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Di Benedetto, A. (1993). La sublimazione nella prospettiva di Bion e Matte Blanco (): La subl... Rivista Psicoanal., 39A:65-82. (1993). Rivista di Psicoanalisi, 39A:65-82 La sublimazione nella prospettiva di Bion e Matte Blanco ( ): La sublimazione come arte della «trasformazione» e della «formalizzazione» Antonio Di Benedetto Il concetto di «sublimazione» contiene una sfida alla psicoanalisi come scienza. Ogni scienza è fondata sulla possibilità di ripetere le osservazioni fatte o di riprodurre sperimentalmente alcuni fenomeni. Le teorie freudiane sulla «coazione a ripetere» e sul «transfert» tentano di inserire i fatti psichici in una cornice tale che essi possano venire, se non riprodotti sperimentalmente, almeno osservati a più riprese, allo stesso modo degli eventi astronomici e di tutti gli altri fenomeni determinati da leggi naturali e prevedibili. Con la sublimazione entriamo invece in un territorio in cui nulla è prevedibile. I prodotti culturali o artistici si sottraggono a qualunque possibilità di previsione e a qualunque tentativo di riproducibilità. Gli oggetti ————————————— Rielaborazione di uno scritto presentato al Centro Psicoanalitico di Roma il 18 marzo 1992. WARNING! This text is printed for the personal use of the PEPWeb subscriber and is copyright to the Journal in which it originally appeared. It is illegal to copy, distribute or circulate it in any form. - 65 - della cultura e dell'arte hanno valore per la loro unicità, poiché comunicano uno stile specifico di pensiero che non si può imitare se non negli aspetti esteriori e superficiali, fabbricando «falsi». La conoscenza scientifica acquista al contrario credito e forza quanto più trova «imitatori», che con le loro riproduzioni non la falsificano, ma ne confermano anzi la «verità». In poche parole i fatti psichici connessi alla sublimazione non sono accessibili ad un approccio scientifico classico. L'intuizione di un simile inestricabile nodo deve avere dissuaso Freud dal tentare l'impresa di una teoria sistematica della sublimazione, che da una parte si prospettava come un cardine della terapia psicoanalitica e dall'altra come un elemento che poteva scardinarne l'impalcatura scientifica. Il concetto si trova disseminato qua e là in alcune sue opere, come se non fosse teorizzabile in maniera più compiuta e soprattutto come se non fosse compatibile con l'ideale di una psicoanalisi scientifica (Freud 1901, 1905, 1908, 1909, 1910, 1922, 1929, 1932, 1938). Tant'è che.mentre la psicoanalisi clinica si impegnava a «mentalizzare l'istinto», a far sì, per usare il linguaggio freudiano, che le pulsioni si desessualizzassero e si indirizzassero verso altre mete, divenendo disponibili per compiti intellettuali e sociali, la scienza psicoanalitica esitava a trarre tutte le conseguenze dal concetto di «sublimazione», evitando così di affrontare l'antinomia nella quale si era subito imbattuta: come teorizzare un processo che appariva svincolato da qualunque meccanismo ripetitivo e affidato unicamente alla invenzione di soluzioni personali nel trasformare le pulsioni? In un recente lavoro (Di Benedetto 1991) ho cercato di mostrare come Freud, con il concetto di «sublimazione», abbia inteso affrancare l'uomo da un ordine causale e necessario e collocare le sue conquiste spirituali su quel piano di esperienza, libero da interessi, bisogni o scopi che Kant (1790) riservava all'estetica. Cercherò ora di rivedere l'idea freudiana di sublimazione alla WARNING! This text is printed for the personal use of the PEPWeb subscriber and is copyright to the Journal in which it originally appeared. It is illegal to copy, distribute or circulate it in any form. - 66 - luce delle teorie di Bion e di Matte Blanco, che mi sembrano idonee a riformularla per le loro ricche implicazioni estetiche. Ci accostiamo così ad una concezione della sublimazione come arte dell'espressione inconscia, concezione le cui radici affondano nell'antico, ma sempre attuale, trattatello «Del Sublime» sull'arte del dire (Pseudo-Longino I sec. d.C.). L'inconscio acquista nuove prerogative. Non è più il principio della «coazione a ripetere», ma la sede dei processi creativi. In Bion il processo che fonda qualunque pensiero creativo e che fonda il pensiero stesso è la «funzione alfa», matrice di quella membrana oniro-poietica che suddivide la vita mentale in area simbolica e asimbolica. Si tratta di una funzione sostanzialmente inconscia, alla quale viene ricondotta ogni elaborazione simbolica. * * PEP Web - La sublimazione nella prospettiva di Bion e Matte B... http://www.pep-web.org.rproxy.sc.univ-paris-diderot.fr/docume... 1 de 9 02-01-14 10:32

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Di Benedetto, A. (1993). La sublimazione nella prospettiva di Bion e Matte Blanco (): La subl... Rivista Psicoanal., 39A:65-82.

