Quel viaggio incontro a sé chiamato vita

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Roberto Olivieri QUEL VIAGGIO INCONTRO A SÉ CHIAMATO VITA Una presentazione del Sentiero contemplativo 2 | IL SENTIERO CONTEMPLATIVO

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Roberto Olivieri

QUEL VIAGGIO INCONTRO A SÉ CHIAMATO VITA

Una presentazione

del Sentiero contemplativo

2 | IL SENTIERO CONTEMPLATIVO

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INDICE

5 Prefazione

7 1|Il valore insostituibile dell’esperienza

11 2|Vivere è trasformarsi da ego ad amore

15 3|Il diritto a manifestarsi

17 4|Il diritto ad essere accolti

21 5|La stanchezza, la crisi, l’altro

25 6|Il valore del dubbio

29 7|La disconnessione da ciò che la mente ……….recita

31 8|La sostanza dell’atteggiamento ……….meditativo

35 9|L’esperienza della contemplazione e ……….della vita che sorge e ci attraversa

37 10|L’intimo essere di ogni singola ……….esperienza

45 11|Le parole del Sentiero 45 Affetto, Altro da sé

46 Amore, Aspettativa

47 Buon amico

48 Compassione, Consapevolezza

49 Contemplazione

50 Coscienza

51 Disconnessione

52 Divenire

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54 Dubbio

55 Ego/Sé inferiore

56 Evoluto, Flettersi/Inchinarsi

57 Giudizio, Identificazione

59 Illuminazione, Incarnazione

60 Individualità

61 Innamoramento, Lasciar andare

62 Manifestazione, Meditazione

63 Mente

64 Non-essere

65 Osare, Paura

66 Personalità

67 Presenza, Realtà soggettiva

68 Resa

69 Scomparsa, Senso della vita

71 Sentire, Tenerezza, Via spirituale

73 Vite, Vittima

74 Zen

75 12|Incontro a sé: il percorso che ……….proponiamo 75 Il percorso di base

77 Esperienze di manifestazione e consapevolezza

79 Gruppi di approfondimento

80 Accompagnamento individuale

83 13|La comunità del Sentiero contemplativo

85 14|Letture consigliate

87 15|Contatti

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PREFAZIONE

Il nostro piccolo quotidiano: gesti, parole, fatti che si succedono in una routine senza fine. Abbiamo mai pensato, fino in fondo, che quel piccolo accadere non è nient’altro che la natura dell’Assoluto in atto? Che noi, quella formica, quel filo d’erba, non siamo altro che la Totalità che accade?

Certamente l’abbiamo pensato, ma l’abbiamo anche sentito come realtà indubitabile, realtà vera? Dubito.

Il Sentiero contemplativo parla di questo e vuole dare il suo piccolo contributo affinché possa germogliare in noi la consapevolezza che tutta la realtà è l’Uno in atto, e non esiste alcuna separazione, alcuna frammentazione di questa unità, se non a causa dei processi legati alla percezione e alla interpretazione della realtà.

Tutta la vita dell’uomo sembra accadere nella luce del divenire: nasce, cresce, muore, impara. Dal punto di vista del divenire tutto diviene da uno stato ad un altro: l’uomo si considera il portatore di un limite e deve superare quello stato per divenire altro, non-limite.

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Di stagione in stagione, di vita in vita, l’uomo sperimenta nel suo intimo questa separazione e questa tensione a divenire. Potremmo anche dire che il vivere non è altro che un laboratorio, un tentativo lungo e ininterrotto di annullare questa separazione. Che cosa incontra l’uomo alla fine del suo per-corso esistenziale? L’esperienza dell’unità, della non separazione di tutto ciò che esiste: alla fine incontra l’esperienza dell’amore.

Ha odiato, accarezzato, ucciso, stuprato, offerto, negato, accolto, e tutto quello che ha vissuto, ogni momento di quello che ha vissuto, l’ha reso uomo nel senso più pieno del termine: totalmente immanente, totalmente trascendente; intriso di umanità, eppure non identificato.

Alla fine, dopo tanto tentativo di esserci come portatore di un nome, è scomparso come identità.

Gli stadi dell’avventura umana:

-acquisire consapevolezza della propria umanità;

-aprirsi alla comprensione e all’esperienza di esse-re Uno.

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1 | IL VALORE INSOSTITUIBILE DELL’ESPERIENZA Trasformarsi significa vivere la metamorfosi del proprio sentire di coscienza. Nella logica del tempo e del divenire1 l’uomo inizia il suo percorso esistenziale con un sentire limitato che, esperienza dopo esperienza, vita dopo vita, si struttura e si amplia. Così come si forma il corpo fisico, si sviluppa la capacità intellettuale o si consolida la volontà, allo stesso modo si forma, organizza e amplia il sentire di coscienza. Questo processo avviene attraverso l’esperienza che la persona vive giorno dopo giorno: nel lavoro, negli affetti, nelle gratificazioni come nel dolore. Le piccole esperienze come le grandi, tutte compongono, come tessere di un puzzle, quell’insieme che chiamiamo sentire.

1 Qui viene affrontata la natura della vita nella logica del

divenire: va sottolineato che è una logica relativa, solo una interpretazione. Nei capitoli sulla meditazione e sulla contemplazione affronteremo la questione dal punto di vista dell’essere che non diviene, ma che è.

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Ogni aspetto, ogni fatto, che sia creativo o distruttivo, che ci procuri dolore oppure piacere, che ci entusiasmi o ci deprima, costruisce il mosaico della nostra interiorità profonda che chiamiamo coscienza.

Attraverso le esperienze manifestiamo la nostra emotività, il nostro pensiero, ed entrambi diventano azione, relazione: all’origine c’è la spinta, l’impulso del sentire di coscienza che genera ciò che la persona manifesta attraverso la sua identità (mente-emozione-corpo).

La coscienza è il regista, l’ego l’attore. L’ego esegue le indicazioni della coscienza; tra i due c’è uno scambio, un flusso continuo di dati: la coscienza induce un comportamento e le risultanze dell’esperienza ritornano ad essa, in un circuito senza fine.

La natura dell’uomo diviene comprensibile se non ci limitiamo ad osservare l’attore ma se poniamo l’attenzione sul processo coscienza-ego-coscienza.

L’esperienza è la scena che la coscienza cos-truisce e che viene rappresentata dall’ego-identità.

Nel moto come nella stasi; nel silenzio come nella parola; nel limite come nella potenza; nella privazione come nell’abbondanza; nella paralisi

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del corpo come nell’esuberanza; nel disturbo mentale come nella genialità, sempre c’è esperienza, sempre c’è un soggetto (la coscienza) che si esprime attraverso degli strumenti (i corpi dell’ego) e mette in atto una certa rappre-sentazione.

Ogni vita è rappresentazione di un sentire; ogni aspetto di ogni vita parla di ciò che una coscienza ha necessità di comprendere, di acquisire, di strutturare.

Ciò che della persona è visibile, ciò che appare alla nostra percezione è il tentativo, a volte i molti tentativi della coscienza, attorno ad uno stesso ripetuto tema, per acquisire un deter-minato sentire.

Noi possiamo guardare alle nostre vite e a quelle delle persone attorno a noi, e a tutti gli abitanti di questo pianeta, come a niente altro che coscienze in atto: ognuno realizza le scene necessarie al conseguimento di una certa comprensione, al raggiungimento di un certo grado di sentire.

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2 | VIVERE È TRASFORMARSI DA EGO AD AMORE

Ad un sentire di coscienza limitato corrispon-dono azioni, pensieri, emozioni improntate ad una visione egoistica; un sentire ampio genera pensieri e comportamenti altruistici caratterizzati dal superamento della propria centralità e attenti al bisogno dell’altro e della comunità degli esseri.

Ogni attimo dell’uomo si dispiega nella tensione tra ego ed amore: ogni ora, ogni giorno, ogni mese, ogni anno, ogni vita.

Potremmo leggere ogni evento del nostro quotidiano come una sollecitazione, un appren-dimento a superare il nostro egoismo.

Anche quando siamo sfacciatamente egoisti stiamo gettando le basi per il superamento di quella condizione: vivere è un dinamismo dove ciò che siamo oggi sarà superato, nel sentire, da ciò che saremo domani e questo anche quando ci sembra di sprofondare negli abissi del nostro limite.

Se oggi il nostro sentire non può che esprimere l’egoismo, se quello è possibile, allora quello dobbiamo avere il coraggio di manifestare.

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Non sarà mettendo in atto la manifestazione dell’altruista che andremo oltre il nostro egoismo: sarà vivendolo, esprimendolo e poi subendone le conseguenze e gli insegnamenti, che impareremo ad andare oltre, che in noi si genererà un sentire che ci permetterà altre modalità di essere.

Ad un certo moto egoistico fa sempre seguito una conseguenza con lo stesso accento: se siamo egoisti incontreremo situazioni caratterizzate dall’egoismo e ne patiremo le conseguenze, così come le patiranno gli altri.

Il nostro insegnante è l’egoismo che si manifesta in noi, che è noi, quel certo modo in cui ci interpretiamo e ci comprendiamo.

Produce, inevitabilmente, un certo tasso di dolore, di frustrazione, di disarmonia e queste ci costringono ad interrogarci, a farci qualche domanda, a correggere il tiro: da questo processo può sorgere una comprensione.

