività sanitaria resa a titolo non gratuito”,
laddove “alla violazione degli obblighi connessi alla esclusività del
rapporto di lavoro, corrisponde un regime sanzionatorio poiché il
legislatore ha previsto ‘…la risoluzione del rapporto di lavoro…’ e la
‘restituzione’ dei benefici economici ricevuti, connessi al rapporto di
esclusività (art. 72 commi 7, L. 23 dicembre 1998 n. 448)”.
Per quanto concerne la posizione di servizio del dott. G., si è
evidenziato che lo stesso, nonostante l’opzione in data 16 luglio 2003
per il regime di impiego a tempo pieno, si è avvantaggiato della
retribuzione incrementale riconosciuta con decorrenza dal 1°
novembre 2003 (in conformità al decreto rettorale n. 1330 del 24
luglio 2003), senza cessare contestualmente dall’esercizio, in forma
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abituale e continuativa, dell’attività di lavoro libero-professionale nel
settore della Medicina del lavoro, in favore di aziende con sede nella
regione Emilia Romagna.
E’ stata quindi prospettata la sussistenza del danno erariale “nella
misura pari alle differenze di trattamento economico con stipendio
computato al netto d’imposta, tra il regime di impiego ‘a tempo pieno’
ed il regime di impiego ‘a tempo definito’”, quali risultanti dal
prospetto delle retribuzioni percepite, predisposto dall’Università di
Omissis.
Ciò in quanto il dott. G. non avrebbe osservato le disposizioni
normative espresse nell’art. 11 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382,
come integrato dagli artt. 3-4 della legge 18 marzo 1989, n. 118 e
dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1985, che disciplinano il rapporto di
esclusività del lavoro nei confronti della pubblica amministrazione.
Pertanto, secondo la Procura attrice, dal computo delle cennate
differenze retributive “è configurabile la sussistenza di una ipotesi di
danno erariale maturato nel periodo temporale compreso dall'1
novembre 2003 fino al 31 dicembre 2009, per il maggiore importo di
€ 77.302,64, che risulta indebitamente percepito per effetto
dell'opzione in favore del regime a tempo pieno in costanza
dell'esercizio dell'attività libero professionale, mai interrotta neppure
dopo l'istanza del 16 luglio 2003 nonostante il divieto contemplato
dalla disciplina vigente in materia di incompatibilità e di cumulo di
impiego e lavoro autonomo e/o professionale”.
A tale danno patrimoniale, secondo la prospettazione accusatoria, è
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cumulabile il danno da disservizio arrecato all’amministrazione di
appartenenza preposta alla vigilanza sul buon andamento della
organizzazione delle attività universitarie.
Danno inteso quale “mancato conseguimento del buon andamento
dell’azione pubblica”, quantificabile in via equitativa nella misura del
5% circa delle somme indebitamente percepite, o in altra misura
dipendente dall’adozione di diverso parametro economico,
considerando comunque che il risparmio di spesa poteva essere
destinato ad economie di bilancio utilizzabili per misure di efficienza
amministrativa.
Con riguardo, poi, agli argomenti addotti dal dott. G. in sede di
controdeduzioni all’invito a dedurre, quanto all’eccepita prescrizione
del diritto al risarcimento dell’eventuale danno erariale, con la sola
eccezione del periodo compreso tra il 5 febbraio 2008 e il 31
dicembre 2009, si è rilevato che tale eccezione non prende in
considerazione il principio di diritto secondo il quale la prescrizione
inizia a decorrere dal momento in cui il fatto è conosciuto o diviene
conoscibile dalla parte danneggiata.
Si è fatto presente che, nella specie, l’amministrazione universitaria
non ha ricevuto alcuna richiesta di autorizzazione all’esercizio della
libera professione, ed anzi ha fatto affidamento sulla dichiarazione di
opzione per il regime di impiego a tempo pieno, e “solo dalla
successiva opzione per il regime a tempo definito può ritenersi
pervenuta alla parte danneggiata la informazione sull'interesse del
dott. G. all'esercizio della libera professione, ma neppure da tale
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momento l'esercizio non autorizzato – per il periodo pregresso –
entra nella cerchia di conoscenza dell’amministrazione universitaria,
la quale – quindi – non è stata mai posta in condizione di far valere il
diritto al risarcimento del danno (art. 2935 cod. civ.)”.
A parere del requirente ne conseguirebbe, dunque, l’infondatezza
della eccezione in questione, “poiché il dies a quo riceve la sua
decorrenza dalla data di avviamento degli accertamenti informativi
della Guardia di Finanza”.
In merito, poi, al criterio utilizzato per la quantificazione del danno
erariale, si è evidenziato che non è giuridicamente rilevante la
deduzione dell’esatto adempimento delle prestazioni di lavoro in
regime a tempo pieno, poiché l’esercizio della libera professione –
non contestato dalla parte convenuta – rende obbligatoria l’opzione
per il tempo definito, con la conseguente riduzione del trattamento
economico, la cui maggiore misura liquidata nella specie costituisce
danno erariale, in conformità alla giurisprudenza consolidata negli
orientamenti della Corte dei Conti (cit. Sezione giur. reg. Emilia
Romagna, sent. n. 209/12 del 6 settembre 2012).
