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Editore Camera di Commercio di Ferrara Via Borgoleoni, 11 - Ferrara Sede legale, amministrativa e redazionale Via Borgoleoni 11 – FERRARA Tel.: 0532 783711 e-mail: la [email protected] Stampa, fotolito ed impaginazione SATE s.r.l. Via Goretti, 88 - FERRARA Tel. 0532 765646 Fax 0532 765759 Concessionaria esclusiva per la pubblicità SATE s.r.l. Via Goretti, 88 - FERRARA E’ vietata la riproduzione anche parziale degli articoli e delle note senza citarne la fonte. Gli articoli firmati rispecchiano soltanto il pensiero dell’Autore e non impegnano la Direzione della rivista. Presidente Carlo Alberto Roncarati Giunta Camerale Corradino Merli (Vice Presidente) Loris Braga Mirco Dondi Mauro Ferrari Davide Fiocchi Valerio Miglioli Giovanni Rizzo Giuseppe Vancini Claudio Viganelli Collegio Revisori dei conti Silvia Sangiorgi Danila Niboli Gianluca Mantovani Segretario Generale Mauro Giannattasio Anno 2009, numero 2 Finito di stampare: febbraio 2010 Foto di copertina: Riviera Cavallotti e il Palazzo del Vescovo (Foto Alberto Guzzon) Registrazione presso il Tribunale di Ferrara il 18 marzo 1954 (autorizzazione n. 41/54) Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane spa- D.L. 353/2003 art.1, comma1, 70% DCB Ferrara PERIODICO FUORI COMMERCIO Direttore responsabile Corrado Padovani Comitato di redazione Maria Laura Servidei, Pierpaolo Correggioli Coordinamento editoriale Corrado Pocaterra Segreteria di redazione ed editing Maria Laura Servidei Consulenza storica e archivistica Leopoldo Santini Crediti fotografici Maria Rosa Bellini Ancilla Beltrami Andrea Bonazza Luigi Biagini Andrea Castagnoli Claudio Castagnoli Marco Castagnoli Piergiorgio Felletti Foto Farinella Fotovideodante Alberto Guzzon Fabio Piva Andrea Samaritani-Meridiana Immagini Archivio fotografico Camera di Commercio Ferrara pianura pianura la pianura pianura la la la Rivista quadrimestrale di economia, cultura ed informazione della Camera di Commercio di Ferrara

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Collegio Revisori dei contiSilvia SangiorgiDanila NiboliGianluca Mantovani

Segretario GeneraleMauro Giannattasio

Anno 2009, numero 2

Finito di stampare: febbraio 2010

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Registrazione presso il Tribunale di Ferrara il 18 marzo 1954 (autorizzazione n. 41/54)Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane spa- D.L. 353/2003 art.1, comma1, 70% DCB Ferrara

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COMUNICAZIONE AI DESTINATARI IN OMAGGIO DELLA RIVISTA CAMERALE «LA PIANURA»Ai sensi del Dlgs. 196/2003, si informa che il trattamento dei dati personali dei destinatari in omaggio della rivista camerale «La Pianura» viene svolto al fine di dare esecutività alla spedi-zione del presente periodico. Tale trattamento avviene nel rispetto dei principi di riservatezza e sicurezza richiesti dalla legge. Il responsabile del trattamento è il Dirigente di Settore dellaCamera di Commercio di Ferrara

Turismo e ambiente

Infrastrutture

Pomposa

Codigoro si presenta

Agricoltura e industria

Documenti

6 Codigoro, strategia per lo sviluppo di questo territorioa cura di Piergiorgio Felletti

9 Un Comune con forte radicamento territoriale e antica tradizionedi Piergiorgio Felletti

11 Progetti concreti per il futurodi Piergiorgio Felletti

13 Codigoro e il suo fiumedi Vincenzo Trapella

16 Codigoro, luogo dell’animadi Andrea Poli

20 In agricoltura, con tradizione e tecnologia è già futurodi Piergiorgio Felletti

22 Conserve Italia: l’attività produttiva in provincia di Ferraradi Claudio Castagnoli

24 Lo stabilimento “Falco”di Claudio Castagnoli

26 Le piste ciclabilidi Claudio Castagnoli

28 La garzaiadi Claudio Castagnoli

30 Bosco Spadadi Claudio Castagnoli

32 La Torre della Finanzadi Claudio Castagnoli

34 Valle Porticino - Cannevièdi Claudio Castagnoli

36 Codigoro nella rete infrastrutturaledi Alberto Guzzon

40 La “Nuova Romea commerciale”di Corrado Padovani

42 Un monastero benedettino nel Delta del Podi Gianna Braghin

46 La rievocazione storica “Pomposia Imperialis Abbatia”di Claudio Castagnoli

47 Il Palazzo della Ragionedi Gianna Braghin

50 Pomposianadi Andrea Nascimbeni

56 “Caput Gauri”, un premio storico che divulga culturadi Claudio Castagnoli

58 Pomposa culla della musica e della cultura nel Deltadi Maria Rosa Bellini

62 La Codigoro di Giorgio Bassani nel romanzo L’aironedi Lisa Viola Rossi e Daniele Rossi

70 Un pittore nel deltadi Gianni Cerioli

73 “Cinema Paradiso” made in Deltadi Gianna Braghin

78 Codigoro attraverso le foto del Novecentodi Lisa Viola Rossi

81 La Camera di Commercio e Codigorodi Giorgio Mantovani e Leopoldo Santini

90 Lo Zuccherificio di Codigorodi Pierpaolo Correggioli

94 La torbieradi Graziano Gruppioni

98 Codigoro dal 1600 al 1900di Giorgio Mantovani e Leopoldo Santini

101 La storia incontra la poesiadi Graziano Gruppioni

Cultura e Spettacoli

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5laPianura

Anche nel pieno di una crisi profonda come quella chestiamo attraversando, i micro-sistemi territoriali hannodimostrato di possedere le potenzialità, se ben governa-ti, per svolgere un ruolo efficace nel sostenere la com-petitività territoriale. Ed in effetti la riscoperta delladimensione locale – anche come rifugio dalle insicurez-ze generate dall’allargamento dell’orizzonte geograficoin cui ognuno di noi si muove – rappresenta l’altra fac-cia della globalizzazione, forse il fattore che con piùimmediatezza ci permette di fronteggiare i grandi capo-volgimenti in atto sul mercato globale. Questo vale perl’intero Paese, e nella nostra provincia, sulla spinta diuna notevole diversificazione delle specificità e delle“vocazioni”, assume un rilievo particolare. Le realtàlocali della nostra provincia hanno affrontato negli ulti-mi due anni la crisi con impegno e dinamismo: gli entiterritoriali programmando interventi mirati; le banche,soprattutto quelle più radicate sul territorio, provando aridare fiato al mondo produttivo; le filiere a più forte“vocazione produttiva locale” cercando di non disperde-re capitali e competenze.Il che conferma l’importanza di conoscere e valorizzaresempre più le specificità territoriali, nel loro rapporto conla dimensione globale. Perchè quando esso stenta a fun-zionare (si pensi al caso delle infrastrutture di traspor-to), si determinano confusione, mancanza di coopera-zione, scontro di competenze, inefficienza. Ma quando funziona, il sistema sviluppa una forte tenu-ta sociale, e può rivelarsi davvero competitivo. Un ruolofondamentale in tal senso viene svolto tanto dall’impre-sa, motore della crescita economica e sociale del terri-torio in cui è inserita, che dalle Amministrazioni locali.La Camera di Commercio ne è ben consapevole, anchenelle sue implicazioni di analisi e di ricerca economicadisaggregata territorialmente, e pure la sua rivista, “laPianura”, riserva da tempo una particolare attenzioneall’evolversi delle realtà locali: prima di questo numero,dedicato monograficamente a Codigoro e realizzato instretta e proficua collaborazione con il Comune stesso,la rivista aveva infatti già preso in esame altre importan-ti realtà della nostra provincia, come Cento, Comacchioe Voghiera.I numerosi interventi ospitati in questo numero, ed inparticolare quello del Sindaco Rita Cinti Luciani, eviden-ziano l’esigenza di rafforzare quei fattori di competitivi-tà territoriale, che sono stati individuati anche nel Piano

strutturale comu-nale (PSC) recen-temente approva-to. Ci si riferiscein particolare alconsolidamentodel sistema dellaproduzione e deiservizi: un fattorein grado di contra-stare, tramite un aumento dell’occupazione e del reddi-to, il calo demografico previsto nel comune all’anno2020, e particolarmente accentuato nell’ambito dellefrazioni, che infatti già nel corso dell’ultimo decenniohanno registrato un progressivo abbandono. Il sistemamanifatturiero locale può contare sulla presenza diimportanti aziende industriali quali Conserve Italia eFalco, indiscussa fonte di occupazione, di reddito e dinuove potenzialità imprenditoriali indotte. Per quantoriguarda poi i servizi, si tratta di consolidare il ruolo signi-ficativo di centro ordinatore svolto da Codigoro (presen-za dell’Università di Ferrara, Polo Sanitario integrato coni Comuni di Lagosanto e di Comacchio, società di tele-comunicazioni Deltaweb), rafforzando nel contempo irapporti di integrazione funzionale con il comune capo-luogo di Ferrara. A ciò va aggiunta l’esigenza di una ulte-riore valorizzazione del sistema agricolo, oltre a quelladi una conservazione dell’habitat naturale e degli ecosi-stemi. Per evitare che l’agricoltura progressivamente“esca dal mercato” nel corso dei prossimi anni, occor-rono interventi di specializzazione produttiva, finalizzatia potenziare una filiera agro-alimentare. Partendo dauna agricoltura di qualità, determinante anche per con-tenere l’impatto ambientale di sistemi tradizionali diproduzione, questa filiera deve strettamente rapportarsialle capacità e alle specializzazioni produttive degliimpianti di trasformazione già esistenti. E la presenza diConserve Italia e della Riseria di Pontemaodino offre intal senso notevoli opportunità di riqualificazione com-plessiva del settore agro-industriale locale. E, non certo da ultimi, servono interventi di sviluppoinfrastrutturale, in mancanza del quale sarebbero desti-nati ad aggravarsi nei prossimi anni i fattori di isolamen-to di Codigoro, e sarebbe impossibile perseguire uno svi-luppo sostenibile, capace di preservare il grande valoreecologico del territorio.

Presentazione

Carlo Alberto RoncaratiPresidente della Camera di Commercio di Ferrara

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Codigo ro s i p resenta

a cura di Piergiorgio Felletti

La proposta della Camera diCommercio di Ferrara, di dedica-re a Codigoro una pubblicazionemonografica della rivista “LaPianura”, ci ha trovato tutti esubito d’accordo, anzi direi checi siamo fin dall’inizio entusia-smati per i risvolti positivi diun’analisi varia ed approfonditadel nostro territorio comunale.Un’analisi a tutto tondo sullecose fatte e quelle di prossimarealizzazione, comunicare ainostri cittadini ed alla più vastaplatea provinciale le specificitàdel nostro Comune.Lo spessore storico, artistico enaturalistico di Codigoro è fuoridiscussione e le emergenzearchitettoniche ed ambientali necostituiscono la testimonianzapiù evidente. Tra i principali siti di eccellenzadel nostro Comune, voglio ricor-dare: la millenaria Abbazia diPomposa, il Palazzo del Vescovo,del XVIII secolo, sede dellaBiblioteca Comunale e dellaFondazione Giorgio Bassani, gliedifici vallivi di Canneviè ePorticino, l’imponente Torredella Finanza, a Volano, vicinis-sima ai due porti turistici.Fondamentali fin dall’antichi-tà, per la sicurezza e l’esisten-za stessa del nostro territorio,sono i manufatti idraulici,come la ristrutturata Chiavicadell’Agrifoglio e il Consorziodi Bonifica 1° Circondario

Polesine, esempio di archeolo-gia industriale dei primi annidel secolo scorso. Vicinissimo agli straordinaricamini del Consorzio di Bonifica,riprodotti da De Chirico nelle sue“Muse Inquietanti”, dietro l’areadell’ex Zuccherificio Eridania siè creata in questi ultimi decennil’oasi avifaunistica della Garzaia.In questo breve ma fitto elenco,non possono mancare il CentroStorico di Codigoro, la RivieraCavallotti, di recente ristruttura-zione, e, naturalmente, il fiumeVolano.Ho citato tutte le “perle” delnostro Comune, relativamenteall’àmbito culturale e turistico,per evidenziare da un lato la ric-chezza e dall’altro l’impegno diconservazione, sviluppo e valo-rizzazione che tale ricchezzarichiede.In questi ultimi decenni, le varieAmministrazioni Comunali suc-cedutesi hanno realizzato unaserie di interventi di recupero divarie emergenze architettoniche,tracciando linee di sviluppo cheabbiamo raccolto e potenziato eche si incentrano fondamental-mente sul turismo nautico, intutte le sue forme sportive, turi-stiche ed economiche, e sul-l’area pomposiana, con la mille-naria Abbazia e la zona valliva diVolano.E’ del 2006 l’inaugurazione deidue ponti che collegano l’isola

del Varano alla terraferma, con-sentendo, grazie ai loro altiarchi, la navigazione da Codigoroal mare, con benefici per tutto ilcomparto che comprende laNautica del Delta, il CircoloNautico Volano ed i due portic-cioli alla foce di Mondo eBrancaleoni. L’attuale ristruttu-razione in corso presso il CircoloNautico, che, attraverso amplia-menti e migliorie, ne trasforme-rà l’attività e l’importanza a livel-lo provinciale, ci ha visti parteci-pi fin dalla fase progettuale.Certamente questi interventicomunali vanno inquadrati neipiù ampi progetti di sviluppo ter-ritoriale provinciale, perché sipossa giungere ad una vera edefficiente rete di collegamentonautico, da Ferrara al mare,

Codigoro, strategia per losviluppo di questo territorio

Il Comune visto dal Sindaco Rita Cinti Luciani

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7laPianura

creando un’offerta turistica diindubbio valore, sia per l’Italiache per l’estero.Non dobbiamo infatti dimentica-re la valenza internazionale diFerrara e della sua Provincia,che ha ottenuto il riconoscimen-to UNESCO di Patrimoniodell’Umanità.Vie d’acqua, “strade” fluviali,ma anche le piste ciclabili sonoun punto d’eccellenza di questaAmministrazione: nel recente2008 si è inaugurato il secondostralcio del percorso che collegal’abitato di Codigoro con il com-plesso Ex Enaoli di Pomposa,sede del ristrutturato Ostellodella Gioventù, punto d’appog-gio importante per il turismoscolastico e più in generale perquello di passaggio.Nelle immediate vicinanze esi-ste un residuo storico dell’anti-co, vasto bosco litoraneo: ilBoschetto Spada, tutelato dallaProvincia di Ferrara per la suavalenza naturalistica che si inse-risce appieno nell’area del ParcoRegionale del Delta del Po.Da qui all’ Abbazia di Pomposail passo è breve. Presso questo famosissimomonastero benedettino organiz-ziamo annualmente la rassegnaconcertistica estiva “MusicaPomposa”, che quest’anno com-pirà 45 anni, poi “PomposaArte”, mostre d’arte presso laPalazzina del Turismo, unaRievocazione Storica Medievalenella seconda domenica di mag-gio, il Premio Nazionale diPoesia Caput Gauri, il gemellag-gio Pomposa-Spira all’insegna diSan Guido (che richiama ilgemellaggio con l’altra cittàtedesca di Eppertshausen), e aseguire mercatini, convegni.Una cura costante per il verdepubblico, la pulizia, il decoro del

luogo, caratterizzano l’impegnocomunale verso uno dei più visi-tati monumenti italiani, cono-sciuto in tutto il mondo.Gli ottimi rapporti con laSoprintendenza ai Beni Culturalidi Ferrara-Ravenna e con laDirezione Regionale di Bologna,hanno prodotto in questi anniprogetti culturali di alto livello.Ma il nostro territorio comunaleha anche eccellenze agricole,economiche e produttive di tuttorispetto, che rappresentanoopportunità lavorative vitali perla nostra comunità.Industrie di trasformazione deiprodotti agricoli come ConserveItalia, il maggior insediamento diquesta tipologia a livello europeoe la Falco del Gruppo Trombini,specializzata nella lavorazionedel legno compensato e profila-ti, solo per citare i due piùimportanti insediamenti indu-striali che gravitano sul trattodella Romea di pertinenza codi-gorese. Nel caso di ConserveItalia, come per la più piccola LeDue Valli, il collegamento con lavocazione agricola codigorese èimmediato e naturale e trova la

sua giustificazione nelle migliaiadi ettari di terreno coltivati agrano, mais, riso, barbabietoleed orticole (asparagi, cocomeri,carote, pomodori, ecc.), prodottiche entrano nel mercato agroali-mentare anche grazie alleCooperative Agricole, come lanostra rilevante Maiscoltori diItalba.Vasto ed importante il compartodel terziario e dei servizi aCodigoro, dove ha sede l’INPSdel Basso Ferrarese, il CADF peracqua potabile e fognature, ilConsorzio di Bonifica 1°Circondario Polesine, il CentroProvinciale per l’Impiego e lasede del Distretto Sud-Estdell’AUSL di Ferrara.Una attenta politica di nuoveacquisizioni, mantenimento epotenziamento dei servizi allapersona ed alla comunità è stataapplicata anche al compartoscolastico, dove ai già esisten-ti corsi di scuola secondariadi secondo grado (Liceo,Ragionieri, Geometri) ed ai corsidi Formazione Professionale delCPF, si sono da poco aggiunte ledue lauree triennali di infermie-

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Codigo ro s i p resenta

ristica ed informatica, sezionistaccate dell’Università diFerrara. Questo primo nucleouniversitario costituisce unprimo, importantissimo passoverso ampliamenti ed acquisizio-ni future, per dare ai nostri gio-vani la possibilità di studiaredove hanno casa e famiglia,acquisendo titoli che abbianosbocchi lavorativi.Dal Nido Comunale finoall’Università, con la possibilitàdi fruire di servizi di mensa sco-lastica (termineranno a breve ilavori di costruzione della nuovastruttura per le scuole dell’obbli-go), servizi bibliotecari, di unCinema-Teatro da poco ristruttu-rato, senza dimenticare le strut-ture sportive, palestre, campisportivi e una piscina coperta escoperta regolamentare. Molte ledifficoltà per gestire o sostenere,con le sempre più modesteentrate di bilancio, questa moledi strutture e di servizi; macoraggio ed ottimismo non cimancano ed anche il buonsensoconcreto di intervenire in aiutodove più ce n’è bisogno.Vorrei qui ricordare l’adesionedel nostro Comune al FondoProvinciale di sostegno al credi-to per le imprese, stanziandoanche fondi per il commercio.Per le fasce economicamentepiù fragili, abbiamo istituito unfondo per le famiglie mono-red-dito con capofamiglia disoccu-pato o in cassa integrazione.Ma ci stiamo adoperando ancheper la creazione di nuove oppor-tunità lavorative, attraverso l’am-pliamento dell’area produttivache gravita attorno alla SSRomea ed ai due esistenti inse-diamenti di Conserve Italia eFalco.E’ già approvato il progetto APEAper la creazione di un’area pro-

duttiva ecologicamente attrezza-ta, che aprirà il mercato del lavo-ro, offrendo opportunità ai nostrigiovani.Frequentemente, al fiancodell’Amministrazione Comunalenello svolgimento di interventi dipolitica sociale e di aiuto a varilivelli, si muovono le Associazionidi Volontariato, che sono lavera forza della nostra comuni-tà e che hanno sempre aderitocon entusiasmo e competenzaalle iniziative proposte, facen-dosi anche fautori di importan-ti eventi e campagne solidari-stiche. Quasi ogni fine settimanasono presenti, sulla piazza diCodigoro, i gazebo della soli-darietà, gestiti dalle diverseAssociazioni per reperire ifondi necessari per l’aiutosolidale e per la ricerca.Anche negli eventi comunitaripiù tradizionali e consolidati,come l’Antica Fiera di SantaCroce, non manca mai la presen-za fattiva del volontariato e dellaPro Loco di Codigoro.Vorrei terminare con alcune con-siderazioni legate alla viabilità,consapevole di non aver potuto

trattare, nel breve spazio di que-sto saluto, tutte le varie realtàcodigoresi e mi scuso di questocon chi non si è visto rappresen-tato in questo scritto.La viabilità e la tenuta in sicu-rezza delle strade, delle vie, deimarciapiedi e di tutte le materiedi competenza comunale sonouna nostra preoccupazionecostante.Per quanto riguarda i nuovi pro-getti, due sono gli interventiinfrastrutturali che trasformeran-no, migliorandolo, il movimentoveicolare di Codigoro, il primo èil completamento della circon-vallazione per collegare la stradaprovinciale Codigoro-Lagosantocon quella di Codigoro-Pomposa-Volano, allontanando dall’abitatoi mezzi pesanti e quelli agricoli.L’altro grande progetto viarioriguarda la E55, che nel trattoprovinciale avrà un casello loca-lizzato tra Codigoro e Mezzogoro. Impegni a breve, medio e lungotermine che ci impegnano e ciimpegneranno nel prossimofuturo. Nelle pagine seguentitroverete certamente una impor-tante documentazione dellanostra realtà codigorese.

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9laPianura

Piergiorgio Felletti

Codigoro, Comune ubicato anord-est nella Provincia diFerrara, occupa circa 170kmq di territorio pianeggiante,in cui risiedono 12mila733abitanti, distribuiti, oltre chenel capoluogo, anche in ottocentri di Frazione (Mezzogoro,Torbiera, Pontemaodino, Ponte -langorino, Caprile, Italba,Pompo sa e Volano); può con-tare su un’articolata rete diviabilità che si estende percirca 200 km.(di cui km. 55provinciali e km.5,3 statali).

Comune a prevalente vocazio-ne agricola, nel territorio dicompetenza sono tuttaviainsediate alcune importantirealtà industriali per la tra-sformazione di prodotti agri-coli (Conserve Italia) e per lalavorazione di cascami di legno(Falco, del Gruppo Trombini).Fino agli ultimi decenni delsecolo scorso, Codigoro ed ilsuo territorio furono sede diimportanti stabilimenti indu-striali come la “Torbiera”, perl’estrazione e la compressione

della torba (fino al 1920);lo zuccherificio “Eridania”(chiuso nel 1975); la Cartiera“Lambriana” per la produzio-ne, prima di cellulosa e poi dicarta, in attività fino al 1972,e la Cristalmeta, produzionedi cristalli colorati antisole esemiottici fino al 1990.Consistente anche il settoredel commercio, sebbene inquesto periodo viva una fasedi difficoltà e di profonda tra-sformazione, con 421 attivitàdistribuite tra Codigoro ed i

Un Comune con forte radicamentoterritoriale e antica tradizione

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Codigo ro s i p resenta

diversi centri di Frazione. Eduna buona capacità ricettiva,che annovera 4 alberghi, 2affittacamere, un Ostello dellaGioventù di prossima riapertura,un agriturismo e due Bed&break-fast.Punto nodale di traffici e com-merci, fino dall’antichità,questo territorio assunse unarilevante influenza dovutasoprattutto alla presenza di unmonastero, che i monaci bene-dettini elevarono a Pomposa(almeno dall’anno 874), allora“insula”, che estendeva lapropria influenza religiosa,culturale, amministrativa benoltre le vaste ramificazioniacquee determinate dai ramidel delta del Po, fino al loro

interrimento (rotta di Ficarolo,anno 1152), che ne segnò lalenta e costante decadenza.Fino all’abbandono del mona-stero da parte dei benedettini,avvenuto nel 1533.Una importante rivalutazionedi gran parte del territoriocomunale, in campo ambien-tale e paesaggistico, è statadeterminata dal suo inseri-mento all’interno del perime-tro del Parco regionale delDelta del Po; quindi, il Po diVolano e la sua foce, i residuivallivi di Canneviè e Porticino,il Bosco Spada nei pressi diPomposa, l’attracco nautico afini di diporto turistico diVolano ed il Taglio della Falce;ma anche la Torre della

Finanza a Volano e la Chiavicadell’Agrifoglio costituisconoemergenze naturalistiche eambientali da utilizzare e valo-rizzare ulteriormente, anche afini di fruizione da parte diun turismo verde, rispettosodell’ambiente, in grado diapprezzare questo splendidoscorcio di territorio provincia-le utilizzando la rete dellepiste ciclabili, che si estendeper quasi 16 chilometri lungoi tratti più significativi enaturalisticamente pregevoli,come il tratto Codigoro-Pomposa ed il percorso cheda Passo Pomposa, spalle allaS.S.Romea, conduce a Volano,bordeggiando l’omonimo trat-to di fiume Po.

Pomposa: L’Abbazia

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11laPianura

Piergiorgio Felletti

Le infrastrutture, viarie e ferro-viarie, rappresentano il piùgrave fattore di ritardo ed ilmaggiore limite per lo sviluppoanche nell’ambito del territoriocodigorese. Negli ultimi anni,però, si è assistito ad unainversione di tendenza, ad unaprecisa volontà programmato-ria a medio e lungo termine,per fare evolvere il territoriocomunale ed attrezzarlo a con-

Progetti concreti per il futuro

Qualificazione urbanistica, infrastrutture e un’area industrialeecologicamente attrezzata per lo sviluppo del territorio comunale

nettersi con le principali vie dicomunicazione, favorendo unaaccelerazione dello svilupposocio-economico locale.Dopo la realizzazione del primotratto - con la costruzione didue ponti per l’attraversamen-to del Po di Volano e del cana-le Baccarini, inaugurato nel2006 - è di questi giorni il con-creto avvio della fase definitivadel progetto, da realizzare in

stretta collaborazione con laProvincia di Ferrara, per lacostruzione del 2° lotto dellacirconvallazione di Codigoro,che connetterà la S.P.53 perLagosanto con la S.P. 54 perPomposa-Volano. Un trattodella lunghezza di 2 chilometrie 622 metri, per la cui realiz-zazione è prevista una spesacomplessiva di 5 milioni dieuro attraverso un finanzia-

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Codigo ro s i p resenta

mento regionale pari all’80%dell’investimento, il 10% postoa carico della Provincia ed unaquota, per circa 600mila euro,di risorse comunali. Sul nuovotracciato di circonvallazione lastima di traffico giornalieromedio è stata calcolata a pro-getto in circa 7mila veicoli algiorno, con una percentuale diveicoli pesanti di circa il 4%. Non meno importante sarà lascommessa, legata da unaparte alla predisposizione dicredibili e condivisi interventi,e dall’altra all’acquisizionedelle necessarie risorse finan-ziarie, per la realizzazione diinterventi di qualificazione eriqualificazione urbana diCodigoro e dei centri diFrazione. In particolare, sarànecessario porre mano ad unprogetto di riqualificazione

urbanistica di piazza Matteotti,vero centro pulsante della vitapaesana, che deve trovare unassetto anche architettonicopiù razionale, tale da renderepiù funzionale la sua fruizionesoprattutto pedonale ed al ser-vizio delle attività commercialiche vi gravitano. Ad una mag-giore prospettiva realizzativaappartiene il progetto diampliamento, per una superfi-cie complessiva di circa 140ettari, dei comparti per le areeproduttive, insediate nel poloproduttivo attuale di ConserveItalia, Falco, Fratelli Benazzi aCaprile e nell’area artigianaledi Pontemaodino. L’area inte-ressata avrà tutte le caratteri-stiche per assumere la valenzadi “Area industriale di 2° livel-lo”, ecologicamente attrezzata.Un’altra importante infrastrut-

tura, di cui si parla ormai da30 anni, è la E 55 che, lungo400 chilometri, dovrà collega-re Orte a Mestre. Il tracciatodella E 55 proposto dalla GefipHolding, che dovrebbe essererealizzato in project financing,attraversa per circa trenta chi-lometri il ferrarese e di questiun tratto del territorio comuna-le di Codigoro, con la previstarealizzazione di un caselloposto tra il paese ed il centrodi Frazione di Mezzogoro. Larealizzazione di questa impor-tante arteria a valenza inter-nazionale consentirà un mag-giore inserimento di Codigoronei flussi di traffico indirizza-ti alle regioni italiane delNord-Est a più elevato svilup-po economico, e, in prospetti-va, anche all’area dell’Europadell’Est.

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Neroma o Neronia, e poi CaputGauri ed oggi Codigoro, nascee si sviluppa lungo quello che,allora, era l’affluente piùimportante del grande fiumePo. A Codigoro, dalla Darsenadel Po di Volano, l’antico“Olana” caro a Plinio il giovi-ne, dalla fine dell’800 finoalla metà dello scorso secolovenivano lavorate oltre 20mila tonnellate di merci. Laflotta locale e di transito allaDarsena, posta sulla rivadestra del fiume, trasportavadi tutto. Da qui si partiva per

l’Istria a caricare legna daardere. Cereali e granaglievenivano issati a bordo deiBurchi e portati a Ferrara pas-sando per le Conche di Tieni,Boicelli e Valpagliaro. I conta-dini affidavano le loro barba-bietole alle grandi batane chearrivavano alla Funicolaredello Zuccherificio Eridania diCodigoro, dov’erano scaricatea mano, con enormi forconi,su vagoncini; ma arrivavano opartivano anche sabbia, ghia-ia e altro. Dalla stazione ferro-viaria, un paio di binari rag-

giungevano la Darsena, tra-sformando tra gli anni ’40 e’50, con pieno titolo, Codigoronella “Capitale della Bassa”.Dopo la fine del secondo con-flitto mondiale, quando dalvecchio “Olana” arrivavano aCodigoro gli alleati a bordo dipotenti motoscafi a motore,qualche giorno prima del 25aprile 1945, con l’avvento deltraffico su gomma, la Darsenacadde nell’oblio. Una vecchiagru, 6 bitte e magazzini vuotirimasero lì, per oltre 40 anni,a testimoniare l’abbandono

Codigoro e il suo fiume

Lo stretto connubio tra il paese e il Po di Volano

Vincenzo Trapella

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Codigo ro s i p resenta

dell’asta fluviale che sfocianell’Adriatico a Volano. Finoalla metà degli anni ‘80, lasuggestiva Riviera Cavallottidi Codigoro, più volte inonda-ta dalle alte maree, ha ospita-to la San Biagio e la SantaMaria, barche-studio-abitazio-ne del grande pittore, MarioCapuzzo. Venne disputataanche qualche gara di nuoto:dalla Darsena al Ponte girevo-le, in Piazza Libertà, tantegare di pesca, nonostante lamigliore fauna ittica fossequasi del tutto scomparsa,mentre le acque del Po diVola no, fino al mare, venivano,di rado, solcate da natanti. Iproprietari di barche e moto-scafi di Codigoro e di altrelocalità del Delta, hannointanto incominciato a popola-re un porticciolo privato, nato

nel 1966, quasi sotto il pontein località Volano, frazione diCodigoro. La struttura, NauticaBrancaleoni, è oggi più chemai funzionante con i suoi 90posti barca.La Nautica del Delta, nel1985 fu il primo insediamen-to per barche da diporto incentro abitato del capoluogodi comune e, oggi, ha unaestensione di 6.000 metriquadri coperti, 10 mila metriquadrati all’aperto e ben 30posti barca coperti, all’internodi un moderno magazzeno. Colpassare del tempo, anche perle maggiori possibilità econo-miche, è tornata l’attenzionelungo gli otto chilometri difiume, che tagliano e dividonola comunità codigorese, com-prendendone le potenzialitàdel ramo più meridionale del

Po, che offre opportunità turi-stiche anche per lo sbocco amare.Nel 1992, il recordman codi-gorese di pesca al tonno conla canna su barca da diporto,Lauro Sacchi, assieme ad altri9 amici fondò il CircoloNautico Volano. Ora la struttu-ra è notevolmente cresciuta:un imbarcadero di quasi 150metri e 4.000 metri quadratidi spazio, con ben 110 postibarca in acqua e 120 a terra.Il Circolo dispone infineanche di una sede sulla spiag-gia al Lido di Volano, doveraduna altre 120 fra barche,catamarani e derive. Nel1990, a Volano, Gavino Mondo,personaggio che ha traghetta-to nelle valli circostantiGiorgio Bassani in cerca diappunti per scrivere l’Airone,

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ed il figlio Valentino dannovita alla Nautica Mondo, oggiattrezzatissima e con un cen-tinaio di posti barca. Ma l’at-tenzione sul fiume si è ulte-

riormente incrementata alocalità Passo Pomposa, dovela vecchia locanda, meta findai primi ‘900 di appassiona-ti dell’anguilla ai ferri annaf-

fiata da vino rosso detto “Uvad’Oro”, fu poi lasciata inabbandono, nonostante qual-cuno dica abbia ospitato ilsommo poeta Dante in viaggioper Pomposa. A metà deglianni ‘90 un imprenditore pri-vato ha trasformato il luogo inun piccolo paradiso, nondimenticando di costruire unattracco per 15 barche e dioffrire agli amanti della pesca-turismo il noleggio delleimbarcazioni e la navigazionelungo il Po di Volano ed i suoicanali, chiamandola proprio“La Locanda del PassoPomposa”.La grande sfida del turismofluviale, seppure con un po’ diritardo, qui, a Codigoro, nelcuore del Delta del Po, grazieall’impegno del pubblico e deidiversi imprenditori è inco-minciata nel modo giusto.

