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Non era un gioco
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Non era un gioco
Il progetto è stato curato dal Comune di Ferrara (Uff. Sicurezza
Urbana, Centro di Mediazione Sociale, Uff. Diritti dei Minori) nel
triennio 2014-16.
Questo libretto è a cura di: Elena Buccoliero.
Contributi di: Giordano Barioni, Benedetta Bertolini, Elena
Buccoliero, Roberto Casella, Andrea Celeghini, Giovanna
Cascini, Valentina Dei Cas, Donato La Muscatella, Alberto Urro.
La notizia di reato e gli elementi d’indagine su cui si è basato il
processo, simulato a Ferrara nell’ottobre 2014, sono stati curati da
Flavio Lazzarini, in quel periodo Sostituto Procuratore alla
Procura per i Minorenni di Bologna, mentre la relazione
sull’imputato è stata elaborata da Elena Buccoliero.
Il copione teatrale La tavernetta, ideato e sperimentato dal
Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, è qui pubblicato per
gentile concessione del Presidente Luciano Trovato.
Il DVD allegato comprende “Non era un gioco”, video didattico
tratto dalla simulazione avvenuta a Ferrara nell’ottobre 2014, e un
ulteriore, breve video basato su una simulazione analoga che si è
svolta a Bologna nel maggio 2015.
In quel caso il progetto è stato coordinato dal Teatro del Pratello
(Bologna), che ha curato anche la regia dell’azione teatrale. Il
video è stato realizzato da studenti dell’Università di Bologna.
Hanno collaborato operatori e magistrati della Procura e del
Tribunale per i Minorenni di Bologna e membri dell’associazione
AIMMF (Ass. Italiana Magistrati per i Minorenni e la Famiglia),
sezione di Bologna.
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Non era un gioco
Indice
Il perché di una proposta didattica, di Chiara Sapigni e
Massimo Mezzetti………………………………………….....
p. 5 Dal tribunale alla scuola, di Giuseppe Spadaro…………….. p. 7
I parte – Un approccio alla giustizia penale minorile
1. Una giustizia diversa: le peculiarità del procedimento
penale minorile, di Elena Buccoliero…………………............
p. 10
2. Che cosa succede a un minorenne che commette un
reato, di Elena Buccoliero e Roberto Casella…………............
p. 16
3. Nostro figlio ha sbagliato? L’impatto sulla famiglia
Intervista ad Alberto Urro……………………………………..
p. 24
4. Come interviene il Servizio Sociale con i minori autori
di reato?, di Valentina Dei Cas……………………………….
p. 34
5. L’avvocato difensore e il suo rapporto con il ragazzo,
di Roberto Casella……………………………………………..
p. 38
6. Come si svolge il dibattimento penale minorile,
di Benedetta Bertolini…………………………………………
p. 41
7. Qual è il posto della vittima?, di Elena Buccoliero………. p. 46
8. Esiti possibili: irrilevanza del fatto, perdono giudiziale,
messa alla prova… e tutto il resto, di Benedetta Bertolini…
p. 49
9. In particolare, la messa alla prova, di Elena Buccoliero p. 53
10. La mediazione penale, di Benedetta Bertolini………….. p. 59
11. La comunità educativa per minori come luogo di
apertura di cammini fiduciari, di Giordano Barioni…..........
p. 64
12. Le responsabilità della scuola, di Andrea Celeghini…… p. 69
13. Alla legalità si educa nelle cose di ogni giorno,
di Giovanna Cascino e Donato La Muscatella…………...........
p. 72
Glossario: i personaggi del processo e alcune parole chiave p. 76 Gli autori……………………………………………………... p. 82
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II parte – Per continuare nella scuola
Gli atti del processo al d.j. Spada
Premessa…………………………………………………... p. 86
Richiesta del Pubblico Ministero di giudizio immediato…. p. 87
Illustrazione degli elementi di prova……………………… p. 91
Relazione sulla personalità dell’imputato………………… p. 97
Diventare protagonisti
Presentazione……………………………………………... p. 102
La cantinetta, copione teatrale per le scuole ideato e
sperimentato dal Tribunale per i Minorenni di Catanzaro..
p. 104
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Il perché di una proposta didattica
La proposta didattica Non era un gioco, comprendente un video
didattico e il presente libretto, nasce da un’esperienza: il processo
minorile simulato realizzato a Ferrara nell’ottobre 2014, durante
l’annuale Festa della Legalità e della Responsabilità, grazie alla
collaborazione della Procura e del Tribunale per i Minorenni di
Bologna.
All’incontro presero parte centinaia di studenti, prima suddivisi in
grandi gruppi per ricevere da avvocati, magistrati e operatori delle
forze dell’ordine i rudimenti sulla giustizia minorile, poi raccolti
alla Sala Estense dove il processo andava in scena.
Durante la simulazione magistrati, avvocati, Forze dell’Ordine e
tante altre realtà del territorio - servizi sociali e sanitari,
insegnanti, terzo settore - hanno messo le loro competenze e il
loro entusiasmo a disposizione del gioco teatrale, che in una
mattina ha permesso di avvicinarsi alla realtà un po’ misteriosa
del processo minorile.
Il fatto riguardava un giovane accusato di spacciare pastiglie di
ecstasy nella discoteca dove lavora come d.j.. A suo carico anche
l’accusa di lesioni personali aggravate per aver provocato, con la
cessione di una pastiglia, uno stato di coma non ancora risolto
proprio nella sua ragazza.
Su un canovaccio leggero ma molto preciso tutti i personaggi si
sono mossi liberamente attingendo in modo personale, ma molto
realistico, dalla loro esperienza umana e professionale.
Il processo penale simulato ha costituito una straordinaria
occasione di educazione alla legalità per gli adolescenti ferraresi.
Un momento difficilmente ripetibile, che proprio per questo
abbiamo voluto videoregistrare, tradurre in un video didattico e
arricchire con i contenuti raccolti in questo libretto così da
metterlo a disposizione di quanti vorranno farne uso in percorsi di
educazione alla legalità.
I primi destinatari del nostro lavoro sono insegnanti e allievi delle
scuole secondarie di I e II grado.
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Un approfondimento sui diversi passaggi del procedimento penale
minorile e su ciò che vi è sotteso, in termini di ascolto della
sofferenza di ragazzi e famiglie e di tensione verso l’acquisizione
di responsabilità, lo troviamo nell’altro video incluso in questo kit
e in questo libretto.
Il video è stato realizzato a Bologna su un analogo processo
simulato ma con modalità e intenti differenti e complementari a
quello ferrarese. Il materiale è stato curato dal Teatro del Pratello
e dall’Università di Bologna, sempre in collaborazione con la
Procura e il Tribunale per i Minorenni di Bologna.
Questo libretto, a cura dell’Ufficio Diritti dei Minori del Comune
di Ferrara, è ancora una volta un lavoro fortemente partecipato,
cui hanno contribuito diverse realtà che quotidianamente
incontrano gli adolescenti anche nei loro comportamenti più
estremi, o che trovano nello studio e nell’applicazione della legge
la loro ragion d’essere.
Ci auguriamo che questo incontro di professionalità ed esperienze
tanto diverse ma tra loro complementari sia fertile nel favorire
nuovi incontri e approfondimenti.
Va in questa direzione anche la pubblicazione della Tavernetta,
copione teatrale scritto e sperimentato dal Tribunale per i
Minorenni di Catanzaro con le scuole di quel territorio, da oggi
disponibile anche per docenti e allievi dell’Emilia Romagna.
Chiara Sapigni
Ass. Servizi alla persona
Comune di Ferrara
Massimo Mezzetti
Ass. Politiche per la legalità
Regione Emilia-Romagna
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Dal tribunale alla scuola
Il Tribunale per i Minorenni celebra i processi per gli adolescenti
che commettono reati tra i 14 e i 17 anni. Non è consueto
immaginare il Tribunale come attore in processi di prevenzione.
Eppure proprio le aule della giustizia minorile incontrano
quotidianamente il volto dei ragazzi, il loro bisogno di essere
ascoltati e compresi anche negli errori, la loro domanda di
giustizia magari come vittime o testimoni di un reato. E il giudice
minorile conosce continuamente le difficoltà presenti nei loro
percorsi di crescita, le molte mancanze degli adulti, spesso
l’inconsapevolezza con cui, d’impulso, vengono commesse azioni
che costituiscono reato.
Per tutte queste ragioni negli ultimi anni il Tribunale per i
Minorenni di Bologna ha voluto aprire le porte alle scuole in
un’azione di educazione alla legalità molto semplice ma,
crediamo, efficace: replicare, in forma teatrale ma verosimile, uno
dei propri processi di fronte ad un pubblico di studenti, accogliere
domande, provocare riflessioni. E farlo mettendosi in gioco con i
propri giudici, a partire da chi scrive, nei panni dell’imputato.
Rovesciare i ruoli del processo, mettersi nei panni dell’autore del
reato di fronte ad un pubblico che, anche solo implicitamente, si
sente chiamato a giudicare, ha significato per il nostro tribunale
uno sforzo di trasparenza e di radicamento nella tensione
educativa che sempre accompagna il lavoro del giudice minorile.
Per me, in prima persona, l’accogliere autenticamente le emozioni
di vergogna, ingiustizia, frustrazione, impotenza che pure possono
accompagnare un giovane autore di reato, tanto più quando è
legato affettivamente alla persona offesa, persona cui mai avrebbe
voluto provocare il male.
Il processo penale simulato è stato realizzato, con lo stesso
copione ma con attori diversi, per tre anni consecutivi, a Ferrara
(2014) e a Bologna (2013 e 2015). Dell’esperienza estense mi
piace sottolineare il forte impatto emotivo e il piacere di lavorare
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con operatori del territorio, che solo occasionalmente entrano in
contatto diretto con il mio Tribunale ma che ogni giorno, nella
scuola o nei servizi per gli adolescenti, prevengono, completano o
coadiuvano il nostro lavoro.
L’augurio anche mio è che la documentazione di questa
esperienza possa restare non soltanto come memoria ma come
materiale vivo, a disposizione di insegnanti e educatori, per
ulteriori percorsi di educazione alla legalità.
Giuseppe Spadaro
Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bologna
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I parte
Un approccio alla giustizia penale minorile
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Non era un gioco
1. Una giustizia diversa: le peculiarità del procedimento
penale minorile
di Elena Buccoliero
Il 14esimo compleanno traccia un confine nella vita degli
adolescenti. Da quel giorno in poi, se commetteranno un reato,
potranno essere chiamati a risponderne di fronte alla legge. Il
problema è che spesso non lo sanno.
14 anni
Eh sì, a 14 anni ragazzi e ragazze fanno ingresso in quella che
viene definita “età imputabile”, ovvero le loro azioni possono
essere perseguite dalla legge.
Questo dato sfugge a tanti adolescenti convinti di poter fare
qualsiasi cosa senza mai confrontarsi con le conseguenze. È
importante sapere – e far sapere ai ragazzi - che non è vero.
L’informazione non mira a spaventare e basta perché la
responsabilità è un valore in due direzioni. Mette in guardia
dall’eccessiva leggerezza e dal senso di impunità ma al contempo
dice agli adolescenti che se subiscono da un coetaneo, o da un
gruppo, furti, aggressioni, minacce, violenze sessuali,
persecuzioni telematiche o altro, possono sporgere denuncia per
essere tutelati dalla legge.
Ma che cosa succede ad un minorenne autore di reato?
Tante volte si pensa che denunciare un adolescente significhi
rovinarlo. Sia le persone offese sia chi è a conoscenza di reati che
dovrebbero essere segnalati – insegnanti, genitori delle vittime… -
si fanno scrupolo, temono di “ingigantire una ragazzata” e di
ostacolare in modo decisivo il percorso di crescita di quel ragazzo.
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Certo, è importante che le risposte agli errori siano per quanto
possibile immediate e giocate nella relazione educativa, ma è
anche importante sapere che il passo della giustizia minorile non è
in contraddizione con questo e che per un giovane a rischio di
devianza è meglio venire denunciato prima dei 18 anni, proprio
perché la giustizia penale minorile non è la stessa che giudica gli
adulti. Sono altri i giudici e differenti i criteri con cui vengono
valutati i fatti, trattate le persone. Ed è costante la tensione e
l’impegno di tutti gli attori per trasformare il procedimento penale
in una occasione di crescita.
Per chiarirci le idee come adulti, e per essere in grado di
trasmettere informazioni corrette agli adolescenti, è bene saperne
un po’ di più sui criteri di fondo della giustizia minorile1.
Occuparsi delle persone, oltre che dei fatti
Quando il Tribunale Ordinario celebra un processo penale
l’obiettivo è accertare un reato, provare se l’imputato ne è
responsabile e, in caso positivo, condannarlo ad una pena giusta.
Anche il Tribunale per i Minorenni durante il processo penale
deve chiarire fatti e responsabilità, ma ha anche il compito molto
speciale di capire chi è l’imputato, in quale famiglia e contesto
sociale è cresciuto, perché si comporta in un certo modo e quale
può essere il percorso migliore per lui.
Intendiamoci, il processo non è un premio e per chi lo subisce
come imputato può essere un’esperienza dura. Vuol dire avere a
che fare con avvocati, giudici e assistenti sociali, essere oggetto di
indagine, venire interrogato, rispondere dei propri comportamenti
di fronte a persone sconosciute in un meccanismo che non
padroneggia.
Nel rapporto con i genitori, spesso la denuncia e poi il processo
sono anche lo svelamento di un segreto, o spingono la famiglia a
fare i conti con una situazione che per un certo tempo non ha
potuto o voluto vedere.
1 Il processo penale minorile è disciplinato dal DPR 448/88.
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Ma il procedimento penale minorile è anche una grande
occasione: per ripensare alle proprie azioni, per assumersene la
responsabilità e per cercare un cambiamento grazie alle peculiarità
del processo.
Meno carcere possibile
È molto raro che un minorenne vada in carcere. Succede solo per
reati particolarmente gravi, o con persone pericolose, recidive,
incapaci di stare nei progetti e contesti educativi proposti come
chance prima della detenzione.
In Emilia Romagna esiste un solo Istituto Penale Minorile2, a
Bologna in via del Pratello, accanto al Tribunale per i Minorenni.
Ha 22 posti e accoglie soltanto maschi. Le ragazze detenute per
reati commessi in Emilia Romagna sono poche e non c’è, in
regione, un carcere per loro, vengono perciò inserite in istituti di
pena di altre regioni.
Evitare la stigmatizzazione
La denuncia, il processo, e ancor più la pena, sono etichette che
incidono sull’identità dell’imputato e su come gli altri lo
percepiscono. Di questo la giustizia minorile tiene conto cercando
di ridurre al minimo il danno che un minorenne autore di reato
può ricevere dal fatto di essere coinvolto in un procedimento
penale.
Ad esempio il processo si svolge a porte chiuse (niente telecamere
né giornalisti), nega alla vittima la possibilità di chiedere in quella
sede un risarcimento per il danno subito (in modo che non siano in
2 L’IPM di Bologna realizza da anni progetti, teatrali e non solo, sia al
suo interno, sia prevedendo l’ingresso di persone esterne, scolaresche
incluse. Chi fosse interessato può richiedere informazioni al Centro di
Giustizia Minorile, e-mail [email protected]
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gioco interessi economici) e, in casi di particolare tenuità del fatto,
prevede un’uscita rapida dell’imputato dal percorso penale3.
Senza una pena, ma non a vuoto
Anche se il procedimento penale si chiude senza una condanna, o
con una pena sospesa4, non è detto che sia stato inutile.
L’imputato sarà stato coinvolto in interrogatori di polizia, colloqui
con assistenti sociali, educatori e psicologi, e poi nell’udienza di
fronte al giudice.
Se c’è stato un dibattimento, avrà forse ascoltato i testimoni
riferire i suoi comportamenti per come loro li hanno vissuti. E se il
reato è violento e uno dei testimoni è la persona offesa, l’imputato
avrà avuto l’occasione per nulla scontata di provare a guardare le
cose con gli occhi dell’altro.
Infine, nell’interrogatorio in udienza avrà dovuto prendere
posizione: negare i fatti o invece ammetterli, in parte o del tutto.
Ecco perché tutto il procedimento penale minorile, anche
l’udienza, può dare al giovane la possibilità di confrontarsi con il
senso delle proprie azioni.
Ascoltare i ragazzi, parlare con loro
La cifra del procedimento penale minorile è l’ascolto del ragazzo
in tutte le fasi. Questo avviene sia nella preparazione dell’udienza
sia nell’udienza stessa, dove l’imputato viene interrogato sui fatti
che gli vengono attribuiti e in un secondo momento gli vengono
poste domande sulla sua vita.
Esperienze familiari e scolastiche, difficoltà, disponibilità
all’impegno, sogni da realizzare entrano nelle aule giudiziarie e
3 v. in questo opuscolo il paragrafo Esiti possibili: irrilevanza del fatto,
perdono giudiziale, messa alla prova… e tutto il resto, di Benedetta
Bertolini. 4 che non è affatto la stessa cosa, perché se il ragazzo commetterà un
altro reato nei successivi cinque anni quella pena sospesa rientrerà nel
computo, ma spesso il giovane imputato vive nel qui ed ora e non valuta
il rischio, ha l’impressione di “avercela fatta”.
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vengono tenute in considerazione dai giudici al momento della
decisione.
È altrettanto importante che tutto l’apparato della giustizia
minorile sappia parlare con il ragazzo, fargli capire quello che sta
succedendo e dargli strumenti idonei per fare delle scelte. È il
compito del giudice ma anche dell’avvocato difensore o degli
operatori sociali.
Insieme all’imputato si valuta anche la possibilità di richiedere
una messa alla prova e si elabora un progetto da proporre al
Tribunale.
Non ostacolare gli itinerari educativi, aprire occasioni di
cambiamento
Ha scritto Alfredo Carlo Moro, uno dei padri della giustizia
minorile italiana come oggi la conosciamo: “Il processo penale
deve avere come suo obiettivo quello di realizzare una ripresa
dell'itinerario educativo del minore, che il compimento dell'atto
criminale dimostra essersi interrotto o avere deviato”5.
Tutto ciò si realizza per tutto l’arco del procedimento, perché il
giudice deve tenere conto del ragazzo come persona globale, con
responsabilità e risorse. Ad esempio, anche ai minorenni si
applicano le misure cautelari ma senza interrompere gli eventuali
percorsi educativi nei quali il giovane è positivamente inserito. E
se il giudice ha stabilito per il minore la permanenza in casa, che è
poi il corrispettivo degli arresti domiciliari, ma il ragazzo va a
scuola, l’autorità giudiziaria dovrà comunque consentirgli di
continuare a frequentarla per non danneggiare il suo itinerario
formativo.
Arriviamo all’udienza. Al momento della decisione vengono presi
in considerazione i fatti ma anche il comportamento che
l’imputato ha tenuto successivamente. E se dopo quel reato non ce
ne sono stati altri, se il ragazzo ha proseguito o ripreso il percorso
5 C.A. Moro, Manuale di diritto minorile, Bologna, Zanichelli, 2002, p.
483.
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scolastico e, in definitiva, si è comportato nel rispetto delle regole
di convivenza, il giudice ne terrà conto positivamente.
L’apertura al cambiamento si realizza al massimo grado
nell’istituto della messa alla prova, ispiratrice di quella
recentemente applicata nei procedimenti penali degli adulti ma
connotata da un’attenzione del tutto particolare all’educazione del
giovane e alla sua responsabilizzazione6.
Sottovoce, agli adulti. Il giudice non è un sostituto
Si è detto fin qui di come la giustizia penale minorile sia attenta
all’educazione dei minorenni che commettono reati e giochi in
questo senso un ruolo di prevenzione della devianza. Tutto questo
è vero e funziona, gli esiti delle messe alla prova sono positivi per
la maggioranza degli imputati, ma non può essere questo
l’intervento educativo decisivo.
La giustizia minorile è sempre più spesso invocata come argine
per giovani che i contesti educativi del quotidiano non riescono a
contenere. Quando insegnanti o genitori non sanno più che pesci
pigliare cominciano a sperare che quel ragazzo venga “fermato”
dalla giustizia. Ci sono casi in cui questa è davvero l’apertura di
una possibilità, ma è bene ricordarci che il cammino per diventare
persone responsabili dovrebbe iniziare molto presto, proprio in
famiglia e a scuola. Non c’è bisogno della legge per riconoscere di
essere stati scorretti, o di aver fatto male a qualcuno, e impegnarsi
poi a rimediare l’errore.
Chi ha un ruolo educativo ha il compito importantissimo di
stimolare nei ragazzi questa assunzione di responsabilità e lo
incarna con la parola, con l’esempio, con l’incoraggiamento e il
rinforzo, con la regola e la punizione educativa.
6 v. in questo opuscolo il paragrafo In particolare, la messa alla prova,
di Elena Buccoliero.
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2. Che cosa succede a un minorenne che commette un reato
di Elena Buccoliero e Roberto Casella
Numerose sono le disposizioni del codice penale che riguardano i
minori; l’art. 97, in particolare, esclude l’imputabilità per chi ha
meno di 14 anni. Ma cos’è l’imputabilità?
Il concerto di imputabilità
Tecnicamente la parola “imputabilità” indica la possibilità di
attribuire ad una persona la responsabilità per un reato commesso
e le relative conseguenze. Cioè la responsabilità per aver violato
un precetto penale.
L’art. 97 esclude che ad un minore di 14 anni possa essere
“imputato” un reato. Questo risponde a leggi naturali in quando il
nostro legislatore ha opportunamente escluso tali conseguenze per
l’immaturità connessa all’essere bambino. Per questo motivo gli
infraquattordicenni sono ritenuti incapaci di intendere e di volere,
e non possono esserci eccezioni.
Quanto appena affermato rientra tra le poche conoscenze di diritto
penale dei ragazzi e la giovane età diventa per alcuni motivo di
vanto e per altri erronea giustificazione; ciò che invece troppo
spesso molti ignorano è che possono esserci comunque delle
conseguenze alla violazione delle norme penali da parte di un
minorenne, che vanno ben al di là del profilo penale o meramente
risarcitorio e che riguardano direttamente e in prima persona lo
stesso minore.
I procedimenti amministrativi, prima e dopo i 14 anni
Tutti i comportamenti devianti, cioè gli illeciti penali ma anche
quei comportamenti che, pur non essendo contro la legge,
comportano rischi preoccupanti (uso di droghe, fughe da scuola,
allontanamenti da casa, tentativi di suicidio, autolesionismo… e
tutto ciò che può essere considerato pericoloso per sé e per la
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propria crescita, o dannoso per gli altri), rientra nella
classificazione di “condotte irregolari”.
Nel caso in cui un minore, anche prima dei 14 anni, venga
segnalato per una condotta irregolare, il Tribunale per i Minorenni
applicare un percorso specifico per gli adolescenti, detto
“procedimento amministrativo”. E ciò può avvenire non solo su
richiesta o su segnalazione del Procuratore della Repubblica o del
Servizio Sociale, ma anche su richiesta degli esercenti la potestà
(genitori, tutori) o della scuola. In questo caso, come si diceva, la
decisione del giudice prescinde sia dall’età del ragazzo, sia dal
fatto che il minore abbia commesso un reato.
Quando il Tribunale per i Minorenni apre un procedimento
amministrativo dà inizio ad una fase di conoscenza che prevede
un incarico al Servizio Sociale e all’AUsl, per un
approfondimento sulla situazione personale, familiare,
scolastica… e sulla personalità del ragazzo, e poi convoca dinanzi
ad un giudice l’adolescente insieme ai genitori e all’assistente
sociale.
