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SCIENZE UMANE

a cura diAlberto Oliverio

Giuseppe CreaFabrizio Mastrofini

Preti sul lettino

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ISBN 9788809764576

Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl

Prima edizione digitale 2010

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Presentazione

In una lettera del 1928 al Pastore Pfister, Sigmund Freudindica di voler «difendere la psicoanalisi dai medici e dai preti.Vorrei consegnarla a una razza che ancora non esiste, una razzadi curatori di anime laici, che non abbiano bisogno di esseremedici e si autorizzino a non essere preti». Queste parole delfondatore della psicoanalisi indicano quanto Freud volesseriaffermare la specificità della disciplina e del terapeuta, evi-tando sovrapposizioni con altre figure che operavano e ope-rano tradizionalmente nell’ambito di quelle che oggi vengonodefinite le “helping professions”. Dal punto di vista storico,queste e altre parole dello psicoanalista viennese possono avercontribuito a scavare un solco tra psicoanalisi e Chiesa catto-lica: non tanto, come si afferma in analisi frettolose, per unaforma di competizione nell’accesso alle anime o, più laica-mente, alle menti e alle dinamiche psichiche dell’individuo,quanto per le differenze di posizione nei confronti delle pul-sioni, consce e inconsce, nei riguardi della sessualità e, soprat-tutto, nei confronti del tipo di lettura e intervento di quantouna persona espone-confessa al suo interlocutore. Ovviamenteci sono degli aspetti comuni: entrambe le figure prestanoascolto, forniscono supporto, usano la parola: ma l’analista so-spende il giudizio, guarda in modo diverso alla sessualità, tiaiuta a capire perché ci si comporta in un modo particolare,senza sanzionare, imporre penitenze, orientare moralmente.

È soltanto negli ultimi anni, forse a partire dagli anni Set-tanta del Novecento che la Chiesa cattolica ha guardato inmodo diverso alla psicoanalisi, cercando di sciogliere le con-

flittualità tra le figure dell’analista e quella del prete, anchegrazie all’apporto sempre più numeroso di religiosi attivi inambito psicoterapeutico. I preti, dunque, per parafrasare il ti-olo di questo saggio di Mastrofini e Crea, danno ascoltoanche sul lettino, guardano alla dimensione dell’inconscio edelle pulsioni umane in modo più articolato e complesso?Certo è che la presenza di numerosi corsi di laurea di psico-logia in atenei gestiti da religiosi o in atenei pontifici indicauna rivoluzione nel modo di considerare la psiche, al di làdella dimensione metafisica che ha da sempre caratterizzato ilrapporto con l’anima dei penitenti. D’altronde una valorizza-zione dell’inconscio può comportare un riequilibrio di un ra-zionalismo eccessivo: e l’inconscio non è oggi soltanto ap-pannaggio dell’ortodossia psicoanalitica ma anche di nume-rose scuole psicoterapeutiche, alcune delle quali più vicine ecompatibili con una visione cristiana della vita.

Questo su cui ci siamo brevemente soffermati è uno deidue aspetti che riguardano il rapporto tra i preti e un idealelettino: un aspetto diverso da quello preso in esame dagli au-tori di questo saggio, ma fondamentale per comprenderne al-cuni snodi. Qui l’enfasi degli autori riguarda le dinamiche psi-chiche dei religiosi, le loro pulsioni, sofferenze, desideri, ne-cessità, insoddisfazioni, scompensi in un mondo che non è piùstatico e tradizionale e in cui le figure sociali di rilievo, so-prattutto nelle piccole comunità e nei piccoli centri urbani,hanno perduto un’aura “istituzionale” e sono andate incontroa un processo di “umanizzazione” che le rende più simili allepersone che le circondano e con cui interagiscono. Basteràpensare che in Italia, nel giro di mezzo secolo, si è verificatauna drastica crisi della presenza territoriale dei conventi, delnumero dei religiosi e delle stesse vocazioni, per rendersiconto che si è verificata una mutazione epocale rispetto a se-coli e secoli in cui la presenza e il ruolo dei religiosi sono statiquantitativamente e qualitativamente diversi. Queste dinami-che e trasformazioni sono state al centro di un polemico sag-gio del discusso teologo Eugen Drewermann che nel suo libro