(1993). Rivista di Psicoanalisi, 39A:65-82

La sublimazione nella prospettiva di Bion e Matte Blanco ( ): Lasublimazione come arte della «trasformazione» e della «formalizzazione»

Antonio Di BenedettoIl concetto di «sublimazione» contiene una sfida alla psicoanalisi come scienza.Ogni scienza è fondata sulla possibilità di ripetere le osservazioni fatte o di riprodurre sperimentalmente alcuni

fenomeni. Le teorie freudiane sulla «coazione a ripetere» e sul «transfert» tentano di inserire i fatti psichici in una cornicetale che essi possano venire, se non riprodotti sperimentalmente, almeno osservati a più riprese, allo stesso modo deglieventi astronomici e di tutti gli altri fenomeni determinati da leggi naturali e prevedibili. Con la sublimazione entriamoinvece in un territorio in cui nulla è prevedibile.

I prodotti culturali o artistici si sottraggono a qualunque possibilità di previsione e a qualunque tentativo diriproducibilità. Gli oggetti—————————————

Rielaborazione di uno scritto presentato al Centro Psicoanalitico di Roma il 18 marzo 1992.

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della cultura e dell'arte hanno valore per la loro unicità, poiché comunicano uno stile specifico di pensiero che non si puòimitare se non negli aspetti esteriori e superficiali, fabbricando «falsi». La conoscenza scientifica acquista al contrariocredito e forza quanto più trova «imitatori», che con le loro riproduzioni non la falsificano, ma ne confermano anzi la«verità». In poche parole i fatti psichici connessi alla sublimazione non sono accessibili ad un approccio scientificoclassico.

L'intuizione di un simile inestricabile nodo deve avere dissuaso Freud dal tentare l'impresa di una teoria sistematicadella sublimazione, che da una parte si prospettava come un cardine della terapia psicoanalitica e dall'altra come unelemento che poteva scardinarne l'impalcatura scientifica. Il concetto si trova disseminato qua e là in alcune sue opere,come se non fosse teorizzabile in maniera più compiuta e soprattutto come se non fosse compatibile con l'ideale di unapsicoanalisi scientifica (Freud 1901, 1905, 1908, 1909, 1910, 1922, 1929, 1932, 1938). Tant'è che.mentre la psicoanalisiclinica si impegnava a «mentalizzare l'istinto», a far sì, per usare il linguaggio freudiano, che le pulsioni sidesessualizzassero e si indirizzassero verso altre mete, divenendo disponibili per compiti intellettuali e sociali, la scienzapsicoanalitica esitava a trarre tutte le conseguenze dal concetto di «sublimazione», evitando così di affrontare l'antinomianella quale si era subito imbattuta: come teorizzare un processo che appariva svincolato da qualunque meccanismoripetitivo e affidato unicamente alla invenzione di soluzioni personali nel trasformare le pulsioni?

In un recente lavoro (Di Benedetto 1991) ho cercato di mostrare come Freud, con il concetto di «sublimazione»,abbia inteso affrancare l'uomo da un ordine causale e necessario e collocare le sue conquiste spirituali su quel piano diesperienza, libero da interessi, bisogni o scopi che Kant (1790) riservava all'estetica.

Cercherò ora di rivedere l'idea freudiana di sublimazione alla

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luce delle teorie di Bion e di Matte Blanco, che mi sembrano idonee a riformularla per le loro ricche implicazioniestetiche. Ci accostiamo così ad una concezione della sublimazione come arte dell'espressione inconscia, concezione lecui radici affondano nell'antico, ma sempre attuale, trattatello «Del Sublime» sull'arte del dire (Pseudo-Longino I sec.d.C.). L'inconscio acquista nuove prerogative. Non è più il principio della «coazione a ripetere», ma la sede dei processicreativi.

In Bion il processo che fonda qualunque pensiero creativo e che fonda il pensiero stesso è la «funzione alfa», matricedi quella membrana oniro-poietica che suddivide la vita mentale in area simbolica e asimbolica. Si tratta di una funzionesostanzialmente inconscia, alla quale viene ricondotta ogni elaborazione simbolica.

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In Matte Blanco resta sospeso il quesito su «chi» elabora le «strutture bi-logiche isomorfe più soddisfacenti perl'espressione», ma si ha ragione di pensare che sia l'inconscio, «struttura bi-logica» per eccellenza, a farlo. A chiarirequesto punto può valere l'esegesi che P. Bria (1991) fa del pensiero di M. Blanco: «Nella sublimazione dell'attivitàistintiva troviamo parallelismi tra certe attività istintive e certe realizzazioni simboliche di queste attività e ciò comportaun passaggio (…) dall'elemento concreto alla classe di equivalenza in cui l'oggetto viene subito immerso e all'interno dellaquale si vengono a costituire i più vari isomorfismi strutturali che costituiscono la ricchezza della nostra creativitàsimbolica (…)». Si evince da questo passo che il nucleo dell'attività sublimatoria (immersione dell'oggetto nella classe diequivalenza) è nell'inconscio.

In Bion e Matte Blanco troviamo insomma le premesse per una revisione del concetto di «sublimazione» comeprocesso fondato su trasformazioni cognitive che consentono il passaggio dal biologico allo psichico, di cui è artefice unainconscia attitudine a liberarsi dalla coattività dell'istinto. Con i due autori citati propongo di riconsiderare la sublimazionecome «arte della trasformazione» (Bion) o come «arte della formalizzazione» (Matte Blanco).

