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Università Telematica Pegaso La didattica laboratoriale e
le nuove tecnologie
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 IL LABORATORIO COME METODOLOGIA DI APPRENDIMENTO ----------------------------------------- 3
2 IL LABORATORIO: SPAZIO DI INNOVAZIONE DIDATTICA -------------------------------------------------- 6
3 IL LABORATORIO: LUOGO FISICO E MENTALE ----------------------------------------------------------------- 9
4 UTILIZZARE LE NUOVE TECNOLOGIE NELLA DIDATTICA: TIC ----------------------------------------- 13
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 19
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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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1 Il laboratorio come metodologia di apprendimento
La didattica laboratoriale, o meglio la metodologia dei laboratori è al centro del processo di
cambiamento in atto nella scuola italiana, l’uso e la diffusione costante della tecnologia rende
necessario un modello interpretativo al fine di valorizzare le potenzialità delle sue applicazioni e
superare le paure del puro tecnicismo quale strumento sterile e poco utile all’apprendimento.
La didattica laboratoriale è una valida risposta alle esigenze “dei nativi digitali” in quanto in
essa trova la sua applicazione nell’uso adeguato della tecnologia e con la produzione di
apprendimenti efficaci in spazi adeguati.
La didattica laboratoriale, infatti, prevede la realizzazione di contesti efficaci dal punto di
vista relazionale e sociali, dei luoghi, degli strumenti e dei materiali usati per lo sviluppo dei
processi formativi. Il contesto di apprendimento che si crea nel laboratorio ha come esito prodotti
significativamente rilevanti, perché caratterizzati da situazioni formative operative, dove la
competenza da acquisire è il risultato di una pratica e di una riflessione e di una interiorizzazione
del processo di apprendimento laboratoriale.
Questa metodologia si prefigge di coinvolgere docenti e studenti in un processo di
costruzione delle conoscenze e di sviluppo di abilità e competenze che tengano conto delle variabili
che influenzano i processi di insegnamento-apprendimento:
le modalità con le quali il materiale da apprendere viene strutturato;
le interazioni che si svolgono tra allievo e ambiente;
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le caratteristiche personali dell’allievo (ad esempio i processi e le strategie usate di
preferenza per la risoluzione di un compito);
gli strumenti di valutazione.
Nella didattica laboratoriale si applica l’uso della metodologia della ricerca, pertanto il
laboratorio non è solo uno spazio fisico attrezzato in maniera specifica ai fini di una determinata
produzione, ma diventa una situazione motivante, come modalità di lavoro, anche in aula, dove
docenti ed allievi progettano, sperimentano, ricercano e scoprono la loro fantasia stimolando la loro
creatività e favorendo la motivazione all’apprendimento.
Quindi nella didattica laboratoriale si valorizzano molte dimensioni: quella della relazione
educativa e le sue evoluzioni, vale a dire dalla trasmissione/riproduzione della conoscenza alla
costruzione della conoscenza; l’aspetto motivazionale, quello della curiosità e partecipazione
attiva e consapevole, quella sulla problematizzazione; sull’apprendimento personalizzato e l’uso
degli stili cognitivi e della metacognizione; sul metodo della ricerca; sulla socializzazione e sulla
solidarietà.
La valenza pedagogica della metodologia laboratoriale è stata ampiamente dimostrata già in
passato da molti studi studiosi, infatti, Bruner sostiene l’inseparabilità tra riflessione, linguaggio e
azione; Frabboni evidenzia che l’elaborazione, il ri-costruire delle conoscenze, l’imparare ad
imparare nel laboratorio quale sede privilegiata per la scoperta, l’osservazione, la ricerca-azione
intorno ai fatti culturali facilita i processi di apprendimento e aiuta ad integrare le opportunità
offerte dalla scuola con quelle offerte dall’extrascuola. Lo stesso Francesco De Bartolomeis
intendeva, infatti, il laboratorio come opportunità della quale la scuola deve avvalersi per tornare
alla realtà e ai suoi problemi. Il laboratorio si caratterizza, quindi, per l’oggetto della sua azione,
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vale a dire per l’attività che vi si svolge, che investe il soggetto operante. Con il lavoro in
laboratorio lo studente domina il senso del suo apprendimento, perché produce, perché opera
concretamente, perché “facendo” sa dove vuole arrivare e perché.
