NUMERO 2 / ESTATE 2011

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VERDENA / SMART COPS / RUMATERA / ELISA MORO / ZELLABY / GIANMARIA TESTA E GIUSEPPE BATTISTON AND MUCH MORE... NUMERO 2 / ESTATE 2011

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Verdena / Smart Cops / Rumatera / Elisa Moro / Zellaby / Gianmaria Testa e Giuseppe Battiston and much more...

Transcript of NUMERO 2 / ESTATE 2011

verdena / smart cops / rumatera / elisa moro / zellaby / gianmaria testa e giuseppe battistonand much more...

numero 2 / estate 2011

musica / almost famousa iodio / estate 2011

editorialeEbbene sì, quei faccioni in copertina

sono proprio i nostri. Così adesso sapete con

chi avete a che fare. Non siamo tutti, ma certo una

valida rappresentanza. E intanto che ci autocelebriamo,

proviamo a crescere ancora un po’. Innanzitutto, abbiamo un

sito internet: www.iodiomagazine.it, nel quale potete trovare i conte-

nuti che per motivi di spazio non riusciamo ad inserire su carta. Un po’

alla volta li caricheremo tutti, vecchi e nuovi.

Altra novità, oltre al nostro consueto nomadismo (continuerete a trovarci

in giro per il globo, ma mai in posti a caso), abbiamo individuato alcuni

punti ufficiali di distribuzione: gli Iodio’s official corners. Grazie alla ma-

gnanima disponibilità dei gestori/titolari, potrete trovarci lì, fino ad esau-

rimento scorte (elenco completo dei corners sul suddetto sito).

Concludo con il solito proposito: scriveteci in libertà, che su carta o

sito vogliamo accogliervi tutti. Siamo gente affettuosa. E teneteci

d’occhio, che abbiamo altre novità in serbo... A presto!

Stefano Zadro

[email protected]

2iodio n.2 / estate 2011

Direttore Responsabile: Stefano ZadroResponsabile di redazione: Andrea Cansei PassadorProgetto grafico: La Cloud - [email protected]

In redazioneKatrin BattistonMatteo BerryVanessa Soledad CozzarinAnna De NardiGiugi (Giovanni Simonato)Iana (Giuliana Zigante)Dave Martin’s (Davide Martin)Simona PancaroAlessandra PerinMaura Piccin Marianna PuppulinCliff SecordDavide TramontinAlessandro VeronaDottorQ

IllustrazioniLa CloudAlessandra Perin

FotoElisa Moro

in copertina Zellaby

stampaCentro Stampa Puiattivia delle Industrie 4, Fossalta di Portogruaro (VE)

NUM. REG. STAMPA 34 del 30.12.2010

[email protected]

edito da

associazione giovanile iodeposito

con il patrocinio delcomune di pordenone

www.iodeposito.eubigsofa10.blogspot.comfacebook: iodio

la tua pubblicità su iodio?scrivi a:

[email protected]

ioascolto

verdena...sono cresciuti, eccome

4

smart copspessimi soggetti

7

rumaterai teroni del nord

9

made in italyshake some action!

11

io vedo

elisa morolo sguardo dietro la macchina

13

zellabyold fashioned

17

gianmaria testa e giuseppe battistonirriducibili artisti

20

mauro merlinodentro un sogno

22

io leggoandrea marcelli 23

katrin battiston 24iodio - istruzioni per l’uso 25

io vestoput your pants in the air like you don’t care

26

iodioetamodottorq the sensual killer

27

w o w !

Di Iana e Dave Martins - foto Elisa Moro

s o l d o u t !v e r d e n a !

iodio / estate 2011

WOW è SOLD OUT ! Non potevamo scegliere miglior tito-lo per descrivere l’impatto che sta avendo il nuovo tour 2011 dei Verdena. Nella maggior parte delle date finora uscite, in-fatti, il gruppo Bergamasco ha venduto tutti i biglietti stacca-bili decine di giorni prima dei live! Questa piacevole sorpre-sa ha portato cosi ad un raddoppio delle date in molte città Italiane (circa una cinquantina da gennaio ad agosto 2011!). Iniziamo l’intervista partendo proprio dalla lunga e curiosa ge-stazione artistica che ha preceduto l’uscita di Wow. Sappiamo che vi siete rintanati per molto tempo presso i vostri Henhouse studio dove avete partorito e registrato, in analogico, i nuovi pezzi. Da dove nasce questa esigenza, alquanto partico-lare e originale, in controtendenza rispetto alle tradizionali stra-tegie discografiche che regolano il mercato discografico? Quanto, questo “esilio compositivo”, ha influenzato la stesura dei nuovi pezzi?Logisticamente parlando il nostro studio è un posto un po’ isolato, ma non si tratta di alcun isolamento mistico creativo dell’artista. In realtà non ci siamo chiusi o ritirati, suoniamo e registriamo lì da sempre i nostri pezzi ed è come casa nostra, anzi è sempre aperto agli amici che passano a trovarci !La scelta della registrazione dell’album in analogico a cosa è dovuta?Quando abbiamo iniziato a registrare in quella sala prove, l’analogico era ancora molto valido, a differenza del digitale, anche se ancora oggi, per noi, non è migliore, perciò abbiamo comprato la bobina che costava anche meno ed era più fisica. Il calore del suono sull’analogico c’è sempre piaciuto, più del digitale, ed anche per questo che tutti i nostri dischi sono stati registrati sul nastro.In che misura questo nuovo lavoro si discosta dalle precedenti uscite discografiche? Quali sono i punti di continuità con il pas-sato e quali invece i tagli netti e definitivi, sia a livello composi-tivo che artistico-musicale? Sicuramente ogni nostro disco è un po’ diverso dagli altri, quin-di è un meccanismo che riparte ogni qual volta componiamo musica. Non programmiamo nulla quando scriviamo, il tutto viene in maniera istintiva e sicuramente, a differenza del disco precedente che era un po’ più cupo, questo è decisamente più chiaro e dunque diverso.Il nuovo disco vede un ruolo più centrale di alcuni elementi come il pianoforte, partiture elettriche e suoni campionati. Cosa vi ha spinto verso questa ennesima esplorazione creativa?La curiosità nel voler cercare nuove strade. Il pianoforte, per esempio, ci ha dato uno stimolo nuovissimo perché, anche se non avevamo la padronanza perfetta dello strumento, ogni mi-nima composizione creata ci attirava in maniera naturale spin-gendoci così verso questo percorso che in tre anni si è evoluto fino ad arrivare al nostro Wow.Nelle diverse recensioni sono molti gli aggettivi che usano per de-scrivere il vostro stile. C’è chi parla di indie, chi di rock (a cui connettono le più svariate parole), chi di grunge o punk... Vi ha dato fastidio essere associati ad altri gruppi ? come vi definireste ?Gli aggettivi che ci sono stati affibbiati non ci infastidiscono perché ognuno può pensare quello che preferisce. La cosa che più ci fa stranire è che per forza, qui in Italia, bisogna collegare ad ogni gruppo un altro estero e questa associazione per noi è un po’ denigrante. Anche perché, se si dovesse seguire il detto: “quello di cui ti nutri, sei”, noi saremmo influenzati da un infi-nità di musica, visto che abbiamo veramente degli ascolti mu-sicali disperati ed ascoltiamo un quantità di musica esagerata. Giustamente, all’inizio del nostro percorso eravamo molto più

derivativi, però, con il passare degli anni, abbiamo sempre cercato la nostra originalità, in altre parole suoniamo ciò che ci piacerebbe sentire! Per rispondere alla domanda sul tipo di genere in cui ci definiamo, rispondiamo semplicemente: Rock.Curiosando su internet abbiamo visto che su Wikipedia , nella pagina a voi dedicata, c’è un curioso paragrafo di “Citazioni e riferimenti” di cui i vostri brani sono ben arricchiti. Ma non si limitano solo alla musica. Tutte queste “chiavi nascoste” sono dei semplici giochi o vogliono comunicare altro?Si, alcuni sono dei giochi di parole abbastanza studiati che noi facciamo. Altri, invece, sono per ridere. Però non vogliamo dire di più altrimenti togliamo il gusto del divertimento per chi riesce ad intuirle e a capire i vari significati.Sia per aver pubblicato CD oltre confine, che per aver promosso dei tour europei, avrete sicuramente avuto occasione di entrare in contatto con la scena musicale internazionale. Quali sono le differenze più evidenti tra Italia e le diverse Germania, Svizzera, Austria o Francia?La Francia è molto bella, ci hanno trattato sempre divinamen-te, l’Inghilterra è molto simile all’ Italia, ovvero, sotto certi aspetti, è veramente un disastro. Anche in Germania i locali per i gruppi emergenti sono tutti bellissimi e attrezzatissimi, ma questo fattore è sicuramente dovuto al pubblico della Ger-

Sicuramente ogni noStro diSco è un po’ diverSo dagli altri. non programmiamo nulla quando Scriviamo, il tutto viene in maniera iStintiva e Sicuramente, a differenza del diSco precedente che era un po’ più cupo, queSto è deciSamente più chiaro.