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L'arte della trasformazionePer Bion alla base delle trasformazioni mentali necessarie per l'integrità del pensiero ci sono, oltre che una inconscia

funzione protosimbolica, la «funzione alfa», le trasformazioni e, tra queste, le «trasformazioni in O». Quest'ultimeconsistono in un profondo riassetto della personalità, allorché si renda necessario assimilare elementi alienati e perturbanti,gemelli segreti coi quali si è convissuto, ignorandone l'esistenza. L'affiorare di un materiale simile può generare talvoltaterrori che inducono a utilizzare un conoscere («trasformazioni in K») per non sentire un «cambiamento catastrofico», pernon sentire cioè il turbamento della personalità contenente l'estraneo quale nuovo elemento. Il processo di assimilazionedelle parti scisse consiste in tal caso più in un «divenire» che in un «conoscere» e le trasformazioni implicate sono«trasformazioni in O» più che «trasformazioni O - K». Si tratta di trasformazioni che fanno «divenire» gli aspetti piùautentici di una persona e che contengono i momenti germinativi, ineffabili, dell'esperienza emozionale, i momenti piùricchi di potenzialità evolutive.

La trasformazione auspicata, affinché il non-sé divenga parte del sé è dunque un «divenire» e, soprattutto, un divenireche sia paradossalmente orientato non verso il punto d'arrivo, ma verso il punto di partenza, il momento originario,indiscutibilmente vero di un'emozione. Ciò comporta un ricollocarsi alle radici di un'esperienza, reperirne il principiogenerativo multipotenziale, esistente prima che si produca una forma definita di evento mentale. Tali trasformazioni hannouna profonda analogia con l'esperienza estetica (Di Benedetto 1987). La vera opera d'arte sollecita infatti il fruitore asintonizzarsi con la sua matrice costruttiva, con quella specie di saggezza architettonica, che esprime il progetto del suoautore ( ).—————————————

L'artista scopre strada facendo questo suo sapere costruttivo, che consiste non in un conoscere a priori, ma in un conoscere incarnatonel fare. Difatti, anche se sa come la sua opera dovrà o non dovrà essere, tanto che la modifica e la aggiusta via via che la costruisce,non la conosce prima di farla. Si può tutt'al più dire che la riconosce, una volta fatta. Egli ha il privilegio di una visione nel corso dellasua creazione. Ha la visione di qualcosa che si fa nel suo mondo interno, nel momento stesso che si fa davanti ai suoi occhi. In realtànon ha modo di vedere prima, mentalmente, la sua creatura. La conosce partorendola, conoscendo così anche la sua stessa emozioneo idea ispiratrice. Sembra che in tutto ciò l'esperienza creativa rispecchi la natura di una maternità biologica in una vicenda gestativo-costruttiva, che non permette di vedere anzitempo quanto verrà generato e che sfocia nell'evento-parto di un prodotto non definitivo,passibile di ulteriori sviluppi.

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Il «divenire O» coincide per molti aspetti con l'esperienza suscitata da un'opera d'arte, allorché si è stimolati adassumerne l'architettura interiore, quel dinamismo organizzato che l'ha prodotta e che continua a sussistere in essa allastregua di un sapere poietico, di un'idea che è diventata evidente, edificandosi in un'opera.

Il fatto analitico, inteso come «divenire O, » equivale ad un «oggetto estetico», ci fa notare L. Preta (1990), giacché«più che un prodotto sta a significare un prodursi, è «opera allo stato vivente, che non è mai conclusa, solidificata, separatadalle sue possibilità e dalle sue opportunità di trasformazione» (P. Valery 1928, «La caccia magica», cit. da L. Preta).

L'idea, che solo parzialmente l'autore ha saputo costruire, continua a costruirsi e ad espandersi nella fruizione diqualcun altro in una sorta di poiesi infinita. La creazione artistica non si esaurisce infatti nel compimento di un'opera, masi rinnova indefinitamente nella fruizione/ricreazione di essa attraverso i tempi. Acquista un senso compiuto nellari-creazione di un altro, che ritrovi in se stesso la spinta generativa dell'opera, quella «costellazione psichica» (Freud1913) che ne ha consentito la nascita. L'arte contiene in sé un forte richiamo a partecipare, a immedesimarsi nell'azionecreatrice originaria, a cancellare la distanza tra chi fa e chi riceve. Tende a far sì che il creatore sconfini nel fruitore e che

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questi, al momento della ricezione, sconfini a sua volta nel creatore ( ).—————————————

Sappiamo che uno dei compiti più difficili da affrontare per l'uomo che viene al mondo è quello di differenziarsi dall'oggettoprimario e poi quello di contemperare i suoi desideri con le attese dell'ambiente. Sicché uno dei suoi più radicati e mai sopiti desideriè quello di rifare il mondo e di rifarlo in modo da alloggiarvi come in una familiare dimora o, per dirla con Hegel, di rifarlo pertogliergli la sua «riottosa estraneità» e per risentirsi infine tutt'uno con esso e non uno in esso. Possiamo pensare dunque che la ricercadi un'esperienza estetica che cancelli la distanza tra soggetto e oggetto miri ad esaudire questa nostalgia di totalità, e che l'operad'arte, con la sua valenza estetica, col suo dinamismo, col suo compiersi incessantemente nella rinnovata esperienza di qualcun altro,ci se-duce, ci porta con sé verso una totalità originaria, impregnata di infinite possibilità di sviluppo.Per H.W. Loewald (1988) la sublimazione, in particolare quella artistica, è come una riconciliazione con l'antica magia del pensiero aun livello più alto di organizzazione.