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PRESENTAZIONE

Funzionari di Dio, oltre a configurare la Chiesa come fattorepsicogeno e gran macchina repressiva, tenta di costruire unasorta di “psicodramma” che ha al suo centro l’inconscio delclero. Criticato severamente dalla Chiesa e da psichiatri cat-tolici come Ermanno Pavesi, Drewermann sostiene che nonsoltanto la fede è in crisi ma gli stessi religiosi, soggetti a nuovifattori di stress che li coinvolgono e sono causa di disadatta-menti, nevrosi, crisi esistenziali. Questa analisi di Drewer-mann, come ho accennato, è stata criticata anche per la scarsapresenza di riscontri obiettivi e, sostengono i suoi critici, pernon aver considerato che anche una larga percentuale dei pa-stori protestanti avrebbe problemi di nevrosi.

Se queste sono le premesse di Preti sul lettino, quali sono inpunti che suscitano l’interesse del lettore nei confronti di que-sto saggio? Direi anzitutto che un primo aspetto da sottoli-neare è che questo libro non cavalca una fase della vita dellaChiesa, agitata dalle denunce e prese di posizione sulla pedo-filia. Questo non è un instant book che gemma da un momentoparticolare, ma un’analisi, in linea con precedenti lavori edesperienze dei due autori, dei motivi di crisi individuale, dellesituazioni di burnout da stress, dei disadattamenti dei religiosiche ricorrono al terapeuta nel tentativo di far fronte e com-pensare le proprie dinamiche psichiche. Si prenda ad esempiouno dei casi che arricchiscono questo importante saggio, «Unanevrosi pastorale», per rendersi conto che i due autori pon-gono al centro dei loro interessi le figure umane e le dinamiche“di lavoro” delle persone, uomini e donne, che entrano in crisiper una dissociazione tra le proprie aspettative e la realtà e,molto spesso, per una mancata formazione “professionale” in-tesa in senso laico: vale a dire per le difficoltà che esistono nelcomprendere le proprie dinamiche interne, le aspettative deglialtri, la gestione dei rapporti con altre persone.

Il problema che Mastrofini e Crea sollevano attraverso unaserie di casi che hanno anche una dimensione letteraria, cometutte le storie di vita e tutte le storie cliniche, non riguardaquindi soltanto un classico aspetto al centro del rapporto psi-

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PRESENTAZIONE

coterapeutico, quello del “controtransfert” (Gegenubertra-gung), formulato da Freud, che indicava come insorgessenel medico per l’influsso del paziente sui suoi sentimenti in-consci e come esso dipendesse da qualche conflitto inconscioe non, una lacuna (o“macchia cieca”) da parte dell’analista,che ostacolava l’analisi. È vero che il controtrasfert, ad esem-pio secondo l’interpretazione junghiana, non si manifesta so-lamente nel rapporto tra lo psicoterapeuta ed il paziente, maanche nelle relazioni sociali e interpersonali come quelle tramaestro e allievo, tra genitore e figli, tra sacerdote e fedeli. Laconseguenza più importante del “controtransfert” risulta es-sere la manifestazione di empatia, che al paziente consente disentirsi compreso e accolto e allo psicoterapeuta di immede-simarsi con lo stato d’animo del paziente: come nota DonaldWinnicott, sostenitore dell’importanza di una base sicura daoffrire al paziente, il terapeuta deve analizzare le sue emozioni,sfruttare fino in fondo il “controtransfert” per rendere unicae originale ogni analisi e migliorare la comprensione del pa-ziente. Tuttavia non è questo l’aspetto prevalente al centrodegli interessi di Mastrofini e Crea: non sono importanti sol-tanto le dinamiche al centro della diade sacerdote-fedele o sa-cerdote-comunità, quanto gli aspetti di una “professionalità”da sviluppare per essere figure di riferimento, oserei dire te-rapeuti delle anime, e prevenire, per quanto possibile, il sensodi inadeguatezza e crisi che porta al burnout in un vasto nu-mero di religiosi. In questa linea, la concretezza dei due autorinell’illustrare come sviluppare questa professionalità e cosafare per accrescere sicurezza, resilienza, empatia e relazioniautentiche con la comunità, rappresenta il fulcro di un saggioche affronta in modo laico un aspetto che non può che farebene alla Chiesa, in quanto “umanizza” il ruolo dei religiosigrazie a una maggiore conoscenza di se stessi e degli altri: ov-verosia di come funziona l’animo umano.

