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Prolusioni n. 8 2 luglio 2011 MBA Imprenditori ROBERTO SIAGRI Prolusione Alla cerimonia di consegna dei Diplomi MBA agli Allievi della quarta edizione del Master of Business Administration Imprenditori Fondazione CUOA Altavilla Vicentina 2 luglio 2011

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Prolusioni n. 8 2 luglio 2011

MBA Imprenditori

ROBERTO SIAGRI

Prolusione Alla cerimonia di consegna dei Diplomi MBA

agli Allievi della quarta edizione del Master of Business Administration Imprenditori

Fondazione CUOA Altavilla Vicentina

2 luglio 2011

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I Quaderni n. 1 - 11/06 Costa G., 2006, Le vie della modernizzazione dell’impresa piccola e media, Prolusione

all’apertura della prima edizione del Master per Imprenditori di Piccole e Medie Imprese, novembre

n. 2 - 11/07 Rullani E., 2007, Come cambiano le imprese. Alla ricerca di nuovi modelli di business, Prolusione all’apertura della seconda edizione del Master per Imprenditori di Piccole e Medie Imprese, novembre

n. 3 - 07/08 Costa G., 2008, Produttività e crescita: la sfida delle medie imprese nel mercato globale, Prolusione alla Cerimonia di consegna dei Diplomi MBA agli Allievi della prima Edizione del Master per Imprenditori di Piccole e Medie Imprese, luglio

n. 4 - 11/08 Coltorti F., 2008, Il Quarto Capitalismo: Passato e Futuro, Prolusione all’apertura della terza edizione del MBA Imprenditori, novembre

n. 5 - 11/09 Calabrò A., 2009, Orgoglio industriale: il futuro delle medie imprese manifatturiere, Prolusione all’apertura della quarta edizione del MBA Imprenditori, novembre

n. 6 - 07/10 Coltorti F., 2010, Crisi, Quarto Capitalismo e Competitività delle Medie Imprese, Prolusione alla Cerimonia di consegna dei Diplomi MBA agli Allievi della terza Edizione dell’MBA Imprenditori, luglio

n. 7 - 11/10 Grandinetti R., 2010, L’annosa questione dimensionale: dalla manifattura, ai servizi, alla conoscenza, Prolusione all’apertura della quinta edizione del MBA Imprenditori, novembre

Fondazione CUOA la 1° Scuola di Management del Nordest, dal 1957 Un modello istituzionale unico, che rappresenta i principali attori del mondo accademico, aziendale, economico-finanziario, pubblico e delle istituzioni. Un forte radicamento in un contesto unico di imprenditorialità, di cui conosce profondamente problemi e caratteristiche. Un’esperienza unica di conoscenze, competenze, professionalità, relazioni, alleanze e un’organizzazione all’altezza dei migliori standard europei. Un network unico di migliaia di persone preparate al CUOA, presenti nell’intero tessuto economico-sociale e culturale.

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LA CRISI COME OPPORTUNITÀ PER INNOVARE ASSECONDANDO IL CAMBIAMENTO

di ROBERTO SIAGRI

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"Siate pratici e generosi con i vostri ideali.  Tenete gli occhi sulle stelle,  ma ricordatevi di tenere i piedi per terra. "  T.Roosvelt ,  24 maggio 1904 

L’interpretazione del futuro, essenza dell’agire imprenditoriale 

Nella nostra esperienza umana siamo abituati ad osservare fenomeni di natura

biologica che seguono crescite che sono descritte graficamente da curve a S, dove

dopo una fase di lento sviluppo seguito da una forte crescita si arriva inesorabilmente

ad un punto di saturazione, e dunque a seguire giunge la decadenza e l’estinzione. A

differenza della biologia che ha a disposizione una sola curva a S, le imprese

sfruttando le tecnologie hanno il vantaggio di sviluppare curve a S sopra curve a S

ovvero alla curva di crescita generata da una tecnologia se ne può sovrapporre

un’altra basata su una nuova tecnologia, tra l’altro ogni nuova tecnologia ha la

proprietà di espandersi sempre più rapidamente e con effetti sempre più ampi. La

tecnologia dunque grazie alla capacità di rinnovarsi permette di superare i problemi

della biologia ovvero: sostenere la crescita e superare saturazione e decadenza. Per

poter avvantaggiarsi di questa proprietà della tecnologica le imprese devono dotarsi di

strumenti e tecniche che diano la possibilità di immaginare ed anticipare il futuro. Si

tratta, partendo dal contesto in cui viviamo, di sviluppare dei modelli di come il

presente potrebbe evolversi e a quali scenari futuri potrebbe dare origine2.