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Codigo ro s i p resenta

Andrea Poli

Di barbabietole da zucchero nonse ne vedono proprio, nel pianoimpercettibilmente inclinato allasinistra della stretta taglia tellad’asfalto che da Massa Fiscagliava a Codigoro.A destra inutile indagare: da quel-la parte la strada segue i pigricapricci del Po di Volano e losguardo è chiuso dai filari di piop-pi e noci da legno disposti disghembo sugli strapizzi di terradella riva, a fornire ombrabenedetta ai pescatori del finesettimana e discreto riparo afamigliole di nutrie intente allacolazione del mattino.

Codigoro, luogo dell’anima

A sinistra, invece, la visuale sidipanerebbe a perdita d’occhionell’ordinato reticolo di campicoltivati che caratterizza la Bassa,se non fosse per la leggerissimafoschia che in lontananza scontor-na il paesaggio come in una telaimpressionista e argina la vistacon un velo sempre più spesso einsupera bile di finissime goccio-line. Il caratteristico nebulizzatodella nostra pianura, amatissimoda pittori e fotografi di ogni dovema un po’ meno apprezzato, aonor del vero, da ossa e giunturedi tutti noialtri autoctoni. Dipomodori sì che se ne vedono, con

quel colore rosso intenso chemette allegria; e granturco ormaipronto per la trebbiatura, e icampi a grano già arati; ma dibietole, come si chiamano daqueste parti, nemmeno l’ombra.Per questo sorprende la sagomaimponente delle due torridell’Eridania, che si staglianoaltissime, lì accanto alla mas -siccia fabbrica dello zucchero inrovina, ad annunciare l’arrivoall’antica Caput Gauri: abbando-nata la produzione da tempo quasiimmemore, se ne stanno lìinsulse, come in attesa di unanuova età dell’oro. Che non verrà

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mai più, vaglielo a spiegare,definitivamente affossata dallerecenti disposizioni dell’Unioneeuropea che hanno confinato lebietole italiche in anguste riserveindiane, panda vegetali da salvaredall’estinzione. La cittadina, com-plice l’orario alquanto mattutinodi una domenica di fine agosto,appare immersa in un’atmo sferacome sospesa: deserta, silenziosa,le facciate delle case tirate a calcesui toni del bianco e del giallo, ilPo lì a fianco che scorre come uncane alla catena entro imponentiargini di cemento, largo e lento,tanto lento da sembrare anche luiin un fermo immagine. Sullabanchina dirimpetto al Palazzo delVescovo alcuni pescatori stannoinnescando l’amo con gesti pre-cisi, le voci che giungono attutitesulla strada. In un canto dellapiazza l’unico segno di vita sonoalcuni tavoli - quanti saranno?quattro, cinque - ammassatiall’aperto in attesa del gran finaledella festa dell’Avis. Dal bar delteatro arriva uno scodozzare ovat-tato di cucchiaini e tazzine da

attraversa la piazza, annusa conaccuratezza il basamento, cipiscia sopra e sparisce trotterel-lando in un vicolo, per un attimoinconsapevole protagonista delromanzo che ha fatto conoscereCodigoro all’Italia e a mezzomondo: quel L’Airone, di GiorgioBassani che - come solo sa fare laletteratura di altissimo livello, equella dell’ebreo ferrarese lo è,accidenti se lo è - l’ha consegna-ta mani e piedi all’immortalità.Descrivendola per quello che deveessere sempre stata fin dai tempidei tempi: un avamposto dellevalli, un agglomerato urbano cre-ato dall’uomo per stemperare l’an-goscia di un ambiente intorno sel-vaggio e inospitale, un fortinoassediato da valli malariche in cuil’unico indizio di presenza umanasono stati per secoli i misericasoni di valle dove i pescatori sta-vano per mesi e mesi a sbarcare illunario, prima di tornare al lororassicurante rifugio di mattoni. Unutero materno, al fondo, un luogodell’anima in cui il valore dellacittà è definito non dalla qualità

caffè che non distoglie dalla suapla stica posa l’eroico fantaccinodella prima guerra mondiale issatosul piedistallo del monumento aicaduti, bandiera che garrisceorgogliosamente al vento in unamano e moschetto ben stretto nel-l’altra. Sul basamento la fiera epi-grafe con la scritta in bronzo:CODIGORO AI SUOI MORTI GLO-RIOSI DEVOTAMENTE ha cedutoal tempo che passa l’ultima i di‘gloriosi’ e adesso suona un tanti-no irrispettosa, complice anche ilnido che uno sciame di vespeimpertinenti ha allestito propriosotto la patta dei pantaloni delmilite, il cui sguardo incurantecontinua a fissare intrepido l’in-finito, sai quante ne ho passatenelle trincee del Carso, peròinsomma, con una puntina dipreoccupazione, ecco. Uno sfregioinnocente, quasi affettuoso, cheumanizza l’eroe e ti richiama allamemoria la prepotente immaginedel vecchio pointer sfrontato chein una domenica come questa,solo di un autunno avanzato chedeclina ormai verso l’inverno,

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delle architetture, i palazzi, lechiese, e le strade e le piazze, lebotteghe, come capita da tutte lealtre parti, ma dall’umanità dellagente, dai legami fra i componen-ti della comunità. Una città psico-logica, viene da dire addiritturabanale nell’intreccio urbanistico,che apparentemente spinge chiviene da fuori ad andarsene ilprima possibile, ma che poi loriattrae a sé con la forza incon-trastabile di una gigantescacalamita. Esattamente quello checapita al protagonista del roman-zo, Edgardo Limentani, avvocatoebreo quarantatreenne annoiatodella vita in arrivo da Ferrara peruna giornata di caccia in bottenelle valli. Agrario -se si può usareancora questo termine oramaidesueto -, e cioè proprietario vici-no a Codigoro di un’azienda agri-cola di quattrocento ettari dovenon mette piede da mesi e che èaffidata alle cure di un fattore, siinoltra in città solo per soddisfareun impellente bisogno fisiologico,ma col proposito di ripartirnesubito subito, perché, come dicelo scrittore per bocca sua, solodopo Codigoro e Pomposa, quandonella luce incerta del crepuscoloavesse veduto deli nearsi il pae-

un tavolo della locanda, bruna,pallida, tarchiata, molto dipinta,gli occhi neri, opachi, un po’ dabestia. E neanche dalle opere diquella gente, a cominciare dalcampo di calcio, un pelato, miserocampo di football, con le solitarietravi delle porte, alle due estre -mità, di cui anche di lontano glipareva d’essere in grado di per-cepire tutta la grigia, fra gile, tar-lata decrepitezza; o i barconi dacarico, di un color topo con gramealberature schele triche da cui nonc’era da ricavare nessun senso digioia, di vita, di libertà. O l’odoredi orina e incenso che pervade lestradine che confluiscono nellapiazza del fante stoico. Eppure citorna; e indugia in una lungapasseggiata alla ricerca di se stes-so, con la voglia di tornare aFerrara che se ne va lentamente eil desiderio di prendere casa aCodigoro che si concretizzaimprovviso nella mente come curaal mal di vivere, e va e torna comeuna lenta risacca. Alla fine l’avvo-cato Edgardo Limentani prende lasua decisione, e torna finalmentea casa per tirarsi un colpo con loschioppo da caccia. Fra le viuzzee le architetture banali e la gentecomune della città sospesa, si èinfine ritrovato, e ha scelto la suastrada. Da quella domenica dell’au-tunno millenovecentoquarantottomolta e molta acqua è passata disotto i ponti; ma Codigoro, lei,non è cambiata per niente. E’rimasta lo stesso luogo dell’animadi sempre, che sembra respin gertima in realtà ti attrae e tu non saidire perché. E’ il sottile fascinoindefinito dell’antico borgo sortoal limite estremo del mondocivile, incomprensibile e pertur-bante. Tanto etereo, subliminalequasi, quel fascino, che ci volevaproprio solo il genio di GiorgioBassani per portarlo alla luce.

saggio di terre basse, deserte,intervallate da estensioni diacque in apparenza stagnanti,eppure vive, in realtà, congiuntecome erano col mare aperto,soltanto allora gli pareva cheavrebbe cominciato a sentirsi asuo agio, a respirare. E se ne va,in effetti, al suo appostamento inbotte, ma controvoglia; e infattitorna appena possibile, nel primopomeriggio, finita una partita dicaccia che ha acuito quel sensodi straniamento dalla vita che glipesa dentro in un modo sempre piùintollerabile, alla città-magneteavamposto delle valli, con letegole scure dei suoi tetti, cosìdiverse da quelle dei tetti diFerrara. Più grosse, più irregolari:neanche se fossero state fatte amano, una per una, ma insiemecosì simili, così palesementedella stessa famiglia, attiratoapparentemente da niente. Nondalla gente, a cominciare dalpadrone dell’unica locanda cit-tadina, il vecchio ex fascista GinoBellagamba, falso e servile; nondal banchista del bar di piazza,un quarantenne dal volto grasso,come madido, e spruzzato di unabarba grigiastra di tre giorni; menche meno dalla puttana seduta a

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a g r i c o l t u r a e i n d u s t r i a

Piergiorgio Felletti

In agricoltura, con tradizione etecnologia è già futuro

La consolidata vocazione agricola di Codigoro è garanzia di stabilità eprogresso economico

La superficie complessiva del ter-ritorio comunale ha raggiunto neltempo l’estensione di circa 170Kmq. Di questi, almeno 12milaettari sono destinati all’attivitàagricola svolta da 884 azien-de (dati Servizio ProvincialeAgricoltura), delle quali 861impegnate nelle coltivazioni dicereali (421 per 6.370 ettari),frumento (146 per 1.099 ettari),orticole (208 per 1.209 ettari) eforaggio (25 per 271 ettari). Leaziende agricole di ambito comu-nale, per oltre il 50%, rilevanouna superficie utilizzata da 5

ettari a 50 ettari, mentre sonocomunque significative le azien-de (20) che superano i 100 etta-ri di superficie agricola utilizzata.Numeri da primato nel settoredegli allevamenti: nel territoriocomunale 15 aziende allevanosuini per un totale di oltre 10milacapi, che collocano Codigoro alsecondo posto subito dopoArgenta. Di ancora maggiore con-sistenza risultano gli allevamentiavicoli (214) per un totale di270mila capi, per una graduato-ria provinciale che colloca l’attivi-tà al secondo posto dopo

Lagosanto. Una consistenzadestinata ad aumentare con ilprossimo avvio di un nuovo alle-vamento avicolo per la produzio-ne di uova da parte di Eurovo,azienda di comparto di rilievonazionale, che prevede, a regime,l’allevamento di un milione e500mila capi. Pertanto, con circa2 milioni di capi, Codigoro saràcollocata al primo posto per taletipo di attività legata all’agricoltu-ra. Tra le diverse produzioni agri-cole, di rilievo per quantità di pro-duzione e qualità del prodottosono da considerare le orticole,

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con 1.209 ettari dedicati in par-ticolare a pomodoro, carote maanche cocomeri e meloni edaltre coltivazioni di settore.Coltivazioni importanti in quan-to contribuiscono a sostenere ilflusso di conferimento alle indu-strie di trasformazione di prodot-ti agricoli, soprattutto ConserveItalia ed Euroconserve, presentiin ambito comunale. In questiultimi anni si è assistito ad undecremento del movimento coo-perativo che in passato avevareso vincente la scelta di aggre-gazione dei produttori agricoli edei coltivatori diretti. Dellenumerose cooperative del com-parto solo la “Maiscoltori” diPontelangorino (costituita nel1971), fatturato da 14 milionidi euro, 6000 ettari coltivati e531 soci in una fascia che vadal Po al Mezzano, continua aprestare attività ed assistenza aisoci. Mentre aziende agricolegestite da lungimiranti impren-ditori hanno consolidato ed

ampliato aree di produzione equalificato le coltivazioni effet-tuate.

L’industria di trasformazionecome tradizione territoriale

Il comparto industriale nel terri-torio comunale vanta una lonta-na tradizione; da quasi mezzosecolo è insediato nei pressi di

Pomposa lo stabili-mento “Falco”, delGruppo TrombiniSpA, che trasformacascami di legno inpannelli.Per la trasforma-zione di prodottiagricoli, tra cuisoprattutto pomo-doro, ma anchealtre orticole efrutta, da oltre 60anni, sotto mutated enom ina z i o n isociali (da ultimo,Conserve Italia),insiste sul territo-rio comunale unafiorente industria.Oltre allo stabili-mento di Valfrutta,in funzione dal

2003, nei pressi di Pomposa, pro-duce passata di pomodoro la socie-tà Euroconserve a Pontemaodino,in un territorio particolarmentevocato a tali qualitative produ-zioni agricole.Pure con le evidenti difficoltàproduttive conseguenti alla pro-blematica situazione dell’econo-mia nazionale, continua da undecennio l’attività produttivadel neo stabilimento “FonderieCooperative di Modena”. Nel corso del corrente anno,inoltre, l’intera area ex Cartiera,situata alla periferia nord diCodigoro in via Località perFerrara, sarà riqualificata eristrutturata nei fabbricati esi-stenti e con la realizzazione dinuovi. All’interno dell’area saràrealizzato un impianto avicoloda adibire all’allevamento digalline ovaiole per la produzionedi uova, da parte della SocietàAgricola Codigoro, del GruppoEurovo.L’attività complessiva dell’im-pianto avicolo richiederà, a regi-me, l’impiego di circa 30 addet-ti, tra impiegati ed operai, sia atempo indeterminato che deter-minato, per un investimentocomplessivo di diversi milioni dieuro.

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a g r i c o l t u r a e i n d u s t r i a

Conserve Italia è la primaCooperativa in Europa operantenel settore della trasformazionedei prodotti ortofrutticoli con unfatturato di gruppo, allo scorsogiugno, di circa 1.098 milioni dieuro, di cui 670 sviluppati inItalia, e con strutture di produ-zione e commercializzazione inItalia e all’estero. Nel corso del-l’ultimo esercizio sono statitrasformati prodotti ortofrutti-coli freschi per complessive468.523 tonnellate, forniti da46 cooperative cui fanno capooltre 12.000 produttori agricoli.Il core business dell’azienda èrappresentato dalla trasforma-zione della frutta, del pomodoroe degli ortaggi, i cui prodottifiniti sono commercializzati pri-mariamente con i propri marchi:Cirio, Valfrutta, Yoga, Derby

Conserve Italia: l’attività produttivain provincia di Ferrara

Blue, De Rica, St. Mamet, Juvere secondariamente come priva-te labels delle maggiori catenedella moderna distribuzione ita-liana ed europea. In Italia l’at-tività produttiva e logisticaviene svolta in 8 stabilimenti,di cui 6 in Emilia-Romagna, 1in Toscana ed 1 in Puglia, conl’impiego di oltre 2.000 addettiequamente suddivisi tra fissi edavventizi. Lo stabilimento diPomposa di Codigoro è entratoin funzione nel maggio 2003comportando un investimento di150 milioni di euro. E’ l’im-pianto più grande in Europanel settore delle conserve orto-frutticole; copre un’area dicirca 400.000 metri quadri,120.000 dei quali coperti, conuna capacità di trasformazionedi circa 300.000 tonnellate di

materie prime fresche, prove-nienti precipuamente, per oltreil 70%, dalle cooperative agrico-le socie dell’Emilia-Romagna.Nel corso della campagna 2009sono state lavorate 238.000tonnellate di materia prima:22.000 di frutta allo sciroppo(pere e pesche), 15.000 divegetali (piselli, fagiolini e bor-lotti) e 200.000 di pomodoro. Ilpomodoro incide, sul totaledella produzione, per l’85%circa, la frutta per il 10% ed ivegetali freschi per il 6%; a que-sti si aggiungono confetture elegumi reidratati. La produzionerealizzata a Pomposa costituisceil 50,8% di quella complessivadi Conserve Italia ed il fatturatodello stabilimento si attesta sui200 milioni di euro, pari al 30%di quella totale della società. Lo

Claudio Castagnoli

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stabilimento di Conserve Italia aPomposa sorge e si sviluppa alcentro di uno dei più importan-ti bacini agricoli italiani per laproduzione di ortofrutticoli daindustria, acquisendo, per que-sto, competitività in termini dicosti e di qualità. Lo stabilimen-to di Pomposa è stato costruitocon particolare attenzioneall’ambiente, in quanto allocatoall’interno di un’area di pre-parco del Parco del Delta del Po.La valorizzazione della filiera neiconfronti dei consumatori finaliin termini di origine della mate-ria prima, sicurezza alimentare,valenza ambientale delle tecni-che di produzione e trasforma-zione, contribuisce al manteni-mento ed allo sviluppo diun’agricoltura di valore e soste-nibile. Significativa è la ricadu-ta economica dell’attività dellostabilimento sulla provincia diFerrara; il valore dell’indotto èpari a circa 30 milioni di euro di

cui circa il 50% ècostituito dal costodel lavoro. Tutta lamanodopera gravitasulla provincia diFerrara: nel 2009i dipendenti hannoraggiunto una puntadi 1.040 addetti dicui 176 lavoratori concontratto a tempoindeterminato e 864avventizi, per circa14 milioni di eurodi salari e stipendi.Rilevanti gli investi-menti in programmanel prossimo biennio:una centrale a bio-gas ed un magazzinoautomatico con unacapacità complessi-va di stoccaggio di60.000 posti, cheservirà primariamentequale sito di stoccaggio dei pro-dotti in scatola non etichettati.

Il magazzino automatico si svi-lupperà su di una superficie dicirca 30.000 metri quadri, dicui 15.600 coperti, per uncosto complessivo di 25 milionidi euro. Il secondo progetto, cheverrà attuato su un’area di25.000 metri quadri, afferiscealla realizzazione di un impian-to di digestione anaerobica, checonsentirà sia la produzione dienergia elettrica da biogas, conuna potenza di circa 1 MWatt,che coprirà il fabbisogno annuodello stabilimento (dal 25 al28%), sia un’ulteriore riduzionedell’impatto ambientale delmedesimo stabilimento.L’impianto permetterà, infatti,l’utilizzo a fini energetici degliscarti di lavorazione dei prodot-ti ortofrutticoli e dei fanghi didepurazione, che non sarannoquindi più oggetto di spandi-mento in campagna.

I NUMERI DELLO STABILIMENTO CONSERVE ITALIA DI POMPOSA

Costo complessivo: 150 milioni di Euro

Anno di inizio attività: maggio 2003 (frutta e vegetali), 2004 (pomodoro)

Fatturato esercizio 2008: 201 milioni di Euro (30% di quello complessivo di Conserve Italia)

Superficie complessiva: 400.000 metri quadrati

Superficie coperta: 120.000 metri quadrati

Capacità di trasformazione: 300.000 tonnellate

Materia prima lavorata: 238.000 tonnellate:

23.000 di frutta allo sciroppo – pere, pesche

15.000 di vegetali - piselli, fagiolini, borlotti

200.000 di pomodoro da industria

Altre produzioni: confetture – legumi reidratati

Personale: 161 fissi

864 avventizi

Ricaduta economica

sull’indotto:

30 milioni di Euro di cui 14 fra salari e stipendi.

Investimenti in corso: 25 milioni di Euro

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Il Gruppo Trombini, grazie alsuo fondatore Giacomo, hainiziato la propria attività nel1963 con lo stabilimentoFalco a Pomposa di Codigoro,che produce pannelli grezzi enobilitati e che oggi è il fiore

Lo stabilimento “Falco”

all’occhiello del gruppo pertecnologia ed investimenti,quali, ad esempio, la nuovapressa, con capannoni e nuovimagazzini, acquistati nel2002 e l’elettrofiltro installa-to nel 2007, per una somma

complessiva di circa 90 milio-ni di euro, fra i più innovativid’Europa, in grado di ridurredrasticamente le emissioni inatmosfera. Il Gruppo TrombiniSpa è uno dei maggiori pro-duttori italiani di pannelli in

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Una moderna realtà produttiva radicata nel territorio

Claudio Castagnoli

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conglomerato di legno, natu-rale, nobilitato e laminato,oltre a carte impregnate, resi-ne e bordi per l’industria delmobile. Il Gruppo Trombini èstrutturato in 5 stabilimentiproduttivi dislocati in Piemonte,Emilia-Romagna e Marche. Fula giovanissima Lorenza, figliadel proprietario AndreaTrombini, a tagliare il nastro,mentre scorreva una serie diimmagini dello stabilimentodal 1962 ai giorni nostri, inbianco e nero e a colori.L’imprenditore ravennate ricor-dò la passione e la storia,cominciata dal padre quasimezzo secolo prima, definen-do quello di Pomposa “ilcuore pulsante” dell’azien-da.” Mi piacerebbe che miopadre - affermò Trombini -vedesse questo nuovo stabili-mento, realizzato nel com-prensorio del Delta, che meri-ta questo ed altro ancora,capace di essere all’avanguar-dia nel terzo millennio”. Ilcostante aggiornamento delle

tecnologie e delle professio-nalità interne ha fatto dello

Stabilimento Falco di Codigorouna realtà industriale incostante crescita in termini dicapacità produttiva, oggigior-no equivalente a 400.000metri cubi annui per l’areagrezzo ed a 5.000.000 dimetri quadri per il nobilitato,portando, di conseguenza, adun incremento delle risorseumane impiegate in azienda.Nel corso degli anni, infatti, siè passati da 50 dipendentiagli attuali 145, oltre ovvia-mente all’importante ricadutasull’indotto.E’, infine, importante sottoli-neare che a tale crescita intermini quantitativi GruppoTrombini ha fatto corrisponde-re altrettanta attenzione alprofilo della qualità dei pro-dotti.

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Sono oltre quindici i chilometridi piste ciclabili che si snodanosul territorio codigorese. Alcunein ambito urbano, come quellalungo il centralissimo VialeGiovanni XXIII, altre di collega-mento col forese e con alcunesplendide realtà ambientali. Lapiù trafficata ed utilizzata, nonsolo da ciclisti, è certamentequella che da Codigoro arrivafino a Pomposa, partendo dal

Le piste ciclabili

cimitero e costeggiando il cana-le Galvano; realizzata daProvincia e Comune grazie aifondi dell’Unione Europea, pervalorizzare la rete dei percorsiciclabili all’interno del Parcodel Delta del Po. Un trattoasfaltato, lungo quasi 6 chilo-metri e largo due metri e cin-quanta, nel quale si socializza,divenuto occasione di incontri escambi di opinione, forse una

nuova “piazza”. Spesso, infatti,associamo la piazza ad unluogo ampio e circolare, ma nonsempre è così. È una linea chediventa cerchio. Una vera e pro-pria “piazza” o, se volete, comeveniva definita dai greci,l’“agorà” o luogo di riunione.Forse la più stretta, ma anchela più lunga, dove si camminafianco a fianco, mano nellamano, si pedala, si porta a pas-

Un modo alternativo di vivere l’ambiente

Claudio Castagnoli

Pista ciclabile

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seggio il proprio cane, si parla,senza il timore di essere inve-stiti dalle auto. Ci si salutaanche solo perché accomunatidal piacere di essere in quellostesso luogo. Del viverlo ognu-no a modo suo, ma insieme …camminando. E’ la pista cicla-bile, una scelta intelligentecompiuta dal Comune diCodigoro per ampliare gli itine-rari dedicati ad un turismo chelentamente continua a cresce-re. Una nuova “piazza”, unnuovo luogo di incontro, unaretta che diventa cerchio, percoloro che la vivono, da soli o incompagnia, ma che fa sentiretutti un po’ meno sconosciuti.

Non meno suggestiva, ma cer-tamente molto più impegnativadal punto di vista ciclistico èquella costituita dal tratto chepartendo da poco prima delponte sulla statale Romea, vipassa sotto e raggiunge l’abita-to di Volano, sempre offrendo lesuggestive visioni del Po diVolano e delle sue sponde, nonantropizzate. Serve una bici-cletta molto robusta, o addirit-tura una mountain bike, proprioperché la superficie non è stataasfaltata. Percorrere questotratto consente al ciclista, alpedone, o, come a volte succe-de di vedere, a qualche cavalle-rizzo, di ammirare gli uccelli e

la vegetazione del ramo piùmeridionale del Po. Alzando,poi, lo sguardo oltre la spondaopposta, non si può non restareaffascinati dalle vicine ValliCantone e Nuova, trasformatein importanti stazioni di pesca,dove è possibile vedere unamiriade di uccelli alzarsi in voloe a volte sorprendere i bellissi-mi fenicotteri rosa intenti a cer-care cibo, col becco immersonell’acqua. Uno spettacolo dav-vero straordinario, forse uniconel suo genere, frutto dellatutela e del rispetto che lepopolazioni locali hanno saputoesprimere per il proprio territo-rio.

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Quando la tecnologia incontrala natura, il risultato a volte èimprevedibile. Abbiamo assi-stito spesso a disastri ecologi-ci di cui non si sono ancorapagate le conseguenze, e perquesto ogni volta che si parladi parchi nazionali e oasinaturali, l’attenzione è sem-pre rivolta alla protezione ealla tutela. La garzaia diCodigoro offre invece un’evo-luzione particolare, perchédalle rovine di un’industria ènata un’area di rilevante pre-stigio ambientale e faunistico.Infatti, proprio nelle vicinanzedell’ex zuccherificio è sortauna zona rigogliosa di essenze

La garzaia

vegetali - robinie, pioppi, sam-buchi e pruni - sulle quali gliuccelli hanno costruito i loronidi.L’inevitabile contatto tra laciviltà umana e il regno ani-male implica necessariamenteuna serie di problematiche.Ed anche questa volta ci si èmossi sempre in funzionedella tutela del territorio, vistoche ogni intervento artificialepotrebbe compromettere l’in-tera stabilità ed armonia del-l’ecosistema creatosi in questianni. La più grande “città degli airo-ni” del Nord-Italia venne sco-perta quasi per caso, all’inizio

degli anni Ottanta, in questeessenze vegetali, che sorgonoattorno alle vecchie vaschedell’ex-zuccherificio e lungo ilcorso del Collettore AcqueAlte. Un’area di rilevante pre-gio naturalistico e faunisticoposta alle spalle della caden-te fabbrica, caratterizzatadagli alti camini in muratura,che qualcuno sostiene sianopunto di riferimento per ilritorno di questi delicati vola-tili. Sulla stessa area insisteanche il Centro di recuperodella fauna selvatica diCodigoro, allestito dal ServizioProvinciale Protezione Flora eFauna e gestito dalla società“Pulci.No”, che si occupa delrecupero di tutti i volatili sel-vatici bisognosi di cure nelbasso ferrarese e nel Parco delDelta del Po. Su una superfi-cie complessiva di 93.000metri quadri, da marzo adottobre, sgarze a ciuffetto,nitticore, tarabusi, garzette edanche qualche airone guarda-buoi ritornano ad occupare,per l’atavico rito della riprodu-zione, i numerosissimi nidiche insistono sulle piante diacacia e sambuco. E’ unmondo fantastico, a due passida strade ed abitazioni che,grazie alla delicatezza tipicadegli ardeidi, ha saputo rita-gliarsi uno spazio unico estrao rdinario. Entrare nellagarzaia di Codigoro significa

Un vero paradiso faunistico alle porte di Codigoro

Claudio Castagnoli

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avere un incontro ravvicinatocon una parte di natura.Qualche anno fa alcuni studiosie qualche fortunato visitatore,chiudendo gli occhi ed ascoltan-do i canti striduli delle nitticoreo di altri aironi, poterono imma-ginare di essere in un luogoincontaminato della natura. Sepoi apriamo gli occhi, come nonrimanere affascinati dalle fles-suose partenze di una garzetta,quando si alza lasciando l’ulti-mo ramo di una robinia, il piùesile, a ciondolare liberato daquel delicato volatile.Avvicinarsi troppo alla vasca delvecchio zuccherificio e schiac-ciare, magari distrattamente, unramo secco, significa mettere inallarme l’intera colonia. Proprioper ammirare la natura senzadisturbarla è stato predisposto

un sistema di video-sorveglian-za; le videocamere, posizionatelungo i bordi delle vasche didecantazione dell’ex-zuccherifi-cio, attorno a cui sono nati albe-ri di sambuco e robinia carichidei nidi di aironi, consentirannodi osservare, collegandosi alsito, in fase di realizzazione,www.comune.codigoro.fe.itquesta straordinaria espres-sione della natura. Il posizio-namento di videocamere por-terà anche alla creazione diun centro di documentazionenaturalistica del territorio,attraverso la raccolta di mate-riale filmato e la creazione diun archivio informatico, chene permetterà la diffusione inambito scolastico e di ricerca.La natura è spesso inspiegabi-le ed imprevedibile; negli anni

la colonia è aumentata e dimi-nuita come numero di volatili,ma il dovere di ognuno che laami è quello di entrare in con-tatto con ogni sua espressionein punta di piedi, con rispettoed attenzione, ammaliati solodal piacere di osservare que-sto mondo straordinario e pre-zioso. La valorizzazione diquest’area ha ben meritatol’inserimento del Delta del Ponel patrimonio mondialedell’Unesco. Tutto questo cifa capire come dalle rovine diuna costruzione artificialepossa sorgere una splendidaarea naturale, quasi a dimo-strare che la fine di un eventopuò essere vista come l’iniziodi una nuova vicenda, cheessendo ancora sconosciuta,può risultare meravigliosa.

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Claudio Castagnoli

Forse non tutti sono a cono-scenza del piccolo, ma deli-zioso bosco Spada. Piccolo,ma…in via di espansione: conla messa a dimora di quasiseimila piante si sta infatticreando una nuova areaboscata adiacente di cinqueettari, che porterà la superfi-cie complessiva a 15 ettari.Un intervento di riforestazio-ne, in attuazione degli obietti-vi di Kyoto, mirato ad accre-scere l’assorbimento dell’ani-dride carbonica. Il progetto èstata curato dal servizio naturalisti-co provinciale e prevede sianoimpiegate specie autoctone qualiFarnia, Acero Campestre, Frassinoossifilo, Pioppo e Carpino bianco,ma anche specie arbustive, sem-pre autoctone, come Sanguinella,Nocciolo, Prugnolo selvatico,Sambuco, Olivello, Viburno Palledi Neve e Frangola. Una macchiaal cui interno insiste unospecchio d’acqua circondatodalla fitta vegetazione, chediventa una meravigliosa sor-presa, quando ci si avventuraattraverso i sentieri che siinoltrano in questa piccolaselva. Un’area boschiva, diproprietà della Regione dal1987, vincolata ad Oasi diProtezione della Fauna e zonaB del Parco del Delta del Po,interessata da interventi diforestazione da parte dellaProvincia di Ferrara, relitto diuna macchia termofila a lec-cio che sorgeva su un cordone

Il Bosco Spada

Un’Oasi naturalistica di rara bellezza

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paleodunoso con direzionenord-sud, denominato Celletta.Il bosco Spada fu contemporaneoad un’altra formazione boscatalitoranea, il bosco Eliceo, che siestendeva tra Magnavacca (l’odier-na Porto Garibaldi) e Volano finoalla seconda metà del 1600, allor-quando i comacchiesi lo distrusse-ro completamente per farne legnada ardere.Il bosco Spada rappresenta,quindi, un relitto di quelle anti-che “boscaglie” che, intorno al1600, risultavano già in granparte ridotte a coltura. Ancoranel secolo scorso, tra Caprile ela strada Codigoro-Pomposa siestendeva un modesto bosco a

latifoglie e pini, giunto finoquasi ai nostri giorni con lamodesta estensione di unadecina di ettari, comprenden-ti sia il bosco Spada, dietro ilcomplesso scolastico Enaoli,che i dossi boscati delleCellette, più a nord. Il bosco èdelimitato da strade sterrateperimetrali, che possono esse-re percorse in bicicletta pas-sando ai lati del complesso exEnaoli, ove è stato allestitol’ostello. Strade sterrate checonsentono, a metà dei latipiù lunghi, di raggiungere gliingressi che portano all’inter-no del bosco, la cui visita puòessere effettuata liberamente

percorrendo i sentieri in terrabattuta, accessibili soltanto apiedi. Nei laghetti interni tro-vano rifugio alcuni uccelli, frai quali germani, aironi e galli-nelle, mentre non è infrequen-te lasciarsi sfuggire un gridodi stupore nel volo improvvisodi un fagiano che parte all’im-provviso. Così una macchiaboscata raddoppia la superfi-cie, offrendosi alla fruizione ditutti coloro che si beano nelpasseggiare in mezzo allepiante, godendo delle luci edelle immagini che questomeraviglioso mondo verde ciregala, senza mai chiederenulla in cambio.