All’esito della procedura amministrativa il Tribunale per i
minorenni decide con provvedimento motivato se archiviare
(perché i rischi inizialmente segnalati non c’erano o si sono
risolti) o applicare una “misura rieducativa” che può essere di due
tipi: affidamento del minore ai servizi sociali per lo sviluppo di un
progetto rimanendo in famiglia oppure il collocamento in una
comunità.
L’affidamento al servizio sociale non incide sulla possibilità dei
genitori di svolgere il loro ruolo educativo ma prevede un
progetto, coordinato dal servizio sociale, con cui il ragazzo e i
genitori dovranno collaborare. In esso potranno essere comprese
indicazioni sulla scuola, il tempo libero, attività di volontariato,
adesione a colloqui con uno psicologo o con un assistente sociale,
intervento di un educatore…
Il servizio sociale da quel momento trasmetterà periodicamente al
Tribunale una relazione sul comportamento del ragazzo e sullo
sviluppo del progetto. Se non si osservano miglioramenti nel
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comportamento del minore, o si verificano ulteriori trasgressioni,
il Tribunale può valutare che il progetto deve essere rinforzato con
il collocamento del giovane in una comunità educativa (o
terapeutica, per chi ne ha necessità), applicando quindi la misura
rieducativa più severa tra quelle indicate dalla legge.
Anche la comunità educativa dovrà trasmette al Tribunale una
relazione periodica sul comportamento del minore, ed anche in
questo caso riguarderà il rispetto delle regole relative allo studio,
al tempo libero, allo svolgimento delle attività comunitarie
previste dal progetto preventivamente stilato per il minorenne.
Le misure, è bene sottolinearlo, non hanno una durata specifica
ma sono a tempo indeterminato fino ai 18 anni. Possono, però,
interrompersi quando i problemi rilevati inizialmente risultano
risolti.
Inoltre, nei casi più gravi, il minore può essere dichiarato
“socialmente pericoloso”. A lui si applicano le misure di sicurezza
della libertà vigilata o del riformatorio giudiziario (eseguito ai
sensi dell’art. 36 DPR448/88 nelle forme del collocamento in
comunità).
A 14 anni compiuti
L’apertura delle indagini, la nomina dell’avvocato difensore
Torniamo al caso di un ragazzo (o una ragazza) che venga
denunciato dopo il compimento dei 14 anni.
Comportamenti che integrano fattispecie penali possono andare, a
titolo di esempio, dagli atti di bullismo o di cyberbullismo, a
ipotesi altrettanto frequenti di percosse, minacce, danneggiamenti,
offese della dignità e del decoro delle persone, a tante altre
violazioni ancora che, spesso, non vengono percepite dai minori
come reati ma che di fatto lo sono.
A seguito della notizia di reato, la Procura della Repubblica presso
il Tribunale per i Minorenni iscrive il minore nel registro degli
indagati e apre un procedimento penale nei suoi confronti.
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Dal punto di vista tecnico, il procedimento minorile è strutturato
seguendo le regole e i principi previsti dal codice di procedura
penale per gli adulti. La peculiarità sono date da una legge, la
448/88, che ne integra le norme con istituti specifici.
Tra i primi atti processuali vi è l’invito a nominare un avvocato
difensore, il quale svolge una funzione indispensabile anche
durante la fase delle indagini ed in particolare quando si deve
compiere un atto come l’interrogatorio, oppure una perquisizione
presso l’abitazione dell’indagato. Atti che necessitano, così come
per tutti i mezzi di ricerca delle prove e per l’intero processo, delle
garanzie difensive.
Occorre anche dire che in tutti i passaggi di questo percorso deve
sempre essere assicurata l’informazione e la presenza dei genitori
del ragazzo (o del tutore). Questo significa che l’adulto
responsabile dell’educazione del minorenne viene convocato in
tutte le fasi: presso le forze dell’ordine se c’è stato un fermo o un
arresto, durante l’interrogatorio e durante altri atti d’indagine
quali, appunto, la perquisizione presso la casa familiare (es. nel
caso di sospetto spaccio, o dopo un’azione di cyberbullismo che
integra il reato di diffamazione oppure sospetta detenzione di
materiale pedopornografico…).
L’arresto in flagranza e il fermo
Può accadere che, come nel caso del d.j. Spada di cui tratta il
processo simulato, un minorenne venga colto sul fatto e arrestato
in flagranza dalle forze dell’ordine.
Anche in assenza della flagranza di reato le forze dell’ordine
possono disporre il fermo del minore, se è sospettato di un reato
particolarmente grave e se sussiste il pericolo di fuga.
In questi casi gli agenti lo accompagnano in caserma/questura,
dove possono trattenerlo non più di 12 ore. Chiamano i genitori (o
comunque un adulto responsabile per lui), informano l’indagato e
i familiari su ciò che sta accadendo, provvedono alla nomina di un
avvocato difensore (se il ragazzo o i genitori non hanno un
avvocato di riferimento ne viene assegnato uno d’ufficio, che
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comunque la famiglia dovrà pagare salvo possa dimostrare un
reddito molto basso) e procedono ad un primo interrogatorio.
Se il reato per cui si procede è particolarmente grave le forze
dell’ordine possono collocare il minore in comunità o in un
carcere minorile, in alternativa si limiteranno a riconsegnarlo ai
genitori. Solo se la famiglia è assente o non è tutelante lo
accompagneranno in una comunità educativa.
La scelta su come procedere (accompagnamento, fermo, arresto)
dipende appunto dalla gravità del fatto, dalla personalità del
minore e dalle caratteristiche del nucleo familiare.
Quando un minore viene fermato o arrestato la polizia giudiziaria
ne dà immediata comunicazione al Pubblico Ministero il quale
può confermare quei provvedimenti o, invece, annullarli. Può
anche disporli, sulla base degli atti, benché le forze dell’ordine
non vi abbiano provveduto in modo autonomo.
Dopo la decisione del PM il nostro ordinamento prevede un
ulteriore momento di verifica. Quando richiede il fermo o l’arresto
di un minore, il PM deve chiedere al GIP (Giudice per le Indagini
Preliminari, un magistrato minorile che presta servizio presso il
Tribunale per i Minorenni) l’udienza di convalida. Questa udienza
si svolge in tempi brevissimi e può concludersi con la conferma
dei provvedimenti richiesti dal PM o con la loro esclusione.
Le misure cautelari
Anche al di fuori dalla flagranza di reato, su richiesta del PM, il
GIP può disporre per il minore, con tutte le garanzie previste
dall’ordinamento, una misura cautelare, quella che viene applicata
in attesa dell’udienza.
Come per gli adulti, anche nel caso di minori i requisiti per
richiedere l’applicazione di una misura cautelare sono: la presenza
di gravi indizi di colpevolezza; il rischio che l’indagato commetta
nuovi reati, o cerchi di cancellare le prove di quello per cui è
indagato; la prevedibile irrogazione di una pena.
Le misure cautelari per i minorenni autore di reato sono:
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- prescrizioni, sia positive (es. l’obbligo di svolgere attività di
studio o lavoro) sia negative (es. smettere di frequentare
determinati ambienti o una certa città, rientrare in casa entro
certo orario);
- la permanenza in casa, che corrisponde agli arresti domiciliari
e può prevedere delle eccezioni autorizzate dal giudice, ad es.
per andare a scuola. Nel processo simulato l’imputato aveva
subito proprio questo tipo di misura cautelare ed era stato
costretto a rimanere chiuso in casa, con suo padre e la
compagna di lui, fino al giorno dell’udienza;
- il collocamento in una comunità educativa, seguendone le
regole e partecipando alle attività predisposte dagli educatori,
in attesa dell’udienza;
- la detenzione, ovvero il giovane viene portato in un carcere
minorile e lì rimane fino all’udienza o fino a quando il giudice
non disporrà (anche prima del processo, su richiesta motivata
da parte del difensore) la sua liberazione.
Questi provvedimenti sono graduati, dal più lieve al più rigido, e
l’Autorità Giudiziaria li sceglie tenendo conto della gravità del
reato e delle caratteristiche del minore e della sua famiglia,
secondo un principio di proporzionalità e appropriatezza.
Quando un ragazzo infrange la misura cautelare che gli è stata
applicata va incontro ad un “aggravamento”, ovvero alla misura
successiva, in maniera temporanea o stabile. Ad es., un minore
che fugge dalla comunità educativa dove era stato collocato in
misura cautelare, viene ricercato dalle forze dell’ordine e poi
costretto a trascorrere alcuni giorni in un carcere minorile.
Possiamo garantire per esperienza diretta che sono molti i
minorenni che conoscono la detenzione, ma anche la permanenza
in casa o in comunità non sono lievi da affrontare per chi abbia
goduto fino a quel momento di molta autonomia.
I presupposti per l’applicazione di una misura cautelare così
restrittiva come quella carceraria sono previsti in maniera
tassativa dal codice di procedura penale e per la violazione di
gravi reati (es. furto aggravato dall’uso di armi, rapina, estorsione,
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spaccio, violenza sessuale…). In particolare l’art. 274 cpp prevede
solo tre presupposti: il pericolo di inquinamento probatorio, il
pericolo di fuga e il pericolo di reiterazione criminosa.
IPM, ovvero: Istituto Penale Minorile
Il carcere dei ragazzi si chiama IPM, appunto Istituto Penale
Minorile. In Emilia Romagna ne esiste soltanto uno, si trova a
Bologna in Via del Pratello, accanto al Tribunale per i Minorenni,
e accoglie soltanto maschi.
Quando una ragazza deve essere arrestata per un reato commesso
nella nostra regione, viene accompagnata in un carcere minorile
fuori territorio (Milano, Torino, ecc.).
Si indaga anche sulla personalità dell’imputato
Il Pubblico Ministero, oltre a svolgere l’indagine sui fatti per
comprendere l’esatta evoluzione della vicenda e individuare chi è
responsabile di che cosa, indaga anche sulla personalità del
minore.
Il PM infatti, secondo l’indicazione della Corte Costituzionale
nella sentenza n. 49/1973, “non soltanto è l’organo titolare
dell’esercizio dell’azione penale in funzione della eventuale
realizzazione della pretesa punitiva da parte dello Stato, ma
anche, ed è questo un aspetto rilevante, l’organo che presiede e
coopera al conseguimento del peculiare interesse-dovere dello
Stato al recupero del minore: a questo interesse è addirittura
subordinata la realizzazione o meno della pretesa punitiva”.
Questa è una delle differenze maggiori tra il procedimento
minorile e quello ordinario: l’osservazione della personalità nella
fase delle indagini.
L’art. 9 del dpr 448/88 impone che l’osservazione della
personalità, delle condizioni psicologiche familiari ed ambientali,
avvenga fin dal primo atto processuale con la richiesta di
informazioni ai servizi sociali del territorio, che relazionano sul
minore e sulla famiglia dello stesso. Inoltre possono essere
richieste informazioni alle forze dell’ordine o alla scuola.
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Archiviazione o rinvio a giudizio
Raccolte sufficienti notizie sul fatto e le responsabilità, ricevute le
informazioni sul minore, il Pubblico Ministero, così come accade
per gli adulti, chiude le indagini disponendo l’archiviazione
(perché non ha raccolto prove sufficienti per imbastire un
processo, perché il fatto denunciato non è realmente accaduto, o
non costituisce reato…) oppure il rinvio a giudizio.
Il Tribunale in quest’ultimo caso fissa l’udienza, che può avere
diversi esiti come si vedrà in un paragrafo successivo.
Durante un iter processuale così impegnativo e delicato, è
richiesta la collaborazione del minore e della sua famiglia. Solo
così è possibile costruire una fuoriuscita dal circuito penale che
non vada ad inficiare il regolare sviluppo della personalità del
minore e che gli consenta l’opportunità di un nuovo progetto di
vita
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3. Nostro figlio ha sbagliato? L’impatto sulla famiglia
Intervista di Elena Buccoliero ad Alberto Urro
Da anni, in alcune scuole e a Promeco, offri consulenze educative
a genitori di adolescenti. Ti è successo di essere interpellato
all’indomani di una denuncia?
Solo una volta. Ricordo anche un’altra occasione ma sono stato
contattato tempo dopo la denuncia, era una questione che
riguardava i social network…
Perché questi genitori non arrivano in consulenza?
Credo per vergogna. Le persone limitano il più possibile il
racconto di questi accaduti e lo riservano all’avvocato, in termini
di difesa. È più una questione legale che di esperienza umana nel
vissuto genitoriale, difficilmente due genitori di un ragazzo
denunciato si recano in maniera autonoma da qualcuno a cui
consegnare un po’ questo problema. È come ammettere di essere
in difficoltà nella gestione emotiva di un problema così grave, così
importante.
Forse ti è successo, invece, di accogliere genitori preoccupati per
i rischi anche legali che il figlio o la figlia stavano correndo…?
Parecchie volte. Arrivano per un confronto su un comportamento
disfunzionale del figlio, difficile da gestire, poi capisco che la
reale preoccupazione è per le possibili conseguenze di quel
comportamento in un contesto esterno. Se un ragazzo spacca una
porta in casa, o è manesco con i genitori, loro spesso pensano che
in famiglia tutto si può are ma se le stesse cose le facesse con
degli estranei… Le ripercussioni legali preoccupano molto.
Qualche esempio di questi comportamenti?
Uso e spaccio di sostanze. Quando un figlio consuma sostanze,
molti genitori si chiedono come trovi i soldi, se è nel giro dello
spaccio. L’altro tema riguarda l’uso dei social network, il timore
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che il figlio faccia qualcosa di sbagliato… C’è anche tutto il
discorso delle sim card, che in caso di minori sono intestate ai
genitori, i quali hanno paura di andarci di mezzo. Poi i
comportamenti maldestri, violenti, che gli adolescenti a volte
tengono quando sono in gruppo. O in discoteca, o durante una
festa...
I genitori che percezione hanno di tutto il sistema che si occupa
dei reati minorili: forze dell’ordine, procura e tribunale per i
minorenni, servizio sociale…?
Quelli che io ho conosciuto erano assolutamente all’oscuro del
sistema e dei percorsi. Il servizio sociale è ancora visto come
quello che allontana i bambini maltrattati, non viene in mente
come strumento per un adolescente a rischio. Hanno presente le
forze dell’ordine e il tribunale per i minorenni ma in maniera
molto grossolana, come approccio punitivo. E molti genitori non
sanno che certi reati hanno degli automatismi, sono procedibili
d’ufficio per cui, anche senza denuncia, se succedono delle cose e
queste vengono a galla l’iter giudiziario è obbligatorio.
I genitori sono preoccupati, sì, ma per che cosa?
Per il futuro dei figli. Che vuol dire prospettive lavorative, magari
in particolari ambienti come l’esercito o le forze di polizia… In
generale, il timore che rimanga un marchio indelebile. Anche il
ricorso ai servizi sanitari trova lo stesso ostacolo, specialmente il
Sert.
Se proviamo noi, a entrare un po’ di più nel rapporto genitori-
figli, il primo tema mi sembra quello di educare alla
responsabilità.
Le famiglie tendono a stare molto in superficie nella relazione con
i figli, si accontentano o sono soddisfatte quando il figlio non dà
problemi a scuola: punto. Un’altra caratteristica frequente è
allontanarsi dalle situazioni di conflitto con i figli, senza capire
che nel conflitto si può stare, è possibile affrontarlo per cambiare
26
magari dei parametri dentro la famiglia. Capire, e far capire ai
figli, che fa parte della normalità dei rapporti profondi.
Il risultato è che molti ragazzi non hanno il termometro per
valutare i diversi gradi di approccio alla trasgressione. Insultare un
compagno, o scriverlo su Internet, o diffamarlo con una fotografia
umiliante, per loro è la stessa cosa, non riescono a vedere che cosa
attivano con queste modalità, che sono diverse. Manca quella
funzione di io ausiliario che il genitore deve avere, per un certo
periodo della vita del figlio, e che gli dice: attento, quella è una
cosa grave. C’è un silenzio quasi collusivo con i comportamenti
del figlio, fino a quando non fa qualcosa di veramente grave. E
che magari è difficilmente recuperabile o comunque lascia dei
segni.
Bisogna anche ricordare che l’educazione alla responsabilità non
incomincia a 14 anni, quando i ragazzi diventano imputabili…
Trasmettiamo ai figli l’idea che la loro esistenza e il loro modo di
essere è straordinario sempre. Li incitiamo fin da piccoli a fare
cose che sono in realtà dei compiti evolutivi spontanei, fisiologici,
ma vengono sottolineati come fossero elementi di assoluta unicità.
E questo da un lato dà un approccio positivo al mondo in termini
di intraprendenza, creatività, ma il versante opposto è che non dà
loro la coscienza che esistono dei limiti, dei confini, e che la tua
libertà deve necessariamente confrontarsi con la libertà degli altri.
In eccesso, porta ad un senso di onnipotenza che diventa difficile
gestire. Se tutti sono straordinari nessuno è ordinario, e la lotta
diventa sempre più accesa.
Un altro errore di tanti genitori è anticipare la domanda. Genitori
che soddisfano le richieste dei figli prima che loro le facciano
presente, cancellare la fatica di ottenere delle cose. Anche questo
crea un danno. Ricordo uno studente che ha tirato una bottiglia di
plastica piena d’acqua contro l’insegnante, spaccandogli il
computer, e quando è stato rimproverato ha risposto “Beh, cosa
c’è?, mi aveva fatto innervosire”. Non aveva acquisito la capacità
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di comprendere che quella azione danneggia l’altro, prima di tutto.
Ma se nessuno gliel’ha mai fatto capire, se quando il bambino
piccolo, in braccio, mette le dita negli occhi dell’adulto e l’adulto
ride… I bambini, e poi i ragazzi, hanno bisogno di essere aiutati a
capire che con le loro azioni possono danneggiare l’altro, non è
sempre festa. Ci sono conseguenze alle azioni, nel bene e nel
male. Anche nel bene.
Un ragazzino mi racconta che nel suo gruppo hanno istituito un
gioco, quello di spegnersi le sigarette sulle braccia e sulle gambe,
e la prima volta che qualcuno lo ha fatto con lui ha reagito con
uno sberlone.
Gli dico: E dopo?
Mi sono abituato e ho cominciato a farlo anch’io sulle braccia e le
gambe delle persone.
Ti pare che sia un gioco intelligente?
No, però è un gioco che si fa, ci può stare.
Parliamo di ragazzi di 13-14. Dirgli che può capitare la persona
che lo mena o che lo denuncia, diventa difficile se per lui è tutto
normale. Quando i genitori lo hanno saputo, erano preoccupati per
il braccio e non per questo aspetto, che è molto più importante.
Questa storia mi mette in luce anche un altro aspetto. Fino a che
punto un ragazzo può accettare di sottomettersi alla regola del
gruppo?
Bisogna pensare che i processi di inclusione sono sempre molto
ostacolati, tendenzialmente dagli adulti che forniscono strumenti
per allontanano l’integrazione, la conoscenza diretta dell’altro. Per
i genitori l’importante è che i figli stiano in casa, in condizioni
igieniche particolarmente attente e lontani dai pericoli. Se con gli
altri hanno rapporti virtuali va bene, purché non disturbino. Nel
momento in cui per fortuna – perché questa è una spinta sana – i
ragazzi vogliono confrontarsi in maniera reale nei gruppi, poi però
non hanno i rudimenti per farlo con coerenza, con adeguatezza. E
piuttosto che rimanere soli, o essere stigmatizzati dagli altri,
accettano il rito iniziatico.
28
Ma questi riti di iniziazione sono frequenti, secondo te?
No, non direi. Però mi capita spesso di avere a che fare con
ragazzi che hanno dentro molta rabbia non ascoltata, non
canalizzata, questo sì. E non è slegato dal discorso che facevamo.
Spesso è il motivo per cui ragazzi di questa fascia di età entrano in
contatto con i tutori della legge. Il reato, l’atteggiamento che può
essere sanzionato, è una rabbia che non è stata trattata con le
modalità più corrette, prima.
In questi giorni c’è stata una rapina a mano armata ad Argenta.
Hanno fermato un ragazzo di 13 anni.
L’età è sempre più anticipata.
Per questo c’è chi parla di anticipare anche l’età imputabile, cosa
che personalmente non ritengo utile.
Non serve a niente. Piuttosto bisogna alzare i livelli di confronto e
di crescita culturale nei contesti educativi incominciando dalla
scuola. Di queste cose si parla poco. E non credo funzioni, da
solo, l’ottimo lavoro, veramente ottimo, che le forze dell’ordine
stanno svolgendo in tanti istituti scolastici. Sono molto bravi ma
non basta. C’è bisogno di continuità, gli interventi degli esperti
devono essere ripresi da tutto il contenitore scolastico nel tempo,
nei mesi. Occorre lavorare a un concetto di legalità che è un
approccio culturale, cioè molto di più che osservare la legge.
La scuola come tratta le trasgressioni dei ragazzi?
In questi anni è cambiato il modello punitivo classico, della
sospensione. Adesso l’idea è trovare i mezzi educativi per tenere
le persone dentro all’istituzione scolastica, ed è un messaggio
molto importante: si può sbagliare.
Si può sbagliare e si può aggiustare quello che hai rotto, attraverso
un percorso.
L’ostacolo è sempre quello burocratico, la tempistica a volte è
molto lunga e si ripropone, in piccolo, un tema che riguarda anche
la giustizia penale minorile. A scuola bisogna riunire il consiglio
29
di classe, fare la proposta, poi c’è il diritto di ricorso… L’iter è
lungo, magari la sospensione con obbligo di frequenza e lavori
socialmente utili arriva venti, venticinque giorni dopo il fatto,
giorni in cui il ragazzino è rimasto in giro per la scuola a
raccontare o a fare determinate cose.
E poi manca, a volte, il monitoraggio attraverso il dialogo. Va
bene il lavoro socialmente utile, però per un ragazzino è
importante che abbia un riferimento, qualcuno che lo aiuta a
ragionare su quello che ha fatto e sul perché lo ha fatto. Altrimenti
i ragazzi eseguono ad occhi chiusi, come si accetta una punizione,
“Non lo faccio più”… fino a quando non capita di nuovo. In
alcune scuole dove sono presenti gli operatori di Promeco
abbiamo lavorato su questo, e durante il percorso di sanzione lo
studente segue anche un percorso di counselling.
Nella giustizia degli adulti c’è lo stesso problema. La persona
viene magari sanzionata ma non spinta a riflettere su ciò che ha
commesso, la pena è il prezzo da pagare ma capire cosa è
successo è un’altra cosa.
Coi ragazzi a scuola è lo stesso. Il primo atteggiamento è
l’adesione alla cieca: devo farlo e lo faccio. Nel tempo hai ragazzi
che riesci ad agganciare davvero e fanno ragionamenti anche
profondi. A scuola certe cose - il vetro rotto o l’atto di teppismo
dentro un bagno - non nascono mai dal nulla, non sono raptus. A
volte c’è una forma di protesta per qualcosa che è accaduto, a
scuola o fuori, e l’ambiente scolastico diventa una cassa di
risonanza. “Così i miei imparano”, per esempio. Oppure “Così
impara la profe a darmi sempre 5”. Spesso gli adolescenti
spiegano che se hanno sbagliato è stato per reazione ad una
ingiustizia. Il ragazzo che mi dice: “Quell’insegnante mi provoca,
ha detto che fin quando non studio mi dà cinque”.