Nell’era dell’economia della conoscenza 

Oggi viviamo nell'economia della conoscenza dove ciò che conta davvero è

l'interconnessione degli ingegni, consentita dall’attuale progresso tecnologico. Ecco

che non c’è da meravigliarsi che ci sia una correlazione positiva tra il PIL di un paese e 1 Roberto Siagri è Presidente ed Amministratore delegato di Eurotech Spa. 2 Questi studi di scenari tecnologici futuri sono comunemente noti come studi di foresight tecnologico.

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le sue infrastrutture di comunicazione a banda larga o il numero di anni passati dalla

sua forza lavoro nelle scuole di specializzazione post-laurea. Conseguenza di questa

progressiva interconnessione degli ingegni è il paradigma del "pensiero globale", che

forzandoci ad essere connessi sconsiglia di costruire barriere. Le barriere non servono

quando soffia il vento del cambiamento e la globalizzazione è inevitabile perché è la

conseguenza stessa del flusso di conoscenze che avvolge il pianeta. William Gibson

scrive che il futuro è già qui, ma non è ancora equamente distribuito. In effetti, se il

futuro è frutto dell’agire degli uomini esso è presente già da qualche parte, attraverso

le idee e l’agire quotidiano di qualcuno. Costruire il proprio futuro vuol dire andare alla

ricerca delle fonti e delle idee, non equamente distribuite intorno a noi. Questo avviene

rimanendo curiosi e aperti al cambiamento ciò attivi nei confronti del futuro. Come

direbbe Alan Key, gli indovini di oggi sanno prevedere il futuro perché se lo stanno

inventando. La fiducia nella possibilità di controllare il proprio destino è fondamentale

per i leader di ieri e di oggi ed è alla base, a mio modo di vedere, dell’innovare.

Il cambio di paradigma del saper fare 

Conseguenza di quanto sopra è il progressivo passaggio dalla rilevanza del “know-

how” alla rilevanza del “know-who” e del “know-where”. Pare quasi un controsenso,

ma una conseguenza di questa economia globale della conoscenza interconnessa è che

"sapere" e "saper fare" oggi non sono così rilevanti come in passato se non

ulteriormente declinati. L'enfasi si è spostata sull' interconnessione di saperi che

supera la debolezza e la fragilità dei singoli saperi. I paradigmi del “sapere dove” e del

“sapere chi” scuotono i pilastri su cui si fondano le imprese. Gestire la conoscenza è

diventato più complesso perché se è sempre importante il sapere fare “le cose”, senza

che ce ne accorgessimo, “le cose” da sapere fare sono cambiate. Pian piano si è alzata

la temperatura dell’acqua nella pentola e la rana non accorgendosene per tempo si è

lessata.

La globalizzazione porta al centro  gli ecosistemi 

L’agire e pensare globale dunque sono elementi fondamentale per la costruzione del

futuro. A tale proposito va sfatata una credenza: non è vero che l’ “essere globali” sia

solo una possibilità riservata alle grandi aziende. Non c’è una correlazione tra

dimensione e globalizzazione. Oggi anche le piccole imprese possono essere globali, lo

possono essere usando le potenzialità delle tecnologie dell’ICT, trovando così

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collaboratori e partner nelle giuste aree geografiche. In un mondo interconnesso la

collaborazione è una necessità un po' per tutti. E’ molto difficile, da soli, tenere sotto

controllo una catena del valore oltremodo complessa e che coinvolge tanti settori ed

attori. Anche un'azienda in posizione dominante, non è in grado di controllarla

appieno. L'obiettivo di un’impresa di oggi dovrebbe essere quello di definire quelle

pre-condizioni che creano ecosistemi, il più possibile globali, favorevoli allo sviluppo. In

assenza di questi ecosistemi, grandi e piccoli rischiano, nel medio periodo, di essere

tagliati fuori dal mercato.

