PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia...

28
2004 Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 7 PARTE PRIMA

Transcript of PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia...

Page 1: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 7

PARTE PRIMA

Page 2: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 8

1. Breve storia del concetto di conoscenza

“Tutta la storia della filosofia, a partire dalla comparsa della teoria della conoscenza e dei seri tentativi di una filosofia trascendentale, è la storia di poderose tensioni tra la filosofia obiettivistica e la filosofia trascendentale, è la storia dei tentativi di preservare l’obiettivismo e di riplasmarlo in forme nuove e, d’altra parte, dei tentativi del trascendentalismo di venire a capo delle difficoltà che l’idea della soggettività trascendentale e il metodo che essa esigeva portavano con sé”. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Est, 1997, p.98.

1.1 Introduzione

Ai fini della nostra analisi, è interessante ripercorrere brevemente l’evoluzione

che la definizione del concetto di conoscenza ha compiuto nella storia del

pensiero umano, in particolare nel periodo dell’età moderna, sotto la specifica

forma di riflessione gnoseologica, nelle due principali ramificazioni del

razionalismo seicentesco (l’apriorismo metafisico e l’empirismo). Faremo ciò

utilizzando come filo conduttore lo schema proposto da N. Abbagnano1,

enucleato nell’opposizione tra due paradigmi teorici che identificano la

conoscenza, rispettivamente, con

1) una procedura di identificazione o assimilazione con l’oggetto (nelle varie

forme in cui tale concezione si è storicamente presentata) e

2) una operazione di trascendenza del soggetto verso l’oggetto.

Page 3: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 9

Innanzitutto è opportuno precisare2 che, sebbene la questione della

conoscenza si sia posta fin dalle origini del pensiero filosofico, l’approccio

teorico associato di solito al termine gnoseologia (o più raramente

epistemologia) è in realtà il risultato di un presupposto filosofico specifico,

legato ad una determinata corrente storica, che si inaugura nel Seicento con la

rottura, compiuta da Cartesio, rispetto alla tradizione. Tale presupposto, che

potremo definire soggettivistico, rivoluziona il quadro generale all’interno del

quale si ponevano le tematiche classiche, come ad esempio la questione del

rapporto tra conoscenza sensibile e conoscenza razionale. Infatti, è solo nella

nuova prospettiva soggettivistico-rappresentazionista che si può costruire una

teoria gnoseologica in senso stretto, una speculazione sulla possibilità stessa

della conoscenza, ossia di un accesso alle cose in quanto realtà in se stesse,

situabili in un mondo esterno, del tutto altro rispetto alla dimensione del

soggetto. Nella prospettiva tradizionale del realismo antico e medievale, invece,

tra Pensiero, Essere e Linguaggio si stabiliva una omogeneità di fondo che

garantiva una perfetta osmosi fra i tre diversi livelli teorici.

Con la svolta cartesiana si affacciano nuove categorie filosofiche che

permettono di definire

a) la conoscenza come un’attività propria dello spirito, ossia del soggetto

umano e come tale indagabile universalmente e astrattamente, a

prescindere dai particolari procedimenti conoscitivi (sensibili o razionali),

messi in atto di volta in volta sia in ambito scientifico sia in ambito extra-

scientifico;

b) l’oggetto immediato del conoscere come idea o rappresentazione, ossia

un’entità mentale, che si trova solamente “dentro” la coscienza ed esiste

solo in quanto il soggetto la pensa.

La “gnoseologia” nasce dunque non come una disciplina filosofica generale,

quale potrebbe essere la logica, l’ontologia, l’etica, l’estetica etc. ma come un

metodo di interrogazione circa la corrispondenza o meno dell’idea alla cosa

“esterna”, al fine di trovare un criterio di verità per ciò che il soggetto pensa o

1 V. voce conoscenza, Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET, 1971, p. 156

Page 4: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 10

crede possa esistere al di là della sua mente. La problematizzazione di questo

tema può spingersi ad un tale livello di radicalità da giungere alla negazione

dell’esistenza stessa di un mondo esterno, indipendente dal pensiero. In

Berkeley troviamo infatti affermazioni come la seguente:

“È infatti stranamente diffusa l’opinione che le case, le montagne, i fiumi,

insomma tutti gli oggetti sensibili, abbiano un’esistenza, reale o naturale,

distinta dal fatto di venir percepiti dall’intelletto. Ma per quanto sia grande la

certezza e il consenso con i quali si è finora accettato questo principio,

tuttavia chiunque si senta di metterlo in dubbio, troverà (se non sbaglio) che

esso indica una contraddizione evidente. Infatti, che cosa sono, ditemi, gli

oggetti sopra elencati se non cose che percepiamo con il senso? E che cosa

possiamo percepire oltre alle nostre proprie idee e sensazioni?”3

Un punto di vista analogo a quello idealistico-berckeleyano lo si ritroverà,

mutatis mutandis, nella filosofia post-kantiana, quando in età romantica si

affermerà con Fichte il principio idealistico-metafisico della soggettività assoluta,

costruita secondo un modello di derivazione teologica4, che esalta l’infinita

potenza creativa dell’Io e riduce l’oggetto ad un non-Io, totalmente privo di

positività.

1.2 Per una definizione della conoscenza Fatta questa precisazione, passiamo all’esame del concetto di conoscenza, nel

suo sviluppo filosofico e scientifico. Nostro scopo è delineare i tratti invarianti di

questa evoluzione, così da contestualizzare le più recenti teorie gnoseologiche

(oggetto di trattatazione dei prossimi capitoli) che si trovano a fondamento di

2 Cfr. Abbagnano, op. cit., 1971, pp.164-165. 3G.Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana, par.4, parte prima, a cura di M.M.Rossi, Laterza, bari, 1973. 4 Cfr. W. Schulz, Le nuove vie della filosofia contemporanea, vol. II, Marietti, 1986, pag. 24-25. Il contrasto fra una concezione classica (antica e medioevale) - in cui l’oggetto dominerebbe il procedimento conoscitivo e il soggetto rimarrebbe passivo - e una concezione moderna - nella quale emergerebbe il potere creativo del soggetto -, è stato utilizzato come motivo polemico all’interno della filosofia romantica. Tale caratterizzazione appare in gran parte fittizia, in quanto la filosofia antica non vuole affatto relegare il soggetto in un ruolo di costitutiva passività. Anche nell’età antica, la riflessione sulla conoscenza riteneva necessario teorizzare un’attività del

Page 5: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 11

discipline operative quali la gestione della conoscenza (knowledge

management).

Per fare ciò, partiamo dalla definizione di conoscenza data da Abbagnano nel

suo Dizionario Filosofico:

“In generale, una tecnica per l’accertamento di un oggetto qualsiasi, o la

disponibilità o il possesso di una tecnica siffatta. Per tecnica di accertamento

va intesa una qualsiasi procedura che renda possibile la descrizione, il

calcolo o la previsione controllabile di un oggetto; e per oggetto va intesa

qualsiasi entità, fatto, cosa, realtà o proprietà, che possa essere sottoposto

a una tale procedura”5.

Da questa definizione emergono subito due punti fondamentali:

1) la conoscenza è una tecnica;

2) esiste un oggetto da indagare.