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Claudio Castagnoli

L’antica Torre della Finanza,situata sulla riva sinistra del Podi Volano, nell’omonima frazionecodigorese, fu realizzata, su com-missione del governo Pontificio,nei primi anni del Settecento percontrollare l’accesso alla foce delfiume, riscuotere pedaggi edanche per scopi difensivi. Si trat-ta di un edificio a base quadrata,con un piano parzialmente inter-rato, con murature esterne ascarpa ed originariamente inseri-to all’interno di un terrapieno aforma di stella. Di proprietà delMinistero delle Finanze, lacostruzione è disposta su duepiani, più uno rialzato, ed è stataoggetto di lavori di restauro unaquindicina d’anni fa, quandosembrava destinata a diventareosservatorio naturalistico e cen-tro di informazioni del Fondo perl’Ambiente Italiano (Fai). E’ stata

La Torre della Finanza

aperta nuovamente nel 2008come centro visite, anche selimitatamente al periodo prima-vera-estate ed ai fine settimana,e permette di ammirare il sugge-stivo paesaggio circostante,soprattutto dall’ultimo piano, dacui si possono osservare la vicinae straordinaria Valle Bertuzzi,l’imponente Palazzo Gulinelli,restaurato e destinato a diventa-re uno dei più suggestivi alberghinel cuore del Parco del Delta delPo, la piccola zona umida diCanneviè-Porticino, la zonaumida adiacente la chiesa diVolano e l’ansa del ramo piùmeridionale del Po. C’è anche lapossibilità di avvalersi di un pic-colo ristoro che è anche un puntod’arrivo per le imbarcazioni, cosìcome dal vicino porticciolo è pos-sibile salpare per escursioni abordo di “Lagunaria”, una imbar-

cazione ecologica dotata di moto-ri elettrici. Partendo dalla Torredella Finanza, infatti, la Lagunariaconsente di assaporare, in com-pleto silenzio e quindi osservan-do la fauna senza disturbarla, iti-nerari di grande suggestioneattraverso il Po di Volano, laSacca di Goro e la torre d’avvista-mento in località Madonnina. Unpiccolo battello che contiene almassimo 14 persone e che persalpare ne richiede almeno cin-que, creando una singolare offer-ta turistica. Una torre che, se bengovernata, potrà innalzare il livel-lo turistico del nostro territorio edel Parco del Delta del Po, graziead una proposta che coniuga lavoglia di scoprire un mondounico con il rispetto per questiluoghi, che mantengono un fasci-no atavico, rimasto pressochéimmutato negli anni.

A guardia di un ambiente unico

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Le valli di Porticino-Cannevièsono un delizioso specchio d’ac-qua di circa settanta ettari, inca-strato fra il ramo più meridiona-le del Po, il Volano, la vecchiaValle Giralda ed il Taglio dellaFalce. Una zona umida infram-mezzata da dossi e barene chehanno permesso di realizzare,collegandoli con alcuni ponticel-li in legno, un’incantevole seriedi camminamenti per attraversa-re anche a piedi l’intera piccolavalle, intervallati da tre osserva-tori, uno dei quali fruibile ancheda portatori di handicap. Un bio-topo che colpisce per la presen-za dei tre fabbricati, caratteriz-zati dalla bianca struttura concamino aggettante in stile vene-to e destinati ad albergo, risto-rante e centro congressi. Un po’più isolato, il settecente-sco rosso “casone” vallivodi Porticino, raggiungibilesolo attraversando il tipicoponte d’accesso in legno,rialzabile proprio perdifendersi da eventualiaggressioni ed oggi deli-ziosa testimonianza di untempo passato, di cuirimane ancora la vecchialampada. Indimenticabilela storica struttura checostituiva uno dei luoghipiù rinomati nel campodella ristorazione, colcaratteristico caminosempre acceso da partedella famiglia Gessi, cheper anni ha gestito

Valle Porticino - Canneviè

Porticino, trasformato in veropunto di riferimento dellagastronomia tipica. Una immer-sione nei sapori, nei colori, maanche quasi un viaggio neltempo di questa valle, ben piùampia ed oggi risparmiata dallebonifiche selvagge. Se Porticinosi contraddistingue anche per ilsuo colore rosso mattone, l’altrastruttura, Canneviè, è caratteriz-zata dal chiaro dei muri, rappre-sentando il vero cuore dell’anti-ca stazione di pesca, comeespresso dai due grandi capan-noni collocati a fianco dellabella struttura in stile veneto.Ma se peculiari sono gli edifici,straordinaria è la fauna chepopola la piccola valle: ilGermano reale e la Folaga sonospecie comuni presenti con indi-

vidui sedentari nidificanti. IlGermano reale predispone ilnido sul terreno non lontano dal-l’acqua tra la vegetazione erba-cea e arbustiva, mentre laFolaga più spesso costruisce inprossimità delle rive un nido gal-leggiante, più o meno saldamen-te ancorato all’alta vegetazioneacquatica. Durante l’epoca dellemigrazioni e nel corso dell’inver-no, i nuclei di queste specie siaccrescono per l’arrivo di conge-neri migratori che provengonoda quartieri di nidificazione piùsettentrionali.Durante l’inverno giungono pureAlzavole, Fischioni, Canapiglie,Mestoloni, Moriglioni, Morette eQuattrocchi. In estate si rinven-gono il Cavaliere d’Italia, ilFraticello e il Gabbiano roseo,

Dove il tempo ha ritmi diversi

Canneviè il casone

Claudio Castagnoli

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mentre durante i passi autunna-le e primaverile e in inverno sononumerosi i limicoli. In primave-ra, i nidi delle folaghe, costruitivicino alla strada che costeggiala zona umida, consentono divedere da vicino i piccoli, fame-lici, “diavoli rossi”. Col suo volorapido e silenzioso a pochi metridal suolo, pronto a compiereimprovvise picchiate per sor-prendere la preda, sorvola lavalle un rapace delle zoneumide: il Falco di palude.Frequentano Valle Canneviètutto l’anno l’Airone cenerino,l’Airone bianco maggiore, chenella bruma invernale se nestanno infagottati nel loro corpoin attesa di una preda,l’Avocetta, il Gabbiano reale e ilGabbiano comune. C’è anche iltipico nido del Pendolino, chepensile dondola in cima ai rami,

opera sapiente di uno straordi-nario architetto con le ali. Unmondo quasi fantastico, fattodi canti d’uccelli, di voli veloci,di rumorose planate o di par-tenze di gruppo, che smuovonol’acqua rendendone tempesto-

sa la superficie, di dossi e bare-ne dove le canne si muovonoricordando le onde del vicinomare: qui, soprattutto nellegiornate che la nebbia rendeindefinite, il tempo sembraessersi fermato.

Foce del Po di Volano

Veduta di Porticino

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l a r e t e i n f r a s t r u t t u r a l e

Alberto Guzzon

Il Corridoio della E55 AdriaticaIl problema del potenziamentodel cosiddetto “corridoio della“E55 Adriatica”, nel trattocompreso tra le regioni Emilia-Romagna e Veneto, è fortemen-te sentito ormai da molti anni,sia a livello locale che, più ingenerale, a livello nazionale, inquanto costituisce la naturaleprosecuzione, verso nord, delCorridoio Adriatico.Non a caso la E55 è stataidentificata a livello europeocon un itinerario che com-prende, appunto, la S.S.309(tra Venezia e Ravenna), laS.S.71 (tra Ravenna e Cesena)e la A14 Adriatica (tra Cesenae Taranto). La E55 è, infatti,parte dell’itinerario che con-sente la connessione tra il qua-drante europeo occidentale eKiev (Corridoio V), configuran-dosi, quindi, come il principa-le itinerario verso sud a serviziodei traffici commerciali con iPaesi dell’Europa orientale.A livello locale, la particolaritàdel tratto di E55 compreso traRavenna e Venezia è che essocostituisce l’itinerario di con-fluenza delle relazioni nord-sud tra Venezia e la costa adria-tica da un lato, e l’Umbria,Roma e la costa tirrenica cen-tro-meridionale dall’altro.Questa gravosa funzione oggi èprevalentemente assolta dallasola S.S. 309 Romea, che sicaratterizza per la scarsa capa-cità della sede stradale (ad 1

Codigoro nella rete infrastrutturale

Potenziamento della E55, nuova sistemazione della Romeae circonvallazione cittadina

corsia per senso di marcia, contratte marcatamente urbaniz-zate ai margini della sede stra-dale), inadatta a sostenere glielevati flussi di traffico che, intutti i mesi dell’anno, vedonola sovrapposizione del trafficopasseggeri e merci di breve,media e lunga percorrenza.Particolarmente elevata, a que-sto proposito, risulta la compo-nente dei mezzi pesanti (pari acirca il 30-50%) che, evidente-mente, trovano convenienteutilizzare tale infrastruttura perle lunghe percorrenze tra ilNord ed il Sud. La Romea(S.S.309), infatti, è al serviziodei flussi di veicoli pesantidelle aree di Venezia, Chioggiae Ravenna per gli spostamentinord-sud; ma anche dei veicolileggeri del traffico locale, com-merciali e turistici relativi atragitti di media e lunga per-correnza tra il Veneto orienta-le, il Friuli Venezia Giulia,l’Austria e l’est europeo e lacosta adriatica da un lato equella tirrenica centro-meridio-nale con l’Umbria e Roma.In particolare, in certi periodiquesta arteria è posta al gravo-so servizio della domanda turi-stica della città di Venezia edel litorale veneto e romagnolo.Per questi motivi, ormai damolti anni, negli atti di pro-grammazione territoriale edei trasporti delle RegioniEmilia–Romagna e Veneto sonodi attualità la limitata capacità

di trasporto della Romea e lasua pericolosità, aggravatadalla “impossibilità” di un suopotenziamento mantenendo lasede stradale attuale, dovuta ainumerosi vincoli che ne condi-zionano il tracciato a trattiormai urbanizzato e con inter-sezioni stradali importanti.Sulla base di questi presuppo-sti le due Regioni, per risolve-re le criticità contingenti,hanno manifestato la comunevolontà di perseguire il poten-ziamento del collegamentostradale tra Ravenna e Venezia,sfociata nell’accordo quadrocon il Governo del 9 agosto2001, nel quale si impegnava-no a redigere un progetto preli-minare per la realizzazione diun asse autostradale di granderilevanza strategica, in varianteal tracciato attuale, denomina-to “Nuova Romea”. Detto progetto si inserisceanche nell’evoluzione del qua-dro infrastrutturale di tutto ilsettore nord orientale delVeneto che, dopo il ‘Passantedi Mestre’, prevede la realiz-zazione del raccordo anularedi Padova, con la stradain affiancamento all’IdroviaPadova–Venezia, ed il poten-ziamento del collegamentoPadova–Chioggia (Strada dei“Vivai”). Tutte queste infrastruttureaumenterebbero il loro poten-ziale se “messe a rete” dallarealizzazione del nuovo asse

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to viene proposta la riqualifica-zione di alcuni tratti dellaS.S.309, con la previsione diinterventi di valorizzazionecome piste ciclabili, illumina-zione, arredo urbano, ecc.

Il tracciatoLa necessità di un interventoinfrastrutturale comunque èlargamente condivisa, e gliulteriori affinamenti proget-tuali riguardano il possibiletracciato.Alcune alternative, fra le tanteemerse, sono rimaste valide epercorribili fino alla stesuradel Progetto Preliminare: sonoquelle aventi una valenza ten-denzialmente locale, sollecita-te dalle Amministrazioni dellesingole realtà territoriali inte-ressate e che sono state

affrontate ed analizzate, espesso accolte come positivicontributi alle “ottimizzazioniprogettuali”.Allo stato attuale tali alterna-tive possono essere citate peril loro valore essenzialmentedocumentale, essendo opzionisostanzialmente decadute:- La prima prevedeva un attra-versamento “largo” che, pas-sando ad est di Argenta ePortomaggiore, andava a rial-lacciarsi al corridoio della E55all’altezza di Codigoro, aggi-rando completamente l’areadelle ex Valli del Mezzano.Questa ipotesi progettualedeterminava un allungamentodell’itinerario di circa 20 Kme spostava notevolmente l’as-se autostradale in direzionedella direttrice A13 Bologna-Padova, penalizzando eccessi-vamente la funzionalità stessadel corridoio autostradale.- Una seconda variante, che sisviluppava tra Alfonsine e laSuperstrada Ferrara-Mare,proseguiva fino a Taglio Corellie da qui deviava verso nord,passando ad est di Longastrinoe tagliando a metà le ex Vallidel Mezzano, per ricongiun-gersi al tracciato della soluzio-ne prescelta all’altezza diComacchio. L’alternativa nonsi differenziava in modosostanziale rispetto a quelleeffettivamente analizzate inquesto Studio d’ImpattoAmbientale e sviluppate nelprogetto preliminare.- La terza opzione prevedevaun attraversamento “stretto”,in una posizione più ravvicina-ta all’Argine Agosta e all’areadelle Valli di Comacchio, tantovicina da suscitare molte per-plessità fino a divenire il moti-vo principale dell’abbandonodell’ipotesi progettuale stes-sa.

autostradale della E55. Lapossibilità di sgravare la S.S.309 dei rilevanti flussi di traf-fico attuali e futuri costituisce,inoltre, una straordinaria occa-sione di riqualificazione inchiave turistica ed ambientaledell’attuale asse, che attraver-sa anche il territorio comunaledi Codigoro.La fruizione di tali aree puòessere ulteriormente valorizzatadedicando solo ad esse, in modopreferenziale, l’attuale stradastatale, in quanto la realizzazio-ne dell’autostrada E55 offrireb-be le condizioni ottimali perlasciare alla Romea un ruolo di“Strada-Parco”, che migliore-rebbe il servizio al traffico quo-tidiano locale e a quello stagio-nale di tipo turistico- ricreativo.Con tale intenzione, nel proget-

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La Circonvallazione di CodigoroCodigoro “soffre” il traffico diattraversamento del centro daparte di mezzi pesanti e spessoanche di mezzi agricoli. Perquesto motivo ormai da alcunianni si sta lavorando ad unasoluzione del problema attra-verso la realizzazione di una cir-

convallazione esterna al paese.A tale proposito, l’inaugurazio-ne del nuovo ponte Baccarinirisale al luglio 2006. In quel-l’occasione, oltre al sindaco,Rita Cinti Luciani, sono inter-venuti il Presidente dellaProvincia di Ferrara PierGiorgio Dall’Acqua e Alfredo

Peri, Assessore Regionale allaMobilità e Trasporti. Il nuovoponte Baccarini, costituito inrealtà da due ponti gemelli,rappresentava il primo stralciodella circonvallazione sud-estdel Comune di Codigoro checollegherà la strada provincialedi Lagosanto alla strada provin-ciale che da Codigoro conducea Pomposa (la n. 54) e da quialla strada statale Romea.Questo primo stralcio della cir-convallazione è lungo circa unchilometro e attraversa prima ilPo di Volano, poi il CanaleBaccarini, un ramo minore delPo di Volano. Il progetto si inse-risce nel piano urbanisticogenerale di sistemazione ditutta la viabilità comunale esovracomunale, in funzione delpolo ospedaliero di Valle Oppio.I ponti, progettati da EnzoSiviero dello Studio Progeest diPadova e realizzati da AlissaCostruzioni, hanno una struttu-ra metallica ad arco, della lun-ghezza rispettiva di metri 70 e40. Essi, per l’eleganza e laleggerezza delle loro forme, sipresentano elementi di grandepregio architettonico-paesaggi-stico rispettosi del contestoterritoriale di grande sugge-stione naturalistica in cui siinseriscono. Inoltre, propriograzie alla considerevole altez-za del Ponte Baccarini (5 metridalla linea di galleggiamento),Codigoro potrà riprendere lasua vocazione nautica, consen-tendo la navigazione fluvialedei natanti sul Po di Volanofino al mare (1). Per imprimere un nuovo slancioe dare prova di concretezza aldisegno futuro della viabilitàdel proprio territorio, il Comunedi Codigoro ha successivamen-

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te approvato il progetto prelimi-nare del secondo stralcio dellacirconvallazione, che compor-terà un investimento per cinquemilioni di euro. L’elaborato,realizzato dalla Provincia diFerrara, prevede la costruzionedi un secondo tratto, della lun-ghezza di poco meno di tre chi-lometri, che consentirà a coloroche provengono da Lagosantodiretti alla Romea di evitarel’ingresso nel centro cittadinocome succede attualmente. Ilcollegamento futuro prevedeinfatti che, superando i duenuovi ponti realizzati sui duerami del Po di Volano, si creiuna ‘bretella’ attraverso laquale gli automezzi si possanoimmettere direttamente sullaprovinciale 54, che da Codigoro

porta a Pomposa, o sulla stata-le Romea. Il progetto comples-sivo dell’intera circonvallazioneprevede che si “aggiri” l’interoabitato di Codigoro e che dallastessa provinciale 54 ci sipossa immettere direttamentesulla via per Ferrara. Un similedisegno per essere completatorichiederà altro tempo e altreopere; tuttavia, questo secondotratto aiuterà a deviare il traffi-co pesante, che sempre menosi concilia con la vita nel cen-tro o nelle immediate vicinan-ze.Il Sindaco, Rita Cinti Luciani,non esita a definire questa rea-lizzazione come “un’operaassolutamente essenziale siaper depotenziare l’impatto deltraffico, con particolare atten-

zione ai mezzi agricoli cheattraversano il centro cittadino,sia per consentire una maggio-re razionalizzazione della viabi-lità per coloro che devonorecarsi verso l’ospedale delDelta”. Alla Provincia sono statiattribuiti i compiti di stazioneappaltante, autorità esproprian-te e soggetto beneficiario del-l’opera, oltre a quelli dellaredazione ed approvazione delprogetto definitivo ed esecutivoe di coordinamento generale.

NOTE

(1) Comune di Codigoro – ReteCivica, Provincia di Ferrara uff.Stampa, Quotidiano del Nord del14 dic.09

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l a r e t e i n f r a s t r u t t u r a l e

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La “Nuova Romea commerciale”

Una infrastruttura indispensabile per lo sviluppo economico

Corrado Padovani

Già la rete di progetto stradale,individuata nei primi anniOttanta dal Piano dei Trasportidella Regione Emilia-Romagna(P.T.R.), che costituiva il qua-dro di riferimento per tutte lepolitiche di assetto infrastrut-turale, prevedeva la creazionedi un grande “sistema” retico-lare Est-Ovest, rappresentatodalle direttrici E-45 (Orte –Ravenna), ed E-55 (Romea),oltre che dalla Ferrara - Mare,adeguatamente potenziata,dalla S.S. 16, e, naturalmente,dalla Cispadana. Questi criteri sarebbero poistati riaffermati, nel più ampiocontesto delle politiche comu-nitarie dei trasporti, anche conla progettazione del “CorridoioAdriatico”. In realtà, le politiche infrastrut-turali, nella prospettiva delloscenario di finanza pubblicamolto restrittivo che si profilaper i prossimi anni, rischianodi rappresentare un vincolopesante e duraturo non soltan-to per le potenzialità di svilup-po del territorio ferrarese (bastipensare alle diseconomie gra-vanti sul settore turistico!), enaturalmente del comune diCodigoro, ma anche per la suasostenibilità, come si verificain particolare nel caso del trat-to ferrarese della Romea. Unasse che riveste un ruolo pres-soché esclusivo per le comuni-cazioni della riviera adriaticacon il Veneto, ma che registra,

purtroppo, anche elevatissimilivelli di mortalità da incidente,congestionamento del traffico einquinamento dei territori attra-versati.

Secondo la progettazione rea-lizzata dalla Provincia diFerrara, la “Nuova RomeaCommerciale” dovrebbe dun-que sopperire alle attuali,drammatiche carenze infra-strutturali esistenti. Il proget-to della nuova infrastrutturaprevede uno sviluppo com-plessivo di circa 125 Km. traMestre ed Alfonsine, 49 deiquali in Emilia-Romagna e 76nel Veneto: lo standard è deltipo autostradale.Esso completa il collegamen-to internazionale della E-45,offrendo un itinerario alternati-vo ai traffici diretti nelle regio-ni padano-venete, che attual-mente utilizzano l’autostradaA13, oppure la attuale RomeaS.S. 309, in condizioni struttu-rali e di traffico disastrose.Essa infatti consentirebbe diqualificare la attuale Romea -decongestionata anche dallaeliminazione dei fatidici “buchineri”, grazie alla creazione diappositi by-pass in prossimitàdelle uscite più frequentate -come la strada turistica diaccesso al Parco del Delta edagli stessi Lidi comacchiesi,dirottando il traffico veloce ecommerciale sulla E-55.La nuova infrastruttura consen-

tirebbe inoltre di attenuare cri-ticità di deflusso presenti sul-l’autostrada A14 nel trattoBologna-Rimini, attraendoneparte dei traffici.

L’obiettivo di fondo, insomma,è quello di alleggerire unastruttura “a pettine”, in dire-zione del mare, interamentegravante sul tracciato storicodella S.S. Romea. Il suo ruolo,concepito per soddisfare lamobilità locale proiettata versola costa, è infatti profondamen-te mutato in termini sostanzia-li. Come effetto della realizza-zione della E45, della crescen-te complementarietà delle eco-nomie del Delta (si pensiall’agricoltura ferrarese ed aquella rodigina), e, non da ulti-mo, di una crescente domandadi traffico sull’itinerario adriati-co, la S.S. 309 si è gravatadelle funzioni tipiche della via-bilità primaria di tipo autostra-dale, senza averne minima-mente le caratteristiche.Anzi: subendo nel contempoquelle limitazioni di fruizioneche le derivano dai circostantivincoli ambientali e paesaggi-stici.

D’altra parte i tempi sono sem-pre più stretti, non soltanto perfronteggiare la drammaticaemergenza traffico che si mani-festa nei numerosi “puntineri”, ma anche per preservarein una logica di sviluppo soste-

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Camere di Commercio regiona-li tramite Unioncamere E.-R.,volto ad estendere ed a qualifi-care la reciproca collaborazionein materia di politiche e diinterventi per la competitivitàdel sistema delle imprese. Essoribadisce con forza, tra l’altro,che proprio l’assetto infrastrut-turale rappresenta un fattoredeterminante per uno svilupposostenibile dell’economiaregionale, oltre che una levacompetitiva indispensabile perla crescita delle imprese.

nibile il grande valore ecologi-co del sistema del Parco delDelta, e quindi le potenzialitàdi ulteriore crescita del settoreturistico. Anche se, per reggereil costante incremento dei traf-fici pesanti di collegamentonord-sud, oltre agli interventiviari (Romea e nuova circonval-lazione di Codigoro, di cui parlaAlberto Guzzon nell’articoloprecedente), sarebbero indi-spensabili pure interventi sullarete ferroviaria (linea Codigoro-Adria), trasferendo una parte

del traffico da gomma a ferro.

Va ricordato in tal senso che laCamera di Commercio, per lasua stessa natura istituzionale,rappresenta un punto di snodotra la funzione di pianificazio-ne strategica dello sviluppo, daun lato, e la definizione diinterventi operativi, dall’altro:insomma, tra le funzioni diindirizzo e quelle di gestione.E’ questo anche lo spirito del-l’accordo-quadro, siglato tra laRegione Emilia-Romagna e le

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P o m p o s a

Gianna Braghin

Scrivere dell’Abbazia di Pomposaè misurarsi con la sua storia ultra-millenaria, con il suo campanileche svetta a 50 metri dal suolo,arditamente appoggiato su unbasamento senza fondamenta: unmiracolo di architettura ancora ingrado di stupirci per la sua armo-niosa eleganza, visibile da moltolontano, nel tratto dell’antica ViaDe’ Romei (attuale Strada Statale309 Romea) che un tempo con-duceva i pellegrini a Roma e oggiunisce le città costiere di Veneziae Ravenna.

Un monastero benedettino nelDelta del Po

Un millennio di fede e cultura

Essere ultramillenari significa,per la nostra Abbazia, aver assi-stito alle vicende e trasformazio-ni politico-ambientali del Deltadel Po riuscendo a sopravvivereed a portare fino ai giorni nostri ilsuo messaggio di spiritualità,armonia ed eccellenza artisticaed architettonica.Le sue origini si perdono nell’AltoMedioevo: la prima notizia scrittadell’esistenza di Pomposa la leg-giamo in una pergamena dell’an-no 874.A quell’epoca Pomposa era poco

più di un eremo, sorto presso lafoce storica del fiume Po, suun’isola fertile e boscosa (l’InsulaPomposiana), circondata dalleacque del Po di Volano a sud, delPo di Goro a nord e del marAdriatico ad est.Un luogo ideale per il raccogli-mento spirituale e per la più fede-le applicazione della RegolaBenedettina, che riconoscevanell’alternanza del lavoro e dellapreghiera la sua essenza piùautentica.Per capire lo sviluppo e la cresci-

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ta del monastero benedettino diPomposa nei secoli successiviall’anno Mille, bisogna pensareall’importanza economica esociale che i monasteri assunseroin tutto il periodo medievale,soprattutto grazie alle donazioniche ne arricchirono il patrimoniodi possedimenti, rendendoli stra-tegici nelle manovre di potere traPapato e Impero, e successiva-mente Signorie locali.Sorta da una “costola” dellaChiesa di Ravenna, Pomposa fu,fin dalle sue origini, fortementedebitrice della cultura e dell’arteravennate, riutilizzando in grande

abbondanza pietre, colonne,capitelli e pulvini provenienti dachiese dismesse di quell’area etraendo a piene mani ispirazionedalle stile bizantino per le sceltearchitettoniche e decorative.Tipico dello stile bizantino è ilricorso ad un bestiario (spessofantastico) per rappresentare con-cetti religiosi astratti, altrimentiincomprensibili per i fedeli, per lamaggior parte analfabeti.Pomposa è ricchissima di questasimbologia tratta dal mondo ani-male: già nella facciata dell’atriosono ben visibili le rappresenta-zioni speculari in pietra del leone,

dell’aquila e del pavone, cherichiamano i temi della resurre-zione, mentre il loro numero allu-de alla trinità. La presenza dimotivi bizantini, tratti dal mondoanimale e vegetale, di ispirazioneorientale, soprattutto persiana, èriscontrabile in tutto il complessoabbaziale ed in tutte le sue piùdiverse forme espressive: bassori-lievo, affresco, mosaico pavimen-tale e tarsia.Animali simbolici e racconto perimmagini erano mezzi largamen-te usati nel Medioevo per diffon-dere le sacre scritture, è il concet-to della “Biblia Pauperum”, laBibbia dei poveri, intesi comeanalfabeti e quindi non in gradodi leggere direttamente i testiscritti, in un’epoca in cui la cono-scenza diretta delle SacreScritture era appannaggio dipochissimi studiosi, quasi esclu-sivamente uomini di Chiesa.E non si può parlare di Pomposasenza ricordare i personaggiimportanti e famosi (religiosi elaici) che hanno contribuito,direttamente o indirettamente,alla crescita dell’Abbazia.Emblematica per l’intera storiadel monastero rimane la figuradel nobile Guido degli Strambiatidi Ravenna, abate di Pomposadal 1002 al 1046, promotore diun fecondo periodo spirituale eculturale che attirò in questoluogo personaggi del calibrodi Gebeardo, arcivescovo diRavenna, spettatore attonito delmiracolo della trasformazionedell’acqua in vino, ad opera delSanto, sapientemente rappresen-tata da un grande affresco delRefettorio, opera di scuola rimi-nese, forse dello stesso Pietro daRimini.Durante l’abbaziato di San Guido,soggiornano a Pomposa anche

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San Pier Damiani, Bonifacio diCanossa (padre della più celebreMatilde), e un altro Guido, mona-co e musicista, detto “d’Arezzo”,ricordato dalla storia per l’inven-zione del rigo musicale, cioè di unnuovo, universale linguaggio chepermetteva la comprensione ed ilriconoscimento immediato deisuoni, liberando gli interpretidalla fatica di imparare ognipezzo a memoria, come di fattoaccadeva con il canto gregoriano.Questa straordinaria invenzione,nata anche dalla necessità diinsegnare la musica, suscitò l’in-vidia degli altri monaci e anche laloro diffidenza rispetto ad unmetodo così rivoluzionario, tantoda costringere il monaco Guidoad andarsene da Pomposa ripa-rando ad Arezzo.Il fermento religioso e culturale,culminato nell’XI secolo attornoall’Insula Pomposiana grazieanche all’appoggio politico diOttone III, che durante una visitaal monastero, nell’anno 1001, gliconcesse il titolo di ImperialisAbbatia, andò affievolendosi già apartire dal secolo successivo, acausa, soprattutto, del verificarsidi una calamità naturale: lacosiddetta “rotta di Ficarolo”deviò la foce del Po verso nord,impaludando il territorio attornoall’Abbazia.L’ambiente, divenuto malsano einfestato di zanzare, condizionòin modo determinante il destinodella comunità monastica bene-dettina, che resistette alle diffi-coltà ambientali coltivando e ten-tando di bonificare il territorio cir-costante, divenuto terraferma,fino al XVII secolo, quando i pochimonaci superstiti si trasferironopresso il monastero di SanBenedetto a Ferrara.Dalla gloria dell’abbaziato di San

Guido, quando la fama del mona-stero era così alta da attrarre a sében cento monaci, al lento decli-no che portò alla soppressionepapale del 1663, l’Abbazia haconosciuto periodi altalenanti dibuona e cattiva sorte, influenzatidagli eventi ambientali, storico-politici e spesso anche dal buon-governo degli abati, molti deiquali hanno promosso e realizza-to opere di migliorie e di amplia-mento degli ambienti conventua-li, di cui purtroppo oggi ci resta-no solo pochi esempi, raccoltiattorno al primo chiostro che nonera l’unico. Infatti, la cartografiastorica giunta fino a noi descriveun monastero proteso verso sud;molto più ampio di quello attual-mente visibile, un complessoarchitettonico che era a tutti glieffetti una cittadella, concepitacon una struttura funzionale cor-rispondente ai dettami della rego-la benedettina: la chiesa, il cam-panile, il cimitero, il chiostroattorniato dagli ambienti dellavita comune e tutt’intorno gliambienti lavorativi, mulino,forno, stalla.Tra gli ambienti sviluppatisi a suddel convento attuale e andati irri-mediabilmente distrutti si anno-vera anche la famosa bibliotecadi Pomposa, situata presumibil-mente al primo piano, parallela-mente al vasto dormitorio, in dire-zione sud-est.Questa biblioteca, che in originenon era ospitata in una sala ma inun “armarium”, conteneva, allafine dell’anno Mille, testi di S.Agostino, S. Ambrogio, Seneca,Tito Livio e molti “libri santi”,come risulta dai documenti diinventario pervenutici; insommanell’epoca di maggior splendoredi Pomposa, la sua biblioteca eraancor più rifornita di quella, allo-

ra in fase di ricostituzione, delVaticano.L’antica biblioteca di Pomposaviene in gran parte trasferita aFerrara nel 1553, data di trasfe-rimento dell’abate. Durante ilperiodo napoleonico le pergame-ne vengono disperse tra il mona-stero di Montecassino, l’archiviodi stato di Roma, le biblioteche diMilano, Ferrara e Modena. E’ proprio nel periodo napoleoni-co che Pomposa venne soppressae messa in vendita: fu trasforma-ta in azienda agricola e nelle suesale affrescate furono rimessatiattrezzi di lavoro e ospitati anima-li da allevamento.L’incuria e le intemperie fecero ilresto, fino al riscatto del comples-so abbaziale da parte dello Stato,all’indomani dell’Unità d’Italia.Seguirono fondamentali lavori direstauro durante la prima metàdel ‘900, più precisamente i lavo-ri di ripristino durarono, con qual-che interruzione, dal 1925 al1977, anno di fondazione delMuseo.Una storia tanto complessa e tra-vagliata non ha cancellato la bel-lezza e la suggestione diPomposa, che cattura la vista giàda lontano, all’apparire dell’altocampanile, per poi rivelarsiappieno davanti alla sua eleganteed essenziale facciata romanicaed all’atrio che accompagna edinvita il visitatore verso l’internodella chiesa, dove il colore dellescene sacre affrescate occupaogni spazio ed ogni pensiero.Un “progetto pittorico” molto bencongegnato, iniziato sotto l’abba-ziato di Andrea (ritratto nel catinodell’abside, ai piedi della Vergine)e realizzato da Vitale da Bolognae dagli allievi della sua scuola, nelcorso del XIV secolo, allo scopo diinsegnare le sacre scritture

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(Antico Testamento in alto, NuovoTestamento nella parte mediana escene dell’Apocalisse sopra gliarchi delle colonne), ma anchecome monito: la controparete del-l’ingresso della chiesa rappresen-ta il giudizio universale e la sepa-razione, ad opera del Cristo, deibeati dai dannati, dove la descri-zione degli inferi è particolarmen-te crudele e violenta ed il primodannato, spinto dalla spadadell’Arcangelo Michele, è proprio

un monaco: un modo, per lacomunità monastica, di fare il“mea culpa” perché “chi ha piùpromesso, maggiormente è tenu-to a mantenere”.Dalla parte opposta della navatacentrale, nel catino absidale,Vitale da Bologna disegnò unadelle più belle Madonne delTrecento: un incantevole voltorivolto al Cristo in trono nellamandorla che rappresenta lacreazione, ed un manto tempe-

stato di stelle dorate, rilucenti albuio. Nel primo arco di sinistra, lastella a otto punte con la scrittaPomposia, dove la stella simbo-leggia Santa Maria Assunta, a cuiè dedicata la chiesa.Il regolare chiostro, a lato dellachiesa, un tempo circondato daedifici e da mura, dai quattro latie coperto da un porticato conti-nuo, introduce alle sale conven-tuali che conservano ancora affre-schi trecenteschi di pregevolissi-ma fattura, tanto che, per uncerto tempo, la critica d’artepensò alla mano di Giotto, soprat-tutto per la crocifissione dellaSala del Capitolo.Il refettorio conserva, miracolosa-mente intatti, i grandi affreschidella parete ad est, dove il temadel convivio viene rappresentatocon una originalissima UltimaCena, sviluppata attorno ad untavolo rotondo, seguita dalla rap-presentazione di una Deesis e dalmiracolo di San Guido, nellaparte di destra della parete mede-sima.Forte è l’impatto visivo di que-sta grande parete affrescata perle centinaia di migliaia di visita-tori che ogni anno vengono aPomposa.Si calcola che quasi un milionedi persone sostino, ogni anno, inquesto luogo, ai giorni nostri pro-tetto da una legge dello Stato etutelato dalla Soprintendenzaai Beni Culturali di Ravenna-Ferrara. Qui il Comune diCodigoro organizza stagioni con-certistiche, mostre d’arte, rievo-cazioni storiche e convegni, perdare continuità, pur nel muta-mento dei tempi, alla natura-le vocazione dell’Abbazia diPomposa alla spiritualità, allacultura e, naturalmente, all’ac-coglienza.

