Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione

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Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione digitale di Marco Ferrara *I due scritti seguenti trattano il tema della rappresentazione attraverso due sguardi differenti e distanti. Accostarli in un unico testo ha il senso di suggerire una lettura più aperta, ipertestuale, disorientante del tema. 1. sul rendering La rappresentazione dello spazio e dell'architettura ha ormai pienamente inglobato il segno digitale nel proprio campo espressivo superando quella fase di ingenua fascinazione per la futuristica estetica del virtuale. Parallelamente allo sviluppo dei sistemi hardware e software, anche lo sguardo dell'osservatore è maturato perdendo l'innocenza con cui ammirava le prime elaborazioni tridimensionali in wireframe esigendo oggi una più sofisticata forma comunicativa. Oggi il processo di rendering raramente si conclude all'interno dell'applicazione che lo genera. L'editing dell'immagine, la fase di post-produzione – il passaggio in photoshop – è uno step obbligato al fine di connotare di un dato espressivo il proprio racconto dell'architettura. D'altro canto riequilibrare la gamma cromatica, marcare i contrasti, rimodulare luci e ombre sono operazioni naturali per chi pratica il disegno che usi il mouse, l'inchiostro, il pennello o un pezzo di carbone. A definire l'orizzonte estetico della rappresentazione sarà poi la scelta di una tavolozza/palette RGB/libreria di shaders/set di luci in funzione dei riferimenti e del bagaglio visivo. Settembre 1993, Area dedica la copertina al virtuale nel progetto architettonico: sono gli anni in cui la rappresentazione digitale approda diffusamente in ambito professionale Rendering dell'Aldar Central Market di Abu Dhabi, Foster+Partners con testo parallelo in note sulla rappresentazione * di Cinzia Mazzone

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Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione digitale con testo parallelo in note sulla rappresentazione di Marco Ferrara e Cinzia Mazzone

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Page 1: Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione

Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione digitaledi Marco Ferrara

*I   due   scritti   seguenti   trattano   il   tema   della  rappresentazione   attraverso   due   sguardi   differenti   e  distanti. Accostarli in un unico testo ha il senso di suggerire  una lettura più aperta, ipertestuale, disorientante del tema.

1. sul rendering

La   rappresentazione   dello   spazio   e   dell'architettura   ha   ormai 

pienamente   inglobato   il  segno  digitale   nel   proprio   campo 

espressivo   superando  quella   fase  di   ingenua   fascinazione   per   la 

futuristica estetica del virtuale.

Parallelamente allo sviluppo dei sistemi hardware e software, anche 

lo sguardo dell'osservatore è maturato perdendo l'innocenza con cui 

ammirava   le   prime   elaborazioni   tridimensionali   in   wireframe 

esigendo oggi una più sofisticata forma comunicativa.

Oggi   il   processo   di   rendering   raramente   si   conclude   all'interno 

dell'applicazione che lo genera. L'editing dell'immagine, la fase di 

post­produzione – il passaggio in photoshop – è uno step obbligato 

al   fine   di   connotare   di   un   dato   espressivo   il   proprio   racconto 

dell'architettura.

D'altro canto riequilibrare la gamma cromatica, marcare i contrasti, 

rimodulare luci e ombre sono operazioni naturali per chi pratica il 

disegno che usi  il  mouse,   l'inchiostro,   il  pennello o un pezzo di 

carbone.

A   definire   l'orizzonte   estetico   della   rappresentazione  

sarà poi la scelta di una tavolozza/palette RGB/libreria  

di shaders/set di luci  in funzione dei  riferimenti e del  

bagaglio visivo.

Settembre 1993, Area dedica la copertina  al virtuale nel progetto architettonico:  

sono gli anni in cui la rappresentazione  digitale approda diffusamente in ambito  

professionale

Rendering dell'Aldar Central Market di  Abu Dhabi, Foster+Partners

con testo parallelo in note sulla rappresentazione *di Cinzia Mazzone

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Discretizzare il reale –o, se si vuole, ridurre la profondità  di bit­ 

limitare   le   dimensioni   sensoriali   del   rappresentato,   obbliga   il 

disegno  (il   film,   il   plastico,   la   foto)   ad   essere   altro  da   ciò   che 

rappresenta costituendo in ciò una nuova fertile formulazione del 

reale.

Ancora   e   più   prosaicamente   tale   processo   di   riduzione   della 

complessità   del   reale   costituisce   un'importante   operazione   di 

economia del processo. Fattore questo non secondario soprattutto 

nella   fase   della   definizione   formale   del   progetto   in   cui   svelte 

visualizzazioni   possono   aiutare   a   cogliere   il   senso   del   proprio 

Alighiero Boetti inizia ad interessarsi ai segni linguistici ­ o meglio, alla rivisitazione critica del concetto  occidentale   (metafisico)   di   scrittura   ­,   attorno   agli   anni   70.   In   opere   come   “I   vedenti”,  “Millenovecentoventisette”  oppure “Ordine e  disordine”  o  per citare un’opera più   tarda e ancora più  significativa, “alternando da uno a cento e viceversa” l’artista è interessato a porre in discussione la  negazione del corpo materiale della scrittura da parte della scrittura alfabetica (la scrittura alfabetico  fonetica è caratterizzata infatti dal tentativo costante di annullarsi come materialità e spazialità,  di  negare  tutto ciò   che potrebbe  in qualche modo interferire con l’espressione della pura idealità.  Tale  annullamento è espresso sia dalla negazione che essa pone in opera del proprio corpo espressivo – il  corpo   scritto   della   parola   in   se   stesso   non   significa   niente,   non   è   altro   che   un   insieme   di   segni  convenzionali   ed arbitrari  –  che dal   tentativo di   ridurre  al  minimo  i   legami che essa –   in quanto  scrittura – deve necessariamente intrattenere con la materialità. ⇓

disegnare  1.  Rappresentare mediante   linee   tracciate   su una   superficie:   d.   un   fiore,   un triangolo; assol.: non sa d.; estens., descrivere   con   il   proprio movimento o col proprio percorso: d.   un   giro   di   danza;   l’aereo disegnava ampi circoli nel cielo. 2. fig.  Tracciare,  descrivere   nelle linee   fondamentali.   3.   arc. Designare. (Lat. designare, der. di signum ‘segno’).