Il primo punto permette di evidenziare una precisa differenza tra questa

specifica operazione della coscienza e la semplice credenza. Quest’ultima

consiste infatti in un impegno personale e a-critico (senza esame) ad assumere

la verità di una nozione qualsiasi, anche non accertabile. In questo ambito, il

fondamento riconosciuto della verità è spesso l’autorevolezza della fonte.

Sempre in riferimento al primo punto, la conoscenza è ulteriormente definibile in

rapporto al risultato che essa dà o che cerca di ottenere. Il suo scopo ultimo,

infatti, è una previsione, un’anticipazione dei fatti, che richiama inevitabilmente

le categorie di controllabilità e di ripetibilità delle procedure di accertamento. In

questa maniera solo è garantita un’oggettività ed un’impersonalità della

conoscenza.

Il secondo punto della definizione sottolinea invece un assunto teorico-pratico

comune a tutta la cultura occidentale, ossia la convinzione, spesso rimasta

implicita,

a) che vi sia sempre un oggetto che si ponga dinanzi ad un soggetto,

b) che i due siano ontologicamente diversi e

soggetto volta alla acquisizione della nozione dell’oggetto, ed è proprio in questa iniziativa che si definisce il lato soggettivo della relazione di conoscenza. 5 Abbagnano, op. cit., 1971, p.156.

Page 6: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 12

c) che la relazione conoscitiva nasca proprio da questa loro diversità e

costitutiva lontananza (in genere, avvertita come un ostacolo da superare,

oppure, più raramente, come un valore da mantenere e rispettare).

Come vedremo nei prossimi capitoli, questa concezione non è dotata di quella

assoluta evidenza che normalmente gli si attribuisce ed anzi, per alcuni autori di

tradizione orientale, non è nemmeno la più adeguata a spiegare i processi

cognitivi.

Fin dal suo nascere, il pensiero filosofico orientale ne è infatti estraneo, avendo

sempre considerato le unità uomo-mondo, io-altri, psiche-soma come le cifre

costitutive di ogni speculazione sul significato della conoscenza e dell’essere

umano 6.

1.3 Due paradigmi teorici Il rapporto problematico fra il soggetto e l’oggetto si è dunque dimostrato

centrale nell’evoluzione del pensiero filosofico occidentale ed è stato affrontato,

di volta in volta, secondo interpretazioni che possono essere ricondotte, grosso

modo, a due grandi paradigmi teorici 7.

Le interpretazioni del primo gruppo descrivono questo rapporto come una

identità o somiglianza, quest'ultima da intendersi come identità debole o

parziale. In tal modo, esse trasformano l’operazione conoscitiva in una

procedura di conversione o identificazione (adaequatio intellectus ad rei) delle

idee del soggetto con i singoli oggetti o dell’ordine eidetico con l’ordine

oggettivo che intercede tra essi.

Caso limite di corrispondenza tra ordine oggettivo e ordine soggettivo è quello

dell’idealismo trascendentale kantiano. Con la sua rivoluzione copernicana,

Kant ribalta l’impostazione tradizionale ponendo l’ordine oggettivo della natura

come dipendente dalla struttura soggettivo-trascendentale del pensiero. La

conoscenza opera qui non più in una prospettiva di assimilazione con l’oggetto

6 Cfr. Nonaka, Takeuchi, The Knowledge-creating Company, Oxford University Press, 1995, p. 27.

Page 7: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 13

ma di sintesi soggettiva, ossia di riunificazione a priori (trascendentale) delle

rappresentazioni intuitive (riferite al molteplice fenomenico-sensibile).

L’intuizione, a sua volta, rimanda alla datità dell’oggetto (per Kant, nel concetto

l’oggetto è pensato; nell’intuizione l’oggetto è dato - come fenomeno).

Tramite l’intuizione, la conoscenza, pur rimanendo nella relazione di

corrispondenza oggetto-soggetto si apre la strada verso il puro presentarsi o

manifestarsi dell’oggetto (beninteso ancora come fenomeno) al soggetto. Da

questa posizione intermedia, si passa ad un nuovo paradigma teorico, quello

della trascendenza.

Sorpassando il fenomenismo kantiano, infatti, il secondo gruppo di

interpretazioni considera i procedimenti del conoscere come un operare del

soggetto, che miri a riferirsi o rapportarsi direttamente con l’oggetto, in una

sorta di immediatezza originaria, in cui la cosa si manifesta da sé, si offre in

prima persona nell’intuizione.

Non si tratta più dunque, da parte del soggetto, di identificarsi con l’oggetto (o

anche viceversa, di assimililarlo a sè); ma di rendere presente questo oggetto

come tale o stabilire le condizioni che rendono possibile la sua presenza.

Lasciare che la cosa si manifesti da sé è quell’operazione conoscitiva che, in

termini di filosofia contemporanea, può essere chiamata il trascendere del

soggetto verso l’oggetto.

Ai due capolinea storici di questa concezione della conoscenza stanno, da un

lato, gli stoici (rappresentazione catalettica) e, dall’altro, Heidegger (conoscere

come modo d’essere dell’essere-nel-mondo, ossia dell’esserci).

1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del

primo paradigma, quello dell’identità o assimilazione del soggetto all’oggetto.

7 Cfr. Abbagnano, op. cit., 1971, p.156.

Page 8: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 14

Innanzitutto, l’identità tende a risolversi in un’omogenità tra gli elementi della

conoscenza e gli elementi dell’oggetto; per esempio, tra i concetti e le cose,

come se i primi fossero un’immagine o ritratto dei secondi.

Nel mondo antico questa posizione nacque nella forma del principio che “il

simile conosce il simile” (Eraclito, Empedocle, Atomisti), assunto come

fondamento logico-ontologico nella grande opera di riorganizzazione

concettuale effettuata da Platone.

Per il filosofo ateniese, conoscere significa “rendere simile il pensante al

pensato”8, attraverso una progressiva ascesa dei diversi gradi di realtà

dell’essere, cui corrispondono i diversi livelli della conoscenza (doxa:

immaginazione e credenza; episteme: dianoia e noesis9 ). Quindi con

l’aumentare dei gradi conoscitivi aumenta anche il grado di somiglianza della

cosa conosciuta con il soggetto conoscente, fino a raggiungere l’identità

assoluta nella conoscenza dialettica delle Idee in sé stesse e della suprema

idea del Bene. Ma in questa ricerca l’uomo non conquista nulla di nuovo: la

conoscenza è in realtà reminescenza, è cioè un progressivo rimembrare, da

parte dell’anima, le eterne entità ideali che ha scorto prima di essere incarnata

in un corpo mortale. Questa dottrina viene trattata nel Menone, dove Platone

rileva la contraddizione insita nella conoscenza di alcunché, se non considerata

come anamnesi:

“E in quale maniera ricercherai, o Socrate, questo che tu non sai affatto che

cosa sia? E quale delle cose che non conosci ti proporrai di indagare? O, se

anche tu ti dovessi imbattere proprio in essa, come farai a sapere che è

quella, dal momento che non la conoscevi?”10

Aristotele rafforza ancor di più la posizione platonica. Naturalmente, la

conoscenza esiste dapprima in potenza, come pura possibilità di conoscere; ma

la conoscenza in atto è identica con l’oggetto conosciuto: è cioè la stessa forma

sensibile dell’oggetto, se si tratta di conoscenza sensibile; è la stessa forma

8 Platone, Timeo, Rusconi Libri, 1994, 90 c-d. 9 Platone, Repubblica, Laterza, 1966, 509b-511a.

Page 9: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 15

intelligibile, se si tratta di conoscenza intelligibile11. In generale quindi si può

dire che “la scienza in atto è identica col suo oggetto”12 e che “l’anima è tutte le

cose”13.