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Claudio Castagnoli

“Pomposia Imperialis Abbatia” èla manifestazione che meglioesprime l’importante storia dipa-natasi nel territorio codigoreseche trova la sua massima subli-mazione nel millenario complessoabbaziale, dove il monaco Guidoinventò il rigo musicale. L’idea direalizzare una RievocazioneStorica nel luogo, da sempre, nelcuore dell’intera comunità codi-gorese e delle genti dell’antica“Insula pomposiana”, nasce inoccasione della stesura del pianodelle attività istituzionali a carat-tere culturale della Pro Loco diCodigoro, per l’anno sociale2003/2004. Un momento, che sivive nel secondo fine settimana dimaggio d’ogni anno, capace dicreare una suggestiva atmosferamedievale con l’allestimento, nelparco circostante l’abbazia, del-l’accampamento degli armigeri,del Borgo dei contadini, di quellodei pescatori, del campo degliarcieri e degli sbandieratori, cheanimano le giornate della rievoca-zione storica. Degne di attenzioneanche la “Via delle Erbe” e quel-la delle “Arti”, ricchissime diespositori. “Pomposia ImperialisAbbatia” esprime anche la capa-cità di interessare tutte le associa-zioni della frazioni e del capoluo-go di Codigoro, chiamando poianche quelle di alcuni comunivicini, col coinvolgimento di oltretrecento figuranti. Una significati-va coesione sociale tra le variecomponenti della comunità codi-gorese, che in modo unitario ed

La rievocazione storica “PomposiaImperialis Abbatia”

Un ritorno al passato per ricordare le radici

allegro si trovano impegnate inuna grande festa che è anche con-divisione di storia e di cultura.Ogni anno la locandina, che indi-ca il tema storico della manifesta-zione, è magistralmente interpre-tata dal pittore codigorese GiorgioPerelli, bravissimo nel portare sutela un momento della vita abba-ziale attorno all’anno Mille.Importante, a testimonianzadel valore dell’appuntamento,il patrocinio della Provincia,della Soprintendenza per iBeni Architettonici di Ravennae Ferrara e dell’Archidiocesi diFerrara–Comacchio, per unamanifestazione ormai, a pienotitolo, inserita nel novero di quel-le di maggior rilievo svolte nellanostra provincia. L’iniziale ambi-zioso progetto, che si proponevaanche la ricostruzione della iden-tità collettiva del territorio codigo-rese attraverso la riscoperta della

sua antichissima storia, in parti-colare di quella legata alla straor-dinaria stagione pomposiana -che vide il monastero benedettinodiventare la meta dei personaggipiù rilevanti apparsi tra medioevo,umanesimo e rinascimento - ècertamente stato raggiunto. Chivolesse riscoprire una parte dellastoria che orbitò attorno al com-plesso abbaziale di Pomposa,potrà riviverne i colori, i suoni edanche gustarne i cibi dell’epocanel secondo fine settimana dimaggio. Un valido contributo perla valorizzazione del territoriocodigorese, per la promozione delturismo e delle tradizioni locali,nonché per rendere sempre piùsaldi i legami esistenti tra l’interacomunità dell’Insula Pomposianaed il suo celebre complesso abba-ziale, la cui fama, nel corso deisecoli, lo rese un importantepunto di riferimento culturale.

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Gianna Braghin

Il Palazzo della Ragione diPomposa merita uno spazio a sérispetto agli altri edifici delmonastero benedettino, nontanto per il suo valore storico edarchitettonico, ma per la…caparbietà grazie alla quale èriuscito a sopravvivere alle molteminacce, di ogni genere, di cui èstato oggetto nel corso della suaesistenza millenaria.Se si potesse attribuire ad unedificio una qualità umana, ilPalazzo della Ragione potrebbe

Il Palazzo della Ragione

La sua storia, il recupero e un’idea per il suo futuro

senz’altro fregiarsi di quelladella tenacia e del coraggio.Costruito anch’esso nell’annoMille, come il resto dei manufat-ti ancora visibili, ed unito alcomplesso monastico per mezzodi edifici e muri di collegamentoe protezione verso l’esterno, ogginon più visibili, il Palazzo dellaRagione era, fin dalle origini,luogo di amministrazione dellagiustizia da parte degli abati suiterritori che ricadevano sotto laloro giurisdizione, vista anche

l’autonomia di governo di cuigodeva Pomposa a seguito dellavisita dell’imperatore Ottone IIInell’anno 1001.Molti erano i territori controllatiamministrativamente ed econo-micamente dalla nostra Abbaziache, oltre ad un potere diretto sututta “l’insula pomposiana”,delimitata dai due rami delfiume Po, quello di Volano a sude quello di Goro a nord, avevadiritti anche sulle saline diComacchio ed altri importanti

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P o m p o s a

I liquami, l’umidità, la mancan-za di opere murarie di salvaguar-dia e l’incuria, fino a tutto il XIXsecolo, ma anche la mancanzadi muri trasversali (il pianterrenoed il piano superiore erano for-mati da due grandi sale sovrap-poste) ed il peso eccessivo dellamuratura dopo la chiusura dellagalleria d’archi al piano elevatonell’età dei Comuni (XIV secolo),per dotare il piano superiore diuna grande sala destinata alleriunioni collettive, trasformaronoquesto gioiello architettonico daldoppio ordine di loggiato, di ispi-razione romanico-veneziana, inun rudere soggetto a continuicrolli.Dell’antico Palazzo della Ragio -ne, simbolo del potere civico,dotato anche di una bella torre,meno elevata certo del campani-le della chiesa, ma tale da rap-

presentare il potere amministra-tivo e terreno, rispetto all’altro,spirituale e religioso, secondo ildualismo che vedeva questi duepoteri fronteggiarsi durante ilMedioevo, restava agli inizi del‘900 del secolo scorso soltantouna facciata malamente puntel-lata e cadente, già rimaneggiataall’epoca dei Comuni, a seguitodell’intervento di chiusura delloggiato superiore e della realiz-zazione di cinque grandi finestread arco acuto.Quello che successe in seguito èstoria recente e legata in modoquasi emblematico alle nascen-ti, moderne teorie e tecniche delrestauro, che tanto alimentaronoil dibattito culturale nella primametà del secolo scorso.Si passò così dal restauro “stori-co” dell’Annoni, soprintendentestraordinario ai Monumenti della

possedimenti, frutto di donazio-ni, in molte parti d’Italia, dalVeneto al Piemonte e giù finoall’Umbria.Il monastero si ingrandì e pro-sperò fino alla metà circa del XIIsecolo, anno in cui la deviazionedel delta del Po verso norddecretò l’impaludamento di que-st’area ed il lento ed inesorabiledeclino di questo luogo, untempo definito “Monasterium inItalia primum”.Una pianta della fine del secoloXVI, redatta in concomitanza delpassaggio di Pomposa al mona-stero di San Benedetto a Ferrara(1496), indica il Palazzo dellaRagione come “già Palazzo delpodestà hora stalla de cavalle”,uso che più improprio e dannosonon si poteva trovare e che fu lacausa prima del suo grave degra-do.

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prima del 1977 e conservati nelMuseo dell’Abbazia. AlessandroVolpe, fine studioso di Pomposa,nel testo “Pomposa. Storia,Arte, Architettura”, di Corboeditore, parla con entusiasmodi questa composizione artisti-ca, attribuendola ad Altichiero,il grande pittore veronese, atti-vo a Padova verso la fine delTrecento.E’ possibile che tutto il Palazzodella Ragione fosse affrescato daquello che è tuttora consideratoil maggiore tra i pittori padovanie dell’Italia intera della finedel Trecento, quell’Altichiero,appunto, che è sicuramente(come afferma il Volpe), autoredella Madonna conservata alMuseo di Pomposa.Una sinopia, e quindi un dise-gno, della complessità e com-pletezza di una pittura, con unsenso della luce e del chiaroscu-ro tali da non far sentire la man-canza del colore.

La Vergine, seduta su un tronoarchitettonico, regge, usando leparole del Volpi: “il più tenero emobile fra i Bambini trecente-schi”. Dopo i descritti restauridei primi del 1900, in questiultimi anni, in concomitanza colGiubileo del 2000, ci furono, daparte della Soprintendenza per iBeni Architettonici di Ravenna-Ferrara, interventi interni riguar-danti le sale del piano inferioree superiore e la destinazione dibiglietteria e bookshop del pian-terreno.La destinazione per il primo,scenografico piano del Palazzosembra essere quella della pro-mozione culturale e turistica,attraverso un accordo, tra laSoprintendenza ed il Comune diCodigoro, in seguito al quale lastruttura verrebbe utilizzata perconvegni, mostre, incontri cul-turali ed istituzionali. Un utiliz-zo consono al suo significato ealla sua storia millenaria.

Romagna, che nel 1920 puntel-lò ciò che rimaneva dell’edificio,usando travi e piloni in cementoarmato, con l’intento di eseguireun intervento di “ conservazionea cimelio e a rudere”, alla diver-sa interpretazione del lavoro direstauro, messa in opera dal suosuccessore, il soprintendenteLuigi Corsini, che a partire dal1925, demolì quasi interamen-te, ricostruendolo secondo il pro-getto originario, non senza qual-che libera interpretazione, ilPalazzo della Ragione, cosìcome ancor oggi lo possiamovedere.Nell’opera di demolizione e rico-struzione furono distrutti i pochirimanenti lacerti degli affreschiche, soprattutto nella controfac-ciata, decoravano, com’era pertutti gli ambienti di Pomposa,anche questo edificio.Affreschi di scuola veneta di cuici sono rimasti una sinopia ed unframmento di pittura, strappati

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P o m p o s a

Andrea Nascimbeni

Pomposa, la sua abbazia, la suastoria ultramillenaria, si pongo-no quale faro di civiltà, di impe-ritura e immemorabile grandez-za. Deserti gli spazi, che untempo furono centro pulsante divita monastica, ecclesiale, cul-turale, civile, rimane a noimoderni - spesso dimentichidelle proprie radici eppure eredidi un passato glorioso - tassativol’ammonimento di S. Ambrogio“nova semper quaerere et partacustodire”, che è uno spronealla ricerca ed un invito a nondissipare quel tesoro, per tra-smettere alla posterità un patri-monio di cui siamo soltantoamministratori. La titolazionedelle parti dello scritto, affattodebitrice di alcuna simpatiadell’autore per i numeri primi,sta a significare: uno, il giornoimpiegato dalle sorelle Noyesper la gita a Pomposa; tre, glianni ivi trascorsi da San PierDamiano; cinque, quelli dedi-cati da Don Placido Federici,monaco benedettino cassinese,allo studio in loco sfociato nellaRerum Pomposianarum Historia.Neanche a farlo apposta, il“cinque” è più corto del “tre” edell’”uno”, segno che la visnumerica proprio non c’entra.(*) L’autore ringrazia sentitamen-te la dott.ssa Mirna Bonazza dellaBiblioteca Ariostea per le imma-gini delle pagine 52 e 55.

Si erge, armonica e silenziosa,tra il Po di Volano a sud, il

Pomposiana

Gaurus (oggi scomparso, da cuiCaput Gauri, Codigoro) ad oveste il ramo dell’Abate a nord,Pomposia. Insula Pomposiana,chiamarono l’intorno - complicela corografia che non c’è più - imonaci benedettini che qui sistabilirono in cerca di solitudi-ne e di pace. Rivisitando l’incan-tevole Abbazia e rileggendo iversi nel marmo scolpiti con iquali Giovanni Pascoli inneggia-va alla sua vita millenaria HAS SEGETES LAETAS LONGIS-SIMA VENTILAT AETAS HIC MIHICUM FIDO MONACHUS CANITAGMINE WIDO (1) accade che ilpellegrino senta...d’evi antichi la brezza chelieti le messi accarezza e can-tar col suo fido coro il mio

monaco Guido.«Se tu viandante, lasci il portodi Ferrara e scendi a filo di cor-rente verso levante, arriverai adun villaggio chiamato CaputGauri, situato su un verticedell’isola di Pomposa, dove ilGaurus si separa dal Po che inquesto punto devia versonord... Quest’isola è circonda-ta ad occidente e a settentrio-ne dal fiume Gaurus, a mezzo-giorno dall’antico Po, ed aoriente è bagnata dal MarAdriatico. Se, ripartendo daCodigoro lungo l’antico Po,sospingi il tuo naviglio per ottomiglia attraverso la foce delVolano, i tuoi remi arriverannoa battere le acque dell’OceanoAdriatico».

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UnoLe parole di questo cronista del‘300, sono citate “en ouvertu-re” da Ella Noyes, quando, nel-l’autunno del 1904, pubblica aLondra, nella collana “TheMedieval Town Series” dell’edi-tore Joseph Dent & Co., TheStory of Ferrara. C’è – ovvia-mente – dietro all’opera dellaNoyes, tutto il filone del GrandTour, quel programma educati-vo di generazioni di aristocrati-ci francesi, inglesi, tedeschi,che avevano fatto del viaggio inItalia una tappa significativa,essenziale, di tale esperienza:altroché restrizione geograficadel Tour secondo i britannici,essa si caricò di una densitàculturale, simbolica, e quindi diuna attrazione, assolutamentesenza pari! La sterminata lette-ratura odeporica, nata nel

Seicento – a Richard Lassels(1603-1668) si deve per primol’espressione “Grand Tour” –prolifera a dismisura nel secoloseguente (Addison, Milton,Gibbon, Shelley, Byron, percitarne alcuni). Nel primoNovecento, quando le sorelleNoyes compiono il loro viaggio,sono mutati gli scenari storici,economici che fanno da scatu-rigine ai resoconti, che ora riu-niscono in un unicum la rico-struzione storica e le informa-zioni pratiche (2). Come quellarelativa al mezzo di trasporto:Codigoro si poteva raggiungerenon più “en bateau” ma coltram a vapore, “al vapurìn”,partendo dalla stazione ferro-viaria cittadina posta sul latosinistro dell’odierna via Putinati.Il viaggio, meno pericoloso diquello narrato dal cronista di

sette secoli prima – e forseanche di quello odierno, consi-derata l’insidia della Romea –avveniva «tra opulente distesedi grano e canapa, filari di albe-ri, uniti tra loro dai tralci deivigneti, allietato dal canto degliusignoli». Dove per secolihanno regnato acque palustri,pesci, sanguisughe e zanzare,ora la bonifica ha fatto prodigi.Ai tempi del viaggio di Ella eDora, la gente ricorda ancora«un gruppo di 24 inglesi che 25anni fa apparvero con le loro“macchine” e rimasero qui treanni durante i quali compironoil miracolo di trasformare que-sta landa paludosa nei fertilicampi che ora vediamo» (3).Questi tecnici della madrepatriache Ella ricorda, altro non sonoche gli inviati nel 1870 dalla“Ferrarese Land Reclamation

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Company Limited” divenuta inseguito l’attuale “SocietàBonifiche Terreni Ferraresi”.Lasciata la locanda del Leond’Oro, le sorelle Noyes si avvia-no per la strada deserta lungatre miglia che le mena versol’Abbazia. Il campanile svettasopra le cime dei pioppi e la suaalta sagoma ne ricorda il fustoanche se per nove secoli esso èstato «torre ferma, che non crol-la mai la cima per soffiar de’venti» (Purgatorio, V, 14-15): sierge solitario al limite dellaterra riscattata dalle acque,simbolo della grande lotta deimonaci Benedettini, contro lanatura selvaggia, ma anche faroper i viaggiatori e lume dellaciviltà contro la barbarie. Crocee stella pomposiana ne sono isimboli, come le grandi acquerappresentano - biblicamente -il Male, che si oppone alla sal-vezza del corpo e dell’anima. Ilbreve, della durata di una sola

giornata, soggiorno pomposianodelle sorelle Noyes si concludecon la contemplazione del ciclodi affreschi della basilica edella triste sorte dell’aula abba-ziale, o Palazzo di Giustizia, ericorda con mestizia come que-sta sala «in cui l’abate ammini-strava la giustizia per il popolodei suoi vasti domini come qua-lunque sovrano terreno, ha vistosvanire la sua fama gloriosa, ecome il resto del monastero, èora adibita a stalla, mentre lestanze del piano superiore sonodivenute fienili. E la sera, all’in-terno del cortile che egli erasolito attraversare seguito dalcorteo dei religiosi diretto alpalazzo della Ragione, echeg-giano i belati delle pecore chebrucano l’alta erba, fitta ovun-que» (4). La Noyes, prima dicongedarsi dai suoi lettori – ilcapitolo su Pomposa è la chiu-sa del libro – dalla vetta delcampanile muove lo sguardo anord verso il bosco dellaMesola: daini, fagiani ed ognitipo di selvaggina popolavanoquesta riserva fin dal tempo diAlfonso I - a Nembrotte lo para-gona Ella - e Alfonso II, non dameno, ogni anno traslocava conla Corte a Mesola. Ce lo raccon-ta Annibale Romei nei suoiDiscorsi: «Nel finire dell’autun-no Sua Altezza, con la SignoraDuchessa con la Corte e altriGentil’Huomini e Gentildonnedella Città, se ne va a marina,dove tra l’altre habitationi deli-tiose sopra il porto di Goro, inun bosco deto la Mesola, haedificato un sontuoso Palazzo;il qual bosco, Sua Altezza conspesa veramente Eroica, cintod’un muro, che circonda dodicimiglia con quattro portoni postisecondo i quattro siti del cielo;

i quali si tengono rinchiusiacciò non escono gli animali, esi aprono secondo il bisogno.Qui vi si interprendono a vicen-da diversi piaceri, quando dipescar in mare alla tratta, quan-do di cacciare; e a tutti questisolazzi sempre si trova presentela Serenissima Duchessa contutte le Dame, e Matrone... lasera poi ridotta la Corte alpalazzo, si dispensa il tempofino all’hora di cena con diversipiacevoli trattenimenti» (5).

TreE’ passato molto tempo – forsetroppo – da quando Pomposa fuquel Monasterium in Italia prin-ceps per cui è passata alla sto-ria. Cenacolo di vita, monastica,religiosa, culturale, in un perio-do in cui era avventuroso viag-giare, la sua stella brillò, maioscurata dalle miserie, di unaluce fulgida, attirando il gothadella cultura del tempo. «Se Pomposa non avesse avutoaltro nella sua storia che l’ami-cizia e l’attenzione paterna efraterna di S. Pier Damiano,amicizia e attenzione esplicataspecialmente nell’opuscolo XIIIsulla “Perfezione dei monaci” aMainardo Abate di Pomposa edalla sua Comunità, salutato abuona ragione come il testa-mento spirituale di S. PierDamiano, questo basterebbe adimmortalare il suo nome e met-tere noi in sincera riverenza perle grandi idee spirituali che quia Pomposa ebbero credito efurono programma di vita» (6).Sono parole forti queste, pro-nunciate da D. Benedetto Calatinel celeberrimo ConvegnoInternazionale di Studi StoriciPomposiani del 6-7 maggio1964, parole che non lasciano

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adito a dubbi. Il Damiano fuospite a Pomposa nel triennio1040-1042, chiamatovi dalsuo Abate, il venerabile Guidodetto ‘degli Strambiati’: la suapresenza a Pomposa ci vieneattestata dal biografo Giovannida Lodi nella Vita Petri Damianiche egli scrisse del suo maestroe padre spirituale. Quando noipensiamo a Pomposa, diamoper scontata la forma di vitacenobitica, dimenticando chela consuetudo della vita eremi-tica era fuori di ogni dubbio.Una tradizione eremitica di unacerta intensità alle foci del Po,dove le caratteristiche geografi-che di questa parte della pianu-ra padana evocavano e solleci-tavano quella fuga dal mondo,quel deserto dove poteva realiz-zarsi l’esperienza monasticameglio che altrove, si fa stradacon evidente chiarezza: e poinel secolo XI, da tempo eravenuta meno la tensione fraeremo e cenobio. Nel clima ere-mitico lagunare, da Aquileia aRavenna, ad opera di Romualdo,l’esperienza Pomposiana si col-loca come sintesi di tradizionilocali secolari, basti pensare aS. Maria in Padovetere o a SanMauro di Comacchio. Pomposasembra avere risolto con largoanticipo, un problema che agi-terà il secolo successivo certo-sini e cluniacensi, con un «con-trassegno eremitico al sistemacenobiale». Questo il contesto che fa dasfondo al rapporto fra il Dottoreravennate e Pomposa, un rap-porto che è biunivoco: di disce-polato prima che di magistero.Per comprendere appieno l’in-flusso di Pomposa su PierDamiano, occorre partire dallafigura dell’abate Guido (1008-

1046) che lo chiamò da FonteAvellana. La sua elezione attirònumerosi monaci e ricche dona-zioni: una vera manna per ilcomplesso abbaziale che fuingrandito. Affidata l’ammini-strazione ad abili monaci,Guido preferì dedicarsi alla pre-ghiera ed alla contemplazione:schivo e umile, gli ascrivono ilmiracolo della mutazione del-l’acqua in vino – illustrato dal-

l’affresco trecentesco -, ma ilsuo biografo ci avverte che lofece per distogliere i commen-sali da se stesso, bevitore disola acqua e non di vino. La suapredilezione per il nascondi-mento e la vita interiore non gliimpedì di essere stimato sia inambiente ecclesiale - collaboròcon l’arcivescovo di Ravenna,Gebeardo, ritratto sempre nelfamoso affresco alla riforma

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ecclesiastica, sia con i sovranidel suo tempo: Ottone III, atti-rato dal prestigio di Pomposa edel suo abate, da lì parte peruna importante missione aVenezia; l’imperatore Enrico IIIlo invitò alla dieta di Pavia cuinon poté partecipare perché siammalò durante il percorso, fucostretto a fermarsi a Borgo S.Donnino, nei pressi di Fidenza,dove morì. Quando l’abateGuido lo invitò ad insegnare laS. Scrittura ai monaci, PierDamiano affinò a Pomposa ilsuo spirito sugli esempi di unacomunità dedita all’ascesi eallo studio della Bibbia e deiPadri: ma lo studio presupponel’esistenza di una biblioteca; edecco, arriviamo ad una dellequestioni più affascinanti circal’Abbazia e la sua storia. «Unofra i monumenti che conferisco-

no all’abbazia benedettina diPomposa un significato ecce-zionale nella storia della Chiesae del Monachesimo nei secoli XIe XII, è il catalogo della suabiblioteca, ... un capolavoroben riuscito come il campanileinnalzato nel 1063, ma forsepiù raro.... testimonia la vitalitàe l’influsso del monastero.» (7)Dall’inventario, redatto nel1095 – quindi un ventenniodopo la morte di Pier Damiano– da un chierico di nome Enricoe dedicato ad un certo Stefano,sotto l’egida dell’abate Girolamo:S. Agostino, S. Ambrogio, S.Girolamo, S. Gregorio Nazianzeno,S. Giovanni Crisostomo; Ilario,Cassiodoro, Beda, Amalario,Pascasio e Lanfranco; e convisione liberale, (voluit genti-lium codices ... divinae insere-re veritati) gli storici latini.

Insegnamento, ma anche predi-cazione: ecco il contributo di S.Pier Damiano. Ma c’è un debitodi riconoscenza, un rendimentodi grazie che il Santo restituiscea Pomposa sotto forma di dedi-cazione dell’Opuscolo XIII del“De perfectione monachorum”.Senza addentrarci nelle piegherecondite dell’opera – chè non èquesto il luogo – restano i dia-loghi del Damiano coi pompo-siani, sul costante primato dellospirito sulla lettera, sulla testi-monianza che viene dall’amoredi Dio e dalle sante lacrime difuoco: la riforma è sempre unritorno alle sorgenti, e, attraver-so esse, alla Sorgente.

CinqueIgnote ai più, se non agli stu-diosi, la figura e la statura diDon Placido Federici, monaco

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benedettino cassinese, sono adir poco fondamentali per lastoria di Pomposa: la suaRerum PomposianarumHistoria costituisce il primotentativo organicamente con-cepito di una storia pomposia-na, e anche se solo il primotomo vide la luce – il secondoiniziato dal Federici ed allamorte di lui continuato e com-pletato dal p. Sebastiano MariaCampitelli, si trova inedito aMontecassino - entrambi costi-tuiscono un punto di riferimen-to insostituibile per chi siaccosta all’universo pomposia-no. In realtà bisogna parlaredei due fratelli Federici, per-chè se «ad un fine fuor l’operesue» (Paradiso, XI, 42),«Degno è che, dov’è l’un, l’al-tro s’induca» (ivi, XII, 34).

Rampolli di famiglia patriziagenovese, all’anagrafe Stefano(1737) e Gaetano (1739) chepresero, dopo la professione aMontecassino, i nomi di d. G.Battista e d. Placido.Quest’ultimo, dopo il dottoratonel collegio cassinese di S.Anselmo a Roma, tornò aMontecassino, dove fu docentedi filosofia e proprefetto del-l’archivio.L’intento di comporre la storiadel monastero lo porta a Ferrara,a S. Benedetto, dove i monacipomposiani, lasciata la lorogloriosa abbazia erano migratinel 1553. Cinque anni durò illavoro del Federici, dall’iniziodel 1774 alla fine del 1778:tre per la raccolta diplomaticae due per la compilazione dellastoria, sempre coadiuvato dalgiovane monaco d. CostantinoBongiovanni, nativo di Bergamoe professo a Ferrara dal 1novembre 1765. Alla fine dellesue fatiche, prima di essererichiamato a Montecassinol’anno seguente, il primo tomocontenente la storia del mona-stero dalle origini al 1046, erapronto per essere dato allestampe.Ma i librai di Ferrara non eranoin grado di sostenere l’onerefinanziario della sua edizione -né S.Benedetto, a causa deidanni delle continue alluvionidel Po - e don Placido si rivol-se a quelli veneti. Le peripeziedurarono fin al 1781, anno incui venne alla luce a Roma. Laripresa dei lavori per il II tomovenne interrotta dal precipitaredelle sue condizioni di salute:nell’intento di giovargli, l’aba-te lo distaccò presso la sede diS. Vincenzo al Volturno, dovetuttavia, il 26 luglio 1785,

«lasciava questa terra in età di46 anni, mesi 2, giorni 12.»(8).

NOTE

(1) I. Pascoli, Carmina, II, ed 1930,Poemata et Epigrammata, n. LXV, p.203-4. Il riferimento è per Guidoaretino, il musico.(2) una esauriente ed avvincentetrattazione dell’argomento cfr. G.Inzerillo, Ferrara e Inghilterra: lette-ratura ed esperienze di viaggio, dalGrand Tour alla storia ferrarese diElla Noyes, in Ella Noyes, The storyof Ferrara, Corbo Editore, 1996, pp.VII-XVII. Questo saggio introduttivocontiene, oltre ad informazioni nonfacilmente reperibili, un’intelligen-te sottolineatura del contributo fem-minile che le viaggiatrici inglesi die-dero a questo tipo di letteratura,indispensabile per comprenderel’opera delle sorelle Noyes. Inoltrevedasi, per un ragguaglio puntualesulla biografia di Ella Noyes, G.Savioli, I disegni ritrovati di DoraNoyes, Corbo Editore, 1996.(3) E. Noyes, The story of Ferrara,Corbo Editore, 1996, p.295.Ottima la traduzione di GiancarloDall’Olio. (4) Ibid., p. 305(5) A. Romei, Discorsi del conteAnnibale Romei gentil’Huomo ferra-rese, in Venetia, appresso PietroMiloco, 1619 (Giornata Prima,nella quale tra Dame e Cavaglieriragionando, si tratta della bellezza,pp. 4-5)(6) B. Calati, Il “De Perfectionemonachorum” di S. Pier Damianoed il contributo di Pomposa allariforma monastica del secolo XI, inAnalecta Pomposiana, I, a c. di A.Samaritani, 1965, p.21.(7) J. Leclercq, Cultura spirituale eideale riformatore nell’abbazia diPomposa nel sec. XI, in AnalectaPomposiana, I, cit. p.73.(8) T. Leccisotti, Lo storico diPomposa don Placido Federici, inAnalecta, cit, p.397.

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Claudio Castagnoli

“Caput Gauri”, un premio storicoche divulga cultura

Il premio di poesia “Caput Gauri”è nato nel 1974. Dopo un inizia-le periodo di sospensione, nel2009 è giunto alla XXVI edizione,dopo aver acquisito una propriaspecificità e notorietà tra i concor-si letterari del panorama naziona-le. Un concorso che si suddividein due sezioni, una aperta ai poetidell’intera penisola e riservata allapoesia edita, mentre l’altra, dedi-cata alla memoria del poeta codi-gorese Mario Cardellini, è rivoltaagli studenti delle scuole medieinferiori e superiori della provinciadi Ferrara ed a quelli universitariche qui risiedono o studiano nel-l’ateneo estense. La cerimonia dipremiazione si svolge all’internodella Sala delle Stilate del com-plesso abbaziale Pomposiano. Lastoria di questa manifestazionevede una prima edizione nel1974, fortemente voluta dal con-cittadino Lino Telloli, che si pro-

trasse fino al 1979.Dopo un periodo di sospensionedel premio, ci furono altre dueedizioni consecutive, nel 1988 enel 1989, cui seguì ancora unbiennio di sospensione e dal1992, con la costituzione del-l’omonima Associazione culturale“Caput Gauri” presieduta da

Giuliana Pestilli, ci fu un impulsoche lanciò il premio ad un unani-me riconoscimento nel panoramanazionale. Il prestigio del premiotrova conferma anche dalla parte-cipazione delle più importantieconosciute case editrici qualiEinaudi, Garzanti, Longanesi,Guanda, Book Editore, Feltrinelli,Mondadori. Il concorso di poesia“Caput Gauri” oltre a costituireun’importante occasione “diconoscere affermati poeti – spie-ga il presidente dell’omonimaAssociazione, Giuliano Pestilli –propone un ospite d’onore espres-sione del mondo della cultura,che nella stessa giornata dedicataalla cerimonia di premiazioneincontra anche gli studenti delCentro Studi Superiori di Codigo -ro.” Fra questi, da citare la par-tecipazione di Lorenza Meletti,Roberto Pazzi, Giovanna RighiniRicci, Luca Goldoni, Folco Quilici,Corrado Augias, Vittorino Andreoli,

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Antonio Caprarica, MicheleMirabella, Sergio Zavoli, RobertoVecchioni, Dacia Maraini, PupiAvati, Florestano Vancini. Comenon ricordare l’avvocato GiuseppeCapello, di cui Romano Guzzinati,

succedutogli alla presidenza delPremio, scrisse: “Giuseppe Capellopossedeva qualcosa in più, innan-zitutto l’amore straordinario per lagente di Codigoro e di tutto ilBasso Ferrarese, ove era giunto

nell’immediato dopoguerra comeTenente dei Carabinieri. E poi, lasua passione per la letteratura, lesterminate letture nella bibliotecadella sua casa, la saggezza dell’in-tellettuale discreto al quale bene siadattavano le parole di LeoLonganesi quando scrisse che l’ar-te è un appello al quale moltirispondono senza essere chiama-ti”. Altrettanto memorabile rimar-rà il contributo di passione, com-petenza ed acutezza di Don FrancoPatruno, per anni impareggiabilepresidente della giuria tecnica.“Un amico personale di Codigoroe del premio letterario – dice il sin-daco Rita Cinti Luciani – che sottola sua lungimirante, entusiasta esensibile guida, ha accresciuto,edizione dopo edizione, prestigio enotorietà fino a collocarsi fra imaggiori appuntamenti del pano-rama culturale nazionale.”