Argomentando diversamente – si è soggiunto – “ne discenderebbe
non l’esclusione del danno erariale (come si sostiene nei motivi di
difesa), ma l’applicazione della più grave sanzione del riversamento
dei compensi percepiti nell’esercizio di incarichi non autorizzati”, e
“tuttavia, l’autorizzabilità dell’esercizio della libera professione con
l’opzione vincolante per il regime di lavoro a tempo definito, a
garanzia della prevenzione da situazioni di conflitto d’interesse e da
SENT. N. 14/14/R
19
situazioni di incompatibilità nel cumulo di impieghi e di attività,
consente la taxatio del danno erariale nella misura delle differenze
retributive percepite” (v. pagg. 20 – 21 atto di citazione).
Da ultimo, sul danno da disservizio si è sottolineato che il dott. G.,
non avendo svolto attività assistenziale ma solo attività di docenza e
di ricerca scientifica presso l’Università di Omissis, non è mai stato
assoggettato all’obbligo di timbratura del cartellino o all’utilizzazione
del badge elettronico, salvo il rilevamento delle presenze dal “registro
delle attività didattiche”, il che “non esclude, tuttavia, la stima del
danno da disservizio quantificabile, con criteri equitativi, nella misura
che si approssima al 5% circa delle somme indebitamente percepite,
od in altra misura dipendente dall’adozione di diverso parametro
economico, considerando che il risparmio di spesa connesso alla
conversione del rapporto in regime di tempo definito, poteva essere
destinato ad economie di bilancio utilizzabili per misure di efficienza
amministrativa” (v. pag. 21 citazione).
Con lo stesso atto di citazione il Procuratore Regionale ha chiesto al
Presidente di questa Sezione giurisdizionale il decreto di
autorizzazione a procedere, nei confronti del dott. G. S., alla
esecuzione del sequestro conservativo in favore della Università
degli Studi di Omissis sui crediti di natura retributiva, per i ratei
mensili nella misura del quinto, sul trattamento economico in
godimento nei confronti della medesima amministrazione, fino alla
concorrenza della misura di € 77.302,64, con conseguente istanza
“di fissazione della udienza di comparizione delle parti e dei terzi
SENT. N. 14/14/R
20
dinanzi al giudice all’uopo designato per la conferma dell’emanando
decreto, previa assegnazione alla Procura regionale del termine per
la notificazione alla parte esecutata ed ai terzi del provvedimento
cautelare e del presente ricorso”.
Il richiesto sequestro è stato autorizzato con decreto presidenziale
del 5 giugno 2013, poi confermato con ordinanza n. 83/13/R
depositata il 15 luglio 2013.
Il dott. G. S. si è costituito in giudizio con memoria depositata il 21
novembre 2013, recante a margine procura defensionale in favore
degli avvocati Marcello Mendogni e Roberto Manservisi.
In detta memoria, riepilogata la vicenda di causa, è stata anzitutto
eccepita la prescrizione per le somme relative al periodo fino al 5
febbraio 2008, in quanto l’invito a dedurre è stato notificato
solamente il 5 febbraio 2013.
Al riguardo, si è rilevato che, contrariamente a quanto affermato dalla
Procura attrice, “la prescrizione è quinquennale e decorre dal
momento in cui è stato commesso il fatto, non certo dal momento in
cui diviene evidente il (contestato) danno”, e solo nel caso in cui vi
fosse stato un comportamento dolosamente preordinato ad occultare
i fatti si potrebbe argomentare su una diversa decorrenza del termine
di prescrizione.
Si è evidenziato che nel caso in esame non vi è stato alcun
comportamento volto a celare l’attività svolta, peraltro sempre
accompagnata da regolare fattura, ed “a riprova della buona fede
dell’odierno convenuto, vi è il comportamento tenuto dallo stesso,
SENT. N. 14/14/R
21
assolutamente non idoneo ad occultare lo svolgimento di una attività
libero professionale”.
Il prof. G. – si è soggiunto – era infatti intestatario di una partita IVA,
sicché tutte le attività svolte ed i relativi compensi percepiti erano
facilmente riscontrabili, e dalle dichiarazioni rese dal predetto alla
Guardia di Finanza in data 25 febbraio 2010 “emerge l’assoluta
limpidezza della condotta dello stesso, che dichiarava senza alcuna
reticenza di aver svolto attività di medico del lavoro presso aziende
private, emettendo regolare fattura”.