“E c’è dunque un intelletto potenziale in quanto diventa tutte le cose e c’è un

intelletto agente in quanto tutte le produce, che è come uno stato simile alla

luce: infatti anche la luce in un certo senso rende i colori in potenza colori in

atto.”14

L’influenza aristotelica continua ad esercitarsi nel periodo ellenistico (Epicuro,

Plotino), con l’eccezione significativa dello stoicismo, che esamineremo nella

seconda interpretazione della conoscenza come trascendenza.

Per Plotino, ad es., si ha conoscenza solo se una parte dell’anima si unifica e

fa tutt’uno con l’oggetto conosciuto, superando l’impenetrabile e naturale

dualismo tra soggetto e oggetto.

In epoca medievale, questo quadro concettuale resta sostanzialmente

immutato, sebbene venga spesso declinato in chiave teologica.

S. Agostino, pur tematizzando un movimento di trascendenza verso

l’immutabilità di Dio come dimensione propria dell’uomo in quanto essere

mutevole (v. oltre), afferma che l’uomo può conoscere Dio in virtù della sua

propria somiglianza con esso, del suo essere naturalmente trino nelle facoltà

(memoria, intelligenza e volontà) così come trina è la natura divina. In Agostino,

dunque, è l’uomo nella sua totalità ad entrare come termine della relazione

conoscitiva fondamentale, quella con Dio.

La concezione aristotelica non viene modificata fino a S. Tommaso, che ridurrà

il processo di identificazione dell’anima con le cose alle sole specie delle cose,

ossia alle astrazioni dalla materia individuale.

10 Platone, Menone, Economica Laterza, 1997, 80d. 11 Aristotele, Opere, Universale Laterza, 1973, De Anima, II, 5, 417 a. 12 Aristotele, op. cit., De Anima III, 7, 431 a 1. 13 Aristotele, op. cit., De Anima III, 8, 431 b. 14 Aristotele, op. cit., De Anima III, 5, 430 a .

Page 10: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 16

In età rinascimentale (Cusano, Ficino, Bruno, Campanella) si continua a

variare sul vecchio principio presocratico che ogni simile si conosce col simile.

Quasi al contempo, nei fondatori della nuova scienza (Leonardo, Copernico,

Keplero, Galilei) il principio di identità o somiglianza viene trasposto a livello

matematico, a giustificare le verità scientifiche (acquisite mediante

l’osservazione - le sensate esperienze - e le ipotesi - le certe dimostrazioni) con

il fatto che la natura stessa ha la struttura matematica che lo scienziato fisico

utilizza per leggerne i fenomeni (“i caratteri in cui è scritto il libro della natura

sono triangoli e cerchi”).

A partire dall’età moderna, però, le cose iniziano a complicarsi. Innanzitutto, lo

stesso paradigma della conoscenza come identificazione con l’oggetto entra in

crisi e deve essere rielaborato a causa della “scoperta” cartesiana del

soggetto, come dimensione trascendentale, ossia interiore, riflessiva e

autocoscienziale dell’Io, distinta e isolata da quella del mondo e dell’esperienza 15.

In ciò consiste appunto la differenza tra la filosofia moderna e la filosofia

tradizionale o realistica. Mentre per il filosofo realista (l'uomo comune e anche

lo scienziato galileiano moderno) il mondo in cui viviamo e di cui abbiamo

direttamente coscienza (certezza) è la realtà in se stessa (verità), per il filosofo

moderno (da Cartesio in poi) l'immediato contenuto del nostro pensiero

(certezza) è soltanto rappresentazione o idea soggettiva. Pertanto, pensiero e

realtà sono dimensioni originariamente separate e tra loro indipendenti: la

certezza non ha più come contenuto la verità.

Come scrive E. Severino, «il realismo […] è affermazione dell’identità di

certezza e verità; la filosofia moderna, fino a Kant, è affermazione

dell’opposizione di certezza e verità»16.

Per la filosofia moderna, ciò non significa affatto negare l'esistenza della realtà

esterna. Proprio in quanto rappresentazione e non realtà in sè, il contenuto del

15 Cfr. W.Schultz, op. cit., 1986, vol. II, pagg. 13-14. 16 E. Severino, La filosofia moderna, Rizzoli, 1984, p.40.

Page 11: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 17

nostro pensiero (le idee) rinvia a qualcosa che non è più rappresentazione ma

rappresentato, ossia ad una realtà esterna ed indipendente dal pensiero. Resta

vero, d'altra parte, che contrariamente al senso comune, alla filosofia realistica

e alla scienza moderna, per le quali l'esistenza della realtà in sè non ha bisogno

di dimostrazione ed è affermata immediatamente, per la filosofia moderna tale

esistenza richiede una dimostrazione e non può essere affermata

direttamente17.

L’identificazione con l’oggetto diventa, pertanto, problematica. E' il problema del

soggetto, che da Cartesio in poi viene impostato come questione della

corrispondenza delle rappresentazioni soggettive con la realtà esterna o realtà

in sé (“problema gnoseologico” nel senso della filosofia moderna18). E la

soluzione a tale problema può venire soltanto da un’indagine sull'intelletto

stesso, sulle sue capacità, funzioni e limiti: in breve, la soluzione può provenire

solo dalla fonte stessa del problema, ossia dalla dimensione soggettiva della

conoscenza.

Se la convinzione di fondo comune a tutta la filosofia moderna è che la realtà

esterna non può venir ammessa in modo incontrovertibile senza una qualche

prova della sua esistenza, non tutti i filosofi sono però dell'avviso che tale prova

sia possibile.

A questo riguardo la posizione assunta dagli empiristi è in netta polemica con

quella propria dei razionalisti.

I razionalisti sono convinti che una dimostrazione incontrovertibile

dell'esistenza della realtà esterna non solo sia possibile ma sia anche

necessaria, per fondare il valore della conoscenza (scientifica). Secondo il

razionalismo, la conoscenza che ci deriva dall'esperienza (sensibilità), per se

stessa, non può avere alcun valore euristico, nessun valore di verità (Vero o

Falso). L'esperienza e il sapere scientifico possono trovare fondamento solo ad

opera della ragione metafisica, che, liberata dai vincoli dell'esperienza

(sensibile), si può appoggiare su conoscenze innate, “a priori”. E’ questa la

17 Cfr. Severino, op. cit., 1984, p.78. 18 Cfr. Severino, op. cit., 1984, p.77.

Page 12: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 18

ragione di un soggetto isolato nella sfera puramente intellettuale del suo

pensiero (l'ego cogito cartesiano).

Gli empiristi, al contrario, negano, al pari degli scettici, che una tale

dimostrazione sia possibile e, considerando la mente tabula rasa, priva di idee

innate, vedono nell'esperienza sensibile l'unico possibile fondamento della

conoscenza umana. Per l'empirismo, infatti, nessun argomento razionale può

essere preposto alla fondazione dell'esperienza e del sapere che da essa

deriva. Ogni tentativo di conoscere ciò che è al di là della superficie delle

rappresentazioni sensibili è destinato in partenza a fallire, poichè il carattere

soggettivo (rappresentazionale) e a posteriori (sensibile, recettivo) non è

qualcosa di estrinseco al nostro conoscere e dal quale si possa tranquillamente

prescindere. Esso è invece inscindibilmente connesso alla natura dell'uomo e ai

processi della conoscenza (umana).