io ascolto / verdena 5

mania che è molto recettivo e attento, sul genere rock. Co-munque ci riesce difficile comparare il concerto estero rispet-to a quello nel nostro paese perché comunque qua il pubblico ci conosce, dunque le aspettative sono diverse dai live che fac-ciamo fuori confine, dove nessuno sa cosa proponiamo. Fuori dall’Italia l’obiettivo è conquistare il nuovo pubblico, mentre qui cerchiamo di mantenere a priori le attese, che il nostro pubblico vuole, che non sono per niente basse. In ogni caso se suoniamo in Italia, o meno, i più pretenziosi siamo noi, per noi stessi visto che amiamo quello che facciamo e vogliamo promuoverlo sempre ad ottimi livelli.Il nostro giornale è indirizzato a tutte le persone che amano la musica e cerca di dare spazio agli artisti emergenti. Voi siete invece una band affermata... ma come i Verdena sono diven-tati Verdena? Quali sono stati gli inizi, quali le strade percorse e le difficoltà incontrate? Avete qualche consiglio per il nostro pubblico?È iniziato tutto nel ‘89, i Verdena erano formati da me (Alberto Ferrari) e mio fratello Luca più nostra cugina, dopo di che nel ‘94/‘95 abbiamo provato tantissimi bassisti fino a quando nel ‘96 abbiamo trovato Roberta e da li la storia è cambiata. Non abbiamo trovato ostacoli perché suonavamo senza limiti ovun-que, come facciamo tutt’ora. La rampa di lancio che, secondo noi, ci ha dato la spinta per poi crescere maggiormente, è stata l’occasione di partecipare ad uno dei tanti concorsi studente-schi, dove all’interno della giuria c’era chi è diventato il nostro manager, e ci ha aiutato a trovare il primo contatto discogra-fico. Lui era un giornalista e, quando ci ha visti e sentiti, è im-pazzito per noi. Così si è messo subito al lavoro e nel giro di un anno circa, eravamo riusciti a far uscire il nostro disco. Sicura-mente bisogna saper cogliere le occasioni che si presentano

ed avere un po’ di fortuna per riuscire ad emergere, ma quello che consigliamo noi ai gruppi è di non avere questa smania di voler arrivare, perché spesso vediamo che avere un contratto, un booking, fare il disco è per una band emergente il punto di arrivo, ma non è cosi !La voglia di suonare e la determinazione di salire su qualsiasi palco che viene messo a disposizione è il vero punto d’ arrivo, noi per esempio all’ estero non siamo conosciuti come in Italia perciò appena arriva una proposta ci fiondiamo senza pensarci, al costo di rimetterci dei soldi nostri, ma non perché vogliamo andare a conquistare il mon-do (se succede, ben venga!) ma perché noi abbiamo voglia di suonare e di metterci in gioco, questo è il nostro fine.Chiudiamo l’intervista basandoci sulle statistiche: il nuovo disco è stato accolto da pubblico e critica in maniera entusiasta e ac-cogliente, balzando subito al secondo posto della classifica degli album più venduti in Italia. Vi aspettavate una così calorosa accoglienza e unanime partecipazione?Si, qual cosa ci aspettavamo, perché comunque abbiamo un pubblico molto solido. Già gli ultimi 2 dischi, che hanno pre-ceduto questo, erano entrati nella top ten delle classifiche le prime due settimane d’ uscita, grazie appunto ai nostri fans più affezionati, però allo stesso tempo siamo rimasti piacevolmen-te stupiti, perché rimanere fermi per tre anni, con l’abbondan-za di musica che fuoriesce continuamente, non sai mai cosa può accadere. Noi, comunque, fino all’ultimazione dell’album non ci abbiamo pensato minimamente all’impatto che poteva esserci o non, poi nel mese di promozione, interviste, prepara-zione del tour abbiamo iniziato a pensarci perché i giornalisti ti mettono sempre in ansia, ma a quanto pare sta procedendo tutto abbastanza bene, sia per la presenza di pubblico nei live, che nella vendita dei dischi.

iodio / estate 2011io ascolto / verdena6

U n a d e l l e

migliori band in circolazione in questo momen-to, rappresentano al meglio l’HC e il Punk italiano, nati nel 2007 e dal curriculum vitae imponente (mem-bri ed ex della Piovra, Ban this,With Love e Ohuzaru) sulla scia de “L’a-mico di Martucci” e dopo un brillan-te tour che ha toccato gli Usa e Isra-ele, gli Smart Cops sono usciti per la Tempesta con l’album “Per Pro-teggere E Servire”. Rapido e pre-potente come una retata, il disco fa respirare atmosfere musicali ormai perdute (Dead Boys, Gaznevada). Undici canzoni tra Rock n’ Roll e Punk-HC che fanno muovere il culo e allo stesso tempo fanno riflettere con sarcasmo sulla realtà dell’uomo medio con la divisa. Efedrinici.Abbiamo incontrato Nicolò (cantan-te della band) e il chitarrista Edo.

La vostra band annovera nomi pa-recchio importanti della scena, come

è nata questa collaborazione?Edo: eravamo gli unici disposti a suonare con Baloo (Nicolò) dopo quella storiella della bambina nel bagagliaio…Nicolò: già, quella bambina, ancora non si reggeva in piedi...sono sem-pre io a dover fare i lavori sporchi. Battute a parte, frequentando lo stesso giro ci siamo trovati, ci siamo piaciuti e abbiamo condiviso insie-me questo progetto anti-polizia. Nel punk è piuttosto visto come uno ste-reotipo, però letto in chiave sarcasti-ca ha un altro effetto...Come mai la scelta di cantare in ita-liano?Edo: semplice autarchia, ci piace fare le cose con i nostri mezzi ed essere capiti dal glorioso popolo italiano.Nicolò: a me personalmente piace seguire la tradizione. L’hc italiano, soprattutto quello degli anni ‘80, è molto ricercato e stimato in giro per il mondo e bene o male tutti i gruppi hanno sempre usato i testi in italia-no... quindi perché non farlo anche noi? E poi quando sussurri qualcosa nell’orecchio di una ragazza ameri-cana, che lingua userai se non l’ita-

liano?Band a cui vi ispirate?Edo: Gaznevada, Wind Spen e Sec-tion 8, principalmente.Nicolò: Indigesti, Man is the Ba-stard, Infest, Stigmathe, e quasi tut-ta la “Reagan Era hardcore”.“Cominciare A Vivere”, il 7" uscito tempo fa, è un disco di punta della vo-stra etichetta americana (Sorry Sta-te), soddisfatti della riuscita?Edo: sì, però vorrei puntualizzare che la vita è una merda e se questo disco mi avesse fatto guadagnare un sacco di soldi o fatto scopare mille fighe sarei molto più contento, co-munque grazie Sorry State.Nicolò: felice oltre alle aspettative...tra l’altro il disco è stato sold out, quindi adesso ho messo le mie copie in vendita su e-bay.Come è nato l’incontro con la Sorry State?Edo: Siti per scambisti.Nicolò: Abbiamo spedito il master del disco a Daniel della Sorry State e gli è piaciuto, così ha deciso di but-tarlo fuori, e così è andata anche con “Cominciare A Vivere” che, oltre a Sorry State è piaciuto anche alla

Smart Cops Il braccio punk

della leggedi Michele Petrovich

7io ascolto /smart cops

iodio / estate 2011io ascolto / smart cops8

Adult-Crash (etichetta danese). Per questo abbiamo l’edizione sia euro-pea che americana.Stati Uniti. Il non plus ultra per una band del vostro genere, quali sono sta-te le reazioni del pubblico americano?Edo: molto carichi, c’è più considera-zione per chi suona e la gente compra i dischi se il concerto gli è piaciuto, cosa che in Italia non accade; l’unica nota negativa del tour è stata il nostro driver, una vera testa di cazzo e ap-profitto di questo spazio per ribadire che è un coglione e spero che muoia. Vaffanculo!Nicolò: il pubblico è eccezionale, puoi suonare davanti a 20 o 500 persone che comunque lo show è grandioso...gente che vola, che canta i pezzi.Avete partecipato all’anti MTV Day, come mai? Cosa ne pensate di MTV?Edo: uhm... penso che, a parte tutte le ovvie considerazioni sulla minac-cia culturale che rappresenta, sia di una noia mortale e per questo non la seguo più nemmeno casualmente da diversi anni.Nicolò: io vorrei diventare il miglior amico di Paris Hilton, oppure farmi una storia con Tila Tequila sopra un letto a forma di cuore, il tutto in una magnifica villa. A parte questo MTV non merita alcun commento. É spazzatura per ragazzini di 15 anni (o per trentenni che ne dimostrano 15), quindi è ovvio che vada sempre... c’è un ricambio generazionale, cosa che manca nel punk. E non è sempre un male...Secondo il vostro parere qualche nome della scena che vale in questo momento?Edo: in Italia non mi viene in mente nulla al momento a parte gli ED... in Svezia, Danimarca e America le cose vanno un po’ meglio anche se c’è un calo rispetto a 2 o 3 anni fa; fra i gruppi migliori al momento ci sono sicuramente i Social Cirkle, che han-no appena fatto uscire il nuovo lp, e gli Hjertestop di Copenhagen.Nicolò: a me piacevano molto gli Out With a Bang, ma ormai non esi-stono più. Direi ED anch’io. Egala!!!! Come è nato il sodalizio con la Tempe-sta, per la quale è uscito il vostro ulti-mo album “Per Proteggere e Servire”?Nicolò: conosciamo Davide ed En-

rico (Tre Allegri Ragazzi Morti) da molti anni, hanno sentito i nostri la-vori precedenti e ci hanno proposto di entrare a far parte della Tempesta Dischi. É una buona opportunità per fare conoscere la nostra musica in giro per la penisola. Sono felice di questo sodalizio con questa etichet-ta così giovane e intraprendente.Il riscontro della critica è stato molto positivo. Vi aspettavate questo risul-tato? Che valore date ai giudizi della stampa di genere?Nicolò: ci fanno piacere le critiche più che positive ricevute fino adesso

dalle maggiori testate italiane (Rol-ling Stone, Rumore, Blow-Up). A parte questo leggiamo solo riviste pornografiche.Nicolò, adesso che sei famoso hai au-mentato il numero di rapporti promi-scui?Nicolò: sì, sono aumentati palese-mente, alla fine penso che la droga e le troie siano come sempre lo Ze-nit del nostro pensiero. Comunque amo anche te.

E io, Nicolò, amo te.

ci fanno piacere le critiche più che positive ricevute fino adesso dalle maggiori testate italiane. a parte questo leggiamo solo riviste pornografiche.

ci fanno piacere le critiche più che positive ricevute fino adesso dalle maggiori testate italiane. a parte questo leggiamo solo riviste pornografiche.

Qualsiasi cosa possiate leggere in questa intervista – tra le righe o nelle righe – è comunque vera. Anche se il sarcasmo e la comicità quando sono così sponta-nei fai fatica a trascriverli. Sul palco sono delle bestie, ma se parli con loro sembrano una riduzione di una squadra di basket, ragazzoni giganti (tutti studiati) che alla domanda “cosa fai nella vita” ti rispondono candi-damente: “mi piacciono i film porno”. Fioi che ridono per natura, che fanno anche ridere di natura. Hanno una missione: diffondere il verbo (anca se xè in diaetto se capisse lo stesso), e raggiungere i tosi de campagna di tutto il mondo.Se c’è a mona, meglio.