Si è quindi dedotto che nessun occultamento doloso dell’attività
libero professionale è stato mai posto in essere dal convenuto, “il
quale era infatti fermamente convinto della liceità del suo operato”, e
si è osservato, con richiamo ad alcune pronunce della Sezione
giurisdizionale della Corte dei Conti per la regione Calabria (sent.ze
n. 239/2012, n. 366/2012 e n. 533/2011), come la giurisprudenza sia
“assolutamente concorde” nello stabilire che la prescrizione inizia a
decorrere dalla effettiva conoscenza del fatto solo in caso di doloso
occultamento dello stesso, altrimenti si fa riferimento al criterio della
obiettiva conoscibilità.
Pertanto, non potendo essere mosso alcun addebito all’odierno
convenuto in tema di doloso occultamento del danno, sarebbe “del
tutto evidente che si versa nell’ambito di applicazione della regola
generale di cui all’art. 2934 c.c.”.
E’ stato inoltre sottolineato che se l’Università di Omissis avesse
tempestivamente istituito al suo interno gli organismi di vigilanza
SENT. N. 14/14/R
22
previsti dalla legge n. 662 del 1996, l’eventuale irregolarità sarebbe
stata immediatamente rilevata, e a tale proposito è stato richiamata
la sentenza n. 533/2011 della Sezione giurisdizionale della Corte dei
Conti per la regione Calabria, laddove si afferma che “in ragione del
criterio della conoscibilità obiettiva e non effettiva del danno, il
Collegio non può considerare un impedimento della conoscibilità il
fatto che l’Azienda sanitaria non avesse ancora approntato l’Ufficio
ALPI; tale circostanza, infatti, ha piuttosto causato, per l’indolenza
amministrativa, una tardiva presa d’atto del danno”.
Si è poi segnalata l’“assoluta insussistenza” in capo al prof. G. del
requisito della colpa grave, che per giurisprudenza “ormai costante”
ricorre in caso di comportamenti caratterizzati da inescusabile
negligenza, e non anche nei casi di mera violazione della legge o
delle regole di buona amministrazione.
In particolare, si è dedotto che “il comportamento del professore
potrebbe definirsi negligente, in quanto lo stesso ha omesso di
controllare accuratamente la normativa posta a regolamentazione
dell’incarico di professore universitario a tempo pieno”, e tuttavia “egli
ha agito nella erronea convinzione che il passaggio da un incarico a
tempo parziale ad un incarico a tempo pieno non avrebbe
comportato alcun mutamento nella disciplina delle incompatibilità”,
essendo il medesimo - si è precisato - un medico e professore
universitario, per cui “è del tutto comprensibile che egli ignori alcune
disposizioni di legge, peraltro prettamente settoriali”.
Si è soggiunto che la giurisprudenza più recente è chiara nel
SENT. N. 14/14/R
23
differenziare espressamente le posizioni dei pubblici dipendenti che
operano negligentemente in settori conosciuti o alla cui gestione
sono addirittura preposti da quelle di chi invece si occupa di ambiti
completamente differenti, affermando che non ogni condotta
divergente da quella doverosa implica colpa grave, ma solo quella
caratterizzata, nel caso concreto, dalla mancanza del livello minimo
di diligenza, prudenza o perizia dei dipendenti, dal tipo di attività
concretamente richiesto all'agente e dalla sua particolare
preparazione professionale nel settore della P.A. al quale è preposto
(cit. Corte dei Conti – Sezione giur. reg. Sicilia, sent. n. 417/2010).
Di conseguenza – si è argomentato -, la condotta del convenuto
potrà apparire caratterizzata da “colpa lieve”, intesa quale violazione
delle regole di ordinaria diligenza, ma non possono essere mosse
contestazioni fondate sul ben più grave presupposto della colpa
grave, presupponente “una inescusabile negligenza, chiaramente
non presente nel caso di specie”.
Si è anche sottolineato che il preteso danno appare, come
prospettato dalla stessa Procura Regionale, ascrivibile non
esclusivamente al prof. G., nel senso che l’Università di Omissis ben
avrebbe potuto istituire tempestivamente fin dal 1997 il servizio
interno di controllo e monitoraggio sulla libera professione, che
invece è stato istituito solo nel 2010.
Parrebbe evidente, quindi, come il comportamento omissivo
dell’Università di Omissis abbia “quanto meno concorso alla
realizzazione del danno, che pertanto non potrà in ogni caso
SENT. N. 14/14/R
24
ammontare alla somma richiesta al prof. G.”, in quanto, se il predetto
Ateneo avesse ottemperato agli obblighi di legge, “la vigilanza
operata sulle attività libero professionali avrebbe potuto rendere
edotto il prof. G. della erroneità delle proprie supposizioni e impedirgli
di svolgere tale attività nel regime a tempo pieno”.
Per ciò che concerne, infine, il danno da disservizio, sono state
contestate sia le ragioni poste a fondamento della relativa richiesta
risarcitoria, sia l’entità della richiesta stessa “arbitrariamente”
quantificata nella somma di € 4.000,00.
Al riguardo si è osservato, con richiamo a giurisprudenza di questa
Corte (Sezione giur. reg. Emilia Romagna, sent.ze n. 130/2013 e n.