La didattica laboratoriale, rintracciabile, quindi, già nella pedagogia dell’attivismo di
Dewey, si fonda su tre principi fondamentali: gli scopi dell’educazione vanno fondati sui bisogni
intrinseci del soggetto che apprende; la cooperazione contribuisce efficacemente a ‘liberare e
organizzare’ le capacità di chi apprende e a trasformarle in competenze; la valenza educativa delle
attività sta nelle connessioni e nella flessibilità di percorsi riconosciuti dall’alunno come
significativi per sé e spendibili nel compito di intervenire sulla realtà.
La metodologia dei laboratori può essere considerata un’occasione per ridisegnare stili di
insegnamento e di apprendimento, in quanto costringe l’insegnante a padroneggiare le procedure
per guidare gli allievi a scoprire e gestire, a loro volta, stili, modi, strategie di apprendimento. Il
docente assume cosi il ruolo di facilitatore, negoziatore, propositore, risorsa in grado di sostenere e
garantire la tenuta del processo di apprendimento del singolo e del gruppo.
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2 Il laboratorio: spazio di innovazione didattica
Le indicazioni nazionali per il curricolo 2012 sottolineano l’importanza della didattica
laboratoriale legata ad un “sapere” (le conoscenze), al “saper fare” (le abilità) e al “saper essere”
(l’agire intenzionale e consapevole) integrate nell’unitarietà della persona.
La metodologia laboratoriale supera una tradizionale visione della scuola deduttiva, fatta da
concetti, nozioni, schemi logici, che vengono prima studiati e poi “eventualmente” verificati
praticamente, a favore di un sistema educativo di istruzione e formazione che valorizza la scuola
come una grande esperienza sociale di “comunità di apprendimento”. La Riforma non identifica più
la scuola con l’associazione formale, ossia con la classe o come istituzione amministrativa e
neppure con l’insieme di alunni che vivono accanto gli uni agli altri in uno spazio definito, bensì la
considera un’organizzazione nella quale ciascuno è impegnato ad investire le proprie risorse in una
rete di relazioni con gli altri, favorendo un apprendimento del “sapere” congiunto con quello del
“fare”, un “fare riflessivo” in cui l’allievo apprende in quanto reso attivo e consapevole della
situazione didattica.
La metodologia laboratoriale supera le tradizionali pratiche di insegnamento-apprendimento
perché offre notevoli vantaggi e forse possiamo dire fornisce risposte più concrete alla nuova idea
di formazione che pone al centro del processo la comunità educativa, intesa come l’insieme dei
soggetti che partecipano alla vita collettiva in un contesto formativo.
Far diventare la metodologia laboratoriale un pratica quotidiana può aiutare il processo di
insegnamento/apprendimento perché un unico percorso metodologico non può essere efficace per
tutti gli allievi di una classe, nella quale esistono stili cognitivi, caratteristiche personali e contesti di
provenienza differenti; in secondo luogo la vita intellettuale di una persona non si risolve
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esclusivamente attraverso l’attività teoretica fondata sulla parola, sul libro. Il fare e l’agire devono
diventare aspetti altrettanto salienti dell’azione educativa, non episodici o semplicemente a supporto
del sapere teorico. E’ indispensabile che il docente sappia scegliere gli aspetti del sapere intorno ai
quali gli allievi possano costruire le proprie rappresentazioni della realtà dotandole di senso,
attraverso tempi scolastici anche inferiori, ma significativi e motivanti. Ogni istituzione scolastica,
agendo secondo la propria autonomia (DPR 275/99), può individuare i tempi, contenuti, modalità,
orientamenti educativi e pedagogici che facilitino l’apprendimento pratico e situato per costruire
esperienze in grado di coniugare il sapere con il fare.
Nell’attività di insegnamento/apprendimento non è possibile non prestare attenzione ai
processi considerandone solo i suoi risultati.
La pratica del laboratorio rende indispensabile la particolare cura nella progettazione
dell’intero percorso didattico e richiede attenzione ad una serie di azioni che lo realizzano nella sua
complessità:
- l’elaborazione di indicazioni didattiche differenziate, adatte alle caratteristiche cognitive dei
singoli alunni: diversi stili cognitivi, diversi modi di apprendimento, diverse intelligenze che
apprendono in modi distinti;
- l’individuazione e l’indicazione di modalità flessibili di accesso e di utilizzazione delle
conoscenze acquisite;
- la costruzione delle concettualità di base necessarie a comprendere schemi più complessi
che possano dare origine a percorsi interdisciplinari e transdisciplinari;
- la diversificazione delle metodologie di insegnamento e di valutazione rispetto alle modalità
di apprendimento del singolo.