Perché Rumatera?Rispondo in italiano? È un pesce che ruma… Che muo-ve la terra… Un nome un po’ esotico. Come il nostro rock’n’roll – punk rock, Rumatera è un pesce talmente inutile che gnanca la carne si può mangiare.

Perché cantare in dialetto? Questa scelta vi limita?Non è stata una vera e propria scelta, ci siamo diver-titi… Ci sentiamo a nostro agio, è una scelta natura-lissima, la lingua che parliamo tra di noi, tutti i giorni. Poi sappiamo anche parlare in italiano eh... É solo un limite mentale, abbiamo suonato spesso in zone in cui la gente non capiva il nostro dialetto, ma la cosa non è stata affatto limitante. Anzi siamo piaciuti, abbiamo ottenuto dei passaggi radio, il Trio Medusa ci ha voluti.

Eh appunto…Trio Medusa? Com’è andata?Eh, il Trio Medusa spacca! Passavano delle robe no-stre per radio, poi ci han sentiti su internet, han visto dei nostri video … Sono informatissimi loro, cercano

sempre qualcosina su internet, ‘nsomma gà trova i Rumatera col video del motore, il video in barca… E così gli siamo sembrati sufficientemente stupidi che si sono appassionati. Abbiamo sentito che ci nominava in trasmissione e ci siamo proposti.

Eh… quindi l’avete data una spinta…Eh insomma… una spinta… noi spingiamo un po’ sem-pre insomma, se c’è l’occasione noi spingiamo….

Oltre ad essere ospiti in trasmissioni voi la conducete anche una trasmissione.Eh sì! Noi abbiamo una nostra trasmissione tivù che si chiama “tosi de campagna” che passa su Telecittà, fa-mosa per il liscio al canale 609 del digitale terrestre, la sarìa un emittente regionale però ogni tanto la xé in busa e non è che la vedi sempre, però siamo anche su Sky, ca-nale CarpeDiem e praticamente la passano dopo la pub-blicità dea machinetta che t’attacchi e te dise il rosario… Così gavemo ancora de più quest’aura familiare. Cioè, non è che siamo ‘na roba blasfema anzi! Semo vicini alla santità, escludendo il voto di castità. La trasmissione nasce dall’idea di valorizzare un po’ la scena musicale veneta e quest’anno abbiamo portato il format anche dentro ai locali. Diamo spazio ai gruppi che dimostrino lo stretto necessario in termini di impegno: già se hai fatto un video vuol dire che un po’ ti sei impegnato. Ha funzionato eh, abbiamo avuto un ottimo riscontro.

“Tosi de campagna” però non è solo la trasmissione, è anche una filosofia di vita per voi e per i vostri seguaci.Sì, è uno stile di vita, una cosa naturale. I Tosi de cam-pagna sono persone semplici che sanno da dove vengo-no, magari sanno anche dove vogliono andare perché

r u m a t e r abe n v e n u t i n e l l a g r a n d e v i n t e r v i s t a a i

di Simona, Stefano, Giugi - foto Elisa Moro

video dell’intervista

realizzato da Giugi su

www.iodiomagazine.it

di solito sognano, magari si sono trovati limitati in cer-

te cose, non hanno trovato la situazione favorevole. E i sogna talmente tanto che a volte i xé sveglia coi nissioi duri! Perché fanno sogni talmente realistici, è gente ge-nuina, spontanea. Magari anche i tosi de città non sono male però sono quelli che hanno un po’ di toso de cam-

pagna dentro… e un po’ tutti hanno un toso da campa-gna dentro. Basta superare un po’ di condizionamenti.

Ci chiediamo tutti invece, cos’è sta grande V, cosa c’è die-

tro?La grande V è il Veneto…abbiamo voluto fare un omag-gio alla nostra regione…

Noi che pensavamo male…Eh no, il segno è diverso… quella è la grande A che sta per a mona. Comunque la Grande V non è una cosa troppo patriottistica eh… Noi amiamo la nostra regione ma amiamo anche scoprire le altre regioni, conoscere gli altri tosi de campagna ma ci dobbiamo sempre ricor-dare da dove veniamo e approfittiamo di questa canzo-ne anche per raccontare la nostra versione del Veneto che non è quello di cui si parla fuori. Tutti che lavorano e che il lavoro rende liberi. Noi altri semo i terroni del nord, gavemo un modo di fare diverso.

Parliamo anche delle collaborazioni: vi abbiamo visti con Drudi. Eh ciò…Drudi ga più voia de mona de tutti noi altri messi insieme! Siamo andati a trovarlo anche qualche giorno fa a Rimini, con ‘sto clima de festa, quest’aria romagnola e adesso abbiamo in programma di far fare un video a Gianni, proprio per la canzone Mi piace la foca; verrà anche a suonare al festival che si tiene dalle parti nostre a Cazzago il 3 settembre.

Altre collaborazioni possibili o auspicabili?Avevamo delle cose in programma già per questo E.P. che non sono andate in porto ci sono sempre cose che bollono in pentola, c’è un continuo movimento (a livello pelvico), bolle bolle… Il nostro sogno è fare una canzone con Lea di Leo.

Rumatera morti de figa, possibile con tutti quei concerti

in giro?Beh, ma non è una fame saziabile.

Tornando alle cose serie: abbiamo visto il vostro sito ed è pos-sibile visitarlo in dialetto veneto, in italiano e anche in ingle-se… l’inglese è una speranza o avete contatti anche esteri?Abbiamo fatto un disco anche in versione inglese, abbia-mo collaborato con un’agenzia di stampa per distribuirlo in America. Ha girato in un po’ di college e in classifi-ca s’è anche piazzato bene. Ovviamente però non è che quando venem suonare qua femo e canzoni in inglese per-ché se sentiressimo un fià deficenti però è un modo per portare il messaggio dei tosi de campagna anche all’e-stero, l’America xe pién de tosi de campagna. Che poi la gente dise anche “eh…te si toso de campagna e poi te fa il disco in inglese…” ma il problema è questo: se tu sei in spiaggia e conosci una ragazza straniera tu no ghe po’ dirghe “bella fìa ‘ndemo in camporea” perché quea no te capisse! Ti ga da parlarghe n’attimo nea so lingua per farse capire…

[all’improvviso s’emozionano tutti, non riescono a par-lare d’altro nè a guardare altrove, è arrivata finalmente la tanto attesa, soprattutto dai maschietti della nostra crew…Lady Poison!] Oh Lady! Qual è il tuo ruolo in questa band di fioi?lady poison Io sono sempre sul palco e do da bere diret-tamente in bocca alla gente fra il pubblico. Dentro gli spruzzini – che poi la gente se imagina chissà cosa, no gavemo mica i schei par darve a droga gratis – c’è rum e succo di pera, entrambi tra l’altro di pessima qualità! Perché è la nostra gente che beve sta roba corrosiva… Però dai, son tutti ancora vivi.gli altri Ma Lady Poison è importante anche prima e dopo il concerto, perché ci rilassa, ci tiene tranquilli… è una voce sempre presente che tiene alto (il morale).

Consigliate ai nostri lettori delle band locali che ritenete valide da seguire e da ascoltare.Le band che compongono la Grande V che spero diven-terà un movimento più avanti, che possa prendere piede e sono: i Chuma Chums con cui abbiamo collaborato, le Cattive Abitudini, sicuramente da seguire ed altre band dell’underground… I Ca’ Raggae, i Talco (mestrini, ma più famosi all’estero che in Italia), BotteMan che è un fantastico rapper nostrano, ci sono anche i Teodasia che si stanno muoven-do molto bene e molte altre band che si stanno muovendo nell’ottica di fare le cose seriamente.

Partendo dal presupposto che sotto l’etichetta power-pop si possono catalogare un’infinità di gruppi, anche molto diversi tra loro per riferimenti ed attitudine, in questo articolo si darà spazio a quello che trae la sua principale ispirazione dalla sce-na americana post 1976, lasciando quindi da parte il filone che dal punk inglese, attraverso il revival mod è giunto fino ai giorni nostri declinato in varie forme.I Treehouse Society da Mantova sono da considerarsi gli astri nascenti del panorama nazionale: sorti dalle ceneri de-gli High-School Lockers, hanno diretto il loro suono verso orizzonti più raffinati, incentrati sull’uso di armonie vocali e guitar-pop di alto livello. Al momento non hanno ancora pub-blicato un disco e l’attività live è abbastanza sporadica, ma sul loro myspace sono ascoltabili due brani. L’ultima volta che li ho visti live hanno aperto il concerto con un pezzo degli Eagles (per dire la faccia da culo), passando anche per cover ricercate (come Call Yourself A Man degli Heats di Seattle), anche se la vera hit è la loro Molly, che il pubblico ha richiesto a gran voce come bis. Più in generale il loro stile si identifica come un tanto curioso, quanto riuscito mescolamento di Rubinoos, Boston e sigle di telefilm anni Settanta, dove riff machi sono stemperati dal controllo asso-luto del suono e da coretti limati alla perfezione. Il gruppo perfetto per chi ama le atmosfere dei teen movie americani dei tempi che furono, non rassegandosi a vivere negli anni duemila. Tra parentesi per noi gli anni Ottanta sono come i Cinquanta visti dagli Ottanta stessi...come dire sono gli anni Cinquanta alla seconda: consumismo, benessere, drive-in, pomiciate adolescenziali, Breakfast Club e Goonies.Decisamente già affermati sono invece Miss Chain & The Broken Heels, partiti come progetto solista della cantante e

di Davide Tramontin

S H A K E S O M E A C T I O N ! il m e g l i o d e l p o w e r - p o p i t a l i a n o