ALBERTO OLIVERIO

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PRESENTAZIONE

PRETI SUL LETTINO

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Avvertenza

I casi e le storie di vita di cui si parla in questo libro sonotratti dall’esperienza clinica e professionale degli Autori.Nomi e dettagli sono stati modificati per impedire l’identifi-cazione dei protagonisti e per rispettare le loro problemati-che psicologiche ed i percorsi terapeutici compiuti o in corso.

Certamente le storie presentate in questo libro non rap-presentano la totalità delle problematiche dei sacerdoti ita-liani e neppure vogliono dare l’immagine di una Chiesa for-mata da preti in difficoltà psicologica ed esistenziale. Tuttaviagli Autori sono convinti che sia necessaria una presa di co-scienza: è indispensabile creare le condizioni per un dibattitosereno, leale, onesto, sulle reali condizioni di vita dei sacer-doti italiani. Queste condizioni nulla hanno a che vedere conla fede.

Discutere di come vivono i preti italiani, delle difficoltà cheaffrontano, dei problemi e delle loro tensioni psicologiche,non significa sminuire il lavoro in parrocchia, non significadenigrare i sacerdoti o mettere in dubbio la loro fede. Si trattapiuttosto di inaugurare una strada nuova: quella che consi-dera il benessere psicologico come una conquista e un dirittoper ogni individuo, senza coperture o sovrastrutture ideolo-giche.

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Tutto-funziona-per-il-meglio?

Perché parlare di patologia nel contesto della vita dei sa-cerdoti? Di certo non perché sia una realtà malata, ma perchéanche in una professione di aiuto come il sacerdozio le per-sone possono vivere delle condizioni di disagio psicologicoquando si trovano ad affrontare situazioni di difficoltà a li-vello sia istituzionale che individuale. Condizioni di malessereintrapsichico, depressioni per i vissuti di solitudine, stan-chezze generate dalle condizioni di stress nell’attività pasto-rale, un modo ritualistico di intendere la religione come toc-casana delle proprie inquietudini interiori, fobie e dipendenzesessuali, sono solo alcune delle patologie che a volte vengonocitate in relazione al disagio affettivo dei sacerdoti e dellesuore.

Prendiamo in considerazione una parrocchia di città dovealcuni sacerdoti si occupano delle attività, del coordinamentodei diversi gruppi di giovani e adulti, del lavoro dei catechisti,delle questioni amministrative. Una tipica situazione metro-politana, come ce ne sono tante in Italia, dov’è ancora possibiletrovare tre o quattro sacerdoti al lavoro per la gestione delle di-verse iniziative. Sacerdoti che, si dice, fanno “vita comunita-ria”: non solo vivono insieme formalmente, condividendo lastessa abitazione e i medesimi spazi, ma formano appunto una“comunità”, cioè costituiscono un gruppo di persone che agi-scono secondo uno spirito comune, condividono le medesimefinalità, hanno avuto una formazione simile, si coordinano tradi loro in vista dell’obiettivo di evangelizzare e far progredirele persone e i gruppi che fanno riferimento alla parrocchia

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stessa. Compartecipano, infine, gli stessi ideali di vita: sono ce-libi in quanto hanno fatto una promessa specifica, obbedisconoal loro vescovo ed al parroco che è stato nominato dal vescovoe dunque ha la responsabilità ultima delle decisioni da pren-dere in ordine ai diversi aspetti gestionali.

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Dunque, in questa parrocchia-tipo, che possiamo chiamarela comunità di Tutto-funziona-per-il-meglio, abbiamo un par-roco, un viceparroco che chiamiamo don Cristoforo, un gio-vane seminarista che viene da un’altra regione ed è destinatoalla parrocchia per aiutare nel tempo libero dallo studio edinfine l’anziano ex parroco, ora in pensione, al quale comun-que è stato dato il permesso di continuare a restare attivo, vistii buoni rapporti esistenti con il parroco suo successore. DonCristoforo in questo gruppo si deve occupare in modo parti-colare dei giovani, oltre a fare le funzioni del viceparroco.Tutti questi sacerdoti sono consapevoli del fatto che vivere incomunità non è una espiazione anche se sono sempre possibilisituazioni difficili o contrasti caratteriali, punti di vista diversi,relativi alla gestione della vita insieme. Cercano di superare ledifficoltà ripetendosi, ognuno, che il fatto di trovarsi insiemenon è un caso fortuito bensì una scelta precisa ed un modoper vivere il Vangelo, mostrando ai fedeli che i loro sacerdotioffrono una testimonianza di vita comune a cui tutti dovreb-bero ispirarsi.