210/2012; Sezione giur. reg. Umbria, sent. n. 511/2001), che si ha
disservizio quando l’azione pubblica non raggiunge, in termini di
efficienza e di efficacia, “le utilità ragionevolmente dovrebbe
raggiungere in considerazione delle risorse impiegate, determinando
così uno spreco di tali risorse”, mentre il prof. G. “pur svolgendo
attività di consulenza presso alcune aziende private, non ha mai
trascurato in alcun modo la propria professione, adempiendo
scrupolosamente ai doveri di professore universitario, seguendo con
attenzione le ricerche del suo Dipartimento e rendendosi sempre
disponibile per gli studenti”.
Sarebbe, pertanto, del tutto evidente che l’Università non è stata in
alcun modo danneggiata dall’odierno convenuto, con conseguente
venir meno dei presupposti propri del danno da disservizio, “che non
sono in alcun modo collegati ad un ipotizzabile risparmio di spesa”.
SENT. N. 14/14/R
25
Si è altresì evidenziato che il danno non è automatica conseguenza
di un comportamento negligente del dipendente occorrendo, invero,
che il disservizio si sia prodotto, e tuttavia “nessuna prova sul punto
viene fornita dalla Procura, così come non è in alcun modo provato
che l’Università avrebbe utilizzato diversamente le somme in
questione o quale maggior beneficio avrebbe potuto trarne”.
Al contrario – si è soggiunto – è del tutto provato che nessuna
conseguenza dannosa si è concretamente prodotta, ed anzi
l’Università stessa, nell’anno 2008, ha pubblicamente elogiato il prof.
G. per l’attività svolta, come da allegato verbale del Consiglio di
Facoltà.
Inoltre, “nella non creduta ipotesi in cui tale danno dovesse ritenersi
sussistente”, si è fatto presente che certamente l’Università di
Omissis ha contribuito alla verificazione dello stesso, omettendo di
istituire il previsto meccanismo di vigilanza, che avrebbe potuto
tempestivamente individuare l’irregolarità e quindi limitare il
“(preteso)” disservizio.
Si è quindi sostenuto che “anche nella denegata ipotesi in cui
dovesse ritenersi provato il danno da disservizio”, la somma richiesta
appare eccessiva in considerazione del fatto che eventuali
responsabilità non sono da addebitarsi al solo convenuto, ma anche
e soprattutto all’organo preposto al controllo.
Da ultimo, si è sottolineata l’insussistenza di qualsiasi ragione
cautelare a sostegno di un provvedimento di sequestro, non
risultando dimostrato il periculum connesso al comportamento e alla
SENT. N. 14/14/R
26
personalità del prof. G..
Conclusivamente, si è chiesto a questa Corte di volere:
1) in via preliminare: “dare atto dell’avvenuta prescrizione
quinquennale e per l’effetto dichiarare prescritti tutti i crediti
antecedenti al 5 febbraio 2008”;
2) in via principale. “assolvere e dichiarare non responsabile il
professor G.”;
3) in via subordinata: “nella denegata ipotesi di condanna, tenuto
conto della effettiva mancanza di disservizio in capo all’Università di
Omissis nonché della mancanza di prova contraria, assolvere e
dichiarare non responsabile il convenuto relativamente a tale voce di
danno”;
4) in via ulteriormente subordinata “alla luce della particolarità della
vicenda, fare uso del potere riduttivo”.
In ogni caso: “Revocare il sequestro delle somme sottoposte a
provvedimento cautelare, o in subordine ridurne l’ammontare in
relazione alla somma eventualmente riconosciuta in sentenza”.
All’odierna pubblica udienza il Pubblico Ministero ha rilevato,
anzitutto, che in base alla nota del 17 giugno 2013 dell’Università
degli Studi di Omissis l’importo del danno erariale oggetto di causa è
da rettificare in € 84.605,48; riguardo, poi, all’eccezione di
prescrizione sollevata da controparte, ha sostenuto che al fine della
decorrenza del relativo termine quinquennale non è sufficiente la
carenza di occultamento doloso ma occorre verificare anche
l’adempimento degli oneri di comunicazione; ha inoltre ribadito la
SENT. N. 14/14/R
27
illiceità del comportamento dell’odierno convenuto e la sussistenza,
nella specie, del danno da disservizio consistente nella mancata
realizzazione di economie di spesa da parte dell’Università; ha quindi
concluso confermando la domanda risarcitoria e chiedendo, altresì,
la conversione del sequestro conservativo in pignoramento.