crittografia   (o   criptografia)  1. Scrittura  convenzionale   segreta, che può essere decifrata solo da chi sia   a   conoscenza   del   codice.   2. Gioco   enigmistico   consistente nell’analizzare   le   relazioni   tra   le lettere   e   le   parole   date   (…). Estens. Testo oscuro di non facile interpretazione. (Comp. Di  critto­e­grafia).

scrittura,  1.   L’operazione   dello scrivere:   Don   Abbondio,   immerso nella sua scrittura, non badava ad altro (Manzoni); esercizio di S. – Il modo  di   scrivere:   con riferimento ai vari alfabeti, sistemi e caratteri impiegati (s. gotica, cuneiforme; s. maiuscola,   minuscola),   al   mezzo con   il   quale   viene   effettuata   (a mano, a macchina), alle particolari caratteristiche   individuali   (s. chiara,   sicura,   indecifrabile)   – sistemi elettronici di s., quelli che consentono   di   comporre   testi   a macchina e di visualizzarli su uno schermo,   permettendo   su   di   essi ogni   sorta   di   interventi   –   (ma, segue anche), L’espressione scritta in   opposizione   a   quella   orale: affidare   alla   s.   i   propri   ricordi   ­ Capacità   e   stile  nello  scrivere:   la sua   scrittura   è   leggibile.   2. Contratto: teatrale e s. privata.

critto,  Forma   assimilabile   al prefisso cripto.cripta, (arc.  critta)  Complesso di ambienti sotterranei, per lo più  a carattere sacro  critta,  Variante  architettonico  di cripta.

scrivère 1. Tracciare su una superficie i segni   convenzionali  di   una   lingua relativa ai suoni vocalici e consonantici che formano   le   parole,   in   modo   da   poterle leggere:   imparare   a   s.;   su   sarta,   su pergamena, sulla lavagna, sul muro; con la penna,  con la matita, con il  gesso;   (…) 2. Riprodurre su carta mediante scrittura, in una successione di parole,  frasi,  periodi,  i concetti e le idee elaborati dalla mente (…). Tenere una corrispondenza epistolare.

disegno,  1.  Rappresentazione grafica a carattere artistico o meramente tecnico: d. a mano libera, geometrico; d. cartografico,   quello   utilizzato   per rappresentare   graficamente   una   porzione di   territorio   in   una   carta   a   qualunque scala, descrivendone i numerosi particolari secondo segni convenzionali prefissati; può essere   eseguito   a   mano   o   con   tecniche informatiche   –   Progetto   per   un’opera   da fabbricare o da costruire; d. industriale, lo stesso che design– Abbozzo preparatorio di un’opera d’arte – Motivo ornamentale, spec. di stoffe. 3. fig. Abbozzo, schema: il d. di un romanzo. Progetto, proposito: La procellosa e   trepida   Gioia   d’un   gran   disegno (Manzoni). D. di legge, proposta legislativa sottoposta   all’esame   del   parlamento (Deverb. da disegnare).

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operare.

Il palinsesto procedurale della simulazione virtuale dell'architettura 

–   modellazione   cad   /   mappatura   /   setting   di   luci   e   camere   / 

rendering  /  photoediting – è  evidentemente una prassi  pesante e 

onerosa e per questo tendente a distaccarsi dal naturale sviluppo del 

progetto.  La velocità  del  pensiero e  dello  schizzo resta   ingolfata 

nella precisione delle quattro cifre decimali  del modello cad (tra 

l'altro   del   tutto   incongrue   con   l'approssimazione   necessaria   alla 

scala architettonica), dall'eccessiva parametrizzazione di texture e 

luci,   dall'inutile   calcolo   di   triangoli   non   significativi   durante 

l'elaborazione del rendering.

Tale   consuetudine   è   ancora   figlia   di   un'idea   di   riproduzione 

matematica del reale che poco ha a che vedere col racconto dello 

spazio  e  non   tiene  conto  delle  esigenze  connaturate   al  processo 

produttivo dell'architettura.1

⇑ Espressione di questo ulteriore annullamento è la scelta del supporto su cui la scrittura si inscrive: si  scrive su fogli bianchi e sottili, la cui caratteristica principale è quella di essere trasparenti e di ritrarsi  in favore di ciò che su di essi si deve rappresentare. Doppia ritrazione e doppio annullamento: si ritrae il  supporto ed emerge la scrittura, si ritrae la scrittura ed emerge il significato). L’utilizzo del linguaggio  come elemento decorativo, richiede però  che si sia precedentemente sospeso il valore significativo del  segno, il segno grafico deve essere assunto come segno auto­referenziale, quest’operazione inscrive l’opera  di   Boetti   all’interno   di   un   più   vasto   panorama   teorico   che   in   quegli   anni   si   andava   definendo.  Un’operazione che possiamo considerare analoga a quella di Alighiero Boetti, è compiuta dal semiologo  francese Roland Barthes. Analoga ma non identica perché  se Boetti artista e pittore è   interessato a  scorgere e ad individuare dei legami tra la pittura e la scrittura dal punto di vista della pittura, per  Barthes, semiologo e scrittore, si tratta invece di raggiungere lo stesso risultato partendo però da un  punto di  vista differente:  Barthes parte dalla scrittura per recuperare nel  suo  interno  le   tracce del  disegno. I disegni che Barthes dipinge dopo il suo viaggio in Oriente ­ che ebbe come risultato la stesura  del   testo  “L’impero dei  segni”­,  sono di difficile   collocazione,  non rientrano né  nella categoria della  scrittura, né  in quella della pittura. Roland Barthes scrittore, disegna il corpo mitico delle parole. I  corpi evocati sembrano uscire da un sogno, sono le ombre che a lungo hanno popolato la sua fantasia,  sono la risposta ad un desiderio represso  ­ “…ho una malattia, io vedo il linguaggio…” ­, nascono dalla  necessità di render visibile un’intuizione: che la scrittura, qualsiasi essa sia, passa sempre attraverso la  materia. Riunendo scrittura e pittura in un solo corpo, Barthes ha sperimentato il limite di queste due  discipline: attraverso questi segni non possiamo ricondurci a nulla di conosciuto, non possiamo far altro  che assumerli per come essi ci  appaiono, nessun significato al  di  là  del  loro corpo può  condurci al  dominio   del   già   conosciuto:   “Ogni   immagine   –   ha   osservato   a   questo   proposito   G.   C.   Argan   –   è  l’immagine di un’assenza, di qualcosa che è uscito dal campo. Ci sono disegni che riproducono disegni  giapponesi,  poi   la   figura  scompare,   rimane  soltanto  la  scia  di  un  movimento,   come d’un  profumo,  oppure   segmenti   impazziti   si   agitano   nel   vuoto,   come   cercando   uno   spazio   che   non   c’è  (…)”.Contemporaneamente   in   ambito   architettonico   pensiamo   invece   alle   esperienze   condotte   da  Eisenman e da Libeskin. Per Eisenman e per Libeskind si trattava chiaramente di sospendere il valore  figurativo   e   rappresentativo  del   segno  architettonico,  per   farne   emergere  al  di   là   dell’uso   corrente,  l’arbitrarietà.   Nella   serie   di   disegni   Micromegas   (1979),   Libeskind   attraverso   lo   sganciamento   del  referente, libera i segni architettonici dalla loro figuratività. Eisenman compie un’operazione simile nei  progetti per le Houses, in particolare nella House III dove troviamo “(…) pilastri a cui è contestata la  connotazione di supporti verticali, oppure pareti che dividono in due stanze già troppo piccole (…)”. ⇓