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Nell'ambito della relazione analitica si verificano opportunità di nuovi eventi mentali per tutti e due i protagonisti, invirtù di scambi verbali e non-verbali, che presentano analogie con simili interazioni estetiche, in una situazione ancora piùcomplessa, caratterizzata com'è da fenomeni in cui i ruoli di «creatore» e «fruitore» vengono frequentemente permutati.L'interpretazione analitica partecipa alla formazione di nuove esperienze mentali mediante «intuizioni estetiche», comedicono Bion (1965) e Meltzer (1978) ( ).

Mi soffermerò su queste intuizioni, non frequenti, ma decisive nel dinamizzare il processo analitico, cercando diprecisarne i caratteri psicoanalitici con l'ausilio di due vignette cliniche.

Le intuizioni e l'ascolto dell'analistaDal momento che le intuizioni dell'analista solo in via eccezionale producono interpretazioni paragonabili a fatti

artistici, che cosa conferisce loro uno statuto estetico?È l'atteggiamento ricettivo dell'analista. Se cioè egli si dispone a cogliere un prodursi di fatti nuovi, se egli attua in se

stesso le condizioni per riplasmare le consuetudini percettive, un fatto analitico può produrre quel fenomeno di«straniamento», spesso collegato all'esperienza estetica e ampiamente studiato nelle sue manifestazioni patologiche da G.Magherini (1989, 1990).—————————————

Bion (1965): «Quando credevo di essere riuscito ad afferrare quanto il paziente intendeva dire era spesso in virtù di un'esperienzaestetica più che scientifica».Meltzer (1982): «la possibilità di precisione è stata distrutta dalla prospettiva di infinite possibilità di significato» e gli avvenimentimentali del paziente «non trovano nessuna sistemazione all'interno di una concatenazione causale, ma costituiscono piuttostoproblemi (…) accessibili ad intuizioni estetiche» (corsivi miei).

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Lo straniamento è l'effetto di un urto. di una rottura del codice percettivo consolidato, che può inizialmentedeterminare anche un certo smarrimento, ma che normalmente si risolve in una liberazione dagli schemi e nellosvelamento di una visione rinnovata. Nel caso di un'opera d'arte è l'oggetto che possiede una sua eccentricità rispetto alleabitudini; nel caso della situazione analitica l'eccentricità è invece il risultato di una disponibilità dell'analista a lasciarsicolpire dagli aspetti inusitati di un sogno o di una storia raccontata, è cioè il frutto di una sua particolare qualità d'ascolto.Intendo dire con questo che «l'intuizione estetica», in grado di promuovere un «divenire O», si produce tanto meglioquanto meglio l'analista riesce a trattare i segnali dell'inconscio, organizzati in immagini oniriche o in fantasie inconsce,come se fossero i segni silenziosi di un testo che mira a diventare udibile (Di Benedetto 1992), alla stregua cioè dei segnidi un pentagramma. Ritengo che di fatto, nella situazione clinica, l'analista usi più spesso di quanto pensi questo tipo ditrasformazione delle figure di un sogno in una specie di notazione musicale, vale a dire una trasformazione di materialevisivo in altri segni, suscettibili di tradursi in suoni, veicolati poi dalle componenti non-verbali dei suoi interventi. Iresoconti clinici contengono un'eco di simile lavorio trasformativo, del segno figurativo in segno musicale, nello stile enella più o meno grande ricchezza di sfumature del racconto. Purtroppo le nostre storie cliniche sono di solito troppoancorate al contenuto per poterci restituire quella sinfonia di suoni che sta in una situazione analitica. È questo un campotutto da esplorare. Proverò a fornire, a scopo indicativo, qualche semplice osservazione clinica.

Una paziente mi parlava di un sogno in cui provava lo strano piacere di sbucciare una mela. Nell'ascoltarla fui colpitodalla parola «sbucciare» e da una particolare inflessione che me la faceva percepire come «sbocciare». Lasciandomiguidare da queste impressioni, le dissi allora che forse il suo «strano piacere» nel sogno derivava dal fatto che lo«sbucciare» faceva sbocciare il frutto da

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mangiare e anticipava forse il piacere di mangiarlo. Il seguito delle sue associazioni confermò questo mio abbozzointerpretativo, poiché mi raccontò un episodio della sua infanzia, in cui cadde e «si sbucciò» le ginocchia nel correre versola porta, quando sentì «suonare il campanello» e pensò che fosse tornata la mamma, assentatasi per alcuni giorni (evidenteil riferimento alla persona dell'analista, ritrovato dopo alcuni giorni). Non vedendo l'ora di rivederla, corse all'impazzata,inciampò e si procurò una «sbucciatura», dalla quale non le derivò comunque alcun male e «sbocciò» anzi la gioia di unincontro. Si sentiva finalmente risvegliata da un «letargo», di nuovo viva. Nella vita di questa paziente il movimento hapoi assunto un importantissimo significato di sollievo e leggerezza, tanto da essere valorizzato con una dedizione alladanza.

Ho spesso ripensato a questa breve sequenza come esempio di ascolto eccentrico, che può anticipare o anchepromuovere una catena associativa. Nella circostanza lo «sbucciare la mela» non ha valore in quanto «scena onirica», main quanto segno sonoro analogo al «campanello» ricordato dalla paziente. Esso preannuncia l'incontro con qualcuno concui poter parlare, qualcuno che finalmente si è fatto vivo, presente, in grado di capire, e promuovere così lo «sbocciare» disentimenti in «letargo». Così come il campanello, l'ascolto dell'analista, estraniato dai contenuti visivi e centrato sul suono,funge da precursore di discorsi verbali e anticipa le emozioni di un incontro.