L’avv. Marcello Mendogni, in difesa del convenuto, si è opposto alla
rettifica dell’importo del danno indicato in citazione, assumendo che
la domanda risarcitoria deve considerarsi come richiesta in forma
specifica e dunque non è modificabile; ha poi confermato l’eccezione
di prescrizione sulla base degli argomenti svolti nella memoria di
costituzione, evidenziando che da parte del dott. G. non vi è stato
alcun occultamento doloso del fatto; ha osservato che la violazione
“inconsapevole” della legge da parte del suo assistito costituisce
semplice negligenza, per cui nella specie può configurarsi la colpa
lieve ma non la colpa grave, soggiungendo che il medesimo ha
rispettato i propri doveri d’ufficio; ha anche ripreso le considerazioni
svolte in memoria per escludere il danno da disservizio rilevando, in
proposito, che non c’è stata alcuna inefficienza ed i compensi
corrisposti al convenuto erano correlati all’attività svolta, sicché nella
specie si tratta di danno ipotetico, mancando la prova dello stesso;
ha poi concluso facendo riferimento, per tutto il resto, alla memoria di
costituzione.
La causa è quindi passata in decisione.
Considerato in
DIRITTO
SENT. N. 14/14/R
28
La fattispecie di danno erariale sottoposta all’esame della Corte è
causalmente collegata, secondo la prospettazione accusatoria, alle
differenze di trattamento economico tra il regime di impiego “a tempo
pieno” e il regime di impiego “a tempo definito” che l’odierno
convenuto dott. G. S., Docente Universitario Associato presso
l’Università degli Studi di Omissis, avrebbe “indebitamente” percepito
per l’inosservanza, da parte dello stesso, delle disposizioni normative
espresse nell’art. 11 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, come integrato
dagli artt. 3-4 della legge 18 marzo 1989, n. 118 e dall’art. 3 della
legge 9 dicembre 1985, disciplinanti il rapporto di esclusività del
lavoro nei confronti della pubblica amministrazione, avendo optato “in
favore del regime a tempo pieno in costanza dell'esercizio dell'attività
libero professionale, mai interrotta neppure dopo l'istanza del 16
luglio 2003 nonostante il divieto contemplato dalla disciplina vigente
in materia di incompatibilità e di cumulo di impiego e lavoro
autonomo e/o professionale” (v. pagg. 17 e 18 dell’atto di citazione).
Al danno anzidetto – quantificato in citazione nell’importo di €
77.302,64, e poi rettificato in udienza in € 84.605,48 come da
prospetto allegato alla nota in data 17 giugno 2013 dell’Università
degli Studi di Omissis, – sarebbe cumulabile il danno da disservizio,
quale espressione, nella specie, della misura “dell’aggravamento dei
costi amministrativi connessi alla vigilanza e all’accertamento delle
irregolarità di gestione e agli adempimenti conseguenziali”, nonché
“correlabile all’omesso reinvestimento delle economie di spesa
conseguibili mediante la trasformazione del rapporto di lavoro dal
SENT. N. 14/14/R
29
regime di tempo pieno al regime a tempo definito” (v. pag. 18
dell’atto di citazione).
Così definita la fattispecie di responsabilità amministrativo-contabile
oggetto di causa, ritiene il Collegio che assuma priorità logico-
giuridica l’esame della configurabilità del danno come sopra
individuato e contestato dalla Procura attrice.
A tale proposito, si deve necessariamente partire dalle disposizioni
contenute nell’art. 11 (“Tempo pieno e tempo definito”) del d.P.R. n.
382 del 1980 (sul riordinamento della docenza universitaria), come
novellato dall’art. 3 della legge n. 705 e dall’art. 4 della legge n. 118
del 1989, che per quanto ne occupa ha stabilito:
- “L'impegno dei professori ordinari è a tempo pieno o a tempo
definito” (c. 1);
- “Ciascun professore può optare tra il regime a tempo pieno ed il
regime a tempo definito. La scelta va esercitata con domanda da
presentare al rettore almeno sei mesi prima dell'inizio di ogni anno
accademico. Essa obbliga al rispetto dell'impegno assunto per
almeno un biennio” (c. 2);
- Il regime d'impegno a tempo definito: a) è incompatibile con le
funzioni di rettore, preside, membro elettivo del consiglio di
amministrazione, direttore di dipartimento e direttore dei corsi di
dottorato di ricerca; b) è compatibile con lo svolgimento di attività
professionali e di attività di consulenza anche continuativa esterne e
con l'assunzione di incarichi retribuiti ma è incompatibile con
l'esercizio del commercio e dell'industria (c. 3);
SENT. N. 14/14/R
30
- “Il regime a tempo pieno: a) è incompatibile con lo svolgimento di
qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna e con
l'assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l'esercizio del
commercio e dell'industria; sono fatte salve le perizie giudiziarie e la
partecipazione ad organi di consulenza tecnico-scientifica dello
Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti di ricerca, nonché le
attività, comunque svolte, per conto di amministrazioni dello Stato,
enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale purché
prestate in quanto esperti nel proprio campo disciplinare e
compatibilmente con l'assolvimento dei propri compiti istituzionali; b)
è compatibile con lo svolgimento di attività scientifiche e
pubblicistiche, espletate al di fuori di compiti istituzionali, nonché con
lo svolgimento di attività didattiche, comprese quelle di
partecipazione a corsi di aggiornamento professionale, di istruzione
permanente e ricorrente svolte in concorso con enti pubblici, purché
tali attività non corrispondano ad alcun esercizio professionale…” (c.