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La didattica laboratoriale interpreta il laboratorio come un principio trasversale alla
didattica, come una metodologia didattica che coinvolge attivamente insegnanti e studenti in
percorsi di ricerca spostando la centralità dall’insegnamento all’apprendimento e quindi dal
“programma/contenuto” all’allievo.
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3 Il laboratorio: luogo fisico e mentale
La legge 107 del 2015 “La Buona Scuola” prevede l’uso di metodi didattici: insiste
sull’apprendimento cooperativo (c. 3), sulla didattica laboratoriale (cc. 7, 60) e sulla scuola digitale
(cc. 56-61). Su tali temi i docenti dovranno mettere in campo le loro competenze, oltre che altre più
di tipo didattico-organizzativo utili alla realizzazione del successo formativo.
La didattica laboratoriale può essere un valido supporto nell’attuale concezione del fare
scuola, bisogna sottolineare che il laboratorio è principalmente un luogo mentale, una forma
mentis, una pratica del fare che valorizza la centralità dell’allievo, pone l’enfasi sul processo di
apprendimento e mette in stretta relazione l’attività sperimentale degli allievi con le competenze dei
docenti.
In esso non si insegna e/o si impara, ma “si fa”, si sperimenta concretamente e ci si
confronta concettualmente con la problematicità dei processi e con quella dei saperi. Le attività
laboratoriali devono essere: progettate, concrete, aperte all’interpretazione e orientate ai risultati.
Non possiamo, però sottovalutare che il laboratorio è anche un luogo fisico. Può realizzarsi
in spazi di apprendimento/relazione posti sia dentro la scuola (biblioteche, mediateche, ludoteche,
palestre, ecc.), sia fuori dei suoi cancelli, in luoghi specializzati (le teche, i parchi, i musei, ecc.).
Nel laboratorio si privilegia l’aspetto euristico, il laboratorio è “un’officina di metodo”, dove
non è possibile offrire apprendimenti preconfezionati dove si progettano e sperimentano i propri
progetti didattici a base interdisciplinare, dove, come sostiene Franco Frabboni, si ricercano e
ritrovano le motivazioni infantili e adolescenziali depauperate dai media.
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Il laboratorio ha varie caratteristiche:
- Il laboratorio è uno spazio di comunicazione: per dare cittadinanza ai linguaggi verbali e
non verbali.
- Il laboratorio è uno spazio di personalizzazione: per sviluppare autosufficienza,
autostima, autonomia culturale e emotiva, partecipazione.
- Il laboratorio è uno spazio di esplorazione e di creatività: nel laboratorio, come con gli
altri metodi “coinvolgenti” il soggetto agisce, è attivo. L’essere attivo del soggetto si può
esplicitare in molti modi e ai due estremi ritroviamo due tipologie: l’attività riproduttiva e
quella produttiva; è attivo l’allievo che copia, che ripercorre la procedura richiesta, che
riproduce ciò che ha studiato; è attivo l’allievo che inventa, che ipotizza nuove strategie
risolutive, che produce qualcosa ex novo. Nel laboratorio si opera su entrambi i piani: ma lo
scopo formativo del laboratorio è quello di produrre pensiero a partire dall’azione e non è
mai meramente applicativo (ossia riproduttivo).
- Il laboratorio è uno spazio di socializzazione: per valorizzare attività strutturali
individuali, di peer-tutoring, di cooperazione attraverso intenzionali momenti interattivi che
ritrovano la cooperazione, l’impegno, la solidarietà tra generi, età, etnie diverse.
Quando la metodologia dei laboratori diventa la scelta di fondo di una scuola, la
progettazione organizzativa deve trovare il proprio fondamento nelle scelte didattico-educative
dopo attente analisi dei bisogni formativi e del contesto di appartenenza degli alunni.
L’assetto organizzativo e l’orario assumono come dimensione l’intero anno scolastico, la
gestione annuale del fabbisogno di risorse orarie e di organico è funzionale al principio della
flessibilità, la scuola gestisce in modo integrato le risorse del territorio. Il sistema mette a
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disposizione spazi, materiali, attrezzature, metodologie, esperti. La competenza professionale
diventa necessaria e dovrà essere composta da conoscenze, abilità e comportamenti. Nei laboratori
l’insegnante mette conoscenze ed abilità al servizio degli studenti, è un ricercatore che li aiuta a
impostare, condurre e valutare ricerche, a progredire nella collaborazione, nell’uso sociale delle
relazioni.