made in italy

musica / almost famousa iodio / estate 2011

chitarrista Astrid Dante cui si è presto costruita attorno una band (Silva Disaster e i fratelli Bruno e Franz Barcel-la), hanno riscosso un’ immediato successo già col primo singolo, Common Shell (SonicJett Records, 2008), segui-to da Boys&Girls (DreamOn Records, 2008) sold-out in soli due mesi. Un discorso a parte merita il terzo singolo Lie (ShakeYourAss Records 2008), a mio parere vero fiore all’occhiello della produzione del gruppo, dove si esplora quella zona del sentimento che sta tra la tristezza e la felicità, o meglio tra il dolce e l’amaro.Nell’album On A Bittersweet Ride fatto uscire in Europa dalla tedesca Screaming Apple (etichetta guida nel setto-re powerpop e garage) e negli Stati Uniti su cassetta dalla mitica Burger Records, il grintoso carattere power-pop con voce al femminile che puo’ ricordare gruppi america-ni come gli Shivvers, non si ferma ad una sterile ricerca filologica di suoni e temi, ma si lascia contaminare con generi distanti tra loro come bubblegum music e count-ry alla Gram Parsons. Singolone del disco la saltellante Flamingo (di cui esiste anche un video), ma sono conte-nute diverse perle: Beginning Of The End, Up All Night, e l’anfetaminica Roller Coaster.Non molto conosciuti in patria i quattro (provenienti da Veneto e Lombardia) hanno già completato due tour ne-gli Stati Uniti e svariati in Europa, ma come si sa dalle no-stre parti non è facile affermarsi con della buona musica.Continuiamo la carrellata i piacentini Temponauts con all’attivo uno dei più bei dischi usciti per TeenSound ne-gli ultimi anni: A Million Year Picnic. Catalogare questo ibrido come power-pop è tanto comodo quanto riduttivo. Se il gruppo parte dai Sixties lo fa decisamente con lo sguardo rivolto al presente o meglio al futuro, non ac-contentandosi di riproporre semplicemente musica già scritta da altri. Il jingle-jangle e le armonie vocali byrdsia-

ne, sono funzionali ad un’indolenza seconda forse solo a quella del primo disco degli Stone Roses. E se alcuni pez-zi rimandano decisamente alla west coast americana di metà anni Sessanta (il risuonare del folk-rock dei Turtles in Captain Frustation), in altri momenti non viene disde-gnato un netto approccio garage (Operation: Coroner). La componente più power-pop è riscontrabile in eco dei ThreeO’Clock declinati con un certo gusto pasely in un brano come Toxic & Lazy. Nella loro attività live i Tempo-nauts possono vantare un concerto al Cavern di Liverpo-ol. Attualmente stanno ultimando la lavorazione del nuo-vo album, documentata con video su Youtube, dai quali emerge, oltre ad un grande talento musicale, il profilo di una band che non disdegna un po’ di sana autoironia, a quanto pare merce alquanto rara di questi tempi. A chiudere la carrellata i Love Boat dalla Sardegna, da sempre terra fertile per la scena underground italiana. Con la prima uscita nel 2007, un singolo dal titolo Love Boat Song, salta subito all’orecchio una forte componen-te country-folk danzereccia e festailola che accompagna un po’ tutta la folta produzione della band. I due album su AlienSnatch (Imaginary Beatings Of Love e Love is Gone) ci offrono la parabola di un gruppo se non in asce-sa, quantomeno desideroso di evolversi senza perdere la propria personalità partendo da un approccio versione Black Lips non sguaiati, per arrivare ora ad una sorta di college-rock non troppo patinato, ma sempre ricco di ri-tornelli che si imprimono nella memoria dopo l’ascolto di mezza canzone e chitarre di alto livello tecnico suonate con gusto. Quasi tutti i pezzi sono delle piccole gemme, ma, dato che lo spazio è tiranno ne consiglio uno, quello che mi ha fatto impazzire risentendo l’ultimo album: Mo-dern Ties. A voi il giudizio.

made in

italy

da sinistra: Treehouse Society,

Love Boat,

Miss Chain & The Broken Heels,

Highschool Lockers,

Temponauts.

iodio / estate 2011 13io vedo / elisa moro

Lunedì 21 Marzo 2011 – Bar della Biblioteca (PN) – ore 14:30Riuscire a rendere esteticamente bello un istante è sinonimo di fo-tografia, come anche il realizzare rettangoli di realtà che, chi osserva, non si stanca di guardare. Tra i tan-ti volti cittadini che si nascondono dietro all’obiettivo si distingue quel-lo di Elisa Moro, per bravura ed età: 21 anni compiuti da poco. Chi segue

la scena musicale pordenonese, l’a-vrà sicuramente intravista sottopal-co con la sua reflex puntata all’insù, ma Elisa è anche ritratto, fotogior-nalismo, divertimento, pazzia. Tutto per pura passione fotografica.

Hai solo 21 anni e già sei una foto-grafa riconosciuta e affermata. Metà giornata in uno studio fotografico e l’altra metà con l’agenzia Press Photo

Lancia. Riesci quindi a guadagnarti da vivere mettendo in pratica la tua più grande passione?Non è un settore super pagato quello della fotografia, poi dipende dai vari ambiti, dal nome che hai, da quello che fai. Io riesco ad arrivare tranquil-lamente a fine mese, ma vivo anco-ra con i miei genitori e questo è un grande aiuto. Magari tocca fare più lavori contemporaneamente...

e l i s a m o r ot r a n q u i l l a m e n t e c a o s i n t e r v i s t a a

di Iana

da sinistra: Treehouse Society,

Love Boat,

Miss Chain & The Broken Heels,

Highschool Lockers,

Temponauts.

iodio / estate 201114 io vedo / elisa moro

Ci racconti un po’ come sei diven-tata la fotografa che sei adesso? Ci sono state persone fondamentali nel tuo percorso di crescita?Ho frequentato l’Istituto d’Arte a Cordenons (E. Galvani), ma lì ho solo potuto capire se poteva piacermi o meno la fotografia, non mi hanno insegnato di certo a lavorare. Durante l’estate della 3° superiore ho fatto uno stage in uno studio fotografico di Fiume Veneto, dove lavoro tuttora. Tra le persone fondamentali che mi han-no introdotto a quello che è il vero mondo della fotografia c’è il mio capo, colui che mi ha insegnato il 90% delle cose che so: dall’impo-stare un set, alle luci, ai soggetti… E con il tempo ho imparato a ge-stirmi nelle diverse applicazioni: matrimoni, servizi in studio, re-portage in esterni. Grazie a tutto ciò ho iniziato a sperimentare e a mettere in pratica le varie tecni-che, a divertirmi insomma. Se fai una cosa che ti piace, tutto risulta più semplice e divertente.Analogico o digitale? Quante e quali macchine fotografiche hai?La mia prima macchina fotogra-fica è stata una reflex a pellicola di mio nonno. Ho iniziato quindi con l’analogico e il bianco e nero, e questa è una cosa che mi è sem-pre rimasta dentro. Lui mi ha sem-plicemente lasciato la macchina in mano. Poi ho avuto la fortuna che a scuola, se si finiva il lavoro velo-cemente, si potevano portare dei rullini a sviluppare... così ho avuto modo di avvicinarmi anche allo sviluppo. Purtroppo ora le esigen-ze lavorative richiedono il digitale, anche perché i tempi e i costi sono totalmente differenti rispetto alla pellicola. Se dovessi scegliere... la pellicola rimarrà sempre in un pic-colo angolo nascosto dentro me, ma per lavorare scelgo indubbia-mente il digitale. Nel lavoro gua-dagna chi arriva prima e sta al pas-so con i tempi. Possiedo tre reflex digitali, due professionali e una compatta, e 2 reflex a pellicola. Il digitale ha reso tutti fotografi, ma in ogni caso non è la macchina fo-tografica a fare di te un fotografo.Dando un’occhiata al tuo Flickr,

la mia prima macchina fotografica è Stata una reflex a pellicola di mio nonno. ho iniziato quindi con l’analogico e il bianco e nero, e queSta è una coSa che mi è Sempre rimaSta dentro.

iodio / estate 2011 15io vedo / elisa moro

mi ha davvero incuriosito la se-zione “Self Portrait”. C’è davvero di tutto! Ma quale, fra quelle già realizzate, sceglieresti come foto au-torappresentativa?Tra quelle caricate ce n’è una che ho chiamato “Tranquillamente caos”: una doppia esposizione. La mia fotografia e quello che faccio... sono caos. Il fatto che poi risulti tutto ben fatto o ordinato è strano, in quanto per me non lo è. È questa la foto che più mi rappre-senta, che penso mi appartenga di più... Un caos, tranquillo per gli altri, non per me.Non è la prima volta che il tuo nome appare su Iodio. Il numero zero infatti sventola su diverse pa-gine alcuni tuoi scatti a Capovilla e Slang For Drunk, e in questo numero sono tue le foto di Verde-na e Rumatera. Filo conduttore: la musica, meglio se dal vivo. So infatti che uno dei rami in cui ti sei specializzata è quello dei concerti e degli eventi. Com’è nata questa passione? Che ruolo riveste la mu-sica nella tua vita?Ho iniziato con i concerti per caso, quattro o cinque anni fa, con il Blues Festival a Pordenone. Era la prima volta che portavo la macchina fotografica ad un con-certo ed ho iniziato a fare qualche foto... Da lì ho visto che la cosa mi

iodio / estate 201116 io vedo / elisa moro

se dovessi scegliere... la pellicola rimarrà sempre in un piccolo angolo nascosto dentro me, ma per lavorare scelgo indubbiamente il digitale. in ogni caso, non è la macchina fotogra-fica a fare di te un fotografo.

divertiva e iniziava a piacermi. Uno dei primi concerti è stato quello degli Slang for Drunk, poi altre band di Por-denone. Il mio primo vero concerto è stato al Deposito Giordani, grazie ad un amico che mi ha fatta arrivare fino a sottopalco, con i Linea77. Ho iniziato a fare spesso fotografie e a farmi conoscere al Deposito. Di musica ne ascolto tutti i giorni: molto blues e jazz, a volte un po’ di rock. Lavorare per il Blues Festival è per me l’ideale!Una delle ultime attività ti vede coinvolta con il foto gior-nalismo (reportage): lavori con l’agenzia Press Photo Lancia per Il Gazzettino. E’ difficile come settore? Ti por-ta a spostarti spesso in tutta le regione?Io copro la zona di Pordenone con i servizi. Non sem-pre però il foto giornalismo è quello del fotografo che va agli eventi mondiali o alla caccia dello scoop, magari ti capita di andare a fotografare una semplice conferen-za, una partita di calcio, tutto comunque sotto incarico. Corri sempre da una parte all’altra, è un lavoro in cui non esiste vacanza.Ultima domanda... prospettive per il futuro?Tutto ciò che riguarda la fotografia è bello per me. Il sogno nel cassetto non è tanto quello di avere uno stu-dio fotografico mio, ma un lavoro in cui potermi dedica-re esclusivamente al ritratto o lavorare per una grande agenzia e fare reportage.