Fino all’arrivo di don Cristoforo, almeno, poteva anchedarsi che la realtà fosse vicina all’ideale di vita professato. DonCristoforo, dal carattere deciso e irruente, è intenzionato aprendere tutto da tutti, si mette a disposizione e allo stessotempo è preciso ed esigente nel dare ordini e pretendere chevengano eseguiti come lui stesso desidera.

Riesce a far fronte alle diverse situazioni, tuttavia non ri-sparmia giudizi sulle persone che vivono insieme a lui nella

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comunità parrocchiale. Ad esempio fin da subito non è statocerto tenero con il giovane seminarista, un po’ indietro congli studi e non del tutto convinto che quella del sacerdozio siala strada definitiva da perseguire. Il parroco è la persona concui Cristoforo si trova meglio, perché «fa tutto quello che glidico» anche se ultimamente hanno avuto un contrasto che liha allontanati: dovevano uscire insieme per una gita parroc-chiale ed entrambi avevano intenzione di trascorrere una bellagiornata insieme ad un nutrito gruppo di fedeli. Tuttavia ilparroco aveva scelto le famiglie più impegnate, per rinsaldarei legami ed i rapporti tra di loro, mentre Cristoforo sostenevache l’obiettivo della gita era di trovare forze nuove, soprat-tutto giovani, da immettere nelle attività. Alla fine, dopo unalunga discussione protrattasi per diversi giorni, non sono pro-prio riusciti a mettersi d’accordo e la gita comune non è statarealizzata, anzi nella stessa domenica ognuno ha fatta un’uscitadiversa.

Trascorre ancora un po’ di tempo e Cristoforo si sorprendea pensare che anche del giovane seminarista non si fida, per-ché lo sente come una specie di concorrente, geloso del fattoche lui, Cristoforo appunto, ha tanto successo con i giovanidella parrocchia. Fino all’arrivo di Cristoforo, infatti, era il se-minarista ad occuparsi a pieno titolo del gruppo giovaniledella parrocchia; soltanto, si trattava di un impegno che lo as-sorbiva al punto da lasciarlo indietro con gli studi. Da qui ladecisione di far arrivare Cristoforo, più maturo ed esperto,per prendere in mano le attività e lasciare al seminarista iltempo necessario per curare la preparazione e lo studio. Tra idue c’è un clima di concordia, anche se, a dire il vero, accadeche si impuntano talmente su questioni di poco conto che glistessi giovani della parrocchia spesso se ne vanno lasciandolia discutere.

Un caso eclatante si è avuto per le proposte di ristruttura-zione dell’oratorio. Si trattava di scegliere come spendere di-versi soldi, e dunque del caso era stato investito il consigliopastorale, vale a dire il gruppo di persone scelte dal parroco

tra quelle più impegnate e rappresentative delle diverse atti-vità di tutta la parrocchia. Al consiglio pastorale si portanoproblemi e ipotesi di lavoro, di cui si discute fino a prendereuna decisione. Certo, il responsabile ultimo è il parroco, chepuò anche ignorare le deliberazioni del consiglio pastorale;ma nella parrocchia di cui stiamo parlando ciò non è mai ac-caduto, perché il parroco stesso è molto rispettoso del lavoroche fanno le persone da lui stesso scelte ed ha fiducia dellaloro capacità di giudizio. Fatto sta che nei giorni precedenti lariunione, fissata da tempo, Cristoforo ed il seminarista hannocondotto ognuno per contro proprio una campagna elettoralein piena regola, per accaparrarsi il favore dei diversi compo-nenti del consiglio pastorale. Ciascuno ha incontrato separa-tamente i vari esponenti presentando il proprio progetto diristrutturazione, vantandone la bontà e il minor costo, non-ché i vantaggi che ne sarebbero derivati all’intera parrocchia.Obiettivo non dichiarato ed evidente a tutti: far scegliere ilproprio progetto ed averne la piena supervisione.