5);
- “I nominativi dei professori ordinari che hanno optato per il tempo
pieno vengono comunicati, a cura del rettore, all'ordine professionale
al cui albo i professori risultino iscritti al fine della loro inclusione in un
elenco speciale” (c. 6).
Dunque, le disposizioni appena richiamate, nel prevedere per i
professori universitari, disciplinandolo, il duplice regime del “tempo
pieno” e del “tempo definito”, hanno statuito che il regime “a tempo
pieno”, a differenza di quello a “tempo definito”, sia incompatibile
SENT. N. 14/14/R
31
“con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza
esterna e con l'assunzione di qualsiasi incarico retribuito”, fatte salve
le attività espressamente previste nelle lettere a) (come modificata
dall’art. 3 l. n. 118/1989) e b) (come sostituita dall’art. 3 l. n.
705/1985) dello stesso art. 11, comma 5.
Il successivo art. 15 del citato d.P.R. n. 382/1980, nel disporre in
ordine all’inosservanza del regime delle incompatibilità, ha poi
previsto – nelle ipotesi di cumulo con impieghi privati (comma 2 e
seguenti) - che il professore ordinario il quale violi tale regime sia
diffidato dal rettore a cessare dalla situazione di incompatibilità, pena
la decadenza dall’ufficio “decorsi quindici giorni dalla diffida senza
che l’incompatibilità sia cessata”.
Occorre altresì ricordare che per i dipendenti pubblici la materia delle
incompatibilità e del cumulo di impieghi e incarichi è ora regolata dal
d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), il cui art. 53
(riproduttivo dell’art. 58 del d.lgs n. 29 del 1993, come modificato
prima dall'art. 2 del decreto legge n. 358 del 1993, convertito dalla
legge n. 448 del 1993, poi dall'art. 1 del decreto legge n. 361 del
1995, convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995, e,
infine, dall'art. 26 del d.lgs n. 80 del 1998, nonché dall'art. 16 del
d.lgs n. 387 del 1998 – tenuta ferma per tutti i dipendenti pubblici la
disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del
d.P.R. n. 3 del 1957, con salvezza della deroga prevista dall’art. 23-
bis dello stesso d.lgs. n. 165/2001, nonché, per i lavori a tempo
SENT. N. 14/14/R
32
parziale, dall’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 117/1989 e dall’art. 1,
commi 57 e seguenti della legge n. 662/1996 -, al comma 7 [come
modificato dall'articolo 1, comma 42, lettera c), della Legge 6
novembre 2012, n. 190] ha disposto l’impossibilità per i dipendenti
pubblici di svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o
previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza, la
quale, ai fini di detta autorizzazione, “verifica l’insussistenza di
situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi”, e con specifico
riferimento ai professori universitari a tempo pieno ha previsto che
“gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le
procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal
presente decreto”.
Lo stesso comma 7 del citato art. 53 ha inoltre stabilito che “in caso
di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma
restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le
prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura
dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del
bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per
essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi
equivalenti”, e per il comma immediatamente successivo [c. 7-bis
inserito dall'articolo 1, comma 42, lettera d), della Legge 6 novembre
2012, n. 190], “l’omissione del versamento del compenso da parte
del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di
responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei
conti”.
SENT. N. 14/14/R
33
Al precedente comma 6 è invece previsto che “i commi da 7 a 13 del
presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni
pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui
all'articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a
tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta
per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo
definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è
consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-
professionali”, precisandosi che “gli incarichi retribuiti, di cui ai commi
seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei
compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma,
un compenso”, con esclusione di quelli specificamente indicati dalla
lett. a) alla lett. f-bis) dello stesso comma 6.
Ciò posto, va anzitutto rilevato come nella specie sia fuori
discussione l’inosservanza, da parte dell’odierno convenuto, del
divieto di esercitare attività professionale in costanza del servizio
prestato quale docente universitario in regime d’impegno a tempo
pieno, risultando in atti che nel periodo in contestazione (1°
novembre 2003 – 31 dicembre 2009) il dott. G. ebbe effettivamente a
svolgere, in assenza di qualsivoglia autorizzazione da parte
dell’Università degli Studi di Omissis, prestazioni professionali sia di
natura medica che di natura didattica, con conseguente emissione di
regolare fatturazione.
Rileva peraltro il Collegio che le conseguenze derivanti
dall’inosservanza del divieto in questione trovano compiuta
SENT. N. 14/14/R
34
definizione nel ripetuto art. 53 d.lgs. n. 165/2001, laddove, “salve le
più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare”, si
prevede, appunto, l’obbligo di versamento dei compensi relativi alle
prestazioni svolte “nel conto dell’entrata del bilancio
dell’amministrazione del dipendente” (art. 53 c. 7), nonché
l’assoggettamento alla giurisdizione di questa Corte dei Conti
dell’ipotesi di “responsabilità erariale” costituita dall’omissione di
detto versamento “da parte del dipendente pubblico indebito
percettore” (art. 53 c. 7-bis).