Il cattivo capitalismo ed il buon capitalismo 

In ambito europeo, ed italiano in particolare, emerge molto chiaramente la rilevanza di

quello che viene chiamato il triangolo industriale del “cattivo capitalismo”, fondato su

alleanze tra grandi imprese, sindacato e stato3. Questo meccanismo produce un

sistema caratterizzato da stalli, inefficienze e non predisposto a favorire la crescita e lo

sviluppo di idee imprenditoriali. In un ambiente dinamico, su cui si è rifondato il

sistema americano, si crea invece una circolazione di idee e persone, in un quadrilatero

del “buon capitalismo” i cui vertici sono università, start up/ piccola impresa, media e

grande impresa e stato. Questo crea un ciclo virtuoso di sviluppo economico e ha

inerenti i presupposti per la creazione di innovazione. All’esterno del quadrilatero si

innesca l’ecosistema dei finanziamenti che si differenziano a seconda dei soggetti e

delle dimensioni4.

La crisi: tra pericoli ed opportunità 

Bertrand Picquard ha girato il mondo con il suo pallone aerostatico. Nelle conferenze

che tiene, a tale proposito, parla di come ha superato i momenti di difficoltà nel

manovrare il suo mezzo, e spiega che un pallone aerostatico è il paradigma della crisi.

Come molti di noi ben sanno, le crisi (lo dice anche l’etimo cinese della parola)

contengono sempre anche delle opportunità, che alcuni riescono a cogliere. Una volta

che il pallone si alza da terra è il vento che lo spinge in una direzione piuttosto che

un'altra. Ma se le correnti ad una certa quota non sono quelle desiderate, la soluzione 3 Baumol W.J., Litan R.E., Schramn C.J., 2007, Good Capitalism, Bad Capitalism, and the Economics of Growth and Prosperity,  Yale  University  Press,  Yale  (tr.it.  Capitalismo  buono  capitalismo  cattivo.  L'imprenditorialità  e  i  suoi nemici, UBE, Milano) 4 Per quanto riguarda le imprese abbiamo i: Friends, Fools & Family (FFF), Business angels (BA), Venture Capital (VC), Private equity (PE), ed il mercato regolamentato (SE); lo stato invece dipende dalle entrate fiscali mentre le università si basano su rette, donazioni e se sviluppano invenzioni utili anche royalty.

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contro-intuitiva è gettare a terra oggetti e risorse ritenute rilevanti, importanti (cibo,

apparecchiature, combustibile, ecc.). Perdendo peso, alzandosi in quota, si troveranno

correnti diverse, più favorevoli e magari quella desiderata. Ragionando come Picquard

possiamo dire che anche una crisi, come un vento che soffia nella direzione sbagliata,

ci dà la possibilità (gli incentivi, la forza, l'occasione) di liberarci da vecchi schemi che

ci spingono lontano da uno sviluppo sano e sostenibile e di abbracciare con coraggio la

scelta di ricercare nuovi venti favorevoli così spingerci nel futuro. Ecco perché il pallone

aerostatico rappresenta un paradigma della crisi. Ecco perché la crisi ci dà la forza e

l’opportunità di cercare forze nuove per un nuovo sviluppo. Oggi concetti come

"merito", "concorrenza", "flessibilità" non sono purtroppo molto diffusi nel paese a

causa di un sistema chiuso descritto poco sopra come triangolare. Un sistema che

continua a battersi per garanzie che non ci sono più, perdendo così di vista, le grandi

opportunità che continuamente ci si presentano. Anche il nostro Paese, seppur con le

dovute correzioni locali, dovrebbe incamminarsi quanto prima verso un sistema delle

relazioni industriali e sociali quadrangolare, come precedentemente descritto. Non c’è

tempo da perdere e sarebbe un peccato non sfruttare l’opportunità che la crisi ci

presenta ora per forzare questo cambiamento.