Nella conversione da un vedere immagini ad un sentire suoni sta in gran parte annidato quel fenomeno di eccentricitàpercettiva in psicoanalisi, di «straniamento», che le opere d'arte posseggono quale requisito specifico della loro forma. Sipossono insomma immaginare le «intuizioni estetiche» in seduta di analisi come il prodotto di un ascolto che riesca auniformarsi ad un tipo d'ascolto musicale (Di Benedetto 1989). Se l'analista riesce ad ascoltare l'immagine onirica, aconcederle quella che si usa chiamare «area di risonanza interiore», ne fa sfumare il significato «manifesto», legato

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a un'evidenza, visibile, e la prepara a conseguire un altro ordine di significati. quelli «latenti». Il «latente» in tale accezionenon è un messaggio criptico, annidato in un altro messaggio apparente, ma è la percezione di un evento non-visibileattraverso quello che potrebbe essere il precursore sonoro di una sua descrizione verbale (v. «sbocciare»).

In questa prospettiva il sogno non è qualcosa che vuole dire qualcos'altro, ma un segnale che fa prima udire e poi direqualcosa ad un altro. Non è volto ad approdare ad un significato, ma a far sì che qualcun altro senta qualcosa in manieraverbalizzabile. Passando per la «risonanza interiore» di un interprete, il sogno comincia a diventare parola, parola cheevoca, fa udire l'orizzonte affettivo ed espressivo del sognatore. Il sogno in tal senso stimola le forme simbolichedell'emozione e non le stimola nel sognatore, bensì nell'interprete.

Se l'analista riesce ad adottare un simile atteggiamento percettivo rivolto, come quello di un interprete musicale, alcarattere sonoro, pre-verbale di un testo, il suo compito si trasforma da quello di fedele esecutore di quanto è già segnatosullo spartito inconscio in quello di co-autore, capace di mettersi sull'orizzonte di sviluppo di quello spartito e di evocarne,insieme con l'autore, una delle possibili linee di svolgimento.

L'interpretare analitico assomiglia dunque ad un'esperienza estetica, ricettiva e creativa insieme, la cui sostanza è unpartecipare, un immedesimarsi con quello che D. Anzieu (1981) chiama «il corpo dell'opera». Il che vuol dire inserirsi nelmovimento da essa incarnato, nella sua trama compositiva, sintonizzarsi con uno dei suoi itinerari non ancora esistenti.Ciò implica una visione dell'inconscio in termini di potenziale creativo, non necessariamente fonte di genialità, ma in ognicaso fonte di nuovi fatti mentali, in attesa di sprigionarsi con l'aiuto di un lavoro che, a sua volta, sia in qualche modocreativo, atto cioè ad intuire o inventare qualche forma di possibile sviluppo.

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A questo proposito J. Starobinski (1961) ci avverte: se si interpretano i simboli solo in una «direzione regressiva», sisprofonda in un «mondo retrostante» e se ne trascura la «causa finale». «Non v'è dubbio che l'opera includa nel suosignificato il passato e la storia personale dello scrittore», ma l'opera stessa fa parte di una costruzione di sé, è un «modo dianticiparsi», col quale l'autore, «cessando di subire il proprio passato, tenta di inventare un avvenire (…) Non bastaconoscere l'uomo come essere naturale e come essere sociale; occorre conoscerlo nella sua facoltà di superamento, nelleforme e negli atti creatori, mediante i quali egli muta il destino che subiva come essere naturale e trasforma la situazioneche la società gli assegnava».

Ciò che conta nel nostro interpretare non è solo il passato né solo l'ambiente, ma anche lo sforzo della mente nelcostruire la sua storia a venire. L'uomo quindi non solo come «figlio del bambino che è stato» o come prodotto del «ruolo»assegnatogli, ma anche come progetto, che prende forma nella mente infantile e allo stesso tempo le dà forma, l'uomocome oggetto che non esiste ancora o, al limite, come oggetto illusorio. L'attività interpretativa analitica, con il suo intento

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di allargare l'area degli oggetti mentalizzati, può allora essere vista come capacità di creare un'area della sublimazione, chefunzioni come una sorta di spazio dell'illusione ( ),—————————————

Ringrazio Ezio Izzo che, ponendomi un quesito circa le somiglianze tra un simile spazio dell'illusione e l'«area transizionale» diD.W. Winnicott (1971), mi permette di precisare che i due concetti non si equivalgono.L'area transizionale è tra il bambino e la madre. È un'area di esperienze pre-verbali in cui si sviluppa la separatezza, l'individuazionedel sé; è un ponte tra «me» e «non-me». In essa si vive l'illusione di creare il mondo come preliminare alla scoperta dello stesso. Èuno «spazio potenziale» tra il bambino e la madre, che viene colmato con i prodotti dell'immaginazione creativa del bambino. Inquesto spazio potenziale, grazie ad «un ambiente facilitante», che mette a disposizione oggetti, l'essere umano può esprimere unacreatività minimale, che consiste nell'«uso personale» degli oggetti forniti. Per Winnicott il fulcro della creatività è l'uso soggettivodegli oggetti.È probabile che su questa base si strutturi una creatività più matura, non limitata ad un uso personale di oggetti già esistenti, ma voltaa costruirne di nuovi e contemporaneamente a costruire nuove capacità personali, nuove parti del sé.L'area sublimatoria dell'illusione sembra proprio appartenere a questa dimensione più matura. Piuttosto che uno spazio tra duepersone, sembra essere uno spazio psichico interno all'individuo, nel quale si svolgono esperienze ponte tra il me e il non-ancora-me,tra come sono e come potrei; è l'area in cui si vive sul piano virtuale ciò che potrà essere, in cui si fanno esperienze preliminari allarealizzazione del proprio essere potenziale. Il luogo della mente in cui si decantano gli istinti, si riduce il tasso di destino biologico eprende forma il progetto del proprio avvenire; in altre parole, l'area di concepimento di ciò che intendiamo essere, premessaindispensabile di quella maturazione che in fondo è una incessante creazione di sé.