La comprensione è una piccola tessera che si compone nel corpo della coscienza, nel sentire: quando una determinata modalità interiore è compresa, si inscrive stabilmente e irreversi-bilmente nel corpo della coscienza, diventa sentire.

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Il sentire complessivo che era di un certo grado ora si è ampliato di quel tassello acquisito.

L’egoismo quindi ha condotto ad una compren-sione. Ogni disposizione interiore conduce ad esperienze e queste mutano la struttura e l’am-piezza del sentire.

Qualunque sia il punto da cui una persona, in una vita, inizia, parte sempre da una base di sentire che nel corso di quell’esistenza, vivendo, gioendo, soffrendo, è destinata ad ampliarsi in vario grado.

Questo per tutte le persone, in ogni vita.

Uno dei pilastri della nostra visione è che ogni situazione, persona e fatto ci è maestro, ovvero ci conduce ad una conoscenza più profonda di noi stessi e poi a nuove comprensioni.

In quest’ottica niente è negativo, da buttare, scartare, evitare: ogni situazione è la nostra vita perché da ognuna, nel momento in cui l’af-frontiamo, possiamo apprendere qualcosa e possiamo trarne la possibilità di essere persone diverse.

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3 | IL DIRITTO A MANIFESTARSI

Sulla base di questi presupposti è evidente che riveste un’importanza grande la nostra capacità di riconoscerci il diritto a manifestarci.

Non è un diritto che altri possono riconoscerci: dobbiamo concedercelo noi, dobbiamo darci questa possibilità.

Se non ci permettiamo di manifestarci, non ci permettiamo le esperienze: se ci cristallizziamo su ciò che siamo nel tentativo di proteggerci, non esporci, non rischiare, ci esponiamo alla spinta della vita che afferma: “Non puoi stare fermo, devi vivere, devi sperimentare!”

Più cerchiamo di proteggerci, più abbiamo paura della vita e delle esperienze, più ci incistiamo in dinamiche dolorose e frustranti.

Se viviamo un’esperienza e la lasciamo andare, se ne viviamo un’altra e la lasciamo andare, siamo nel flusso delle esperienze e della trasformazione; questo non significa che non ci sarà un tasso di dolore, significa che non ci cristallizzeremo nel dolore.

Che cos’è il dolore?

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La risultante dell’attrito tra la spinta della coscienza e la disposizione dell’ego: se la persona è dentro la paura, la svalutazione di sé e la coscienza spinge per acquisire nuovi elementi attraverso l’esperienza, quell’attrito tra i due produce quello che noi sperimentiamo come dolore.

Il diritto a manifestarsi è un’affermazione interiore e profonda che la persona compie quando nell’intimità di sé afferma: “Debbo osare, debbo espormi, non voglio vivere prigioniero della paura”.

Vediamo la nostra paura, la resistenza a buttarci; avvertiamo la spinta ad andare; sentiamo il dolore e l’insoddisfazione: prima o poi, in questa vita o in un’altra, dovremo buttarci.

Allora incontreremo tutto il nostro essere, lo conosceremo, lo supereremo, ma avremo dovuto compiere il gesto dell’osare la vita: “Sono qui, sono disposto ad imparare, a farmi male, ad espormi, a dichiararmi, ad accarezzare e a prendere calci: non voglio più vivere nella paura!”

Paura di chi? Dell’altro? Di non essere accolti.

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4 | IL DIRITTO AD ESSERE ACCOLTI

La possibilità di essere accolti non dipende dall’al-tro, dipende sempre da noi.

Ci sembra di non essere accolti dall’altro, dal mondo, perché non ci accogliamo in noi stessi.

Quando c’è una sana accoglienza di sé, l’altro può accoglierci o no, ma questo non comporta per noi un problema.

La non accoglienza deriva dal giudizio che espri-miamo su di noi e dall’immagine ideale che ab-biamo coltivato.

“Dovrei essere così, vorrei essere così e invece scopro le inadeguatezze e il limite che condi-zionano parte rilevante della mia manifestazione”: tra il “vorrei” e il “sono” c’è una tensione che spesso ci conduce in un vicolo cieco; non solo, spesso ci porta proprio ad esprimere il limite anche se sapremmo e potremmo esprimere altro.

Qui ci interessa la possibilità creativa che può sorgere da questo conflitto: la tensione tra il “vorrei” e il “sono” possiamo leggerla come possibilità:

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-il “vorrei” parla della nostra immagine ideale, della proiezione, del sogno, dell’aspirazione ed anche della visione immatura;

-il “sono” parla di ciò su cui esistenzialmente siamo chiamati a lavorare; quelle forze a disposizione che nel percorso di vita debbono trovare una chiarificazione, un dispiegamento, uno sviluppo, una trasformazione.

Entrambe parlano della struttura dell’ego, ovvero di ciò che della coscienza emerge nel tempo e nello spazio come non compreso, come sentire non conseguito.

Le basi di ogni accettazione appoggiano su di una visione altra del limite che l’umano porta: il limite parla del senso della nostra incarnazione, dello scopo realizzativo della nostra vita.

Non ciò che ci rimane facile e spontaneo, naturale, ma ciò su cui proviamo difficoltà, su cui arranchiamo ci parla del senso della nostra vita, dello scopo del nostro esistere.

Viviamo per comprendere ciò che non abbiamo compreso e quel qualcosa che si presenta davanti tutti i giorni, a tutte le ore, ci indica la strada, ci dice che lì c’è ancora da fare.

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Quando un aspetto del proprio essere, del proprio sentire, è acquisito, non ci costa fatica viverlo, sorge spontaneamente l’attenzione, l’azione: quando non è compreso comporta una difficoltà, sorge il conflitto e spesso il dolore. L’accoglienza di sé non finisce mai: ogni accoglienza conseguita mette in luce altri aspetti non visti, non integrati, non superati. Più andiamo avanti nel conoscerci, più il nostro sguardo si fa attento, più emergono sfumature, aspetti sottili che ci interrogano: all’alba del nostro cammino potevamo permetterci di vuotare il posacenere dal finestrino dell’auto; in una fase più matura ci risulta impossibile mettere un pezzo di plastica nel contenitore del riciclo della carta. Accogliere sé significa accogliersi per quello che si è oggi, sapendo che domani saremo diversi. L’accoglienza non produce l’immobilità del “tanto sono cosi” ma introduce un dinamismo senza fine. Proprio perché ci accogliamo si presentano sempre nuove sfide, sempre più sottili da comprendere. Finché non ci accogliamo blocchiamo i processi di trasformazione: la non accoglienza non è un dinamismo, genera solo pantano; l’accoglienza produce eventi e processi di ogni genere.

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Il diritto ad essere accolti è come un tappeto che si dispiega nel mondo e che noi possiamo percorrere e srotolare perché abbiamo risolto il conflitto che c’era in noi: non c’è nessuno che ci nega, non c’è alcun carnefice e non c’è alcuna vittima.

Nel mondo ci sono persone: alcune ci accolgono, altre no; quando in noi il conflitto è sanato, riconosciamo che questo è un accadere più che naturale e non abbiamo niente da protestare o di cui lamentarci.

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5 | LA STANCHEZZA, LA CRISI, L’ALTRO

Siamo spinti ad uscire dalla tana dai nostri conflitti, dalla frustrazione, dalla ribellione. Quando siamo stanchi di noi, stanchi di soffrire e, qualche volta, anche stanchi di far soffrire, allora usciamo.

La stanchezza è una grande alleata; il logoramento che avviene in virtù del ripetersi dei meccanismi interiori ci conduce ad un tal punto di insopportabilità che dobbiamo muoverci: per mille ragioni diverse abbiamo rimandato, aspettato, tergiversato, finché non è stato troppo anche per noi.

Si apre una possibilità perché siamo stanchi di noi stessi e dei rapporti che creiamo, di come li condizioniamo e ne siamo condizionati, di come inquiniamo i pozzi che dovrebbero soddisfare la nostra sete.

La stanchezza, il riconoscere di non poter più andare avanti a quel modo, apre le porte alla crisi, è già crisi in atto, ma non lo sappiamo.

La crisi è come la pioggia, un acquazzone dopo un lungo periodo di siccità, se guardata con gli occhi giusti.

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Dal nostro punto di vista, la crisi è una benedizione perché è la certificazione che un equilibrio è andato in frantumi: era un equilibrio fasullo, fondato sulla frustrazione e si è rotto.

Si apre una nuova possibilità, si generano nuovi processi se non si teme lo sconquasso, piccolo o grande, che ogni crisi porta con sé.

Noi potremmo leggere la vita come una sequenza lunga, molto lunga, di crisi: ognuna mette in discussione uno stato e dispone l’essere al nuovo che bussa.

C’è un agente fondamentale in qualsiasi crisi e in tutto il processo che va dalla stanchezza di sé alla crisi: l’altro da sé.

Perché? Perché l’altro è colui che, con il suo semplice essere sulla scena della nostra vita, svela i nostri meccanismi, le nostre maschere, il giudizio che diamo su di noi.