E’ essenziale notare qui la profonda modernità della posizione empirista, del

tutto ascrivibile alla scoperta cartesiana dell’indubitabilità del pensiero

(soggetto), da non confondere quindi con la posizione ancora realista del

sensismo vecchia maniera, che identifica coscienza e sensibilità, non

riconoscendo che la sensazione a cui fa riferimento è contenuto della coscienza

e pertanto anch’essa per sua natura trascendentale (soggettiva)19.

Cartesio pone dunque in discussione la possibilità stessa della conoscenza

(dubbio iperbolico), isolando a tal punto l’uomo nell’impenetrabile “solitudine”

della sua interiorità che «l’Io divenuto privo di mondo non può più, di per se

stesso, ritornare al mondo» 20. Cartesio, pertanto, può garantire una soluzione

“positiva” del problema solo grazie ad una svolta teologica, che salva la

correlazione fra interno ed esterno ricorrendo al criterio dell’evidenza soggettiva

come base della verità delle idee innate (la fondamentale certezza intuitiva

dell’io penso) e, quindi, risale all’esistenza di Dio (mediante la dimostrazione

dell’esistenza di un’attualità reale infinita come origine in me dell’idea

19 Cfr. Severino, op. cit., 1984, p. 84. 20 Schultz, op. cit., 1986, vol. I, p. 17.

Page 13: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 19

dell’infinitezza) come garante della «parabola metafisica» 21 che conduce

all’identità tra ordo rerum e ordo idearum.

Il razionalismo metafisico di Cartesio richiede dunque un variazione in seno al

paradigma dell’identità, così come l’abbiamo precedentemente definito. Posto lo

iatus ontologico originario tra cogito e mondo, la ristabilita corrispondenza

metafisica tra le due dimensioni non potrà ritornare alla identità immediata tra

elementi dell’una e dell’altra. La relazione si porrà piuttosto nei termini di una

identità mediata, di struttura rappresentazionale o relazione fra l’ordine delle

idee del soggetto (ordine logico) e l’ordine delle cose del mondo (ordine reale).

Lo statuto della conoscenza, da relazione di identità delle idee con le cose,

viene di conseguenza ad essere una relazione di raffigurazione, come quella

che lega un paesaggio ad una carta geografica.

Anche Spinoza - pur rifiutando ogni impostazione di tipo soggettivistico-

evidenziale per assumere un presupposto ontologico-logicista (more

geometrico) che eleva a verità assoluta e autoponente il concetto di Dio come

unica sostanza causa sui - arriva a riconoscere l’identità tra ordo rerum e ordo

idearum, collocabile all’interno di quell’ordine universale e necessario che è la

stessa Sostanza divina 22.

In un’ottica prettamente soggettivistica si muove invece Locke, il maggiore

rappresentante del filone dell’empirismo critico seicentesco, che procede ad un

esame delle facoltà, delle funzioni e dei limiti dell’intelletto umano. Pur negando

la possibilità di idee innate e quindi di un accordo a priori tra pensiero e realtà, il

filosofo inglese definisce la conoscenza in termini di associazione o unificazione

di idee, «cioè di stati che cadono dentro la coscienza, ma il cui collegamento

corrisponde o deve corrispondere a quello delle cose»23. Perciò, la conoscenza

appare come «la percezione dell’accordo e del legame o del disaccordo e del

21 Cfr. Severino, op. cit., 1984, p.85. 22 B. Spinoza, Ethica, Melita ed., 1990, II, 7, 44. 23 Abbagnano, op. cit., 1971, p.161.

Page 14: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 20

contrasto delle idee tra di loro»24, che esige, affinchè essa sia reale, che esista

«una conformità delle nostre idee con la realtà delle cose» 25. Tale conformità

risulta possibile, secondo Locke, solo attraverso la mediazione dell’esperienza

empirica.

In polemica con l’empirismo induttivista lockiano, Leibniz rinnova con forza la

tesi innatista, giungendo a configurare una conoscenza pregressa (sebbene

virtuale) delle verità universali e necessarie, ed anzi di tutte le nozioni di cui

l’uomo è in possesso. E’ interessante notare, infatti, che accanto alle percezioni

coscienti (chiare e distinte), Leibniz teorizza l’esistenza di percezioni inconsce

(oscure), che egli chiama «piccole percezioni», ossia quelle percezioni che,

considerate singolarmente non superano la soglia della coscienza, mentre

producono una percezione cosciente quando si sommano insieme in grande

quantità.

All’esperienza, il filosofo tedesco riconosce solo una funzione di stimolo e di

occasione nel rivelarsi delle idee innate alla nostra comprensione. Tale

posizione è ben compendiata nella formula «Nihil est in intellectu quod non

fuerit in sensu, excipe: nisi ipse intellectus»26. Tale innatismo anamnesico è del

tutto funzionale alla concezione leibniziana della sostanza individuale o

semplice come monade, ossia centro di attività rappresentazionale,

microcosmo perfetto, nel quale si realizza l’identità o armonia prestabilita (da

Dio) tra ordo rerum e ordo idearum, entrambi fondati sul legame che tutte le

cose create (da Dio) hanno tra loro, sì che «ciascuna sostanza semplice abbia

rapporti che esprimono tutte le altre, e che essa sia, di conseguenza, uno

specchio vivente perpetuo dell’universo» 27.

24 J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, Fabbri ed., 1996, IV, 1, 2. 25 Locke, op. cit., 1996, IV, 4, 3. 26 G.W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, Editori Riuniti, 1982, Libro I. 27 G.W. Leibniz, Monadologia, Laterza, 1986, §56.

Page 15: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 21

In Hume avviene invece il più radicale sfaldamento della ragione e di ogni

pretesa di corrispondenza gnoseologica tra il pensiero umano e la realtà delle

cose.

Accentuando al limite dello scetticismo l’assunto empirista della mente tabula

rasa, Hume riduce la conoscenza ad un’operazione, del tutto intra-soggettiva, di

connessione fra le idee, operazione che normalmente chiamiamo

ragionamento, e che in realtà non dà alcuna garanzia sull’esistenza di oggetti

reali esterni alla mente. L’associazionismo humeano perviene alla

desostanzializzazione non solo delle realtà esterne ma anche della stessa

istanza soggettiva, ridotta a «fascio di percezioni» in continuo cambiamento,

che solo la nostra immaginazione associativa unifica.

Infatti, la relazione di causalità o di sostanzialità, che collega le idee fra di loro e

che sembrerebbe anche collegarle ad una realtà esterna o interna, ad un più

attento esame, crolla. Secondo Hume, unico fondamento per essa è la

ripetizione di una certa successione di eventi e l’abitudine a mantenere

l’associazione che tale ripetizione determina nell’uomo: non ha dunque alcun

valore assoluto e non permette il costituirsi di alcuna conoscenza certa, né per il

“lato esterno” della conoscenza, né per il “lato interno”.

In tutte queste concezioni, anche in quelle dove sembrava fosse andato perduto

un rapporto di identità o somiglianza tra idee e cose, in effetti non è stato mai

abbandonato il modello teorico di fondo, che definisce la conoscenza come

assimilazione del soggetto all’oggetto. Semplicemente, non essendo stato

validato dalla riflessione critica, si è negata la possibilità della conoscenza come

tale, senza cercare nuove strade.