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spazio nel quale far vivere oggetti virtuali, mai esistiti ieri, ma possibili forse un domani, quali frutti di un'evoluzioneintellettuale, sociale e culturale.

In sintesi, all'intuizione estetica dell'analista sembrano contribuire due fattori: l'eccentricità dell'ascolto el'anticipazione del nuovo. Se l'analista riesce a trovare un assetto ricettivo, grazie al quale si mette in grado di ascoltare isogni, concedendo ad essi un'area di risonanza interiore, prepara il messaggio onirico a trasformarsi in precursori sonori diun discorso verbale; precursori che costituiscono una sorta di rudimentale trama organizzativa, atta a dare consistenza adalcuni vissuti fino ad allora ineffabili.

Quanto all'anticipazione del nuovo, si tratta di individuare le possibili linee di sviluppo, che la mente dell'analizzandocerca per la sua storia a venire, e di aiutarlo a scoprirle, precedendolo di un breve passo, affinché egli possa costruire lungoqueste direzioni un progetto di crescita.

Il sogno del quadro di MagrittePer illustrare l'aspetto trasformativo di carattere estetico (anticipazione del nuovo più eccentricità dell'ascolto) del

lavoro analitico ricorro al sogno di un altro mio paziente, portato durante le fasi conclusive di un'analisi ben riuscita.«Sono affacciato ad una finestra e ho davanti un paesaggio bellissimo, col quale mi sento in piena armonia. Poi mi

accorgo che quel paesaggio l'ho già visto in un quadro di Magritte, nel quale

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c'è dipinto un paesaggio, ma davanti a questo paesaggio c'è dipinto un altro quadro, il cui soggetto è proprio quel pezzo dipaesaggio coperto dal quadro stesso. Ora però, al posto del quadro già visto ci sono cose belle, autentiche, fresche,naturali».

L. nel sogno sente il suo paesaggio interno come cose fresche e naturali, che già conosceva «in effigie», poiché glieneavevo fatto il «quadro», un quadro che aveva sostituito temporaneamente quel paesaggio interiore. Sembra immerso in unmondo già visto, ma visto finora attraverso le interpretazioni analitiche, costruzioni immaginarie, che sono servite adanticipare le belle sensazioni che sta provando ora ( ).

Ciò che è stato rappresentato dalle interpretazioni è servito ad ispirare una ricerca di contatto con il mondo «vero». Leinterpretazioni-quadro hanno anticipato un evento: là dove era un'area asimbolica, non sentita, hanno costruito unoscenario visibile, dal quale poi il paziente ha tratto lo spunto per affacciarsi su uno scenario interiore non visibile, che oraviene vissuto senza interposta persona, senza «rappresentanti» di mezzo. L'analista lo ha pre-sentito, glielo ha dipinto, maora quel paesaggio è lì, è un mondo vero a portata di mano.

L'interpretazione, in quanto «costruzione» soggettiva, per tanti aspetti arbitraria, è come una finzione artistica. Inquanto «finzione», non riproduce fedelmente la realtà psichica, ma ne evoca la presenza, ne dà sentore e suscita ildesiderio di cercarla e di conoscerla personalmente. È una finzione al servizio di una ricerca di verità.

Per quanto riguarda l'eccentricità dell'ascolto, cercherò ora di riferire alcune impressioni provate mentre L. raccontava

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il suo sogno. Mi rendevo conto che, pur raffigurandomi davanti agli occhi la scena di lui affacciato alla finestra e del«quadro nel quadro»,—————————————

Mi sono sentito autorizzato a paragonarmi a Magritte dalla gratitudine che il paziente mi esprimeva in vario modo e che lo portava adare un particolare valore al mio contributo.

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non badavo a questi particolari, ma al suo «fraseggiare», al respiro delle sue frasi, ai toni e ai ritmi della sua voce. Eavvertivo che il suo parlare non solo descriveva la scena, ma in qualche modo la presentificava nel suono ( ). Non sitrattava di una voce particolarmente melodiosa, ma di una voce che aveva acquistato varietà di sfumature e animazione nelracconto del sogno. Altre volte mi era parsa incongrua nei tentativi di essere espressiva. Durante il racconto ero statocolpito dalla parola «armonia» e dal fatto che l'armonia la ritrovavo anche all'interno di queste sue inflessioni vocali, comese si trattasse di più voci accordate in un coro. Sembrava anche a me di «essere immerso», grazie a una sorta di reverieacustica, non nel paesaggio del sogno, ma in una «polifonia» e mi sembrava che proprio questa polifonia esprimesse almeglio il sentirsi «immerso» tra cose accordate tra loro in un processo di integrazione interiore.