Non essendo mai come lo vorremmo, ci costringe a vedere la sequenza interminabile delle nostre aspettative e dei nostri giudizi. L’altro, non solo è spesso l’agente all’origine della nostra crisi, ma è anche il fattore di logoramento che contribuisce a creare quella stanchezza di fondo per sé che ci

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costringe a muoverci e ad affrontarci, senza più scappare.

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6 | IL VALORE DEL DUBBIO

Cerchiamo certezze, stabilità e invece qui parlia-mo del dubbio come chiave di volta di tutta l’esistenza umana. Fino a quando la persona non impara a dubitare, tutta la sua trasformazione avviene inconsapevolmente, sbattendo di qua e di là, facendosi male, ferendo.

Di colpo in colpo, si sviluppa una qualche attitudine alla consapevolezza che essenzialmente è la capacità di vedersi mentre si mettono in atto le proprie dinamiche.

Proprio perché siamo stanchi di andare per tentativi e di farci così spesso male, cominciamo ad osservarci: da quella osservazione nasce il fiore della consapevolezza e da questa viene generato quel formidabile agente di rottura con il vecchio, il passato, i meccanismi, che è il dubbio.

Dubitiamo di essere vittime dell’altro che sarebbe sempre il carnefice; dubitiamo di non essere capaci, o di esserlo sempre; dubitiamo di far sempre la cosa giusta, o la cosa sbagliata; in altri termini: dubitiamo di quello che la mente racconta, di come ci rappresenta la realtà.

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Per arrivare a dubitare della nostra mente dobbiamo aver compreso che lei non è noi, che il nostro essere non si esaurisce nella natura e nelle facoltà della mente; ecco perché il dubbio è così importante, perché porta con sé una duplice acquisizione:

-abbiamo compreso che non siamo solo mente;

-abbiamo sperimentato che questa non sempre la racconta giusta.

E’ chiaro che si arriva al dubbio dopo un lungo percorso esistenziale pieno di esperienze ed anche di sconfitte, di crisi, che hanno fatto vacillare non pochi pilastri.

L’avere in sé realizzato che si è altro e che della mente ci si può fidare fino ad un certo punto, ci introduce in una visione della vita e in una pratica del quotidiano molto differenti: le opinioni e le azioni dell’altro, l’accadere della vita in tutti i campi, gli eventi che ci accadono personalmente, vengono letti non più a partire dal presupposto che il nostro punto di vista è un pilastro, ma alla luce della consapevolezza che i pilastri sono relativi.

Nessun pilastro, né nostro, né dell’altro è affidabile, perché tutto è generato dalla mente e

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noi abbiamo imparato a ponderare attentamente ciò che essa propone.

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7 | LA DISCONNESSIONE DA CIÒ CHE LA MENTE

RECITA

Il passo successivo al dubitare del racconto che la mente fa della realtà, è il lasciar andare quel rac-conto; noi diciamo è disconnetterlo.

La sostanza dell’atto di disconnessione:

-essere consapevoli del contenuto mentale;

-scegliere di non continuare ad alimentarlo;

-portare la propria attenzione su un elemento del presente.

Potremmo definire la disconnessione anche come il gesto senza fine del lasciar andare: un pensiero sale e lo lasciamo andare; un’emozione si presenta e la lasciamo fluire; compiamo un’azione e un attimo dopo la nostra attenzione non è più su ciò che è stato, ma su ciò che sta accadendo.

Disconnettendo ogni pensiero-emozione-azione, è come se davanti ai nostri occhi si presentasse una processione interminabile di eventi: la nostra attenzione è focalizzata sempre su ciò che abbiamo di fronte in quel momento, non indugiamo su ciò che è stato, non ci avventuriamo in ciò che sarà.

La disconnessione ci radica nel presente.

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8 | LA SOSTANZA DELL’ATTEGGIAMENTO -----------

MEDITATIVO

Tendiamo a non parlare di meditazione ma di atteggiamento meditativo; pratichiamo nei gruppi alcune forme meditative, ma sono pratiche che ci servono per creare una base d’esperienza, un’at-titudine da portare nella vita.

Tutta la nostra attenzione è posata sul vivere e sul come stiamo nella vita: non ci interessa creare isole di consapevolezza o di stati interiori par-ticolari.

Tutto ciò che pratichiamo e discutiamo insieme prepara la vita, essendo già vita.

Non ci interessa se siamo tesi o rilassati, aggressivi o calmi, pronti o lenti: ci interessa praticare quel-l’incessante ritorno all’adesso che tutto azzera.

Tornando e tornando ogni stato lascia il posto ad un altro stato, tutto fluisce.

Quel che accade c’è per un attimo e poi scompare, quel che è stato non è più; quel che sarà ancora non giunge: cerchiamo uno spazio tra pensiero e pensiero, pensiero-spazio-emozione-spazio-azio-ne-spazio.

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Poniamo l’accento sugli spazi e lasciamo che anche questi scompaiano.

Quando c’è pensiero, è il pensiero; quando c’è l’emozione, è l’emozione; quando c’è l’azione, è la sequenza dei fotogrammi dell’azione.

Tra pensiero e pensiero c’è sempre uno spazio se non siamo identificati. Quando lasciamo andare ciò che stiamo vivendo e appoggiamo l’attenzione sul nuovo che sorge, tra il vecchio e il nuovo c’è sempre uno spazio: profondo silenzio, stare senza condizionamento.

Ma non solo: quando l’attenzione è focalizzata sull’adesso, senza passato e senza futuro, quel fatto che stiamo vivendo viene percepito in modo del tutto nuovo. Quando l’osservazione di un fatto della vita, di qualcosa che si presenta, è libera da una finalità, priva di uno scopo, il fatto vissuto si illumina di un senso e di una pregnanza particolari.

L’atteggiamento meditativo è la possibilità di vivere il presente senza scopo alcuno, nella gratuità: questo la vita ci presenta, questo è la nostra vita.

Se non viviamo questo, che cosa viviamo?

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Se non viviamo il presente, di che cosa si sostanzia la nostra vita? Del passato? Del futuro? Adesso accade la vita e adesso noi siamo disposti ad accoglierla, a lasciare che sorga, a rimanere stabili nell’emozione, nell’ascolto, nella disponi-bilità a lasciarci modellare. Adesso siamo disposti a lasciarci sorprendere, spiazzare: la vita che sorge è stupore, sorpresa senza fine. L’atteggiamento meditativo è quello stare di fronte ad ogni singolo fatto della vita, che sia piacevole o spiacevole, gratificante o deludente, confermante o smentente, risiedendo in una neutralità: dal punto zero di quella neutralità, ciò che la mente etichetta come piacere o dispiacere, diviene altro, diviene quello che è, senza connotazione. L’atto meditativo conduce oltre la rappresen-tazione che la mente produce, oltre la realtà della mente.

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9 | L’ESPERIENZA DELLA CONTEMPLAZIONE E DELLA

VITA CHE SORGE E CI ATTRAVERSA

Che cos’è la vita che sorge? E’ quello che ci sta davanti e che riconosciamo come tutto ciò che abbiamo: non abbiamo nient’altro! Ad un certo punto ci è chiaro che tutta la nostra vita è una sequenza lunghissima di attimi, di fotogrammi, che accadono ora e mai più.

Quel fotogramma vissuto in sé, senza quello che lo precede e quello che lo segue, invade la consapevolezza, la coscienza, la mente, l’emo-zione, il corpo, pur essendo muto, silenzioso, immobile.

Quel fotogramma è oltre il tempo, eterno pre-sente.

Se la mente non coltiva pensiero, se non c’è identificazione, se si è interiormente disposti, accoglienti, concavi, può accadere che quell’attimo ci pervada, ci invada, ci attraversi.

Stiamo camminando e sentiamo che non siamo più noi a camminare, veniamo camminati; stiamo parlando e le parole affluiscono dense, piene, e sorgono da sole; stiamo suonando e la musica

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invade il nostro essere, il nostro corpo è suonato, lo strumento è suonato, ma non da noi.

Chi cammina, chi parla, chi suona allora? Non noi ma qualcosa di più vasto, qualcosa che possiamo chiamare coscienza, vastità o altro.

Il controllo che abbiamo sempre avuto sulla realtà lascia il campo ad altro che mal si concilia con qualsiasi controllo: quando la contemplazione sorge scompare colui che gestisce, che controlla, che sa, che spera, che si affida, che opera.

Contemplare è essere trasportati, condotti, sos-pinti, dolcemente annullati dal vento della vita che soffia dove vuole.

La contemplazione è la fine del cammino dell’uomo perché comporta la scomparsa del contemplante stesso.

Non possiamo dire che nella contemplazione ci sia un soggetto che la pratica e la sperimenta: la contemplazione è la vita in atto e non porta nome, è aldilà di ogni nome.

L’esperienza della contemplazione è ciò verso cui accompagniamo le persone, è la natura più intima del Sentiero.

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10 | L’INTIMO ESSERE DI OGNI SINGOLA -------------.