Il futuro entra nelle nostre vite tramite il cambiamento 

L’enunciato che “il cambiamento è l’unica componente stabile in natura” potrebbe,

secondo il fisico Sven Joergensen, ben configurarsi come la quarta legge della

termodinamica5. Tra l’altro è tramite il cambiamento che il futuro entra nella nostra

vita mentre le condizioni statiche sono solo delle cose morte. Un sistema statico, sia

questo rappresentato da un’azienda o una nazione, che non asseconda il

cambiamento, tentando in ogni modo di auto-conservarsi è destinato inevitabilmente al

declino perché amplifica tutti i limiti dei sistemi biologici. Le recessioni agiscono da

facilitatrici del cambiamento. Non è retorica. Prendiamo Microsoft, Disney, Genentech,

Mc Donald's, Southwest Airlines, Johnson & Johnson. Queste grandi aziende sono nate

in periodi di recessione. Una start-up può benissimo partire in un periodo di

recessione o di crisi. Le aziende startup non hanno bisogno di mercato, visto che non

hanno ancora un prodotto, quindi in una situazione di stagnazione dei mercati non

sono necessariamente svantaggiate. In generale una start-up non ha neanche bisogno 5 SVEN E. JØRGENSEN, 2006, Tentative Fourth Law of Thermodynamics, Applied to Description of Ecosystem Development, Annals of the New York Academy of Sciences.

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delle banche, perché può e deve partire e svilupparsi, come abbiamo appena detto,

con le risorse degli amici, dei familiari e di qualche pazzo (FFF). Per cui sono in un

certo senso indifferenti anche alle condizioni dei mercati finanziari. Inoltre in un

periodo recessivo una start-up trova anche meno concorrenza dagli incumbent perché

in questi periodi crollano gli investimenti della maggior parte delle imprese.

La sostenibilità passa per un’economia ad alta densità di informazione 

Il progresso tecnologico ha come attributo costante la smaterializzazione: il PIL è

sempre più leggero. Dietro ogni euro di PIL c'è sempre più conoscenza (Informazione

e Calcolo), e sempre meno materia. La leggerezza del PIL porta l'economia a livelli di

densità di informazione mai visti prima. Da qui nasce l'esigenza di comprendere la

ricchezza delle economie dei paesi e le loro prospettive di sviluppo, in maniera diversa

da quella attuale. Stiamo andando verso un aumento progressivo dell'informazione a

discapito della materia. Riusciamo a sfruttare sempre meglio la materia, e questo, tra

l’altro, è l'unico modo di ottenere un utilizzo più sostenibile della stessa. La capacità di

fare sempre di più con sempre di meno grazie alla disponibilità di tecnologie sempre

più potenti è anche l'unica speranza che ha l'uomo di superare i limiti malthusiani

della crescita, e andare così incontro ad un progresso sostenibile. Se per “green”

intendiamo sostenibile, la tecnologia lo è per definizione.

Il mondo ha bisogno  di imprese agili 

Abbiamo parlato fin dall’inizio di futuro, ma come possiamo immaginare che arrivi ? Il

futuro entra nelle nostre vite un po’ come un gatto. Sembra non arrivare, lo vediamo

sornione e distratto, poi ad un certo punto addirittura disinteressato si ferma. In realtà

si sta preparando a fare il salto, un balzo improvviso ed eccolo la, nel futuro. La

nostra percezione del futuro è invece lineare ci attendiamo un futuro come una

prosecuzione in linea con il passato. E’ questo andamento lineare rispetto

all’esponenziale (il salto del gatto) che ci crea dei problemi di previsione. Il salto nel

futuro passa per una fase di incubazione di una nuova tecnologia che sembra non porti

da nessuna parte, anzi porta anche tanti fallimenti. Poi si innesca il trend, seguito da

una forte crescita, il salto del gatto. Tanti tentativi, tanti sacrifici, tanti vicoli ciechi che

sembrano non portino a niente fino a quando il nuovo irrompe nelle nostre vite: le

start-up sono le protagoniste di questo brodo primordiale, fatale per tanti, ma senza il

quale non ci sarebbe futuro. Non si costruisce il nuovo senza i fallimenti, il futuro per