D’altra parte, se non studia…
Sì, ma dirlo in questi termini per un adolescente è una sfida.
Invece l’insegnante che avvicina il ragazzo e lo consiglia su come
studiare, “domani ti sento e capisco a che punto sei, poi la
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prossima settimana ti interrogo e ti do il voto”, trova altre
reazioni. Quando qualcuno si dedica ai ragazzi la spavalderia
viene meno.
Sì. Ma non sarà ricadere in quella specie di infinito maternage, di
troppa tutela, per cui i ragazzi non si accorgono mai di avere dei
limiti?
Penso sempre non ad un maternage ma ad un paternage.
Un’attenzione che viene data ma con un’autorevolezza molto
forte. Far capire che l’altro ti sta osservando, ti sta tutelando, ti
riesce a sostenere comunque, ma non te ne risparmia neanche una.
Un modello che è affettivo ma è anche punitivo, perché no? I
ragazzi questo lo accettano. L’insegnante o il genitore autorevole
può tranquillamente togliere delle libertà all’adolescente senza
ricevere rimostranze eccessive perché agisce con autorevolezza,
con coerenza. Quando è così, difficilmente gli adolescenti alzano
nuovamente la cresta, anzi ti cercano. L’adulto che ha il coraggio
di dire che “la famiglia non ha una struttura democratica”
(Minuchin), che è lui al timone, con tutto ciò che ne consegue,
compresa la responsabilità di sentire i suoi passeggeri lamentarsi
per il suo modo di guidare. “Però sono io che guido e non posso
far finta che non sia così. Posso fermarmi se ci sono delle
necessità ma sono io che guido, il mio stile è quello”.
Difatti ho spesso la sensazione che la giustizia minorile assolva
verso gli adolescenti una funzione paterna. Tu che padri vedi?
Vedo padri in difficoltà. Che a volte non hanno acquisito
autorevolezza nella relazione con i figli. Magari hanno speso di
più sul versante della professione, della realizzazione personale
piuttosto che della realizzazione come padri.
Vedo padri che hanno voglia di mettersi in discussione e lo fanno
però forse un po’ tardi, difficile cominciare a 50’anni, con i figli
già adolescenti. Esiste un tempo per ogni cosa, anche la messa in
discussione del proprio essere padri probabilmente deve avvenire
nel tempo, in una crescita parallela a quella dei figli.
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Vedo padri che hanno bisogno di capire la differenza tra
l’accompagnamento di un bambino di 5-6 anni in palestra o a
scuola e l’accompagnamento virtuale, non fisico, di un ragazzo di
16 quando ha le sue attività, e tu sei chiamato a dargli lo zainetto,
prima che esca di casa, con dentro gli strumenti giusti per stare nel
mondo. È un passaggio molto delicato e non lo si fa da un giorno
all’altro. Acquisire autorevolezza è un processo che si sviluppa
nel tempo, non si comincia ad essere padri quando i figli sono
adolescenti.
Il fatto è che anche i peggiori papà vengono richiesti dai figli. Dai
9-10 anni in poi il padre è un punto di riferimento affettivo
importantissimo, anche quando i padri se lo meritano poco. Al
figlio non arriva questo, arriva il padre ideale, quello immaginato.
E allora ci sono le mamme che suppliscono… Tutto un mondo
tenero, complicato.
Si possono pensare degli “esercizi di empatia”? Di fronte alla
violenza io penso sempre che sia mancato un po’ di allenamento a
capire che ci sono anche gli altri.
Prima di tutto bisognerebbe cercare formule burocratiche più
snelle in modo che tutti i ragazzi facciano un’esperienza, parallela
alla scuola, di volontariato o di lavoro, in contesti dove realmente
si sentono utili ma sentono anche la fatica di fare le cose. Le
cucine della Caritas per esempio… Non sempre il front office che
a volte è eccessivo, ci vuole anche una certa maturità per capirlo,
però possiamo chiedere ai ragazzi delle fatiche, che poi si
realizzano in attenzioni verso i tuoi simili. Dare il senso di
costruzione delle cose per potenziare la parte positiva e diminuire
i fattori di rischio di quegli aspetti un po’ narcisistici e un po’
leggeri che gli adolescenti hanno anche fisiologicamente.
L’altra condizione sta nell’approccio educativo della famiglia.
Creare con i figli una relazione profonda, non svilire quello che
loro ci portano e che a seconda delle età può assumere una
dimensione diversa. A volte a loro sembrano drammatiche cose
che noi reputiamo sciocchezze ma trattarle come sciocchezze non
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è corretto, e come non riconoscere ai ragazzi l’importanza che
hanno. Oggi passano dai riflettori puntati addosso per tutto quello
che fanno alla non esistenza. È un processo che crea danni.
Abituarli ad avere una giusta attenzione li fa crescere con una
certa autonomia, coraggio per le cose, e allo stesso modo capire
quanto è faticoso il percorso di crescita, e quanto è gratificante.
I ragazzi sono capaci di impegnarsi moltissimo quando hanno un
obiettivo che per loro conta, quando si riconoscono in un progetto.
La fatica sono capaci di farla, dipende dalla funzione che gli
attribuiscono, dalla visione del gruppo. Sta agli adulti sapergli fare
delle proposte di crescita impegnative e gratificanti, per dar loro la
giusta misura di quanto sono importanti nel contesto sociale. Un
contesto che invece, in questo momento, li tiene alla finestra, li fa
spettatori.
La simulazione dell’ottobre 2014 credo sia stata la tua prima
occasione per assistere ad un processo penale minorile. Che
impressione ti ha dato?
Sono rimasto colpito dalla attenzione con la quale sono state fatte
le cose. Avevo un’immagine un po’ superficiale del processo, non
avrei mai immaginato di trovare magistrati e operatori che si
occupano di legalità nella realtà, in un modo così attento. Ho
sentito un senso di autorevolezza istituzionale che da fuori non
percepivo. Credo che il problema drammatico per la giustizia sia
semmai la tempistica con cui vengono fatte le cose, non le
capacità delle persone.
E come è stato per te fare il padre dell’imputato?
Ho sentito forte il senso di inadeguatezza di un adulto tutto
concentrato su se stesso, quando in realtà, nel momento in cui hai
dei figli, i tuoi pensieri cambiano, per forza. Non nel senso che
non esisti più, ma che esisti in un sistema di relazione più
complicato. Di cui non puoi fare a meno, perché è un dato di fatto
e perché non vorresti starne fuori, se sei consapevolmente
genitore.
33
Lo sforzo di entrare nel mio personaggio mi ha fatto proprio
pensare a quanta inadeguatezza c’è in tanti adulti. Senza per forza
toccare aspetti legali, pensavo a quanto nel quotidiano noi adulti
possiamo essere criminosi nelle nostre disattenzioni quotidiane
verso gli adolescenti. Abbiamo un pensiero per noi, prima di tutto.
Di fare bella figura, di far vedere agli altri che siamo stati capaci
di tirar su dei bravi figli, che rispondono a caratteristiche standard,
e in questo modo calpestiamo realmente la loro unicità… che
abbiamo tanto sbandierata negli anni in cui la potevamo
controllare, la loro unicità.
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4. Come interviene il Servizio Sociale con i minori autori di
reato?
di Valentina Dei Cas
Nei casi di coinvolgimento in dinamiche di tipo penale di
minorenni residenti nei Comuni di competenza, il Pubblico
Ministero ha bisogno di una indagine sulla personalità e sul
contesto di vita del minore. La delega al servizio sociale, che è in
prima istanza l’Ufficio Servizio Sociale Minori (USSM) afferente
al Dipartimento e al Centro di Giustizia Minorile (per tutta
l’Emilia Romagna il riferimento è l’USSM di Bologna), il quale
chiede la collaborazione del Servizio Sociale territoriale (quello di
Ferrara, Copparo, Cento… ecc.).
Quando la Procura lo richiede, può essere attivato anche il
servizio pubblico di psicologia che svolge una funzione peculiare,
non terapeutica ma di prima valutazione della personalità del
minore.
Il codice del processo penale minorile identifica chiaramente
l’USSM quale diretto responsabile della completezza e della
qualità dell’accompagnamento del minore in tutte le fasi del
percorso penale, anche qualora l’Ufficio si avvalga della
collaborazione dei servizi territoriali, tanto per la parte di
valutazione sociale quanto per quella di valutazione psicologica.
Tali servizi, per la loro vicinanza alle persone e per la conoscenza
delle dinamiche sociali dei contesti di provenienza e azione,
rappresentano tuttavia attori fondamentali del processo
d’intervento.
Conoscere il ragazzo e la sua famiglia
Il Servizio sociale assolve prioritariamente a una funzione di
conoscenza del minore e della sua famiglia. In questo senso,
attraverso colloqui, visite domiciliari e altre verifiche (p.e. a
scuola o con altri enti e agenzie che a vario titolo hanno
conoscenza del ragazzo), si acquisiscono elementi circa le
35
condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del
minore per consentire all’Autorità giudiziaria di accertarne
l'imputabilità e il grado di responsabilità, di valutare la rilevanza
sociale del fatto nonché di disporre adeguate misure penali e
adottare eventuali provvedimenti civili (art. 9 DPR 448/88).
Qualora la situazione sia già nota o in carico, il Servizio invia
altresì un’informativa generale rispetto agli interventi già svolti o
in corso.
Con le informazioni raccolte, in un tempo dato (solitamente da 1 a
3 mesi), il Servizio Sociale invia all’USSM e alla Procura una
relazione che ripercorre la storia passata e la situazione presente
del ragazzo sul piano sanitario, psicologico, sociale, scolastico,
con l’evidenziazione di eventuali fattori di rischio attuali o in
prospettiva e significativi indici di malessere. Le aree solitamente
analizzate sono il contesto sociale, la storia personale del minore e
dei genitori, le relazioni familiari. Oltre alle ipotesi di correlazione
tra comportamenti a rilevanza penale e aree di fragilità, in
un’ottica proattiva e funzionale alla costruzione di un progetto
sensibile all’individualità del minore, si cerca altresì di riferire
informazioni anche in merito alle risorse personali, relazionali e ai
punti di forza e resilienza osservati o parzialmente osservabili.
Riflettere sul reato commesso
Sebbene il Servizio Sociale sia chiamato a concentrarsi sulla
conoscenza del minore, non bisogna dimenticare che l’intervento
non sarebbe mai iniziato se non ci fosse stata una condotta
riconosciuta e valutata in qualche senso offensiva di un diritto
individuale o collettivo, o comunque problematica. Il lavoro
d’indagine si accompagna allora a quello di costruzione di uno
spazio relazionale tra minore, famiglia e operatore che possa
fungere da primo luogo di rielaborazione, presa di coscienza delle
proprie responsabilità e opportunità educativa.
In questa prospettiva i nodi più significativi dell’intervento sono:
a) muoversi attraverso le narrazioni degli eventi da parte dei
soggetti in scena (il minore, i genitori, eventuali minori
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coimputati); b) avviare un processo d’identificazione e di
riconduzione degli agiti (p.e. un pugno, la sottrazione di un
cellulare) a categorie penali specifiche (p.e. lesione personale,
furto), che spesso è di difficile gestione per i minori che arrivano a
colloquio.
In questo senso, obiettivo importante è creare una sinergia tra i
diversi interlocutori adulti che a vario titolo affiancano il minore
autore di reato. Partendo dall’idea che il fine e al contempo il
mezzo che contraddistingue il percorso penale minorile è
l’educazione alla responsabilità – verso gli altri, verso la società,
verso se stessi – le figure che accompagnano e orientano questo
percorso (l’operatore del Servizio Sociale, l’assistente sociale
dell’USSM, il genitore, l’avvocato) contribuiscono, ognuno con la
propria specifica competenza, alla decodifica di avvenimenti,
circostanze e comportamenti e alla promozione di un
cambiamento positivo nel ragazzo.
Se un punto di vista tecnico-legale può aiutare a sostenere la
riflessione in merito al “Che cosa è successo? Come lo chiama la
legge?”, la specifica competenza del Servizio Sociale si sviluppa
nel trovare tra le pieghe della vita, delle esperienze, dei
funzionamenti osservati, elementi che possano aiutare a
comprendere e narrare il senso di quello che è accaduto (“Perché
è successo?”) per avviare un processo evolutivo, individuale e di
contesto, successivo.
Rilevando inoltre che i tempi processuali sono spesso diluiti e
difficilmente determinabili a priori, il Servizio Sociale può
operare in senso preventivo e anticipatorio – ma coordinato con il
referente USSM titolare del caso – sulla base della fiducia aperta
con il minore e la famiglia, instaurando un rapporto di
collaborazione e impostando un lavoro socio-educativo di
continuità a quello dell’indagine.
Ulteriori interventi del Servizio possono essere organizzati a
sostegno del minore in funzione delle misure disposte in fase di
giudizio, soprattutto qualora sia ordinata la sospensione del
processo e valutata l’idoneità della messa alla prova. Nello
37
specifico, il Servizio Sociale co-opera, a fronte delle osservazioni
e delle valutazioni compiute, al fine di: a) impostare gli obiettivi
del progetto d’intervento creato ad hoc sulla situazione e sul
minore; b) reperire e mettere in rete contesti, risorse materiali e
umane utili allo svolgimento del progetto; c) monitorare
l’andamento del progetto attraverso momenti di verifica con i
riferimenti del territorio, con la famiglia e con il ragazzo
appurando che gli impegni assunti siano rispettati; d) valutare in
itinere la praticabilità del progetto, eventualmente proponendo
adattamenti utili alla conclusione positiva della prova.
I dati più recenti nel territorio di Ferrara
Volendo concludere con alcuni dati sulle prese in carico recenti,
nell’anno 2015 il Servizio Sociale Minori dell’ASP di Ferrara ha
ricevuto dall’USSM di Bologna 36 richieste di collaborazione –
circa il doppio rispetto all’anno precedente – per minori imputati
di reato. Tra di essi 19 italiani (16 maschi e 3 femmine) e 17
minori con cittadinanza non italiana, tutti maschi. In merito alla
tipologia di reato contestato, appare prevalente quello contro il
patrimonio (rapina), seguito dai reati contro la persona (lesioni
personali volontarie e ingiuria).
Nel primo semestre del 2016 si sono contate 17 nuove istanze di
indagine equamente suddivise tra minori italiani e stranieri. Sul
totale, 11 segnalazioni riguardano femmine, 6 quelle sui maschi. È
confermata la prevalenza di furti e lesioni personali, anche se
numericamente rilevanti emergono le violazioni delle disposizioni
in materia di stupefacenti.
Più difficile è invece offrire un panorama di sintesi sugli esiti
finali dei percorsi processuali, i quali spesso si prolungano negli
anni, ben oltre la minore età.
38
5. L’avvocato difensore e il suo rapporto con il ragazzo di Roberto Casella
Il diritto di difesa
Il diritto di difesa rientra tra i diritti inviolabili dell’uomo ed è
costituzionalmente garantito dall’art. 24.
Tale articolo è inserito nella I parte della nostra Costituzione, dove
rientrano e sono garantite le diverse forme di libertà; la tutela
giurisdizionale viene sancita con le parole “tutti possono agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.
La chiarezza della Carta costituzionale a riguardo è emblematica:
in questo caso infatti non si riferisce ai soli cittadini, come
avviene per altri diritti costituzionali, ma quel “tutti” sta proprio
ad indicare l’estensione del principio a qualsiasi soggetto che
necessiti di vedersi riconosciuta la tutela di un diritto garantito.
La Corte Costituzionale sottolinea, infatti, come il diritto alla
tutela giurisdizionale vada considerato tra “i principi supremi del
nostro ordinamento costituzionale, in cui è intrinsecamente
connesso – con lo stesso principio democratico – l’assicurare a
tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un
giudizio”.
Quando si tratta di un minore tale principio necessita di essere
particolarmente tutelato e in un quadro così delicato si inserisce la
funzione essenziale del difensore.
Quest’ultimo, infatti, deve assicurare la difesa tecnica, fornendo il
miglior contributo possibile in considerazione dell’estrema
delicatezza degli interessi da tutelare; inoltre deve dimostrare
massima attenzione e professionalità in quanto, a differenza del
processo ordinario che prevede solo alcune soluzioni processuali,
nel caso del processo minorile, le possibilità sono ben 14.
La relazione personale tra il ragazzo e il suo avvocato
Il rapporto col ragazzo è lasciato alla sensibilità personale
dell’avvocato.
39
Come in tutte le professioni così come in tutti i rapporti sociali,
l’empatia, la delicatezza nell’ascolto, la correttezza e chiarezza dei
ruoli, risultano fondamentali per instaurare un rapporto proficuo.
Non a caso si parla di difensore di fiducia dove, al di là del fatto
che è incaricato direttamente dalla persona (mentre il difensore di
fiducia è assegnato dall’Autorità Giudiziaria), la locuzione “di
fiducia” assume un significato particolare.
Il ragazzo che entra nell’ingranaggio processuale solitamente è
molto smarrito, come disorientati e spaventati sono i suoi genitori,
soprattutto se il minore viene arrestato e condotto in carcere.
Lo smarrimento e la paura sono i sentimenti prevalenti con cui il
difensore deve confrontarsi entrando in quello spazio emozionale
fin ad allora inviolato. Il suo ruolo gli impone di chiarire da subito
le varie fasi del procedimento a carico del minore, per poi cercare
assieme alla famiglia, se collaborativa, la via d’uscita più
favorevole per il ragazzo.
Tengo a precisare che per “favorevole” non si intende l’impunità,
bensì la risoluzione che consente al minore di intraprendere un
reale e concreto processo di crescita.
Il coinvolgimento dei familiari
Nel rapporto con il minore è impossibile prescindere dalla sua
famiglia.
I genitori del ragazzo o le figure familiari a lui più vicine vivono
sicuramente forti disagi. Non si interrogano solo sui possibili esiti
del processo, spesso il trauma dato dalla notizia di reato innesca
emozioni negative quali rabbia, frustrazione e delusione, insieme
ad un senso di inadeguatezza e di fallimento della propria
funzione genitoriale.
Noi avvocati difensori non disponiamo di alcuno strumento per
fronteggiare queste dinamiche, per cui non dobbiamo mai
intervenire su questo fronte che professionalmente non ci
compete. Possiamo però cercare di ridimensionare e arginare,
quando è possibile, queste manifestazioni estreme di vulnerabilità,
rabbia e sconforto, apportando delucidazioni in ambito tecnico e
40
legale sul percorso giudiziario al quale si sta andando incontro ed
invitando tutti, il minore in primis, alla massima collaborazione
durante l’iter processuale.
Non bisogna mai lasciarsi coinvolgere emotivamente, sebbene
risulti molto difficile e se ciò dovesse accadere, dobbiamo tener
presente che non dev’essere mai l’emozione a determinare le
scelte difensive ma l’oggettiva valutazione della responsabilità,
quando sussiste.
Il nostro “cliente” è il minore, non la sua famiglia e le sue
emozioni.
C’è sempre un motivo
La devianza ha sempre una ragione: a volte la si riscontra nel
passato, altre volte ancora nel presente del ragazzo.
Il processo deve essere visto e vissuto dal minore come
un’occasione di riscatto.
Il compito del difensore è garantire il diritto di difesa attraverso il
quale il ragazzo può tutelare anche la propria identità, la propria
crescita personale. Si attua pure così quel principio di protezione
dei minori previsto dalle Nazioni Unite nella Dichiarazione dei
diritti del fanciullo.
41
6. Come si svolge il dibattimento penale minorile
di Benedetta Bertolini
Il dibattimento è la fase centrale del processo penale, quella
durante la quale si acquisiscono le prove sulla cui base il giudice
prenderà la sua decisione.
Chiusura delle indagini preliminari
Alla fine delle indagini preliminari, durante le quali il Pubblico
Ministero, aiutato dalla polizia giudiziaria, raccoglie gli elementi
di prova a carico dell’indagato (non le prove vere e proprie ma il
materiale investigativo), si prospettano due strade.
Se il PM ritiene che la notizia di reato sia infondata, e che cioè
non vi siano sufficienti elementi d’accusa a carico del minore
indagato, oppure se sono presenti altre cause stabilite dalla legge
per cui il procedimento non deve andare avanti, richiede
l’archiviazione del caso. Se al contrario ritiene siano sussistenti i
presupposti per iniziare il processo e di aver raccolto elementi di
prova sufficientemente consistenti, esercita l’azione penale tramite
un provvedimento denominato “richiesta di rinvio a giudizio”.
L’udienza preliminare
A questo punto, di norma, viene celebrata un’udienza cosiddetta
“filtro”, ovvero l’udienza preliminare, durante la quale il tribunale
per i minorenni controlla, sulla base degli atti d’indagine
presentati dal pubblico ministero e delle eventuali indagini
difensive, che vi siano effettivamente i presupposti per intentare il
processo contro l’imputato minorenne.
All’udienza, che per tutti i ragazzi dell’Emilia Romagna si svolge
presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna, sono presenti tre
giudici minorili che in questo caso non indossano la toga.
Riconosciamo un magistrato che presiede l’udienza e due giudici
onorari, un uomo e una donna, esperti in materie umanistiche
quali la psicologia, la criminologia, la pedagogia e via dicendo. Il
42
magistrato e i due onorari lavorano insieme per valutazione i fatti
e la personalità dell’imputato. Insieme a loro è pure presente
l’avvocato difensore, il Pubblico Ministero e il servizio sociale. Il
minore imputato è sempre convocato, e può scegliere se essere
presente o lasciare che la sua difesa sia affidata all’avvocato. Sono
sempre invitati anche i genitori o il tutore del ragazzo.
Per la verbalizzazione e la documentazione di quanto avviene
durante l’udienza sono infine presenti il cancelliere ed
eventualmente il tecnico addetto alla fonoregistrazione.
L’udienza preliminare può essere anche il luogo in cui il
procedimento trova la sua conclusione, in forza di uno degli esiti
anticipati previsti dal codice. Se invece il procedimento non si
chiude neppure in fase di udienza preliminare, si arriva alla fase
del dibattimento.
Il vero e proprio dibattimento
Si tratta, come detto, del momento centrale del processo penale. In
esso i soggetti coinvolti, pubblico ministero e imputato con il suo
difensore, ad armi pari possono dimostrare le proprie ragioni ai
giudici.
Gli attori del dibattimento sono all’incirca gli stessi dell’udienza
preliminare: tribunale, difensore, pubblico ministero, servizio
sociale, cancelliere. Ancora una volta l’imputato è convocato e
può scegliere se presenziare o meno, e insieme a lui sono invitati i
genitori o il tutore. In questo caso il tribunale è composto da
quattro giudici, due magistrati e due giudici onorari, e tutti
indossano la toga.
Il dibattimento minorile può articolarsi in diverse udienze, a
seconda della complessità del procedimento. L’imputato può
scegliere se essere presente o meno.
Oltre alle persone indicate nessun altro può assistere all’udienza,
trattandosi di udienze tendenzialmente (ma, anche qui, sono
possibili eccezioni) a porte chiuse.
43
Il principio del contraddittorio
La particolarità del dibattimento sta nel fatto che i giudici non
conoscono e non hanno la disponibilità del materiale raccolto dal
Pubblico Ministero o dall’avvocato difensore durante le loro
indagini. I giudici sanno di che cosa è accusato l’imputato e poco
altro, mentre non possono sapere, salvo per alcune eccezioni,
quali elementi di prova sono stati raccolti (ad esempio quello che
l’imputato o altre persone hanno dichiarato agli inquirenti).