1.  Come   il   cad,   nato  per   il   disegno   meccanico, anche i  softwares di  modellazione e rendering oggi   maggiormente   diffusi   non   nascono   per l'architettura e il design bensì, generalmente, per l'animazione   cinematografica  dove   l'attenzione alla   precisione   metrica   si   perde   a   favore   di strumenti   per   la   cinematica   inversa   e   per   la mimica  dei  characters.  Lo sviluppo  recente  di programmi più semplici e intuitivi quali Google SketchUp appare oggi un primo passo verso la giusta snellezza (anche economica) del software di modellazione per l'architettura.

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⇑ Riassumendo brevemente: la sospensione del significato permette a Boetti e a Barthes di concentrarsi  sul valore materiale della scrittura alfabetica che in sé – in quanto tale – è  arbitraria. Eisenman e  Libeskind –attraverso l’operazione inversa – fanno emergere l’essere insignificante di una forma a cui  normalmente è attribuito un significato evidente. Il lavoro che più  di altri ci permette di comprendere ciò  a cui stiamo tentando di alludere è ancora un’opera di Boetti, in “Scrivere con la mano sinistra è disegnare” (1979), l’artista oltre che sottolineare la  dimensione   figurativa/rappresentativa   che   la   scrittura   alfabetica   ha   volontariamente   escluso   dal  proprio sistema, o la materialità di cui non intende farsi carico, ci conduce a riflessioni più complesse e  più   contraddittorie.  Si   tratta  del  più  generale  problema della  rappresentazione  e  dell’imitazione,  a  questo proposito citiamo una nota immagine di Wittgenstein: “Perché la parola ‘bastimento’ significa  bastimento? Che rapporto c’è tra la parola ‘bastimento’ che significa bastimento e il disegno di una nave  che facciamo sulla lavagna? che rapporto c’è tra il disegno e la nave? E’ infatti solo per un’abitudine  convenzionale che noi ravvisiamo in quei tratti di gesso su di una superficie nera bidimensionale, una  nave. C’è qui un rapporto di somiglianza e di analogia altrettanto oscuro e misterioso quale c’è tra la  parola ‘bastimento’, ‘Schiff’, dite come volete e la nave. Che rapporto c’è tra questi suoni, sia che vengano  pronunciati,   sia   che   vengano   scritti   e   la   cosa   che   significano?”.   Quello   che   Boetti     utilizzando  l’immediatezza dell’arte  dice  è   lo  stesso:  non è   che  la  scrittura alfabetica perché   convenzionale  non rappresenta in modo figurativo, e il disegno a differenza rappresenta figurativamente, tra la scrittura  intesa come rappresentazione arbitraria e il disegno pensato come rappresentazione figurativa, in fondo  non vi  è  alcuna differenza, sia che si tratti  di  disegno,  sia che si  tratti  di  scrittura,  è   sempre di  rappresentazione convenzionale che si tratta. 

Sperimentazioni sul renderingCoerentemente con l'idea di riduzione della complessità del reale lo strumento virtuale consente la realizzazione  di rappresentazioni leggere e rapide attraverso la semplificazione dell'iter procedurale standard del rendering.  L'uso, ad esempio, di superfici planari, adeguatamente disposte nello spazio e l'applicazione di textures disegna­te ed auto­illuminate può aiutare a ridurre l'oneroso carico che la rappresentazione digitale   dell'architettura  comporta oltre a restituire in termini di espressione una forma più personale del racconto dello spazio.Qui a fianco alcuni piccoli video sperimentali di esempio.(I video sono visibili all'indirizzo www.mfarchitetti.it alla voce experimentation with rendering)

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2. sulla maquette

Alla pari  del  rendering,   la  maquette,   il  modello  in  scala,  risulta 

ancora   oggi   tra   gli   strumenti   fondamentali   del 

disegnatore/progettista.  Ciò  è  dovuto non solo alla sua intrinseca 

capacità di descrivere univocamente rapporti volumetrici e spaziali 

ma anche alla   forza  comunicativa ed  espressiva  connaturate  alla 

necessità  di sintesi e riformulazione cui il progettista è  obbligato 

per via del salto di scala (a riprova di ciò si consideri la presenza 

significativa   di   immagini   fotografiche   tratte   da   modelli   plastici 

nell'ambito dei  concorsi d'architettura).  A ciò  si  aggiunge inoltre 

l'economicità   di   un   sistema   di   formalizzazione   adeguatamente 

approssimato (al più al mezzo millimetro) e in cui l'impenetrabilità 

dei   corpi   e   la   forza   di   gravità   consentono   rispetto   al   modello 

virtuale una più ovvia, rapida ed evidente messa in forma.

Anche   per   questo   strumento,   come   per   il   modello   digitale,   il 

processo   di   riformulazione   sintetica   può   produrre   esiti 

espressivamente interessanti  ed importanti  economie di processo. 

L'idea di tecnica mista, in cui l'output digitale ­attraverso strumenti 

hardware quali  stampanti,   fotocamere,  web­cam,  video­proiettori, 

luci   led,   oggi   alla   portata   di   tutti­   rientri   all'interno 

dell'elaborazione plastica appare oggi come una strada percorribile 

quanto prolifica.