Nel caso che occupa, però, tale particolare fattispecie di
responsabilità non è stata espressamente e specificamente
contestata dal Requirente, e pertanto non può formare oggetto di
esame da parte del Collegio.
Tornando, allora, al danno per cui è causa, come individuato e
dedotto in citazione, va osservato che - stando agli atti versati in
giudizio e alla stessa prospettazione di parte attrice - l’attività
professionale prestata dal convenuto, seppure non consentita, non
risulta comunque avere interferito sul regolare svolgimento
dell’attività di docente universitario a “tempo pieno”, nel senso che
non sono stati rilevati e contestati scostamenti – né sul piano
qualitativo né, soprattutto, su quello quantitativo - tra l’attività
istituzionale resa in concreto dal dott. G. nel periodo controverso (1°
novembre 2003 – 31 dicembre 2009) e quella dovuta in ragione del
regime d’impegno cui lo stesso aveva optato.
Dovendosi, quindi, dare per assodata la conformità dell’anzidetta
SENT. N. 14/14/R
35
prestazione istituzionale rispetto all’impegno lavorativo richiesto dal
regime dianzi specificato, se ne deve dedurre la piena rispondenza
della prestazione medesima al relativo trattamento economico, che
trova appunto giustificazione, quanto al suo più elevato ammontare
rispetto a quello previsto per il regime a “tempo definito”, nel maggior
impegno profuso dal docente a favore della struttura universitaria di
appartenenza.
Nel caso di specie, pertanto, non risulta essersi realizzata alcuna
effettiva alterazione del rapporto sinallagmatico tra retribuzione
percepita e prestazione resa, né una tale alterazione può configurarsi
come effetto automatico della inosservanza del divieto, per il
professore universitario a “tempo pieno”, di svolgere attività
professionale.
In tal senso, del resto, si è espressa la giurisprudenza di questa
Corte secondo la quale “è da escludersi che l’effettiva lesione
dell’Ente possa essere rinvenuta in re ipsa nello svolgimento di
attività non compatibili con lo status di docente a tempo pieno”,
occorrendo invece la prova del nocumento che, in concreto, sarebbe
derivato all’Ateneo di appartenenza dalla corresponsione dello
stipendio a fronte della attività prestata dal docente che abbia
correttamente svolto tutti i compiti spettantigli (cfr. Corte dei Conti –
Sez. giur. di Bolzano, sentenze n. 5 del 19 aprile 2013, n. 2 del 22
febbraio 2013 e n. 18 del 7 settembre 2012).
Né può valere in contrario il richiamo fatto in citazione alla sentenza
n. 209 del 6 settembre 2012 di questa stessa Sezione, riguardante la
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diversa fattispecie di un medico dirigente dipendente della A.U.S.L.
di Bologna assoggettato al rapporto di lavoro esclusivo di cui all’art.
15 quater (“Esclusività del rapporto di lavoro dei dirigenti del ruolo
sanitario) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e, come
tale, beneficiario del relativo trattamento economico aggiuntivo di cui
al comma 5 dello stesso art. 15 quater: “I contratti collettivi di lavoro
stabiliscono il trattamento economico aggiuntivo da attribuire ai
dirigenti sanitari con rapporto di lavoro esclusivo ai sensi dell'art. 1,
comma 12, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nei limiti delle
risorse destinate alla contrattazione collettiva”.
Lo specifico regime di tale rapporto, analiticamente richiamato in
citazione e riportato nella narrativa che precede, riguarda, infatti,
unicamente le figure professionali della dirigenza sanitaria, cui non
sono assimilabili i professori universitari che, come l’odierno
convenuto, non svolgano anche “attività assistenziale” presso
aziende ospedaliero-universitarie (ex art. 5 d.lgs. n. 517/1999), ed ai
quali, pertanto, non è applicabile l’art. 72 della legge 23 dicembre
1998 n. 448 (“Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo
sviluppo”) che, come evidenziato dalla Procura attrice, in caso di
violazione degli obblighi connessi alla esclusività del rapporto di
lavoro prevede, al comma 7, “un regime sanzionatorio” consistente
nella “risoluzione del rapporto di lavoro” e nella “‘restituzione’ dei
benefici economici ricevuti, connessi al rapporto di esclusività…)” (v.
pag. 16 dell’atto di citazione).
Alla dedotta insussistenza della voce di danno “principale” si
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accompagna, per le medesime ragioni, la mancanza del danno da
disservizio, nel senso che, non risultando, nella specie, essersi
verificate concrete interferenze tra l’attività professionale e la
prestazione istituzionale di docente universitario, non appare
configurabile alcun “mancato conseguimento del buon andamento
dell’azione pubblica”.