Questa stranezza ha una ragione ben precisa e discende dal
principio fondamentale che la nostra Costituzione prevede in
materia di processo penale. Il principio del contraddittorio (art.
111 Cost., comma 5) sancisce che le prove sulle quali il giudice
fonda la sua decisione si debbano formare davanti a lui stesso in
una sorta di dialogo tra accusa e difesa, le quali devono avere le
stesse possibilità di dimostrare come sono andate le cose dal loro
punto di vista.
Se il giudice potesse leggere tutto il materiale investigativo, il suo
pensiero ne risulterebbe fortemente influenzato. Per preservare
allora l’imparzialità dei giudici, la Costituzione ha stabilito che
tutte le prove, salvo casi eccezionali espressamente previsti,
devono materialmente formarsi davanti a loro ad opera delle parti.
L’ammissione delle prove, le testimonianze
Dopo una fase introduttiva, in cui si verifica la regolarità della
costituzione delle parti e si affrontano eventuali questioni
preliminari, si dà avvio alla fase istruttoria.
Accusa e difesa introducono ciascuna, secondo le regole stabilite,
le proprie prove, le quali possono essere precostituite, come quelle
documentali (referti medici della vittima, analisi chimiche dello
stupefacente sequestrato al giovane spacciatore, ecc.), e che quindi
vanno semplicemente presentate e consegnate ai giudici, o
costituende. Queste ultime si formano direttamente in udienza,
davanti ai giudici, ad opera delle parti. È ciò che avviene con tutte
le prove orali, come la testimonianza, prova principe del
dibattimento.
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Il testimone si presenta in udienza, gli vengono poste domande sia
dall’accusa che dalla difesa, e ad entrambi è tenuto a rispondere
secondo verità. È il metodo della “cross-examination”, che
permette la massima obiettività del giudice nel valutare.
Prima di rendere la propria testimonianza l’invitato presta
giuramento di dire la verità e non nascondere nulla di quanto a sua
conoscenza e viene avvisato che la falsa testimonianza costituisce
reato. È una posizione molto difficile, soprattutto per un
minorenne che abbia un legame di conoscenza personale con
l’accusato o con la vittima del reato. È importante comprendere
che in quel momento l’amicizia (o la soggezione) passa in
secondo piano rispetto al valore di prestare un servizio alla
giustizia nella ricostruzione dei fatti.
L’interrogatorio dell’imputato
L’apporto conoscitivo del minore accusato del reato si ottiene
tramite uno strumento diverso, l’esame dell’imputato. A
differenza del testimone, l’imputato può infatti decidere se
rispondere alle domande o meno, e anche quando accetta di
rispondere non è tenuto a farlo secondo verità, in forza del
principio per cui nessuno può essere costretto ad autoaccusarsi.
Le domande all’imputato, se minorenne, vengono poste dal
giudice che presiede il collegio, e non dalle parti, anche se queste
ultime, insieme agli altri giudici, possono proporre ulteriori
quesiti.
Altre prove
Numerose sono le altre prove che possono essere assunte in
dibattimento: le perizie, apporti conoscitivi ad alto contenuto
tecnico affidati dal giudice a soggetti esperti (è il caso, ad
esempio, di uno psichiatra che deve valutare la capacità di
intendere e di volere dell’imputato), i confronti (operati fra
dichiarazioni discordanti), le ricognizioni (ovvero i
riconoscimenti) di persone o di cose, e gli esperimenti giudiziali,
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che consistono nella riproduzione di una determinata situazione
per verificarne dal vivo gli effetti e le modalità di svolgimento.
La discussione finale, la sentenza
Terminata l’acquisizione delle prove vi è la discussione finale.
Ciascuna parte – Pubblico Ministero e avvocato difensore –
espone in modo ordinato e approfondito la propria visione dei
fatti, alla luce di quanto emerso durante l’istruzione probatoria e
delle deduzioni ricavate.
A seguito della discussione, il collegio lascia l’aula e si ritira in
camera di consiglio. Lì i giudici, togati e onorari, si confrontano
su quanto rilevato durante l’udienza, formano il proprio
convincimento e giungono alla sentenza. Tale decisione può
assumere vesti molto diverse, e gli strumenti che sono a
disposizione del giudice vanno ben oltre la classica, e ben nota,
alternativa tra sentenza di assoluzione e sentenza di condanna.
Di nuovo in aula dibattimentale, il presidente dell’udienza legge ai
presenti il dispositivo della sentenza, cui seguirà per esteso la
pubblicazione delle motivazioni, ovvero la narrazione di quanto è
emerso nel processo e di come i giudici sono arrivati alla loro
decisione.
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7. Qual è il posto della vittima?
di Elena Buccoliero
Il procedimento penale lascia poco spazio alle vittime del reato.
Questo è vero nei processi agli adulti ed anche in quelli ai minori.
Per sua natura tutta l’impostazione processuale è tesa ad accertare
dei fatti, la vittima vi compare al più come testimone e poco
importa se per lei è facile o difficile ricordare l’accaduto: deve
rispondere alle domande, farlo in modo completo, sincero,
dettagliato, credibile. Deve soddisfare esigenze che in quel
momento potrebbero non essere le sue.
Eppure nella gran parte dei reati – e certo nella maggioranza di
quelli commessi dagli adolescenti – il processo non si farebbe, se
non ci fosse una vittima. Qualcuno, cioè, che si è sentito leso dal
comportamento altrui e che ha voluto sporgere denuncia, chiedere
aiuto, rimettere nelle mani della giustizia il compito di appianare
quel conflitto, lenire quella ferita. Qualcuno che molto spesso è a
propria volta un minore.
Non è facile, per un adolescente, sporgere denuncia e lo è ancor
meno ritrovarsi a testimoniare di aver subito, magari dopo anni e
quando ha ripreso quel po’ di rispettabilità per cui non
ammetterebbe mai di averle prese. In dibattimento ho visto
giovani orgogliosi arrivare quasi a scagionare chi li aveva
pesantemente aggrediti solo per non ammettere di essere stati
soverchiati dall’altro.
Non è facile raccontare neppure quando sussiste un legame tra reo
e parte lesa, perché tra loro è in atto una relazione amicale, o
affettiva, o sessuale, o di vicinato. Perché nell’aria o sul web
corrono messaggi a metà, richieste di riconciliazione o, invece,
minacce, intimidazioni pesanti.
Un ragazzo in un processo ebbe il coraggio di dirlo, che dalla
finestra della piccola stanza dove era - si fa per dire - isolato, il
suo aggressore l’aveva visto passare e l’aveva fissato negli occhi
47
passandosi il pollice sotto la gola, gesto molto eloquente per
pretendere silenzio. In quel caso l’intimidazione non ha
funzionato e il Pubblico Ministero, saputa la notizia, ha aperto
seduta stante un nuovo procedimento a carico dell’imputato,
proprio per aver cercato di intimidire un testimone. Altre volte
forse qualcosa è andato a segno e noi non ce ne siamo neppure
accorti, tranne picchiare ostinatamente contro un muro di “non mi
ricordo”.
Non è facile neppure dare parola alla vittima. Noi del Tribunale
per i Minorenni di Bologna, quando abbiamo immaginato il
processo simulato, non l’abbiamo fatto e nemmeno ce ne siamo
accorti, se non tardivamente e per l’osservazione di altri. La nostra
vittima è in coma, non può dire nulla di sé. I suoi genitori non
sono stati convocati. Il dolore che si respira è quella dell’imputato,
un giovane sfortunato visti i genitori che si ritrova. Della ragazza
in coma ci ricorda il Pubblico Ministero ma resta una figura di
sfondo.
Eppure, è bene ribadirlo nuovamente, buona parte dei processi che
si celebrano verso minori autori di reato non avrebbero neppure
un senso, se non ci fosse una vittima. E la giustizia non può
eludere la domanda di giustizia che è presente nell’atto stesso di
sporgere querela. Il Tribunale per i Minorenni - e con lui tutti gli
attori della giustizia minorile - se ne ricordano nei modi consentiti
dalla procedura: con modalità di ascolto attente nell’immediatezza
dei fatti come in udienza, e favorendo ogni volta che è possibile
percorsi di mediazione penale nei quali l’incontro reo-vittima ha,
per noi, la funzione di ridare parola là dove la violenza ha azzerato
ogni possibile comunicazione.
La realtà, poi, per come è possibile che affiori durante un
dibattimento, dice molto di più. Dice di come in tanti casi i
ragazzi – reo e vittima - in modo autonomo, e molto prima che si
celebri il processo, cerchino di riprendere un dialogo anche oltre
ogni nostra immaginazione, ad es. dopo una violenza sessuale, ma
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dice anche di come sia difficile chiedere scusa, e di come tanti
giovani imputati, sostenuti dai genitori e da avvocati compiacenti,
cerchino l’impunità ad ogni costo, calpestando bellamente ogni
diritto della vittima all’emersione della verità. E ciò nonostante la
procedura minorile consenta fuoriuscite dal percorso penale molto
più onorevoli – ad es. con l’ammissione dei fatti e una buona
messa alla prova - senza per questo macchiare la propria fedina
penale, per dirla con parole che i ragazzi imparano nei film e
ripetono volentieri.
Tra tanti casi, il più atroce che ricordo riguarda un gruppo di
ragazzi che abbiamo condannato per aver dato fuoco a tutti gli
averi di un barbone, certo pensando che in quel giaciglio ci fosse
anche lui. Era stato un gesto di emulazione (pochi giorni prima in
un’altra città loro coetanei erano riusciti nell’omicidio) concluso
fortunatamente senza ferite per nessuno, ma la condanna
l’abbiamo pronunciata lo stesso e non è piaciuta ai genitori, ai
nonni riuniti per l’occasione. Ci hanno insultato, sindacalisti
convinti, mentre uscivamo dall’aula e “tante storie per una
ragazzata”, solo la stanchezza e l’ora tarda ci hanno dissuaso dal
perseguirli per oltraggio.
Chiudo ricordando quante vittime ho incontrato tra gli imputati.
Le relazioni sociali che inquadrano la situazione personale e
familiare dei ragazzi restituiscono quadri quasi sempre
difficilissimi, densi di sofferenza, grevi di abbandoni, violenze,
abusi, incomprensioni, non ascolto, e in non pochi casi anche
povertà economica, degrado sociale. Ragazzi che hanno
commesso violenze, che altre ne hanno subite e per i quali diventa
molto importante trovare il modo di tessere un dialogo su che cosa
significhi fare giustizia. Importante per noi, per dare senso al
nostro lavoro, e – forse, spero – importante anche per loro, che
saranno maggiorenni tra un soffio ma hanno ancora tanto da
imparare.
Che poi se ci ripenso, agli incendiari, erano vittime anche loro.
Con genitori e nonni di quella risma, che altro possono essere?
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8. Esiti possibili del processo minorile: irrilevanza del fatto,
perdono giudiziale, messa alla prova… e tutto il resto.
di Benedetta Bertolini
Sono molti gli esiti possibili di un processo penale minorile
previsti dalla legge.
L’assoluzione
Il procedimento può innanzitutto concludersi con una sentenza
liberatoria per l’imputato; può cioè essere emessa una sentenza di
proscioglimento (artt. 529 ss. c.p.p.), che si differenzia a seconda
che si tratti di una sentenza di non doversi procedere (per tutti i
casi in cui l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita,
dunque per ragioni tendenzialmente di natura processuale), oppure
una sentenza di assoluzione (quando il fatto non sussiste,
l’imputato non lo ha commesso, non costituisce reato o non è
previsto dalla legge come reato, è stato commesso da persona non
imputabile o non punibile per altra ragione, quando manca, è
insufficiente o contraddittoria la prova della colpevolezza e
quando è presente una causa di giustificazione tra quelle normate
dalla legge).
Una sentenza dall’intento educativo
Se al contrario viene riconosciuta la penale responsabilità
dell’imputato, diversi sono gli esiti con cui può concludersi il
procedimento minorile. Essi traducono in concreto l’intento
educativo e l’attenzione a una personalità ancora in formazione,
tentando con diverse alternative di instradare il minore sulla via
della legalità, in modo costruttivo e quanto meno invasivo
possibile. Ciò non significa che il procedimento non possa
concludersi con una condanna alla pena detentiva. Si tratta però
dell’ultima soluzione a cui il giudice debba addivenire, dovendo
privilegiare qualsiasi altro esito fintanto che sia praticabile e utile
per il minore (regola del carcere come extrema ratio).
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Alcune delle modalità di definizione del procedimento sono
specificamente previste per il solo processo a carico di imputati
minorenni. Si tratta in particolare del perdono giudiziale, della
sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e della
sospensione del processo con messa alla prova (seppure di questi
ultimi due sono stati creati recentissimamente, nel 2014, istituti
analoghi anche per il rito ordinario). La sospensione del
procedimento con messa alla prova, che prima di portare a un
epilogo del processo ne devia il corso su di un binario parallelo, è
oggetto di analisi in un diverso contributo del presente libretto, e
ad esso si rimanda per un approfondimento.
L’irrilevanza del fatto
La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art.
27 D.P.R. 448/88) viene emessa per minori che abbiano
commesso occasionalmente un reato, la cui offensività viene
ritenuta minima. I giudici arrivano a questa conclusione valutando
anche la generale regolarità del percorso di vita dell’imputato,
rispetto alla quale il reato rappresenta una momentanea
deviazione.
Presenti questi elementi - occasionalità e tenuità del fatto -
l’ordinamento ritiene che la persecuzione penale del reato, che
pure è stato commesso, possa creare nel percorso educativo del
minore più danni che benefici. Il giudice può allora emettere una
sentenza di non luogo a procedere, conclusiva del processo, per
irrilevanza del fatto, sentenza che peraltro può richiedere anche il
Pubblico Ministero in fase di indagini preliminari.
Il perdono giudiziale
Il perdono giudiziale costituisce un’altra delle conclusioni
possibili del procedimento penale minorile e tenta di comunicare
all’imputato, riconosciuto responsabile del fatto di cui è accusato,
un avvertimento di tipo educativo, senza che ad esso segua una
sanzione.
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In particolare, con il perdono giudiziale (art. 169 c.p.), lo Stato,
nella persona del giudice, dà uno stop al ragazzo o alla ragazza
coinvolti: il reato è accaduto, l’imputato ne è responsabile, ma si
tratta di un episodio isolato e non troppo grave e, conosciuta la
personalità del ragazzo, si ha la convinzione che non ci saranno
fatti simili in futuro.
Il perdono giudiziale può essere concesso all’imputato minorenne
solo per reati non troppo gravi (quelli per i quali il codice penale
prevede pena non superiore, nel massimo, ai due anni di
detenzione) e non può essere concesso più di una volta.
La condanna
Se infine l’imputato viene riconosciuto responsabile degli addebiti
che gli sono mossi, e non è possibile adire a una delle conclusioni
anticipate meno afflittive perché il reato commesso è grave o
perché espressivo non tanto di una “ragazzata” quanto di un
percorso di vita sistematicamente deviante, viene pronunciata
sentenza di condanna ad una pena.
Le pene principali previste dal nostro codice sono costituite dalle
sanzioni monetarie e della detenzione in carcere. Quest’ultima
viene eseguita presso gli istituti penali minorili, strutture
specificamente preposte all’accoglienza di detenuti minorenni o di
giovani adulti fino ai 25 anni che hanno commesso il reato da
minori. La Corte costituzionale ha peraltro escluso per i minori
l’applicabilità dell’ergastolo.
In alternativa alla pena principale può essere applicata dal giudice
una pena sostitutiva, la semidetenzione o la libertà controllata,
forme attenuate della restrizione della libertà personale, possibili a
determinate condizioni (art. 30 D.P.R. 448/88).
La sospensione della pena
Infine, la pena comminata non necessariamente viene eseguita: in
alcuni casi, qualora si tratti di una condanna a pena non superiore
ai due anni, il giudice può sospenderla. Si tratta di una
sospensione condizionale, condizionata cioè all’astensione dalla
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commissione di ulteriori reati per un determinato lasso di tempo.
Se durante quel periodo, invece, il condannato commette un
nuovo reato, la pena sospesa rivive nella sua interezza e si andrà a
sommare con quella comminata per il nuovo reato.
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9. In particolare, la messa alla prova
di Elena Buccoliero
Mettere alla prova qualcuno è sfidarlo. Saggiare la sua resistenza,
le sue capacità. Vedere fin dove arriva. E quando si processa un
adolescente che ha commesso al reato, che cosa vuol dire?
Che cos’è la messa alla prova
Mettere alla prova un minorenne autore di reato significa
sospendere il procedimento penale per un periodo, stabilito in
udienza e comunque non superiore ai 3 anni, affinché possa
prendere parte ad un progetto che lui stesso ha contribuito a
disegnare7. Se lo porterà a termine positivamente, dimostrando nei
fatti di avere capito l’errore commesso e di essere su una strada
diversa, il reato sarà estinto per esito positivo della messa alla
prova8.
L’estinzione del reato è di più dell’assoluzione. Vuol dire che è
come se quel reato non fosse mai stato commesso e non comparirà
mai sul certificato penale.
Per questo la messa alla prova è davvero una grande opportunità,
ma è anche una strada impegnativa e occorre veramente darsi da
fare.
A quali reati può essere applicata?
La risposta è semplice: tutti.
7 Così inizia l’art. 28 c. 1 del DPR 448/88: “Il giudice, sentite le parti,
può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene
di dover valutare la personalità del minorenne (…)”. 8 All’art. 29 c. 1 del DPR 448/88 leggiamo che, “Decorso il periodo di
sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con
sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del
minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova
abbia dato esito positivo”.
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Un imputato può essere messo alla prova per qualsiasi tipo di
reato, anche il più efferato. Anche l’omicidio, se lui la richiede e il
Tribunale reputa possibile concederla.
Le decisioni vengono prese caso per caso e mai alla leggera,
tenendo conto dei fatti, del progetto delineato, delle condizioni
personali e familiari del ragazzo, dei motivi per i quali è arrivato a
delinquere…
Ricordiamoci sempre che l’obiettivo del processo penale minorile
è rieducativo. Ci sono minori per i quali tutto ciò che è accaduto
nella loro vita sembra essere stato scritto apposta per portali a
infrangere la legge. In casi del genere, più che il carcere serve un
intervento forte improntato alla rieducazione.
In quali casi si concede una messa alla prova
Si è discusso molto su quali siano i presupposti per mettere alla
prova un adolescente e tuttora nella giustizia penale minorile non
esiste un solo orientamento.
Di sicuro occorre avere accertato la sussistenza del reato e la
responsabilità penale dell’imputato che, in caso contrario, ha il
diritto di essere assolto, e non sottoposto ad una prova. Perciò
parliamo davvero di una misura penale, non semplicemente di un
percorso educativo o di assistenza, sebbene queste componenti
possano essere molto presenti all’interno del progetto.
Nell’esperienza di chi scrive, alla base della messa alla prova c’è
anche un’ammissione almeno parziale da parte dell’imputato. Il
già citato Alfredo Carlo Moro non la riteneva indispensabile solo
in condizioni molto particolari, quali i reati commessi in concorso
con familiari nell’alveo della criminalità organizzata. In quei casi
parlare può costituire un tradimento non sostenibile e l’assunzione
di responsabilità diventa un obiettivo della messa alla prova
piuttosto che un punto di partenza. Negli altri casi riteneva
trattarsi di un requisito essenziale.
Il ragazzo chiede di essere messo alla prova proprio perché sa di
avere sbagliato e vuole dimostrare di poter essere diverso. Per far
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questo è disponibile ad intraprendere un percorso di cambiamento
– oltre al fatto che, spesso, ne ha bisogno.
Di che cosa è fatta una messa alla prova
Il progetto si articola in azioni che orientano la crescita del minore
e lo sostengono. La Legge penale minorile parla di “osservazione,
trattamento e sostegno”9, ovvero: vogliamo capire chi sei,
stimolarti a cambiare e darti una mano nel farlo.
Generalmente i progetti prevedono: l’avvio o il proseguimento
dell’impegno scolastico e/o lavorativo; la riparazione del danno
alla società attraverso un’attività di volontariato; un percorso
individuale di consapevolezza degli errori commessi attraverso
colloqui psicologici o con educatori/assistenti sociali e, ove
possibile, la mediazione penale con la persona offesa.
Se il reato è connesso a problematiche particolari, ad es. di
dipendenza, viene richiesto al minore di seguire un programma di
emancipazione dalle droghe presso il Servizio per le
Tossicodipendenze.
A casa, in comunità
Dove si svolge la messa alla prova? Dipende.
L’importante è che il ragazzo sia inserito in un contesto capace di
sostenerlo nel percorso, di rinforzarlo nel portare a termine gli
impegni e di controllarlo perché non commetta ulteriori reati.
Tocca ai giudici valutare se il suo ambiente di vita – generalmente
la famiglia – sia in grado di fare questo oppure no. Quando i
genitori paiono solidi, disponibili, non compromessi con la
giustizia, insomma sufficientemente adeguati il ragazzo rimane a
9 2. Art. 28, c. 2, DPR 448/88: “Con l'ordinanza di sospensione il
giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della
giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali,
delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il
medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a
riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del
minorenne con la persona offesa dal reato”.
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casa, diversamente viene inserito in una comunità educativa o – se
necessario – terapeutica.
Anche le messe alla prova in comunità prevedono generalmente
dei rientri periodici in famiglia.
Alla prova non c’è solo l’imputato
L’autore di reato è il vero protagonista della messa alla prova ma
non è solo nel suo percorso.
I genitori possono svolgere un ruolo fondamentale, nel bene e nel
male. Difatti gli operatori sociali che sostengono i ragazzi
lavorano anche insieme alla famiglia, perché il progetto vada a
buon fine e perché il ragazzo, stando a casa o quando vi tornerà,
non si ritrovi nella stessa difficile situazione nella quale ha
commesso il reato.
E poi, ormai è chiaro, intorno alla MAP di un minore si muovono
tante persone e ognuna deve fare la propria parte: avvocati,
assistenti sociali, educatori, psicologi, giudici, medici, insegnanti,
datori di lavoro… devono, insieme, tessere la rete, farsi rete essi
stessi per permettere al ragazzo di non cadere.
Pericolo di crollo
A volte il progetto s’inceppa: l’imputato non mantiene gl’impegni,
non si presenta a scuola o sul lavoro, non si dà da fare nel
volontariato. A volte non sta alle regole, scappa dalla comunità,
commette nuovi reati, continua ad usare sostanze…
Non dimentichiamoci che abbiamo a che fare con degli
adolescenti, e quasi sempre con ragazzi che fino a quel momento
hanno conosciuto un vissuto familiare o scolastico accidentato.
Spesso hanno una bassa autostima, o si identificano solo in un
modello deviante. Possono essere arrabbiati o feriti, possono avere
subito violenze o essere rimasti soli troppo presto. Non è facile
diventare improvvisamente puntuali, costanti e affidabili. L’idea
di non farcela può risultare persino affascinante, una liberazione
dallo sforzo non soltanto di accettare la fatica, ma di sperimentarsi
57
come persona diversa da quella che si è sempre pensato di essere,
o che tutti si aspettano lui sia.
Quando il progetto registra mancanze significative, o in presenza
di fughe o nuovi reati, il servizio sociale informa l’Autorità
Giudiziaria che gradua i suoi interventi.