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donarci i suoi trend reclama le sue vittime sacrificali. I prossimi cento anni saranno

caratterizzati da un progresso oggi impensabile ed inimmaginabile, sperimenteremo in

100 anni 20.000 anni di progresso6. Se siamo dunque di fronte ad un tale progresso, le

sfide e i cambiamenti nei prossimi anni saranno tali e tanti, che è meglio prepararsi ad

essere perennemente in crisi e sempre alla ricerca di nuove correnti. Dove per crisi

intendo una sana paura di rimanere indietro, che deve essere uno stimolo per essere

pronti ad issare le vele, la dove soffia il vento del cambiamento.

Una grande trasformazione: non solo inventori, anche innovatori 

Sono tante le forze che spingono in avanti, e senza dubbio la ricerca è una delle

principali. Il problema è che la ricerca non produce necessariamente competitività.

Anzi: è facile trasformare il denaro in ricerca, ma è difficile trasformare la buona

ricerca in denaro. Ecco allora che le due domande fondamentali per un'economia

avanzata sono: una, quale direttrici dare alla ricerca? Cioè, quali progressi in campo

scientifico e tecnologico servono al sistema industriale affinché stia al passo con i

tempi e senza sprecare così il denaro investito nella ricerca? La seconda, conseguente

alla prime, scaturisce dalla considerazione che la ricchezza investita in ricerca, nonché

indirizzata, pur portando a nuove invenzioni non garantisce lo stesso il fiorire di

innovazioni. La seconda domanda è: quale è il sistema sociale ideale in grado di

capitalizzare sugli investimenti in ricerca e produrre l'innovazione che genera nuova

ricchezza ? Sempre usando una metafora, messi davanti all'idea del fuoco, gli uomini

delle caverne probabilmente l'identificarono innanzitutto come un problema, un

fastidio, un pericolo. C'è una bella differenza tra l'invenzione del fuoco e l'innovazione

del fuoco. Senza dubbio, in Italia, ci sono più invenzioni a caccia di innovazioni che

innovazioni a caccia di inventori. Essere grandi inventori non basta, se il contesto

economico è troppo sclerotizzato le invenzioni non si tradurranno in innovazioni.

L’innovazione è un aspetto socio‐economico   

Bisogna sia favorire l’incontro tra l’inventore è l'innovatore ovvero l’imprenditore

schumpeteriano, invece sbagliando siamo più abituati a presentare l’inventore

all’investitore, sia fornire all’innovatore un contesto socio-economico disponibile a

cogliere ed assecondare il cambiamento. Solo così le invenzioni potranno liberare il loro

6 Ray Kurzweil, 2005, The singularity is near, Viking, USA; (tr.it.: La singolarità è vicina,  Apogeo )

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potenziali nel sistema economico. In economie molto rigidi e con molte barriere sociali

e culturali, l’innovazione poiché rompe gli schemi esistenti, è vista come un atto

barbarico dunque pericolosa. L'innovatore infatti, come il fenomeno barbarico, si

muove fuori dagli schemi così da poterli rompere e ricombinare dando luogo a nuovi

usi e nuovi modi di convivenza. La logica che sta dietro ad un'innovazione non è

dunque banale anzi questo aspetto barbarico le conferisce un aspetto de-

umanizzante. Se poi raggiunge il successo allora assume la caratteristica di essere

network-umanizzante poiché permette a gruppi sempre più ampi di persone di trarne

vantaggio e migliorare la qualità della loro vita.

L’impresa e l’inerzia al cambiamento 

L'azienda, messa davanti a questa dinamica si può trovare in forte difficoltà. Non è

nella natura delle organizzazioni aziendali domare questo cambiamento continuo.