Anche con l’anziano ex parroco non pare che Cristoforoabbia buoni rapporti. Ogni volta che Cristoforo deve radu-nare i giovani per le attività serali, l’ex parroco sembra vogliamettersi di traverso. Una volta non gli ha dato le chiavi dellastanza per l’incontro, un’altra volta Cristoforo ha trovato lasala occupata da un’altra riunione interminabile. Oppure, inuna terza situazione, lo stesso ex parroco ha disdetto l’incon-tro già fissato e confermato, facendo sapere ai giovani che Cri-stoforo era fuori per altri impegni improvvisi. E naturalmentenon era vero. Alla fine proprio Cristoforo ha preso una deci-sione netta: meglio radunarsi con i giovani ogni volta in unacasa diversa. Non solo si stava meglio, grazie al clima infor-male; ma era anche l’unico modo per evitare che l’anziano exparroco intervenisse ponendo ostacoli e difficoltà.

Questa è la situazione. Vediamo ora come in concreto sisvolge la vita nella comunità di Tutto-funziona-per-il-meglio.La sera, ad esempio, si fa a turno per riscaldare la cena. In ge-nere, però, è don Cristoforo ad assolvere questo compito: un

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po’ perché è il più assiduo nel preparare e nel voler rispettarei tempi, un po’ perché gli altri hanno sempre da fare e arri-vano all’ultimo momento. E così Cristoforo dice, degli altri,che a loro piace «venire e sedersi a mangiare quando sannoche è già tutto pronto». Passano le settimane, passano alcunimesi di questa convivenza e Cristoforo decide di essersi stan-cato di essere sempre lui ad occuparsi della cena: infatti hal’impressione che gli altri quasi pretendano che sia lui a pre-pararla. Una sera pensa bene di mettersi a guardare cosa puòaccadere cambiando la routine, e così decide di non cucinaree di presentarsi nella cucina-refettorio più tardi del solito. Congrande sorpresa, entrando una buona mezz’ora dopo, notache il tavolo è vuoto. Allora ritorna in camera e si dispone adaspettare ancora un po’. Dopo altri venti minuti si affaccia,trovando il giovane seminarista davanti alla televisione, nel sa-lotto vicino alla cucina, intento a mangiarsi un bel panino. Cri-stoforo, brontolando tra sé, si prepara la sua parte di cena epoi si mette anche lui davanti al televisore, accanto al semina-rista. Quale sorpresa quando sente quest’ultimo esclamare:«Finalmente stiamo un po’ insieme!», affermazione dopo laquale cala il silenzio e a farla da padrone è appunto il televi-sore. Ad un certo punto Cristoforo, incapace di trattenersi perla rabbia, prorompe: «Ma devi proprio vedere la televisione,mentre io mangio?». A quel punto il seminarista, senza dirnulla, spegne il televisore, si alza e, mentre si sta allontanandodi qualche passo, gli squilla il cellulare; nel prendere la tele-fonata se ne va via, per non tornare più. Cristoforo, a quelpunto, continua a mangiare da solo e in silenzio, col televisorespento, rimuginando: «Qui mi sento trattato come unoschiavo. Mi sento utilizzato, mentre gli altri fanno quel chevogliono, senza alcun tipo di rispetto per me. Guarda quellolì, per esempio: fa ciò che vuole e si disinteressa degli altri!».

Alla fine, tuttavia, Cristoforo, pensando e ripensando, siconvince che nella sua comunità di Tutto-funziona-per-il-meglio si sta bene insieme. Certo, avverte un disagio indiriz-zato verso l’uno o l’altro dei diversi componenti della comu-

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nità. Però, sempre ripensandoci, si dice che altrove accade dipeggio: ad esempio si litiga moltissimo, a volte volano persinoi piatti come nei matrimoni. Oppure capita che non ci si parliproprio, ci si ignori. Peggio ancora, si verificano delle situa-zioni in cui il conflitto è talmente profondo che ad andarci dimezzo sono le stesse attività parrocchiali, visto che le sfuriatetra i preti accadono davanti ai parrocchiani. Tra di noi – ar-gomenta tra sé e sé Cristoforo – c’è invece una specie di «santareciproca armonia»: ognuno vive e svolge le proprie attivitàsenza dare fastidio agli altri, e pazienza se a volte l’impressioneè che ci si sopporti con indifferenza e apatia. Nessuno ne fauna malattia e nessuno solleva il problema. Per il resto va tuttobene: la parrocchia nell’insieme funziona, il parroco è con-tento, anche il vescovo è sollevato nel sentire le relazioni delparroco quando spiega che Tutto-funziona-per-il-meglio.Manca qualcosa? Forse sì, tuttavia nulla è perfetto a questomondo ed il peggio è sempre in agguato. Dunque perché la-mentarsi?