A fine intervista, la mia richiesta di scattare una foto assieme l’ha colta impreparata, ancor più quando le ho chiesto di scegliere come scattare questa foto e darle un senso. Ma alla fine ecco l’idea: una accanto all’altra, lei con la mano davanti agli occhi, io con la mano davanti alla bocca. Una copia incompleta di “non vedo, non sen-to, non parlo” privando alle rispettive professioni la cosa fondamentale: alla fotografa la vista, all’intervistatrice la parola. Io la interpreterei così: senza questa intervista non avrei potuto dare voce al suo sguardo.

iodio / estate 2011 17io vedo / zellaby

Lunedì 11 Aprile 2011 – Associazione Amici di Bambi (Porcia) - ore 19:00. Indovinello: tutti odiano farle, ma ciascuno di noi ne ha alme-no una nel portafoglio. Cosa sono? Le fototessere! E per un’artista che si definisce POP la scelta di un elemento come la fototessera non è di certo casuale, anzi, direi del tutto azzeccata. Cosa c’è di più PO-Polare della fototessera? La storia di questi volti in miniatura risale alle origini della fotografia, ma l’idea di farne un’arte è una cosa che hanno pensato in pochi. E tra questa élite di creativi si distingue il gusto di Zellaby, artista tutto pordenonese, che se la spassa a modi-ficare i visetti di amici e non, al ritmo di jazz e rock’n’roll. In che modo? Ingrandendoli, modificandoli, ricolorandoli e sovrastampan-do su essi dalle grafiche pubblicitarie, a semplici forme, alle vignet-te dei fumetti. Spesso anche in tempo reale dopo averle scattate di persona. Se poi l’icona ricorrente della sua arte è la maschera, viene da pensare che in questo modo lui cerchi di creare una maschera per ognuno di questi visetti. Ecco quindi come un oggetto per noi antipatico diventa a tratti ridicolo e autoironico. Se poi con esse si creano delle vere e proprie pareti di volti, in cui la gente gioca a ri-conoscersi, si mette in moto anche la questione del coinvolgimento.

Partiamo dagli esordi. Come hai iniziato a fare arte? Cosa ti ha spinto e quali studi ti hanno portato a intraprendere questo percorso artistico?Il mio esordio è stato alle scuole medie: ho fatto alcuni manifesti in stile fumetto, con disegno. Successivamente al liceo scientifico ho realizzato alcune fanzine e una di queste capitò nelle mani di un il-lustratore-grafico pordenonese, Ugo Furlan, che mi disse: “Ragazzo, tu hai sbagliato scuola! Dovresti frequentare l’istituto d’arte perché lì riusciresti a sviluppare la tua dote”. Così riuscii a convincere i miei genitori ad iscrivermi all’istituto d’arte che, a quel tempo, non era ancora a Pordenone. Lì ho seguito un percorso artistico specifico in grafica pubblicitaria e fotografia e da allora ho continuato con le fan-zine, poi con le copertine dei dischi, i manifesti dei concerti e molte cose legate alla grafica che negli anni ho più o meno sviluppato. Il discorso dei quadri e delle mostre, invece, è relativamente recente.Sappiamo che sei stato curatore della “Maratonina del Collage” negli anni passati... Di chi è l’idea di questa iniziativa?L’idea è partita contemporaneamente da me e da Enrico Sist, amico con cui condivido molte passioni, sia in ambito musicale che artisti-co: dalla letteratura, al fumetto, al cinema. Parlando di organizzare eventi presso Vastagamma, associazione di cui faccio parte ormai

iodio / aprile2011

intervista a zellaby (giuseppe collovati )

s i a m o t u t t i i c o n e P O P

di Simona Pancaro e Iana

iodio / matteocorazza

da molti anni, è saltata fuori quest’i-dea del collage in forma di maratona, gratuita e aperta a tutti! Ognuno po-teva realizzare un lavoro personale o si poteva creare un’opera collettiva o a gruppi. Una specie di esperimento. La cosa interessante era data dal fatto che fosse aperta al pubblico, chiunque poteva vedere come procedeva e af-fiancare gli artisti con l’utilizzo degli strumenti in dotazione.Ci parli della tua abitudine di utiliz-zare la fototessera associandola alla grafica e al disegno?Le fototessere le ho sempre usate. Mi ricordo del marzo 1985, non avevo ancora 15 anni e frequentavo la sa-lagiochi, quando un amico mi mo-strò una fanzine con informazioni su gruppi musicali, fumetti... tornando a casa ho pensato di realizzarne una con ritagli, pennarelli, colla, macchina da scrivere! Già in quel mio “primo nu-mero” avevo incollato fototessere con le nostre facce come elemento decora-tivo e da li l’ho sempre usato. Ci sono stati anche dei precessori in zona... Ad esempio nella copertina interna del primo LP dei Madness c’erano migliaia di fototessere. Poi anche in quello del Great Complotto, che nella copertina aveva tutta una serie di foto-tessere. Io ho iniziato da allora anche a collezionarle. Ricordo che andava-

mo il sabato pomeriggio in stazione a farci le foto: quattro pose diverse, an-che con travestimenti, e poi le mettevo su queste fanzine.Hai parlato degli artisti del Great Complotto (GC)... Abbiamo visto che hai lavorato anche sulle loro imma-gini...Ho avuto l’occasione nel 2005 di re-alizzare la grafica di una réunion del GC al Deposito Giordani. Ho realiz-zato delle cartoline e i manifesti dell’i-niziativa. Per fare questa grafica mi sono immerso per un mesetto nell’o-pera di Pier Mario Ciani, che è stato un personaggio veramente significati-vo per quanto riguarda la grafica un-derground e l’arte postale, e sfogliavo le fanzine da lui realizzate ascoltando il disco del GC e cercando di imme-desimarmi in quel periodo che, mar-ginalmente, avevo vissuto anche io. Poi, quando è stato presentato il CD, che raccoglie brani dei vecchi vinili, ho realizzato il manifesto per il lancio del CD.Per creare il manifesto e le grafiche del GC ti sei calato musicalmente nell’atmosfera di quegli anni. Tu sei anche dj... ma non commerciale, hai un gusto ed una scelta ben definita...Si, infatti ho due repertori: il primo, più movimentato, che va dagli anni ‘20 agli anni ‘50 e racchiude generi

iodio / aprile 2011

Stimo moltiSSimo rodriguez perchè è Stato in grado di

riadattare magnificamente il b-movie oppure potrei citare

lucio fulci per quanto riguarda l’horror degli anni ‘80. hitchock, invece, rimane Sempre il maeStro

aSSoluto della SuSpenSe.

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Contatti:

Flickr (http://www.flickr.com/photos/toymaster/)

Facebook (http://www.facebook.com/zellaby)

iodio / estate 2011 19io vedo / zellaby

come il dixieland, la musica delle orchestre da ballo degli anni ‘20, il jazz più conosciu-to, il rithm’n’blues, le orchestre di musica swing, fino agli albori del rock’n’roll degli anni ‘40 e ‘50. Il secondo, dedicato agli anni ‘60 e ‘70, con musica tratta da colonne sonore dei film: Morricone, Umiliani, Pre-gadio, … fino ai film poliziotteschi con le “musichette da inseguimento”. Un reperto-rio prevalentemente italiano. Per questo al posto della tua descrizione su Flickr c’è il testo della canzone “I’m old fashioned”? Infatti hai un’atmosfera che ti circonda creata dal tuo stile, delle tue im-magini, dal tuo abbigliamento...Si, decisamente. La canzone fu portata al successo da Fred Astaire e mi piace tenerla come una sorta di “bandiera”... Mia madre, alle elementari, mi ha detto: <<Tu sei nato vecchio.>> Non saprei darti una spiegazio-ne, ma allora mi sentivo proprio un pesce fuor d’acqua. Mio papà la mattina ascoltava Elvis Presley e per me la musica era quella.Nella tua opera ricorre sempre l’immagine della maschera. Cosa significa?È un altro punto di domanda a cui non sa-prei bene cosa rispondere. Ricordo però che durante il trasloco ho trovato la prima ma-scherina che mi regalò mia nonna quando ero alle elementari e che mettevo spesso. Poi, la passione per Zorro, da bambino, mi portava a riprodurre la famosa Z con i gessi sulla lavagna o sui vetri appannati... e questa Z è diventata quella di Zellaby. Di rimbalzo, la passione per la maschera e la Z, negli anni, l’ho vista in molte altre cose. Per esempio, quando è uscito il film Il favoloso mondo di Amelie, ho pensato: caspita que-sto film mi ha letto nel pensiero! In esso per altro c’erano anche i temi delle fototessere e dei nani da giardino, oltre a quello della maschera. L’idea della Hall of Fame, partita l’anno scorso, come è nata?Alcuni anni fa, per una mostra a Buttrio, un’anteprima Friuli Venezia Giulia sulle arti visive in cui ciascun curatore portava tre artisti, il mio curatore, Guido Comis,

mi propose di realizzare un collage veloce di immagini per una parete, poi eventual-mente da intercambiare con altri quadri. Ho esposto in quell’occasione tre disegni che riproducono fototessere, ma come sfondo ho realizzato un mega-collage con le foto-tessere della mia collezione, ingrandendole e attaccandoci sopra pezzi di scotch e cose colorate è venuta una cosa carina. Tra l’altro è stata notata da un autore, Raynal Pellicer che stava realizzando un libro (Photobooth - The art of the automatic portrait) sulle foto-tessere, sulla loro storia e sugli artisti che le hanno usate. A partire dal piccolo successo di quel mio lavoro ho pensato di farne uno nuovo, ma in maniera diversa. In occasione di Un’estate fa, manifestazione organizzata dall’associazione Amici di Bambi a Vil-la Correr di Porcia, ho pensato di fare un esperimento invitando un sacco di amici e conoscenti a cui avrei scattato una foto di-gitale in stile fototessera che in tempo reale acquisivo a computer, rielaboravo, sovra-stampavo, correggevo e stampavo. L’unica cosa è che sono arrivate più di 120 persone e in un pomeriggio non sarei mai riuscito a finire tutto! Quindi lì è stato fatto solo il primo pannello utilizzando anche foto che avevo già. Il resto del lavoro l’ho finito pia-no piano: raccoglie diversi pannelli per un totale di 96 fototessere. La tua ispirazione POP c’è fin dalla nasci-ta, ma come descriveresti la tua arte?Sicuramente POP è la parola giusta. Io non saprei fare un affresco e non dipingo ad olio. A me piace estrarre le immagini dagli oggetti che mi circondano... come possono essere una scatola di detersivo, una pubbli-cità, un cartone animato, ovvero tutte cose essenzialmente semplici o naturali, nulla di aulico; ma deve essere un qualcosa di ri-cercato (immagini meno recenti, le vecchie pubblicità degli anni ‘30, il fumetto,...), non scarti qualsiasi.Concludiamo questa ricca intervista chie-dendoti un tuo pensiero sull’arte.Dal mio punto di vista ci sono diversi modi per definire un’opera: mi piace, non mi pia-ce... Per me la migliore è quando il soggetto che sta visionando la raffigurazione, pensa: “Io questa composizione me la metterei in casa”. Sicuramente, in quel caso, l’artista ha suscitato un qualcosa. Dunque la mia sod-disfazione più grande è sapere che quando una persona si sofferma sulle mie opere, che possono piacere o no, esse riescano a stimo-lare all’interno di ognuno un pensiero, o co-munque, riescano a provocare una reazione, meglio se positiva!E la crew di Iodio non poteva farne a meno autocelebrandosi con una supercopertina firmata Zellaby. Deliziosamente pop!