L'ascolto del suo sogno si è poi tradotto da parte mia in un particolare stile descrittivo, che, nel raffigurare le cose, nonha saturato visivamente la sua percezione e sembra anzi aver aperto la vita a un desiderio di sentire quel quadro interioreche gli descrivevo. Attraverso le componenti sonore della mia voce (intonazione, accenti e ritmo), più che attraverso icontenuti interpretativi, penso di avergli testimoniato un fatto importante, che cioè le sue realtà interne sono state perl'analista così belle e interessanti da stimolare un desiderio di conoscenza e di contatto. Tutto ciò ha stimolato anche in luiun desiderio di trovare quelle impressioni e quelle esperienze che gli descrivevo, di sperimentarle direttamente, invece diridursi a vederne la «rappresentazione visiva». Penso di averlo aiutato—————————————

Una descrizione verbale può trasportare l'ascoltatore nel bel mezzo della realtà rappresentata e lo può far sentire circondato daquella realtà, in virtù dell'esperienza «sonora» che si fa ascoltando un racconto, allorché ciò che viene a configurarsi visivamente,grazie ai significanti della descrizione, ottiene quello che S. Agosti (1972) chiama «supplemento di senso» dalla componente sonoradei significanti verbali. Tale componente sonora avvolge globalmente l'ascoltatore, inserendolo in una dimensione sensorialecontinua, mentre gli oggetti descritti, stagliandosi davanti ai suoi occhi, ne sollecitano le capacità discriminative.

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così a sviluppare un interesse autentico per il suo mondo interno, rimasto tanto a lungo coperto e falsificato dallapreoccupazione di «ben figurare», e di averlo aiutato a scoprire un «vero-sé» intrappolato nel ruolo lavorativo di«rappresentante commerciale».

L'arte della «formalizzazione»Per «formalizzazione è da intendere la “costruzione di un sistema formale di segni”» (Mainzer, cit. da Matte Blanco

1985). È una procedura che parte da assiomi e da regole convenzionali e sviluppa, coerentemente con queste premesse,una serie di ragionamenti o teoremi, senza cadere in contraddizione. Tutto ciò che deriva dai presupposti formaliprestabiliti scopre una complessa rete di conseguenze in essi implicati. Una volta costruito, qualunque linguaggio osistema formale genera un mondo nuovo. Una volta stabiliti assiomi e regole, si configura un orizzonte tutto da sondare( ).

Se riuscissimo a creare un «sistema formale» psicoanalitico, avremmo a disposizione un universo linguistico esoprattutto logico, esplorabile di per sé, il quale ci offrirebbe una specie di campo artificiale di indagine, nel quale poterosservare, e non solo osservare, bensì anche costruire con tutta la nostra libertà inventiva qualcosa che verosimilmenteaccade, in maniera comparabile, nel campo inosservabile dell'inconscio.

In Matte Blanco c'è un intento analogo a quello di Bion, ossia di allargare mediante la psicoanalisi l'area dei fattimentali e contemporaneamente di dare più precisione al linguaggio psicoanalitico. La sublimazione dell'attività istintiva èricondotta alla costruzione—————————————

Perfino in un gioco, le cui regole dischiudono all'indagine una quantità di schemi, combinazioni e problemi inerenti ad una nuovarealtà, inimmaginabile prima, sono rintracciabili gli elementi della «formalizzazione». «Ad esempio negli scacchi si scopronocontinuamente teoremi. Anche se gli scacchi derivano da alcune convenzioni o regole, noi possiamo comunque esplorare la“scacchità”, come se si trattasse di un continente in gran parte ignoto. Le regole sono inventate, ma le conseguenze delle regole vannoscoperte», ci dice S. Benvenuto (1990), ispirandosi a Wittgenstein.

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di «isomorfismi inconsci», strutturalmente affini all'istinto, ma più adatti alle operazioni intellettuali e sociali.«(…) una via per guarire certi sintomi, anziché cercare di farli scomparire, potrebbe essere quella di sostituirli con

strutture bi-logiche ad essi isomorfe, ma più soddisfacenti per l'espressione e lo sviluppo del paziente. Queste ideesarebbero simili al concetto di sublimazione (…)» (Matte Blanco 1985).

Intuire i problemi di un paziente e riformularli con un linguaggio vicino al suo inconscio, isomorfo alle sue strutture,ma tendenzialmente «formalizzato», appartenente cioè ad un sistema di segni più coerente, meglio organizzato esoprattutto più gravido di conseguenze e sviluppi, accrescerebbe la comprensibilità del suo inconscio e accrescerebbe lasua capacità di utilizzarlo in modi socialmente apprezzabili. La sublimazione, così intesa, mantiene uno stretto contattocon la ricchezza generativa dell'inconscio. In quest'ottica l'intuire alcuni percorsi interpretativi sarebbe una comprensioneche veicola un suo sistema di nessi, capace di rivelare un altro mondo, accessibile alla comprensione del paziente,soprattutto se scaturisce da alcuni suoi punti inconsci, toccati dall'analista.