Nei casi più lievi c’è solo bisogno di un’udienza con un giudice
delegato dal Tribunale che incontra separatamente gli operatori, il
ragazzo e se possibile i familiari per fare il punto della situazione
e dare nuova linfa al progetto. Si fa leva sulla motivazione,
sull’autostima, sul rinforzo degli aspetti positivi che, pure, ci sono.
È anche possibile modificare il progetto, ad esempio portando in
comunità il ragazzo che era rimasto in famiglia o viceversa,
iniziando con il SerT, cambiando attività di volontariato…
Nei casi gravi, e se il Pubblico Ministero lo richiede, il Tribunale
fissa un’udienza di verifica dove se ne discute in aula – giudici,
imputato, difensore, PM, servizio sociale – per decidere se
mantenere la messa alla prova o revocarla.
Una revoca implica la ripresa del processo penale che era stato
sospeso: si completa l’istruttoria e si va a sentenza. Poiché
l’imputato ha ammesso, anche solo parzialmente, la sua
responsabilità, è improbabile che ci sia un’assoluzione mentre tutti
gli altri esiti processuali sono in gioco.
Quando si può dire che il progetto è andato bene?
Ci sono almeno due modi per valutare una messa alla prova.
Il primo è verificare gli adempimenti: il ragazzo è andato a scuola
regolarmente?, ha fatto volontariato?, si è presentato agli incontri
con il servizio sociale?
Il secondo è chiedersi se insieme a tutto questo è cresciuta nel
giovane la consapevolezza del reato e la capacità di fare scelte
diverse.
La verifica degli adempimenti è oggettiva, facilissima. Come un
test a crocette. Se abbiamo messo crocette dappertutto è difficile
dire che sia andata male e il Tribunale pronuncia l’assoluzione per
esito positivo della messa alla prova. Ma se non c’è stato quel
58
passo in più, interiore, di maturità personale e il ragazzo ha retto il
gioco in modo del tutto strumentale, tanto per ripulirsi la fedina
penale, le prospettive non sono rosee e il rischio di recidiva è più
alto.
Intendiamoci, fa parte della libertà individuale fare sul serio
oppure no, e nessuno può imporre un cambiamento profondo a chi
non lo sente vero dentro di sé. L’impegno di chi è a fianco a
questo adolescenti è però quello di provocarlo, con gli strumenti,
legittimi, che fanno parte del gioco. Colloqui, esperienze di
volontariato mirate e connesse al reato per cui si procede, una
mediazione penale ben fatta e tutte le occasioni di cittadinanza
attiva sono stimoli che vanno in questa direzione.
Infine…
Qualche volta i giudici riconoscono che la giustizia penale
minorile, se è meno afflittiva di quella degli adulti, in compenso
chiede di più.
Forse è vero. Ma ha a che fare con cittadini in crescita e condivide
la responsabilità di aprire delle strade nelle quali quegli
adolescenti costruiranno la loro vita.
È una responsabilità che gli adulti esercitano sempre, nei fatti,
anche quando non lo sanno. Tanto vale, allora, assumerla e
giocarla in modo consapevole.
59
10. La mediazione penale
di Benedetta Bertolini
L’esperienza del reato è un’esperienza sempre traumatica. Ciò è
vero per chi lo subisce, ma anche per chi lo commette. Fare
esperienza del male, agito o vissuto sulla propria pelle, genera un
grido di sofferenza, più o meno visibile, apre una serie di
domande (perché proprio a me, forse è stata colpa mia, cosa ha
pensato quella persona in quel momento, perché l’ha fatto, cosa
sarebbe successo se solo…), crea conseguenze emotive,
psicologiche e materiali che richiedono di essere ascoltate, prima
ancora che risolte.
A molte di tali questioni la risposta classica della giustizia formale
non fornisce alcuno spazio, essendo il processo penale incentrato
esclusivamente sull’accertamento dei fatti. Che la persona offesa
abbia da quel giorno paura a uscire di casa è questione che non
interessa. Che il reo voglia in qualche modo scusarsi con la
persona offesa è rilevante ai soli fini di una attenuazione delle
responsabilità, o poco più. La giustizia classica non si occupa, non
è questo il suo compito, di come stanno le persone dopo un reato.
A molte domande poi, spesso angosciose, a molte paure, a molte
questioni irrisolte che seguono i fatti – cosa succede se ci
incontriamo di nuovo, cosa è successo veramente, che cosa gli ho
fatto, perché mi guardava in quel modo, come posso far capire che
mi dispiace, mi crederà se glielo dico – non vi è nessuno che
possa dare risposta. Nessuno tranne, forse, quella persona. Quella
persona che a seguito del male subìto e compiuto non è neanche
più tale: è solo carnefice da un lato, causa di guai giudiziari
dall’altro, volto senza nome, deumanizzato e identificato
esclusivamente nel suo ruolo di reo o vittima.
Si è sperimentato che né il processo né la pena forniscono risposte
esaurienti a questo tipo di esigenze, né restituiscono un volto
umano alle persone coinvolte in un reato, che rimangono così
incastrate, ferme a quel fotogramma della loro storia, inchiodate a
60
quel ruolo. E la vita non va avanti, né la domanda di giustizia è
soddisfatta. La mediazione penale è allora uno strumento, nella
cornice più ampia della cosiddetta giustizia riparativa, la cui
implementazione è auspicata fortemente dalle Nazioni Unite e
dalle istituzioni europee, che tenta di dare risposta a tali necessità,
tentando di riparare il riparabile.
Nella giustizia italiana la mediazione penale è ancora poco
sperimentata ma trova uno spazio più ampio nell’ambito minorile
dove, in tutti i momenti del procedimento e in particolare nella
messa alla prova, è costante l’attenzione ad offrire all’imputato
occasioni di maturazione e consapevolezza rispetto al danno
causato. E, se il volontariato a favore di persone particolarmente
fragili (anziani, disabili, bambini…) o di beni collettivi (es.
l’ambiente) costituisce una forma di restituzione alla collettività
cui, con infrangendo la legge, si è sottratto qualcosa, l’incontro
con la propria vittima permette di prendere contatto con le
conseguenze della violenza esercitata. Il presupposto è che proprio
riconoscendo dentro di sé la sofferenza della propria vittima
l’autore di un reato possa comprendere le reali conseguenze delle
proprie azioni, commesse magari per gioco, e impostare il proprio
futuro in modo diverso.
L’incontro, però, non dovrebbe e non vuole essere ad esclusivo
vantaggio dell’imputato e non può svolgersi senza l’adesione
libera e volontaria di reo e vittima. Quello spazio è una occasione
anche per la persona offesa che, peraltro, nell’ambito minorile è
spesso a propria volta molto giovane.
La mediazione offre a chi intenda usufruirne uno spazio protetto,
confidenziale, libero dal giudizio, gratuito, in cui sia possibile un
momento di ascolto e di parola, prima individuale poi,
eventualmente, nel dialogo fra le persone coinvolte nel reato.
Chi ha subìto può narrare la propria esperienza ai mediatori e, se
vi consente, anche al proprio malfattore. Può esprimere la propria
sofferenza, spiegarla a chi l’ha causata, forse liberarsene nel
vederla da lui compresa, ovvero presa con sé.
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Il reo, a sua volta, può esporre ai mediatori in uno spazio a lui
riservato i fatti avvenuti, la loro origine, le proprie riflessioni e il
proprio vissuto emotivo. Solo da un ascolto sincero, empatico,
attento, può nascere nel reo il desiderio di comprendere ciò che ha
commesso, di riconoscere il dolore della vittima, di riparare il
male causato. Se manca un’accoglienza della persona libera dal
giudizio e dalla minaccia dell’ulteriore male della pena,
condizione che si sperimenta invece nei tribunali, cambiare
sguardo e riconoscere il proprio errore è impossibile.
Ciascuno a modo proprio, ma entrambi, vittima e reo, chiedono di
essere guardati come persone, di essere riconosciuti nella propria
dignità e nella propria umanità, da chi è esterno al reato, ma anche
da chi ha incontrato nel reato. Tale riconoscimento reciproco è ciò
cui punta la mediazione penale e può dirsi riuscita non se si
conclude con solenni dichiarazioni di perdono, bensì quando
opera una trasformazione nel modo di guardare ciò che è
successo, permette una riappropriazione e ridefinizione delle
regole violate, fa nascere un autentico desiderio di riparazione.
Dal momento che tornare indietro, a prima del reato, non è
possibile, la mediazione vuole essere uno strumento che aiuti a
vivere meglio possibile il dopo, nella convinzione che solo la
dimensione dialogica, relazionale, di confronto, possa restituire
alle parti qualcosa di quello che il reato ha loro tolto.
La struttura e le regole della mediazione sono molto semplici ma
essenziali. Essa si sostanzia in un percorso, interamente libero e
volontario in ogni suo momento, che inizia dal primo contatto con
il centro di mediazione, per via telefonica o talvolta epistolare. Ad
esso seguono, sempre che le persone contattate lo vogliano, i
colloqui preliminari, momento di ascolto e di parola individuale,
oltre che di informazione sul senso e sul funzionamento della
mediazione. In questa fase i mediatori valutano anche la fattibilità
dell’incontro vero e proprio fra reo e vittima, assolvendo al loro
ruolo di garanzia nei confronti della parte più debole, e raccolgono
l’eventuale consenso alla prosecuzione del percorso.
62
L’incontro faccia a faccia avviene alla presenza di due o tre
mediatori esperti. Essi hanno in primo luogo, anche in questa
sede, un ruolo di garanzia, vegliando sulla correttezza degli
scambi e sull’equilibrio del dialogo. Compito principale dei
mediatori è poi quello di facilitare la comunicazione fra le parti,
senza tuttavia interferire in alcun modo sui suoi contenuti: i
mediatori non indicano cioè il percorso da fare, non forniscono
soluzioni, né danno interpretazioni della vicenda; aiutano
piuttosto, rispettando i confini che le persone pongono nella
propria narrazione, l’emergere del racconto e delle emozioni ad
esso correlate, in questo modo aprendo nuovi spazi di parola e di
confronto.
Con l’aiuto dei mediatori, i partecipanti possono passare
dall’iniziale consentire all’incontro a un progressivo “sentire
con” nell’incontro. Far emergere le proprie emozioni, la propria
narrazione e visione del fatto, sentirsi ascoltati e accolti, in un
primo momento dai mediatori, e progressivamente anche dal
proprio “nemico”, apre gli spazi necessari a comprendere anche
ciò che l’altro sente, le sue di emozioni, la sua narrazione, fino a
riconoscere la legittimità del suo grido di sofferenza e il suo diritto
di esistere. Dunque riconoscere e sentirsi riconosciuti, in questo
sta la prima funzione della mediazione.
Mediare significa però anche ridefinire le regole di un rapporto:
attraverso un accordo di riparazione, gli impegni sul
comportamento da tenere in futuro, una rilettura comune di quanto
accaduto, che si proietta su quanto non deve accadere più. In
questo senso la mediazione ha una funzione riparativa del reato.
La mediazione ha infine un impatto sulla comunità, sulla società
nel suo complesso. La costruzione di regole di condotta condivise,
nate dall’incontro fra due soggettività che accettano di mostrarsi
all’altro in modo autentico, costituisce infatti la più solida forma
di costruzione o ri-costruzione di quel patto sociale di cui la
norma penale costituisce l’espressione istituzionale, oggetto in
questa sede di riappropriazione da parte dei singoli cittadini a
beneficio della collettività. Scegliere di aderire al contenuto di una
63
norma avendone compreso la portata e avendo conosciuto, sulla
propria pelle o sulla pelle di chi si è incontrato, le conseguenze
della sua violazione, permette al cittadino di scegliere
volontariamente, aderire interiormente, e non per imposizione
esterna, all’osservazione di quella regola, con garanzie di tenuta
ben maggiori.
64
11. La comunità educativa per minori come luogo di apertura
di cammini fiduciari
di Giordano Barioni
Il patto educativo e la co-progettazione
Prima ancora di entrare in comunità insieme all’assistente sociale
si mettono per iscritto i punti fondamentali del progetto che
riguarda il ragazzo. Il progetto Quadro delinea la cornice
all’interno della quale ci si muoverà in attesa del processo. Nel
caso in cui il processo sia già stato celebrato le decisioni dei
giudici fanno da sfondo al pensiero progettuale. In genere si
spiega al ragazzo perché viene in comunità (perché proprio in
questa), a fare cosa e con che obiettivi. Un primo abbozzo di
quello che poi dovrà diventare il suo Progetto Educativo
Individualizzato.
Punto di partenza
Si prova a far capire da subito che l’ingresso in comunità coincide
con l’inizio della preparazione dell’uscita. Pur sapendo che tutte le
prime comunicazioni sono destinate a cadere nel vuoto si
comincia a condividere le regole del vivere insieme, quelle che la
comunità ha deciso di darsi, distinguendole bene da quelle che
invece vengono da fuori che sono le regole imposte dalla
situazione giudiziaria che il ragazzo sta vivendo. Delle prime
volendo si può anche ragionare, le seconde vanno invece seguite;
non solo da parte del ragazzo ma anche da parte degli educatori.
Questo fatto che le regole sono imposte anche agli educatori
spesso confligge con l’idea di adulto di cui i ragazzi sono
portatori. Ovvero di un adulto che “fa quello che vuole” e non di
una persona inserita in un sistema organico. Entrano in comunità
perché hanno storie difficili dove praticamente sempre gli adulti ,
ben che vada, fanno figure meschine. Quando non sono addirittura
protagonisti attivi in senso negativo. Da qui deriva una radicale e
radicata mancanza di fiducia nell’adulto. La prima affermazione, a
65
volte implicita a volte esplicita, che gli educatori fanno: noi non
siamo così, noi siamo adulti “buoni”; suona alle orecchie dei
ragazzi come la solita tiritera. Sembra di veder passare sul display
della fronte la scritta tanto anche questi sono come tutti gli altri.
Insomma ogni cosa che si dice è tutta da dimostrare.
Il suono della regolarità del giorno che si fa ritmo interiore
La prima azione riguarda l’organizzazione della giornata: stabilire
(ristabilire) il ritmo e la scansione. Ci si alza, si fa colazione, si va
scuola, si torna, si pranza, si fanno i compiti, si fa sport, ci si
diverte, si cena, si gioca o si guarda la televisione, si va letto e si
dorme e soprattutto si parla. Non è facile tenere il ritmo giusto e
costa fatica, una fatica che va sempre spiegata, narrata. Un
ragazzo rimase sorpreso quando tornando da scuola trovò il suo
pranzo pronto. Qualcuno lo aveva preparato per lui. Era stato
pensato, accudito, accolto.
Lo sviluppo delle passioni
Il contesto “punitivo” in cui il ragazzo viene non deve frenare lo
sviluppo positivo delle passioni. Calcio, musica, scacchi,
paracadutismo, boxe … le passioni vanno cercate, evidenziate e
favorite. Ci deve essere anche uno sviluppo delle gratificazioni
personali che non provenga solamente dallo stare correttamente
alle regole imposte. Occorre che il ragazzo senta qualcosa di
proprio del quale lui è protagonista positivo assoluto. Far
riconoscere la presenza di una parte “buona” di sé. Favorirne la
crescita anche in maniera “sporca”, non pienamente lineare E’ un
buon momento per fare eccezioni alle regole, stando sempre
attenti a non pedagogizzare per non togliere la bellezza spontanea.
Inizia la messa alla prova
La prima messa alla prova che inizia è quella dei ragazzi verso
l’equipe educativa e verso ogni singolo educatore. Bisogna quindi
essere attentissimi a tenere una perfetta corrispondenza tra parole
ed azioni. Ogni regola deve essere spiegata minuziosamente.
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Prima di dare la benché minima sanzione bisogna essere certi che
la regola sia stata compresa e che la conseguenza (punizione?) sia
ragionata e ben commisurata. Gli scontri ci sono comunque ed
uno degli attacchi più diretti davanti alla discussione è il grido: chi
sei tu per me? Tu non sei niente!
Nella continua mediazione che si attua per non rompere la
relazione va posta una estrema attenzione al fatto che ogni
eccezione rischia di trasformarsi in nuova regola se non viene
chiaramente motivata in quanto eccezione. La rottura della
relazione equivale al fallimento educativo, per cui anche nel
conflitto e nel dare punizioni bisogna far si che non sia mai del
tutto interrotta. La compresenza di situazioni legali differenziate
fa porre in atto la massima (altrimenti dimenticata) di Don Milani
“fare parti eguali tra diseguali è una ingiustizia”, essa però è
praticamente incomprensibile ai ragazzi. Loro guardano con
occhio micrometrico che le fette siano identiche: che sia una torta,
il costo di una maglietta o il tempo dedicato dall’educatore. Non
sopportano le differenze. Forse ne hanno già subite troppe.
La certezza degli adulti disponibili
C’è sempre un adulto presente con cui parlare che deve essere
disponibile a spiegare il perché delle scelte, a raccogliere uno
scatto d’ira senza cadere nella trappola della simmetria. Davanti ai
problemi disposto a riprendere il senso del progetto. Un adulto
capace di essere solidale e di relazionarsi in maniera empatica.
Che abbia la pazienza di mettere al centro il ragazzo e cercare
assieme a lui il luogo in cui sfogare la rabbia. Che sappia restituire
le emozioni in forma di narrazione consapevole per dare ai ragazzi
le parole che loro non possiedono.
Il cammino dell’educatore: il ragazzo non si muove, andiamo noi
da lui
Bisogna tenere presente che dobbiamo recuperare gli errori che
altri adulti hanno fatto, oltre che naturalmente i nostri, per cui
occorrono identità solide capaci di ammettere l’errore e di tornare
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sui propri passi senza sentirsi sminuiti, senza perdere la loro
adultità. Se non riusciamo a vedere e accogliere le giuste ragioni
che i ragazzi hanno per non fidarsi non riusciremo ad andare nella
loro terra. Un’azione veramente empatica chiede di saltare
veramente dall’altra parte: se noi accogliamo la storia del ragazzo
potremo condurlo sul cammino della rivisitazione consapevole e
critica, in un tentativo di pacificazione. Sul piano delle relazioni
sono gli educatori che devono mantenere l’iniziativa, sono loro
che grazie alle loro competenze, alla loro esperienza, al lavoro di
equipe e di riflessione personale possono e devono portare
elementi di cambiamento nelle situazioni di stallo relazionale, per
condurre i ragazzi fuori dalle buche in cui si vanno testardamente
a cacciare. Spesso i ragazzi applicano testardamente la stessa
risposta ad un problema incapaci di leggerne l’inefficacia. E’
l’educatore che con pazienza può suggerire nuove strategie, nuovi
significati, nuove motivazioni che il ragazzo possa fare proprie
giungendo così ad un uso proficuo. Educare significa anche
ascoltare e narrare, ogni tanto lasciarsi ferire.
Ribaltare i pregiudizi e linguaggi
Pregiudizio positivo – ciascuno è problema e risorsa, occorre
cercare.
Pregiudizio pedagogico – un cammino educativo è possibile,
occorre dare tempo e pazienza
Pregiudizio fiduciario – onestà degli investimenti relazionali,
stare nella propria verità per accedere alla verità dell’altro
Il ragazzo deve sentire non solo enunciati questi atteggiamenti,
bisogna trovare i tempi giusti, gli spazi fisici, le complicità
positive e propositive. L’educatore in servizio deve tenere sempre
in tensione l’apparato ricettivo, pronto a cogliere i segnali. Ma
bisogna anche stare attenti a non pedagogizzare le relazioni e le
azioni. I ragazzi fanno anche naturalmente cose giuste, quando lo
fanno lasciamoli stare. Non si deve entrare subito su tutto, ho visto
spesso l’intervento pedagogico spegnere sul nascere gli slanci. I
ragazzi sono e devono essere liberi di crescere, attenzione che se
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sentono violata la loro libertà non si fanno più trovare. Per poter
dialogare bisogna anche migrare da un linguaggio tecnico verso
un linguaggio capace di rinnovarsi e di condividere parole nuove,
molto spesso occorre imparare ad usare solo le poche parole che
sono a disposizione dei ragazzi.
Una possibilità comunicativa da usare con attenzione ma che può
aiutare molto è il linguaggio del corpo. Senza pensare al contatto
fisico che va gestito con particolarissima attenzione bisogna
mettere in campo tutta la gamma di espressioni che il volto e i toni
di voce consentono. Alcune recenti esperienze di contatto
interculturale confermano la grandissima forze del non verbale.
Avere fiducia, non avere paura
La trasmissione relazionale educativa passa attraverso alcuni
elementi che la comunità deve conoscere e, per quanto possibile,
mettere in pratica affinché l’accoglienza del ragazzo possa
svilupparsi in un itinerario di reciproco riconoscimento. Più
l’equipe si dimostra capace di stare nella relazione più le sue
richieste nei confronti del ragazzo acquistano valore e possono
essere ascoltate. Lentamente le ondate emotive potranno essere
contenute e riorganizzate in maniera socialmente accettabile. La
rabbia non va negata, negare il problema significa non risolverlo
mai, avere il coraggio di vederlo apre cammini di risposta e di
consapevolezza. In questo senso il lavoro educativo prepara il
ragazzo a lavorare sulla sua storia e quindi costruisce i presupposti
per un rapporto terapeutico. Ancora di più così sia aiuta a
sviluppare il rapporto con le regole, con la legge. Con gli errori e
con l’assunzione di responsabilità che significa farsi carico delle
conseguenze. Ci vuole forza per subire la punizione, diventa
insopportabile subirla nella solitudine. L’educatore è un adulto
che sa esserci, si assume la responsabilità, conosce la strada e
orienta al bene.
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12. Le responsabilità della scuola
di Andrea Celeghini
La scuola ha l’arduo compito di contribuire a formare i cittadini di
domani.
La responsabilità e la partecipazione civile si costruiscono
primariamente attraverso la formazione di docenti in grado di
essere modello di serietà, competenza, democraticità, trasparenza,
dialogo e coerenza. È lo stile educativo, più che le conoscenze
specifiche, la base su cui si fonda la trasmissione di una
cittadinanza democratica.
Il rispetto della legge non può che passare attraverso la
comprensione e l’acquisizione dei valori insiti nella norma stessa.
Il valore di partenza è l’aspetto fondamentale di con-vivenza che
appartiene all’esistenza umana, lo stare con-gli-altri, infatti, ci
definisce e diventa misura del nostro vivere, del nostro stare bene,
del nostro autoregolarci e autonormarci.
A scuola ci si sperimenta con gli altri
Nella scuola si vivono quotidianamente gli aspetti più significati
dell’esistenza umana:
- l’esperienza necessaria di fidarsi negli altri;
- l’esercizio quotidiano dei propri diritti;
- la faticosa e costruttiva convivenza nella diversità di stili e
abitudini personali;
- il saper accettare le differenze sociali, culturali, religiose e
linguistiche;
- l’operosa pratica del senso del dovere, con un impegno
misurato non solo rispetto al banco di scuola ma di fronte alle
grandi sfide del mondo;
- la passione per il sempre nuovo e la creatività che si fa ricerca;
- l’acquisizione progressiva di una propria opinione critica;
- la scoperta del concetto di rispetto reciproco e di libertà di
pensiero, di bene comune e di pace sociale.