iodio / estate 2011iovedo / testa e battiston20

Mettiamo subito in chiaro una cosa: potrebbero sembrare l’enne-simo stereotipo della “strana coppia”, dei due che opposti che si completano a vicenda, ma sarebbe assolutamente fuorviante. Giuseppe Battiston e Gianmaria Testa sono due spiriti affini: tra di loro appaiono in armonia, per la visione delle cose e della vita, per l’umorismo, ma anche per la delicata malinconia che trasmettono con la loro arte. L’udinese Giuseppe Battiston ed il cuneese Gianmaria Testa, ri-spettivamente attore e cantautore, sono di certo due grandi artisti del nostro tempo. Erano a Pordenone per l’ultima replica del loro spettacolo “18.000 giorni – Il pitone”, dall’autore torinese An-drea Bajani e messo in scena da Alfonso Santagata. Il protagonista, Battiston, a 50 anni perde il suo lavoro, che gli viene soffiato da un collega più giovane. Il pitone è significativa metafora: il grosso serpente non aggredisce prima di aver preso le misure della vitti-ma. Testa accompagna con musica e parole la messa in scena. I temi principali della pièce teatrale sono lavoro ed identità: perso il primo anche la seconda traballa pericolosamente. Prima di rien-trare a teatro per prepararsi allo spettacolo, Gianmaria e Giuseppe ci hanno concesso una breve intervista, che è il gergo con cui in questo caso definiamo una chiacchierata amichevole tra un sorso di vino e svariate sigarette. Informali per inclinazione. Noi siamo fatti così; loro, anche.

Noi di Iodio siamo in contatto con giovani artisti che, avendo neces-sità terrene, sono costretti a fare arte nel tempo libero. Voi invece siete riusciti a farne un mestiere. Come, siete stati dei miracolati?Giuseppe: Ci sono artisti che sono costretti a fare altri dei mestieri per fare arte. Io ho fatto un percorso molto simile a quello di un universitario. Ho fatto una scuola, e poi ho iniziato a lavorare, piano piano sono diventato indipendente. Erano altri anni, e c’erano altre possibilità, che davvero non ci sono più. Credo che proprio attraverso il lavoro, qualunque esso sia, uno si acquisti la propria indipendenza. Nei periodi in cui la vita era grama mi sono mantenuto con altri lavori. L’esigenza era quella. Se non potevo fare il mio lavoro perché era saltata un’estiva, facevo allesti-menti pubblicitari. Non mi sono certo sentito deprezzato. Gianmaria: L’arte è una faccenda complicata. Se tu fai un lavoro che ti permette di assecondare la tua passione, misuri giorno per giorno il peso e l’importanza di quella passione per te. L’unico modo possibile è con la fatica. Se fai un lavoro qualunque, io ad esempio ho fatto il ferroviere per 25 anni, questo ti rende indipen-dente. Non devi fare delle cose che non ti corrispondono, non devi accettare compromessi. Io lasciavo alla mia passione tutto quello spazio che è la libertà. Ad un certo punto questa cosa è diventata predominante. Mi sono licenziato da ferroviere nel 2007, avevo quasi 50 anni. Direi che ho fatto un bella gavetta. Ma quando avete capito che quello che state facendo era il vostro vero “mestiere”?Gianmaria: Non c’è un momento in cui io penso che quello che

di Simona, Stefano e Giugi

intervista a gianmaria testa e giuseppe battiston

video dell’intervista realizzato da Giugi su www.iodiomagazine.it

il pitoneti prende le misure

faccio valga la pena di essere monetizzato. Vivo due estremi: da un lato mi sembra assurdo monetizzare una canzone, dall’altro mi sembra che ogni mia canzone valga di più di quello che viene mone-tizzata. E quindi è un paradosso, per cui accetti le regole per quello che sono, diventa una legge di mercato. Per esempio questo lavoro è frutto di un incontro, di un’amicizia. E poi ci siamo telefonati. “La facciamo questa cosa insieme?”, non abbiamo mai detto: “Ma quan-to ci rende?”. L’idea è nel progetto, il resto viene dalla tua credibilità. Giuseppe: Per quanto mi è stato possibile, e sono stato fortunato, ho cercato di non operare delle scelte tese solo al mantenimento. So benissimo che nel mio lavoro, e mi guardo bene dal criticare, sia necessario fare scelte non in linea con i suoi desideri per mandare avanti la propria famiglia. Non importa, l’importante è l’atteggia-mento che hai nei confronti del tuo lavoro. Giuseppe, tu sei molto amato in Italia, ma all’estero?Sono stato ospite ai festival; una cosa che mi ha molto emozionato è successa l’anno scorso a Berlino: ho avuto un’accoglienza che non avrei mai immaginato. Ero lì per un film ma c’erano 2.000 persone che mi ricordavano ancora per Pane e Tulipani. Ho avuto un’ac-coglienza al limite del trionfale. Mi ha colpito molto. E ti dico di più: il nostro cinema è molto amato all’estero. C’è molta meno

spocchia nel giudicare i film. Gianmaria, il tuo lavoro invece è molto più apprezzato all’estero...Forse perché non capiscono le parole [mezzo secondo di sospensione, poi risa-te a crepapelle di Battiston]. Me lo sono sempre chiesto, la differenza è che io ho cominciato in Italia, ma il primo disco è stato prodotto in Francia. Preferisco can-tare in Italia, ma mi capita di andare spes-sissimo all’estero. Quello che non faccio volentieri è fare televisione, e se non fai televisione in Italia sei fuori. Gli spazi di dignità nella televisione in Italia sono così esigui che non mi viene neanche voglia. Nel vostro spettacolo, il giovane che come un pitone prende le misure del protagoni-sta e gli ruba il lavoro, vuole evidenziare anche un conflitto generazionale, tra chi ha un posto di lavoro e se lo vuole tenere, e chi invece lo cerca ed è disposto a tutto per ottenerlo?Giuseppe: questi sono i danni di una certa visione del mondo del lavoro. Io faccio

l’attore, un mondo dove c’è una fortissima competizione, ma ho sempre pensato che qualsiasi lavoro tu possa fare è il risultato di un gruppo di lavoro, parlo di questo spettacolo come di un film. Il problema in cui ci troviamo in questo momento è una competitività vissuta, un homo homini lupus. Oltre che essere una visione pro-fondamente diseducativa, mette in moto le cose peggiori di te. Nel lavoro ci dovrebbe essere solidarietà, e non cannibalismo. Gianmaria: In partenza c’era un ragionamento ed una scelta. Noi non volevamo che sul palco ci fosse un eroe vittima del sistema, ma una persona normale. Non è obbligatorio essere eroi per giustificare un condizione umanamente così degradante com’è perdere improv-visamente il posto di lavoro. Questa persona normale non se la pren-de con il sistema, se la prende con chi fisicamente gli ha soffiato il posto di lavoro. In questo sta la sua debolezza, ma anche il suo quo-tidiano eroismo: è l’umanità delle persone. Noi non siamo obbligati all’eroismo, noi viviamo ed abbiamo diritto ad una quantità di cose. La parabola di questa persona è di uno che all’inizio se la prende con uno, poi comincia a fare due più due, fa la sua piccola individuale rivolta e rifiuta. A quel punto non importa più chi gli ha portato via il lavoro. Si può essere persone comuni, normali, ordinarie, e ordina-riamentepretendere una vita dignitosa. Arrivederci.

l’arte è una faccenda complicata. Se tu fai un lavoro che ti permette di aSSecondare la tua paSSione, miSuri giorno per giorno il peSo e l’importanza di quella paSSione per te.