In questa direzione, invece, si è mosso Kant, producendo un ribaltamento

epocale della strategia gnoseologica tradizionale (“rivoluzione copernicana”),

che rovescia completamente il rapporto tra soggetto e oggetto, introducendo

nella filosofia moderna una prospettiva che possiamo definire trascendentale.

L’ordine oggettivo delle cose si modella ora sulle condizioni della conoscenza, e

non viceversa. Come abbiamo già detto, infatti, il conoscere, per Kant, è in

Page 16: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 22

realtà operare delle unificazioni sul materiale molteplice sensibile mediante le

categorie. Il fenomeno così creato e legiferato è tutto ciò a cui possiamo

accedere, per la nostra stessa intima costituzione.

“Le categorie si riferiscono in modo necessario e a priori ad oggetti

dell’esperienza, perché solo per loro mezzo diviene in generale possibile

pensare un qualunque oggetto d’esperienza. […] Ma lo svolgimento

dell’esperienza, entro cui essi si incontrano, non costituisce la loro

deduzione (bensì la loro illustrazione), poiché, in caso contrario,

risulterebbero contingenti.”28

La realtà al di là del fenomeno, o meglio, il pensiero di questa “realtà”, che

abbiamo solo in rapporto al pensiero del fenomeno, come suo riflesso, è il

noumeno, l’inconoscibile. Le categorie dell’intelletto e le intuizioni pure della

sensibilità spiegano l’universalità dei principi matematici e fisici, e dunque le

regolarità del mondo della natura. Il conoscere è essenzialmente una sintesi del

materiale percepito, sintesi in cui convivono due lati diversi, uno attivo, legato

alla funzione unificatrice delle categorie dell’intelletto, ed uno passivo, legato

invece alla capacità ricettiva della sensibilità umana:

“Dunque, pensare un oggetto e conoscere un oggetto sono due cose ben

diverse. La conoscenza richiede infatti due elementi: prima di tutto il

concetto per cui un oggetto è in generale pensato (la categoria); e in

secondo luogo l’intuizione, per cui l’oggetto è dato; se infatti al concetto non

potesse esser data una corrispondente intuizione, esso sarebbe un pensiero

solo rispetto alla forma, ma del tutto privo di oggetto e per suo mezzo non

sarebbe possibile la conoscenza di nessun oggetto.”29

Quest’ultimo punto è importante, perché con esso Kant descrive una modalità

nuova di conoscenza (seppur non autonoma), nella forma del darsi di un

oggetto.

Ciò apre in direzione di una interpretazione del rapporto conoscitivo diversa e,

per molti aspetti opposta a quella trascendentale kantiana. Secondo questa

nuova lettura, cui accennavamo all’inizio di questa analisi, centrale nel processo

28 I. Kant, Critica della ragion pura, Tea classici, 1986, pp.124-125. 29 I. Kant, op. cit., 1986, p. 137.

Page 17: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 23

della conoscenza è il venire alla presenza dell’oggetto, e, dalla parte di chi

conosce, il movimento di trascendenza verso esso. In questo caso i

procedimenti della conoscenza non mirano al raggiungimento di una identità,

ma a facilitare la presenza dell’oggetto in quanto tale, scoprendo le condizioni

che, soddisfatte, la rendono possibile.

Prima di passare all’esame di questa nuova prospettiva gnoseologica, tuttavia,

per chiarezza espositiva, concludiamo questa panoramica delle filosofie che

salvano il vecchio principio aristotelico della conoscenza come identità o

assimilazione.

Nell’idealismo romantico, si produce una significativa svolta nella filosofia della

soggettività. L’Io kantiano (appercezione trascendentale) era soltanto la forma

della conoscenza, l’atto unificante che non poteva darsi senza il contenuto dei

dati della sensibilità (affezione esterna). Da questo punto di vista, l’idealismo di

Fichte supera i limiti del finitismo kantiano. «Egli pone la soggettività per sé –

con una significativa svolta nella filosofia della soggettività– e precisamente

cercando di renderla pienamente indipendente dal dato, in quanto Io assoluto» 30

La tesi di fondo dell’idealismo post-kantiano è che conoscere significa porre,

cioè produrre o creare, l’oggetto. Ed essendo il soggetto l’autore di questa

posizione, vi è una necessaria e immediata identità tra i due. L’oggetto è

dunque manifestazione dell’attività originaria (ed infinita) del soggetto

(assoluto).

Fu appunto Fichte il primo a proporre questa tesi, nella quale, come si vede,

l’identità con l’oggetto è garantita dalla stessa definizione della conoscenza:

“L’ Io deve intuire; che ora l’intuente debba essere realmente un Io, vale lo

stesso che: l’Io deve porsi come intuente ; poiché nulla spetta all’ Io se non

in quanto esso se l’attribuisce. […] Un intuito che dev’essere opposto all’ Io,

all’ Io in quanto intuente, è necessariamente un Non-io; da qui segue

innanzitutto che l’atto dell’ Io, il quale pone tale intuito, non è riflessione, non

è un’attività che si dirige al di dentro, ma è un’attività che si dirige al di fuori e

Page 18: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 24

quindi, per quanto noi possiamo comprendere, è una produzione. L’intuito

come tale è prodotto.”31

In seguito, Schelling cercò di pareggiare il peso del soggetto con quello

dell’oggetto, teorizzando un assoluto come un’unità indifferenziata, ma non

introdusse niente di nuovo per quel che riguarda lo statuto della conoscenza.

Nell’idealismo di Hegel (Fenomenologia dello Spirito), che rappresenta la piena

maturazione della filosofia idealistica, la conoscenza viene descritta come un

processo di graduale e necessario venire a coscienza dello Spirito a se stesso,

come unità dell’interiore e dell’esteriore. La coscienza avanza lungo un

percorso che va continuamente unificando (dialetticamente) nuove

paradigmatiche opposizioni e che la porta a ri-conoscersi in quanto Idea in sé e

per sè, sapere assoluto, coscienza dell’unità necessaria del mondo soggettivo

con il mondo oggettivo.

Infine, nella contemporaneità, anche lo spiritualismo moderno (Bergson)

considera il conoscere come un rapporto interno della coscienza, ossia un

rapporto della coscienza con sé stessa, veicolato dall’intuizione, nella quale il

termine oggettivo è identico con il soggettivo.

Pure la fenomenologia si colloca, per certi aspetti, entro una visione di identità

tra il soggetto e l’oggetto conosciuto. La «percezione immanente» di cui parla

Husserl è un modo privilegiato della coscienza, dove essa percepisce le proprie

esperienze vissute come un oggetto collocato nella stessa corrente di

coscienza a cui appartiene la stessa percezione. L’oggetto perciò non è che la

coscienza stessa, o, al massimo, un suo prodotto o manifestazione.