L'intuizione fondamentale viene da Christensen7 , quando scrive che l'innovazione

fallisce perché ancor prima che abbia visto la luce, l'organizzazione l'ha già svuotata

inconsapevolmente, del suo potenziale. In altri termini: in azienda si parla di Ricerca &

Sviluppo. Ma Ricerca e Sviluppo sono, usando una metafora, come il diavolo e l'acqua

santa. Rispondono a logiche diverse. Se la Ricerca oggi riesce, sfruttando una nuova

tecnologia, a trovare un nuovo prodotto che permette, alla propria impresa, di far fare

un salto in avanti ed iniziare un nuovo ciclo di crescita, lo Sviluppo e l'organizzazione a

valle tenderanno a conservare lo status quo, arginando il potenziale dell'innovazione

o evidenziandone i soli aspetti negativi favorendo la perpetrazione del ciclo tecnologico

attualmente vigente. Anche se il rischio della saturazione è alto, il desiderio di

conservare, di non lasciare la strada vecchia e battuta è ancora più forte. Molto spesso

la convinzione a cambiar strada arriva troppo tardi. Ci si dimentica che le curve di

crescita pur essendo in essenza esponenziali partono sempre da zero e dunque gli

effetti si vedranno, contrariamente alle attese, solo dopo un po’ di tempo. Nonostante

la lentezza in avvio di un nuovo ciclo, i soggetti che già si sono mossi potranno

guadagnare un vantaggio competitivo, spesso difficilmente replicabile da chi è rimasto

indietro. Ecco perché bisogna incubare sempre nuovo potenziale di innovazione. È il

7 Clayton M. Christensen, 1997, The Innovator's Dilemma ‐When New Technologies Cause  Great Firms to Fail, Harvard Business School Press.   Christensen, Clayton M. (2003). The innovator's solution : creating and sustaining successful growth. Harvard Business Press. 

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gatto che punta: sta preparando muscoli e postura per essere pronto al balzo. Quando

poi il tasso di penetrazione nel mercato di una innovazione, improvvisamente, fa

vedere i suoi effetti, allora a quel punto per la concorrenza diventa difficile

riposizionarsi. È il balzo del gatto, non lo avevamo visto arrivare e adesso è troppo

tardi.

Le imprese di fronte alla dicotomia tra Ricerca e Sviluppo 

L'impresa deve sia coltivare i mercati presenti, che investire per incubare nuove

innovazioni senza però ne dissanguare l'impresa ne cannibalizzare la domanda

corrente. Il modello organizzativo classico è fatto per rispondere alle esigenze dei

clienti, dove il marketing è intento a seguire i loro bisogni a breve. Questo tipo di

organizzazione è fondamentale per sfruttare appieno le tecnologie in uso, ma non ci

permette, nella maggior parte dei casi, di distinguere il potenziale di nuove idee. Di

fatto l'organizzazione spinge verso la saturazione: è il suo mestiere. Come in biologia,

si muore per gli effetti della stessa cosa che ci tiene in vita: il precostituito

metabolismo. All'interno dell'azienda dovrebbe invece convivere la gestione dello status

quo che possiamo chiamare "civiltà" e la ricerca della nuova innovazione che si

presenta come "barbarie". Si potrebbe dire, semplificando, che da un lato l'azienda

deve coltivare quell'innovazione incrementale "market-pull", che risponde alle esigenze

dei clienti. In questo modo, rispondendo alle stesse logiche e dinamiche, l'azienda

continua a dominare i mercati di oggi. Dall'altro lato, l'azienda sviluppa anche un'altra

attitudine, che non è guidata dal mercato ma spinta dalla visione di futuro e che da

origine a delle innovazione radicali "technology push". Non si tratta in questo caso di

rispondere alle esigenze del mercato, ma di prevenire la sua naturale tendenza alla

saturazione identificando se possibile in anticipo i nuovi trend e essere così pronti a

balzare su una nuova curva si crescita. I luoghi centrali dei fenomeni di cambiamento

ed innovazione stanno nelle interfacce e nelle “superfici” tra le diverse funzioni dentro

l’impresa e tra l’impresa ed il resto del mondo. E’ nelle pieghe di queste che

l'innovatore è in grado di sviluppare il nuovo mercato, tramite nuovi prodotti e servizi.