ESPERIENZA2

Più si scende nella profondità della natura dell’esistenza e dell’adesso che accade, più da quell’esperienza emerge un qualcosa di completamente nuovo, mai conosciuto prima, non comprensibile e non afferrabile con la mente. Più l’atto contemplativo compenetra la persona e ciò che essa vive, più da quell’atto sorge l’esperienza di una pienezza, di una densità, di uno spessore, di una significanza che noi esprimiamo con il termine di pregnanza. Quando le menti pensano alla vita contemplativa paventano uno svuotamento di senso e di significato perché vedono nella scomparsa dell’eccitazione, del coinvolgimento, della iden-tificazione, la perdita del succo dell’esistenza. Non riescono ad immaginare quello che può accadere il giorno in cui la persona non è più identificata con i suoi pensieri, le sue emozioni e le sue azioni.

2 Estratto del capitolo 18 del libro

“Conoscenza di sé, meditazione, contemplazione”.

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Ed in effetti non è immaginabile: solo l’esperienza testimonia che nel momento in cui non c’è più identificazione, ciò che compare non è un vuoto ma un pieno, per tanti versi anche difficile da reggere per la persona stessa. (…)

Quando la persona con la sua identificazione scompare, ciò che si afferma è il presente; quando la persona non ha più un obbiettivo, non ha più una finalità, non ha più una aspettativa, quando su ciò che vive e sperimenta non emette più un giudizio, quando è libera dall’influenza del passato e dai suoi meccanismi mentali, ciò che affiora è la realtà così com’è e quella realtà porta con sé il frutto della pregnanza. (…)

Mai avremmo pensato che la vita potesse essere quello, noi che abbiamo attraversato l’esistenza cogliendo soltanto frammenti del reale, costan-temente proiettati verso il futuro o ancorati al passato, non potevamo minimamente immaginare che se solo ci fossimo aperti più a fondo a ciò che attimo dopo attimo incontravamo senza limitarci alla superficie, avremmo incontrato tanta profondità, ci saremmo impattati con tanta forza, con tanto senso.

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Quando dico senso non intendo dire qualcosa che dà senso alla nostra esistenza, qualcosa che ci qualifica: intendo dire qualcosa che in sé è portatore di senso, qualcosa che nel suo essere ciò che è porta il senso come natura propria. La relazione con l’adesso, di qualunque natura sia l’adesso che accade, è sempre significante, è sempre traboccante di senso. Nell’adesso contemplato non c’è spazio per l’insignificanza, non c’è spazio per la trascuranza, non c’è spazio per la vacuità. Qualunque realtà venga vissuta, del corpo, dell’emozione, della mente, che sorga dall’interno o sia stimolata dall’esterno, assume una rilevanza tale da diventare totalmente pervadente, da non lasciare spazio ad altro. Allora osservi quel flusso di forze nel corpo e sei come invaso da un’onda; osservi quell’emozione e sei come nel mare di quel colore; osservi un fiore e ti si impatta con così tanta forza da stordirti. Il canto della realtà, quando non è attutito dal rumore della mente, è su tutti i piani, in tutte le direzioni e tu sei immerso dentro quel canto e non c’è nient’altro che quel canto. Tutto canta se stesso, tutto esprime se stesso ed è intimamente libero dal giudizio; niente porta un

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limite, che prende forma, evidentemente, solo in presenza di un giudizio.

Tutto è se stesso, senza trattenimento, senza riserva, senza pentimento; ogni cosa è quel che è e, nell’essere quel che è, lo è senza mediazione, senza trattenere niente, senza soffocare niente; lo è in modo veramente totale.

Quando esci fuori dall’ottundimento che l’identificazione con i processi produce, sottolineo il termine “ottundimento” – è come un vivere sott’acqua dove tutto appare distorto ed attutito – quando esci, è un esplodere di vita.

Più l’esperienza contemplativa si radica nelle giornate della persona, più questa pregnanza che la persona sperimenta la trasforma; di situazione in situazione, la realtà la plasma ed apre varchi sempre più vasti nella struttura ricettiva dell’essere; apre varchi nella mente, nell’emozione e nel corpo; la realtà scava, si fa spazio in ogni anfratto dell’essere.

E’ come se l’essere diventasse sempre più poroso, sempre più permeato della presenza dell’adesso che accade.

Ciò che si presenta non lascia più spazio al lamento, a quell’indugiare su di sé, a quell’atten-

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zione costante a sé: la realtà impone se stessa e nel farlo noi veniamo confinati in una “irrilevanza”.

Ad un certo punto non solo è come se la realtà non si curasse di noi, ma è come se ci volesse travolgere; è come se, rami secchi, potessimo essere spazzati via dal vento con un gesto non curante.

Quella stessa realtà che un tempo ci ha condotti per mano, ci ha tenuti nel palmo della mano, o per lo meno noi così leggevamo il processo, ora appare nella forma di un vento potente che ci spazza via e non si cura di noi.

Finché c’è quel “noi” non c’è esperienza contem-plativa, ma quando quell’esperienza sorge, quel “noi” è destinato ad essere spazzato via.

Non c’è dolore in questo, non c’è rimpianto, è ciò che accade; non c’è qualcuno che protesta mentre questo accade; non c’è nemmeno qualcuno che resiste, c’è soltanto l’accadere di questo rametto secco che viene spazzato via dal vento.

E’ finito il tempo delle proteste; quando la realtà si afferma ciò che rimane dell’osservatore è un insieme di elementi percettori, non ci sono commenti da fare, non ci sono più strutture per fare commenti.

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C’è stato un piegarsi lungo, ripetuto, a volte penoso; molto penoso.

Ancora: non c’è rimpianto per ciò che si è perso, ma c’è l’intimo senso di una libertà che è giunta e che non chiede permesso, che non bussa; è un processo che porta con sé estrema dolcezza ed estrema forza, è un processo che non chiede, si impone.

L’atto contemplativo è qualcosa che è sempre lì, è sempre stato lì, pronto ad emergere; ad un certo punto eri stanco delle domande, delle risposte, del tuo indagare, e pian piano hai cominciato a sussurrare e poi a dire: ”Son qui, sono disposto”. E lui si è fatto avanti e ha portato con sé quella vastità.

Più si fa presente, più ti scava, più ti rende quell’essere permeabile, più ti impregna, più scompari.

Il tuo scomparire si fa dolce, un tenero arrendersi alla vita che viene.

Quando l’esperienza della realtà si presenta e ti invade con la sua forza e la sua carezza, non c’è resistenza.

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Ciò che resta della mente, di te, è qualcosa di molto indefinito e flessibile oramai, di molto duttile, che la vita può piegare come vuole.

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11 | LE PAROLE DEL SENTIERO

Senza la pretesa di voler comporre un glossario, ma solo con l’intento di dare spunti di riflessione e aprire piccoli spiragli sulla nostra visione della via spirituale.

AFFETTO

Quello che gli esseri umani chiamano amore e che è condizionato dal bisogno.

L’affetto è l’amore condizionato. L’amore è la vita che non chiede, che non ha bisogno, che si lascia portare e attraversare, che si dona senza scopo.

L’affetto, condizionato da un bisogno, ha uno scopo e non conosce ancora la gratuità, sebbene la prepari.

Prefigura ciò che sarà portato a compimento nell’amore.

ALTRO DA SÉ

Colui/colei a cui tutto dobbiamo: non saremmo persone e non potremmo trasformarci e imparare a dimenticarci di noi se vivessimo soli, fuori da una qualsiasi forma di relazione.

Tutta la vita è relazione con l’altro da noi, ed è trasformazione provocata da quell’impatto, dal

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fatto che l’altro ci costringe a vederci e a interrogarci e ci conduce, non di rado, in una crisi.

L’altro è il primo e principale dei maestri.

AMORE

Non è un qualcosa di personale: non possiamo dire: “Io amo te”. L’amore accade, puro dono, quando scompaiono l’amante e l’amato.

E’ l’esperienza ultima dell’uomo che è stato condotto dalla vita oltre il bisogno, le domande, la necessità di risposte: quando l’uomo risiede nella vita ed è portato da questa, essendosi svuotato di qualunque opposizione e pretesa, allora può sorgere, come dono, quella disposizione interiore che chiamiamo amore, che nulla chiede, nulla si aspetta, semplicemente è lì, davanti alla vita e afferma: “Se posso esserti utile, ci sono”.

ASPETTATIVA

Costantemente ci aspettiamo qualcosa, non viviamo il presente così com’è ma ci aspettiamo che abbia la configurazione da noi desiderata.

Vediamo l’aspettativa e la lasciamo andare: ciò che rimane è quel piccolo fatto che accade e ci chiama

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dicendoci: “Mi vedi? Se non mi vedi non stai vivendo”.

BUON AMICO

Colui/colei che consapevolmente ci accompagna nel viaggio incontro a noi stessi.

E’ quello che in altre tradizioni è chiamato maestro; è l’accompagnatore che abbiamo scelto e a cui riconosciamo il diritto e il dovere di metterci a nudo, di svelarci nei nostri meccanismi.

Ogni altro da noi è il nostro insegnante: il buon amico è un altro consapevole della sua funzione; non ha niente da perdere e da guadagnare, non teme un dolore che può provocare e non si ritrae dall’accarezzarci.

Non è necessariamente una figura fissa: nelle nostre vite tutti incontriamo qualcuno la cui parola o i cui comportamenti ci permettono di sviluppare una riflessione o ci sono di stimolo a conoscerci meglio; tutti incontriamo qualcuno cui riconosciamo un’autorevolezza e che autoriz-ziamo ad entrare nelle nostre vite.