iodio / aprile 2011iodio / giulioiurissevich22

Nato a Bolzano e diplomato presso il Liceo Artistico ad indirizzo Grafico - Visivo della stessa città, Mauro Merlino è un giovane videomaker. Come molti di noi, in realtà come tutti prima o poi dovrebbero, prova a fare della sua passione una professione. Mauro ha scelto il cinema. Per eccellenza, metafora del sogno. Ciao Mauro, parlaci un po’ di te…Ciao sono Mauro Merlino, sono di Bolzano e studio a Verona. Frequento il Corso di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti Cignaroli, ho 24 anni e sono un testardo cronico.Perché la regia e in particolar modo la video arte?Ho trovato nel video una possibilità comunicativa molto effi-cace, moderna, ma soprattutto nelle mie corde. Esprimere qualcosa attraverso un mezzo molto vicino ad un senso che noi abbiamo, cioè la vista, ma che focalizza e isola un’azione, un evento o un singolo dettaglio, è eccezionale e affascinante. Mi fai un parallelo tra video arte e cortometraggi, sia dal punto di vista creativo che realizzativo?Sono due ambiti che utilizzano gli stessi strumenti, le stesse tecniche e gran parte della teoria filmica, ma sono distanti anni luce per quanto riguarda il resto. La video arte la identifico come cuore + cervello, invece la cinematografia come cervello + cuore, due elementi indispensabili per sopravvivere ma ben distinti, e che acquistano un’importanza differente a seconda che la precedenza venga data all’uno o all’altro.Puoi descrivermi i tuoi lavori partendo da La leggenda di San Giorgio, del 2007, al tuo ultimo progetto Fuori onda, del 2011?La leggenda di San Giorgio è un cortometraggio basato sulla leggenda del santo. È molto grezzo e semplice, però abbiamo affrontato il lavoro in maniera professionale, con la suddivisio-ne di ruoli, riunioni di staff, allestimento di set, sessioni di mon-taggio congiunti. Sogno è composto da 4 video uniti da un filo conduttore, il sogno, inteso come viaggio mentale notturno. Io e il mio coinquilino, che quell’anno soffrivamo d’insonnia, ab-biamo deciso di fare 4 sessioni di ripresa in 4 notti differenti. Il prodotto, assurdo e anche piuttosto brutto esteticamente,narra di un ragazzo che si risveglia in posti e situazioni differenti, sempre durante la notte. La denuncia dell’apocalisse è un testo scritto dal mio amico e coinquilino Enrico Giovanazzi, per una sua performance teatrale. Ho preso il testo e ci ho iniziato a

lavorare, ogni frase veniva trasformata in un’immagine. Il video poi, come risultato finale, è molto beckettiano. Il protagonista avvolto dal buio parla quasi freneticamente di una vicenda assurda che gli è accaduta. “Fuori onda” è un progetto acca-demico, creato durante un laboratorio di arti e mass media. Il concetto di base è la rappresentazione degli eccessi televisivi. Sono state scelte fotografie e non video per fermare l’istante esatto in cui questi avvenimenti accadono. Il lavoro è stato fatto da non più di dieci persone, io mi sono occupato del montaggio.Ci sono dei “miti” cinematografici a cui ti sei ispirato?Mi ispiro spesso alla grandezza sia narrativa che estetica di maestri del cinema come Stanley Kubrick o Sergio Leone, ma anche più vicini a noi come Guy Ritchie o Michel Gondry, più particolari ma con un grande senso estetico e di novità creativa. Domanda difficile: a quale dei tuoi lavori sei più affezionato?Beh, direi l’ultimo: Il sonno della ragione è il lavoro in team più bello e più affascinante che io abbia fatto. È stato affascinante sia pensarlo che realizzarlo.

VIDEOGRAFIA - link su www.iodiomagazine.it2006 “La leggenda di San Giorgio” premio sceneggiatura con-corso U.P.A.D. Di Bolzano; 2008 “Sogno”; 2009 “Tumosa”; 2009 “pyramid song”; 2010 “La denuncia dell’apocalisse”; 2010 “Il son-no della ragione” proiettato presso la biblioteca civica di Rovere-to durante l’evento “Cime contese”; 2011 “Fuori onda”

m a u r o m e r l i n o

I l s o g n o d e l l a r a g i o n e g e n e r a c o r t i i n t e r v i s t a a

di Cliff Secord

iodio / estate 2011 bio leggo / andrea marcelli 23

“Guardalo… Si sente proprio male!” Esclama la stagista, con la faccia incollata allo schermo. Non credo ci sia un termine più adatto per definirla: era una stagista prima e lo è tuttora, senza possibilità di appello. Certa gente non cambia affatto.Eccola che si toglie gli occhiali e pulisce le lenti con uno straccio ingrigito e sporco. Le indico il video e mi decido a prepararla al peggio: “Aspetta… vedi? Ora tossisce, ma tra un po’ sputerà sangue”. La stagista sgrana gli occhi, incredula. Fissa per qualche secondo la triste scena che si svolge come avevo predetto. Distoglie quindi lo sguar-do e lo annega nello stesso fazzoletto con cui aveva puli-to gli occhiali. Singhiozza come una poppante.Faccio spallucce e continuo la mia opera di montaggio. Non ho tempo da perdere a consolare una sbarbatella proveniente da chissà dove: oggi mi attendono numero-si impegni e, come se non bastasse, l’agenda continua a riempirsi di minuto in minuto.Piano americano, mezzo busto… infine dettaglio del ri-volo di sangue che cola dalla bocca, rosso scuro come una mousse di lamponi. Poi, piano sequenza di grande effetto: i medici entrano nella stanza con le loro tute asettiche, come se la disinfezione dipendesse dal colore neutro degli abiti. Altra banalità: la pulizia nasce come esigenza estetica e solo dopo diventa un fatto clinico. Al-cuni lo sorreggono, altri gli prestano le cure necessarie, infine lo conducono in un’altra sala, dove sarà sottoposto ad esami di laboratorio. Che diamine, sarà pure vecchio, ma ha una tempra d’acciaio: non c’è però forza nei suoi occhi…solo rassegnazione.Marta, che di solito mi dà le spalle lavorando all’altra scriva-nia, mi saluta con una pacca sulla spalla e mi porge un tazzone di caffè fumante. Poi si prende cura di quell’altra che non la smette più di rompere le scatole e le indica con delicatezza la porta del bagno. Scuoto la testa e sorseggio la bevanda, mentre con il cursore regolo la luminosità dell’inquadratura. Credo sia la cosa più buona che abbia bevuto da tre mesi a questa parte. Robusta di prima qualità e acqua che so essere purissima: un raro piacere in questi tempi tribolati.“Ha donato il suo corpo alla scienza” commenta Marta, che ora si è fermata accanto alla mia postazione. Scuoto ancora la testa: “Non alla scienza. No. Queste cose le conoscono bene, gli scienziati”. Marta s’acciglia, ma non le do tregua: “Ha do-nato il suo corpo alla stampa. Ci hanno mentito e per colpa di questa menzogna lui è spacciato. Lo sapeva, perciò ci ha chiesto di seguirlo fino alla fine. Per testimoniare che questo è stato”. Mi risponde: “Lo sai bene che ci accuseranno di lu-crare sulla sua agonia”.Mi piace questa sua capacità di affrontare i problemi: li isola e li inquadra, sa astrarre dal contenuto dell’oggetto e lo con-sidera come pura forma. Insomma, capiamoci: è lì, davanti ad uno che crepa in un video di qualità quasi amatoriale; c’è sangue ovunque e quei quattro bastardi non sono certo rassi-

curanti nei loro camici. Perfino il sottoscritto non nasconde un brivido quando gli infilano un ago nel braccio, per farlo star tranquillo: lo so bene io e lo sanno bene anche loro che si tratta solo d’un palliativo. Marta invece non guarda il filmato, ma fissa un qualche punto lontano ben al di là di esso: lo vede mentre si colloca al centro di una rete di contatti. Vi ritrova le reazioni del pubblico, le critiche dei nostri avversari, i discor-si dei politici... Il suo occhio naviga oltre, ed entra nelle case della gente: a tavola, mansueta nel suo pranzo domenicale, transita casualmente su una rete locale – una canale ignoto, concesso loro da un qualche errore di sintonizzazione del di-gitale terrestre. Marta li vede, mentre posano il piatto inorri-diti. Vede il padre, moralmente impietrito, ma segretamente appagato da quella scena macabra che ne stimola alcune aree del cervello ancor preda di una brutalità ferina. Vede i bambi-ni: i più grandi non capiscono cosa accade, mentre i fratellini si disinteressano totalmente ad un qualcosa che per loro non ha valore. Vede anche una madre, che ha sposato un debole per sentirsi forte nelle quattro mura di casa: indignata, dopo alcuni secondi di pausa, intima al coniuge di cambiar cana-le… tanto sa che a notte fonda, in tutta solitudine, potranno godersi entrambi la replica di mezzanotte. Insomma, vede un sacco di cose la mia Marta – e non a caso è la responsabile dell’ufficio stampa. Dà inoltre un contributo fondamentale alla linea editoriale e si preoccupa pure delle relazioni di marke-ting. Tutto ciò grazie ad una qualità rara, che io chiamerei a pieno titolo lungimiranza.

Iodio-127di Andrea MarcelliILLUSTRAZIONI DI ALESSANDRA PERIN

iodio / estate 201124 io leggo / andrea marcelli

Sia ben chiaro: io quella sua lungimiranza me la porterei a letto. Tuttavia tra noi c’è un rapporto d’altro genere, che mi pesa definire per esteso. Per farla breve, credo proprio che se restassimo soli in una stanza d’albergo, lasceremmo stare i convenevoli affettivi e ci metteremmo subito a discutere di indici d’ascolto e psicologia dell’acquirente. Già me l’immagi-no: sarebbe una gran serata e berremmo qualcosa di esotico – come il bourbon – seduti sul letto matrimoniale della suite in maglietta e calzini corti. Rigorosamente a strisce colorate. Infine, stanco ed alticcio, mi distenderei sul tappeto dell’in-gresso, avvolto nel mio sacco a pelo da montagna; e dormirei un sonno tranquillo.É un buon punto, quello di Marta: romperanno le scatole e non ci risparmieranno le loro frecciatine caustiche nei con-fronti dell’editore. Poi toccherà a me vedermela con il pan-zone e finirà sicuramente male per tutti quanti… Qui, però, abbiamo un dovere che va oltre la banale difesa di una linea editoriale. La durezza delle immagini è commisurata alla ne-cessità di informare su quanto accaduto – possibilmente nel tempo più breve.Le dico: “Noi non presentiamo la verità: presentiamo i fatti”. Il mio maestro lo ripeteva sempre: “La verità è un qualcosa di logico: in genere, una frase è sempre verificabile, ma ciò significa anche che c’è sempre il dubbio che sia falsa finché qualcuno non ci ficca il naso. I fatti, invece, parlano da soli. I fatti non sono veri: sono carne e ossa, sangue e tessuti. I fatti sono un corpo. Un corpo non è né vero né falso. C’è e basta. I fatti, ti ripeto, parlano da soli”.Furono proprio i fatti ad ucciderlo. Qualche anno fa, decisero di risparmiargli l’onore di diventare un martire del disastro che sarebbe accaduto di lì a poco. Morì prima di vedere le proprie ragioni confermate: lo tirarono giù dalle spese in un vicolo buio, vicino al locale dove andavamo sempre a bere l’ul-timo. Bastardi. Fu allora che presi in mano la situazione, anzi, che tutti prendemmo in mano la situazione. Eravamo solo una redazione di provincia, ma avevamo tra le mani roba scottan-te. Credevano forse che quel locale, quel covo di dissidenti, avrebbe chiuso per timore d’altri delitti? Si sbagliavano: il ti-