E’ su queste che le organizzazioni devono lavorare per stimolare e promuovere

l’innovazione. Non a caso il “business model” è descritto da flussi e contatti tra i pezzi

che compongono l’ecosistema. Va ricordato che non ci sono solo vantaggi per il “first

mover”, molte volte, se non si sa come padroneggiare i relativi rischi, conviene una

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posizione di follower. Ricordiamoci sempre che: è il primo uccello che prende il verme,

ma è il secondo topo che prende il formaggio.

C’è l’innovazione e c’è l’innovazione aperta 

Anche per l’innovazione bisogna parlare di networking o di filiera dell'innovazione. Oggi

il modello di innovazione che va per la maggiore va sotto il nome di "Open

Innovation"8, e si fonda su una insuperabile tendenza a sbagliare sistematicamente le

stime sul valore di una nuova tecnologia e vuole trovare un modello che consenta di

sacrificare meno vittime sull’altare dell’innovazione. Davanti ad una nuova tecnologia,

o non vediamo nessuna opportunità oppure la natura umana ci porta a sovrastimarne

le potenzialità nel breve periodo, per poi buttarci nello sconforto nel medio periodo e

che ci porta così a sottostimarne gli effetti nel lungo periodo (Hype Cycle di Gartner o

ciclo della sovrastima). Gli effetti combinati di curve a S e della sovrastima generano

più valore su ecosistemi aperti dell’innovazione dove gli effetti di selezione, dei vari

sforzi messi in campo dagli innovatori, soprattutto giovani, tramite gli spin-off e le

start-up (accademiche e non), risultano più efficaci nell’identificare le idee vincenti.

Difficile, se non impossibile tentare di ricreare questo ecosistema di profondo

cambiamento all'interno di una singola azienda. È anche vero che le grandi aziende

possono tentare di controllare questa fase osservando, stimolando, investendo sulla

dinamicità dell'ecosistema. In altri termini, le aziende che hanno già una dimensione,

possono decidere anche di rimanere un po' alla finestra, concentrate sul paesaggio, ma

non protagoniste di esso, per lasciare che la selezione e la validazione segua il suo

corso in maniera autonoma. Una volta che questo avviene, la tecnologia ha bisogno

degli asset complementari, che le aziende attente, direbbe David Teece9, non solo

controllano, ma riescono a manipolare e ri-orientare verso il nuovo bersaglio.

Chiaramente se il sistema economico in cui si muove l'azienda non è sufficientemente

dinamico, non c’è futuro in formazione e rimanendo a guardare dalla finestra non si

vede un bel niente, e quando il vento del cambiamento arriva è troppo tardi per

captarlo se si è senza la vele. Ecco perché università, centri di ricerca, spin-off e start-

up sono asset importanti, nel sistema quadrangolare, per spingere il cambiamento e la

8 Chesbrough, Henry, 2003, Open  Innovation:  The New  Imperative  for  Creating  and  Profiting  from  Technology. Boston: Harvard Business School Press. 9 Teece, David J., 2010, “Technological  Innovation  and  the  Theory  of  the  Firm:  The  Role  of  Enterprise‐level Knowledge, Complementarities, and  (Dynamic) Capabilities.”  In N. Rosenberg and B. Hall  (eds.) Handbook of  the Economics of Innovation, Volume 1. Amsterdam: North‐Holland.

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costruzione del futuro. Il sistema economico virtuoso ha bisogno di creare un ricco e

diversificato portafoglio di traiettorie di sviluppo da osservare, lasciar crescere e al

momento giusto sostenere per captare così a pieno il vento del cambiamento.

«Ereditare il futuro»: la nuova sfida per gli imprenditori 

L'imprenditore deve essere dunque un equilibrista in grado di camminare poggiando

un piede sul mercato di oggi ma pensando anche al mercato di domani. Una strategia

che guidi l'azienda all'inseguimento di questo equilibrio instabile sembra essere l'unica

strada10. Il primo problema da risolvere è organizzativo il secondo strategico. Come

iniettare il virus del cambiamento mantenendo salda la barra del controllo? Come

crescere tramite acquisizioni e controllare il meccanismo degli spin-off? Osservare e

comprare innovazione è sembrata la risposta più indicata nei settori caratterizzati da

un forte vento e con un ecosistema molto ricco. Viviamo in un tempo di grande vento,

mai nella storia dell'umanità il ROI inteso come Return On Ideas è stato così alto.