Quello del buon amico non è un ruolo o un mestiere, è una funzione, vale per noi e magari non vale per altri; ognuno riconosce il proprio

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buon amico in qualcuno che gli attiva dei processi, che gli sollecita degli interrogativi, che lo inquieta o lo placa.

Non esiste in sé il buon amico, esiste per noi; a volte succede che qualcuno sia riconosciuto da diverse persone in quella funzione e allora diventa un riferimento stabile a cui ci si può rivolgere per una parola ma, in assoluto, nessuno è buon amico per tutti.

COMPASSIONE La disposizione interiore, l’esperienza dell’acco-gliere in una concavità, qualunque pensiero, emozione, azione, nostra e altrui.

Lo sguardo privo di giudizio, sostenuto da una profonda apertura, comprensione, vicinanza.

Il gesto che unifica tutto ciò che attraversa, pervaso di tenerezza, compenetrato da un inchinarsi.

CONSAPEVOLEZZA La presenza simultanea della sensazione fisica, della ricettività emotiva, dello sguardo intelligente sulla realtà che accade nel momento presente.

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CONTEMPLAZIONE

L’atteggiamento meditativo, la disposizione consapevole, preparano l’esperienza contem-plativa: il disporsi all’adesso che accade apre spazi all’affiorare dell’esperienza della profondità di quanto sperimentato.

Scriviamo e siamo consapevoli di scrivere, è tutta la nostra vita, adesso; mentre scriviamo le parole affluiscono, la mente è obbediente, il corpo esegue: viviamo l’esperienza non del “noi scriviamo” ma “dell’essere scritti”, “dello scrivere”, “della scrittura che accade”.

Ciò che viene scritto non è la risultante del nostro pensiero ma di ciò che il pensiero precede, della coscienza.

La contemplazione è coscienza in atto, vastità in atto, non condizionamento in atto.

Nella profondità dell’adesso emerge tutta la natura della vita, il suo senso, la sua pregnanza, la sua profondità, il suo essere quel che è, Assoluto in atto.

Molti di noi sperimentano l’esperienza della contemplazione ma non sanno dargli un nome. Molti artisti vivono l’essere cantati, suonati,

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danzati, e ugualmente lo vivono molti sportivi e praticanti di arti marziali.

L’esperienza contemplativa è il manifestarsi della vita oltre l’identità, oltre l’ego: fluidità, libertà, vastità, leggerezza, profonda gioia caratterizzano quell’esperienza.

Da lì, l’esperienza nell’identità è vissuta come limitata, compressa, condizionata, asfittica.

La vita vera si manifesta quando la contem-plazione sorge e l’uomo, inteso come ego, scom-pare.

COSCIENZA Il sé superiore, l’anima, l’io spirituale, il corpo akasico o causale, l’individualità, il vero sé.

L’uomo è centro di coscienza e di espressione, secondo la definizione del Cerchio Firenze 77: il sentire, contenuto della coscienza, si esprime attraverso il corpo mentale, il corpo astrale, il corpo fisico, nel tempo e nello spazio, in quella rappresentazione che chiamiamo vita.

Di esperienza in esperienza, di vita in vita, affluiscono tessere di sentire che vanno a costituire il corpo della coscienza: la vita nel piano fisico, emotivo/astrale, mentale, non è altro che la

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condizione per poter edificare e strutturare il corpo akasico/della coscienza.

Una volta che questo corpo è costituito, l’esperienza che chiamiamo vita non ha più motivo di essere, l’uomo cessa l’esperienza incarnativa e continua il suo percorso in altro modo.

La coscienza è l’artefice che sostiene tutta la nostra vita cognitiva, emotiva, sensoriale, opera-tiva.

Senza la coscienza non c’è vita, è come togliere ad un’automobile il motore.

Tutta la vita sul pianeta è guidata dalla coscienza e da ciò che la precede: quella minerale, vegetale, animale, umana, sovraumana.

Tutte le esperienze nelle varie forme, materie, tempi forniscono dati alla coscienza e la costituiscono come corpo strutturato.

DISCONNESSIONE

Un pensiero è legato ad un altro pensiero, ad un’emozione, ad un’azione: disconnettere significa lasciare che un pensiero sorga e scompaia, che un’emozione sorga e si dilegui, che un’azione si manifesti e poi venga dimenticata.

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Disconnettere significa tornare e tornare al momento presente lasciando che ciò che è stato e ciò che sarà non siano coltivati dalla nostra attenzione: significa appoggiare la consape-volezza sul presente che accade e su niente altro.

Un pensiero è solo un pensiero, lo lasciamo sorgere e lo lasciamo andare: ne sorgerà un altro e proprio perché abbiamo lasciato andare il precedente, quello che sorge è nuovo.

Così per un’emozione e per un’azione.

La disconnessione è la pratica fondamentale del Sentiero, l’incessante ritorno della consapevo-lezza all’adesso che sorge.

E’ considerare un pensiero a sé stante, un’emo-zione a sé stante, non connessi tra loro: in questo modo la vita diventa quell’illuminarsi di attimi che subito scompaiono e lasciano il campo a nuovi attimi, e così senza fine: la vita allora diventa nuova, fresca, libera, leggera, priva di condizio-namento di ciò che è stato o che sarà.

La vita è solo ciò che è, adesso.

DIVENIRE

Oggi siamo protesi sul domani; nel mentre compiamo questa azione già la nostra mente è

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sulla successiva; viviamo questa vita e andiamo ad indagare il nostro passato e cerchiamo di cogliere segni di quello che verrà. L’uomo è dentro questa tensione del divenire, dentro ad una percezione del tempo che scorre e, soprattutto, dentro ad una inquietudine interiore che lo spinge avanti e indietro lungo i binari dell’esistere. Il tentativo del Sentiero è di conciliare essere e divenire: la tensione a trasformarci, ad essere altro, è naturale, sana, indispensabile perché ci colloca nel flusso della vita dove tutto è muta-mento. L’adesso è la base di domani e la conseguenza di ieri; ma oggi possiamo fare qualcosa che, pur essendo nella logica del divenire, lo supera e lo trascende: oggi possiamo accoglierci così come siamo, sapendo che domani saremo diversi. Possiamo accogliere l’adesso, ogni adesso che si succede nel tempo, sapendo che lascerà spazio ad altri adesso che verranno, e possiamo accoglierlo come se fosse l’ultimo attimo della nostra esistenza. Così facendo, noi introduciamo la consape-volezza che entrambi gli stati possono convivere simultaneamente senza conflitto: siamo nell’acca-

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dere, giunge qualcosa che subito scompare e lascia spazio ad altro che, mentre accade, è tutta la nostra vita, tutto l’esistente.

Fotogrammi che scorrono davanti all’obbiettivo, ognuno compiuto in sé.

Sappiamo che ogni attimo ci trasforma, ma la nostra attenzione non è sul trasformarci, è sull’essere disponibili a vivere l’attimo presente, su ciò che accade e ci attraversa.

Guardando le nostre giornate da questo punto di vista, andiamo oltre la tensione a divenire e trasformarci, scendiamo nell’intima natura del presente e della vita, rimanendo in quel flusso, estremamente dinamico della vita, che nulla lascia inalterato e immobile, che tutto trasforma.

DUBBIO

La condizione senza la quale non è possibile superare il condizionamento della mente. Se non si dubita della lettura che la propria mente dà della realtà, non si vede l’origine del condizionamento di tutto il nostro esistere, non si vedono le sbarre della prigione nella quale ci racchiudiamo.

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Non dove qualcuno ci racchiude, dove noi ci racchiudiamo aderendo a ciò che la mente recita su di noi e sull’altro da noi, oltre che sulla vita.

EGO/SE’ INFERIORE

E’ l’immagine di noi generata dal corpo mentale, emotivo-astrale e fisico, sulla base dei dati forniti dalla coscienza e derivanti dall’esperienza.

L’ego, o identità, o sé inferiore, è l’inter-pretazione che noi diamo di noi stessi, quello che consideriamo il nostro sguardo sulla realtà interiore ed esteriore.

L’ego parla di ciò che la coscienza non ha ancora acquisito e su cui si sta misurando; parla delle sfide che l’uomo affronta giorno dopo giorno e che lo trasformano nel suo sentire di coscienza.

Ciò che è stato compreso opera come programma inconscio che sostiene la rappre-sentazione, la messa in atto, di ciò che compreso non è.

La vita dell’uomo è all’insegna dell’ego finché la coscienza non è sufficientemente strutturata: c’è ego fino a quando non si dispiega un sentire di coscienza ampio.

L’ego è il veicolo della coscienza nel tempo e nello spazio: la mente, l’emozione, il corpo sono i

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terminali attraverso cui la coscienza sperimenta, acquisisce i dati che le sono necessari, impara, comprende.

L’ego è l’insieme degli strumenti utilizzati affinché la comprensione si realizzi, ma in sé non esiste: dalla relazione tra corpo mentale, emotivo, fisico – che operano sotto le direttive della coscienza – scaturisce quel particolare senso di esserci come identità limitata e circoscritta che noi chiamiamo con il nostro nome.

In sé l’ego non è un corpo, un arto costitutivo dell’essere: è la risultante della relazione tra la coscienza e i suoi corpi d’esperienza.