70
Il ruolo dell’insegnante
I docenti, attraverso l’attenta e minuziosa attività didattica,
dovranno puntare verso un’applicazione effettiva dei diritti umani,
verso un sapere che si fa concreto, vitale, che diventa
atteggiamento spontaneo che costruisce relazioni e si insinua nel
tessuto sociale.
La didattica inclusiva, di cui tanto si parla, deve sicuramente
contribuire a migliorare la vita delle persone all’interno della
comunità scolastica ma anche uscire dalle mura della scuola per
trasformare le relazione tra le persone da utili-per-me a
costruttive-per-gli-altri. Processo che richiede necessariamente il
coinvolgimento dei genitori e di tutte le persone che giocano un
ruolo educativo nella vita dell’alunno.
L’orizzonte di riferimento è quello di una scuola partecipata
all’interno della quale si dà grande valore al confronto e
all’ascolto dell’altro, nella quale si riesce a dare spazio al senso di
collettività, senza perdere di vista il contributo delle specifiche
identità di ciascuno. Una scuola intesa come comunità di vita e di
dialogo in grado di orientare e di proporre un modello di società
nella quale le differenze non vengano mai percepite come
ostacoli, ma restino perennemente risorsa e occasione di crescita.
Gli alunni e la legalità
I ragazzi sono interessati e rispondono con grande partecipazione
a tutte le iniziative che propongono tematiche collegate alla
legalità.
I risultati migliori si ottengono quando le attività fanno parte di un
progetto comune e vedono coinvolti in qualche misura tutti i
docenti del consiglio di classe. Sovente vengono svolti progetti di
approfondimento storico-letterario che permettono ad alunni e
docenti di indagare meglio la nostra storia recente e le
implicazioni legislative che hanno influenzato quell’epoca o
quegli avvenimenti.
Utili anche gli incontri con personaggi che operano o hanno
operato nel campo della giustizia, in grado di raccontare e
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testimoniare momenti difficili del nostro paese o di rileggere
criticamente fatti e avvenimenti significativi del quotidiano.
Si sono dimostrati di grande valore le attività che hanno goduto di
una certa continuità e che sono riuscite a coinvolgere per un certo
numero di anni tutti gli alunni di una determinata fascia di età,
come per esempio la consegna della Costituzione agli alunni
maggiorenni, o “Il protocollo contro il bullismo e per la
prevenzione delle dipendenze” che vede impegnate da molti anni
tutte le istituzioni che operano sul territorio per la sicurezza e la
legalità.
Efficace anche far vivere agli studenti situazioni reali di pratica
della giustizia, come la simulazione del processo minorile.
Altri progetti che continuano ad avere un forte ascendente sui
ragazzi risultano essere il MEP (Model European Parliament:
progetto di simulazione del parlamento europeo) e la
partecipazione alle iniziative di “Libera, Associazioni, nomi e
numeri contro le mafie”.
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13. Alla Legalità si educa nelle cose di ogni giorno di Giovanna Cascino e Donato La Muscatella
«La legalità non si identifica con le singole norme cui pure rinvia,
ma è un sistema strutturato che esprime una cultura: quella del
primato del governo delle regole, rispetto al governo degli
uomini. È un metodo, un approccio alla realtà che – proprio in
quanto metodo e strumento – non è (non può essere) indifferente
ai valori»
Livio Pepino10
«Un’educazione alla legalità che non sia, prima di tutto,
un’educazione alla responsabilità, difficilmente saprà infondere
in un giovane l’amore per l’impegno e il desiderio di conoscenza,
desiderio di iscrivere la propria vita dentro un cammino di
giustizia e di libertà collettive»
Don Luigi Ciotti
Il processo penale si incentra sull’accertamento della violazione di
una norma e costituisce – o dovrebbe costituire – un caso
eccezionale: eccezionale perché non tutte le violazioni delle
regole integrano reati e perché non tutti i reati vengono scoperti.
La scelta tra conformarsi ad un precetto o violarlo, però, è
tutt’altro che straordinaria.
Tutti noi, ogni giorno, siamo chiamati a scegliere il modo in cui
comportarci, le regole che intendiamo seguire e quelle che
preferiamo ignorare.
Questi due profili, peraltro, hanno un chiaro rapporto: da un lato,
perché quasi mai la prima violazione di una regola si sostanzia
nella commissione di un reato; dall’altro, perché il contesto
10
PEPINO L., A quale legalità educare? Analisi di un concetto
troppo spesso in conflitto con le idee di giustizia, Animazione Sociale,
279, 2014, p. 19.
73
sociale nel quale i reati si verificano può contribuire ad alimentare
l’illegalità o, invece, a contrastarne la proliferazione.
E le mafie hanno già dimostrato più volte – si pensi a Don Pino
Puglisi o a Don Peppe Diana – di comprendere questo legame –
forse meglio di noi – e di temerlo.
L’antimafia non può essere, infatti, solo una dimensione militare,
ma un cambiamento culturale che parte, anche sulla base
dell’esempio di chi si è sacrificato in questa battaglia, dalle
giovani generazioni.
È proprio per questa ragione che, da sempre, Libera è convinta
che la fase di repressione dell’illegalità – e, a maggior ragione,
della criminalità organizzata – debba essere accompagnata (e
preceduta) da una seria e permanente azione di promozione della
consapevolezza individuale e, conseguentemente, della
responsabilità condivisa, premesse indispensabili dell’essere
cittadini.
Cittadini non in quanto semplici abitanti di una Nazione, ma come
componenti attivi dello Stato, in grado di interpretare la
quotidianità con senso critico, esercitando così responsabilmente
la propria libertà.
La simulazione di un processo penale minorile, dunque, non deve
diventare, per gli studenti, l’occasione per sminuire le proprie
responsabilità nel confronto con quelle dell’imputato, ma
un’opportunità per interrogarsi sui propri comportamenti che, al di
là del fatto che non siano reati (casi eccezionali, appunto),
producono conseguenze per la società che abitiamo.
Si tratta di un percorso complesso, dove nulla può essere dato per
scontato, ma che, proprio perché relativo all’ordinario, di certo va
costruito con la costanza dei comportamenti e la sinergia di tutti
gli attori che ne fanno parte.
In questo senso, non può bastare la testimonianza qualificata, che
deve essere preceduta, sostenuta e seguita dagli interventi di tutto
il sistema formativo (familiare e scolastico), traducendosi
altrimenti in un mero adempimento ministeriale, pesante per i
docenti e noioso per i ragazzi.
74
A questo proposito, fermo restando il (doveroso) rispetto per gli
argomenti da trattare, va detto che è sempre presente il pericolo di
affrontare questi temi in modo allarmistico, pur in perfetta buona
fede, basando il richiamo all’attenzione sulla paura e
sull’impotenza.
Impotenza che spesso implica, come diretta conseguenza,
l’indifferenza (se non sono in grado di far nulla per cambiare le
cose, perché impegnarmi?).
Indifferenza che va disinnescata con un’interazione efficace con i
ragazzi, che ne metta a frutto la creatività e, perché no, con la
giusta dose di ironia: si pensi alla narrazione filmica di Cosa
Nostra resa nel recente “La mafia uccide solo d’estate” da Pif, che
dimostra come la leggerezza non sia nemica dell’impegno.
Ed allora, quali obiettivi deve perseguire un’azione come quella
che abbiamo descritto prima?
In estrema sintesi, un percorso di approfondimento di questa
natura dovrà comprendere:
1. l’individuazione del significato più forte della legge, ancorato
ai valori costituzionali ed all’aspirazione di giustizia; legge che è
un mezzo e non un fine, in quanto il fine è la giustizia sociale;
2. la promozione della consapevolezza di sé, dell’autodisciplina
e della responsabilità, come premessa necessaria alla socialità e
all’esercizio della cittadinanza attiva;
3. l’apprendimento di una nozione profonda dei diritti e dei
doveri e della cultura dei valori civili: democrazia, fiducia verso le
istituzioni, rispetto verso l’altro, accettazione della diversità;
4. l’esercizio del pensiero critico per resistere alle pressioni del
gruppo, per denunciare e combattere le prevaricazioni e la cultura
dell’omertà;
5. la capacità di tradurre la memoria di chi si è speso contro
l’ingiustizia in impegno quotidiano;
6. l’approfondimento di temi specifici, evitando il rischio di
ampliare troppo il campo di riflessione e sperimentando
concretamente forme di cittadinanza attiva.
75
Solo così si potrà porre in relazione con la vita concreta di
ciascuno studente la dinamica regola/sanzione insita nel processo
penale, rapportandola alla quotidianità dei ragazzi.
Promuovere la Legalità democratica, infatti, significa sceglierla
tutti i giorni nelle piccole cose e non ricordarla solo nelle
commemorazioni collettive.
I giovani hanno da offrire molto di più di quanto si creda e,
opportunamente stimolati, sapranno cogliere questo tipo di
sollecitazioni.
Lo dimostra – e non c’è conclusione migliore per noi – Fabrizio
D’Agata, che, al termine di un percorso portato avanti con la sua
classe, scrive:
«Ritengo che le giovani generazioni abbiano ereditato il
patrimonio di indignazione nato con la conoscenza delle stragi
del ’92. Anche chi allora non era ancora nato si sente
portatore di questa cultura e deve nutrirsi degli insegnamenti
di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, imparando ad
essere cittadini responsabili e liberi. Spetta dunque alla scuola
ed alle istituzioni il dovere di trasmettere i loro ideali, il loro
vissuto e di farli conoscere alle nuove generazioni affinché si
crei una “staffetta comportamentale” con i più giovani, un
passaggio di consegne di quei valori in grado di generare una
nuova cultura» 11
.
11
D’Agata F., Temi III B Istituto Tecnico per Geometri “Ferraris” di
Acireale in Fontana M.P., Come a scuola educare alla legalità,
Animazione Sociale, Settembre-Ottobre, 2015, p. 89.
76
Glossario: i personaggi del processo e alcune parole chiave,
in rigoroso ordine alfabetico
Assistente sociale
Rappresenta l'Ufficio del Servizio Sociale Ministeriale (USSM)
che assiste i minori accusati di avere commesso reato, prima e
dopo l’udienza in tribunale, e li sostiene in un percorso educativo.
In aula è seduto accanto all’imputato.
Avvocato difensore
È l’avvocato che assiste l’imputato, prima durante e dopo
l’udienza in tribunale. Può essere scelto dall’imputato o dalla
famiglia (avvocato di fiducia) o assegnato (d’ufficio).
Durante l’udienza, dopo che tutte le parti sono state ascoltate e
prima della decisione, interviene dopo la requisitoria del PM
pronunciando una arringa difensiva nella quale riassume il punto
di vista dell’imputato sui fatti e pone richieste al collegio
giudicante. Nel processo penale minorile può anche chiedere che
il processo venga sospeso per concessione della messa alla prova.
L’avvocato difensore non può non esserci. La nostra Costituzione
stabilisce il diritto ad essere difesi.
Camera di consiglio
La camera di consiglio è contemporaneamente il luogo e il
momento in cui i quattro giudici che svolgono il processo si
consultano e decidono. Ove ci siano differenze di opinione, i
giudici, diretti dal Presidente voteranno. In caso di parità (il voto
del Presidente è espresso per ultimo ma non pesa più degli altri)
prevale la soluzione più favorevole all’imputato. La camera di
consiglio è segreta ma nella simulazione della Tavernetta è
visibile a tutti per consentire la più ampia partecipazione.
Cancelliere
Una specie di notaio del giudice che cura il verbale d'udienza
perché resti traccia scritta di quanto accaduto.
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Collegio giudicante / Giudici
Nel processo penale minorile è previsto un Collegio composto da
quattro giudici: un giudice togato che svolge la funzione di
Presidente, un altro giudice togato che siede al suo fianco e
pertanto detto a latere, che (più giovane di carriera ma non
necessariamente d’età) siede alla destra del Presidente, un giudice
onorario di genere femminile ed un altro giudice di genere
maschile. Questi ultimi siedono uno alla destra e uno alla sinistra
dei due togati.
I giudici, fino al momento del processo, nulla sanno di quanto è
avvenuto nelle indagini e, - molto importante -, possono giudicare
solo sulla base di quanto in aula è prodotto (cioè solo quello che è
effettivamente valido ed esibito in aula).
Esame e controesame
I testimoni introdotti dall’accusa vengono interrogati per primo
dal PM (esame) e poi dall’avvocato difensore (controesame).
Viceversa, i testimoni richiesti dalla difesa saranno interrogati per
primo dall’avvocato difensore (esame) e poi dal PM
(controesame).
L’interrogatorio di testimoni o imputati minorenni viene condotto
dal Presidente del Collegio, che può essere coadiuvato dagli altri
giudici. Il Presidente può affidare l’interrogatorio al PM o al
difensore se ritiene che questo non turberà l’equilibrio del minore.
Imputato
È la persona processata con l’accusa di avere infranto la legge.
Può essere una sola persona, come nel caso di Giuseppe Spadaro,
o più di una, come nel copione “La tavernetta”. In quel caso si
dice che il reato è stato commesso “in concorso”.
Per i reati commessi tra i 14 e i 17 anni si viene processati dal
Tribunale per i Minorenni e trattati come minori, anche qualora
l’udienza si svolgesse dopo che il ragazzo (o la ragazza) ha già
compiuto 18 anni. Se il fatto accaduto chiama in causa la
responsabilità di più persone, alcune minorenni e altre no, ci
78
saranno processi distinti, per le prime presso il Tribunale per i
Minorenni e per le altre presso il Tribunale Ordinario.
Messa Alla Prova (MAP)
La messa alla prova è la sospensione del processo per un periodo
determinato nel quale l’imputato seguirà un percorso che, se
svolto positivamente, porterà a una sentenza di non luogo a
procedere in quanto il reato è estinto per esito positivo della MAP.
L’estinzione del reato è di più dell’assoluzione: è come se il reato
non ci fosse mai stato.
La MAP può avere una durata fino ad un anno e per i reati più
gravi fino a tre anni. Consente al ragazzo di far emergere la parte
migliore di sé in un percorso di serio impegno (nella scuola, in
attività lavorative, nel volontariato, nella riconciliazione con la
persona offesa, nell’elaborazione di eventuali disagi attraverso un
sostegno psicologico, ecc.) che favorisca una reale evoluzione
della sua personalità in senso positivo.
Processo penale minorile
Oltre allo scopo di accertare la verità dei fatti accaduti, il processo
ha il compito di valutare la situazione personale, familiare e
ambientale del minore e riattivare i percorsi educativi interrotti dai
comportamenti devianti e delinquenziali agiti dallo stesso.
La ragazza o il ragazzo che delinque deve, ove possibile, poter
uscire, in tempi brevi, dal circuito giudiziario e intraprendere
attività di studio, formazione o lavorativa consone alle proprie
capacità e attitudini, quindi, allontanarsi dai contesti che ne hanno
favorito i comportamenti delinquenziali. Dunque: un processo non
nato principalmente per punire ma per rieducare.
Pubblico Ministero (PM)
Il PM è un magistrato incaricato di svolgere le indagini per
accertare se un reato denunciato è effettivamente accaduto e per
risalire a chi lo ha commesso. Quando ritiene di avere raccolto
prove sufficienti, le presenta al Tribunale affinché si svolga il
processo, nel quale il PM riveste il ruolo della pubblica accusa.
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Nel processo, dopo che tutte le prove sono state esaminate e i
testimoni ascoltati, il PM pronuncia una requisitoria nella quale
riassume dal proprio punto di vista ciò che è accaduto e quali
responsabilità devono essere attribuite all’imputato, e pone delle
richieste al Collegio giudicante.
Nel processo penale minorile può anche chiedere che il processo
venga sospeso per concessione della messa alla prova.
Sentenza
Il processo simulato ripreso nel video si ferma alla sospensione
del processo e non mostra la sentenza che deve comunque esserci,
ed è la decisione assunta dal Collegio al termine del processo. Nel
caso del giovane Giuseppe Spadaro, quindi, al termine del periodo
di MAP le parti ritorneranno in aula per valutare l’esito del
percorso. Su questa base il Collegio prenderà la decisione finale.
La sentenza è costituita da due parti: motivazione e dispositivo. Il
dispositivo (assoluzione, condanna, ecc.) viene letto subito, la
motivazione può essere depositata successivamente entro un
tempo stabilito.
Sospensione condizionale della pena.
Si tratta di una delle cause di estinzione del reato. L’ordinamento,
tentando di evitare un eccessivo ricorso alla carcerazione dei
condannati, ha previsto un istituto dissuasivo della reiterazione dei
reati. Il beneficio funziona così: il minore condannato a pena
detentiva non superiore a 3 anni (ma si tiene conto anche della
pena pecuniaria con un ragguaglio che prevede 250 euro = 1
giorno) può evitare l’esecuzione della pena se il giudice può
presumere che si asterrà dal commettere ulteriori reati. Ove, in
effetti, egli non subisca ulteriori condanne nei 5 anni successivi
alla sentenza, il reato si estingue. In caso contrario si eseguono
entrambe le condanne.
Testimoni e impegno a dire la verità
I testimoni sono persone che, in quanto informate su fatti rilevanti
per il processo, hanno l'obbligo di presentarsi e di rispondere alle
80
domande dopo avere recitato una formula che una volta prevedeva
anche il giuramento ed oggi, più laicamente, prevede un impegno.
La persona chiamata a testimoniare inizia così la fase in cui
assume la funzione di Pubblico Ufficiale con tutti i doveri ed i
diritti che questa funzione comporta. Se i cittadini non
collaborassero con la Giustizia, prestando la propria testimonianza
e, pertanto, restando omertosi, difficilmente si potrebbe arrivare
alla ricostruzione dei fatti e quindi ad una sentenza corretta. E, in
ogni caso, la falsa testimonianza è un reato grave e pronunciare il
falso dinanzi al giudice può trasformare il testimone in un
accusato.
Udienza protetta e incidente probatorio
In alcune circostanze è opportuno che l’esame di un testimone (o,
più spesso, della vittima) non si svolga in udienza, di fronte alle
parti, ma in modo riservato.
Questo non accade nel processo simulato ma lo si ritrova, ad es.,
nel copione “La tavernetta” elaborato dal TM di Catanzaro dove i
reati per cui si procede riguardano la sfera sessuale della vittima,
una ragazza di nome Gaia.
Nell’incidente probatorio il Collegio delega un solo giudice che,
ove opportuno, sarà assistito da uno psicologo al fine di consentire
alla ragazza vittima del reato una più serena deposizione.
La deposizione avviene in uno spazio chiuso e protetto, arredato
in modo da apparire quasi un luogo familiare. Il difensore, il PM e
l’assistente sociale rimangono in disparte e in silenzio, in una
stanza attigua dietro un vetro a specchio unidirezionale, ovvero
preferibilmente collegati in video in una stanza vicina. Di norma,
dopo una prima fase, il giudice delegato all’esame e lo psicologo
raggiungono gli altri nella stanza accanto, raccolgono eventuali
domande aggiuntive, tornano dalla persona offesa e pongono le
ultime domande.
Nella maggior parte dei processi, per la verità, questa deposizione
sarà già stata raccolta in una data precedente il dibattimento con la
tecnica dell'incidente probatorio attraverso una registrazione
81
audiovisiva cui fare riferimento. La deposizione di Gaia avviene,
dunque, con modalità analoghe a un incidente probatorio: sono
state soprattutto le esigenze di copione a spingerci a raccogliere la
testimonianza in dibattimento.
82
Gli autori
Giordano Barioni - pedagogista e formatore, attualmente
responsabile dell’Area Accoglienza Sociale e Migranti della Città
del Ragazzo - Istituto don Calabria di Ferrara, per molti anni è
stato il coordinatore della comunità educativa della Città del
Ragazzo, che accoglie anche minori provenienti dal circuito
penale. Collabora con la Fondazione Paideia di Torino per
l’implementazione dell’Affiancamento Familiare.
Benedetta Bertolini – laureata in Giurisprudenza, sta concludendo
il dottorato di ricerca in Diritto processuale penale all’Università
degli Studi di Ferrara con tesi sulle alternative al processo penale,
ha svolto un tirocinio presso il Tribunale per i Minorenni di
Bologna e un corso di formazione per mediatori penali e sociali e
operatori di giustizia riparativa presso l’associazione O.n.l.u.s.
Spondè.
Elena Buccoliero – sociologa e counsellor, è referente dell’Ufficio
Diritti dei Minori del Comune di Ferrara e giudice onorario presso
il Tribunale per i Minorenni di Bologna. È inoltre direttrice della
Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati.
Giovanna Cascino – è responsabile del Settore Formazione del
Coordinamento di Ferrara di Libera Associazioni, nomi e numeri
contro le mafie.
Roberto Casella – avvocato, è membro della Camera Minorile di
Ferrara e co-responsabile del settore penale dell’Unione Nazionale
Camere Minorili.
Andrea Celeghini – insegnante presso il Liceo Scientifico “A.
Roiti” di Ferrara, referente per i progetti di educazione alla
legalità.
83
Valentina Dei Cas – educatrice presso il Servizio Sociale Minori
di ASP Ferrara, tra i suoi compiti ha anche la collaborazione con
l’Autorità Giudiziaria per quanto riguarda i minorenni ferraresi
autori di reato.
Donato La Muscatella – avvocato, è referente per il
Coordinamento di Ferrara di Libera Associazioni, nomi e numeri
contro le mafie.
Alberto Urro – educatore professionale e counsellor, coordinatore
per AUSL Ferrara delle attività di Promeco, referente “Essere
Genitori” servizio di counseling di Promeco.
84
85
II parte
Per continuare nella scuola
86
GLI ATTI DEL PROCESSO AL D.J. SPADA I materiali della simulazione
Premessa
In un percorso di educazione alla legalità basato sul video può
essere utile avere a disposizione gli atti su cui si è basata la
simulazione, e ciò sia per avere un riscontro su documenti molto
simili a quelli realmente presenti nei processi penali e incontrare il
linguaggio giuridico, sia per svolgere riflessioni sui testi o
proporre altri tipi di attività.
A questo scopo riportiamo il capo d’imputazione, ovvero
l’enunciazione sintetica reati che costituiscono l’accusa del
Pubblico Ministero contro il giovane imputato, completato – come
non avverrebbe nella realtà, ma in modo funzionale dapprima allo
sviluppo della simulazione e ora, in seconda battuta, alla sua
comprensione – dalla descrizione dei fatti secondo la ricostruzione
operata dal PM.
Segue quindi una relazione sulla personalità e il contesto socio
familiare dell’imputato, redatta tenendo a mente le relazioni che
davvero l’USSM (il Servizio Sociale del Ministero della
Giustizia) predispone per l’udienza e prendendosi qualche licenza
giocosa, con il pensiero agli amici operatori/attori che a Ferrara
avrebbero interpretato i diversi ruoli.