Grazie ai network, essere grandi non vuol dire necessariamente essere migliori. Le

opportunità là fuori sono tante e i muri costruiti per difendersi dai barbari non offrono

difesa. In questa crisi, che segna la fine del primo decennio del nuovo secolo, il

pericolo principale è quello di rimanere fermi davanti a grandi innovazioni e nuove

idee. Abbiamo solo bisogno di nuovi modelli adatti a inseguire nuovi orizzonti, lungo la

sconfinata frontiera delle scienze e delle tecnologie. Come direbbe Eric Hoffer, "In un

tempo di cambiamenti, chi impara eredita il futuro. Chi già conosce si trova ben

equipaggiato per vivere in un mondo che non esiste più".

E’ proprio per questo che siamo qua oggi.

Theodor Roosevelt  – 23 Aprile 1910 ‐ Discorso alla Sorbona (Parigi) “L’uomo nell’arena  –  Cittadino di una Repubblica”  

 “Non è il critico che conta, né chi punta il dito sul forte che vacilla o su come le cose si potevano fare meglio. Il merito appartiene alla persona nell’arena, Il cui volto è coperto di polvere, sudore e sangue; Che lotta coraggiosamente, che ogni volta che cade subito si rialza; Che conosce l’entusiasmo, la passione, la devozione per i grandi ideali, Che si spende per una valida causa, che conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste; e che, nel peggiore dei casi, se fallisce, almeno cade combattendo valorosamente; cosicché il suo posto non sarà mai con le anime fredde e timide che non hanno mai conosciuto né sconfitta né vittoria.” 

10 Roberto Siagri, Andrea Barbaro, Nicola Buttolo, 2009, Using Innovation, Research and Finance to Build a Company with a Multi-Option Strategy , Cases In Technological Entrepreneurship - Edward Elgar Publishing Ltd. 

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Prolusioni, n. 8, 2 luglio 2011

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MBA Imprenditori

   

 Roberto Siagri è Presidente ed Amministratore delegato di Eurotech Spa, dove lavora dal 1992. Dopo aver partecipato anche alla sua fondazione, si è occupato delle attività di marketing strategico, marketing operativo e vendita. Dal 2000 si occupa di pianificazione strategica e nuove opportunità di business e internazionalizzazione in qualità di Presidente ed Amministratore Delegato. Ha conseguito la laurea in Fisica presso l'Università degli Studi di Trieste nel 1986, discutendo una tesi di struttura della materia. Fin da subito dopo la laurea ha iniziato a lavorare nel settore dell’ICT prima come progettista hardware e poi con responsabilità crescenti fino alla direzione di un centro di ricerca e sviluppo. Dal 2002 al 2003 ha collaborato con il dipartimento di Ingegneria

Elettronica, Gestionale e Meccanica dell'Università di Udine in qualità di docente a contratto. Nel giugno 2003 ha ricevuto da parte del Comitato Scientifico dei Rotary Club della Provincia di Udine il premio Rotary "Obiettivo Europa". Nell'ottobre 2005 ha ricevuto dalla Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Udine, il premio per l'Economia alla 52° edizione del premio del "Lavoro e del progresso economico" Nel novembre 2006 ha ricevuto da Ernst & Young Italia il premio "Imprenditore dell'anno 2006" per la categoria "Finanza". Nel marzo 2006 ha ricevuto, dalla rivista "Capital" pubblicata da Class Editori, il premio "Imprenditore dell'anno" per la regione Friuli Venezia Giulia. Oltre ad altri incarichi all’interno del gruppo Eurotech, è membro: del board Italiano dell’IJBG ( Italy-Japan Business Group) e dell’ “Advisory Board” della Facoltà di Economia dell’Università di Padova. Da Febbraio 2009 è anche Presidente della Fondazione Museo Carnico “Michele Gortani” di Tolmezzo (UD). Esperto di temi legati all’innovazione, alla ricerca tecnologica e all’imprenditorialità è spesso chiamato come relatore in convegni in Italia e all’estero.

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