La didattica laboratoriale richiamata da tutte le recenti normative, nuove indicazioni per il
curricolo 2012, nella Riforma della scuola secondaria superiore DPR 15 marzo 2010, nella legge
107/15, è un scelta metodologia utile a garantire percorsi formativi che considerino i vissuti degli
studenti, le loro esperienze, la storia con gli altri attraverso forme di lavoro che valorizzano
potenzialità, capacità e competenze per imparare la complessità dell’odierna società, attraverso lo
studio delle discipline, la risoluzione dei problemi, la previsione di argomentazioni, la
comunicazione.
Anche nei nuovi ordinamenti dell’istruzione tecnica, il laboratorio è inteso non solo come il
luogo nel quale gli studenti mettono in pratica quanto hanno appreso a livello teorico attraverso la
sperimentazione di protocolli standardizzati, tipici delle discipline scientifiche, ma soprattutto come
una metodologia didattica innovativa, che coinvolge tutte le discipline, in quanto facilita la
personalizzazione del processo di insegnamento/apprendimento che consente agli studenti di
acquisire il “sapere” attraverso il “fare”, dando forza all’idea che la scuola è il posto in cui si
“impara ad imparare” per tutta la vita. Tutte le discipline possono, quindi, giovarsi di momenti
laboratoriali, in quanto tutte le aule possono diventare laboratori.
Nell’attività di laboratorio sono varie le attività che si possono esplicare sul piano didattico.
Oltre all’utilizzo delle diverse strumentazioni, delle potenzialità offerte dall’informatica e della
telematica, si può far ricorso alle simulazioni, alla creazione di oggetti complessi che richiedono
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l’apporto sia di più studenti sia di diverse discipline. In questo caso, l’attività di laboratorio si
intreccia con l’attività di progetto e diventa un’occasione particolarmente significativa per aiutare lo
studente a misurarsi con la realtà. Tirocini, stage ed esperienze condotte con la metodologia
dell’“impresa formativa simulata” sono strumenti molto importanti per far acquisire allo studente
competenze molto utili per l’orientamento e per l’occupazione. Metodologie didattiche basate sul
costante utilizzo delle tecnologie aiutano i docenti a realizzare interventi formativi centrati
sull’esperienza, che consentono allo studente di apprendere soprattutto tramite la verifica della
validità delle conoscenze acquisite in un ambiente interattivo di “apprendimento per scoperta” o di
“apprendimento programmato”, che simuli contesti reali.
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4 Utilizzare le nuove tecnologie nella didattica: TIC
Uno dei più importanti segni del cambiamento che emerge nella didattica per competenze è
rappresentato dall’imperativo contenuto nell’ottava famiglia del modello di Perrenoud, ripreso
dalle indicazioni europee in merito all’istruzione formulate nel 2006, dove, nella lista delle
competenze-chiave, troviamo al quarto posto la competenza digitale.
Ma il documento più ampio ed esaustivo in questa materia è stato prodotto dall’Unesco ICT-
CST1, in occasione del suo intervento sulle nuove prospettive della didattica, il cui frutto è stata la
redazione di un progetto da attuare nel contesto di un sistema di istruzione che riconosce la valenza
pedagogica delle tecnologie, nel quadro esplicito di una didattica per competenze.
Un aspetto molto interessante consiste nella destinazione dell’intervento, valido a testare sia
gli insegnanti, sia gli studenti, collocandosi, così nella duplice prospettiva della formazione e
dell’apprendimento. E’ significativo il fatto che il documento parli di “formazione” degli studenti,
che devono, appunto, essere formati a produrre le seguenti competenze:
Usare con proprietà le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC).
Cercare, analizzare e valutare le informazioni.
Trovare soluzioni ai problemi e prendere decisioni.
Usare gli strumenti in modo efficace e creativo.
Comunicare, collaborare, produrre e pubblicare contenuti.
1 UNESCO ICT COMPETENCY STANDARDS FOR TEACHERS
http://cst.unesco‐ci.org/sites/projects/cst/default.aspx Traduzione italiana aprile 2010
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Essere cittadini informati, responsabili e capaci di contribuire con le proprie competenze e
capacità allo sviluppo socio-economico del proprio Paese.
Gli obiettivi del progetto si dividono in trasversali:
Infondere valori fondamentali e promuovere il patrimonio culturale.