EVOLUTO L’individualità il cui corpo della coscienza è strutturato, sufficientemente completato attra-verso le vite e le esperienze compiute e che quindi esprime un sentire ampio.

E’ l’uomo alla fine del percorso incarnativo.

FLETTERSI/INCHINARSI Il gesto della canna di fronte al vento che giunge, la nostra disposizione di fronte alla vita.

Non opporre resistenza.

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GIUDIZIO Su ogni pensiero, emozione, azione la mente appone un’etichetta e confronta ciò che stiamo vivendo con ciò che abbiamo vissuto o con ciò che avremmo voluto vivere.

La mente valuta, misura, confronta; così facendo conferisce un’identità, dei contorni, a tutto ciò che viene sperimentando. In virtù del giudizio, una realtà viene isolata da un’altra; la realtà da unitaria diviene frammentata e molteplice.

Attraverso il giudizio la mente crea la realtà.

Lasciar andare il giudizio è lasciar andare la mente, è cogliere la realtà oltre quello che la mente recita su di essa: la realtà, anche se frammentata alla percezione dei sensi, è sempre unitaria.

IDENTIFICAZIONE Credere di essere ciò che si sta sperimentando.

L’illusione di essere pensiero, emozione, azione. L’abbaglio che noi si sia ciò che il corpo mentale, astrale e fisico stanno sperimentando.

Il processo inevitabile ed ineludibile attraverso il quale ci sembra di esistere come realtà unica e separata da tutta la realtà dell’altro e dell’uni-verso.

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L’identificazione sostiene tutta la realtà così come la viviamo e la sperimentiamo; è la natura più intima dell’illusione, il niente, il vacuo, l’incon-sistente con parvenza di reale.

E’ la condizione indispensabile perché possa manifestarsi la vera realtà delle cose: al risveglio dal sogno sappiamo distinguere tra illusione e realtà.

L’identificazione è indispensabile per lo sve-lamento dell’illusione e l’affiorare della realtà. Proprio perché ci sentiamo un nome, perché sentiamo di avere una vita e ci caliamo in essa, pian piano possiamo comprendere la vacuità di questa esperienza d’esserci.

Attraverso l’essere fasulli scopriamo la natura dell’essere autentici. Ancora una volta un ciclo è composto da identificazione e non identi-ficazione, illusione e realtà, apparenza e sostanza. Mancando l’identificazione non sorge neces-sariamente la realtà; ma quando la realtà, che giunge come dono, è sorta e si è stabilizzata come condizione esistenziale, l’identificazione non trova più spazio per manifestarsi.

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ILLUMINAZIONE

L’esperienza di una particolare connessione tra il corpo della coscienza e i suoi veicoli che spesso dà luogo a una serie di fenomeni ed esperienze esistenziali particolari. L’illuminazione non è altro che un’esperienza dell’evoluto dovuta a particolari processi energetici. Gran parte di coloro che escono dal ciclo del nascere e del morire lo fanno senza aver conosciuto questa esperienza e senza nemmeno sapere di esser alla fine del ciclo reincarnativo.

INCARNAZIONE

Una delle fasi della vita; l’altra fase è la vita senza incarnazione: le due fasi costituiscono un ciclo di manifestazione; molti cicli costituiscono l’espe-rienza necessaria alla costituzione del corpo akasico/della coscienza.

L’incarnazione c’è quando la coscienza è allacciata al corpo mentale, al corpo astrale e al corpo fisico.

La non-incarnazione è quando la coscienza vive alcuni suoi processi senza il terminale del corpo fisico. La morte è la perdita del veicolo fisico: la coscienza vive altre esperienze attraverso i veicoli astrale e mentale per poi abbandonare anche

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questi. Successivamente inizierà la nuova esperienza incarnativa con l’allacciamento dei tre nuovi veicoli predisposti per i compiti da affrontare.

Va avanti così fino a quando il ciclo incar-nazione/non-incarnazione ha prodotto il pieno dispiegamento del corpo akasico: allora il sentire non si manifesta più attraverso incarnazione/non-incarnazione, ma in altri modi.

Ogni ciclo costituisce tasselli del corpo della coscienza: non l’incarnazione da sola, non la non-incarnazione da sola. Vita e morte camminano insieme, indissolubili perché parte dello stesso ciclo.

INDIVIDUALITÀ

La coscienza e il suo corpo che si costituisce di esperienza in esperienza e di vita in vita.

L’individualità dà luogo alla personalità e all’ego, attraverso i suoi tre veicoli (mentale, emotivo,

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fisico). E’ costituita di tessere di sentire: più completo è il puzzle, più vasto è il sentire.

Ogni esperienza costituisce tessere di sentire e le tessere strutturano il corpo della coscienza: l’ampiezza del sentire guida la rappresentazione nel tempo e nello spazio, ovvero la vita.

Tutto ciò che l’uomo vive è generato dalla individualità/coscienza e da ciò che precede questa dimensione.

INNAMORAMENTO Uno stato alterato di coscienza che prepara la fase più matura dell’affetto, da cui germoglierà, se ger-moglierà, l’amore.

L’innamoramento è canto dell’ego e nello stesso tempo manifestazione delle possibilità dell’amo-re, ma non lo si può considerare amore perché è condizionato dal bisogno.

LASCIAR ANDARE Il gesto compiuto migliaia di volte in una giornata: ad ogni pensiero, ad ogni emozione e ad ogni azione segue sempre un lasciar andare.

Niente viene trattenuto, a niente ci si lega, tutto scorre. Un fiume immenso e in perpetuo movi-

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mento e ad ogni attimo l’attenzione è appoggiata su quel rametto che la corrente trasporta per poi scomparire allo sguardo.

Tutto si presenta e tutto scompare: tutto il nostro tempo non è altro che un lasciar fluire la vita.

MANIFESTAZIONE Ognuno, consapevole o inconsapevole, che lo voglia o meno, porta a manifestazione il proprio essere corpo, emozione, pensiero, coscienza: vivere è manifestazione della coscienza che si esprime sui diversi piani.

Tutto ciò che abita e costituisce questo pianeta non è altro che manifestazione di un principio di coscienza di ampiezza variabile, ed ogni sentire non è altro che manifestazione dell’Uno.

Ogni manifestazione, dal sasso al superumano, non è altro che la Totalità in atto.

MEDITAZIONE Un modo di stare nella vita.

Non una pratica né una tecnica: un modo di vi-vere.

La sostanza dell’atto meditativo è l’appoggiare la consapevolezza, l’attenzione, la volontà su ciò che

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adesso si presenta a noi: adesso, non prima, non dopo. L’attenzione non è costante, è un ritmo: presenza/non-presenza; l’atto meditativo è vivere consapevolmente questo ritmo ed utilizzare la volontà per tornare alla presenza, a ciò che adesso si presenta.

Ad ogni passo, ad ogni parola, gesto, pensiero, noi torniamo lasciando andare ciò che l’ha preceduto e non alimentando ciò che sarà.

Alla fine rimane solo l’adesso e quello stare lì; la non presenza è solo la condizione per la presenza, l’inspiro e l’espiro, l’uno prepara l’altro.

Noi risiediamo nella presenza sapendo che questa si nutre della non-presenza.

MENTE

Il pensiero concreto e astratto; la dimensione cognitiva; le funzioni del corpo mentale; una componente dell’ego assieme al corpo emotivo-astrale e al corpo fisico; la lente del proiettore che crea la realtà; il problema di tutti i ricercatori della via spirituale.

Dal nostro punto di vista, uno degli strumenti della coscienza, uno dei suoi veicoli.

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Non un problema, non qualcosa da annullare ma da usare allo stesso modo di come si usa il computer o la chiave per svitare un bullone. Essendo uno strumento complesso, è necessario acquisire con essa una certa confidenza, avere una conoscenza del suo modo di operare e una consapevolezza delle sue dinamiche, molte delle quali si attivano inconsapevolmente.

Nella visione comune della persona della via spirituale, è il diaframma che si interpone tra la vita nell’illusione e quella vera: dal nostro punto di vista è semplicemente quel che è.

NON-ESSERE

La fine del viaggio umano, dell’identificazione con la mente e i suoi processi, con il fantasma che chiamiamo identità. Oltre ciò che a noi sembra di essere, ad un certo punto delle nostre esistenze si apre la possibilità di sperimentare un’altra condizione, quella che definiamo di non-essere: colui che era, più non è.

Questo non significa che oltre l’esserci come individuo ci sia il nulla: oltre c’è una vita e un esistere che non hanno riscontri con l’esserci come identità.

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Oltre c’è l’esserci come sentire che è essere senza tempo, non divenire, non identificazione.

Il non-essere è l’essere autentico, incondizionato, reale.

OSARE Entrare nella vita ed esserci sapendo che nessun altro potrà vivere e sperimentare e trasformarsi al posto nostro.

Osare è andare oltre la paura, oltre il giudizio su di sé e il timore del giudizio altrui; è quel presentarsi sulla scena della vita ed affermare: “Se non lo faccio io chi lo farà? E se non oso ora, quando?”

Osare è accettare di vivere senza riserve sapendo che è nel vivere, nella relazione, che tutto diviene e si trasforma e la libertà che desideriamo prende forma.