Né, d’altra parte, tale figura di danno sembra correlabile “all’omesso
reinvestimento delle economie di spesa conseguibili mediante la
trasformazione del rapporto di lavoro dal regime di tempo pieno al
regime a tempo definito” (v. pag. 18 dell’atto di citazione), stante che,
secondo quanto dianzi osservato, nel caso in esame le differenze di
trattamento economico tra il regime di impiego “a tempo pieno” e il
regime di impiego “a tempo definito non possono ritenersi
“indebitamente” percepite.
Da quanto sopra esposto e considerato conseguono il rigetto della
domanda attrice e l’assoluzione dell’odierno convenuto dott. G. S.
dall’addebito di responsabilità amministrativo-contabile formulato a
suo carico con l’atto di citazione in epigrafe.
Va inoltre disposta la revoca del sequestro conservativo autorizzato
con decreto presidenziale del 5 giugno 2013 e successivamente
convalidato con ordinanza n. 83/13/R del 15 luglio 2013.
Infine, trattandosi di assoluzione nel merito, occorre procedere alla
liquidazione dell’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa
dell’odierno convenuto; ciò ai fini del rimborso delle spese legali ex
articoli 3, comma 2 bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996 n. 543
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(convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639)
e 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997 n. 67 (convertito,
con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997 n. 135), come
autenticamente interpretati dall'art. 10 bis, comma 10 (come
modificato dall’art. 17, comma 30-quinquies, del d.l. 1° luglio 2009 n.
78), del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito dalla
legge 2 dicembre 2005, n. 248.
Al riguardo, osserva il Collegio che all’odierno processo (contabile di
primo grado) devono applicarsi i valori medi di liquidazione (e relative
percentuali di variazione) - di cui alla Tabella A allegata al decreto
del Ministero della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012 – relativi ai
giudizi innanzi al tribunale ordinario, aumentati del 20%; inoltre,
considerata l’articolazione e il concreto svolgimento del processo
stesso, al suo interno sono individuabili le fasi di studio, introduttiva e
decisoria.
Pertanto, avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa (da
euro 50.001 a euro 100.000) e tenuto conto altresì, ai sensi dell’art.
4, comma 2, del menzionato decreto ministeriale n. 140/2012, del
valore e della natura e complessità della controversia, nonché del
numero e dell’importanza e complessità delle questioni trattate, si
liquida in favore della difesa del dott. G. il complessivo importo degli
onorari e diritti in € 3.300,00 (tremilatrecento/00) – di cui € 1.140,00
per la fase di studio (€ 1.900 + 20% - 50%), € 600,00 per la fase
introduttiva (€ 1.000 + 20% - 50%), ed € 1.560,00 per la fase
decisoria (€ 2.600 + 20% - 50%) - oltre spese generali, I.V.A. e
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C.P.A. come per legge; fermo restando il parere di congruità
dell’Avvocatura dello Stato previsto dal succitato art. 10 bis, comma
10, del d.l. n. 203 del 2005.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale regionale per l'Emilia-
Romagna, disattesa ogni contraria domanda ed eccezione,
definitivamente pronunciando:
- assolve il convenuto dott. G. S. dall’addebito di responsabilità
amministrativo-contabile formulato a suo carico con l’atto di citazione
in epigrafe.
- revoca il sequestro conservativo autorizzato con decreto
presidenziale del 5 giugno 2013 e successivamente convalidato con
ordinanza n. 83/13/R del 15 luglio 2013;
- liquida in favore della difesa del predetto convenuto il complessivo
importo di € 3.300,00 (tremilatrecento/00), come determinato in
motivazione, per onorari e diritti, oltre spese generali, IVA e CPA
come per legge, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura
dello Stato.
Non luogo a provvedere sulle spese del giudizio.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti conseguenti.
Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio dell’11 dicembre
2013.
L’Estensore Il Presidente
(Francesco Maria Pagliara) (Luigi Di Murro)
SENT. N. 14/14/R
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f.to Francesco Maria Pagliara f.to Luigi Di Murro
Depositata in Segreteria il 6 febbraio 2014
Il Direttore di Segreteria
f.to Nicoletta Natalucci
Il Presidente
ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del Decreto
Legislativo 30 giugno 2003 n. 196, avente ad oggetto “Codice in
materia di protezione di dati personali”
Dispone
che, a cura della Segreteria, venga apposta l’annotazione di cui al
comma 3 di detto art. 52, nei riguardi dei convenuti e -se esistenti -
del dante causa e degli aventi causa.
Il Presidente
(Dr. Luigi Di Murro)
f.to Luigi Di Murro
In esecuzione del provvedimento del Presidente, ai sensi dell’art. 52
del D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, in caso di diffusione, omettere le
generalità e gli altri dati identificativi dei convenuti e, se esistenti, del
dante causa e degli aventi causa.
Bologna, 6 febbraio 2014
Il Direttore della Segreteria
f.to Nicoletta Natalucci