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Maria Rosa Bellini

Pomposa culla della musica e dellacultura nel Delta

Alla soglia del mezzo secolo di vita la rassegna musicale pomposianamantiene inalterato il proprio splendore

grande musica e magistrali inter-preti, che nel corso degli anni, pro-venienti da ogni parte del mondo,partecipano con entusiasmo aduna manifestazione che ha trovatola propria culla ed il proprio nutri-mento laddove Guido Monaco diPomposa aveva coniato il sublimelinguaggio universale della musi-ca, con la nota madre “Ut”, dive-nuta poi il “Do” e l’ordine dellecose armoniose nel pentagramma.Nel corso di questo quasi mezzosecolo di stagioni concertisti-che estive, lungo le navatedell’Abbazia e nella ritrovata erestaurata sala delle Stilate a fian-co della chiesa ed antico refetto-rio, hanno fatto risuonare i proprivirtuosismi musicali ed estro arti-stico musicisti provenienti daArgentina, Venezuela, Stati Unitid’America, Ex Unione Sovietica,Romania, Austria, Francia, Jugo -slavia, Germania, Giappone ed

ovviamente, nella parte del leone,l’Italia.La rassegna è nata ed è tuttora vivae vitale grazie allo sforzo compiu-to dall’amministrazione comunale,sostenitrice dell’evento; con leila Provincia, la Regione, laSovrintendenza ai beni architetto-nici ed altri enti ed associazioniche si sono succeduti nel corsodegli anni.Musica Pomposa è riuscita adimporsi come una delle più origi-nali e ricercate iniziative di spetta-colo grazie anche alla sua pro-grammazione nel periodo estivo.Qualcuno pensava che organizzarela manifestazione nell’entroterra,in un momento in cui tutti sono almare, potesse essere controprodu-cente; si è rivelata invece un’ideavincente, perché con i suoi pro-grammi e gli ospiti di spessoreinternazionale, la stagione concer-tistica ha saputo “rapire” turisti

Mai luogo, come l’Abbazia diPomposa, è stato il più indicato adospitare una rassegna musicale digrande spessore e vasta eco a livel-lo nazionale, qual è MusicaPomposa, giunta ormai alla 44a

edizione. Quando l’amministrazio-ne comunale di Codigoro decise diorganizzare, nei mesi estivi, unarassegna che ponesse all’attenzio-ne dei turisti, e non solo, anchel’immediato entroterra costiero, losguardo cadde immediatamentesul millenario complesso abbazia-le pomposiano. La risposta è arri-vata da sola. La manifestazione,rigorosamente musicale, si sareb-be tenuta in uno dei siti più visita-ti in Italia. E così è stato.Fin dalla sua prima edizione lamanifestazione ha riscosso ungrande successo, sia di pubblicoche di critica. L’organizzazione deiconcerti è riuscita a coniugare la

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coniugare nello stesso programmala classicità e la modernità dellamusica, riuscendo così ad attiraregenerazioni di appassionati, maanche ad “iniziare” numerosiadepti che ora sono diventati i piùassidui frequentatori e sostenitoridi un evento che ha saputo impor-si nel panorama nazionale. Tornando indietro nel tempo, nonsi può non ricordare, di “MusicaPomposa”, la stagione 1984, conl’esibizione del celebre flautistaSeverino Gazzelloni, accompagna-to dal pianista Leonardo Leonardi,tornato poi nella cornice abbazialesia nel 1988 che nel 1991.Nell’estate del 1989, ospite d’ec-cezione della rassegna il sopranoKatia Ricciarelli, accompagnata alpianoforte da Vincenzo Scalera, etornata poi a Musica Pomposa nel1993 con Elena Obraztsova. Danon dimenticare il concerto del

dai lidi e residenti nel Delta. Nonsolo, molti spettacoli si sono svol-ti, per parecchie edizioni, all’ariaaperta, nel chiostro abbaziale.La formula vincente ed anche

alquanto originale, che poi ha tro-vato molti consensi da parte dialtre organizzazioni che hannoseguito la strada di MusicaPomposa, è stata quella di saper

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chitarrista argentino Alirio Diaz,tornato ad esibirsi anche nel 1990e nel 1995. Negli ultimi anni dasegnalare i due concerti del ban-doneista Binelli, che è stato brac-cio destro del padre del tangoargentino Astor Piazzolla.Altra edizione che i cultori diMusica Pomposa sicuramentericorderanno è stata quella del1992, quando la rassegna ha ospi-tato il recital del tenore JosèCarreras, accompagnato al piano-forte da Lorenzo Bavej. Il 1992viene ricordato anche per il con-certo del violinista Uto Ughi, chesi è esibito con l’Orchestra daCamera di Santa Cecilia.La millenaria cornice dell’abbaziadi Pomposa nel corso della XXVIIIrassegna concertistica del 1993ha annoverato tra gli ospiti ilsoprano Cecila Gasdia, esibitasi

con l’Ensemble d’archi della Scalaed Evandro Dall’Oca al fagotto.Nel 2000, in occasione delGiubileo, Musica Pomposa haimprontato la stagione concertisti-ca del millennio su questo impor-tante evento. Un programma riccodi ospiti e di vari generi musicali,ma anche di teatro e balletto. Tragli altri si ricordano gli AvionTravel, Milena Vukotic, l’orchestrafilarmonica russa che ha dato vitaai “Carmina Burana” di Karl Orff,grazie alla magistrale interpreta-zione del gruppo corale moldavodiretto da Veronica Garstea, TheGolden Gospel Singles, diretta-mente da Harlem, ed Arnoldo Foà,l’interprete ferrarese che è statopiù volte applaudito ospite dellamanifestazione. Musica Pomposaha poi ospitato la prima rappresen-tazione nazionale dello spettacolo

“Dove vai Francesco?” di AnnaMaria Mazziotti, con una intensainterpretazione di Milena Vukotic.Uno spettacolo prodotto apposita-mente dal Comitato Nazionale perle Celebrazioni Guidoniane, inoccasione del millenario dallanascita di Guido Monaco.Fino all’inizio del millennio lamanifestazione si protraeva daluglio a settembre; poi, anche peruna progressiva riduzione di fondi,la stagione si è ridotta nel tempo,ma non per questo ha perso la pro-pria connotazione, continuando acrescere e ad offrire spettacolirimasti nella storia degli eventi cul-turali non solo ferraresi, ma anchea livello nazionale.Musica Pomposa si è avvalsa neltempo di due direttori artistici: ilMaestro Italo Rizzi, violoncellista edirettore d’orchestra e il chitarrista

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Maurizio Pagliarini, esibitosi tral’altro per la prima volta nell’ambi-to della rassegna del 1988.A quasi mezzo secolo di distanzala stagione concertistica non haperso splendore, anzi l’appenaconclusa edizione ha confermatola versatilità di un evento che hasaputo adeguarsi allo scorrere deltempo ed alla evoluzione nei gustidei propri spettatori.Le ultime due edizioni di MusicaPomposa hanno segnato un vero eproprio cambiamento organizzati-vo che ha portato la manifestazio-ne ad una maggiore condivisionedi diversi stili musicali ed artistici.Nel 2008, ad esempio, un concer-to fuori programma, gremito dipersone, della cantante italiana,da tempo residente in Canada,Giorgia Fumanti. Quest’anno, nonsenza sforzi organizzativi e conaccesso gratuito, tutti i concerti,tranne lo spettacolo di danza con-

temporanea, si sono tenuti all’in-terno dell’Abbazia, per la loro con-notazione sacra. Da ricordare ilconcerto per fisarmonica, organo emezzo soprano che ha saputosfruttare l’acustica particolare divarie zone dell’Abbazia. Il concer-to con l’uso di strumenti dellamusicalità sudamericana e quellocon l’uso di uno strumento che hadel celestiale come l’arpa.Applaudito e di grande coinvolgi-mento il concerto Gospel. MusicaPomposa non è nuova a questotipo di musicalità sacra, che pro-viene dalle radici più profondedegli Stati Uniti, un vero e proprioinno alla gioia, al Credo ed allasperanza. Infine, la danza contem-poranea, con giovani danzatori chehanno espresso, nel non semplicelinguaggio del corpo della coreo-grafia evolutiva, l’apprezzamentoalle opere d’arte. Ed opera d’arte èl’Abbazia di Pomposa che si arric-

chisce ancor più di storia e signifi-cato ospitando la stagione concer-tistica a lei dedicata. L’organizzazione di questo fioreall’occhiello dell’amministrazio-ne comunale codigorese, chenonostante le difficoltà ha conti-nuato a proporla e farla crescere,comporta mesi di lavoro e di con-tatti con il mondo della musica;un mondo che pur rivolto allaclassicità, vive una continua evo-luzione, grazie a quei giovaniinterpreti che si affacciano sulpanorama musicale e per i qualiMusica Pomposa costituisce unprestigioso trampolino di lancio.La macchina comunale ora è giàin moto per organizzare l’edizione2010, certamente ricca di coin-volgenti sorprese per il pubblico diMusica Pomposa, che attende lamanifestazione come un appunta-mento irrinunciabile della stagio-ne estiva di tutto il Delta.

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a cura di Lisa Viola Rossi e Daniele Rossi

Tra tutti i romanzi che compongo-no il grande affresco del Romanzodi Ferrara, l’ultimo, L’airone, perquanto forse meno conosciuto dialtri, ad esempio Il Giardino deiFinzi-Contini, è senza dubbio quel-lo più amato da Giorgio Bassani. Questo romanzo, mentre rappre-senta per certi aspetti una sorta didiscontinuità nella narrativa bas-saniana, sia per i contenuti che peri luoghi dove si svolge gran partedella vicenda, fuori le mura diFerrara, a Codigoro, «è il libro chesuggella la complessa unità delRomanzo di Ferrara» (1).Il libro descrive l’ultima giornatadella vita di Edgardo Limentani,un agricoltore ferrarese proprieta-rio di terre a Codigoro, in profondacrisi esistenziale, che torna dopocirca dieci anni a caccia nelle vallidi Volano. Ciò che lo spinge, è iltentativo di recuperare vitalità,

La Codigoro di Giorgio Bassani nelromanzo L’airone

Note per un itinerario bassaniano “fuori le mura”

interesse ed entusiasmo per la vitaattraverso uno svago che gli eraconsueto prima della guerra. Ilprotagonista non troverà quelloche cerca, ma il suggerimento diuna soluzione estrema grazie alquale si sentirà «travolgere daun’onda di improvvisa felicità»(2).L’opera ebbe una lunga gestazio-ne. La prima idea venne allo scrit-tore nel 1948, a seguito del suici-dio di un suo amico, ebreo ferrare-se, proprietario terriero benestan-te. Nessuno seppe darsi una spie-gazione del fatto, ma Bassani sipropose di scriverne, prima o poi,

e di farne il personaggio di un suoromanzo. Il momento di riprendere quellaantica storia venne nel 1965, aCodigoro, di fronte alla vetrina diun impagliatore di animali. La sug-gestione di eternità, di pace e dicompostezza che gli restituiva lavisione degli animali imbalsamati,e specialmente degli uccelli, con-trastava fortemente con i senti-menti che lo tormentavano daqualche tempo: «Stavo attraver-sando – racconta Bassani, in unaconversazione con l’amico e scrit-tore Manlio Cancogni (3) - una

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malattia mortale. Non vedevo piùnessuna delle ragioni che mi ave-vano fatto esistere. Finiti tutti gliideali, mi sentivo perduto nelmondo dell’oggettività, smarrito».E ancora: «Quando cominciai ascriverlo mi trovavo in uno statod’animo particolare. Ero amareg-giato, stanco: ogni rapporto con lepersone e con la vita era divenu-to arido, non aveva più ragione.Mi pareva di vivere una specie divuoto, mi mancavano gli interes-si. Per la prima volta sperimenta-vo una condizione terribile: quel-la della sterilità, del non-amore.Una condizione che è, del resto,tipica del mondo d’oggi, un moti-vo fondamentale della nostra esi-stenza». (4)Ma da dove prendeva origine que-sto «stato di profonda depressio-ne» (5)? Sicuramente la politica(6) aveva avuto un ruolo importan-te. Bassani era stato fortementesegnato dalle vicende che avevanocoinvolto Ferrara e la sua comuni-tà ebraica, prima, durante e dopola guerra. Molti ebrei ferraresierano stati attivi sostenitori delfascismo ed alcuni di loro avevanoraggiunto anche alti e prestigiosi

incarichi pubblici e di partito.Questo non era bastato a salvarlidalla persecuzione razziale abbat-tutasi sulla comunità ferrarese conle leggi antiebraiche del 1938,che li aveva trovati colpevolmenteattoniti e smarriti. Dal canto suoBassani si era impegnato diretta-mente nella lotta clandestina anti-fascista, a causa della quale fuanche incarcerato tra la primaverae l’estate del 1943, continuandopoi, una volta liberato, ad operarenella resistenza a Roma, nelle file

del Partito d’Azione. La liberazio-ne dal nazifascismo aveva suscita-to in lui grandi speranze, ben pre-sto deluse dal trasformismo politi-co (7), che aveva caratterizzato glianni successivi. L’avevano impressionato anchedolorose vicende, che avevanocoinvolto alcuni amici, comel’agricoltore ebreo minacciato conle zappe dai suoi contadini, cherivendicavano la modifica dei pattiagrari, e che per questo non avevapiù potuto rimettere piede nellasua campagna (8). «I tempi deisorrisi, delle scappellate, degliinchini erano finiti. Per tutti: experseguitati politici e razziali com-presi». (9)I sentimenti che animavano nelprimo dopoguerra Bassani erano,dunque, di totale stanchezza edisincanto, e lo portavano a vede-re tutto con indifferenza.L’identificazione dello scrittorecon Limentani è chiara ed espli-cita, quando afferma che «l’ab-braccio che ho avuto con questopersonaggio è stato un abbracciomorale, religioso, un abbracciototale». (10)Bassani attribuisce alla definitiva

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stesura di questo romanzo unsignificato terapeutico, addiritturacatartico, risolutivo per la sua crisiinteriore: «[…] è stata una libera-zione. Ho provato una felicitàimmensa. D’un colpo mi sono libe-rato da due mali: la fatica provataa realizzare il mio progetto (nessunlibro, prima mi era costato tanto) el’impassibilità davanti alle coseche m’aveva fatto dubitare di mestesso…Che orrore! Come eropotuto cadere in una simile rete?Mi ritrovavo vivo, capace di emo-zioni, di reagire. Ho passato unadelle estati più belle della miavita». (11)Con questo romanzo, soddisfatto(il romanzo tra l’altro riceve il pre-mio Campiello nel 1969), Bassaniritiene conclusa la sua esperienzadi narratore e torna al suo grandeamore, la poesia: pubblicherànegli anni successivi la raccoltaEpitaffio (1974) e In gran segreto(1978). Posta questa necessaria premes-sa, volta a inquadrare la genesi delromanzo, risulta ineludibile ladomanda: quale ruolo svolge ilpaesaggio nella narrazione bassa-niana e ne L’airone in particolare?Due sono le possibilità: che il pae-saggio sia per il narratore sempli-cemente «una terra dove far starei suoi personaggi» (12), oppureche sia «il protagonista segretodella costruzione narrativa» (13).Conoscendo Bassani, il suo mododi procedere nell’elaborazionedella trama narrativa, meticoloso,che scrive e riscrive decine e deci-ne di volte la stessa pagina, non viè dubbio che per lui, delle due,valga la seconda definizione di“paesaggio letterario”. Per il protagonista del romanzo,Limentani, il paesaggio è davveroun interlocutore fondamentale,quello che gli induce suggestioni,

sensazioni e finanche indicazionirisolutive per la sua ricerca interio-re. Per Bassani si può affermare,pensando anche al valore simboli-co attribuito ai luoghi in altre sueopere, che il paesaggio codigoreseha valore didascalico, esemplarenella economia della narrazione.«Per Edgardo Limentani de‘L’airone’, Codigoro è prima ditutto una stazione determinantedel suo percorso di coscienza,figura dell’avvenuta scissione neiconfronti del passato e paradigmadi un attualissimo paesaggio inte-riore» (14).Codigoro dunque, e non un altroluogo poteva essere, secondol’Autore, l’ambientazione fuori lemura delle vicende narrate neL’airone. E quali sono allora i luoghi codigo-resi, che per Bassani hanno assun-to un significato simbolico, comefossero topoi metaforici? Qualepercorso possibile per un itinerarioispirato a L’airone? Va precisato che il protagonista simuove tra la piazza di Codigoro -dominata dal monumento alMilite Ignoto, opera dello scultorecodigorese Mario Sarto (1875-1955) -, il ristorante Bosco Eliceo,la chiesa parrocchiale, la riviera

del Po di Volano fino al Palazzo delVescovo. C’è anche, ed è la partecentrale del romanzo, il viaggioche Limentani compie per andarea caccia in valle da Codigoro aVolano, passando per l’Abbazia diPomposa. Appena giunge a Codigoro daFerrara, alla guida della sua LanciaAprilia blu del 1937, Limentaninon può ignorare le alte ciminieredello zuccherificio Eridania edell’Impianto Idrovoro, che vedealla sua sinistra. E come poteva?Soggetto dei dipinti metafisicidi De Chirico, le ciminieredell’Impianto di bonifica sono ilparadigma della modernizzazionee dello sviluppo del delta del Po traOtto e Novecento. A portarvi omag-gio non sono mancati illustri lette-rati, quali Riccardo Bacchelli (15)e Carlo Emilio Gadda ed anche,più recentemente ed in modo cri-tico, Gianni Celati (16).Limentani percorre la strada - via20 settembre - per il centro citta-dino, ed entra nella vasta piazzadesolata: «Codigoro. La piazza diCodigoro. Era una decina d’anni,dal ’38, che non ci capitava cosìdi buon’ora. Tuttavia un desertosimile non ricordava di averlo vistomai. Cos’era stato a provocarlo?

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Era stato – sogghignò - “il terrorecomunista” oppure il Natale, sem-plicemente?». Il protagonista par-cheggia «di contro al palazzoneNovecento dell’ex Casa delFascio». Anche Celati è colpito –per la sua assoluta anonimità -dalla piazza di Codigoro «un qua-drivio con vaghi contorni». (17)Dalla piazza, Limentani si dirige apiedi verso l’imbocco di via Roma,che porta al ristorante albergoBosco Eliceo (l’attuale Pomposa,allora chiamato anche dal Babo);nel romanzo è di proprietà dell’exfascista Gino Bellagamba, giàcaporale della Milizia, che lo acco-glie con una cortesia persinoeccessiva.Dopo un breve scambio di battuteal bar con il ristoratore, ed unavaga promessa di fermarsi a pran-zo, al ritorno da Volano dopo lacaccia, Limentani parte per la

valle, non senza aver notato il rapi-do raccogliersi di gente davantialla sede della Camera del Lavoro- il cinema Arena - ed ai due barcontrapposti. La gente si dirigeanche verso la chiesa, richiamatadal suono di campane che provie-ne «dalla vetta del campanile, chesi levava snella e appuntita allespalle della chiesa» (18).Volendo identificare i luoghi deL’airone, va precisato che almomento della stesura del roman-zo, la piazza di Codigoro non aveva(e non ha neppure oggi) un cam-panile.L’antichissimo duomo di Codigoro- «il più bell’ambiente che vanti laregione» (19) -, insieme al suomassiccio campanile romanico,venne infatti abbattuto verso lafine della prima guerra mondiale(20). La città fu così orbata diun’opera architettonica di grande

rilevanza e ricca tra l’altro di pre-ziose opere d’arte. Sul luogo fucostruita, negli anni Trenta delsecolo scorso, la Casa del Fascio,mentre la nuova chiesa, senzacampanile, venne costruita nel1952 «appartata dietro, a sinistra,in fondo al sagrato vasto come unapiazza privata, a se stante» (21).Viene da chiedersi se il riferimen-to al campanile per l’Autore è statasolo un’esigenza narrativa, o seinvece fosse stato il modo di evi-denziarne, per antifrasi, la perdita.Del resto Bassani, in virtù del suogià attivo impegno (22) per la tute-la del patrimonio storico e architet-tonico italiano, e ferrarese in parti-colar modo, era sicuramente aconoscenza della triste fine delprezioso monumento codigorese edi quella che si preparava per l’al-tra antica chiesa di Codigoro, lacinquecentesca chiesa dei Frati

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Minimi di San Francesco di Paola(23). Un tema, questo della rego-la della frammentazione e delladifferenza, come quella dell’ugua-glianza, che ricorre nella narrativabassaniana, come sottolinea AnnaDolfi: «Nell’obiettivo forse di rap-presentare con sempre maggioreacutezza l’oggetto della perdita ela sua ricerca immedicabile,offrendo anche un quadro dellacomplessità della vita e dell’arte,che, nutrite di dialettica, sonobasate proprio – l’ha ricordato piùvolte lo stesso Bassani - sullamistione dei contrari»(24). In ognicaso l’inopinato inserimento nellanarrazione di questa strutturaarchitettonica «alle spalle dellachiesa» (25) da parte dell’Autore,non può non rappresentare un ele-mento di speranza e di elevazioneper la comunità codigorese. Anche l’Abbazia di Pomposa -

nuova tappa dell’itinerario bassa-niano accanto alla quale passaLimentani - è rappresentata secon-do lo stesso procedimento narrati-vo individuato dalla Dolfi, maapplicando la regola dell’ugua-glianza. Bassani, attraverso il suopersonaggio, ricorre alla figuraretorica della similitudine, perquanto azzardata, paragonandol’abbazia alla azienda agricola delprotagonista, la Montina: «E già –si diceva, fissando le rosse, anti-che pietre del monastero. Conquella torre campanaria, da unlato, capace come un silo da gra-naglie; con quella chiesa, nelmezzo, che più che una chiesafaceva venire in mente un fienile;con quegli altri fabbricati disa-dorni, sulla destra, disposti comecase coloniche intorno all’aia:effettivamente, seppur in grande,Pomposa assomigliava in tutto e

per tutto alla Montina» (26). Ilviaggio di Limentani prosegue poiverso Volano: «Giunto fin sottoPomposa, piegò a destra, per laRomea, quindi, dopo qualche cen-tinaio di metri, a sinistra, per lastrada tutta curve e contro curveche si addentrava di sbieco nellevalli. […] Verso sud, a perdita d’oc-chio, vedeva la vasta estensionequasi marina della Valle Nuova;verso nord, i brulli terreni di boni-fica delimitati sullo sfondo dallariga nera e ininterrotta del boscodella Mesola. […] Sorpassato l’iso-lato lavoriero di Canevié […]; sor-passò Porticino […]. Ed ecco, infi-ne, dopo un’ennesima doppia svol-ta, Volano, con le sue basse casu-pole allineate da entrambe le partilungo la strada che attraversava daun capo all’altro il paese, e colmassiccio parallelepipedo delcasone Tuffanelli, laggiù in fondo,

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contro il quale sembrava che lastrada andasse a finire» (27).Dopo la caccia con Gavino, la suaguida in valle, Limentani torna aCodigoro nel ristorante BoscoEliceo, per un pranzo tardivo e per

riposare. Da lì uscirà per una pas-seggiata per le strade di Codigoro.Nei suoi «pigri vagabondaggi per lacittà» (28) dalla piazza, Limentanisi muove lungo via dellaResistenza – l’attuale via 4 novem-bre -, verso la riva del porto fluvia-le - riviera Felice Cavallotti - in cuisono ormeggiate numerose imbar-cazioni da carico, come quelle che«aveva viste infinite volte soprat-tutto da ragazzo nei porti-canale diCesenatico, di Cervia, di PortoCorsini: all’epoca delle beate,interminabili villeggiature che usa-vano allora, prima della guerra esubito dopo» (29).La visione dei barconi silenziosi eimmobili alla fonda lungo la rivadel Po di Volano non trasmetteperò a Limentani, come succede-va un tempo, «nessun senso digioia, di vita, di libertà». Sono lesette di una domenica sera e gio-

coforza marinai e paroni stannoriposando in attesa di riprendere illavoro l’indomani. Sono peròanche gli anni del boom economi-co, quando il trasporto nautico staper essere soppiantato dal traspor-to su gomma: e forse è questo, perl’Autore, il modo di rappresentareletterariamente la fine di una mil-lenaria e gloriosa epopea. Solo duefigurine, un uomo e una giovanedonna che si rincorrono su unnatante gridando, animano la vitasul fiume. Un probabile riferimen-to al noto pittore polesano e allasua compagna che abitarono suuna barca lungo le rive del portofluviale tra gli anni Cinquanta eSettanta del secolo scorso. «Oltrepassata la via trasversale chea sinistra portava al camposanto[via Pomposa, chiamata popolar-mente “via per sempre”, ndr] e adestra, di là dal ponte di ferro (30)

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[fino al 1958, c’era un ponteBailey, costruito alla fine dellaguerra, al posto di quello fatto sal-tare all’alba del 22 aprile 1945 dainazifascisti in ritirata, ndr], […] siritrovò di colpo a ridosso di un edi-ficio isolato. Si fermò una secondavolta. In tanti anni, strano che nonlo avesse mai osservato con suffi-ciente attenzione. Si trattava di unantico palazzotto signorile dall’ariaveneta: di un genere che appenadi là dal Po, nel basso Polesine,diventava subito piuttosto comu-ne. Con quella bella facciata a duepiani, così armoniosa e simpatica,che dava sul canale, dunque versomezzogiorno, con la possibilità,dato lo spazio a disposizione, dipiantarci attorno degli alberi, que-sta sì – pensava – sarebbe statauna casa da comperare, da com-perare per venirci a vivere!». (31)Il trovarsi davanti al Palazzo delVescovo, come da sempre vienechiamato quell’«edificio isolato» –forse in memoria di Alfonso IVPandolfi, vescovo codigorese (32),con il quale si identifica una sta-gione di grande splendore perComacchio (1630-1648) (33) -,un’antica costruzione di originebenedettina, scuote temporanea-

mente Limentani dal suo torporespirituale e gli suscita, unicomomento in tutto il romanzo, sopi-ti entusiasmi. Tuttavia, dopoun’osservazione più ravvicinata,nel corso della quale valuta piùattentamente lo stato di degra-do dell’edificio, Limentaniabbandona l’idea di un recupe-ro del palazzo. L’edificio furestaurato nel 1976, e dal ’78 èsede della Biblioteca Comunaleche è stata intitolata alloscrittore nel 2001, mentre èsede della Fondazione GiorgioBassani dal 2002, luogo che

ospita libri e cimeli dell’autore. Alla prima traversa - via delRosario - Limentani svolta a sini-stra e «una dopo l’altra percorrediverse vie: straduncole da niente,fiancheggiate dalle piccole case aun solo piano del borgo più vec-chio» (34). Via Trento o via Trieste,e via Curiel sono le strade desertepercorse da Limentani nel roman-zo, mentre ausculta, quasi convoracità, il palpitare della vita al dilà dei vetri e delle persiane chiuse:«Non incontrava nessuno. Dallefessure delle imposte chiuse filtra-va la luce rossastra delle famigliepovere. Non si udiva che qualchesuono di radio» (35). O addiritturasbircia tra le fessure della finestradi un’osteria, alcuni avventoriintenti a giocare a carte.Ed infine giunge alla chiesa, doveentra per trovare un momento diriposo, forse di riflessione:«L’interno della chiesa non avreb-be mai immaginato che fossevasto in quella maniera. Ad unasola navata, con le pareti disador-ne tirate a calce […], faceva veni-re in mente un cinema, la vuotasala di un cinema fuori dalle oredegli spettacoli» (36). La sostanella nuova chiesa di San Martino,

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nella quale si registra una partico-lare devozione dei Padri Salesiania Maria Ausiliatrice, non suscita inLimentani alcuna particolare emo-zione. Uscendo, si avvia verso lasua automobile parcheggiata difronte al «Caffè Fetman» [oggiagenzia Carife, ndr]. L’ultima tappa del vagabondaggiocodigorese di Limentani è anchequella decisiva: di fronte alla«vetrina di cui si accorgeva soloadesso, attigua, in pratica, adestra, al basso caseggiato centra-le della Camera del Lavoro, e sfol-gorante della medesima luce»(37). È la vetrina dell’imbalsama-tore di animali, in realtà di unnegozio di articoli per cacciatori epescatori. Ed è qui, nella piazza diCodigoro, di fronte alla vetrinasplendente, che Limentani avrà larivelazione finale, che lo riempiràdi gioia e lo indurrà a tornare rapi-damente a Ferrara.

NOTE

(1) Dolfi A., «Nota», in Bassani G.,L’airone. Il romanzo di Ferrara. Libroquinto, Milano, Mondadori, 1987,p. 165(2) Bassani G., L’airone, Milano,Mondadori, 1987, p. 147 (3) Cancogni M., «Perché ho scrittoL’airone. Conversazione di ManlioCancogni con Giorgio Bassani» in Lafiera letteraria, 14 novembre 1968,pp. 10-12 (4) Bassani G., «Intervista a GraziaLivi», Epoca, 27 ottobre 1968(5) Cancogni M., op. cit., pp. 10-12(6) Cotroneo R., «La ferita indicibile»,in Bassani G., Opere, Milano,Mondadori, 2001(7) Il trasformismo delle classi diri-genti sarà anche il tema del granderomanzo Il gattopardo di Tomasi diLampedusa, fatto pubblicare daGiorgio Bassani presso la casa editri-ce Feltrinelli nel 1958.