Vi è poi il positivismo logico a ristabilire un puro nesso di identità tra il

conoscente e il conosciuto, e lo individua nella dimensione linguistica, intesa

come il luogo privilegiato di indagine e di ricerca della verità. Questa corrente

filosofica è stata ispirata da filosofi come Frege, Russell, Carnap, ma soprattutto

dall’ eclettica persona di Wittgenstein. Egli, nel suo primo capolavoro filosofico,

30 Cfr. Schultz, op. cit., 1986, vol. II, p. 23.

Page 19: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 25

il Tractatus Logicus-Philosophicus 32, delinea una teoria “rappresentativa” del

linguaggio (la cosiddetta “picture theory”). In essa si afferma che

“la proposizione può essere vera o falsa solo in quanto è una immagine

della realtà” (4.06)

Che essa sia un’immagine è provato dal fatto che

“[…] la proposizione io la comprendo senza che mi sia spiegato il senso di

essa” (4.021)

e dato che

“Gli elementi dell’immagine sono rappresentanti degli oggetti nell’immagine”

(2.131)

gli elementi della proposizione, le parole, rispecchieranno una struttura della

realtà, un ordine, proprio di essa, e, necessariamente, comune ad entrambi, in

quanto

“Nell’immagine e nel raffigurato qualcosa dev’essere identico, affinché quella

possa essere un’immagine di questo” (2.161).

L’ insistenza sulla nozione di immagine prova il riferimento alla vecchia

concezione del conoscere come operazione di identificazione, anche se

Wittgenstein dopo, andando a precisare ciò che vi è di identico tra la

proposizione e ciò che essa raffigura, ciò che permette la relazione fra le due,

parla di una forma logica, una forma di raffigurazione definita come

“[…] la possibilità che le cose stiano l’una rispetto all’altra come stanno tra

loro gli elementi dell’immagine” (2.151)

richiamando così l’attenzione sull’ordine degli elementi, piuttosto che sugli

elementi stessi.

1.5 Disamina storica: secondo paradigma

31 J.G. Fichte, Principi fondamentali di tutta la dottrina della scienza, II, 30-40, Laterza, Roma-Bari 1987. 32 L. Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus e quaderni 1914-1916, Einaudi 1964.

Page 20: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 26

Il secondo paradigma teorico, quello delle dottrine che intendono la conoscenza

nel segno di una trascendenza, introduce ad una relazione diretta, immediata

con la cosa, in quanto esiste ed è presente nella sua esistenza attuale. La

presenza dell’oggetto è appunto ciò a cui mira la conoscenza come operazione

di trascendenza. In tale processo non manca certo l’iniziativa del soggetto ma

non si presenta nella forma di una spontaneità intellettuale formatrice o

creatrice, bensì di un operare che rende manifesto l’oggetto, che lascia la

parola ai fatti, accogliendoli nella loro datità. Il risultato così ottenuto è un

accordo con l’oggetto, che non implica unità o identità con esso, bensì

mantenimento della alterità 33.

Questo tipo di approccio gnoseologico ha una prima importante anticipazione

nella filosofia degli Stoici34. Nel pensiero stoico, il concetto di evidenza ha un

ruolo centrale: essi chiamano evidenti le cose che «vengono di per se stesse

alla nostra conoscenza, come per esempio, il fatto che è giorno» ed oscure,

«del tutto non evidenti […] come l’esser pari il numero delle stelle», quelle cioè

che sfuggono totalmente alla conoscenza umana. Tra le cose oscure vi

possono però essere anche quelle oscure per natura, perchè non cadono mai

sotto la nostra evidenza («come i pori intelleggibili dei corpi»), e quelle oscure

momentaneamente ma evidenti per natura (ad esempio la città di Atene per chi

non vi risiede).

Per riferirsi ai due ultimi tipi di cose oscure vi sono i segni, rispettivamente,

indicativi a significare le cose oscure per natura (per esempio, il sudore si

assume come segno degli invisibili pori), e rammemorativi, a significare le cose

evidenti per natura ma oscure momentaneamente (come il fumo è un segno del

fuoco).

Da come gli stoici intendono l’evidenza capiamo dunque che l’oggetto di

riferimento é la cosa come presenza intuita, che “si manifesta da sé” e “si

comprende da sé”, ossia appare già come altro da chi la comprende. Nel caso

delle cose non evidenti, invece, la dottrina dei segni fa sì che ci si riferisca lo

33 V. voce trascendenza, Abbagnano, op. cit., 1971, p. 886-887. 34 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi Pirroniani, Laterza, 1988, II, 97-102.

Page 21: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 27

stesso ad esse, pur non avendo, il segno, alcuna identità o somiglianza con la

cosa, ma solo un semplice rapporto di significanza.

Questo senso attivo di trascendenza è rimasto sopito per vari secoli, con piccoli

ritorni durante l’età medievale, in particolare, in Agostino, che nella

mutevolezza della natura umana invitava a trascendere se stessi e la propria

razionalità, verso la dimensione originaria e il punto focale della ragione stessa,

ossia verso l’immutabilità di Dio. A quest’ultimo si giunge grazie ad un processo

in cui ragione e fede interagiscono continuamente: “praecedit fides, sequitur

intellectus”, dice Agostino, nel senso che la mente umana può esercitare il suo

ruolo razionale solo sulla base di una preliminare credenza. La ragione senza

fede è “desperatio verum inveniendi”, esperienza di sconfitta che uccide la

speranza della verità; accompagnata alla fede, invece, l’intelligenza diventa una

ricompensa divina e lo strumento stesso che fortifica e chiarifica l’esperienza

che l’uomo ha di Dio : “credo ut intelligam, intelligo ut credam”.

Il tema dell’immediata presenza della cosa alla conoscenza intuitiva (sensibile o

intellettiva) è ripreso da Ockham, che afferma nuovamente la visione e

apprensione senza intermediari della cosa stessa nell’atto del conoscere.

Anche per Ockham, l’esperienza è la conoscenza intuitiva perfetta, che ha per

oggetto una realtà attuale o presente, mentre quella imperfetta, che concerne

un oggetto passato, deriva sempre dalla prima, e ci si riferisce ad essa tramite i

segni nel modo già indagato dagli stoici.

Il concetto di trascendenza riappare infine in età contemporanea, prima di tutto

nella fenomenologia, la corrente filosofica che assume paradigmaticamente una

concezione dell’operazione conoscitiva come un trascendere, un processo di

trascendenza che ha il suo termine in una datità originaria, colta nell’intuizione.

Husserl ritiene che “ogni specie di essere ha per essenza i suoi modi di darsi e

quindi il suo metodo di conoscenza”35; la ricerca fenomenologica quindi

consiste nell’analisi di questi modi d’essere come “modi di datità”. Nella

35 E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi, 1965, I, §79, p.176.

Page 22: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 28

fenomenologia, l’esperienza è definita come un’operazione intuitiva (empirica o

essenziale) attraverso la quale un oggetto specifico (reale o ideale) è dato nella

sua realtà originaria.

“Il mondo-della-vita è un regno di evidenze originarie. Ciò che è dato in

modo evidente è, a seconda dei casi, esso stesso dato nella percezione, e

cioè esperito nella sua presenza immediata, oppure è ricordato nella

memoria. Tutti gli altri modi di intuizione sono presentificazioni di questo

esso stesso.”36

L’esperienza ha quindi un ruolo di primo piano, è l’atto fondante non sostituibile

di ogni conoscenza, anche di quella geometrica e astratta che tratta solo

dell’essenza delle cose esperite, non di esse stesse.

Sempre nell’ambito programma fenomenologico di ritorno all’esperienza della

vita, in Heidegger si riscontra la più importante utilizzazione del concetto di

trascendenza. Esso conduce, come vedremo, alla «distruzione della

gnoseologia tradizionale», cartesianamente centrata sul «soggetto posto per

sé» e da qui proiettata a «farne il fondamento del mondo inteso come insieme

di tutti gli oggetti» 37.