PAURA L’identificazione con la paura impedisce la partecipazione alla vita: la persona finisce per evitare in continuazione presunti ostacoli o situazioni di cui ha paura, situazioni che ritiene di non essere in grado di affrontare o che teme rimarcherebbero il giudizio e la riprovazione da

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parte dell’altro. E’ un continuo scansare situazioni che la confinano in pochi, ristretti, ambiti d’esistenza: tutto il resto è pericoloso, la vita è un’avventura pericolosa.

E’ chiaro che la via è quella possibilità di imparare ad affrontare, piccola situazione dopo piccola situazione, tutto ciò che si presenta: di esperienza in esperienza si impara a non fuggire, si sperimenta che è “solo una piccola situazione della quale avevo paura”.

Attimo dopo attimo, riconoscendo che la propria vita accade adesso e mai più, diventerà evidente come la paura è solo un prodotto della mente, non un dato reale: nella mente stessa si potranno strutturare nuove convinzioni che potranno attecchire e radicarsi proprio perché si è cominciato a non fuggire, a partire dalle più piccole situazioni che si sono presentate nel quotidiano.

PERSONALITÀ

La personalità è l’immagine della coscienza, di ciò che essa ha acquisito attraverso l’esperienza nel tempo e nello spazio e che è divenuto sentire; non di tutto ciò che ha acquisito, non della totalità del

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sentire acquisito nelle molteplici vite, ma del sentire in campo in quella particolare incarna-zione.

Mentre l’ego è il non compreso, la personalità rappresenta quella parte di compreso utilizzata per i compiti di una specifica incarnazione.

PRESENZA

I sensi sono aperti, l’emozione fluida, la mente disposta, l’essere concavo rispetto all’accadere in atto: la presenza è l’esperienza dell’essere qui ed ora in una sospensione e neutralità senza tempo.

Nella presenza c’è l’accadere della vita e colui che la percepisce è un contenitore vuoto, pura percezione senza che esista né un percettore, né un osservatore e tantomeno un portatore di nome.

Vita che accade nell’intelligenza della realtà.

REALTÀ SOGGETTIVA

Ciascuno vive un film personale: gli ambienti, la scenografia, gli attori, le comparse possono anche essere comuni e condivisi, ma la sceneggiatura è assolutamente personale.

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Dalla stessa scena che tu ed io condividiamo, io traggo qualcosa per il mio sentire, tu qualcosa per il tuo. Quella scena può produrre apprendimenti molto differenti, sistemazioni di tessere di sentire molto diverse tra di loro. Io so che tu sei lì e partecipi della scena insieme a me, ma non so assolutamente quello attorno a cui la tua coscienza va lavorando, quello che sta acquisendo.

Se sono un buon osservatore, se ho una buona conoscenza di me, forse posso comprendere quello che la mia coscienza va acquisendo, forse.

RESA

La capacità di flettersi, di non opporsi, di non fare resistenza rispetto al presente che si manifesta e che ci interroga nel profondo.

La possibilità di andare oltre la protesta e il vittimismo, il giusto e l’ingiusto, cogliendo l’essenza di ciò che accade: quello che si presenta è per noi e ci chiede di vederlo, accoglierlo, saperlo maneggiare.

E’ la nostra vita, non possiamo opporci e respingere la nostra vita, anche se è dolore, anche se è scomoda: possiamo provare ad arrenderci lasciando che ci colpisca o ci accarezzi.

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Possiamo lasciare che ciò che accade ci insegni ciò che intende insegnarci.

La protesta è mente/ego in atto, la resa è l’apertura di uno spazio d’esperienza in cui il nuovo cambia l’esistente.

SCOMPARSA Tutta la manifestazione dell’identità conduce al suo superamento e alla scomparsa dell’artefice dei processi.

Tutto l’essere portatore di nome conduce alla perdita del nome: dopo averlo desiderato, pianto, sofferto e goduto, ce lo dimentichiamo.

Dalla scomparsa di sé sorge la libertà dell’esistere senza attributi.

SENSO DELLA VITA Scaturisce dal processo dell’esserci e del dimen-ticarsi di sé: se c’è solo manifestazione egoica il senso della vita che ne consegue è aleatorio e impermanente.

Se invece è vissuto l’intero ciclo del manifestarsi, dalla cosiddetta identità al dimenticarsi di sé, all’andare oltre sé, al vivere l’esperienza del perdersi e del donarsi, allora ciò che sorge

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dall’esperienza complessiva è la possibilità di sperimentare un senso profondo dell’accadere della vita nel presente.

Il senso della vita non è qualificabile, descrivibile con degli attributi o degli aggettivi: la vita è senso in atto, traboccante, quando è vissuta senza paura e nella donazione completa di sé a ciò che si presenta.

Il senso della vita c’è e sorge solo nel presente. Affermare: “Sento che la mia vita ha senso” non significa niente; non è una vita che ha senso, è l’adesso che esprime il senso: manifestando se stesso ed essendo noi completamente aperti all’accadere, si realizza l’esperienza di una pie-nezza.

Non c’è un senso nella vita perché il presente produce un risultato, né perché c’è una com-prensione, né perché c’è una trasformazione in atto: la vita è senso in sé.

Non dal divenire dei processi deriva il senso, ma dall’essere senza tempo del momento presente.

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SENTIRE “Sentire come percezione della divinità in ciò che fa parte della realtà”. 3 E’ la materia che compone il corpo della coscienza o corpo akasico, o anima, o sé supe-riore. Il sentire è costituito da tessere di sentire, ovvero da comprensioni che derivano dall’es-perienza: tessera su tessera, sentire dopo sentire, si costituisce il corpo della coscienza dell’uomo; quando questo è costituito non c’è più incarnazione nel tempo e nello spazio, l’uomo esce dalla ruota delle nascite e delle morti e continua la sua esperienza avendo come corpo più denso il corpo della coscienza.

TENEREZZA Lo sguardo sulla vita, sull’altro, su sé, quando la contemplazione ci ha invasi.

VIA SPIRITUALE Il percorso incontro a sé stessi, alla conoscenza di sé, dell’altro, della vita.

3 Cerchio Ifior, La farfalla, pagina 48, edizione privata

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Ogni vita non è altro che via spirituale in atto: qualunque sia il credo, la filosofia, la pratica, i comportamenti, le trasgressioni, le distorsioni, ogni vita non è altro che l’imparare ad osservarsi, ad essere consapevoli e a conoscersi: trasfor-mazione ineluttabile di sé e della propria relazione con il mondo.

La vita della persona che vive nell’egoismo e nella sopraffazione, come la vita della persona mite ed accudente, consapevoli o inconsapevoli che siano, ogni vita è via spirituale, percorso da ego ad amo-re, itinerario di consapevolezza e di trasfor-mazione conscia e inconscia.

Il fatto che alcuni si identifichino con vie spirituali storicamente date non significa granché: essere uomini significa andare incontro alla conoscenza di sé: questo è lo scopo primo e ultimo della vita. Conoscendo sé, si conosce il Tutto che in sé si esprime.

Siccome tutto è via e tutti sono nella via, potrem-mo anche dire che non ha alcun senso parlare di via: è una pura convenzione che indica un ambito d’esperienza vissuta consapevolmente; ma la per-sona che vive inconsapevolmente non è meno presente nella via, in quanto ogni essere esistente

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è in continua trasformazione, quindi lungo un processo, una via, che lo sappia oppure no.

Alla luce di queste considerazioni è anche evidente che il percorrere consapevolmente una via non ci rende in alcun modo speciali, o particolari, rispetto al nostro prossimo.

VITE Innumerevoli film, ognuno con una propria sceneggiatura e attori diversi, diretti dallo stesso regista (coscienza/individualità) il cui scopo è la costruzione del corpo della coscienza e del suo sentire.

VITTIMA E’ il ruolo nel quale ci mettiamo senza fine: siamo costantemente, per vite intere, vittime di qualcuno o qualcosa.

La nostra lettura superficiale del mondo ci porta a dividere la realtà in vittime e carnefici e dif-ficilmente ci riconosciamo nel ruolo dei secondi.

Uno dei primi passi è cominciare a smettere di interpretarsi come vittime ed entrare nell’ottica che ciascuno ha la vita, le opportunità, i dolori e i piaceri che in quel dato momento sono necessari

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al processo di trasformazione del proprio sentire di coscienza.

ZEN Casa.

Molto tempo fa siamo passati attraverso gli insegnamenti di Dogen, il fondatore dello zen di scuola Soto: eravamo già a casa allora e nel tempo è stato tutto un lavorare per arredare e risiedere la casa.

Abbiamo introdotto molte varianti, adattato il colore delle pareti, le suppellettili, i mobili a colo-ro che transitavano nella casa.

E’ scomparso il cartellino “zen” dal campanello, non ce n’é stato più bisogno.

Non c’erano più lo zen e noi, c’era solo lo zen, la vita che accadeva, senza aggiunta.

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12 | INCONTRO A SÉ:

IL PERCORSO CHE PROPONIAMO

Abbiamo la consapevolezza di essere solo una piccola presenza nella vita di coloro che ci incontrano: nessuna pretesa di sapere, di avere una qualche ricetta o verità.

Viviamo la nostra esperienza e la mettiamo a disposizione di chi pensa possa essergli utile.