87
N. 3665/14 R.G. notizie di reato/Mod.21
N. Reg.int.P.M.
Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna
RICHIESTA DEL PUBBLICO MINISTERO
DI GIUDIZIO IMMEDIATO
E RELAZIONE SUI FATTI
E SULLE INDAGINI PRELIMINARI
- art. 453 c.p.p. -
Al Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale per i Minorenni
di Bologna
Il Pubblico Ministero dott. Flavio Lazzarini, Sost. Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna,
Visti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe, iscritto
nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. in data 7.7.2014 nei confronti
di:
SPADARO Giuseppe, nato a Copparo (FE) il 13.11.1997, res.te a
Ferrara Corso della Giovecca n° 180;
domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia, presso lo
studio in Ferrara Corso Isonzo n° 33;
Difeso di Fiducia dall’Avv. Roberto Casella del Foro di Ferrara;
Esercenti la potestà: SPADARO Alberto, nato a Ferrara (FE) il
13.04.1967, res.te a Ferrara Corso della Giovecca n° 180, padre
convivente; SOLMI Francesca, nata a Ferrara il 21.01.1965, res.te
a Ferrara via Boccacanale S.to Stefano 25;
FAC-SIMILE
88
A) per il delitto p. e p. dagli artt. 81 2°co. c.p. - 73 1°co. bis –
80 1°co. lett. a) D.P.R. 309/90; perchè, con una pluralità di
condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso,
illecitamente deteneva e cedeva a terzi a terzi, in assenza
dell’autorizzazione di cui all’art. 17, sostanza stupefacente del
tipo “ecstasy” MDMA, precisamente deteneva, al fine di farne
cessione, un quantitativo della predetta sostanza stupefacente pari
a complessivi grammi 5,648 - contenenti grammi 1,289 di
principio attivo MDMA idonei a realizzare n° 33 dosi medie
singole-, quantitativo suddiviso in n° 17 pasticche che portava
seco all’interno della discoteca “Phobia” di Ferrara, nella quale
svolgeva le mansioni di DJ; parte del predetto quantitativo di
sostanza stupefacente, precisamente n° 3 pasticche, veniva ceduto
a Cuoghi Francesca, minorenne, che a seguito della loro
assunzione riportava le lesioni specificamente indicate nel capo
sub B); fattispecie aggravata per essere stata la cessione di
sostanza stupefacente destinata a persona minorenne.
Fatto commesso in data 6.7.2014 in Ferrara loc. Ferrara.
B) per il delitto p. e p. dagli artt. – 586 – 583 1°co. n° 1 c.p.; perché, dopo la condotta delittuosa aggravata del delitto di cui al
capo A), quale conseguenza della cessione a Cuoghi Francesca di
n° 3 pasticche di ecstasy, contenenti la sostanza stupefacente
MDMA, cagionava alla predetta minore, che le assumeva
all’interno della discoteca “Phobia” di Ferrara, nell’arco
temporale di un’ora e con contestuale ingestione di abbandonati
quantità di bevande alcoliche, conseguenze lesive specificamente
consistite “segni di tachicardia, difficoltà a respirare, che
evolvevano in perdita di coscienza, fino all’instaurarsi di stato di
coma; con quadro stazionario dei parametri vitali e con
respirazione autonoma”, con prognosi che permane, allo stato,
riservata; Fatto commesso in data 6.7.2014 in Ferrara.
89
Persone offese:
CUOGHI Francesca, nata a Ferrara il 14.8.1997, res.te a
Ferrara (FE) in via Ercole degli Uberti 21;
Elementi che dimostrano l’evidenza della prova:
Comunicazione di notizia di reato della Questura di Ferrara datata
7.7.2014;
Verbale di perquisizione e di sequestro di sostanza stupefacente a
carico di Spadaro Giuseppe (personale, del veicolo e
dell’abitazione);
Verbale di arresto in flagranza di reato a carico di Spadaro
Giuseppe;
Relazione di Servizio degli Uff.li di P.G. della Questura di
Ferrara;
Analisi chimico-tossicologica sulla sostanza stupefacente in
sequestro;
Certificazione medica relativa alle lesioni patite da Cuoghi
Francesca (Certificato del P.S. Ospedale S. Anna di Cona, Ferrara,
del 6.7.2014 e seguenti);
Sommarie informazione rese da Righetti Manola (amica della p.o.
anch’essa presente nel locale);
Sommarie informazioni rese da Vicini Alessia (amica della p.o.
anch’essa presente nel locale);
Dichiarazioni spontanee dell’indagato nell’immediatezza dei fatti;
Verbale di interrogatorio rese dall’indagato in sede di udienza di
convalida dell’arresto in flagranza di reato;
Visto l'art. 454 c.p.p.,
CHIEDE L'emissione del decreto di giudizio immediato nei confronti
dell’imputato e per il reato sopraindicato.
ALLEGA la lista dei testimoni di cui all'art. 468 c.p.p., con preghiera, in
caso di emissione del decreto che dispone il giudizio immediato,
90
di deposito della stessa presso la competente cancelleria del
Tribunale entro il termine di legge.
MANDA alla Segreteria per gli adempimenti di competenza e in particolare
per la trasmissione, unitamente alla presente richiesta, del
fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa
alle indagini espletate e i verbali degli atti eventualmente compiuti
davanti al giudice per le indagini preliminari.
Bologna, lì 16.9.2014
IL SOST. PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
(dott. Flavio Lazzarini )
91
Illustrazione degli elementi di prova
Il 6.7.2014 alle ore 4.20 la centrale operativa della Questura di
Ferrara inviava l’equipaggio composto dall’Isp. Sup. Alessandro
Chiarelli, dall’Isp. Maurizio Colonna e dall’Isp. Torchia
Sebastiano presso la discoteca “Phobia” di Ferrara, ove veniva
segnalato il malore, con perdita di coscenza, di una giovane
all’esterno del locale, da verosimile abuso di sostanze
stupefacenti. Contestualmente veniva contattato il 118 con invio
sul posto di automedica.
All’arrivo degli operanti presso la discoteca “Phobia” era
presente, all’esterno del locale, subito in corrispondenza di
un’uscita di sicurezza sul retro, una giovane adagiata a terra, in
posizione supina, ed erano in corso le manovre rianimatorie da
parte del personale del 118. La giovane, che appariva priva di
coscienza, veniva trasportata presso il policlinico di Ferrara.
Sul posto venivano identificati alcuni giovani e personale in
servizio presso il locale. Erano presenti Righetti Manola e Vicini
Alessia, che riferivano di essere amiche della giovane appena
trasportata all’ospedale, la quale, sulla base delle loro
dichiarazioni, veniva identificata in CUOGHI Francesca, nata a
Ferrara il 14.8.1997, res.te a Ferrara (FE) in via Ercole degli
Uberti 21.
Le due giovani, nell’immediatezza dell’intervento e sul posto,
riferivano agli operanti di avere raggiunto il locale unitamente
all’amica alle ore 00.30 circa, con l’auto condotta da Righetti
Manola. All’ingresso del locale si erano poi separate, le prime due
rimanendo insieme per l’intera serata, mentre Francesca aveva
raggiunto il proprio fidanzato che era il DJ della discoteca, che
entrambe conoscevano solo con il nome di Giuseppe, oppure “DJ
Spada”. Avevano peraltro avuto modo di rivedersi di tanto in tanto
nel corso della serata, notando l’amica, sempre meno lucida, bere
bevande alcoliche alle quali aggiungeva, a loro giudizio, anche
pasticche di ecstasy. Entrambe le giovani precisavano che quanto
92
avevano appena riferito era una loro deduzione che scaturiva non
solo dallo stato psico-fisico dell’amica, sempre più assente,
stordita ed incurante del loro ripetuto invito a lasciare il locale per
fare ritorno a casa, sia perché già prima dell’arrivo al locale aveva
confidato che era sua intenzione assumere ecstasy insieme al
fidanzato Giuseppe, esperienza che riferiva avere già vissuto due
settimane prima, sempre presso questa discoteca.
Il sopraindicato “Giuseppe” veniva identificato in SPADARO
Giuseppe, nato a Copparo (FE) il 13.11.1997, res.te a Ferrara
Corso della Giovecca n° 2.
L’attenzione dei poliziotti, mentre erano intenti nell’ascolto delle
giovani sopraindicate, nonché nell’identificazione del personale in
servizio presso il locale, coaudiavati dai componenti di una
seconda volante della quale avevano sollecitato la presenza,
veniva attratta dall’atteggiamento particolarmente agitato di un
giovane che faceva più volte la spola tra un veicolo minicar
parcheggiato nei pressi e l’uscita di sicurezza del locale, non
rivolgendo mai lo sguardo in direzione degli operanti e avviandosi
con brusca accelerazione all’uscita del parcheggio. Intimatogli
l’alt ed invitato a scendere dal veicolo per poterlo identificare,
indugiava all’interno senza aprire la portiera e senza dare alcun
cenno di adesione. Una volta che gli operanti aprivano la portiera
scendeva e, invitato a declinare le proprie generalità, dichiarava di
chiamarsi Spadaro Giuseppe, nato a Copparo (FE) il 13.11.1997,
res.te a Ferrara Corso della Giovecca n° 2. Riferiva
spontaneamente di essere il DJ e che era sua intenzione
abbandonare il locale poiché aveva appena terminato la sua
prestazione lavorativa presso il locale, attività che svolge ogni
venerdì e sabato.
Il predetto non faceva spontaneamente alcun riferimento
all’episodio del malore della giovane e neppure ad un suo
rapporto di conoscenza con la medesima.
Sulla base delle prime informazioni che gli agenti avevano
raccolto dalle giovani sopraindicate in relazione al legame
93
sentimentale tra il DJ e la giovane appena trasportata all’ospedale
in stato di incoscienza, ma anche dell’atteggiamento agitato,
evasivo e visibilmente preoccupato dello Spadaro, si dava corso,
sul posto, alla perquisizione personale del predetto e a quello del
veicolo minicar in suo possesso.
La perquisizione personale non rivelava alcunché di utile e di
rilevante rispetto ai fatti, se non il possesso di due apparati
cellulari – un Apple I-phone 5 e un Samsung Galaxi 4 S -,
meritevoli di maggiore approfondimento investigativo, poiché il
telefono Samsung consentiva la visualizzazione di un messaggio
“Whatsapp” del seguente tenore: “non calare più, ci vediamo
dopo nel parcheggio”, messaggio che risultava inviato a certa
“Franci” alle ore 3.56 del 6.7.2014. Nel portafoglio aveva una
somma in denaro contante pari ad euro 280,00.
Nella perquisizione dell’abitacolo dell’automobile, proprio sotto il
sedile di guida, si rinveniva un involucro in cellophane contenente
n° 17 pasticche di colore bianco.
L’esame speditivo narcotest con l’apparato in dotazione
all’equipaggio dava immediata reazione positiva alla MDMA
(sostanza stupefacente notoriamente conosciuta come ecstasy). La
sostanza stupefacente in oggetto veniva sottoposta a sequestro
poiché trattasi di corpo del reato relativo al delitto per il quale si
procede. Venivano sottoposti a sequestro anche i due telefoni
cellulari e la somma di denaro contante, poiché tutti i predetti beni
venivano ritenuti pertinenti al delitto per il quale si procede.
Al rinvenimento dell’involucro contenente le pasticche lo Spadaro
ne ammetteva il possesso, affermando trattarsi di ecstasy.
Gli veniva espressamente chiesto di spiegare il significato del
messaggio “Whatsapp” sopra riportato e di riferire a quale persona
lo avesse inviato, anche in considerazione dell’evidente
riferimento, con il termine “calare”, all’espressione tipicamente
utilizzata per indicare l’assunzione delle pasticche di ecstasy e/o
sostanze stupefacenti similari.
94
Il minore, a questo punto, spontaneamente dichiarava che la
giovane appena trasportata all’ospedale, Cuoghi Francesca, era la
propria ragazza da circa 8 mesi, che nel corso della serata, la
ragazza, ripetutamente e con insistenza, gli aveva chiesto delle
pasticche di ecstasy, e che lui aveva fornito alla ragazza, in tre
momenti diversi altrettante pasticche, che la ragazza aveva
ingerito in sua presenza. Ricordava di avere visto Francesca
“esagerare anche con gli alcolici”, precisamente ricordava di
averle visto bere “un cocktail di ruhm e coca cola, poi un altro”,
che indicava con il nome di “Paradise”. Affermava che si era
trattato della prima cessione di sostanza stupefacente alla ragazza,
essendosi limitati in altre precedenti occasioni a fumare insieme
cannabis. Sulla provenienza della sostanza stupefacente in suo
possesso, il minore dava indicazioni particolarmente generiche ed
evasive che non consentivano un immediato sviluppo delle
indagini. Venivano estese le perquisizioni anche al suo domicilio
in Ferrara, ove abita presso il padre e la compagna del padre,
entrambi presenti all’atto, con esito peraltro negativo.
Personale della Questura di Ferrara si recava poi all’Arcispedale
S. Anna in Cona di Ferrara ove, nel frattempo, la minore Cuoghi
Francesca era stata presa in cura dapprima al pronto soccorso, con
prima diagnosi di “stato di coma, per verosimile overdose relativa
di sostanze stupefacenti MDMA in azione sinergica con
ingestione di rilevanti quantitativi di sostanze alcoliche”. La
minore veniva immediatamente ricoverata nel reparto di
rianimazione; i medici si riservavano la prognosi.
Sulla base di questi elementi, Spadaro Giuseppe veniva tratto in
arresto in flagranza per il delitto di detenzione e spaccio di
sostanze stupefacenti aggravato per avere destinato la sostanza
stupefacente anche a persona di minore età (artt. 73 1°co. bis – 80
1°co. lett. a) D.P.R. 309/90), nonché per il delitto di lesioni
gravissime a seguito di altro delitto doloso (artt. 586 – 583 1°co.
n° 1 c.p.).
95
Venivano avvisati entrambi i genitori del minore arrestato,
entrambi esercenti la potestà genitoriale sullo stesso.
Veniva nominato un difendore di fiducia nella persona dell’Avv.
Roberto Casella del foro di Ferrara, con studio in Corso Isonzo n°
33.
Il P.M. presso la Procura per i Minorenni di Bologna, in data
8.7.2014, richiedeva al Gip presso il Tribunale per i Minorenni di
Bologna la convalida dell’arresto in flagranza di reato, avanzando
anche richiesta di applicazione della misura cautelare della
permanenza in casa ai sensi dell’art. 21 D.P.R. 448/88.
In data 9.7.2014 veniva tenuta l’udienza di convalida dell’arresto
in flagranza di reato. Nel corso della stessa, il Giudice
sottoponeva ad interrogatorio il minore.
In questa sede, con specifico riguardo ai capi d’imputazione per i
quali era stato arrestato, il minore, avuta lettura del verbale di
arresto redatto dalla Questura di Ferrara, provato e visibilmente
addolorato, dopo essersi dichiarato profondamente dispiaciuto di
quanto accaduto presso il locale la notte di sabato, riconosceva
senza esitazione che tutto ciò che era stato riportato nel verbale
corrispondeva a verità. Ammetteva altresì di avere acquistato a
Ferrara il pomeriggio precedente un quantitativo di ecstasy
corrispondente a circa 30 pasticche, parte delle quali consumava
personalmente nel corso della serata, in numero di almeno due,
altre tre venivano cedute ad un giovane del quale non conosceva il
nome, presente all’interno del locale, e tre erano le pasticche
cedute alla propria ragazza Francesca Cuoghi. Ribadiva più volte
che la cessione ad entrambi era avvenuta gratuitamente, senza
ricevere in cambio alcunché.
Il minore dichiarava che quella era la prima occasione nella quale
aveva ceduto ecstasy alla ragazza, che non aveva mai visto né
altrimenti saputo essere assuntrice della sostanza stupefacente
ecstasy. Riconosceva di essersi reso conto che Francesca quella
serata aveva fatto anche consumo di bevande alcoliche, ma che
96
mai avrebbe pensato che potesse spingersi ad esagerare e che si
potesse giungere a tali drammatiche conseguenze.
Il minore proseguiva raccontando il proprio avvicinamento e
rapporto con le sostanze stupefacenti, le complesse relazioni
familiari con i genitori separati, le difficoltà e gli insuccessi
sperimentati negli ultimi anni in sede scolastica. Chiudeva l’atto
con una chiara manifestazione di volontà di chiedere e ricevere
aiuto e sostegno per la definitiva uscita dal rapporto con le
sostanze stupefacenti per il recupero di un percorso di vita
completamente diverso per recuperare tutte le proprie risorse
personali.
97
U.S.S.M. di Bologna Relazione per l’udienza del 7 ottobre 2014
Imputato Giuseppe Spadaro (n. Copparo il 13.11.1997)
Situazione familiare
I genitori di Giuseppe sono separati dal 2002, quando il ragazzo
aveva 5 anni, ed entrambi hanno un nuovo partner. Il rapporto tra i
due continua ad essere fortemente conflittuale, come si è
evidenziato anche in occasione del reato e come di seguito si dirà.
La situazione familiare è agiata. Il padre Alberto, 47 anni,
ingegnere elettronico, lavora in una multinazionale che spesso lo
impegna fuori dall’Italia. Si è risposato nel 2003 con una
antropologa, docente universitaria, e dalla nuova unione ha avuto
un figlio, Jacopo, che ha attualmente 3 anni.
La madre Francesca Solmi, 49 anni, ha lavorato come insegnante
di scuola primaria per lasciare l’insegnamento nel 2010 e partire
per l’India, dove per un anno ha vissuto in una comunità
abbracciando l’alimentazione vegana e la pratica quotidiana della
meditazione. In quel contesto ha conosciuto l’attuale compagno,
Luigi Van der Grotten, di nazionalità italo-olandese. Rientrata con
lui in Italia, a Ferrara, conduce un bazar di abbigliamento e
gioielli etnici. Il compagno la affianca recandosi in India due volte
l’anno per acquistare nuovi prodotti ma in Italia sembra non
svolgere alcuna attività lavorativa e fare uso di cannabis anche tra
le mura domestiche. La coppia non ha figli.
Il ragazzo ha trascorso tutta l’infanzia (fino alla I media) a
Copparo con la mamma. Parlando di quegli anni la madre lamenta
il sostanziale disinteresse del padre, troppo preso dal lavoro per
ricordarsi di Giuseppe. Il papà, d’altro canto, attribuisce alla
madre la responsabilità di avergli tenuto lontano il ragazzo per
anni proponendo al piccolo Giuseppe esperienze cd. “alternative”,
e di averlo improvvisamente abbandonato quattro anni or sono.
FAC-SIMILE
98
I genitori riportano che il ragazzo è intelligentissimo ma non si è
mai applicato allo studio, interessato piuttosto all’informatica e a
tutto ciò che è tecnologico, forse sulle orme del padre.
In I media Giuseppe ha riportato la prima bocciatura. Il ragazzo
racconta che nello stesso anno ha cominciato a fumare sigarette
piuttosto regolarmente e ha provato la prima “canna”, smentendo
così il padre che tende ad imputare l’uso di cannabis ad un
periodo successivo (frequentazione con il compagno della madre,
il signor Van der Grotten).
All’età di 12 anni Giuseppe ha cominciato ad essere sempre più
irrequieto: non studiava, non portava a scuola il materiale
scolastico, rispondeva male agli insegnanti. Non è mai stato
violento con i compagni, per i quali è sempre stato un “jolly”, una
sorta di animatore e di leader naturale.
Nel 2010 la madre ha deciso di partire per l’India e ha affidato il
ragazzo al padre il quale ha preso Giuseppe con sé incolpando,
sostanzialmente, la mamma di avere abbandonato il figlio e di non
aver mai saputo dargli la serenità e la fermezza necessarie.
Rientrata nel 2011 in Italia la mamma ha investito molto sul
nuovo rapporto affettivo e sull’avvio di un gruppo di meditazione,
“Il potere spirituale dell’anima”, mentre, sempre nel 2011, nel
nucleo paterno nasce il fratellino Jacopo. Per Giuseppe tutto
questo ha il significato di un duplice abbandono (“ognuno aveva
le sue cose a cui pensare”). Inoltre il rapporto con Laura, moglie
del padre, dopo un iniziale periodo di idillio, in seguito alla
nascita di Jacopo si è rivelato molto conflittuale, mentre il padre
proseguiva i suoi impegni di lavoro.
Nella famiglia paterna Giuseppe ha cominciato a riprodurre gli
stessi comportamenti che aveva sperimentato con la madre,
riuscendo a limitarsi, a quanto pare, solo in presenza del papà.
In questi ultimi anni Giuseppe ha alternato fughe improvvise da
un genitore all’altro, mostrando di non riuscire a riconoscere la
propria casa in nessuna delle sue dimore e non trovando un
equilibrio tra due modelli educativi e aspettative tanto
contrastanti. Sembra avere un rapporto sostanzialmente
99
strumentale verso il genitore che di volta in volta lo ospita, a
seconda che abbia bisogno di soldi (dal padre) o di libertà (dalla
madre).
Il minore racconta di avere sperato a lungo che il papà e la
mamma si occupassero veramente di lui e di non aspettarsi più
niente da loro. Il suo rapporto più stretto è con gli amici. Il
ragazzo frequenta una scuola privata di recupero anni (“i miei si
aspettavano almeno un liceo”, commenta) lavora come p.r. e d.j.
per diversi locali a Ferrara (dove risiede il padre), e ha a Copparo
(dove ha vissuto con la madre fino al 2010) gli amici d’infanzia a
cui è tutt’ora molto legato. Nel suo racconto, la compagnia di
Ferrara è quella della passione per la musica e per la discoteca,
quella di Copparo è il luogo della trasgressione ma anche delle
confidenze più intime.
Del gruppo di Copparo fa parte anche Francesca, la ragazza di
Giuseppe, ancora in coma dopo l’evento per cui si procede. I
genitori di Francesca conoscono da anni i genitori del ragazzo e
anche in questa occasione mantengono un costante contatto con
loro. Sono molto delusi da Giuseppe, che consideravano quasi
parte della famiglia, e lo accusano di avere rovinato la loro
ragazza iniziandola al consumo di droghe e portandola poi ad
esagerare.
Rapporto con le droghe e atteggiamento del minore di fronte
al reato contestato
Giuseppe va in discoteca venerdì, sabato e domenica, sia per
divertirsi sia per lavorare, e ammette di usare abbastanza
regolarmente alcolici ed ecstasy durante le serate aggiungendo,
solo nelle occasioni importanti, cocaina o chetamina.
Dichiara di non assumere sostanze negli altri giorni della
settimana, se non la cannabis per rilassarsi (che però lui non
considera una “vera” droga). L’episodicità del consumo lo
rinforza nella convinzione di non avere mai sviluppato un
rapporto di dipendenza e di poter governare a suo piacimento le
sostanze.
100
Per il papà e la mamma di Giuseppe il reato è stato la prima
occasione per sapere “ufficialmente” che il figlio fa uso di droghe,
cosa che entrambi dichiarano di non avere mai sospettato prima e
verso la quale hanno un atteggiamento contraddittorio: possibilista
sulla cannabis la madre, ma molto severa sulle droghe chimiche;
nettamente contrario all’uso di stupefacenti il padre, soprattutto
perché il figlio “non deve reggere prestazioni particolari”,
lasciando intendere da parte sua un utilizzo occasionale di cocaina
per sostenere i ritmi particolarmente intensi del suo lavoro.
Alla convocazione del Ser.T. per entrambi i genitori la madre non
si è presentata e ha cercato, senza successo, di avvicinare il figlio
allo yoga e alla meditazione, mentre il padre si è rifiutato di
presentarsi al servizio pubblico e si è rivolto privatamente ad uno
psichiatra molto noto, che Giuseppe non ha mai voluto incontrare.
Il ragazzo considera che le sostanze siano “un problema suo”, o
meglio “un suo modo di divertirsi”. Non riconosce il consumo
come problematico e non riesce a capire perché “offrire qualcosa”
alla sua ragazza debba essere considerato un reato. È però
estremamente dispiaciuto per le conseguenze patite da Francesca,
la sua “prima storia importante”.