Secondo Heidegger, «il conoscere è un modo d’essere dell’essere-nel-

mondo»38, cioè del trascendere del soggetto verso il mondo. Qui la

trascendenza è pensata nel senso del rapporto con il mondo, rapporto che è

costitutivo dell’uomo o meglio della sua struttura ontologico-esistenziale,

denominata da Heidegger con il termine «Esserci» (Dasein), da interdersi come

soggettività trascendentale finita che vive nel mondo.

Questo rapporto di trascendenza (essere-nel-mondo) non è tale per cui

l’Esserci vada «da un dentro a un fuori della sua sfera interiore, sfera in cui

sarebbe in un primo tempo incapsulato»39. Come osserva Schultz,

36 E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Est, 1997, p. 156. 37 Cfr. Schultz, op. cit., 1986, vol. I, p. 66. 38 M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, 1976, par. 13, p. 85. 39 Heidegger, op. cit., 1976, par. 13, p. 87.

Page 23: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 29

«l’uomo non è dapprima in sé per entrare poi successivamente in rapporto

con il mondo, ma ha già sempre a che fare con cose e uomini, in quanto

l’Esserci dell’uomo è esistere nel mondo. Nell’affermazione di Heidegger

secondo cui l’uomo è nel mondo, questo in-essere va compreso nel senso di

un originario essere-intimo con il mondo. Il mondo non è qualcosa di in sé

estraneo all’Esserci, poiché l’Esserci è possibile solo in quanto rapporto col

mondo»40.

La trascendenza, dunque, implica un processo nel quale l’ente si svela e si

scopre all’Esserci: «l’Esserci, conformemente al suo modo d’essere

fondamentale è già sempre fuori, presso l’ente che gli viene incontro in un

mondo già sempre scoperto»41. Trascendere è dunque l’atto per cui «l’uomo,

come ente nel mondo, si distingue dagli altri enti od oggetti e si riconosce come

se stesso»42.

Anche lo specifico modo d’essere-nel-mondo proprio della conoscenza «si

fonda preliminarmente in quell’esser-già-presso-il-mondo che costituisce come

tale l’essere dell’Esserci»43. Sulla base di questa struttura originaria, il

conoscere si realizza, secondo Heidegger, nella sospensione della cura, ossia

di quel rapporto specifico che l’Esserci intrattiene con gli oggetti del mondo

nelle attività comuni della vita di ogni giorno (il manipolare, l’utilizzare, il

commerciare con le cose). Nella sospensione di questa quotidiana attività,

accade un semplice «osservare», che è di volta in volta il soffermarsi presso un

ente, il cui essere è caratterizzato dal fatto che è presente, che è qui.

“Questo osservare è sempre orientato in una particolare direzione, è un

mirare alla semplice-presenza. Esso rileva anticipatamente sull’ente che

viene incontro un particolare «punto di vista». Questo stare a vedere

rappresenta un modo particolare di soffermarsi presso l’ente intramondano.

In questa fermata, in quanto venir meno di ogni manipolazione e

utilizzazione, ha luogo l’apprensione della semplice-presenza”44 .

40 Schultz, op. cit., 1986, vol. I, p. 66. 41 Heidegger, op. cit., 1976, § 13, p. 87. 42 Abbagnano, op. cit., 1971, p. 887. 43 Heidegger, op. cit., 1976, § 13, p. 86. 44 Heidegger, op. cit., 1976, § 13, p. 86.

Page 24: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 30

Per questa via, Heidegger perviene alla perdita di significato del problema della

conoscenza, che viene annullato nel suo senso usuale. Qui infatti non

sussistono iati da colmare tra un soggetto e un oggetto della conoscenza, che

invece costituiscono una totalità olistica, caratterizzata dalla comprensione o

apertura reciproca dei due termini: «il rapporto con se stessi e quello con il

mondo costituiscono un tutto unico»45

Dopo la trattazione heideggeriana del problema della conoscenza, l’idea che

tutte le manifestazioni e i gradi del conoscere presuppongono il rapporto

dell’uomo con il mondo e sono possibili solo su questa base, è diventata

opinione largamente condivisa tra i filosofi contemporanei. Questo tipo di

approccio filosofico si riconduce al medesimo atteggiamento anti-

rappresentazionista, che consiste nell’abbandono del principio cartesiano

secondo il quale gli stati interni (idee, rappresentazioni, ecc.) siano gli oggetti

primari di conoscenza e che solo a partire da essi possano essere inferiti

oggetti di altra natura.

Anche il pragmatismo di Dewey condivide questo abbandono di credenze: per

lui la conoscenza consiste in una semplice asserzione valida risultante da un

procedimento di ricerca. Non vi è entità esterna da raggiungere o da inferire,

solo metodi di indagine che via via costruiscono l’intera struttura

epistemologica, utilizzando, di volta in volta, i risultati delle precedenti indagini

come mezzi per la buona riuscita delle successive. Nell’indagine in atto, perciò,

il metodo di validazione dei risultati precedenti viene ovviamente lasciato

implicito, essendo indipendente ed estraneo alla ricerca attuale. Da qui nasce il

comune equivoco che porta al rappresentazionismo, ossia alla credenza che vi

siano degli oggetti del conoscere esistenti in rapporto ad un esterno.

1.6 Disamina storica: la scienza. Conclusioni Questa progressiva dissoluzione dell’originario problema della conoscenza si è

compiuta anche grazie agli sviluppi della riflessione sulla metodologia delle

45 Schultz, op. cit., 1986, vol. I, p. 67.

Page 25: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 31

scienze. In tale ambito, il problema gnoseologico ha subito una mutazione che

lo ha trasformato nel problema della validità delle procedure effettive di

accertamento e di controllo degli oggetti, nei diversi campi di indagine.

L’accento è posto sul carattere anticipatorio ed operativo dei procedimenti della

scienza, a scapito di un operare che tradizionalmente era descrittivo. Questo

fine, già individuato da Bacone, viene ripreso, per esempio, da August Comte,

da Mach e da Hertz, pur senza che in essi si abbandoni del tutto una

concezione pittorica della conoscenza. Scrive infatti Hertz nei suoi famosi

Principi della meccanica, a proposito del problema conoscitivo:

“Come base per la soluzione di questo problema, noi facciamo uso della

nostra conoscenza degli eventi già accaduti, ottenuta attraverso

l’osservazione casuale e l’esperimento preordinato. Nell’effettuare così

inferenze dal passato al futuro adottiamo costantemente il procedimento

seguente: ci formiamo immagini o simboli degli oggetti esterni e la forma che

diamo a tali simboli è che le necessarie conseguenze della immagine

pensata sono sempre le immagini delle necessarie conseguenze nella

natura delle cose rappresentate”46

Questo residuo di concezione rappresentativa è stato abbandonato solo nella

prima metà del Novecento, quando i fondatori della meccanica quantistica

hanno optato totalmente per una scienza non descrittiva, che problematizza i

procedimenti d’indagine e lo stesso linguaggio utilizzato, al posto di una

conoscenza intesa in senso generale.

Nella fisica contemporanea assistiamo infatti ad un superamento

dell'impostazione della modernità. Quest’ultima appare come una posizione

“ingenua” in quanto dà validità perenne alle proposizioni di una scienza della

natura che è in realtà si dimostra essere un processo interminabile di ricerca.