(8) Cancogni M., op. cit., pp. 10-12(9) Bassani G., L’airone, Milano,Mondadori, 1978, p. 13 (10) Bassani G., «Intervista a GraziaLivi», op. cit.(11) Cancogni M., op. cit., pp. 10-12(12) Camilleri A., Sicilia 2, febbraio-maggio 2001, p.91(13) Moretti F., Atlante del roman-zo europeo 1800-1990, Torino,Einaudi, 1997(14) Fuori le mura. Antologia di pae-saggi letterari della pianura ferrarese,a cura di M. Farnetti e G. Rimondi,Ferrara, Spazio Libri, 1991, p. 239(15) Bacchelli R., Italia per terra eper mare, Milano, Mondadori, 1962,pp. 333-335(16) Celati G., Verso la foce,Milano, Feltrinelli, 1989, p. 96.Id., Avventure in Africa, Milano,Feltrinelli, 1998, p. 111(17) Bassani G., L’airone, Milano,Mondadori, 1987, p. 32(18) Celati G., Verso la foce, Milano,Feltrinelli, 1989, p. 96(19) Bassani G., op. cit., p. 47(20) Relazione della Soprintendenzaai Monumenti di Ravenna, 13 ago-sto 1913(21) L’antico duomo di Codigoro. Itesori ritrovati – Catalogo della mostrafotografica 13 settembre – 31 ottobre2008, a cura della BibliotecaComunale “G. Bassani”, Comune di

Codigoro, 2008(22) Bassani G., op. cit., p. 47(23) Giorgio Bassani fu tra i fondatoridell’associazione “Italia Nostra” nel1955 e ne fu presidente fino al 1980. (24) La chiesa del Rosario fu abbattu-ta assieme al suo campanile due annidopo l’uscita del romanzo, nel 1970.(25) Dolfi A., Giorgio Bassani, unascrittura della malinconia, Roma,Bulzoni, 2003, pp. 75-76(26) Bassani G., op. cit., p. 47(27) Ibidem, p. 59(28) Ibidem, pp. 59-60(29) Schneider M., «Una conversionealla morte: L’airone di GiorgioBassani», in Bassani G., L’airone,Milano, Mondadori, 1978, p. XIV (30) Bassani G., op. cit., p. 134(31) Ibidem, p. 135(32) Ivi, p. 135(33) Viganò P., Codigoro. Cenni sto-rici, Bologna, Scuola GraficaSalesiana, 1971 (34) Durante il suo straordinario epi-scopato furono costruite le chiese delRosario, del Carmine e di san Pietro.Fu scavato il canale Pallotta (1633),e furono costruiti i Trepponti, il pontedegli Sbirri (1634-1635) e il loggiatodei Cappuccini (1647).(35) Bassani G., op. cit., p.136(36) Ibidem, p. 136(37) Ibidem, p. 138(38) Ibidem, p. 142

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Gianni Cerioli

Nato a Badia Polesine il 2 giugno1902, Mario Capuzzo è un artistaferrarese di adozione e codigoreseper scelta dal 1953. Di recente, inoccasione del trentesimo anniver-sario della morte, ho curato per iComuni di Cento e di Codigoro unamostra retrospettiva, distribuita sudue sedi, dal titolo Trent’anni diCapuzzo. In essa ho preso in con-siderazione alcune opere dell’arti-sta, dalla fine degli anni Venti allafine degli anni Cinquanta, comesegno dell’urgenza di uno studiosu Capuzzo fuori dalle strettoie del“personaggio”in cui una certaaneddotica l’ha costretto, ben con-vinto che anche le “province” del-l’arte vanno sciolte dal tramandoorale in cui si trovano costrette. Il primo Capuzzo, che molti nonconoscono come meriterebbe, hauna continuità stilistica e compo-sitiva pienamente rintracciabilenelle linee e nelle forme, nellospessore stesso delle paste e nellavigorosa gestualità delle pennella-te. È presente la grande lezione

Un pittore nel delta

della pittura ottocentesca cheCapuzzo porta fin dentro allaseconda metà del Novecento. Inuna sorta di “voluto” non coinvol-gimento e di intenzionale disimpe-gno dalle avanguardie, il pittoreafferma la sua intenzione di rima-nere estraneo a certe tensioni spe-culative e critiche che percorronoin modo determinante l’arte delventesimo secolo. È questa suaconvinzione a spingerlo a nonseguire le vicende del gruppo di“Novecento”, sponsorizzato alivello locale da Italo Balbo e dalCorriere Padano e rappresentatoda Achille Funi, per appoggiarsialla committenza di Emilio Arlottie della borghesia che gravita intor-no alla sempre più emergenteindustria saccarifera. Il rapportodiretto con la committenza e lamancanza di un critico d’arte diriferimento determinano di fattotutta la sua carriera d’artista.L’irrequieto nomadismo che carat-terizza la sua esistenza si accom-pagna dunque ad una fedeltà

incondizionata agli assunti dellatradizione. Capuzzo non solo si rifà a un con-testo di pittura-pittura ben defini-to ma riesce, attraverso l’eserciziodella «copia» o del «d’après», arispondere sempre alle richiestedella committenza privata. Comeartista non solo possiede le com-petenze tecniche necessarie adentrare in un contesto pittoricodiverso dal proprio, ma riesceanche a colloquiare con gli artistidel passato improvvisando sultema in modo del tutto originale.Non si tratta quindi solo di accon-discendenza al gioco creativo di unaltro, ma di un farsi parte dellostesso gioco delle forme e dei gestidella tradizione.Soltanto negli anni successivi altrasferimento a Codigoro, nel1953, nasce una nuova fase dellasua pittura. Tra la fine degli anniCinquanta e i primi anni SessantaCapuzzo modifica sensibilmente ilmodo di stendere il colore sul sup-porto, utilizzando modalità fluentidelle mescole che stende a cam-piture strisciate. Cambia tutta lagamma cromatica della sua tavo-lozza. L’organizzazione stessadella composizione è totalmentegiocata sull’essenziale. Nascequella cifra stilistica caratteristicache il grande pubblico riconosceimmediatamente e che il grandepubblico identifica erroneamentecon l’intera opera del pittore. L’esposizione di Cento-Codigoroipotizzava un’ulteriore fase di stu-dio critico del secondo Capuzzo,Codigoro. 1955. Cento - Collezione privata

Mario Capuzzo e Codigoro

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quello dagli anni Sessanta alladata della sua morte. Occorre,infatti, procedere alla creazione diun catalogo generale dell’operadell’artista, non solo per studiarecriticamente le opere che Capuzzoha creato in questo periodo maanche per cogliere quanto la suapresenza sia stata determinanteper la nascita di una “scuola” loca-le, fatta di modalità e di riferimen-ti “capuzziani”, presso ammiratorie imitatori, tanto decisi a ripercor-rere gli stilemi del maestro da ori-ginare qualche perplessità attribu-tiva in chi si trova ad osservare leloro opere. Capuzzo lascia Ferraradopo la “notte del 43” e risiedeper un lungo periodo in Istria,luogo legato alle vicende dellamadre. Le difficili condizioni poli-tiche ed esistenziali istriane nelsecondo dopoguerra lo costringonoa rientrare definitivamente inItalia. Capuzzo e la moglie MariaLuisa si spostano in varie città allaricerca di una residenza. La sceltacade alla fine su Codigoro. L’artistaconosce bene la zona in quanto ègià presente alla fine degli anniQuaranta a Comacchio per ladecorazione del catino absidaledella Chiesa del Rosario. Forse non

è per noi possibile, oggi, compren-dere cosa potesse voler dire viverenegli anni Cinquanta su due peatevenete, battezzate rispettivamenteSan Biagio e Santa Maria, ancora-te sulle rive del Volano lungo laRiviera Cavallotti. La casa e lo stu-dio sull’acqua diventano la notadistintiva della presenza dell’arti-sta nella zona deltizia del Po. Larivista Settimana Incom Illustratarealizza nel maggio 1956 un ser-vizio fotografico su questa sceltafuori dell’ordinario. Dalla sua casa sull’acqua, masoprattutto dal suo studio milane-se, Capuzzo tiene conto delleragioni della committenza, cherichiede sia il restauro di sue operedanneggiate dalla guerra sia lariproposizione di temi anteguerra.Frequenti sono i suoi viaggi inItalia e all’estero. Le figure deicommittenti hanno sempre rivesti-to un ruolo determinante nellescelte degli artisti, anzi, la culturache il committente possiedediventa spesso la condizionenecessaria ma non sufficiente perla realizzazione dell’opera. I desi-deri dei committenti non semprecoincidono con quelli degli artisti.Capuzzo rifiuta il mito romantico

del genio unico e creatore assolu-to e intrattiene con la committen-za un dialettico rapporto di nego-ziazione. Eppure anche nel suocaso la committenza assumediverse forme. Quella religiosa, adesempio, è ben presente nella pro-duzione di Capuzzo, i suoi primiesordi sono su questo versante, lesue ultime opere saranno di sog-getto sacro. Per quanto attiene allacommittenza pubblica basterebbecitare la decorazione a olio sumuro dello Scalone della Cassa diRisparmio di Ferrara. La vicendadella scialbatura e della successi-va riscoperta è significativa percomprendere le peripezie della cri-tica sull’arte del Ventennio nelnostro paese. Il committente priva-to, infine, andrebbe moltiplicatoper quante sono le individualitàdei richiedenti distinti secondol’ambito alto o piccolo borghese incui si collocano. Dal soffitto a cas-settoni del grande salone del pianonobile del Palazzo Arlotti alla piùpiccola composizione di fiori diimmediata collocazione; dallescene del Settecento veneziano efrancese alle “nature morte” ric-che di iridescenze fiamminghe.Tutto serve per decorare le case

Cristo tra i muratori. 1958. Codigoro Sala Consiliare

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della borghesia di Ferrara, Milano,Torino, Verona, Trieste e altre anco-ra. Nella prospettiva “della distan-za” dalla quale noi, oggi, osservia-mo le complesse vicende dell’artedel XX secolo, fatta di eccellenze,di Maestri e di Correnti in pienarottura con la tradizione, non dob-biamo dimenticare che proprio laconvinzione di una continuitàdella pittura “nella tradizione” èstata altrettanto profondamenteradicata in una parte del pubblicoe della critica nel secolo scorso.Nel gennaio-febbraio del 1953,nella Sala Gialla del Castelloestense, il pittore tiene una perso-nale assieme alla sua allieva M.Luciana Casazza. Nella nota intro-duttiva al catalogo, l’artista vienepresentato in questo modo dall’av-vocato Giuseppe Longhi: «MarioCapuzzo, che vive in solitudine nelsuo barcone, e che in quella stra-na residenza fluviale galleggianteha fissato la propria casa ed il pro-prio studio è indubitabilmente unodei più popolari e comunicativi pit-tori italiani. È noto per la incompo-stezza del suo spirito, per le vicis-situdini – alle volte allegre e spes-so drammatiche – della sua vita,per la sua arte che si è talora raf-frenata in disinvolte riproduzioni distili e di maniere passate e moder-ne, ha, pur tuttavia, saputo espan-dersi in visioni del tutto personaliin un mirabile e suadente policro-mismo espressivo, del quale paresolo lui conoscere il più profondosegreto». A Codigoro il pittore creapezzi di bella pittura, quadri come“Barche sul Volano” (1954;Ferrara, collezione privata) e“Codigoro” (1955; Cento, colle-zione privata) colgono lo sguardoattento e appassionato per il nuovoambiente in cui il pittore ha deci-so di vivere.Tra i molti lavori diquesto periodo è il “Cristo fra i

Barche sul Volano. 1953. Ferrara - collezione privata

lavoratori” (1958). È una grandeopera che di recente è stata collo-cata in modo permanente nellasala consiliare e che segna un riav-vicinamento tra il pittore e il terri-torio in cui ha voluto vivere gli ulti-mi anni della sua vita. Nei primianni Sessanta il naufragio delledue peate sul Volano costringeCapuzzo a scendere sulla terraferma. Si trasferisce presso la vici-na frazione di Pontemaodino. Ilpittore conserva la residenza aCodigoro ma continua ad esseredomiciliato a Milano dove vive elavora. Ancora Longhi, in un suo

accorato ricordo proprio sulnumero 1 de “La Pianura” del1979, scrive: «Da qualche annosi è trasferito a Milano, ma gli oziestivi lo richiamano in una sua vil-letta a Pontemaodino, a fiancodell’Abbazia di Pomposa. Fra ilverde e le stelle. Un’oasi di sereni-tà, di silenzio, di poesia. Troppapace. Per romperne l’incanto il pit-tore Capuzzo attaccava, nelle oredella notte, il motore del suo trat-tore e così scavava nell’orto». E proprio a Pontemaodino MarioCapuzzo muore il giorno 8 aprile1978.

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Gianna Braghin

L’idea, spesso stereotipata efatta di luoghi comuni, che inostri connazionali hanno delDelta del Po, e nello specificodel codigorese, oltre all’Abbaziadi Pomposa, alle zanzare e allevalli salmastre, collegate a lorovolta alla Grande Bonifica, èlegata alla straordinaria stagionecinematografica del neoreali-smo che trovò in questa nostra

“Cinema Paradiso” made in Delta

Erano i racconti dei nostri geni-tori, parenti, vicini di casa,usciti per un glorioso attimo dalloro isolamento territoriale edalla loro invisibilità al restodel mondo, per fare da compar-se ai film che la felice stagionedel neorealismo voleva colloca-ti nel nostro Delta, in quel con-temporaneo, tragico periodoche va dalla fine della guerra

terra, proprio per i suoi coloriaspri ed il suo orizzonte piatto econtinuo, lo sfondo ideale perraccontare i drammi interioridegli anni della fine della guer-ra e del dopoguerra.Fin da bambini, noi della gene-razione anni ’50 eravamo idestinatari delle storie legatealla nuova emergente stagionecinematografica made in Italy.

...e di là da esso, distante ugualmente due chilometri, la riga appena affiorante dei Lungari di Rottagrande, col piccolo, scin-tillante dorso da scarabeo dell’Aprilia giusto nel mezzo … (L’airone di Giorgio Bassani)

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quello di un giovane studente diliceo che ruba le rose del vicinoper portarne un mazzo aRosanna Schiaffino, interpretenel 1959 di “Un ettaro dicielo”. Con la Schiaffino sog-giornò nelle nostre valli ancheMarcello Mastroianni, principa-le interprete maschile del film,reduce dalla lavorazione di “Isoliti ignoti” (1958) e futurointerprete della “ Dolce vita” ede “Il bell’Antonio” (1960);questo per dare il giusto valoreal nostro “Un ettaro di cielo”,che cadeva nella stagione piùfeconda di questo interprete.Per dare un’idea, seppur vaga diquanto onirico, irreale e metafi-sico si presentasse il DeltaPadano agli occhi di uno spetta-tore esterno ed ancor meglio allosguardo di uno scrittore, un regi-sta, un’anima artistica (ricordia-mo che anche Giorgio de Chiricogià nel 1917 rimase fortemen-te suggestionato da questi luo-ghi e riportò, isolandoli dal con-testo, gli alti camini dell’idro-voro di Codigoro nelle “MuseInquietanti”), queste le paroledi Cesare Zavattini, zoomate dalnostro Bornazzini nel citato sitointernet: “…Ne ho visti digrigi…ma i grigi del Po sono ilgrigio. Gli altri colori non esisto-no più, anche il rosso di qualchemaglione di donna o la camiciabianca di un terrazziere o il mar-rone dei tetti bassi non hanno laforza di affermarsi, diventanogrigi anch’essi.”O ancora…: Filippo de Pisis “Cisono momenti, qui, in cui iltempo si ferma ad attendere nonsi sa cosa”.Forse era l’aria del tempo, forsesolo nel primo dopoguerra e inquesti nostri luoghi estremi diterra e di acqua che creanoDa “La casa dalle finestre che ridono” di Pupi Avati

alla cosiddetta “ricostruzione”,quando i desideri e le giusteambizioni delle nuove genera-zioni si scontravano con lamiseria e con la fame.Quei set cinematografici, dovei nostri conterranei potevanoconoscere ed interagire conquelli che sarebbero diventatii mostri sacri internazionalidella storia del film, rappre-sentarono, nell’immaginariocollettivo del codigorese maanche del vicino comacchie-se, un’occasione davveromagica ed unica, da racconta-

re a tutti, per mesi, per anni.Cesare Bornazzini, regista codi-gorese di buona formazione e diottime conoscenze nel mondodella cinematografia, oltre cheautore di documentari e corto-metraggi su Pomposa, Goro,Comacchio e da ultimo del fil-mato “L’airone”, una raffinatainterpretazione del celebre librodi Giorgio Bassani, interpellatosull’argomento, snocciola anchelui i suoi personali ricordi, checi invita a leggere anche nel suosito: www.pomposa.com.Tra tutti, mi piace ricordare

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incomprensibili disegni, forsesolo allora e qui, potevanonascere le storie filmate delneorealismo italiano: quandotutto era finito e ancora non sivedeva la direzione futura, e laguerra che si era portata via unaconsistente parte della genera-zione precedente, un’ideologia,uno stile di vita, aveva anche“spianato” città, strade, piazze,aprendo al nuovo la terra ed ilcielo…mai come allora appari-vano immensi e desolati.In questo clima antieroicopur nella sua potente forzadrammatica che oscilla tral’iperrealismo ed il surreale,nascono documentari e filma-ti di cui il capostipite può abuona ragione essere conside-rato “Comacchio” di FernandoCerchio, prodotto dall’IstitutoLuce negli anni Quaranta.

Come sia stato possibile, con latecnologia dell’epoca, girarescene di pesca all’anguilla nel-l’ostile ambiente vallivo, rica-vandone immagini di chiaroscu-ri e di luce tanto sapientementestudiati, è davvero un miracolo eun mistero.Contemporaneo del film diCerchio, c’è un altro film cheviene girato in provincia diFerrara, proprio in quegli anni’41–’42. Si tratta di “Ossessione”di Luchino Visconti, da molti cri-tici considerato il primo film delneorealismo, una delle stagionipiù felici del cinema italiano cheprodusse capolavori quali “Romacittà aperta”, “Sciuscià”, “Ladridi biciclette”, “Paisà”, portandoalla ribalta internazionale i nomidi Rossellini, De Sica, Zavattini elo stesso Visconti.Il Neorealismo nasce ufficialmen-

te subito dopo la guerra, dallapovertà e dalla distruzione, mamolti vedono in “Ossessione” eanche in “Comacchio”, una sortadi anticipazione di questo movi-mento culturale.Girato nel 1943 da LuchinoVisconti in un imprecisato deltapadano, riconoscibile dall’am-biente ed evocato dalla citazio-ne dei luoghi geografici, tra iquali anche quello di Codigoro.Fortemente osteggiata dal regi-me fascista, la pellicola diOssessione riuscì a salvarsi dasicura distruzione e ad arrivarefino a noi. Già il titolo evidenziail tormento, la passionalità e ladrammaticità che caratterizzavaquesta nuova corrente cinema-tografica che ha documentateorigini nel Delta del Po e che aquesto ambiente selvaggio edostile ben si adatta, sia con le

Da “Le strelle nel fosso” di Pupi Avati

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trame, sia con le personalitàdegli interpreti.Così è anche per il celebre film“La donna del fiume”, intera-mente girato tra Volano eComacchio, nella metà deglianni ’50 del ‘900 e quindi inpieno periodo neorealista.Anche qui una storia drammati-ca, anche qui una grande attri-ce, una giovanissima SophiaLoren, diretta da Mario Soldati eprodotta dal futuro marito, CarloPonti; anche qui, infine, un cast“popolare”, dove tutta unacomunità fa da comparsa aquello che non è solo un film,ma è e sarà per loro l’unica stra-ordinaria occasione di fama e di“immortalità”. La location diquesto film si deve a FlorestanoVancini, aiuto regista, che avevain precedenza girato “Quattrocanne un soldo”, proprio neiluoghi vallivi che ritroviamo nel

film di Soldati. Anche qui lanatura è protagonista e fa daspecchio ai sentimenti, passio-nali, estremi e drammatici deiprotagonisti. Le radici più pro-fonde del neorealismo risiedonoproprio in questa ricerca di unarealtà che non è descrittiva odocumentaristica, ma introspet-tiva e drammatica. E’ un reali-smo che richiama il Verismo delVerga e che proprio per questoha bisogno di ambienti primiti-vi, estremi, quasi epici, per fareda sfondo a storie che hannoqueste stesse caratteristiche.La felice stagione del neoreali-smo continuò fino agli inizi deglianni ’60 e svaporò con il boomeconomico e la contestazionegiovanile.Certo, da allora il nostro Deltanon ha più conosciuto momentidi gloria paragonabili, ma nonper questo è sparito dal mondo

del cinema. Ho rivisto, la scor-sa primavera, grazie alla rasse-gna cinematografica “CaraEmilia”, dedicata ai film tema-tici di Pupi Avati ed organizza-ta da Cesare Bornazzini, pressoil cinema teatro Arena diCodigoro, il bellissimo e sognan-te “Le strelle nel fosso”, intera-mente girato a Volano. A propo-sito di questa rassegna, alladomanda: “Che cosa ti ha spin-to ad organizzare Cara Emilia?”,riporto le parole di risposta dellostesso Bornazzini, un conterraneoed un regista a cui noi tutti dellaBassa molto dobbiamo per ilrecupero della nostra storia fil-mica che tanto ci dice dellanostra attuale identità: “A noitutti indigeni è capitato e capi-ta di accompagnare qualcunoche vien da fuori a vedereVolano e le sue valli, Pomposa,Comacchio o il Boscone della

Da “La donna del fiume” di Mario Soldati

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Mesola e constatare con qualestupefatta meraviglia il nostroospite guarda e ammira. Comemolti sanno, nel mio passato c’èstata una militanza come cine-matografaro e, guarda caso, lamaggior parte dei film ai quali inun modo o nell’altro ho parteci-pato, è stata girata in EmiliaRomagna, spesso vicino casa.Pupi Avati, con il quale holavorato fin da La casa dallefinestre che ridono è a suavolta, e non solo perché èbolognese, affezionatissimoall’Emilia Romagna e a Bologna,ma anche alla bassa. Girare unfilm in posti che amavo e cono-scevo benissimo e poi vederecome questi posti, diventati sce-nografie di storie e d’altri tempi,come per magia si trasformava-no in luoghi bellissimi e impor-tanti, non finiva mai di sorpren-dermi. Ma non è solo una que-stione di panorami unici, se sipensa agli Etruschi di Spina, aiBenedettini di Pomposa, alleBonifiche, bisogna essere con-sapevoli che viviamo in un terri-torio così ricco di storia e dicose, che, oltre a ringraziare la

Manifesto di “Un ettaro di cielo” diAglauco Casadio

buona sorte per essere statiscelti dal destino a vivere qui,noi dobbiamo anche sentirci unpo’ guardiani di tutto ciò. Dei 5film presentati nella rassegna, 2sono stati girati in buona partenelle vicinanze; in un altro,Festa di laurea, erano stati pre-visti solo alcuni esterni e, ineffetti, la troupe è stata qui ingiro solo una settimana, ma ilrisultato clamoroso è che lapersonalità del luogo ha impre-gnato di sé tutto il film. Ora, iospesso c’ero, questi film li hovisti nascere e ci ho lavorato,

quindi li conosco benissimo emi è piaciuta molto l’idea dicomunicare le mie emozioni achi invece questi film non hamai avuto modo di vederli. Hoanche provato, inizialmenteero molto timoroso, la mossa diinvitare gli amici (attori, regi-sti) che avevano lavorato conme e ho ricevuto immediata-mente risposte positive edentusiaste. Non mi rimane cheinvitare tutti al cinema. E’l’Emilia Romagna, il Delta delPo, è la bassa, insomma è casanostra.”

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Lisa Viola Rossi

Un secolo in quaranta scatti: laCodigoro del Novecento si rac-conta nella mostra permanenteallestita dallo scorso settembrepresso i locali della sede delComune. Le immagini, che provengonodall’archivio fotografico digitaliz-zato della Biblioteca “GiorgioBassani”, sono state donate daicittadini – in copia – in un arcodi oltre trent’anni all’importanteistituzione culturale cittadina.Centinaia di foto, che sono giàstate oggetto di mostre tempora-nee al Palazzo del Vescovo nel1987, nell’89 e nel ‘91, corre-date da cataloghi che sono datempo andati esauriti.Sono quasi tutte immagini tratteda cartoline illustrate, e docu-mentano, in modo non intenzio-nale, la trasformazione di unacittà nel corso del tempo. Le foto più antiche propongonoinquadrature di una compostez-za formale, che rivela la manodi un artista. Non a caso, moltefurono realizzate da FrancescoTelloli, un pittore codigorese,con proficue frequentazioni pari-gine. Egli visse a cavallo tra Otto eNovecento e fu contemporaneodi un altro grande artista delluogo, lo scultore Mario Sarto, ilquale, trasferitosi a Bologna,lasciò importante traccia nel suopaese con due opere di grandepregio: il monumento ai Cadutidella prima guerra mondiale,nella piazza cittadina, e il sacro

Codigoro attraverso le foto delNovecento

Cuore di Gesù, nella chiesa disan Martino. Telloli, scoprendo– forse proprio a Parigi – lamoderna magia della fotogra-fia, vi trasferì i familiari canonidell’arte pittorica, realizzandocosì le più belle foto mai scat-tate di Codigoro. Esse mostrano una città dal-l’identità ben definita: i capisal-di sono rappresentati innanzi-tutto dal fiume - popolato dainnumerevoli imbarcazioni - cuiCodigoro, porto fluviale pereccellenza, deve la sua millena-ria nascita e le ragioni del suosviluppo nel tempo (da segnala-re, tra le altre, le fotografie al Podi Volano ghiacciato nell’“anndal giazzòn” [1929] e al corrie-re postale fluviale). Emerge poi la piazza acciottola-ta - contornata dagli edifici pub-blici e dalla plebana, antichissi-ma chiesa di san Martino (IX-Xsecolo) - sorta, insieme alla

città, fra la sponda sinistra delPo di Volano e la sponda destradel Goro, ramo dell’Olana (da cuil’antico nome della città, CornuaOlani). Un’altra protagonista delle stu-pende immagini del pittore-foto-grafo codigorese è la rivieraFelice Cavallotti, con i ponti chesi sono succeduti nel tempo: daquello girevole – distrutto allafine della seconda guerra mon-diale – al ponte Bailey, a quelloapribile del 1958.Il lungofiume era un tempochiamato via del Mare; fu poidedicato, nei primi anni delNovecento, all’appassionatopolitico radicale (Cavallotti,morto in duello nel 1898), nemi-co acerrimo del trasformismo,arrivando fino ad oggi con que-sto nome. Durante il regimemussoliniano, fu anche denomi-nato via 28 Ottobre, in ricordodella marcia su Roma.

Il Duomo di Codigoro

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Probabilmente ispirato daiquais lungo la Senna, Telloliriprese meravigliosi scorci dellungofiume, dominati dalla cor-tina di alberi e dalla elegantemole del Palazzo del Vescovo,sulla riva sinistra, e le villetteliberty della “nuova Codigoro”dell’imprenditore codigoreseRodolfo Pandolfi, sulla rivadestra, nella antica area golena-le del Po di Volano. Suggestivi gli scatti agli impiantiidrovori - i più potenti d’Europa,celebrati dagli artisti e dai lette-rati più rinomati del tempo -, chefurono contemporaneamentesperanza di riscatto sociale, affi-data alla industrializzazione, emito della modernità. Altre immagini tipiche di Codigorosono quelle dedicate alla chiesadel Rosario e all’Abbazia diPomposa, un monumento chesegnò un periodo fondamentaleper la crescita e lo sviluppo dellacittà.Questi i tratti fondamentali del-l’iconografia codigorese, rappre-sentati nelle fotografie d’epoca,che vengono tuttavia a confon-dersi e a sbiadirsi con il passaredegli anni.

Infatti, alla fine della prima guer-ra mondiale, le prime drammati-che trasformazioni urbanistichecolpiscono per prima la piazza,con il biasimevole abbattimentodel duomo di san Martino. “La progettualità pubblica del-l’anteguerra (intesa a conservaree a rilanciare il ruolo fondamen-tale dell’“agorà”, quale centro diaggregazione e di rappresentan-za civile) - ha scritto DanieleRossi, nella presentazione delcatalogo della mostra fotografica“Codigoro ieri.

Immagini fotografiche dai primidel secolo agli anni ‘60” (7-27settembre 1991) - ha poi lascia-to campo libero allo sviluppoedilizio privato del secondodopoguerra il quale, insieme allaespansione del traffico urbano,ha profondamente condizionato(e trasformato) l’originale strut-tura urbana di Codigoro”. Nellapiazza, il vuoto della chiesademolita viene in parte riempitodalla realizzazione del monu-mento ai Caduti della GrandeGuerra (negli anni ’20, sul pro-getto dell’arch. Giacomo Diegoli)e della Casa del Littorio (neglianni ’30, dall’ing. GiuseppeDiegoli). Lo spazio pubblico, il punto diincontro e di aggregazione deicittadini nella piazza, vienegarantito dal Bar Poluzzi (poiCentrale), al piano terra delPalazzo della Pretura. La parte della piazza che rimanevuota, in attesa della costruzio-ne – mai realizzata – del secon-do edificio uguale e simmetricoalla Casa del Fascio, è luogo disvolgimento di celebrazioni ericorrenze del regime, esercita-Po di Volano: anni Quaranta

Po di Volano: anni Sessanta

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zioni premilitari di balilla e avan-guardisti, e di manifestazionisportive, come i Littoriali. L’espansione e la trasformazioneurbana del secondo dopoguerravede colmare il vuoto dell’anticachiesa in piazza con una nuova,in vago stile neoclassico. Si trat-ta di un intervento da tempoauspicato, che però non sembraessere riuscito ad integrare ilnuovo tempio con la piazza cit-tadina: era stato realizzato inposizione alquanto discosta edarretrata, rispetto alla chiesaprecedente e, soprattutto, senzacampanile. Lungo il fiume, sonoormai poche le barche allafonda: il boom economico hadato il colpo di grazia al traspor-to su acqua, che è stato decisa-mente battuto da quello sugomma. Rimarranno, fino allafine degli anni Sessanta, solo ledue imbarcazioni del pittoreMario Capuzzo, una per l’abita-zione e una per lo studio. In quegli anni, lo sky-line dellariviera, che ha perduto la foltaalberatura è compromesso dainterventi edilizi improbabili, e

da un Palazzo del Vescovo inprofondo degrado.Intanto, anche la chiesa delRosario viene inopinatamenteabbattuta (1970), in nome diuna malintesa idea di progressoe di modernità. Fin qui, la storia delle foto espo-ste nel municipio di Codigoro. La storia successiva della cittàvedrà il recupero, a metà deglianni Settanta, dell’antico

Palazzo del Vescovo, che diverràsede della Biblioteca Comunale(1978) e delle attività culturali. La piazza, alla ricerca di una suaidentità, dopo aver perduto unulteriore punto di riferimentoaggregativo come il Bar Centrale(in favore di un istituto di credi-to), ha visto, nel 1999, la riaper-tura del Cinema-Teatro Arena edel bar annesso, completamen-te rinnovato.Al posto della chiesa del Rosarionasce il centro sociale peranziani, nel 1987. E finalmenteil fiume ricomincia, negli anniNovanta, a popolarsi di barchedei soci del Circolo Nautico.Per ripercorrere la storia diCodigoro dell’ultimo secolorisulta quindi utile visitare lamostra esposta nella sede muni-cipale.La visione delle foto si rivelaun’interessante occasione, noncerto per rimpiangere il passato,ma per trarne suggestioni chediano spessore e forza ad unfuturo che i codigoresi, e i gio-vani specialmente, devonocostruire tutti insieme.

La Casa del Fascio

Palazzo del Vescovo

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Giorgio Mantovani e Leopoldo Santini

Una coltivazione di riso feli-cemente tentata a Codigoro

Giuseppe Mayr, consiglierecomunale e membro dellaCamera di Commercio, nel1843 ottenne che il ConsiglioComunale di Ferrara istituisseuna scuola teorico-pratica terri-toriale di agraria diretta dal prof.Luigi Botter e con sede nelpalazzo Villa. Quella decisionenon rappresentava una novità inassoluto, perché già nel 1766 siera attivata una scuola privata diagraria, e ne erano seguite altre,ma tutte sfortunatamente aveva-no cessato l’attività alla fine del‘700. Dal 1843 gli atti dellascuola vennero pubblicati sulGazzettino Mercantile, redatto acura della Camera di Commercio. Nel 1847 la scuola prese ilnome di Istituto Agrario e nellasperanza che con l’aiuto degliagricoltori apportasse beneficialla Provincia, il direttoreBotter propose al ConsiglioProvinciale di organizzareannualmente una festa agrariad’Incoraggiamento, per pre-miare i miglioramenti nell’agri-coltura, nella pastorizia e peresporre attrezzi agricoli. IlGazzettino Mercantile preseallora il nome di GazzettinoMercantile Agrario, poi nel1848, dopo che si era decisoche la parte agraria dominassesu quella mercantile, si chiamòGazzettino Agrario Mercantile ela Camera di Commercio conti-

La Camera di Commercio eCodigoro

nuò a sostenerne le spese distampa. Un anno dopo, perl’ampliamento dell’IstitutoAgrario con l’aggiunta di unasezione orticola e di giardinag-gio, si diede maggior risalto allaparte agronomica e si aggiunseuna rubrica per l’industria.Nacque così l’Incoraggiamento,con l’appendice del GazzettinoMercantile.Nell’800 i possidenti veneticominciarono a guardare le areesommerse o semisommersecome a terreni ricchi di possibili-tà. La “febbre del riso” pervase iproprietari, che (nonostante lerisaie provocassero malaria)decisero di impiegare capitaliconsistenti in costruzioni diargini, sistemazione dei terre-ni, opere irrigatorie, canali di

scolo, costruzione di edificirurali e abitazioni per i coltiva-tori. Interi villaggi sorsero dalnulla, permettendo il popola-mento di zone completamentedisabitate. Diverso il comporta-mento degli agricoltori ferraresi,come scriveva l’Incoraggiamento,pubblicato settimanalmentedalla Camera di Commercio, il13 ottobre 1853: “se noi con-frontiamo la immensa superfi-cie delle valli e delle paludi delferrarese con la piccola esten-sione delle risaie qui introdot-te, ci persuaderemo che la col-tivazione del riso, a buon dirit-to chiamato il tesoro dellepaludi, è appena incipientenella provincia. La difficoltàprincipale per estendere la col-tivazione umida in questi luo-

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ghi è quella di scaricare quan-do occorra l’acqua eccedenteal bisogno. Ma ove non si pre-sti in ciò natura, l’arte dee cor-rere in soccorso la mercé dellemacchine idrovore, della utilitàdella quale si hanno esempiinteressanti nel vicino territoriodi Rovigo”. Nel 1852 all’ing.Cesare De Lotto di Adria, diret-tore del consorzio di Cavarzere,si rivolsero il primo e il secon-do circondario per la realizza-zione delle prime bonifichemeccaniche. Si trattava di uncomplesso di opere affascinan-ti, che intimorivano sia per ledifficoltà tecniche che perquelle finanziarie. Il prof. avv.Zuffi fu il primo a comunicarenel 1853 sull’Incoraggiamentola coltivazione a riso felice-mente tentata a Codigoro conl’aiuto di una idrovora.“E’ necessario capire che le

nostre valli rappresentano unariserva inesauribile di ricchez-za. I proprietari potrannoaggiungere terra a terra chediverrà sempre più sterile senon sarà sufficiente la forza ele braccia per coltivarla. E’opportuno che persone saggenell’interesse comune si affidi-no alle nuove scoperte dell’in-dustria.”Così fece Francesco Ioancich,dalmata, da molti anni residen-te a Codigoro che a un migliodal paese nella valle Mallèa,ossia di S. Anna, utilizzò unasuperficie di cento stara. Il ter-reno a forma di triangolo si tro-vava tra il canale Galvano alevante, il canale Stella aponente, la strada comunaledetta la Viarra a mezzogiorno.La terra “di sapore forte” fudivisa in quadretti o pianeseparate da arginelli, le piane

erano costeggiate da due cana-li, uno per parte: “un inacqua-tojo e uno scolatojo”. Con ilprimo si conservava il pelo del-l’acqua superiore al livellodelle piane, con il secondo siabbassava. Poiché i pubbliciscoli vicini, come il canalGalvano e Stella avevano quasisempre l’altezza delle acquesuperiore a quello delle valli,nel punto nel quale i due cana-li si intersecavano si collocòuna macchina idrovora per farpassare l’acqua dallo scolatoioall’inacquatoio.L’acqua sovrabbondante passa-va nel canale Stella e servivaper l’irrigazione anche se sta-gnante e ricca di materie indecomposizione. Il 1853 nonfu favorevole per la coltivazio-ne del riso, perché le abbon-danti piogge avevano mantenu-to sott’acqua i terreni più

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bassi, essendo stato alto permolto tempo il livello delVolano. La semina del riso chedoveva avvenire in aprile furitardata, e solo quando leacque si abbassarono si impian-tò la macchina e iniziò lo scolodella superficie trasmettendol’acqua nel canale Stella. Lasemina avvenne verso il 20 giu-gno e nonostante una prolunga-ta siccità la produzione fu con-siderata soddisfacente. Si pian-tarono cinque sacchi e mezzo diriso di quattro staja che assicu-rarono un raccolto di cento sac-chi corrispondente a 18 semen-ti. Per i lavori delle spighe,Ioancich non si servì del nuovometodo (il pettine raccoglitoredel riso, da poco tempo inven-tato da Luigi Bianco di Verona,già usato con successo nelletornature bolognesi perché pre-servava il prodotto dai guastidegli antichi metodi), ma sirivolse a operai di Mesola giàpratici di quei lavori che affian-carono i contadini per insegna-re loro. Non c’era da dubitareche tale coltura, pur suscettibi-le di perfezionamenti e risorse,potesse rendere produttiva granparte di quel territorio che finoa quel momento era stato fontesoprattutto di miseria.Nello stesso anno un’altra col-tivazione di riso fu tentata dalsig. Carlo Selmi di Polesella suterreni sommersi dalla grandequantità di acque del Polesine.I terreni dove si coltivò il riso inprecedenza erano pascoli, terrea frumento e frumentone, capez-zagne. Negli anni precedentinessun agricoltore aveva pen-sato di tentare quella coltiva-zione. Nel 1853, nonostante lagrandine che secondo il sig.Selmi aveva fatto perdere metà

della raccolta, si ottenne unprodotto di 16 sementi com-presa la sparsa. Altri proprietari di quel circon-dario che avevano provato lastessa coltivazione, nonostantele circostanze fossero identi-che, non furono fortunati per-ché gran parte del riso non ger-minò o venne distrutto dopo,perché, per intorbidare l’acquae smuovere un po’ la terra siservirono di rastrelli maneggia-ti dagli operai. Con ciò l’intor-bidamento non fu sufficiente ela superficie del terreno appe-na graffiata, “così il riso o nongermogliò o non assodò le radi-ci nel suolo, per cui all’agitarsidell’acqua pel verno gran partevenne schiantato”.