DIAGNOSI DEL CONFLITTO

Come accade sovente nei gruppi, il conflitto lavora in pro-fondità. Lo si può verificare spesso nelle situazioni altamenteidealizzate, in cui si sta insieme non per una scelta effettuatadal singolo, ma per una motivazione esterna. In questi casinon è possibile esprimere il conflitto in maniera aperta; eccoallora che vengono messi in atto dei comportamenti in cui lepersone riescono a stare bene pur stando male. Ovvero, le per-sone si convincono che stanno bene perché costerebbe loromolto di più, in termini emotivi, ammettere di star male e dun-que doversi interrogare sulle vere cause del modo di stare in-sieme. Nel gruppo comunitario di Tutto-funziona-per-il-meglio assistiamo ad una progressione di comportamenti postiin atto da don Cristoforo che è esemplificativa di quanto di so-lito può accadere in molte situazioni simili. I comportamenti

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del sacerdote si rivelano funzionali ad un ampliamento pro-gressivo della rete conflittuale.

Nel caso della gita assistiamo ad un irrigidimento delle po-sizioni che è la prima caratteristica di chi nei rapporti cercadi imporre il proprio punto di vista secondo una condizioneunilaterale che potrebbe venire riassunta nell’espressione:«Qui comando io». Siamo in un “conflitto di divergenza”: leposizioni diventano punti di vista contrapposti, si cristalliz-zano pur partendo da un contesto relazionale che in teoria do-vrebbe portare i protagonisti a convergere su una posizionecomune. Entrambi hanno bisogno dell’altro, nel senso che ilparroco ha necessità delle indicazioni e dell’operatività di Cri-stoforo, e quest’ultimo ha trovato finalmente qualcuno che losegue e con cui può esplicitare il suo atteggiamento da salva-tore-onnipotente. La prima fase del conflitto, lo scontro sullemodalità della gita, è importante in quanto struttura una si-tuazione che poi sfocerà in conflitti con gli altri attori in gioco.Nel caso del parroco, avviene il tentativo di spartirsi le sim-patie dei sottogruppi dei fedeli che inconsapevolmente gio-cano un ruolo, schierandosi dalla parte dell’uno o dell’altro. Inquesta fase, i fedeli non si rendono conto di quanto sta acca-dendo, anzi pensano che i due sacerdoti siano ognuno bravo,competente, interessato al benessere delle persone e della par-rocchia. Non si accorgono di venire strumentalizzati dall’unoe dall’altro, i quali cercano appoggio nei sottogruppi per ac-creditare il proprio aver ragione.

D’altra parte, nell’episodio della campagna elettorale svoltaper la riunione del consiglio pastorale vediamo che due per-sone in grado di cooperare tra loro possono irrigidirsi quandohanno obiettivi simili, giacché ciascuno vuole affermare la pro-pria posizione a scapito di quella dell’altro. Se le due parti nonsi rendono conto e non controllano la rigidità delle rispettiveposizioni possono entrare in una fase di dibattito con la pre-tesa di avere ognuno sempre e soltanto l’ultima parola.

Nella fase successiva, Cristoforo si convince che non c’èniente da fare per portare gli altri dalla sua parte e dunque

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che deve muoversi esclusivamente per conto proprio. Difronte all’opposizione dell’ex parroco – anche qui un’opposi-zione non dichiarata, tuttavia esplicitata nei fatti – entra nelladinamica in base alla quale deve realizzare gli obiettivi perconto proprio.

Se il conflitto non viene diagnosticato, identificato, affron-tato per tempo, si arriva alla fase più calda del rapporto con-flittuale stesso. Le persone sono preoccupate per la loro stessaautostima e cercano alleati per difenderla: devono vincere operdere, per poter sopravvivere. Così, nell’episodio della cenasi passa dai contenuti del contrasto all’attacco diretto verso lepersone e il modo principale per difendersi è quello di passareall’offensiva. I pensieri si dirigono verso la stessa identità del-l’altro, sconfessandolo, per la paura di rimetterci nei terminidella propria identità personale. Lo dice Cristoforo quandoconfessa a se stesso di sentirsi trattato come se fosse a serviziodi tutti, lo schiavo di tutti, cercando di costruirsi delle difeseemotive per non sentirsi fagocitato dagli altri, agendo, così,sulla minaccia verso la propria identità. Infine dobbiamo con-siderare che viene attivata la difesa costituita dallo “stallo re-lazionale”: in questa situazione non c’è più niente da fare percambiare, e l’indifferenza può risultare meglio di una guerraaperta, che non si saprebbe come gestire. Nelle comunità disacerdoti dove gli obiettivi dello stare insieme sono altamentemotivanti, riconosciamo questa fase di stallo relazionale neipiccoli dissidi quotidiani, nei dispetti, nelle gelosie che corro-dono il rapporto fino ad arrivare ad una sorta di allergia so-ciale arrecante sofferenza. Sofferenza destinata a restare si-lenziosa, non comunicata, nascosta.