Sostenere lo sviluppo personale di giovani e adulti.
Promuovere la democrazia e aumentare la partecipazione sociale.
Favorire la comprensione interculturale.
Sostenere lo sviluppo economico e aumentare la prosperità.
e specifici:
Costituire linee guida per identificare, sviluppare o valutare materiali didattici o programmi
di formazione sull’uso delle TIC.
Fornire qualifiche idonee a integrare le TIC nell’attività educativa e didattica per migliorare
l’apprendimento e potenziare altre competenze professionali.
Incrementare le competenze degli insegnanti in didattica, collaborazione, leadership e
sviluppo della scuola.
Armonizzare approcci e vocabolari del settore delle TIC in quello della formazione degli
insegnanti.
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Il progetto prevede tre approcci graduali e progressivi al cambiamento educativo:
1. Conoscenza delle tecnologie, il cui principale obiettivo è la preparazione degli studenti a
diventare cittadini e forza lavoro atta a sostenere lo sviluppo socio-economico; l’obiettivo
correlato è mettere a disposizione di tutti risorse educative di qualità, migliorando le
competenze di base. Gli insegnanti si troverebbero, così, a far uso competente di
metodologie e tecnologie, al fine di applicare le conoscenze scolastiche ai problemi reali,
mentre gli studenti, applicando le conoscenze disciplinari alla soluzione di problemi
complessi, aggiungerebbero valore alla società e all’economia del proprio Paese.
2. Abilità di uso approfondito delle TIC, consistentente nell’incremento delle capacità
stimolate dal precedente approccio. Poiché questa prospettiva comporta che l’insegnamento
si concentri eminentemente sullo studente, l’insegnante deve definire le consegne relative
alla comprensione di un evento problematico; guidare il discente alla comprensione e
sostenerlo nei progetti collaborativi, aiutandolo a creare, realizzare e valutare piani di azione
e soluzioni. Esempi di competenze relative a questo approccio possono essere la capacità di
gestire le informazioni, strutturare le consegne e integrare gli strumenti; la creazione e il
monitoraggio di progetti individuali e di gruppo; la collaborazione con altri docenti e la
comunicazione cooperativa con esperti esterni.
3. Competenza d’uso delle TIC per creare conoscenza, con due principali obiettivi: far
crescere studenti impegnati nel produrre conoscenza, innovazione e partecipazione,
beneficiandone per lo sviluppo personale e professionale e, in seconda istanza, avviare il life
long learning, azioni di apprendimento e miglioramento continuo per mezzo della
comunicazione, collaborazione, creazione e pensiero critico. In questa fase, che dovrebbe
condurre alla massima gerarchia di competenze, gli insegnanti seguono un percorso
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formativo che li pone in possesso di conoscenze, abilità e competenze atte a supportare gli
studenti, a pianificare e gestire finalità e attività di apprendimento, modellando il percorso e
processo culturale degli studenti e operando essi stessi come modello. Le competenze
relative a questo approccio rimandano dapprima al problem solving, facendo leva su
comportamenti di collaborazione, sperimentazione, pensiero critico ed espressione creativa,
per poi orientarsi in una direzione di sintesi: far sì che lo studente determini gli obiettivi del
proprio apprendimento, valuti punti di forza e debolezze, pianifichi strategie e controlli le
tappe del processo in corso. Il nucleo classe si trasforma allora in comunità di
apprendimento e l’insegnante non è più solo trasmettitore, ma creatore di conoscenza.
Se il risultato del progetto arriva a rispecchiarne i principi ispiratori e a realizzarne gli
obiettivi, si dovrebbe ottenere una radicale trasformazione della scuola, nella sua nuova fisionomia
di learning organization, impegnata a favorire l’apprendimento e a coinvolgere tutti i soggetti
presenti al suo interno.
Riflettere sulle competenze relative all’uso delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione è indispensabile perché esse rappresentano strumenti dai quali non si può più
prescindere nell’insegnamento e nella pratica di qualsiasi disciplina, sia perché sono il canale
privilegiato dai giovani nella quasi totalità delle loro attività, sia, infine, come prova dell’attualità e
novità insite nella didattica per competenze, destinata a durare nel tempo e a lasciare tracce
significative. Per quanto concerne l’ambito dell’apprendimento va osservato che le TIC, oltre ad
ampliare le possibilità di accesso all’informazione, facilitano la comunicazione, la condivisione e la
collaborazione fra soggetti anche distanti che intervengono nei processi di apprendimento
permettendo la creazione di vere e proprie comunità virtuali di apprendimento.