Nel   ciclo   delle   Houses,   Eisenman  porta  all’interno della  costruzione   la  rappresentazione stessa:   “La House I  (1967) è concepita dall’architetto come  un  modello  a   grandezza   naturale  (…),   la   House   X   (1975)   può   essere  considerata   come  un’evoluzione   e  un  superamento   della   House   I,   non   si  presenta più come un modello in senso  metaforico,   ma   la   realtà   stessa dell’edificio   è   il   modello   (…).   La  realizzazione di un’architettura in un  modello,   implica   uno   spostamento  rispetto   all’idea   secondo   la   quale   in  architettura   il   modello   è   la rappresentazione di un oggetto in un  oggetto”.

Proponendosi come rappresentazione di se stessa, annunciandosi terminata nel modello architettonico­architettura, imponendo il credere che l’effettiva costruzione dell’edificio con materiali ‘materici’ non sia  più necessaria, divisa tra la necessità di essere realizzata fisicamente e la rinuncia a tale realizzazione,  realizzandosi all’interno di questo paradosso in realtà quest’architettura destabilizza il comune modo di  intendere il rapporto che tradizionalmente si è stabilito tra la realtà e la rappresentazione. Nel Glass  Video Gallery, Tschumi ripropone la stessa tematica. L’intero padiglione è completamente costruito in  vetro. Il vetro ha la funzione di riflettere sia la luce, che le immagini proiettate dai monitors, il risultato,  secondo   quanto   lo   stesso   Tschumi   ha   affermato,   è   una   enorme   scatola   di   trasparente   abitata   da  un’infinità   di   riflessi   e   di   “immagini   in   movimento”   all’interno   della   quale   non   è   più   possibile  comprendere quali siano le immagini realmente proiettate dai monitors ­ peraltro visibili – e quali i loro  riflessi.  L'estraniamento  e   la  destabilizzazione  che   l’ingresso  nel  padiglione  provoca  al  visitatore,   è  ulteriormente sottolineato dal fatto che l’intera costruzione sia sollevata da terra e leggermente inclinata:  “(…) in questo modo la Galleria cambiava il senso della visione perché gli occhi non avrebbero potuto  dire ciò che era reale e ciò che era riflesso, e ciò avrebbe cambiato anche il rapporto di una persona con il  proprio corpo in termini di gravità”.

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In tale ottica si pensi ad esempio ai plastici  di  studio del Renzo 

Piano Building Workshop che mutuando l'idea dei layers dislocano 

spazialmente   strati   bidimensionali   di   disegno   nel   modello 

funzionalmente   ad   una   veduta   preferenziale   eloquente 

(generalmente una sezione). Semplicità costruttiva e dei materiali, 

uso delle riproduzioni di disegni esistenti: l'economia del processo 

è   evidente.   Lo   sguardo   dello   spettatore   si   appoggia   a 

rappresentazioni  planari  che raccontano un fatto   tridimensionale. 

Lo spazio architettonico solo accennato ed evocato è completato ed 

amplificato nella mente dell'osservatore.

L'idea di non restituire un materiale ma il disegno dello stesso è un 

passaggio  che  può   tradursi   in   raffinate  operazioni  di  evocazione 

scenica come evidente, in un esempio ante­litteram, nei plastici di 

Lele Luzzati.

Due   maquette   per   due  progetti d'allestimentoL'occasione   progettuale  di   due   allestimenti   –  uno,   museale,   dedicato  all'ultimo   periodo   della  produzione   pittorica   di  Vasilij   Kandinskij;   l'al­tro,   urbano,   per   una piazza   del   Comune   di  Lastra   a   Signa   –   sono  state motivo per la speri­mentazione di una tecni­ca mista digitale­materi­ca.

L'elaborazione   delle   imma­gini (le opere di Kandinskij  e le facciate della piazza del  centro toscano) è stata rea­lizzata   attraverso   l'uso   del­l'editing   digitale   (fotoritoc­co,   raddrizzamento   fotogra­fico,   modellazione   NURBS) mantenendo   questa   prima fase facile,  leggera e imme­diata.

Successivamente   le   im­magini, fatte di pixel im­palpabili,   sono   divenute  "materia":   carta,   carto­ne,   inchiostro.  La tecno­logia informatica è mes­sa   al   servizio   di   una  creatività   non  vincolabi­le all'esattezza numerica.L'uso del computer è po­sto a monte del processo  

creativo a controllo del pro­dotto,  ma è   la  manualità  a  garantire la fondamentale li­bertà  dell'imprecisione,  del­l'approssimazione,   dell'ag­giustamento.

Modellino di Emanuele Luzzati per Il Barbiere di Siviglia di Rossini.

Teatro Carlo Felice, Genova 1992

Page 7: Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione

3. dell'approccio scelto e dell'ambito d'azione

Le considerazioni ­e le piccole esperienze­ fin qui esposte sono utili 

a fornire al lettore qualche riferimento che possa aiutare a chiarire 

l'oggetto attorno a cui tali ragionamenti muovono: si vuole, infatti,  

riflettere su quelle possibili ricadute sul linguaggio, l'espressione  

e   il   processo   che   un   uso   non   standardizzato   dello   strumento  

digitale può comportare.

Se, infatti, l'innovazione tecnologica è sempre portatrice di nuovi 

esiti formali e linguistici è  anche vero che un uso non prefissato 

della   novità   strumentale   può   ridefinire   il   senso   di   tecniche   e 

strumenti   esistenti   o   addirittura   desueti   (veda   il   lettore,   a   titolo 

d'esempio, il progetto Disegni milanesi più avanti esposto).

Il   concetto   dei   layers,   l'idea   di   texture   applicata,   la   proiezione 

centrale prodotta da una spot light o da un video­proiettore sono, se 

intese   al   di   là   dell'utilizzo   cui   sono   state   pensate,   strade   di 

sperimentazione estendibili.

All'interno   di   tale   approccio   si   vuole   agire   ponendo   particolare 

attenzione   a   quelle   forme   della   rappresentazione   che   anziché 

tendere alla riproduzione indistinguibile dal vero (mito smentito del 

rendering),   si   fermano ad  un   livello  di   “quasi  uguale”,   che  non 

tenda   a   sostituire   il   reale   bensì   a   ricordarlo,   ad   evocarlo 

mantenendo   fortemente   la  secondarietà  della   rappresentazione 

rispetto   al   rappresentato.   Si   gira   intorno   al   dato   della 

“somiglianza”, necessario trampolino affinché lo sguardo si stacchi 

dalla   registrazione  del   reale  per  porsi  quale  generatore  di   realtà 

suggerite, evocate dal segno. Si tratta di realtà potenti, oniriche, che 

coinvolgono l'osservatore palesando il proprio inganno.