Il Sentiero ha diverse articolazioni:

-percorso di base;

-esperienze di manifestazione e consapevolezza;

-gruppi di approfondimento;

-accompagnamento individuale.

IL PERCORSO DI BASE

Sono i primi passi incontro a se stessi, la costruzione dell’alfabeto di base. Durante il percorso si lavora sulla consapevolezza delle proprie sensazioni ed emozioni: si impara ad osservarli, a chiedersi da dove provengono e si impara, per quel che è possibile, a gestirli lasciandoli fluire, vivendoli senza lasciarsi travolgere.

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Quando la sfera delle sensazioni e delle emozioni è poco presente, si cerca di comprendere la ragione di quella distanza e si lavora con una certa continuità sul corpo, sullo sviluppare una presenza rispetto a tutto quello che nel momento presente accade in esso.

Si cerca di gettare le basi di una visione di sé sana, fondata stabilmente sull’esserci come sensazione ed emozione, fondamento di ogni altro esserci.

Allo stesso modo si diviene consapevoli della propria dinamica mentale, della relazione con il pensiero concreto e con quello astratto; si impara ad osservare la mente con le sue dinamiche, a vederne i meccanismi, le strutture di fondo e ad analizzarli nella loro origine e nel loro sviluppo.

Si impara ad osservare l’intero sistema composto da pensieri, emozioni, sensazioni vedendo come generano il nostro agire.

L’osservazione degli squilibri, delle disarmonie, dei conflitti è già un contributo alla risoluzione degli stessi; unita all’indagine sulle origini e soprattutto alla sfida esistenziale che compor-tano, determinano la possibilità concreta che la persona comprenda che cosa la vita le sta chiedendo, quali cambiamenti premono e quali

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comprensioni nel sentire di coscienza sono ri-chieste.

Nel percorso di base si affrontano inoltre alcuni dei principi fondamentali del Sentiero:

-il rapporto con l’altro e la sua funzione nelle nostre esistenze;

-la possibilità di leggere la crisi personale come opportunità piuttosto che come inciampo;

-l’imparare a non considerarsi vittime, ma sempre e comunque protagonisti;

-il rivendicare a se stessi, prima che all’altro, il proprio diritto a manifestarsi e ad essere rico-nosciuti;

-il considerarsi identità, portatori di un nome che non è altro che abito, forma, del sentire di co-scienza;

-l’interiorizzare che il vivere è conoscenza di sé e transito da ego ad amore.

ESPERIENZE DI MANIFESTAZIONE

E CONSAPEVOLEZZA Sono fondamentalmente dei laboratori dove alla persona è offerta la possibilità di esprimersi così come essa è e come, in quel momento, si concede di essere. Sono ambiti espressivi di sé affinché

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nell’intimo, attraverso le esperienze, si radichi la consapevolezza che si ha diritto di essere quel che si è, che questo diritto non è minacciato da alcuno se non da sé stessi, che dal rifiuto di sé non può sorgere che dolore.

Ogni pratica agisce sugli aspetti sensoriali, emotivi, cognitivi e di coscienza e sui relativi piani vibrazionali.

Le pratiche contemplano l’uso della parola, del canto, del movimento, del colore, della musica, delle arti in generale: a seconda delle esigenze delle persone vengono proposte esperienze con diversi accenti e connotazioni, ma essenzialmente il principio è che l’uomo può utilizzare l’espressione creativa ed artistica come strumento privilegiato di relazione con sé e di armoniz-zazione delle sfere costitutive del proprio essere.

Sono pratiche che non costringono dentro ad una forma e ad una tecnica, pur implicando forme e tecniche.

Tutto il nostro lavoro è teso innanzitutto a creare uno spazio di accettazione e accoglienza di sé e dell’altro: la persona porta se stessa così come è; domani, in virtù delle esperienze vissute oggi, sarà

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diversa, ma oggi è tenuta ad accogliersi, e ha diritto di essere accolta, così come è.

In una fase successiva i laboratori permettono di acquisire anche strumenti di espressione più raffinati e mediati tecnicamente, ma questo solo quando le basi sono acquisite e l’organismo gruppo chiede di misurarsi con qualcosa di più complesso.

Di anno in anno o di luogo in luogo, cambiano le esperienze proposte e questo perché ad ogni persona, ad ogni gruppo, va proposto l’approccio e la pratica più adatte alle dinamiche che debbono essere affrontate.

Sul nostro sito, www.contemplazione.it, alla pagina “Calendario” si trovano le esperienze programmate.

GRUPPI DI APPROFONDIMENTO

Una volta che la persona è sufficientemente consapevole dei propri processi interiori, può inoltrarsi nel lavoro più interno e più appro-fondito del Sentiero.

Nei gruppi di approfondimento vengono affron-tate le questioni proprie della via spirituale:

-la piena manifestazione e trascendenza di sé;

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-la vita come nostra insegnante;

-l’incontro con l’altro da sé;

-il processo della conoscenza-consapevolezza- comprensione;

-la natura dell’atto meditativo;

-l’imparare a dimenticarsi di sé;

-il contemplare come lasciarsi attraversare dalla vita;

-la realtà unitaria dell’esistere e dell’esistente;

-il vivere come gioco, pura gratuità.

Ai gruppi di approfondimento possono parte-cipare coloro che hanno già frequentato il per-corso di base, o coloro che vengono da altre formazioni e ritengono di poter affrontare quelle tematiche, esperienze e modalità di approccio, proprie di una via spirituale che conduce la persona a vivere nel presente e ad incontrare nell’adesso il superamento di sé.

ACCOMPAGNAMENTO INDIVIDUALE

Nei gruppi si affrontano gli aspetti che possono riguardare la generalità dei partecipanti: ciò che è più personale viene affrontato nel percorso individuale.

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In quella sede la persona porta i suoi vissuti esistenziali e attraverso la relazione con colui o colei che l’accompagna può vederli più chiara-mente, divenire consapevole di come si formano e si sviluppano e di come sia possibile, attraverso quali atteggiamenti interiori, costruire le basi di una stabilità e, in seguito, di una trascendenza.

Il lavoro nei gruppi e quello negli individuali possono, ma non necessariamente debbono, camminare assieme: il secondo è un prolun-gamento del primo ed è una libera scelta della persona.

L’accompagnamento non è una psicoterapia: è una riflessione, una analisi dei vissuti esistenziali interpretati e affrontati secondo il punto di vista della via spirituale, del Sentiero contemplativo.

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13 | LA COMUNITÀ DEL SENTIERO CONTEMPLATIVO

La comunità è l’organismo che pone in relazione le persone che seguono il Sentiero come approc-cio alla propria esistenza.

E’ innanzitutto una condivisione di sentire; è anche la possibilità di un approfondimento e di una verifica di quanto sperimentato nei gruppi, negli individuali e nelle esperienze-laboratorio; è infine una possibilità di donarsi.

Alla comunità aderiscono persone che sono passate attraverso le varie esperienze che il sentiero propone e continuano il loro lavoro mantenendosi in contatto e in condivisione con gli altri viandanti, sperimentando sempre più profonde modalità di conoscersi e svelarsi.

Le persone che sentono di poter condividere il cammino comunitario sono anche quelle che dentro di sé hanno realizzato che nella vita tutto è transito, tutto viene donato e tutto si dona: con-sapevoli di ciò, per quel che è loro possibile, scelgono di lasciarsi attraversare, di entrare in una logica di gratuità, di mettersi a disposizione nelle varie funzioni che la via spirituale comporta.

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Alcune si occupano di accompagnare le persone che hanno una domanda esistenziale; altre del percorso di base, delle esperienze-laboratorio, delle tante piccole incombenze di un cammino comune che si offre all’altro senza pretesa.

La comunità è una rete intima di contatti, una trama di sentire, la condivisione profonda di uno sguardo sulla vita: “Cammino con te perché tu non sei altro da me e in ogni momento mi ricordi di tornare all’essenza delle cose”.

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14 | LETTURE CONSIGLIATE Ci sono alcune letture che ci sentiamo di consigliare alla persona che vuole avvicinarsi al nostro approccio alla via spirituale: di seguito le elenchiamo ponendo all’inizio le opere di più facile approccio. -Eva Pierrakos4, Il sentiero del risveglio interiore -Eva Pierrakos, Il male e come trasformarlo -Eva Pierrakos, Unione creativa -Eva Pierrakos, Arrendersi al nucleo divino -Eckhart Tolle, Il potere di adesso, Armenia -Eckhart Tolle, Un mondo nuovo, Mondadori -Roberto Olivieri con Giulia Cavalieri, Conoscenza di sé, meditazione, contemplazione.5

4 Tutti i volumi di Eva Pierrakos sono editi da Crisalide

5 Ordinabile scrivendo a Eremo dal silenzio.

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15 | CONTATTI

Eremo dal silenzio

Via Caravaggio 13

61039 San Costanzo (PU)

E-mail: [email protected]

Telefono. 0721 935275

Cellulare (solo sms): 333 1346811

Comunità del Sentiero contemplativo

Via Alberto da Giussano 18

Mariano Comense (CO)

E-mail: [email protected]

Telefono: 031 751656

Cellulare: 347 2580336

Sito web: www.contemplazione.it

Prima edizione: maggio 2011