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IIIl clero in Italia:

risposte istituzionali e ricerche

La situazione illustrata nel capitolo precedente accade conuna frequenza piuttosto alta. Le difficoltà nella vita comuni-taria per i sacerdoti, in Italia e non solo, rappresentano unadelle cause di defezioni ed abbandoni. Anche nel loro mododi vivere le relazioni interpersonali tra di sé e con gli altri pos-siamo verificare l’esistenza di problemi e disagi. La causa èpiuttosto semplice e complessa allo stesso tempo e nasce dalfatto che la formazione ricevuta negli anni del seminario è fo-calizzata piuttosto sui contenuti teologici e quasi per nientesulle capacità relazionali.

Per inquadrare correttamente le problematiche dei sacer-doti dobbiamo uscire dalle idealizzazioni che vengono com-piute nelle prese di posizione ufficiali e cercare di scandagliarela loro vita quotidiana, la loro formazione, le risposte che pos-sono trovare agli interrogativi provenienti dal contatto con ifedeli. Quella del sacerdote, infatti, si configura come una pro-fessione di aiuto, a stretto contatto con le problematiche disenso delle persone. Dunque il sacerdote è senz’altro una dellefigure più a rischio per quanto riguarda la presenza della sin-drome del burnout, un elemento che è stato analizzato in al-cune indagini degli anni scorsi e che è del tutto assente, in-vece, nelle indagini promosse dalla Conferenza EpiscopaleItaliana (CEI). Dal punto di vista conoscitivo, negli ultimi anniabbiamo avuto una ricerca globale effettuata per conto dellastessa CEI sulla situazione del clero e sull’evoluzione possi-bile a partire dai numeri di oggi, che va integrata con altre due

indagini più specifiche, ristrette ad un gruppo di sacerdoti del-l’area del Triveneto. Invece se vogliamo sapere in che modo laSanta Sede, a livello generale, considera le problematiche delclero, dobbiamo fare riferimento ai numerosi documenti, pub-blicati negli ultimi quarant’anni, che si occupano della for-mazione dei sacerdoti e del loro stile di vita. Si tenga però pre-sente che i documenti vaticani, ancorché ufficiali, danno delleindicazioni generali che poi spetta ai vescovi delle singole na-zioni interpretare e mettere in atto.

LA CHIESA ITALIANA

L’ultima indagine è quella pubblicata nel 2005 dalla Fon-dazione Giovanni Agnelli, laica ma attenta agli aspetti religiosidella società, d’intesa con la Conferenza Episcopale Italiana.La ricerca è stata coordinata dal sociologo Luca Diotallevi edal demografo Stefano Molina.

Il clero costituisce un settore di popolazione alquanto par-ticolare. Non essendo infatti soggetto a una dinamica demo-grafica “normale” (non vi si entra per nascita), non si possonoapplicare ad esso i normali strumenti demografici, ma lo sipuò considerare come una “popolazione aziendale”. L’accu-ratezza delle indagini statistiche è stata favorita dall’esistenzadell’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero (ICSC),che ha messo a disposizione la propria banca dati. Si tratta diuna banca dati particolarmente attendibile, in quanto è in basead essa che si corrispondono gli stipendi mensili ai sacerdotidiocesani.

Oggetto dell’indagine è stato soltanto il clero diocesano,non i religiosi appartenenti alle congregazioni e che in totalein Italia sono circa 20.000. La scelta deriva dal fatto che i sa-cerdoti che lavorano nelle parrocchie sono profondamente ra-dicati nel territorio.

Il dato dominante della ricerca riguarda il calo numericocui stiamo assistendo da anni, che sta diventando un elemento

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CAPITOLO II