Ma l’operazione compiuta da Boetti è  ancora   più   radicale.   Con   un   gesto  anacronistico   rileggiamo   un’opera precedente a quelle fin’ora analizzate  alla   luce   delle   riflessioni   fin   qui  compiute.   In   “Gemelli”,   Alighiero  Boetti   decostruisce   il   concetto  tradizionale di immagine e quello ad  esso   associato   di   rappresentazione,  cioè   l’idea   secondo   la   quale   la  rappresentazione   è   qualcosa   che   si  aggiunge   solo   secondariamente   alla  realtà.   Lungo   un   viale   alberato  scorgiamo Boetti venirci incontro nelle  vesti   di   1   e   di   2,   di   originale   e   di  replicante, di persona e di doppio, di  individuo e di simulacro, il problema è che non siamo in grado di stabilire  quale dei due sia l’originale e quale il  doppio.   Quale   dei   due   è   la  rappresentazione   dell’altro?   Quale  l’immagine, quale la realtà?

Ma fermarci a questa prima interpretazione sarebbe riduttivo, solo una lettura superficiale e frettolosa  dell’opera potrebbe indurci a credere che il solo fine dell’artista sia solo quello di porre in evidenza  questa complicazione originaria che si insinua nel rapporto realtà/rappresentazione, tale da rendere  impossibile distinguere l’immagine dalla realtà. Letta con maggior attenzione la scena rappresentata da  Boetti sembra alludere ad una dimensione più profonda e meno tematizzata. Per comprendere ciò che  stiamo   tentando   di   dire   è   necessario   correggere   leggermente   la   descrizione   che   dell’opera   abbiamo  appena fatto. Ora, quando noi osserviamo l’opera, in realtà, non ci troviamo mai di fronte il ‘vero’ Boetti,  quello che noi chiamiamo l’originale in verità è già una rappresentazione, è già l’immagine di Boetti, ciò  che l’artista pone in opera dunque è una re­duplicazione della rappresentazione, “rappresentazione di  rappresentazione”: “(...) la verità è che siamo già da sempre nella rappresentazione, e che l’incontro con  l’origine, con la presenza nella metafisica, non è altro che una chimera un sogno irraggiungibile”. Ma se  la realtà non è più quell’evidenza originaria, oggettiva, alla quale tutti incondizionatamente crediamo,  se non c’è una realtà definita ‘a priori’ , che ne è allora della secondarietà della rappresentazione? ⇓

Page 8: Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione

Ed   è   proprio   il   coinvolgimento   dell'osservatore,   l'idea   di   gioco 

disvelato,   di   inganno   cosciente   che   conduce   la   riflessione   a 

delineare il campo d'azione: quella particolare condizione in cui  

la   rappresentazione   si   fa   scena.   Ambito   evidentemente   troppo 

largo, comprendente la scenografia teatrale, l'allestimento urbano, il 

cinema, l'exhibit design, etc.

La scena teatrale è lo specifico campo intorno a cui il presente  

scritto vuole porre l'attenzione.

Ambito   che,   ad   oggi,   stenta   ad   inglobare   compiutamente   nel 

proprio bagaglio tecnico il dato informatico e quello delle nuove 

tecnologie.  Di   fatto   all'interno del  processo  produttivo  delle  arti 

sceniche lo strumento digitale resta ancora limitato al rendering di  

presentazione  in fase progettuale e all'esibizione enfatica di sé nel 

momento   della   messa   in   scena.   Ancora   la   fascinazione   per   il 

mezzo, come fu già per il disegno dell'architettura, ne impedisce un 

uso naturale, strettamente utile (benché le potenzialità siano tali da 

riaccendere un nuovo fertile momento per lo spazio illusorio).

Sono ancora  rari,  ad esempio,   i  casi   in  cui   la  video  

proiezione  superi   lo   stato  di  “schermo” per  divenire  

“spazio”. In ambito teatrale la sperimentazione in tal  

senso   sta   avvenendo   molto   lentamente   benché   gli  

strumenti   hardware   e   software   oggi   disponibili  

consentirebbero molto più coraggio e gioco.Una scena dal cinéma­théâtre di Marc Hollogne, artista belga che porta  l'immagine video sulla scena teatrale  giocando con l'inganno ottico del trompe­l­oeil

⇑ La rappresentazione – l’immagine in generale – secondo il percorso che abbiamo tentato di tracciare,  non sta né dalla parte della realtà né da quella dell’immaterialità, il problema – il punto centrale della  problematica – è che non è più possibile comprendere e ridurre la rappresentazione all’interno di queste  categorie metafisiche: “Tutto si giocherebbe all’interno del paradosso del doppio supplementare: di ciò  che sostituendosi   al semplice e all’uno, li doppia e li imita, somigliante e differente al tempo stesso,  differente perché – in quanto – somigliante, il medesimo e l’altro di ciò che doppia. Ora, che cosa decide e  sostiene   il  platonismo,   cioè  più   o  meno   immediatamente,   tutta  la   storia  della   filosofia  occidentale,  compresi gli antiplatonismi che vi si sono regolarmente succeduti? E’ proprio l’ontologico: la possibilità  presunta di un discorso su ciò che ‘è’, l’ente presente (forma matriciale della sostanza, della realtà, delle  opposizioni della forma e della materia, dell’essenza e dell’esistenza, dell’oggettività e della soggettività)  si distingue dall’apparenza, dall’immagine, dal fenomeno, ecc., cioè da ciò che, presentandolo come ente­presente, lo raddoppia, lo ri­presenta e da quel momento lo sostituisce e lo s­presenta. Vi è l’uno e il due,  il semplice e il doppio. Il doppio viene dopo il semplice, lo moltiplica in seguito. Ne segue, mi si perdoni  di ricordarlo, l’immagine viene dopo la realtà, la rappresentazione dopo il presente in presentazione,  l’imitazione dopo la cosa, l’imitante dopo l’imitato. Vi è dapprima ciò che è, la realtà, la cosa stessa.  L’ordine è la discernibilità almeno numerica tra l’imitato e l’imitante (…)”.