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Nella rapida e radicale trasformazione del mondo in cui viviamo oggi, di cui la scuola come
parte attiva e fondante, ne prende in pieno possesso, la legge 107 del 2015 introduce il Piano
Nazionale Scuola Digitale PNSD2 (azione #28), con la conseguente individuazione in ogni
istituzione scolastica dell’“animatore digitale”: un docente “innovatore” che sia esperto di
metodologie e di tecnologie didattiche e che possegga buone doti organizzative e capacità di
coinvolgimento e leadership rispetto ai colleghi. In pratica a partire dal gennaio 2016 ogni scuola
italiana avrà una figura dedicata esclusivamente all’innovazione digitale di natura metodologica e
didattica.
In campo operativo l’animatore digitale opererà in tre ambiti che diventeranno parte
integrante del POF-T di ogni singola istituzione scolastica:
a. La Formazione metodologica e tecnologica dei colleghi: coordinare e sviluppare un piano
di formazione dei docenti della scuola all’uso appropriato e significativo delle risorse
digitali. L’animatore digitale svolgerà questo ruolo coerente con le indicazione del PNSD,
promuovendo cioè in particolare piani di formazione sulla didattica laboratoriale, sulle
“metodologie attive” di impronta costruttivista, sulle competenze di new media
education, sui nuovi contenuti digitali per l’apprendimento. Una formazione che sviluppi
l’utilizzo consapevole e la comprensione critica delle tecnologie didattiche. Non
necessariamente l’animatore digitale dovrà essere un “formatore” ma dovrà essere esperto di
metodologie e tecnologie didattiche e avere, soprattutto, la capacità di animare e coordinare
la partecipazione di tutta la comunità scolastica alle altre attività formative ai progetti di
innovazione.
2 Il MIUR presenta il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD):
http://www.istruzione.it/scuola_digitale/landing/allegati/pnsd-layout-30.10-WEB.pdf
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b. Il Coinvolgimento della comunità scolastica: l’animatore digitale avrà il compito di
favorire la partecipazione e stimolare non solo l’attività dei colleghi ma anche quella degli
studenti e dei genitori, attraverso l’organizzazione di workshop e altre attività, anche
strutturate, sui temi del PNSD. In questo modo la scuola si aprirà a momenti formativi
organizzati per le famiglie e per gli altri stakeholder territoriali (Comuni, Biblioteche,
Imprese, Fondazioni, Banche ecc.) cercando di promuover la diffusione di una cultura della
cittadinanza digitale condivisa e dell’alternanza scuola lavoro in maniera diffusa sui territori.
c. La progettazione di soluzioni metodologiche e tecnologiche sostenibili da diffondere
all’interno degli ambienti della scuola. L’animatore promuoverà l’utilizzo di
strumentazioni per le didattiche innovative anche specifiche come la robotica educativa, la
programmazione (coding) in “Scratch” (https://scratch.mit.edu/), l’utilizzo didattico di
stampanti 3D ecc. Tutto questo implica ovviamente nuove soluzioni per la distribuzione
degli spazi fisici della scuola. Soluzione architettoniche che meglio si adattino ad una scuola
“aumentata dalla tecnologie” e aperta alle ulteriori trasformazioni che le tecnologie vi
porteranno3.
3 Ferri, P., Un terremoto digitale scuote la scuola italiana 2015
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Bibliografia
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“Il laboratorio” di F. Frabboni. Laterza, Bari, 2004.
“I laboratori a scuola. Una risorsa per imparare” di P. Faudella, L. Truffo. Con CD-ROM,
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“Un terremoto digitale scuote la scuola italiana” di P. Ferri. 2015.
“Le tecnologie dell’informazione per la didattica” di G. Olimpo. In S. Bagnara e A. Failla
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“Didattica e disabilità: quale software” di L. Ferlino, M. Ott, G. Trentin. Franco Angeli,
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Università Telematica Pegaso La didattica laboratoriale e
le nuove tecnologie
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“Gli strumenti del comunicare” di Mc Luhan M. Trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1967.
“Apprendimento collaborativo basato sul computer” di Kaye A. TD Tecnologie Didattiche
n.4, Menabò Editore, 1994.
“Community of learners” di M. B. Ligorio. In TD Tecnologie Didattiche n. 4, Menabò
Editore, 1994.