Prendendomi qualche libertà, ho cercato di far rientrare questo tentativo di conciliare creatività e precisione nell'ideadi «arte della formalizzazione». Si tratta di un'idea paradossale ( ), dato che un «sistema formale» ha leggi precise noncontraddittorie, deve essere privo di antinomie, deve possedere un linguaggio non ambiguo e deve procedere da leggi oregole assiomatiche, che ne garantiscano la coerenza ( ), mentre nel nostro operato abbiamo a che fare con—————————————

Ringrazio P. Bria per le osservazioni fattemi, in occasione della presentazione di questo lavoro al Centro di Psicoanalisi Romano il18 marzo 1992, che mi hanno aiutato a mettere meglio a fuoco gli aspetti paradossali e meno convincenti della mia tesi.

Un sistema formale si fonda su almeno quattro principi: oltre che scaturire da alcuni assiomi indimostrati (principio della«assiomatica»), deve rispettare il principio della «non ambiguità» (precisione), della «non-contraddizione» e della «semantica». Peruna illustrazione di questi principi rimando all'articolo di I. Matte Blanco (1985).

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oggetti. come i sogni. che non rispettano le regole della «formalizzazione», ad esempio non rispettano il principio dinon-contraddizione (Matte Blanco 1985). Per di più il nostro pensiero, per capirli, deve in qualche misura assecondarne lalogica e non potrà dunque mai tradursi in un linguaggio con tutti i requisiti di un linguaggio formalizzato. Nonostante imolti dubbi circa la possibilità di far rientrare la psicoanalisi in un «sistema formale», Matte Blanco sostiene comunquel'utilità di accostarsi ad un linguaggio «formalizzato», quale la matematica, che ha il vantaggio di prestarsi ad una quantitàdi sviluppi o di analisi delle conseguenze. Naturalmente sarebbe ingenuo e inopportuno l'uso letterale di un sistemaformale già esistente, quale può essere quello del linguaggio matematico, nella pratica analitica. L'avere scoperto che lamatematica dell'infinito, come l'inconscio, è fondata su strutture bilogiche non autorizza certo ad applicare la matematicaalla clinica, ma rappresenta una teoria forte, idonea a fornirci una specie di modello sperimentale del funzionamentoinconscio.

Per quanti sforzi faremo, non riusciremo mai a «prevedere un sogno» di un nostro paziente, ma solo a «capire ciò cheè già successo», ci dice (Matte Blanco 1985). In questo mio lavoro ho cercato di dire qualcosa di leggermente diverso eche tuttavia mi è stato suggerito dallo stesso autore, che cioè nello spazio «dove fiorisce l'arte», con le sue infinitepossibilità, c'è forse anche il modo di anticipare qualcosa del paziente, servendoci delle nostre emozioni, dei nostri sogni,del nostro ascolto, quali «strutture isomorfe» al suo inconscio. Ciò non vuol dire «prevedere», ma compiere quellaoperazione mentale di sintonia con il «modo di essere» o con la «bi-logica» del paziente, per creare subito dopo, al postodegli oggetti concreti cercati dalle sue pulsioni, uno spazio dell'illusione, dove prima o poi arriverà anche il suo pensiero, asostituire con oggetti e mete «sublimate» l'istinto. Nel corso di un simile approccio intuitivo-estetico tocchiamo talvoltaalcuni punti dell'inconscio altrui, dai quali possiamo far derivare certe conseguenze, in maniera

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non del tutto arbitraria, attraverso «isomorfismi strutturali». Forzando il concetto di «formalizzazione», immagino questipunti inconsci, accoppiati con le capacità intuitivo-estetiche dell'analista, come gli assiomi della sublimazione, dai qualipuò scaturire un mondo nuovo, di sogni e di pensieri impensabili prima; mondo nel quale la mente dell'analizzando è ingrado di inoltrarsi senza eccessive paure, quando si sente guidata dalle anticipazioni dell'analista.

Dopo aver esaminato in Bion e Matte Blanco quegli sviluppi teorici che possono essere imparentati col concetto disublimazione, concludo con una domanda: come mai questo concetto, che pure è un elemento cruciale dell'elaborazionepsicoanalitica, non ha trovato in Freud uno specifico approfondimento, e stenta a trovare in altri autori una sistematica

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trattazione?Azzardo una mia risposta, una risposta che non chiuderà il discorso, ma richiederà comunque la continuazione di

questo lavoro. La sublimazione, più che essere la chiave teorica adatta a comprendere le attività creative della mente el'opera d'arte, è essa stessa una piccola opera d'arte. È qualcosa che si conosce via via che si fa, un fenomeno nonconoscibile prima della sua realizzazione. L'intero edificio della psicoanalisi sta lì a dimostrare che la sublimazione è unfatto più che una teoria, è anzi un farsi, un'opera che si mostra costruendosi, mentre costruisce un apparato per sentire eper pensare il mondo. Un processo da intendere forse, più che nell'accezione di sviluppo culturale e socialeparticolarmente apprezzabile, in quella che lo fa coincidere con lo stesso «sviluppo dell'io» (Loewald 1988), in quantoforma superiore di organizzazione psichica che si propone come meta sostitutiva alle pulsioni.

BibliografiaAgosti S. (1972). Il testo poetico. Rizzoli, Milano.Anzieu D. (1981). Le corps de l'oeuvre. Gallimard, Paris.

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Article CitationDi Benedetto, A. (1993). La sublimazione nella prospettiva di Bion e Matte Blanco ( ). Rivista Psicoanal., 39A:65-82 Copyright © 2014, Psychoanalytic Electronic Publishing. Help | About | Download PEP Bibliography | Report a Problem

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