Page 9: Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione

Disegni   milanesi,   un cortometraggio in super8Raccontare la Milano dei pri­mi anni del 900 attraverso gli  occhi di due autori significa­tivi   per   la   città   quali  Carlo  Emilio Gadda e Mario Sironi  è  stato lo spunto progettuale  per   un   lavoro   sperimentale  sulla metodologia. Il soggetto  deriva   principalmente   da  “L'Adalgisa. Disegni milane­si” con qualche adattamento  

tratto da altri racconti mene­ghini   dello   scrittore   lombar­do. I paesaggi urbani di Siro­ni  sono stati  manipolati,  de­contestualizzati,   liberamente  trasformati al fine di adattar­si   alle   esigenze   tecniche   e  

narrative.L'utilizzo dell'editing digi­

tale ha consentito di 

mantenere  fresca   e   rapida questa fase iniziale.Le scene sono state realizzate  in forma di fondali scenogra­fici   e   di   plastici   attraverso  l'uso   della   modellazione   tri­dimensionale.  É   stato,   in   tal  modo, possibile semplificare i  problemi   costruttivi   permet­tendo il controllo costante sia  degli aspetti pratici ­realizza­bilità,   trasportabilità,   mon­taggio, archiviazione–  che di  quelli  prospettici   ­dipendenti  della  distanza   focale   adotta­ta, della profondità di campo presumibile,   della   posizione  della   cinepresa   rispetto   agli  attori­.  Un'area verde ampia  e  spoglia è   stata  la  location  ottimale   per   rispondere   alle  esigenze spaziali che il gioco  

prospettico imponeva.Il   quadro   è   completamente riempito dal plastico di scena  posto di   fronte   la  cinepresa.  Attraverso adeguate bucature  i personaggi, ridotti dalla di­stanza   coerentemente   con   lo  spazio fittizio della scenogra­fia, rientrano all’interno del­l’inquadratura mentre lo spa­zio   restante   risulta   integrato nell’immagine   finale   grazie  all’omogeneità   cromatica della   pellicola   in   bianco   e  nero (super8 ad alta granulo­sità). L’ illuminazione natura­le velata dalle nuvole ha con­sentito  un’adeguata  distribu­

zione delle luci e delle ombre  completando l’effetto finale.Riappropriarsi   di   tecniche   e  pratiche   manuali,   ricorrere  addirittura   a   tecnologie   de­suete non vuole essere un ri­fiuto   delle   forme   espressive  contemporanee in una nostal­gica operazione di amarcord.  Si  vuole,  piuttosto,  dare  fun­zioni   altre   e   inaspettate   a  strumenti,   vecchi   o  nuovi,   il  cui utilizzo è stato via via cir­coscritto. Il computer trova la  propria   collocazione   all'ini­zio del processo. La sua fun­zione   comprende   l'elabora­zione, la produzione e il con­trollo del prodotto. La ripeti­bilità  della stampa, la varia­bilità   dell'elaborazione,   la  capacità   totale   di   controllo  

permettono di ridurre i costi  e i tempi alleggerendo marca­tamente il carico di lavoro.La   potenza   moltiplicatrice  dell'elaborazione   digitale   si  pone, in tal modo, al servizio  dell'artigianalità   propria   di  campi   tradizionali  come,  nel  caso in questione, quello sce­nografico.Il   risultato   dell'operazione,  come   ogni   sperimentazione,  non è del tutto prevedibile. In  un'ottica   di   ricerca   questo  non   può   considerarsi   un   di­fetto.

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Page 10: Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione

4. sulla proiezione centrale e l'illusione

La geometria descrittiva, in particolare la proiezione centrale,  ha 

accompagnato lo sviluppo del teatro da quando questo ha ripreso 

una propria autonomia dal rito  liturgico in epoca rinascimentale. 

Sin   dalla   sua   nascita   la   prospettiva   ha   avuto   il   fondamentale 

compito   di   accompagnare   all'illusione   tramutando   l'idea   di 

rappresentazione da racconto sublimato (medievale e classica)  in 

immedesimazione verosimile (rinascimentale e barocca).

Se è vero che lo sguardo contemporaneo è meno innocente e perciò 

meno incline all'inganno resta tuttavia ben disposto a “far finta di 

crederci” nel gioco codificato della scena.

La facile capacità  di  elaborazione dell'immagine e del video che 

oggi  permettono  gli   strumenti   informatici   apre  nuove  possibilità 

all'illusorietà.

Alcune   sperimentazioni   in   ambito   urbano   hanno   già  

verificato   interessanti   potenzialità   espressive   e  

drammaturgiche    dell'uso che  si  può   fare della  video  

proiezione   sfondando   l'idea   di   schermo   piatto   in  

un'aggiornata formulazione del quadraturismo.

E' d'altro canto evidente che il  processo di videoproiezione altro 

non è  che una proiezione centrale   in output  e ad esso è  dunque 

riconducibile il gioco prospettico.

In ambito teatrale il linguaggio stenta ad arricchirsi di questi nuovi 

termini   sebbene   sia   proprio   questo   lo   spazio   per   eccellenza 

consacrato alla tromperie.

Le nozze di Figaro di Ezio Frigerio per la  regia di Giorgio Strehler, scenografia 