NOTA

Il Bollettino Mensile della Camera diCommercio Industria e Agricoltura diFerrara subentrò all’Eco nel dopo-guerra, e nel 1951 pubblicò unarticolo dal titolo: La risicoltura inProvincia di Ferrara. Diversi furo-no gli argomenti affrontati: le vec-chie risaie e la loro scomparsa; laripresa delle colture del riso;l’onerosità della coltura; la tecni-ca colturale e le varietà coltivate.Da una statistica compilata dalPrefetto Scelsi per la provincia diFerrara risultava che nel 1875 gliettari coltivati a riso erano 1780con una produzione irrisoria di 13q.li per ettaro. Le risaie per loscarso reddito si erano ridotte coni lavori di bonifica, così nel 1906,quando ebbero inizio i rilievi stati-stici agrari e di aggiornamento delvecchio Catasto Pontificio (1835),risultavano solo 34 ettari nelCentese, in località Torre Spada ePrati Mosti, e 120 ettari aCampotto di Argenta. Nel 1910scomparvero le risaie dell’AltoFerrarese e con la bonifica rena-

na diminuirono anche quelledell’Argentano, per cui nel 1929nel Centese e a Campotto, dove lacoltura si effettuava su terreniargillosi, si contavano solo 20ettari.I primi esperimenti della nuovarisicoltura furono effettuati da unostigliese, il cav. Zaniboni, neglianni ’30. Lo seguirono l’ing.Morandotti, l’avv. Abbove, laSocietà Bonifiche Ferraresi e altri.Le prime prove diedero risultatiinsperati e tali da invogliare laripresa, che nel 1941 raggiunse3930 ettari così suddivisi: 2375nei terreni torbosi di Iolanda,Berra e Codigoro; 705 in quellisabbiosi di Mesola (dove con ara-ture profonde torbe e sabbie simescolavano alle argille e ad altrimateriali dello “strato inerte”ottenendo così miglioramenti dallato fisico-chimico); 850 quellidell’Argentano, dove si coltivanoterre un po’ salse emerse dal pro-sciugamento delle valli.La guerra provocò una gradualecontrazione fino alla soppressionedella coltura nel 1945. Dopo laliberazione si ebbe una certaripresa e nel 1951 in provinciarisultò che le risaie occupavano2600 ettari, valori inferiori a quel-li del ’41 per le ingenti spese rela-tive alle nuove sistemazioni (350-400 mila lire ad ettaro), mentreper le vecchie risaie il costo era di30-40 mila lire per ettaro.Fortunatamente arrivarono i diser-banti (14-16 mila lire per ettaro),un notevole risparmio rispetto allacosiddetta “monda a mano”. Nel1951 le varietà di riso comune colti-vate erano: l’Originario, l’Americano,il Balilla, il Bellardone. Tra quelli fini:il Vialone, la Razza 77 e tra i super-fini l’R.B. (Rinaldo Bersani), il Sesiae l’Arborio. L’Originario e l’Americano dimo-strarono essere adatti a tutti i ter-reni e si diffusero per l’elevata ecostante “resa”, mentre il Balillae l’Americano per la classificaqualitativa e anche superiore per

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produttività, richiedendo una per-fetta sistemazione del terreno, siriservarono sempre alle risaie diprima sistemazione.Le tecniche colturali non avevanoinvece subito particolari innova-zioni post-belliche, all’infuori ditentativi di semina con comuniseminatrici, alle quali nella parteterminale si collocava una speciedi “ciabatta” per impedire l’inter-rimento del risone. Tali tentativifurono effettuati in diverse azien-de e su terreno asciutto evitandocosì galleggiamenti e spostamentidi semi. L’adozione di macchine per la rac-colta meccanica, pur sperimenta-ta con successo, era ritenuta inop-portuna per l’eccesso di manod’opera disponibile.Le concimazioni chimiche aumen-tarono man mano con la diminu-zione della fertilità dei terreni.

Dalla tramvia alla ferroviaFerrara-Codigoro

L’1 gennaio 1884 L’Eco cessòdi essere l’organo del comizioagrario e diventò quello ufficia-le della Camera di Commercio.Da quel momento iniziò a pub-blicare notizie e studi sugliinteressi agricoli, industriali,commerciali, sulle poste, ferro-vie, ecc.L’abbonamento era di lire 3annue, mentre il numero singo-lo costava 5 centesimi.Due mesi dopo il giornale scris-se che il Consiglio Provincialesi era riunito per deliberare suuna interrogazione del consi-gliere prof. Turbiglio riguardan-te i “nuovi progetti di costru-zioni ferroviarie nell’interessedella Provincia e i provvedi-menti relativi”.L’interpellante precisò che senon si volevano creare ulterioridanni al nostro territorio era

1900 Ferrara. Stazione ferroviaria Ferrara-Codigoro. Inaugurazione della lineaFerrara-Codigoro; la stazione sorgeva nell’area dove ora sono i giardini ed il grat-tacielo.

necessario por fine a ogni indu-gio. Altri consiglieri richieseroche studi tecnici precedesserouna concreta deliberazione delConsiglio.Ai voti si accettò la propostaTurbiglio e si decise:1- di attuare una rete ferroviaria perla provincia così che con la minorspesa possibile si collegasserocon Ferrara: Copparo, Migliarino,Massafiscaglia, Codigoro, Ostellato,Cento, Comacchio.2- di nominare una commissio-ne che d’accordo con laDeputazione Provinciale, ese-guisse e presentasse al Consiglioentro quattro mesi gli studi tec-nici e finanziari dell’esecuzio-ne.3- di contattare il Governo perottenere tutti i finanziamentipossibili.L’11 febbraio 1885 L’Ecoriportò che il Consiglio in unariunione, dopo lunga ed anima-ta discussione, quasi all’unani-mità aveva votato: ”Vista larelazione della Deputazione edella Commissione delle ferro-vie (composta dagli onorevoli

Gattelli, Carpeggiani, Turbiglio),lieto che essa abbia potutoeffettuare la soluzione dei pro-blemi ferroviari e persuaso cheessa saprà anche tutelare gliinteressi della Provincia neimiglioramenti da introdurre nelcompromesso già firmato e neldar corso a questo, solo quan-do siansi ottenute le adesionidegli enti interessati, passaalla discussione delle sue pro-poste”.Per motivi economici e buro-cratici fu necessario attenderefino al 16 gennaio 1901 perl’inaugurazione della tramvia ascartamento ridotto Ferrara-Codigoro. I binari seguivano lostesso percorso della stradaprovinciale e i viaggiatori pote-vano fermarsi a Ostellato, dadove partiva la corriera a caval-li per Comacchio. Il Comune diOstellato, riconoscendo il bene-ficio del nuovo servizio, siobbligò a corrispondere perquaranta anni un contributoannuo di lire 4500 alla conces-sionaria del servizio, la SocietàEmiliana per costruzione ed

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esercizio di ferrovie e tramvie.La tramvia a vapore effettuavaquattro corse al giorno nelperiodo estivo e tre d’invernoimpiegando tre ore e sediciminuti a percorrere quaranta-sei chilometri. I viaggiatori, come scrisseGiuseppe Meletti su Vere Novo(numero unico pubblicato nel1910 per la festa delle bonifi-che ferraresi), potevano vederedalla piccola carrozza appezza-menti bruni di terra, tagliati dafilari d’olmo e di noci, mentrele classiche viti della cosiddet-ta “uva d’oro” formavano unacatena interminabile... Poisiepi di biancospino e di sam-buco, qualche canneto e qual-che cespo di vinco sperdutinelle bassure, casette rurali dalbreve cortile popolato di galli-ne e tacchini e ingombro diattrezzi agricoli. Questo fino aMigliarino, dove il paesaggiocambiava leggermente assu-mendo dietro le sponde delVolano aspetti meno uniformi,perché il fiume si allargava in

piccole insenature coperte dininfee o scorreva sotto fittissi-me siepi di rovo e prugnolo. Diquando in quando, una sosta aMigliaro, Massafiscaglia, Sostegnodi Tieni, Ponte Galvano. Ognitanto apparivano davanti cam-panili rosso mattone, case dal-l’aspetto modesto, botteghe etrattorie con semplici insegnedove tra le porte spalancate sipotevano vedere lunghi tavoli esedie impagliate. Poi un altrofischio e nuovamente la cam-pagna col Volano quasi immo-bile, fiancheggiato da salici eradure galleggianti. Alla fine siarrivava a Codigoro e appenascesi i viaggiatori si trovavanodi fronte ai due stabilimentiidrovori.Dopo un trentennio, L’Eco ripro-pose il problema dei collega-menti col Basso Ferrarese. Unpasso avanti era stato fatto conl’approvazione del canale navi-gabile Migliarino-Ostellato, manel settore ferroviario moltorimaneva in sospeso. Già dal‘29 si era convenuto che per le

insufficienti condizioni di sta-bilità della sede ferroviaria eranecessario passare dallo scar-tamento ridotto (un metro) aquello normale. Si sarebbeaumentata non solo la velocitàma soprattutto ci si sarebbeadeguati alle moderne esigenzedel traffico su rotaia. Già da 50anni la Camera di Commercioversava alla ferrovia Ferrara -Codigoro un contributo di lire10.000 annue e nel settembredel 1931 la gestione era pas-sata dalla Società Emiliana allaS.A. Ferrovie e Tramvie Padane. La nuova linea si caratterizzòper stazioni comode ed elegan-ti, attrezzate con i migliori ser-vizi. La stazione principaleFerrara - S. Paolo era a trecorpi, con ampi locali perbiglietteria, deposito bagagli,sale d’aspetto, uffici e abita-zioni, ed era raccordata con ilForo Boario per il servizio delmercato del bestiame. Quelladi Codigoro era a sinistra delVolano, vicinissima al nuovocentro abitato e collegata alnaviglio del Volano da un bina-rio che si staccava duecentometri prima del ponte girevole.La ferrovia aveva lungo il per-corso caselli frequenti cheassicuravano la manutenzionee la vigilanza scrupolosa dellarotaie, che correvano sulladestra della strada provincialefino al Km. 18.800, per poiportarsi nuovamente a destra alkm. 25.800 adattandosi allanatura del terreno.Numerosi i ponti che si incon-travano: i principali in ferrocome quello sul Po di Primaro(metri 16); sul nuovo canale dibonifica di S. Antonino (metri12); sullo scolo Bertoldo (metri8); sulla fossa Masi (metri 12);

Portogaribaldi - Stazione ferroviaria

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sullo scolo Terravolta (metri 7);e il più grande, il ponte girevo-le di Codigoro che permettevala navigazione (metri 40).Altri, in cemento armato di mino-re importanza attraversavano gliscoli Pecchiotto, Stelinese,Verginese e Madonna. La ferroviaserviva tutte le località della vec-chia tramvia: Ferrara, Codigoro,Cona, Quartesana, Masi Torello,Medelana, Rovereto, S. Vito,Dogato, Migliarino, Migliaro eMassafiscaglia. La robustezzadella linea e l’ampiezza dellecurve permettevano di raggiun-gere anche velocità di settantachilometri.Il servizio si effettuava conquattro coppie giornaliere ditreni: due al mattino e gli altrial pomeriggio. Le vetture eranodi I e III classe e il costo deibiglietti molto contenuto. Undiscorso a parte quello dellemerci, indipendente e organiz-zato secondo le richieste, contariffe uguali a quelle delleFerrovie dello Stato, eccettoper i prodotti agricoli dellazona, che godevano di una spe-ciale riduzione.Provvisoriamente, con il con-senso del Ministero delleComunicazioni, si utilizzòmateriale in gran parte prele-vato dalla Società dalla lineaFano-Fermignano, si completòcon altri vagoni noleggiatidalle Ferrovie dello Stato, equesto fino a quando la dittacostruttrice non attuò l’interafornitura. Il Ministero, in pre-visione di un elevato afflussodi viaggiatori, considerato chequella linea costituiva laspina dorsale della parteorientale della Provincia,pensò quanto prima di elettri-ficarla.

da luglio a settembre si allestiro-no treni speciali festivi per chivoleva partire da Ferrara, S. Paolo,S. Giorgio, Ostellato, San Giovanni,Comacchio.I prezzi dei biglietti per MagnavaccaPorto (escluse tasse e sopratassedi bollo) erano da Ferrara di lire5.85 in prima classe e lire 3.40 inseconda; da Ostellato lire 2.55.Nel ’35 il servizio era ancoracarente nonostante i reclami e leperdite di gestione, perché aOstellato, incrocio di tutti i trenidella Ferrara-Codigoro e dellaFerrara- Porto Garibaldi, doveavveniva lo smistamento dellemerci e il cambio dei viaggiatori,chi partiva da Porto Garibaldi alle18.58 doveva attendere per venti-cinque minuti il treno per Ferrara.Partendo da Porto Garibaldi primadelle sei si obbligavano i gitanti alasciare la spiaggia nel momentomigliore della giornata. Così i fer-raresi non solo per il costo delbiglietto (8 lire andata e ritornoper Porto Garibaldi) preferivanocon la stessa spesa recarsi in altrespiagge, anche perché alla dome-nica il treno partiva da Ferrara allecinque senza fermate intermedie.Una decisione che risaliva a quan-do si pensava a un grande afflus-so turistico, invece continuandoalla domenica con lo stesso orariopartiva semivuoto da Ferrara e tra-scurava invece tutti quelli abitua-ti ad alzarsi molto presto cheavrebbero potuto salire nelle sta-zioni intermedie.Nel 1936 il Consiglio Provincialedell’Economia Corporativa si riunìper uno scambio di idee sul pro-blema ferroviario. Si stabilì dichiedere il prolungamento delloscartamento normale da Ostellatoa Porto Garibaldi riconoscendo igiusti interessi di Comacchio e lanecessità di sviluppo di PortoGaribaldi. Si espresse anche ildesiderio che le linee secondariefossero affidate a società private,non solo nell’interesse del pubbli-co ma anche per motivi economi-

NOTA

La tramvia Ferrara-Codigoro siallacciò con la stazione di Ostellatonel 1911, quando si inaugurò lalinea Ostellato- Magnavacca. Lastazione di Ostellato era stataampliata e fornita di ogni comodi-tà. Il treno era composto di tre vet-ture di prima classe, un bagaglia-io e le carrozze divise da un corri-doio laterale erano intercomuni-canti e accessibili alla piattaformaesterna chiusa con vetrate. Ilriscaldamento era a vapore, l’illu-minazione a gas acetilene, i freniad aria compressa, le porte a chiu-sura ermetica. Dal treno con un’in-venzione particolare, un apparec-chio costruito da Francesco Guerzoni,era possibile telefonare da qualsia-si punto della linea collegandosi aifili telefonici sul percorso.La ferrovia, costruita dalle FerroviePadane, passava alla sinistra diOstellato; lasciato il paese daambo i lati si vedevano colture digrano e barbabietole che si alter-navano nei terreni bonificati. Chisi era servito della vecchia postadove i conducenti davano riposo aicavalli non poteva non meravigliar-si. A San Giovanni di Ostellatoc’era un pratico sistema di scam-bi di cui il capostazione potevaverificare la posizione aprendo ildisco, e sempre in quella localitàle Ferrovie Padane avevanocostruito una elegante e comodastazione. Il treno a una velocità dicirca cinquanta chilometri orari siavvicinava a destinazione su unastrada ferrata chiusa da una paliz-zata in legno costruita da CarloMerli, che aveva curato anche lecancellate e le decorazioni. AComacchio deviava verso destra,poi doveva tagliare la valle deiCappuccini fino ai Tre Ponti. Unpo’ più lontano la stazione,costruita uso “chalet” svizzerocon tre reparti: sale d’aspetto,uffici, alloggio dipendenti, deposi-to materiale. Per favorire l’afflus-so dei turisti in via sperimentale

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ci perché si sarebbero adottatisistemi di trazione meno antiqua-ti e costosi. Nessuna modifica sifece fino al 1944. In seguito per idanni subiti dai bombardamenti sidecise la demolizione della linea.

A Codigoro la prima cantinasociale della Provincia

Il Consiglio Provincialedell’Economia Corporativa (nel1929 era subentrato alle ces-sate Camere di Commercio) siriunì diverse volte per discute-re la situazione vitivinicola fer-rarese dopo l’entrata in vigoredella legge 2 settembre 1932che vietava la vendita al consu-matore di vini con gradazionealcolica inferiore a 10 gradi, serossi, a 9 gradi, se bianchi. Tale norma non si applicòimmediatamente per l’anda-mento stagionale sfavorevole

della produzione vinicola, cosìfu deciso che si continuasse avendere vino con gradazioneinferiore a quella prescrittafino al 15 settembre 1933. Da quel provvedimento trasse-ro beneficio tre Comuni dellaProvincia: Codigoro, Comacchio,Lagosanto che avevano presen-tato attraverso il Consiglio unarichiesta motivata al Ministerodell’Agricoltura e Foreste. Sequella legge fosse stata appli-cata con rigore, ne sarebberoderivate perdite per tutta l’eco-nomia della Provincia, perchégli agricoltori avrebbero dovutoricorrere (con poca convenien-za e spesso con risultati nega-tivi) alla correzione con mosticoncentrati e a tagli con vinipiù alcolici, e i commercianti,sottoposti ad una più intensaazione di sorveglianza, doveva-no vendere prodotti spesso ina-

datti al gusto dei consumatorie a un prezzo più elevato. Ad aggravare la situazionedella viticoltura locale si eraanche aggiunta la legge 23marzo 1931, che vietava da unlato di realizzare nuovi impian-ti di vitigni ibridi produttoridiretti, quali il “Clinton” e il“Seibel”, e dall’altro stabilivache i vitigni esistenti fosserotrasformati, entro il 31 dicem-bre 1935, con innesti di vitieuropee. Poiché gran partedella produzione del vino ferra-rese era di bassa gradazionealcolica per le condizioni delterreno, mentre quello piùalcolico si otteneva dai vitigniibridi, i nostri agricoltori si tro-varono stretti tra l’incudine e ilmartello perché non potevanocontinuare la coltivazione dellavite rispettando due disposizio-ni in contrasto tra loro. Per

(Foto Biagini)

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quel motivo bisognava chiede-re al Governo che il problemafosse trattato a fondo per il pre-sente e per il futuro, evitandodi danneggiare ulteriormente laProvincia già provata dalla crisi

agricola. Così il Consigliodell’Economia, d’intesa conla Cattedra Ambulante diAgricoltura, alla quale era stataaffidato uno studio sull’argo-mento, si riunì il 30 ottobre

1933 alla presenza dei Podestàdi Comuni, dei rappresentantidegli enti interessati, dei piùconosciuti viticoltori locali. Ilpresidente, senatore Niccolini,dopo aver ringraziato il prof.Bonfiglioli per l’indagine svol-ta, ricordò che solo in minimaparte erano stati accolti neglianni passati i desideri espressinelle riunioni promosse dalConsiglio, pertanto era inutileproseguire sulla stessa linea, sidoveva affrontare l’argomentoin modo più ampio concependosoluzioni locali, o si dovevanoprendere contatti con altreProvince che producevano vinia bassa gradazione alcolica. Dopo aver ricordato l’importan-za della viticoltura nellaProvincia di Ferrara nel ‘700,precisò che dopo le limitazionialle quali erano state assogget-tate le principali colture comequella del grano, della canapa,delle bietole, non si potevanotrascurare le secondarie comela vite. Il prof. Bonfiglioli sosten-ne a sua volta la necessità dinon abbandonare quella colti-vazione: bisognava intensifi-carla in tutti i piccoli poderinati dopo la bonifica agraria,perché la produzione del vinodi consumo famigliare nel pro-prio fondo era una esigenza ditutte le famiglie coloniche.Affrontò poi il problema degliibridi produttori diretti, special-mente del “Clinton”, dichiaran-do che sarebbe stato un erroreinnestare su di esso altri viti-gni. Era necessario lasciare lafacoltà di coltivarne in ognipodere un certo numero diceppi, almeno 300, per nonostacolare la preferenza cheverso tale prodotto avevanodimostrato i consumatori. Per

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rispettare la legge che stabilivala vendita di vini ad alta grada-zione alcolica, era necessariosacrificare la cosiddetta “uvad’oro” e sostituirla con altrequalità che si potevano adatta-re al nostro territorio agricolo.Tra quelle segnalò un buonnumero di vitigni che avevanodato buona prova nel ferrarese,erano sei e tra loro: il Rabboso,il Lambrusco, la Freisa, ilCabernet, il Merlot, e per imosti da taglio il Lancellotta.Quella sostituzione, comequella per il “Clinton”, avrebberichiesto tempi piuttosto lun-ghi, oltre cinque anni, perciòera necessario che il Governoconcedesse per tal periodo ilcommercio di vino ferrarese abassa gradazione alcolica per ilsolo ambito provinciale, esclu-si i Comuni della zona litoraneadove si ottenevano con succes-so vini con tutte le caratteristi-che volute dalla legge cheappagavano non solo il consu-matore locale ma venivanoanche esportati.Il senatore Niccolini dichiaròche non si doveva escludere“l’uva d’oro” che da secoliaveva dimostrato di essere ilvitigno più adatto alla zonalitoranea e che aveva sempreincontrato il gusto della popo-lazione. Asserì che a quellaqualità si potevano mescolarealtre uve per elevare il tenorealcolico e si doveva promuove-re, seguendo l’esempio dei viti-coltori di Codigoro, la costitu-zione di cantine sociali pereffettuare tagli dei mosti e deivini ottenendo un buon prodot-to commerciale.Le cantine sociali erano lasoluzione più opportuna ai pes-simi sistemi di vinificazione

che fino a quel momento ave-vano svalutato e deteriorato ilprodotto dell’”uva d’oro”, edalla quale con metodi raziona-li si sarebbe potuto ottenere unvino di qualità superiore aquello fino allora realizzato.La riunione a Codigoro per lacostituzione della prima canti-na sociale della Provincia,come riportato dall’Eco, eraavvenuta il 15 febbraio 1933.Il presidente degli agricoltoridella zona il sig. UmbertoFerretti ringraziò i presenti eformulò l’augurio di una solle-cita iniziativa. Il Comm.Friedmann, presidente dellaFederazione Nazionale delleCantine Socali, spiegò il com-pito di quelle istituzioni e l’uti-lità delle stesse per il migliora-mento e la valorizzazione delprodotto.Concluse con l’augurio che icodigoresi approfittassero delmomento propizio e attivasseronel più breve tempo possibilela Cantina che poteva assicura-re tranquillità e benessere aiviticoltori del Basso Ferrarese,che avevano sempre dimostra-to di saper superare le difficol-tà del territorio.All’unanimità si deliberò lacostituzione e si nominò unacommissione per redigere lostatuto.Poiché il raccolto del 1933risultava molto scarso, si deci-se di far entrare in funzione laCantina l’anno successivo e sipensò anche di creare unimpianto per la sperimentazio-ne di nuovi vitigni.Il giorno 18 marzo 1933 laCantina sociale cooperativa sicostituì. Era la soluzione piùappropriata alle disposizionirestrittive sulla produzione

vinicola e un aiuto al BassoFerrarese e particolarmentealla zona detta del Bosco diCodigoro.

NOTA.

Il 12 gennaio 1887, l’Eco dellaCamera di Commercio ed Arti diFerrara pubblicò un articolo daltitolo: Cantina sociale ferrarese.“Sappiamo essersi regolarmentecostituita a Ferrara una Societàanonima per azioni che ha per isco-po la confezione di vino a tipocostante e commerciale e di porta-re tutti quei miglioramenti possibi-li all’industria enologica locale. Noiauguriamo che possa raggiungere loscopo ispirato a’ sentimenti nobilis-simi di igiene pubblica, ed a farcessare quel monopolio di continueadulterazioni a cui assoggettano inostri vini gli ingordi speculatori.Le persone rispettabilissime chesono a capo di questa nuova azien-da ci sono e assicurano che tuttoproceda regolarmente e corrispon-da pienamente allo scopo per cuila Cantina sociale ferrarese fu isti-tuita.Ogni azione costa lire 50 che puòessere pagata in due rate di lire 25,la prima all’atto della sottoscrizio-ne; l’altra quando verrà richiesta.Sappiamo che nell’ultima adunan-za vennero fatti gli assaggi dei viniconfezionati e furono giudicati per-fetti ed ottimi vini da pasto.Questi risultati si debbono nontanto alle assidue cure ed allo inte-resse addimostrato dalle personeche compongono il ConsiglioDirettivo, quanto dal bravo diretto-re tecnico prof. Lavagnolo.Così la Rivista, cui ci associamo nelraccomandare a tutti i signori pos-sidenti ed agricoltori di farsi soci diquesta novella istituzione, sia perincoraggiare l’ottima e umanitariaidea sorta nei promotori, sia perproteggere una industria che saràdi grande utilità per la nostra pro-vincia”.

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Pierpaolo Correggioli

La “Società Eridania, fabbricadi Zucchero” nasce il 27 febbra-io del 1899. La scelta del nome,che si ispira al Po, chiamato nel-l’antichità Eridano, è la chiaratestimonianza di come lo zuc-chero sia il frutto prezioso didue mestieri che si incontrano:quello dell’industriale e quellodell’agricoltore.E se il Po ha da sempre permes-so alla tradizione agricola italia-na di esprimere la parte miglio-re di sé, non è un caso che ilprimo zuccherificio dell’Eridaniasia a Codigoro, proprio sulle rivedel grande fiume.I 12 investitori che fondanoEridania in realtà stabiliscono lasede della società a Genova,allora capitale industriale, com-merciale e finanziaria d’Italia.