La nuova fisica infatti abbandona la concezione dell’oggetto basata sullo

schema “sostanza-accidente” per problematizzare la soggettività del

ricercatore, in nessun modo eliminabile del tutto. La soggettività assoluta che

dunque per Kant faceva da garante della verità ed universalità delle scienze,

Page 26: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 32

diviene ora, paradossalmente, l’assoluto limite che si pone tra l’osservatore e

l’oggetto, e che preclude un sapere definitivo.

Lo scienziato si trova dunque in una condizione di costitutiva ambiguità: egli si

adopera, come in passato, a conoscere la natura in quanto tale, ma questa

conoscenza deve al contempo essere riferita al processo della ricerca, non solo

rispetto ai risultati già acquisiti nel passato, ma anche dal punto di vista delle

potenzialità prognostiche della ricerca futura.

Ma nella pratica scientifica non si riflette in genere sulle conseguenze di questa

ambiguità: la ricerca si svolge quasi interamente comandata da punti di vista

pragmatico-tecnologici. D'altra parte, tale ambiguità è legittima: sarebbe errato

e inattuale misurarla sulla base delle concezioni della scienza del passato.

Questa ambiguità può piuttosto essere considerata come un sintomo

dell'affermarsi, anche all'interno della scienza contemporanea, di un nuovo

concetto di realtà, il cui contrassegno è costituito dal superamento di un

rapporto statico con l'oggetto a favore di uno scambio dialettico tra soggetto e

oggetto.

Riassumendo, sono identificabili tre conseguenze fondamentali:

1) soggetto e oggetto non possono più essere pensati come isolati l'uno

dall'altro (non sono separabili): oggetto della scienza non è più direttamente

la natura in quanto tale, nè la sua trama essenziale47;

2) la conoscenza della natura è già da sempre mediata dalle conoscenze che

la scienza ha prodotto e può produrre: lo scienziato, come singolo, si deve

inserire nel processo della ricerca, sapendo che questo processo è infinito e

si costituisce come superamento di qualsiasi conoscenza vigente (non

esiste più un soggetto sovratemporale che legifera sulla natura);

46 Hertz, Prinzipien der Mechanik, Introduzione. 47 Una conferma di questo clima culturale e scientifico è data per esempio dall’invalidazione radicale, nella teoria atomica moderna, della consueta idea che la materia sia un qualcosa di afferrabile e di resistente. E' invece soltanto per interpretare determinati fenomeni fisici che si ricorre all'atomo: come dice Heisenberg "l'adozione del concetto di atomo risponde soltanto all'esigenza di formulare con semplicità le leggi che determinano tutti i processi fisici e chimici". La figura dell'atomo ha dunque senso soltanto per la scienza e all'interno della scienza stessa: essa dipende dal processo della ricerca e dalla sua continua trasformazione.

Page 27: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 33

3) lo scienziato pertanto non può più rivendicare un diritto alla verità

immediata: ciò sarebbe addirittura ascientifico.

Ne emerge che se la scienza vuole continuare la sua ricerca deve inserirsi in

una prospettiva definibile come un “kantismo modificato48”. Alla luce dei più

recenti risultati della fisica pura, infatti, le usuali nozioni di spazio, tempo e di

causalità appaiono in molti casi inadatte a spiegare i fenomeni naturali. Dunque,

contrariamente a quanto riteneva Kant , esse sono prive di qualsiasi

assolutezza o aprioricità, e la loro valenza è meramente esplicativa.

“In tal modo la posizione assoluta della soggettività pura (come unità

sintetica immutabile delle determinazioni conformi a legge) viene eliminata.

Ciò però ha come conseguenza anche la problematizzazione del concetto

dialetticamente opposto alla soggettività pura, cioè la cosa in sé. […]

Rimane allora evidentemente soltanto la possibilità di definire la realtà della

fisica come un processo che non può essere fondato nè nel soggetto, nè nel

mondo delle cose in sè, ma che rappresenta un mondo autonomo, appunto

il mondo della fisica.”49

Ciò che invece la fisica contemporanea ritiene utile prendere dalla filosofia

kantiana è il concetto di idea della ragione. Il proposito di fissare solo dei

principi regolativi quali motivi conduttori di una ricerca scientifica in sé infinita è

ciò che dovrebbe illuminare il lavoro di ogni scienziato: i concetti portanti delle

scienze fisiche, in quest’ottica, perdono la posizione tradizionale di principi

costitutivi per assumere quella di principi regolativi. Il “kantismo modificato”,

dunque, radicalizza l'idea kantiana di ricerca scientifica, fino a escludere la

possibilità di una visione unitaria e definitiva del mondo.

Come vedremo, le filosofie che saranno analizzate nei prossimi due capitoli

hanno radici profonde nel mondo della scienza, anche se tendono poi a dare

una visione più ricca dell’essere umano. Non a caso, infatti, i loro autori sono

originariamente degli scienziati e, solo in un secondo tempo, decidono di tirare

48 Cfr. Schultz, op. cit., 1986, vol. I, pag. 184. 49 Schultz, op. cit., 1986, vol. I, p. 160.

Page 28: PARTE PRIMA - it Consult · 1.4 Disamina storica: primo paradigma La maggior parte della storia della filosofia occidentale si muove all’interno del primo paradigma, quello dell’identità

2004

Copyright 2004 it Consult – Reproduction is prohibited 34

le somme di una vasta esperienza (di laboratorio, il più delle volte) e di usare

ciò che hanno scoperto per costruire un’immagine a tutto tondo dell’essere

umano, delle sue capacità e dei suoi limiti costitutivi, fino ad elencarne i doveri e

le responsabilità.

Oltre ad un interesse legato ai fini immediati di questo lavoro, ossia alla

definizione dei concetti base su cui si basano neo-discipline quali il knowledge

management, penso che essi meritino un’attenta comprensione proprio per

questa loro non ortodossa (anche se non nuova: si pensi a Wittgenstein)

provenienza, se rapportati ai filosofi di professione o ai letterati che spesso

dominano i circoli dove si producono nuove idee.

In conclusione di questo capitolo, si vorrebbe porre in luce un’ altro intento, che

è stato sotteso alla lunga disamina storico-filosofica: il far notare al lettore

l’enorme varietà di possibilità “cognitive” con cui si trova a lavorare lo studioso

di filosofia.

Infatti, anche se si è cercato di dare un filo conduttore, che tenesse unite e

quindi semplificasse, nell’esposizione, le varie tesi incontrate, esse,

individualmente, costituiscono un universo a sé stante, che non ammette

riduzioni; in verità è proprio questo carattere di completezza e di autonomia, ciò

che rende un pensiero, che guarda al tutto, filosofia.

E colui che la studia, il filosofo, ingloba tutti questi “approcci autonomi” nella

forma di “modelli” singolari di interpretazione della realtà: ciò che si vuol dunque

sottolineare è che egli ha a disposizione un’ enorme quantità di “modelli cognitivi” , caratteristica che, come vedremo, gli fornisce una professionalità

specifica all’interno della società postfordista centrata sulla conoscenza.

In particolare, anticipando ciò che si dirà nel capitolo quinto, questa

professionalità si esplica nel knowledge management, come processo di

esternalizzazione della conoscenza tacita e pratica di un’organizzazione.