operistica realizzata in prospettiva solida

Videoproiezioni su edifici, ambienti,  oggetti: la modellazione virtuale e la  

predeterminazione esatta del POV della  proiezione consentono oggi interessanti  

giochi illusori. www.easyweb.fr

L'artista canadese Robert Lepage è tra i  più interessanti autori teatrali che  

mescola le tecnologie digitali a fini  drammaturgici

Page 11: Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione

Ma che cosa ha a che fare l’architettura con la scrittura, la scrittura con la materia,  la materia con l’architettura? Dire che  l’architettura è  come la scrittura, non sottrae  l’architettura al suo essere ‘gesto’ che modifica ed esiste nella realtà come presenza fisica  che interviene nella materia come ‘trascrizione fisica di mondo’? In che senso la scrittura  è  anch’essa trascrizione   fisica di  mondo’  e  non  è   semplicemente,  come  l’ha voluta  il  pensiero metafisico, accessoria, supplementare, strumentale e secondaria alla parola? In  che   senso   la   scrittura   appartiene   all’architettura   e   al   contrario,   in   che   senso  l’architettura appartiene alla scrittura e quale la relazione che entrambe intrattengono  con ciò che da sempre si è inteso con il termine rappresentazione?Derrida  affronta  questa problematica  in un saggio   intitolato  Chora.  Con il   termine  Chora Platone indica il luogo in cui ha luogo il passaggio dall’infinità dello spazio alla  determinatezza del luogo: chora è  ciò  che passa  ‘tra’ lo spazio e il  luogo. Ma ciò  che permette   l’articolazione   dello   spazio   nel   luogo,   osserva   Derrida,   sfugge   alla   logica  binaria  della  metafisica.  Il  passaggio  dallo   spazio  al   luogo,  avviene  ad  opera degli  Indecidibili,   potremmo   aggiungere,   della   “traccia”   e   della   “fessura”,   dunque   della  scrittura   e   dell’architettura,   della   scrittura   come   architettura.   Cerchiamo   ora   di  comprendere come questa stessa problematica abbia a che fare con la rappresentazione.  Il luogo che Platone assegna alla chora come forma originaria di scrittura e architettura  è lo stesso luogo che noi abbiamo assegnato all’immagine e alla rappresentazione. La  chora  osserva  Derrida,  non   è   né   sensibile  né   intellegibile,   appartiene  ad  un   “terzo”  genere Platone non riesce a costringerla all’interno delle categorie metafisiche: “…e vi è  poi   un   terzo   genere   sempre   esistente;   quello   dello   spazio,   il   quale   è   immune   da  distruzione, e dà sede a tutte le cose che hanno nascimento e si può cogliere senza i sensi  con un ragionamento bastardo, ed è a mala pena oggetto di persuasione. Guardando ad  esso noi sogniamo e diciamo che è necessario che ogni cosa che è, sia in qualche modo  luogo ed occupi uno spazio, mentre ciò che non è in terra, né in qualche luogo in cielo,  non è  nulla”.  Non è  dunque un caso che questa problematica sia iscritta da Platone  all’interno del sogno: “Tutte queste cose ed altre affini a queste anche intorno a quella  natura che non dorme e che esiste veramente, per effetto di questo sogno, ridestandoci,  non siamo capaci di distinguerle e di dirne il vero”. Il luogo che qui Platone assegna al  sogno è lo stesso luogo che noi abbiamo assegnato alla rappresentazione. Platone dice  che vi è un luogo in cui non si è in grado di distinguere il vero dal falso o meglio ciò che  è vero, nel senso di reale, da ciò che è mera rappresentazione, Platone sembra qui far  riferimento a quell’effetto di estraniamento che producono determinati sogni tanto forti e  violenti da condurci per un attimo nel dubbio: sono sveglio oppure sto ancora dormendo,  quale il sogno, quale la rassicurante realtà? La domanda sulla chora ci conduce dunque  in una dimensione di non­dominio, di dubbio ontologico potremmo dire, una sorta di  confusione che allude ad uno spazio ormai dimenticato da Platone stesso, in cui non  avrebbe senso porre la distinzione tra la realtà e la rappresentazione …

Page 12: Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione

Video­proiezione solidaIn termini di ricerca spe­rimentale,   ad   esempio,  non   sembrano   ancora sufficientemente   indaga­te le possibilità della vi­deo­proiezione   quale  fonte   di   luce   disegnata,  anziché   quale   output   di  un  immagine da  leggere in unico sguardo. In altre  parole  la video­proiezio­ne è  di   fatto un sistema  di   illuminazione   esatta­mente   disegnabile   che  porta con sé anche un in­formazione cromatica (a  dire il vero sono 16,8 mi­lioni in un sistema RGB a 8 bit). Se a questo ab­biniamo  l'idea  di   imma­gine   in   movimento   e  quella di controllo esatto  e prefigurazione del dato  spaziale   attraverso   la  modellazione   tridimen­sionale   è   possibile   pen­sare  alla   video­proiezio­ne come campitore volu­metrico   e   dinamico   (in  

natura è la luce che dà il  colore, qui è la luce che  lo porta con sé). In que­st'ottica lo spazio investi­to   dovrà   piegarsi   alla luce. La prospettiva soli­da   torna   coerentemente  con quanto detto sopra in  un'idea di  discretizzazio­ne   del   reale   finalizzata  ad   un   fertile   onirismo.  La riduzione di superfici  articolate   in   poche   ele­menti planari è un primo passo.  Altra  questione è  la direzione dello sguar­do a cui piegarsi. Ovvia­mente  quello  dello   spet­tatore   è   dato   (frontal­mente   al   boccascena).  Quello della video­proie­zione, invece, deve essere  in una posizione tale da  riempire   i   traguardi,   le  zone   in   ombra,   non   co­prire con le ombre degli  attori.  Per  queste  condi­zioni   si   può   ritenere   la  posizione zenitale quella  più   adatta   (salvo   ovvia­mente   rinforzi   e   aggiu­stamenti).   In   tal   caso  sarà   opportuno   che   lo spazio scenico sia in pro­spettiva solida a quadro inclinato  in modo da ri­cevere   con  un  adeguato  angolo   di   incidenza   i  raggi proiettati.

Il modello 3d su cui è proietta­ta l'immagine della scena

L'immagine proiettata distorta in funzione del POV del video­

proiettore

Il rendering del modello inve­stito dalla video­proiezione

Per calibrare la video­proiezio­ne è stata usata una superficie  

specchiante inclinata

Un paesaggio lacustre  (opera di B. Buffet) è stato il soggetto visivo scelto per  

la verifica del sistema

Alcune immagini del modello  realizzato.