tolare fece la sua fortuna proprio in quei mesi – e come dargli torto? Trasse un piccolo beneficio da quella tragedia indicibile.Non fummo forti a sufficienza per smuovere l’opinione pub-blica del Paese, ma almeno eravamo preparati a fronteggiare il conflitto, le radiazioni e la crisi umanitaria che seguì di lì a poco i terribili eventi che devastarono la nostra piccola na-zione.Fu così che, mentre lo Stato era allo sbando, qualcosa al confi-ne orientale funzionava ancora: un paio d’uffici, una tipografia e due camionette dedicate alla distribuzione. Ben presto pas-sammo all’azione, e ci concentrammo su ciò che sapevamo far meglio: stampammo volantini ed aggiornamenti sulle misure di sicurezza da adottare, organizzammo un bollettino dei di-spersi e in breve ci ritrovammo addirittura a capo di nume-rose unità di soccorso, poiché eravamo tra i pochi a disporre di apparecchiature elettroniche completamente funzionanti.Ora le cose stanno tornando alla normalità, anche se la gente là fuori soffre ancora e senza dubbio ci vorranno anni affin-ché tutto si sistemi. Allora resterà solo la memoria e, se non saremo lì a rinverdirla, scomparirà anch’essa assieme agli ul-timi di noi abbastanza fortunati da aver raggiunto un’età vene-randa. Per adesso m’accontento d’esser tornato a fare il mio solito lavoro, con poche speranze ma ancor meno illusioni. A volte, forse, basta la consapevolezza d’aver fatto la cosa giusta. Bevo il caffè. Il caffè più buono del mondo. Brindo al mio ma-estro. É stato fortunato: s’è risparmiato la delusione di sapere quanto sia triste scoprire d’aver ragione.

l a c a c c i a di katrin

È il tempo del tramonto,il momento in cui si svegliano i ricordi.Tempi passati tornano a tormentareGente nascosta che vuol dimenticare.Dolore e morteCercan di tornare.Allora è follia,Visi di persone sconosciuteEppure molto amate…Grida di dolore mai sentiteMa comunque familiari…Il cielo si è tinto di rosso,Sangue di mille antenati ribolle in cieloSangue di condannati innocenti…Ormai il tramonto è finitoE la notte è scesa.Torna il silenzio,La morte è arrivata [la caccia è finita.]

la

p

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si

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i fatti non Sono veri: Sono carne e oSSa, Sangue e teSSuti. i fatti Sono un corpo. un corpo non è

né vero né falSo. c’è e baSta. i fatti, ti ripeto, parlano da Soli

iodioistruzioni per l’uso

io leggo / andrea passador 25iodio / estate 2011

l’estate è arrivata, iodio è con voi. Per superare tutte le difficoltà della stagione più calda dell’anno bastano iodio e questa guida. Una rivista, mille usi!

andrea passador

musica / almost famousa iodio / estate 2011

p u t y o u r p a n t s i n t h e a i r

like you don’t care di Maura Picc in

Eccoci qua puntuali come previsto: per i più distratti di voi che l’avesse-ro perso, sullo scorso numero di Iodio avevo anticipato che avrei parla-to della moda hip-hop per maschietti, rimasti probabilmente basiti dalla prospettiva di uscire di casa glitter/lustrinati e impauriti dal già affron-tato glam rock. Parliamo allora in pillole di un’altra tendenza sempre molto in voga nelle passerelle di moda e nelle passeggiate in città,l’hip-hop style, soffermandoci “solo” sull’aspetto fashion della questione, perché trattare l’argomento anche dal punto di vista delle innumerevoli influenze su costume, musica e design sarebbe bello ma decisamente oltre le 3000 battute a noi concesse (il direttore si riserva di diminuire ulteriormente le battute se non cominci ad affrontare l’argomento).Hip-hop è una corrente, anzi uno stile di vita, che fonda le sue radici nel Bronx dei favolosi anni ’80, anni di creatività e di sperimentazione che hanno sancito l’inizio della “nostra” era moderna. Anni di cui siamo tanto nostalgici, per la musica, per lo stile, per la libertà di inventare, sperimentare e creare tendenze (anche se a dirvi la verità le spalline e il risvolto le lascio volentieri nell’album dei ricordi). Ma veniamo a noi: come si riconosce un b-boy dal resto del mondo? Beh, non serve andare a scomodare Marky Mark e i suoi boxer Calvin in bella vista per capire di cosa parliamo (ragazze, per le più giovani di voi, consiglio una bella googlata di immagini di repertorio dell’ami-co Marky, oggi attore impegnato meglio conosciuto col nome di Mark Wahlberg). Sappiamo infatti che il jeans oversize portato a vita bassis-sima con l’intimo in bella vista, il catenone al collo, una maglia possibil-mente ginnica, accompagnata da felpa con cappuccio e sneakers ai pie-di (guerra tra baffo e 3 strisce sempre attuale) vi rende inevitabilmente seguaci di questa filosofia. Non è il mio compito analizzare il tipo di musica in oggetto, ma solo sug-gerirvi quanto sia facile e sempre attuale farsi stregare da una corrente musicale al punto di sentirsela, ma soprattutto portarsela addosso! Vi esorto però a non sconfinare nel “sagger”. Avete presente quei ragaz-zi che vanno in giro camminando come pinguini con i boxer aderenti completamente fuori dai pantaloni e con la cintura che inizia a stringere proprio a metà coscia? Ecco bene sappiate che negli Usa sono vietati perché causerebbero scompensi alla schiena e agli arti inferiori!!! Sperando di non aver annoiato le nostre ormai affezionatissime lettrici, vi lascio con un suggerimento: ragazze non snobbate la moda hip-hop, anzi cercatela e contaminatela con il vostro stile personale, perché se anche un mostro sacro come Chanel l’ha copiata nel ‘91 (vedi foto) allo-ra significa che era è e sarà sempre molto, molto glamour.

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a sinistra, dall’alto: Busta Rhymes, Missy Elliot, Dj Shadow, Cypress Hill, Run DMC, Mark Wahlberg all’epoca della campagna Calvin Klein, mo-delli della linea di Commes de Garcon ispirata all’Hip Hop, completo e “scarpa-pistola”, entrambi di Gucci.

iodio / estate 2011 musica / almost famous b

Egregio Dottor Q, sono un ciclista amatore, ma ho subito un brutto infortunio che rischia di pregiudicare la mia vita sentimentale. Salendo di corsa sulla bici da corsa, ho calcolato male slancio e distanze, andando ad infrangere il cavallo dei pantaloni (e tutto il suo modesto ma pur sempre dignitoso contenuto) sul tubo orizzontale – volgarmente detto “ferro” - del-la mia due ruote. Visto che sei dottore, mi consigli un rimedio per riacquistare la virilità? Con stima,

Guidobaldo

Massima solidarietà per il povero Guidobaldo, da tutti coloro che hanno vissuto disavventure del ge-nere. Magari in pubblico. Magari proprio davanti alla tipa che volevi impressionare con delle impro-babili doti atletiche. E che invece è rimasta impres-sionata solo dal sordo rumore tipo schiaccianoci. Guidobaldo non disperarti, e unisciti anche tu alla Farinelli Posse!

AMORE AMORE, MA NO A MORE MAI.

inviate le vostre domande al dottor q all’indirizzo [email protected]

Caro Dottor Q sono stata con un ragazzo che era convinto che qualsiasi cosa facessi fosse fatta in sua funzione parlava male di me e della nostra relazione con i suoi ed i miei amici arrivando anche a dire e a ripetere più volte che dipendevo da lui e che non riuscivo a staccarmene quando in realtà era lui a non riuscire a staccarsi da me pur sapendo di essere lui ad avere necessità della mia presenza come faccio a fargli capire che la nostra relazione avrebbe potuto funzionare benissimo se lui non fosse stato così egocentrico ed egoista?

Flora

Siccome lui pensa di essere indispensabile per te e tu pensi di essere indispensabile per lui io dico che di indispensabile qui c’è solo la punteggiatura perciò impara che virgole e punti non sono solo le forme grezze con cui costruire gli emoticon ciao Flora non scrivermi mai più

Dottor Q, sei un cialtrone. Approfitti della sventure amorose dei giovani d’oggi per sfogarti delle frustrazioni e delle umiliazioni che hai subito in anni di sfighe affettive. E poi le tue rispo-ste sono più noiose dei fondi di Alberoni sul Corriere. Tagliati i capelli e trovati un lavoro. Pasticcione.

Pasqualia

Pubblico questa dura missiva per dimostrare che rispetto le opinioni di tutti, anche se con-tengono offese gratuite contro la mia persone. Tornando a noi, ostile lettrice, ti ho subito riconosciuta. Lo so che sei tu, Natalia Aspesi, nascosta dietro ad un sofisticato pseudonimo. Per chi non lo sapesse, la Natalia cura (più o meno dal primo dopoguerra) la rubrica “Que-stioni di Cuore”, sul Venerdì di Repubblica. Senti il fiato sul collo, eh Nat?

Gentile Dottor Q,sul posto di lavoro ho conosciuto un ragazzo che mi piace molto. Ovviamente non posso farmi vedere con lui perchè non sarebbe professionale, così ci parlo di sfuggita quando lo in-crocio. Mi ha invitato a casa sua il prossimo week end, per una serata pizza-film-gelato. Mi piace tanto, ma non vorrei mettermi nei guai, anche perchè lui verrà presto trasferito e non voglio soffrire; lui dice che è una serata “innocente”, ma non so... secondo te se accetto faccio bene o male?

BubyCara Buby, una grande differenza tra uomini e donne è la capacità linguistica. Voi donne nell’esprimervi siete chiare e, scusami, anche un po’ noiose; tendete ad usare parole precise, senza ambiguità, e a voler sempre puntualizzare. Noi uomini siamo molto più creativi e fantasiosi, e troviamo mille modi di esprimere i nostri pensieri. Ad esempio, in un determina-to contesto, le frasi “ti porto la borsa della spesa”, “apprezzo molto il tuo punto di vista”, “dovrei prestarti la trilogia di Stieg Larsson” e “credo che investire nell’immobile resti ancora l’u-nica soluzione” per noi sono tutte parafrasi di “voglio trombar-ti”. Cara Buby, pensa a quanto ti piace e a quanto sei pronta a rischiare, e poi agisci di conseguenza. Un abbraccio.

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