Lo Zuccherificio di Codigoro

Ma il più dinamico fra loro, l’im-prenditore Negrotto, apportacome capitale iniziale proprio lostabilimento di sua proprietàsorto nel 1898 nella bassa fer-rarese, rendendo così inscindi-bile il legame tra il progettoindustriale e quello che nediventa ben presto il bacinoagricolo di riferimento.Sono le grandi opere idrauliche,susseguitesi sin dal 1875 atutto il 1910, con l’entrata infunzione di due impianti idrovo-ri, che permettono a Codigoro didivenire prima il centro di inse-diamento di grandi aziendecapitalistiche, tra le quali laSocietà Bonifica Terreni Ferraresi,la Società Anonima di Esportazio -ne Agricola Cirio e la SocietàLodigiana - un passaggio determi-

nante questo per l’ammoderna-mento dell’agricoltura e l’au-mento della redditività dei terre-ni - poi centro di un apparatoindustriale di buona rilevanza,con la “Negrotto” per la com-pressione meccanica della pol-vere di torba nel 1892, con laCartiera negli anni attorno al1900 e, naturalmente, con lozuccherificio. Un “distretto”importante, tanto che nel 1901Codigoro viene collegata aFerrara con la linea ferroviaria.Ma i successi maggiori arrivanoproprio dal settore bieticolo-sac-carifero. Grazie ad una precisascelta politica, operata sin dal-l’inizio del ‘900 e condivisa alivello nazionale tra Stato eimprese produttrici, si configurauna vera e propria gestionemonopolistica della produzionedi zucchero. Di conseguenza imargini di profitto sono elevati econsentono accantonamenti utiliper affrontare i periodi più bur-rascosi.Una migliore organizzazionepermette, progressivamente, dimigliorare l’efficienza degli sta-bilimenti produttivi. A Codigorosi passa da 3.000 quintali dibietole lavorati al giorno inizial-mente, a 9.000 nel 1911. Alfine, poi, di integrare semprepiù verticalmente la filiera, dalcampo alla trasformazione,Eridania intraprende una fortu-nata campagna di acquisizionedi terreni, con 1680 ettari disuperficie acquisiti per estende-

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re, in particolare, il bacino bie-ticolo nell’area codigorese.Numeri che confermano il ruolodi protagonista dell’area delbasso ferrarese nella crescita,costante per tre decenni, diEridania, che entra sempre piùnel novero delle aziende desti-nate a rappresentare il patrimo-

Una immagine antica dello zuccherificio di Codigoro, il logo e le confezioni storiche dell’azienda

nio agroindustriale del Paese.Nel 1930 la Società è cresciutatanto che la sua rilevanza inambito nazionale viene sottoli-neata anche dal nuovo nome:“Eridania Zuccherifici Nazionali”e nel 1950, Eridania consolidala propria posizione di primoproduttore saccarifero in Italia,

pronta ad affrontare l’esplosionedei consumi durante gli anni delboom economico.Arriviamo così alla metà deglianni ’60. E’ la Politica AgricolaComune imposta dalla CEE acambiare le regole del gioco. Lequote zucchero, che da un latogarantiscono un margine di pro-

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canali delle bonifiche, nidifica-no da quasi 30 anni, regolar-mente, varie specie di Garzette,Nitticore, Aironi Cenerini e AironiBianchi Maggiori.La Garzaia di Codigoro è consi-derata oggi una delle più consi-stenti ed importanti colonie diAironi dell’Italia settentrionale,con 1.500 nidi censiti già nel1989.Un numero che è valso l’istituzio-ne da parte dell’AmministrazioneProvinciale di Ferrara, di un’Oasidi Protezione della Fauna, e chesegna, in modo diverso dal pas-sato, un altro record per l’exzuccherificio.

fitto alla condizione di limitarela produzione al livello fissato,dall’altro impongono la chiusuradi una parte degli impianti pro-duttivi. Ed è proprio in questomomento di trasformazione cheil percorso di Eridania, che deveridurre il numero dei propri zuc-cherifici da 28 a 14, si allonta-na definitivamente da Codigoro:lo storico e glorioso stabilimen-to cessa di essere produttivo nel1970 e viene completamentedismesso nel 1982.Il vincolo di archeologia indu-striale lo salva dalla demolizio-ne e nonostante i numerosi pro-getti di recupero prospettati, il

più mirabolante dei quali restadi sicuro quello del parco atema a carattere scientifico“Millennium”, ideato all’iniziodegli anni ‘90 da Carlo Rambaldi,il padre di ET, nessun piano èstato attuato.O perlomeno non dall’uomo.Perché l’opera in questo casol’ha fatta la Natura.Riparata dai rumori del trafficodalla possente mole dell’ormaiabbandonato stabilimento, all’om-bra delle ciminiere ultra cente-narie, un’area di circa 8 ettari èdivenuta una vera e propria gar-zaia. Tra Robinie, Pioppi,Sambuchi e Pruni, vicini ai

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Graziano Gruppioni

Grazie alla bonifica e al conse-guente prosciugamento dellevalli Garbina e Malea, a nord diCodigoro, precisamente nell’at-tuale frazione di Torbiera, sorse,sul finire del XIX secolo, uno deipiù importanti stabilimenti ita-liani per lo sfruttamento indu-striale della torba. In una superficie di circa 1600ettari a levante ed a ponentedella frazione di Mezzogoro sipresentava un terreno torbosocon caratteristiche speciali: unelevato tenore di azoto, nongrande spessore, fibroso allasuperficie pulverulenta, concirca il 60 per cento di umidità. Lo sfruttamento della estensio-ne torbosa, compresa fra i cana-li Bella e Leona, fu tentato concriteri diversi fin dal 1880 daFrancesco Cirio; però a causadell’epidemia colerica del 1885che colpì tutta la provincia diFerrara, ma in particolare, piùpesantemente, il basso ferrare-se, la ditta Cirio fallì e ad essa

La torbiera

successe una nuova società,La Codigoro dell’imprenditoregenovese G.B.Negrotto.Questi pensò di allestire unostabilimento per la lavorazionedella torba polverizzata, da com-mercializzare sia come concimein polvere che in mattonellecombustibili, attuando un pro-cedimento molto sfruttato inAmerica e quasi sconosciuto inItalia. L’esito però fu scarso, per il fattoche i combustibili poveri, spe-cialmente le torbe, non vinseromai la concorrenza del carboneestero, per deficienze peculiaridovute alla loro intrinseca natu-ra. Dopo vari tentativi la dittaNegrotto cedette l’azienda allasocietà per la utilizzazione deicombustibili italiani che giàpossedeva la torbiera dell’exlago di Bientina ad Orentano, inprovincia di Firenze.Questa, facendo tesoro dei pro-pri studi e dell’esperienzaacquisita nell’impianto toscano,

eseguì e mise in funzione, nel1912 a Codigoro, un moderno ecompleto processo di utilizza-zione delle torbe. L’impianto fu studiato e proget-tato dalla compagnia inglesedetentrice dei brevetti Mond,poi notevolmente modificato daitecnici dello stabilimento diOrentano ed integrato da unimpianto di essiccazione artifi-ciale della torba. I dirigenti della torbiera codigo-rese puntarono sul metodo dellagassificazione, brevettato daldottor Mond, da eseguirsi sulposto in uno stabilimento crea-to nel centro della torbiera.Questa soluzione fu oggetto dicriteri, metodi, studi e ricerchetutte italiane, che resero l’im-pianto di Codigoro un gioielloeuropeo. Tale impianto com-prendeva le apparecchiature discavo e trasporto della torba;l’impianto di preparazione edessiccazione per la produzionedel solfato di ammonio; la fab-brica di acido solforico per ilrecupero dell’ammoniaca; lafabbrica di mattonelle di torbaper uso combustibile; la fabbri-ca di produzione di humus, unacentrale termica e una elettricaper alimentare lo stabilimento.La torbiera di cui disponeva laSocietà consisteva di dueappezzamenti di terreno, uno di700 ettari che un tempo appar-teneva alla società La Codigoroe un altro, poco distante, dicirca 500 ettari detta di

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Monticelli. La torba vi aveva inentrambi i campi uno spessoreche variava da 60 centimetri adun metro, facilmente estraibilee di ottima qualità. Il tenoremedio di umidità era del 58 percento, il peso specifico di circa700 kg a metro cubo e contene-va 300 kg. circa di torba anidra.All’inizio la torba veniva estrattaa mano e gli operai caricavanodirettamente i vagoni adibiti altrasporto. Il campo di scavo eracircondato da una serie di bina-ri, onde i convogli potevanogiungere, sostare e ripartiresenza perdita di tempo, mentreun treno era sempre sotto cari-co. Una squadra di operai piaz-zava giorno per giorno il binarioche doveva servire per il giornosuccessivo rimuovendo quelloadiacente al tratto scavato. Itreni erano composti da 10 o 12vagoni cadauno, trainati dalocomotori Klein, a 4 assi,pesanti sei tonnellate con unraggio di curvatura intorno ai 10metri. La capacità volumetricadi ciascun vagone era di 2,5

metri cubi, quindi i convogli tra-sportavano, a pieno carico, circa17 tonnellate ciascuno di mate-ria prima umida, raggiungendoun totale giornaliero di 800 ton-nellate di torba, scavata conl’impiego di 40 operai. Oltre alloscavo manuale lo stabilimentodisponeva, dal 1914, di unacolossale macchina escavatriceprogettata da un ingegnere tede-sco, certo Oldenburg, che da

sola sterrava 600 metri cubiogni 9 ore di lavoro, funzionavaa corrente alternata e sostituivale braccia di trenta uomini. Latorbiera era alimentata da cor-rente elettrica ad alta tensione(2500 volt) distribuita da cabi-ne mobili adattabili ovunque.Infine era possibile comunicaretelefonicamente con qualsiasicantiere dislocato all’internodella torbiera.L’essiccazione della torba, a dif-ferenza di quanto si praticava intutto il mondo, non si effettuavaal sole, ma artificialmente invasti capannoni contigui e aciclo continuo. L’impianto rela-tivo occupava un’area di oltre2.000 metri quadrati, 12 tunnelsituati a ponente dello stabili-mento lungo il canale Bella. Latorba vi si immetteva attraversoun nastro trasportatore lungo 36metri e veniva trasbordata amezzo di un altro nastro traspor-tatore che per 60 metri correvain orizzontale e per 36 era incli-nato per immettere il terriccionei gassogeni.L’impianto di essiccazione dellatorbiera di Codigoro era, nel suo

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genere, unico al mondo: fu rea-lizzato su progetto dall’ingegnerDomenico Civita e brevettatodalla stessa Società perl’Utilizzazione dei Combustibili.Si calcolava che ove si fossevoluto seguire il sistema diessiccazione soleggiata, fino aquel tempo usato ovunque, perottenere 55.000 tonnellate ditorba anidra all’anno, pari acirca 180.000 metri cubi diprodotto grezzo, servivano piùettari di terreno e il lavoro di1200 operai. L’impianto di gassificazione eproduzione del solfato di ammo-nio constava di torri di recuperoe di lavaggio alte 18 metri econ un diametro di 3. L’interoimpianto produceva 270.000metri cubi di gas al giorno,oltre a 120 quintali di solfato diammonio.La centrale elettrica che alimen-tava l’energia occorrente pertutti i servizi della fabbrica eramunita di due caldaie e di dueturboalternatori Tosi-Oerlikon da1000 ampère di potenza e 225volt trifase.

Accanto al nuovo stabilimentofunzionava, modernizzato, ilvecchio stabilimento rilevatodalla società ”La Codigoro”, cheproduceva concime in polvere emattonelle composte di polveredi torba mista allo scarto mine-rario del carbon fossile, cheveniva macinato per ottenereun prodotto più pregiato a piùalta combustione. Lo stessoimpianto utilizzava poi i detritidi torba essiccati, che, passati elavorati in appositi crivelli osetacci, producevano humus ecalciocianamide.Il progetto completo di tuttoquesto impianto venne studiatodall’ingegner Domenico Civita,amministratore delegato dellaSocietà, e svolto in dettagliodall’ingegner Leandro Ricci,direttore tecnico coadiuvatonella direzione dei lavori dall’in-gegner Luigi Colombo, dal dot-tor Tito Cerasoli, chimico del-l’azienda, dal signor ColomboBriasco, direttore locale e dalconsulente della società cavalierAlberto Cerasoli.Salvo pochi macchinari importati

dalla Germania e dall’Inghilterra,tutto il resto era di produzioneitaliana. Le torri e le parti inacciaio e ferro furono eseguitedalla ditta Togni di Brescia eassemblate della impresaBoldrini di Codigoro.La centrale elettrica era delladitta Tosi di Legnano; i motorielettrici, le pompe e i ventilatoridella Magneti Marelli; il materia-le ferroviario della ditta Sinigallia;il materiale refrattario dell’indu-stria ceramica Gres di Milano.La fabbrica di acido solforicoera stata progettata e direttadall’ingegner Alessandro Basevidi Genova e messa in opera dal-l’impresa Felice Liberti diSanpierdarena; le parti in piom-bo furono montate dai fratelliPrato di Milano.La muratura fu innalzata dall’im-presa edile codigorese GiuseppeSucci e le fondazioni in cementoarmato dai fratelli Damioli diMilano. I nastri trasportatorierano dell’officina Basevi diGenova; i carrelli per gli essicca-toi furono costruiti e installatidalla ditta Baldoni di Lecco e lemacchine impastatrici, cheamalgamavano la torba al carbo-ne frantumato, dalle officineVeraci di Firenze.La torbiera di Codigoro, sfrut-tando già a quell’epoca gli scar-ti di lavorazione, riusciva adautosostentarsi recuperandol’energia consumata all’internodella fabbrica. La torba produ-ceva gas e col gas la si essicca-va. Col medesimo gas si produ-ceva vapore ed il vapore servivaa produrre energia.La torbiera di Codigoro, per con-cludere, si può senza dubbiodefinire la struttura più moder-na e tecnologicamente avanzatadel settore.

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Località Vittoria, 51 - 44020 Mezzogoro (FE)Fax 0533/931070 - [email protected]

Ferrara - Via Riccardo Zandonai, 48 - Tel. 0532 772030S. Giuseppe - Via Lido di Pomposa, 62/B - Tel. 0533 381039

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Giorgio Mantovani e Leopoldo Santini

Il primo mercato

Nell’aprile del 1681 la Comunitàsi rivolse al Cardinale Legato per-ché presentasse a Roma ladomanda di una fiera “libera efranca d’ogni sorta di quadrupedida farsi ogni anno nel mese diottobre”.Avere una fiera annuale era unambito privilegio, perché la con-cessione comportava agevolazionipersonali ai mercanti, immunitàfiscali d’ordine vario, esenzionetotale dai dazi d’entrata e uscita eprofitti in termini di servizi e dicommercio al minuto.Il Cardinale Legato di Ferrara pre-cisò alla Reverenda CameraApostolica che Codigoro “nonaveva traffici commerciali , nongodeva la prerogativa di far merca-to un giorno la settimana comeavveniva in altre località dellaLegazione, che la fiera annuale diquadrupedi avrebbe portato diver-si vantaggi perché il territorio eraper la maggior parte utilizzatocome pascolo e il numero di ani-mali molto elevato veniva traspor-tato su imbarcazioni a Rovigo doveerano venduti a prezzi poco remu-nerativi. La fiera si sarebbe potu-ta svolgere in dieci giorni delmese di ottobre con un regola-mento che non doveva ledere gliinteressi della Reverenda CameraApostolica”. Accordato il permes-so, il Cardinale Acciaioli l’11 ago-sto 1681 pubblicò un editto con lestesse caratteristiche di quello diCopparo. La fiera franca si svolse

Codigoro dal 1600 al 1900

dal 1° al 10 ottobre d’ogni anno ea quella furono ammessi uomini edonne, eccetto gli eretici, gliscismatici, i “nemici di SantaChiesa”, i banditi o condannati.L’autorità non poteva procedereper vie legali contro chi aveva pen-denze di condanne per debiti , eravietato portare con sé qualsiasiarma, in particolare quelle dafuoco, e il colpevole doveva paga-re cento scudi o sottoporsi allepene corporali previste nell’editto.La stessa cifra doveva essere paga-ta da chi promuoveva una rissa. IlComune per la vigilanza si servì diquattro ufficiali, i cui diritti e dove-ri erano affissi in prossimità delmercato, e l’editto si ripetè peralcuni anni con poche varianti.

Ferrara acquista da Codigoro idiritti sul porto di Volano

Il porto di Volano, per le caratteri-stiche del fondale e per la sicurez-za che garantirà alle barche damare che entravano nella sacca,era considerato fin dall’antichità ilmigliore di tutta la costa adriatica.Poiché dal ‘700 nessun interventoera stato fatto sul porto, sugli scolidel primo e del secondo granCircondario, che attraverso le chia-viche dell’Agrifoglio a sinistra edella Marescalca a destra immet-tevano acque nel tronco inferioredel Po di Volano, nel corso deglianni si era creato un lungo edampio deposito di sabbia dinanzialla foce. Quello “scanno” impedi-

va la diretta unione della sacca colcanale, obbligava le barche ad unlento e scomodo giro per mancan-za d’acqua, ritardava notevolmen-te la bassa marea, rallentaval’uscita delle acque di scolo dan-neggiando così i proprietari dei ter-reni. Le opere messe in atto perfavorire la navigazione del Volanosi limitavano al taglio delle erbedel fondale o di quelle sulle rive,alla conservazione della strada deltiro e dei sostegni per non ostaco-lare la navigazione dei battelli.A metà del ‘700, il Comune diCodigoro conservava ancora il dirit-to di ancoraggio sul Volano pressoil mare, ma il Governo gli proposedue soluzioni:” riportare conopportuni scavi il porto a buonecondizioni, o cedere ad altri l’ob-bligo della manutenzione”. Inrisposta ad una lettera dell’Uditoredel governo di Ferrara, inviata alGovernatore di Codigoro il 25luglio 1760, il Consiglio, dopolunga discussione, decise di cede-re il diritto d’ancoraggio, a condi-zione che il nuovo proprietariopagasse al Comune 25 scudiannui (il Municipio dal 1695 al1760, come certificato dal notaio-segretario Maurelio Folegatti,aveva riscosso una media di scudi60 per la sola locazione della casadell’ammiraglio). Si chiese inoltrel’esenzione dall’obbligo di seppel-lire i cadaveri portati a riva dopo unnubifragio e di controllare il portoe la spiaggia in caso di pestilenza,e infine che la casa dell’ammira-glio fosse ceduta dopo una perizia.

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A quel punto intervenne il Comunedi Ferrara, che il 7 settembre1761 deliberò di scavare il Volanosino alla foce con i fondi ottenutidal Monte di Pietà, e nei terminiprescritti subentrò nell’acquisizio-ne dei diritti di ancoraggio sul Podi Volano.

Una festa sul ghiaccio

Gli Annali Ferraresi di Roveri eFiorentini riportano che “il dicem-bre dell’anno 1879 ci prodigò taleintensità di freddo da congelare ilnostro fiume e renderlo viabile dal-l’una all’altra sponda”.L’8 gennaio successivo, CesareCalzavara inviò da Codigoro que-sto articolo pubblicato dallaGazzetta Ferrarese: “Nel grancanale d’arrivo delle acque allostabilimento macchine dellaSocietà Bonifiche, il ghiaccio haraggiunto la grossezza di 32 cme gli operai addetti allo stabili-mento, dietro l’idea del direttoreing. Sims e del suo facente fun-zioni sig. Cottrel, hanno coltol’occasione per dar termineall’annata allegramente, invitan-do tutti i loro compagni, oradisoccupati per mancanza dilavoro, ad un pranzo sul ghiaccio.Fin dal mattino sul grande spazio

circondato da bandiere nazionali estrisce a colori diversi si è costrui-to al centro un grande fornellodove sono stati arrostiti due mon-toni interi. Contemporaneamentesono stati preparati cinquantacoperti sopra una grande barcacongelata. Alle 11 ant. un concer-to del paese diretto da BignozziAchille ha rallegrato la festa e tuttigli operai si sono divertiti pattinan-do o usando slitte. Un gran nume-ro di paesani d’ogni ceto ha pre-senziato per vedere ciò che nonrammentavano neppure i più vec-chi tra loro.Ad un’ora pomeridiana al suonodella tromba gli operai si sonoseduti a tavola e il direttore e il vicedirettore hanno servito macchero-ni al burro, fritto di fegato conpolenta, pane, vino, arrosto, for-maggio, castagne, paste, tabaccoecc. Terminato il pranzo gli operaihanno festeggiato iloro superiori poi èseguito un ballo alquale hanno parteci-pato molte giovanet-te del paese ed alcu-ne signorine, così sulghiaccio si sono tro-vate quasi 500 per-sone.La festa è terminataalle 5 pomeridiane

senza contare la minima disgra-zia”.

Vere Novo

Nel 1910 a Ferrara, in occasionedella festa delle bonifiche ferrare-si, si pubblicò un numero unicodal titolo “Vere Novo”, con unatiratura di 40.000 copie.Nell’articolo introduttivo del gior-nale, che si avvalse di numerosicollaboratori, Alberto Verdi annun-ciò tra l’altro che all’inaugurazionedello stabilimento idrovoro diCodigoro, vero e proprio simbolo ditutta l’impresa della bonifica,sarebbero seguite la posa dellaprima pietra del nuovo ospedale diFerrara, l’inaugurazione dell’ac-quedotto al forese, quella dellaCassa di Risparmio e quella deinuovi ponti di Bastia e Ariano, cheavrebbero facilitato i traffici com-merciali.V. Peglion scrisse che chi arrivavaa Codigoro da Ferrara, o percorre-va la strada da Ostellato aComacchio poteva osservare danotevole distanza i numerosifumaioli, a dimostrazione di comequella località fosse diventata unvero centro industriale, con i duegrandi stabilimenti idrovori (il piùvecchio costruito nel 1873 equello nuovo), lo zuccherificioEridania, lo stabilimento per la

Chiavica dell’Agrifoglio

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economiche per la difesa di enti eclassi, quelle politiche e le istitu-zioni militari. Seguiva un dettaglia-to elenco degli alberghi e trattorie:Trattoria Speranza con alloggio;Albergo Leon d’oro; Trattoria Gallocon alloggio, Albergo Italia;Trattoria Colombina con alloggio.Tra le birrerie, caffé, bottiglierie: ilCentral Bar, il Commercio e ilVermouth di Torino.Alla Cartiera dell’Astico si eranoaggiunte una fabbrica di ghiaccioartificiale e le officine meccanicheAndreoli, specializzate in costru-zione di automobili.Nel 1927, oltre gli impianti idro-vori erano presenti uno zuccherifi-cio, una cartiera, due mulini adalta macinazione, tre forni a vapo-re modernissimi, una fabbrica dighiaccio e acque gassose, deposi-ti di legnami industriali, di mac-chine agricole, ecc. Si navigava ilVolano con bragozzi-burchi venetie battelli comacchiesi e la rete deicanali di bonifica era congiunta alfiume mediante la conca diGalvano. I principali prodotti eranocereali, bietole, canapa, cocomerie vino. In via di approvazione risul-tava poi la darsena in raccordo conla nuova ferrovia, da attivarsi neglianni ’30.C’erano poi due bande musicali,una comunale e l’altra parrocchia-le, si stampava un periodico loca-le, “Il Volano”, c’erano tre nuovialberghi: la Stazione, il Cerreta, ilLeon Bianco. Andreoli Arzilio si eraspecializzato in macchine agricolee vendeva la benzina Lampo, l’uni-ca tipografia continuava a esserequella di Giari Giulio. Nel 1936 gliabitanti erano 8.262, in totale nelComune 16.828. Oltre la ferroviaFerrara-Codigoro si erano aggiuntiservizi di autobus che collegavanoil paese con Mezzogoro, Ariano,Lagosanto, Comacchio.

Professionale, Industriale eCommerciale del 1919 fornìdate diverse per le fiere: 15-16-17settembre per quella annuale e peril mercato il giovedì e la domeni-ca. Esistevano due Istituti di cre-dito - la Banca Piccolo Credito,agenzia di Codigoro, la BancaMutua Popolare di Ferrara -,le scuole elementari, unaCongregazione di carità, l’ospe-dale, il ricovero di mendicità el’asilo infantile, tre alberghi (nonprecisava i nomi n.d.r.), due far-macie, dirette da OrlandiniFerdinando e da MalagutiGermano.Nel 1922, secondo l’Indicatoredelle Province Emiliane la fiera sisvolgeva a metà settembre (fiera diS. Croce), le banche erano due,mentre alle scuole elementaricomunali di Codigoro e nelle loca-lità di Bosco, Caprile, Torbiera sierano aggiunte una scuola di pre-parazione agli esami delle scuoletecniche e ginnasiali e una corale“Guido Monaco” (non riconosciu-ta) per musica e canto. Per losvago c’era l’Arena Tagliati, concinema e un teatro con cinema.Tra i circoli ricreativi si segnalava-no il Codigorese di Ricreazione e ilCodigoro Football club.Numerose anche le associazioni

lavorazione della torba, la fabbricadi cellulosa, la fornace da mattoni.Visitare Codigoro era diventata unagita obbligatoria per gli agronomi egli idraulici di ogni nazione euro-pea.Giuseppe Meletti precisò cheCodigoro aveva fabbricati di stilemodernissimo lungo la via cheuniva la stazione alla piazza delMunicipio e alla Riviera Cavallotti,centro nevralgico di tutta l’attivitàcommerciale. Per la presenzadella grande bonifica , secondo ilsuo parere, il paese era destinatoad uno splendido avvenire agrico-lo, commerciale, industriale.

Notizie dagli IndicatoriCommerciali

L’Indicatore-Guida della città eprovincia di Ferrara, compilato daM.A. Rajmondi nel 1895, segna-lava che Codigoro aveva 8.560abitanti, distava da Ferrara 44 chi-lometri e che le vetture postalieffettuavano due corse al giorno.Nel primo giorno di giugno e allametà di settembre si svolgevano lefiere annuali e ogni giovedì il mer-cato di merci. Due gli alberghi inattività: il Leon d’oro e l’Italia.L’Indicatore Amministrativo

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Graziano Gruppioni

O Lucrezia, deh vieni, t’af-fretta Questo popol fedelet’aspetta cantarono le bimbedi Codigoro in veste bianca,coronate d’edera, a Lucreziaduchessa di Ferrara, in quel-la seconda domenica di set-tembre del 1503 (sulla datanon tutti i biografi concorda-no). Fanciulla ventiduenneanche lei, vien da pensare,per la parte della sua perso-na non violentata dallaragion di stato e dai trematrimoni subiti per la stra-ripante volontà di potenzadel padre, Papa AlessandroVI e del fratello, CesareBorgia, duca “Valentino”.Ora il terribile padre è scom-parso da meno di un mese,«Molti», scrisse il Costabiliad Ercole I D’Este, «dubita-no che li sia intravenuto vele-no». La spoglia mortale delgià onnipotente pontefices’era mutata nel «più bruttomostruoso e orrendo corpo demorto che si vedesse mai,senza alcuna forma e figurade omo»L’annuncio recatole dal cardi-nale Ippolito nella delizia diMedelana è fonte di un doloreimmenso: chiusa nelle suestanze, vestita di nero, digiu-na e piange. Luigi XII diFrancia fa trapelare la propriaadesione ad un eventualedivorzio di Alfonso. Ma gliEstensi, vuoi per i beneficilegati dal Papa alla figlia, vuoi

La storia incontra la poesia

mecenate, protettore deglistudi classici e collezionistadi codici.Al di là della filologia, i duerecavano quel nuovo saperd’amore nato dalla riscoper-ta di Platone che avevasostanziato l’umanesimolaurenziano. La nuova cono-scenza si alimenta, si forgiae si trasmuta grazie a dueamori intensamente vissuti:per Maria Savorgnan, patri-zia veneta e intellettuale, eper Lucrezia. Ne nascono gliAsolani – Asolo era la picco-la città-corte assegnata aCaterina Cornaro, già reginadi Cipro, dopo l’annessionedel suo regno alla SerenissimaRepubblica. La prima stesu-ra di questo trattato sul-l’amore vien letta nel 1500

in casa Savorgnan. Il testodefinitivo invece, pubblicatonel 1505 per i tipi del princi-pe dei tipografi-editori d’ognitempo, il veneziano AldoManuzio, con cui Bembo rea-lizzava un’intensa e fecondacollaborazione, viene rielabo-rato “nel segno dell’amorenuovo” per Lucrezia Borgia,cui l’opera è dedicata. Se per Paolo e Francesca“galeotto fu ‘l libro e chi loscrisse”, ad offrire ai dueinnamorati l’occasione di unapiù intima vicinanza ci simisero i benedettini, gli ultimirimasti nella zona di Pomposaper amministrarne il benefi-

per l’orgoglio della casata,ritengono che la duchessaappartenga a Ferrara e aFerrara debba restare.Lucrezia, sola nel dolore,mentre tutti gioiscono, sitrova accanto pochi amicidevoti: fra questi un patrizioveneto, giovane, bello, umani-sta già celebre, Pietro Bembo.L’umanesimo, Pietro se l’eravisto arrivare in casa conGiovanni Pico della Mirandolae Angelo Poliziano, approdatia Venezia in un itinerario cul-turale da Firenze attraversoBologna, Ferrara e Padova,per consultare un codice diTerenzio del padre, Bernardo,

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cio, in un convento di Codigorodivenuto poi palazzo Gualdi. Ilgrosso della comunità, perfuggire la malaria, si era tra-sferito, campane comprese,nella chiesa convento di SanBenedetto a Ferrara, ad untiro di schioppo dal palazzodei Diamanti progettato daBiagio Rossetti. Forse in quel-l’avamposto di frontiera siavvertiva ancor più il fascinointellettuale del giovane uma-nista, se è vero che ben cin-que frati attesero a cesellarel’ornatissima missiva d’invitocon cui il cerimoniere si recòda Pietro. La lettera giunse ai due inna-morati in un momento partico-lare della loro esistenza: lei,morto il padre, è profonda-mente sola ma, per la primavolta, appartiene anche a sestessa. Lui è all’apice dellasua parabola intellettuale,avendo curato per e con AldoManuzio l’edizione critica delCanzoniere di Petrarca e delleterze rime di Dante.Si sono conosciuti in primave-ra ad Ostellato, nella villa diErcole Strozzi; la bellezza dilei gli è parsa superiore all’al-tissima fama e vorrebbe dedi-carle tutta la sua vita.Lucrezia, dal canto suo, devetenere ai versi di Pietro che,volendoli limare ancora, si eraraccomandato allo Strozzi dilimitarsi a leggerli: con mossalesta li strappa di mano almessaggero. Quando poiPietro le legge gli Asolani, loascolta “ a occhi chiusi”. Gliinvia versi struggenti di unautore spagnolo:Io penso che se morissiE con mio danno finissidi sperare

Sì grande amore morrebbeE tutto il mondo finirebbe di amare……Ricevuto il ritratto di Pietro,da lei richiesto, contraccam-bia con una ciocca di biondicapelli, oggi conservati in unateca alla galleria Ambrosianaa Milano.L’invito dei monaci offrì ai duegiovani, dalle vite tanto gravi-de di destino, la possibilità dilasciarsi alle spalle le com-plesse forme della corte edegli studi per andare a trovarse stessi lungo la pianura eattraverso le genti, nell’asso-lutezza dell’amore.Partirono la mattina all’albadella seconda domenica di set-tembre: Lucrezia in berlina condue damigelle, i cortigiani acavallo. Ad accogliere la comi-tiva, sono messer GiorgioPoletti, Massaro e messerMartino Farinella, Cavarzellano,che dalle nove del mattinorimangono in attesa sotto unarco di trionfo sovrastato dallascritta:A LUCREZIA AUGUSTACodigoro fedelissimaDevotamente accogliendoPrega e s’inchina.A mezzogiorno giunge il cor-teo, si sciolgono le campanedi San Martino, i musici danfiato alle trombe, i maggioren-ti, sotto l’arco trionfale, dona-no a Lucrezia due pani in unpiatto d’argento.Alla chiesa di San Martino sismonta da cavallo e laduchessa, sotto un baldacchi-no di velluto, riceve gli omag-gi del clero in cappa magna:entra poi in chiesa, guidatadall’Abate e s’inginocchiadinanzi all’immagine dellaBeata Vergine di Pomposa.

Esprime quindi il desiderio direcarsi a piedi al convento divia Mare e compie il percorsoattraverso una serie d’archifestonati fra due ali di popoloplaudente che al suo passag-gio si genuflette. Nel mona-stero va ad occupare l’ultimacamera al primo piano, accan-to al cancello: l’altra stanzad’angolo, verso il giardino,viene assegnata non alledamigelle, ma al Bembo.Dopo un banchetto degnodegli ospiti e dei tempi, al ter-mine del quale s’odono, sem-pre più vicini, i mortaretti cheda riva salutano l’incederedella Madonna di Pomposa inun corteo di barche sulVolano, è la fantasmagoria deifuochi d’artificio a concluderela serata. L’idea dei fuochi sideve ad un benedettino, tor-nato di recente da Roma, doveproprio il padre di Lucrezia haintrodotto gli spettacoli piro-tecnici. Sono brevi momenticelesti nel secolo sanguigno.Lucrezia comincia a brillare diluce propria, ormai più duches-sa di Ferrara che figlia delPapa: proprio all’inizio di que-sta nuova vita incontra unpoeta.Lui invera, con la Reginad’amore del suo tempo, quel-l’intelletto d’amore e d’amoreplatonico che gli viene dall’al-tezza d’ingegno e da incontrifortunati, e che giunge fino anoi negli Asolani. La scampa-gnata ha una brusca fine,dopo solo un giorno: Alfonsorivuole la moglie a Ferrara.Con i monaci si sdebiteràdieci anni dopo per il corteseinvito alla sposa, donando lorosei palle di macigno delle sueartiglierie.

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Le Camere di Commercio, secondo la definizionedella legge 580/1993, sono “enti pubblici chesvolgono funzioni di interesse generale per il siste-ma delle imprese, curandone lo sviluppo nell’am-bito delle econome locali”. Enti autonomi, in quan-to dotati di un proprio Statuto, ed indipendentisotto l’aspetto finanziario e gestionale.La Camera di Commercio di Ferrara, che ha festeg-giato nel 2003 il suo Bicentenario, opera all’inse-gna della semplificazione amministrativa, dellainnovazione e della qualità nell’offerta dei servizi,dell’e-government: questo al fine di assecondarepienamente le esigenze delle imprese e delleAssociazioni imprenditoriali, che ne rappresentanoil naturale referente. L’attuale programma plurien-nale prevede una serie di obiettivi prioritari di inter-vento, che comprendono l’internazionalizzazionedelle imprese, la diffusione dell’innovazione e deltrasferimento tecnologico, la valorizzazione e lacertificazione dei prodotti tipici ferraresi, il miglio-ramento della dotazione infrastrutturale del territo-rio.Partendo dalle più “tradizionali” funzioni di natu-ra regolatoria ed amministrativa, quali la tenuta dialbi e ruoli, e soprattutto il Registro informaticodelle imprese, l’obiettivo è quello di assicurare unsistema organico di pubblicità legale delle impre-se. Sono obbligati ad iscriversi tutti gli imprendito-ri (art. 2082 c.c.) che svolgono una delle seguen-ti attività:• produzione di beni e servizi; • intermediazione nella circolazione dei beni; • attività di trasporto di cose e di persone per terra

per acqua e per cielo; • attività bancaria ed assicurativa; • attività ausiliaria delle precedenti (agenzia,

mediazione, ecc.); • attività agricola, entro determinati limiti di red-

dito.La Camera di Commercio svolge inoltre funzioni in

materia di promozione (sostegno alle imprese e allosviluppo dell’economia locale); nonchè di analisi,di studio, e di monitoraggio, anche tramite unapposito Osservatorio dell’economia, costituito nel2006 ed in fase di continuo potenziamento, voltoad assicurare un’adeguata conoscenza del territo-rio e della realtà socio-economica ferrarese. Ad esse vanno poi aggiunte le importanti funzionidi regolazione del mercato, volte a promuovere e arafforzare - in particolare tramite strumenti quali laconciliazione, l’arbitrato e la tutela dei consumato-ri - la trasparenza, la certezza e l’equità delle rela-zioni economiche tra le imprese, nonchè tra que-ste ed i cittadini-consumatori. La Camera di Commercio di Ferrara opera in stret-ta sinergia con le altre Istituzioni locali, ed in par-ticolare con la Provincia ed i Comuni, per lo svilup-po di strategie e di interventi di marketing nelcampo turistico, che mirano ad una sempre piùefficace valorizzazione della “immagi ne” dellanostra provincia in Italia ed all’estero. Infatti, qualesoggetto della “rete” del sistema camerale nazio-nale, la Camera di Commercio di Ferrara rappre-senta una porta d’accesso a dati, informazioni eservizi riferibili a tutto il territorio nazionale, ed, inmolti casi, anche a quello internazionale.Nell’ambito di tali diversificate attività, la Cameradi Commercio di Ferrara organizza poi attività for-mative “mirate” alle specifiche esigenze degli ope-ratori economici, oltre a convegni ed eventi, volti apromuovere l’iniziativa economica ed imprendito-riale, i valori professionali, di studio, culturali edetici: in particolare, ci si riferisce agli ormai tradi-zionali Riconoscimenti alla Fedeltà al Lavoro ed alProgresso Economico, alla Giornata dell’Economia,alla Settimana Estense (e, nel suo ambito, alla piùrecente iniziativa del Piatto estense), aiRiconoscimenti Francesco Viviani, nonchè allaGiornata della Riconoscenza Provinciale, istituitanell’ormai lontano 1963.

UNA CAMERA CON VISTA SULL’ECONOMIAE SULLA SOCIETÀ FERRARESE