(Altre immagini e video sono visibili all'indirizzo  

www.mfarchitetti.it alla voce video­trompe­l'oeil scenery)

Page 13: Ragionamenti intorno al tema della rappresentazione

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Filosofia:

BARTHES, Roland(1970) L’empire des signes, Editions d’Art Albert Skira, Ginevra (tr. it. di Marco Vallora, L’impero dei segni, Einaudi, Torino, 1984).(1981) Carte e segni, a cura di Carmine Benincasa, Electa, Milano.DALMASSO, Gianfranco(1983) "Logo e scrittura” in Jacques Derrida in Il luogo dell’ideologia, Jaca Book, Milano.DERRIDA, Jacques(1962) Introduction à l'Origine de la geometrie de Husserl, PUF, Paris (tr. it. Di Carmine di Martino, Introduzione all'Origine della geometria di Husserl, Jaca Book, 1987).(l967a) De la grammatologie, Minut. Paris (tr.it. Della grammatologia, Jaca Book, Milano 1969).(1967b) La voix et le phénomène, PUF, Paris (tr. it. Di Carmine di Martino. La voce e il fenomeno, Jaca Book, Milano 1968).(l967c) L’écriture et la différence, Seuil, Paris (tr.it.. di Gianni Pozzi, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1971).(1968) "La différance", in Théorie d’esemble, Seuil, Paris (tr.it. di Giampiero Ascenso, "La differenza", in Jacques DERRIDA, Philippe SOLLERS, Julia KRISTEVA, Jean-Joseph GOUX, Jacqueline RISSET, Jean-Louis HOUDEBINE, Jean-Louis BAUDRY, Scrittura e rivoluzione, Mazzotta, Milano, 1974).(1986a) “Architetture ove il desiderio può abitare", in "Domus", 671, apr. pp. 17-24.(1987d) "Chora", in AA.VV., Poikilia. Etudes offerts à Jean-Pierre Vernant, Editions EHESS, Paris.(1988) Préface à Mesure pour mesure. Architecture et philosophie, numero speciale dei Cahiers du CCI (Centre Georges-Pompidou), Paris.(1989) "ln Discussion with Christopher Norris", in "Architectura1 Design", vol. 59, 1/2, pp. 6-11.SINI, Carlo(1981) Passare il segno. Semiotica, cosmologia, tecnica, ll Saggiatore, Milano.(1989a) I segni dell'anima. Saggio sull'immagine, Laterza, Bari.(l989b) Il silenzio e la parola, luoghi e confini del sapere per un uomo planetario, ed. Marietti, Genova.

Architettura/Arte:

AA.VV. (1993) Joseph Kosuth, Edition Cantz.BOETTI, Alighiero (1996) Alighiero Boetti 1965-1994, catalogo della mostra alla Civica Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino, 10 mag. - 1 set. 1996, (a cura di J-Ch. Ammam, M.T. Roberto, A.-M. Sauzeau) Mazzotta, Milano.CONTESSI, Gianni(1996) "Oltre la rappresentazione", in "Rectoverso. Itinerari nei luoghi delle architetture e delle estetiche", settembre, pp. 11-18. DE FAVERI, Franco (1996) “Le forme della rappresentazione", in "Rectoverso. Itinerari nei luoghi delle architetture e delle estetiche", settembre, pp. 3-9.EISENMAN, Peter (1971) “Appunti sull’architettura concettuale. Verso una definizione”, in “Casabe1la”, n. 359-360, pp. 48-58. (1973) “Cardboard architecture. Castelli di carte”, in "Casabella", n. 374. feb., pp. 17-31. (1979) “Post-Funcrionalism”, in "Oppositions", n. 6, pp. III-VI (tr. it. di Renato Rizzi e Daniela Toldo, "Post-Funzionalismo", in Peter Eisenman, La fine del classico, Cluva, Venezia 1987, pp. 29-35) IRACE, Fulvio(1977) “Eisenman House VI: Architettura di geometrie visibili”, in “Modo”, n. 12, settembre 1977.PAYOT, Daniel(1982) Le philosophe et l'architecte, Aubier-Montaigne. ParisPINTO, Roberto e SENALDI, Marco (a cura di)(1995) La generazione delle immagini. Incontri con l’arte contemporanea, Comune di Milano Progetto Giovani, Milano.TAFURI, Manfredo (1980) La sfera e il labirinto, Einaudi, Torino. (1981) Five architets N.Y., Officina, Roma, 2° ed.UGO, Vittorio (1991) I luoghi di Dedalo. Elementi teorici dell'architettura, Dedalo, Bari. (1994) Fondamenti della rappresentazione architettonica, Progetto Leonardo, Bologna. (1996) Architectura ad vocem... Verso un glossario dei termini di architettura, Guerini, Milano.

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gli autori

Marco   Ferrara.  Compie   gli   studi presso la Facoltà di Architettura del­l'Università   di   Firenze   maturando un vivo interesse verso la metodolo­gia  e   i  processi   creativi   legati  alla progettazione architettonica.  Da ciò deriva l'attenzione agli strumenti e alle tecniche del disegno e, in parti­colare, all'interazione tra manuale e digitale ­attenzione che si traduce in lavori sperimentali e nella didattica dei softwares per il disegno digitale­.Nel 2005, si specializza in Informati­ca applicata alla scenografia presso l'Accademia   d'arti   e   mestieri   dello spettacolo   del   Teatro   alla   Scala   di Milano.Dallo stesso anno collabora ai corsi di disegno del prof. Gabriele Pierlui­si  presso   la  Facoltà  del  Design del Politecnico di Milano con cui prose­gue la ricerca al fine di rinnovare la didattica   della   disciplina   contem­plando l'uso della modellazione vir­tuale e dell'immagine digitale insie­me alla pratica del disegno dal vero e alle tecniche pittoriche tradiziona­li.Parallelamente svolge l'attività pro­fessionale di  architetto occupandosi prevalentemente di allestimenti sce­nici.

Cinzia   Mazzone.  Si   laurea   in Architettura presso il Politecnico di Milano   con   una   tesi interdisciplinare   sul   concetto   di rappresentazione   in   Architettura   a cui   collabora   il   prof.   Carlo   Sini, docente   di   filosofia   teoretica all'Università statale di Milano.Nel   2001   si   iscrive   all'École   des hautes   études   en   sciences   sociales (EHESS) di Parigi e segue un corso di   studi   con   il   prof.   E.   Michaud, docente di teoria e ideologia dell'arte ed   inizia   ad   interessarsi   alla relazione   che   si   stabilisce   tra l'architettura, la filosofia e l'arte.Contemporaneamente   collabora   col prof.   Luigi   Cocchiarella   al   corso integrato   di   rappresentazione   I tenuto   alla   facoltà   di   architettura del Politecnico di Milano. Nel 2007­08 collabora con l'ark Silvia Dainese ai  workshop estivi  di  progettazione presso l'Università IUAV di Venezia. Nel 2007, insieme a Valerio Ferrari, Jean­Paul Robert e Brigitte Mestro fonda la rivista d'arte e architettura d'ici­là.   Nel   2009­10   collabora   ai corsi  di  disegno del  prof.    Gabriele Pierluisi   presso   la   Facoltà   del Design del Politecnico di Milano.