La permanenza in casa, trascorsa presso l’abitazione del padre con
il permesso di uscire solo per recarsi a scuola, è stata molto dura
per lui perché gli ha imposto di interrompere il lavoro nei locali
notturni e di rinunciare, per un periodo significativo, ad esercitare
il suo “personaggio” nel rapporto con i coetanei. Al tempo stesso
è stata per lui un’esperienza nuova e positiva perché il padre ha
annullato un viaggio di lavoro per potergli stare vicino, cosa che, a
detta di Giuseppe, non era mai successa prima di allora. Il ragazzo
racconta di aver capito molte cose durante questo periodo di
misura cautelare, ad es. che la vita del d.j./p.r. lo gratifica molto
ma richiede un ritmo non compatibile con un lavoro regolare e
una famiglia, che lui vorrebbe un giorno costruire. Tutto questo,
insieme alla prospettiva della condanna, lo ha portato a prendere
in considerazione la possibilità di una messa alla prova.
101
Progetto di messa alla prova
Dopo diversi colloqui con il ragazzo, separatamente e insieme ai
genitori, si è condivisa la possibilità di sottoporre al Tribunale un
progetto di messa alla prova che potrebbe essere così articolato:
- inserimento nella comunità educativa Città del Ragazzo,
che ha una collaborazione con il Ser.T. per un modulo
specifico rivolto ad adolescenti sperimentatori di sostanze;
- proseguimento del percorso scolastico presso la scuola di
recupero anni attualmente frequentata, con l’impegno di
presentarsi assiduamente e ottenere buoni risultati;
- durante il periodo estivo, svolgimento di una borsa lavoro
in accordo con il Comune di Ferrara (si sta individuando il
datore di lavoro più indicato);
- volontariato per due pomeriggi alla settimana,
indicativamente martedì e sabato dalle 15 alle 19, presso la
scuola di musica “Musi Jam”, con il compito di aprire il
sito web della scuola di musica e coadiuvare le funzioni di
segreteria (raccolta iscrizioni, sistemazione sale, cura degli
strumenti…), e con la possibilità di essere eventualmente
coinvolto nelle attività didattiche;
- controlli delle urine, anche a sorpresa, percorso
psicologico individuale e di gruppo presso il Ser.T.;
- incontri di verifica a cadenza periodica con questo
Servizio Sociale.
Con l’aiuto della comunità educativa, il Servizio Sociale si
impegnerà per il coinvolgimento della famiglia nel percorso di
messa alla prova.
102
DIVENTARE PROTAGONISTI
Un copione teatrale per insegnanti e studenti
Presentazione
Sono state molteplici in Italia, negli ultimi anni, le messe in scena
di processi minorili promosse dall’Autorità Giudiziaria o
dall’avvocatura a scopo educativo e di prevenzione. Come
sappiamo, “Non era un gioco” nasce dalla simulazione realizzata
dal Tribunale e dalla Procura per i Minorenni di Bologna, a
Ferrara nell’ottobre 2014 e a Bologna per due volte, nel 2013 e nel
2015.
Un percorso vicino ma differente, con tratti di grande
coinvolgimento, viene portato avanti da alcuni anni dal Tribunale
per i Minorenni di Catanzaro dove gli allievi diventano attori del
processo incarnando tutti i ruoli: pubblico ministero, testimone,
imputato, giudice, e via discorrendo. E, data la complessità di
trasmettere ai ragazzi il linguaggio giuridico e una conoscenza
completa della procedura penale minorile, un gruppo di giudici di
quel Tribunale, guidati dal Presidente Luciano Trovato, ha messo
a punto alcuni copioni, vere e proprie sceneggiature teatrali che
descrivono battuta dopo battuta gli interventi dei diversi
personaggi.
A Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia e Cosenza decine di scuole,
ovvero molte centinaia di ragazzi insieme ai loro professori,
hanno provato in classe le recite e le hanno riportate in aula,
insieme ai “giudici veri”, realizzando una eccezionale esperienza
di avvicinamento degli adolescenti alla giustizia minorile.
“Il processo si svolge in una vera aula di Tribunale, come fosse
una rappresentazione teatrale, alla presenza di tutor, veri giudici
e avvocati”, scrive al riguardo Luciano Trovato. “Questo per
avvicinare i ragazzi allo svolgimento di un vero e proprio
processo, utilizzando la propensione del processo a trasformarsi
in un gioco in cui i giovani giocatori, divertendosi con la
recitazione, che in alcuni casi può raggiungere anche momenti di
103
poesia, imparano ad apprezzare le regole della democrazia e
della giustizia (il rispetto reciproco, il contraddittorio, il fair play,
la coltivazione del dubbio), vestono i panni autorevoli dei
responsabili della giustizia, e toccano con mano che cosa
significa commettere un reato e quali conseguenze ne possono
derivare”.
Tutti i copioni e la documentazione del progetto verranno
pubblicati a breve con il titolo “Ciak… si va in scena. Un processo
simulato per evitare un processo vero”.
Alla generosità del Presidente Trovato dobbiamo la possibilità di
presentare qui “La tavernetta”, il primo e il più rodato dei copioni,
per tutte le scuole emiliano-romagnole che vorranno dare
continuità al percorso.
“La tavernetta” racconta una storia di cyberbullismo dove una
festa troppo alcolica diventa occasione per ritrarre una ragazzina
in atteggiamenti sessualizzati e poi demolire la sua reputazione
con lo scambio di immagini dei giorni seguenti. L’intreccio
distingue la posizione dei diversi imputati e della ragazza, i
sentimenti e le motivazioni di ciascuno, e può essere utilizzato sia
per proseguire nell’educazione alla legalità, sia per avvicinarsi ai
temi del rispetto e della violenza tra i sessi.
I copioni sono adatti e rodati con ragazzi delle scuole secondarie
di I e II grado.
104
LA TAVERNETTA
Copione teatrale per le scuole ideato e sperimentato
dal Tribunale per i Minorenni di Catanzaro
La storia di finzione riportata di seguito rappresenta la base del
processo simulato.
La vicenda e i personaggi
I protagonisti: un gruppo di ragazzi di 14 anni
Antonio e Federico sono due ragazzi provenienti da famiglie non
agiate e, da poco tempo, sono diventati molto amici di Luca, che,
invece, proviene da una famiglia molto benestante. Si frequentano
spesso a casa di Luca.
Con loro, il più delle volte, c'è un cugino di Luca, Mirko, che lo
accompagna e vive, quasi, nella sua ombra.
I quattro hanno formato un gruppo coeso e stanno sempre insieme.
Luca, Antonio e Mirko sono molto amici anche perché, da poco,
sono diventati compagni di classe al primo anno delle superiori.
Federico, invece, li frequenta molto ma non è loro compagno di
classe. Mirko è sempre accanto a Luca.
I divertimenti del gruppo sono tutti maschili ed accomunati da un
atteggiamento piuttosto negativo nei confronti delle ragazze.
Conosciamoli un po' più da vicino …
Luca è un ragazzino taciturno e fissato col calcio. Non ha
interesse per le ragazze della scuola che frequenta ma ha un
carisma oscuro che proviene, per una parte, dalla ricchezza ed
influenza della sua famiglia e, dall'altra, da una certa attitudine
alla leadership. Suo padre è un imprenditore facoltoso ma non è
mai in casa mentre la madre è un'insegnante molto, forse troppo,
protettiva nei suoi confronti. Suoi sono di norma i giochi che
105
coinvolgono gli altri e possiede addirittura una costosa minicar
(automobile che può essere guidata dai quattordicenni). Ma
soprattutto ha a disposizione una tavernetta tutta per sé dove c'è
un potente computer per i videogames e una fantastica Play
Station completa di tutti gli accessori. Caratterialmente non
esterna i comportamenti del ragazzino viziato ma, è certo un
ragazzo che dispone di molto e non si vergogna a farlo vedere. In
realtà, figlio unico, è spesso solo, poco comunicativo e piuttosto
problematico.
Suo cugino Mirko subisce continuamente l'influenza di Luca e,
pur essendogli sempre vicino, prova per lui sentimenti
contrastanti. È figlio di semplici impiegati e, se da un lato invidia
il cugino per gli oggetti che possiede e per l'atteggiamento da
capobanda, dall'altro continua a stargli sempre vicino. Quando
litigano, arrivano spesso ad insulti pesanti ma mai ad una rottura
definitiva. In fondo, Mirko vede con chiarezza nel cugino quello
che lui stesso vorrebbe essere ma si rende conto di non esercitare
lo stesso magnetismo sugli altri. Mirko è bravissimo a scuola ed
ha un atteggiamento quasi sempre remissivo: in realtà, lo fa per
difesa. Cerca sempre di fare il superiore ed evita di omologarsi
troppo agli altri. A differenza di Luca però, è dotato di sensibilità,
ed è in un momento della sua vita in cui è un po' confuso
sessualmente. Ha fatto abbastanza amicizia con Antonio ma non
con Federico.
Antonio, invece, è un ragazzo pieno di rabbia e voglia di riscatto.
Figlio di un operaio e di una casalinga è in un momento in cui
desidererebbe una fidanzata (soprattutto bella) ma ha un gran
timore nei rapporti con l'altro sesso. Crede di non piacere perché è
sovrappeso ed ha un aspetto fisico tozzo e poco elegante. È
sempre insieme a Luca e gli fa, quasi, da guardaspalle. Ha poca
voglia di studiare ma a scuola si barcamena bene ed è fisicamente
forte, pericoloso addirittura, al punto da essere guardato da tutti
con rispetto, se non con paura. Viene da un ambiente non facile,
106
dove sgomitare è la regola e dove le botte non sono mancate.
Dagli altri viene considerato un duro ed ha lavorato molto per
costruirsi questa fama. In realtà ha le sue fragilità, come tutti, e
reagisce così solo perché crede che sia questo il modo migliore
per non soffrire.
Federico, infine, viene da una famiglia di piccoli commercianti. È
legato ad Antonio dalla comune scuola media ed ha conosciuto
Luca attraverso di lui. Questa conoscenza non può non piacergli,
soprattutto perché non gli è mai capitato di fare cose così
divertenti con qualcuno. Gioca come portiere in una squadra di
calcio ed è un ragazzo vanitoso e sicuro di sé. Federico ha
decisamente l'aspetto del bravo ragazzo ma frequenta il gruppo
d'amici sempre un po' da esterno e sempre per interesse. Infatti,
furbo com'è, da un lato, è molto interessato alle ragazze e quindi
l'atteggiamento del gruppo (su questo argomento) non gli va a
genio, e dall'altro, ha un modo di fare troppo indipendente per
andare sempre d'accordo con Luca, che tante volte diventa
dispotico.
Il luogo di ritrovo
Le feste tra compagni di classe e le riunioni si iniziano a fare nella
tavernetta di Luca che è diventata una specie di covo dei ragazzi:
nella villa di Luca, infatti, c'è questo locale tutto per loro dove si
possono fare tante esperienze senza avere genitori per i piedi!
Ed è proprio questo lo scenario in cui si apre la nostra storia.
107
I fatti
Alla fine di una festa organizzata nella tavernetta di Luca, sono
poche le ragazze rimaste ed in particolare ce n’è una sola nel
gruppo dei maschi che si passano una bottiglia di vodka.
Si chiama Gaia, ed è la vittima di questa storia. È una ragazza che
viene da un passato di bambina poco attraente che solo da poco
riceve i primi apprezzamenti da parte dei maschi. Si è fatta carina
e sogna di fare la modella. La sua famiglia però non ha retto bene
alla separazione dei genitori e ciò si è verificato proprio nel
momento in cui la sua femminilità, pur ancora immatura, si
trovava in piena esplosione. Questa fioritura, ora, si mostra in quel
giardino irreale che è rappresentato dalla tavernetta frequentata
dal gruppo dei ragazzi.
Quella sera, le amiche di Gaia si sono allontanate con i rispettivi
partner e lei è rimasta da sola con i maschi.
Gaia va in giro da un po' di tempo con una macchina fotografica
reflex (nuova di zecca) che le ha regalato il padre e, quella sera,
per l’occasione della festa è vestita in modo provocante. Ha anche
bevuto qualche bicchierino di troppo e inizia a fare la scema.
Se per tutta la serata ha fatto la fotografa, ora inizia a fare la
modella. Scatto dopo scatto gli atteggiamenti sono via via più
provocanti e non ci vuole molto per passare alle vie di fatto: Luca
le propone di fare uno spogliarello per il gruppo.
La serata si surriscalda come gli animi dei ragazzi: nessuno ha
voglia più di fermarsi e tutti approfittano della situazione che si
sta creando. Gaia ha forse la scusa di essere brilla, Antonio non
vede l'ora di assistere a uno spogliarello, mentre Luca si diverte a
fare il maestro di cerimonia e a comandare alla ragazza di fare
cose sempre più osé. Anche Mirko è molto coinvolto
emotivamente da ciò che sta accadendo.
Tutto viene fotografato quasi ossessivamente, Gaia capisce di
essersi spinta troppo avanti e comincia ad essere riluttante.
Tutta la serata viene raccontata proprio con la macchina
fotografica di Gaia...
108
Ma, in definitiva, di cosa si tratta? Sicuramente, degli atteggiamenti di una
ragazza, che arriva ad essere nuda e ubriaca, in mezzo a dei ragazzi
sessualmente eccitati. Fortunatamente il provvidenziale ritorno dell'amica di Gaia, Beatrice, e
dell’altra coppia appartata fa finire la festa e nulla di veramente violento
sembrerebbe essersi verificato. Ma il vero problema si pone in seguito
all'evento di quella notte.
Nei giorni successivi, poiché a Gaia è stata sottratta la scheda di
memoria con le foto della sua macchina fotografica, a Federico
viene in mente di sfruttare la situazione e vuole scambiare il suo
aiuto (per ritrovare la scheda) con una prestazione sessuale di
Gaia; le assicura che sistemerà tutto lui e comincia a farle
pressioni sempre più pesanti.
Gaia, in un primo momento, non vorrebbe cedere ma, il sabato
successivo, ad un compleanno, si apparta con Federico, così per
parlare un po' , dopo i molti contatti via WhatsApp.
Federico, quella sera, si bacia con Gaia, la quale, però, gli
confessa che è innamorata di Luca ed è stata con lui solo per
liberarsi della storia della tavernetta e per riavere la scheda.
Federico si vanta della cosa raccontando tutto ad Antonio.
Purtroppo questo atteggiamento innesca la furiosa gelosia di
quest'ultimo. Infatti, Antonio è molto innamorato di Gaia e non
riesce a gestire il dolore che questo sentimento non
contraccambiato gli provoca.
A questo punto, Antonio e Federico vanno da Luca e gli
raccontano tutto.
Passa poco tempo ed alcune foto osé iniziano a circolare
velocemente. La reputazione di Gaia subisce un colpo mortale ed
il danno è ormai irreparabile.
Inquietante rimane l'atteggiamento di Luca. Infatti, il capobanda si
dimostra nei confronti della ragazza innamorata di lui,
incredibilmente crudele e distaccato. Sembra trarre piacere solo
dal vederla più umiliata e sottomessa.
È dalla terribile alleanza che si rinsalda con Antonio che
109
scaturiscono le conseguenze peggiori.
È pazzesco pensare come ormai tutto giochi a ferire la vittima.
Vengono pubblicate false foto della ragazza in atteggiamenti
pornografici. In sostanza foto pornografiche cui viene sostituita la
sua faccia con dei fotomontaggi.
Gli scherzi si moltiplicano in un gioco al massacro che solo
apparentemente è allegro.
Antonio, Federico e Luca usano un gruppo WhatsApp che ha il
solo scopo di demolire la rispettabilità di Gaia. Insomma, gli
scherzi non sono più tali e la vita di relazione della ragazza non è
nemmeno l'ombra di quello che era prima.
Ormai anche su Google appaiono le foto di Gaia che vengono
condivise migliaia di volte.
Luca, non avendo sentimenti nei confronti di Gaia per la quale
nutre solo disprezzo, guida una vera e propria guerra nei confronti
della ragazza mentre gli altri, in modo più o meno esplicito, la
desiderano. Questa confusa e bizzarra mescolanza di sentimenti
porta la situazione alle estreme conseguenze.
La ragazza, col passare del tempo, viene sempre più allontanata
dagli amici e braccata dai suoi cyberbulli.
Le amiche, Beatrice compresa, iniziano a non volerla più vedere e
a non difenderla, la isolano, e la trattano ormai come una poco di
buono mentre la famiglia non ha le capacità e gli strumenti per
poter intervenire. La storia è già tristemente nota e in poco tempo,
sempre più angosciata, la ragazza pensa disperatamente che
l’unica strada per uscire da questa situazione sia il suicidio.
Gaia non parla quasi più e non ha più nessuna vita sociale; così
una sua insegnante propone alla madre l'attivazione di un sostegno
da parte di una psicologa. Gaia va, in effetti, ad un solo incontro
ma non ad altri appuntamenti perché il padre è fortemente
contrario a questa soluzione, temendo ripercussioni sulla sua
causa di divorzio. Nella testa di Gaia balena ormai la prospettiva
estrema. Sempre più sola e isolata, Gaia, un giorno qualsiasi, non
va a scuola. Viene portata in fin di vita in ospedale dopo che ha
tentato di impiccarsi nella sua stanza.
110
COPIONE I
Personaggi:
I personaggi di questa simulazione del processo penale minorile
sono i seguenti:
Componenti del Collegio del Tribunale:
Il Presidente (giudice togato) [allievo/a n°1]
Il giudice “a latere” (giudice togato) [allievo/a n°2]
I° giudice onorario Giorgia Sestito (magistrato c.d. esperto
proveniente da altre professioni) [allieva n°3]
II° giudice onorario (magistrato c.d. esperto proveniente da
altre professioni) [allievo n°4]
Le Parti:
Il Pubblico Ministero, da ora in poi PM [allievo/a n° 5]
Avvocato Gallo, difensore dell'imputato Luca Camera
[allievo/a n° 6]
Avvocato Scorza, difensore dell'imputato Mirko Morelli
[allievo/a n° 7]
Avvocato Miliè, difensore dell'imputato Antonio Casale
[allievo/a n° 8]
Avvocato Pallini, difensore della Persona Offesa (Gaia)
[allievo/a n° 9]
Testimoni del PM:
Ispettore della Polizia Postale Paolo/a Acheri [allievo/a n° 10]
Psicologa Maria Galimberti [allieva n° 11]
Beatrice Sorbillo [allieva n° 12] (amica di Gaia)
Gaia Procopio [allieva n° 13] (Persona Offesa)
Testimoni della Difesa:
Altiero Spadanuda [allievo n° 14] (allenatore degli imputati)
111
Federico Foglia [allievo n° 15] (amico degli imputati)
Giulio Barra [allievo/a n° 16] (fidanzato di Beatrice)
Altri:
Un ufficiale giudiziario [allievo/a n° 17]
Un cancelliere [allievo/a n° 18]
Un tecnico della registrazione [allievo/a n° 19]
Un carabiniere [allievo/a n° 20]
Un Assistente Sociale [allievo/a n° 21]
Imputati:
Luca Camera
Antonio Casale
Mirko Morelli
112
PROLOGO
Sono presenti in Aula
Collegio
PM
Assistente sociale
Ufficiale giudiziario
Cancelliere
Tecnico
Carabiniere
Entrano gli imputati ed i rispettivi difensori;
Nella simulazione alcuni ruoli possono essere accorpati
(come nel caso degli avvocati)
Alcuni completamente eliminati: il tutto rispettando il senso della
rappresentazione
I Giudici, il PM ed il cancelliere indossano la toga.
PRESIDENTE (all'ufficiale giudiziario): Ufficiale, chiami il
processo.
L'UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta
voce):
Procedimento penale contro gli imputati:
Luca Camera, di Massimo, nato a Catanzaro il 12.06.2000, e
residente in Catanzaro, al corso Roma n. 18;
Mirko Morelli, di Carmelo, nato a Catanzaro il 28.07.2000 e
113
residente Catanzaro, alla via Gramsci, 1;
Antonio Casale, di Giacomo, nato a Praia a Mare (CS) il
05.05.2000 e residente in Catanzaro, alla via Battistini n. 11;
PRESIDENTE (si rivolge alle parti): Ci sono questioni
preliminari?
PM: Presidente, condivido con l’avv. Pallini la richiesta di sentire
la Persona Offesa con forme protette, per intenderci, come se
dovessimo sentirla in “incidente probatorio”. Le restanti parti mi
autorizzano a dirle che sono d'accordo... Congiuntamente
chiediamo che, per ragioni di celerità dibattimentale e per una
migliore organizzazione nell’escussione dei testi, Gaia venga
sentita subito prima degli imputati.
PRESIDENTE: Se non ci sono altre questioni, non vedo motivo
di rifiutare la richiesta e acconsento a posporre la deposizione
della Persona Offesa che avrebbe dovuto essere sentita come teste
dell'Accusa prima dei testimoni della Difesa.
Non essendo proposte altre questioni preliminari, dichiaro aperto
il dibattimento e diamo lettura dei capi d'imputazione:
I ragazzi imputati sono pregati di alzarsi in piedi.
Si alzano
Vi ricordo che siete qui per rispondere dei seguenti reati e
quindi…
Cancelliere, dia lettura dei capi d’imputazione.
CANCELLIERE:
IMPUTATI
Del delitto di cui agli artt. 81 cpv. (capoverso), 600 ter comma
terzo e 600 quater cp (codice penale) perché, in concorso tra
loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno
114
criminoso e con azioni commesse anche in tempi e luoghi
diversi, realizzavano e divulgavano tramite applicazione
“WhatsApp” sul gruppo “Tavernauti” materiale
pedopornografico ritraente la minore Gaia Procopio. In
Catanzaro dal 26 settembre e sino al 15.12.2014.
Del delitto di cui agli artt. 110, 600 ter e 600 quater cp perché,
in concorso tra loro, in esecuzione di una medesima
risoluzione criminosa e con azioni commesse anche in tempi e
luoghi diversi, utilizzando effigie del volto della minore Gaia
Procopio ed abbinandola ad immagini di nudi femminili di
diverse persone, realizzavano materiale pedopornografico che
poi divulgavano tramite WhatsApp. In Catanzaro sino al
15.12.2014.
Del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv., 595 cp perché, in
concorso tra loro ed in esecuzione di una medesima
risoluzione criminosa, con azioni commesse anche in tempi
diversi, comunicando con più persone attraverso il social
network “WhatsApp” ed ivi diffondendo le immagini descritte
ai capi che precedono, offendevano la reputazione della
minore Gaia Procopio. In Catanzaro sino al 15.12.2014.
Del reato di cui agli artt. 110, 660 cp perché, in concorso tra
loro, indirizzandole ripetuti messaggi di contenuto derisorio
tramite l’applicativo “WhatsApp” del tenore “sei la sagra della
cellulite, hai un corpo orribile” e simili, nonché inviandole
ripetutamente messaggi in chat proferendo nei suoi confronti
pesanti ingiurie con espressioni del tipo “troia” “zoccola”,
molestavano la minore Gaia Procopio. In Catanzaro sino al
15.12.2014.
Del delitto di cui agli artt. 110, 580 comma primo e secondo in
relazione all’art 579 comma terzo nr. 1 cp perché, in concorso
tra loro, con le condotte reiterate indicate ai capi che
precedono, determinavano la minore Gaia Procopio a tentare il
suicidio, azione cui conseguiva una malattia che ne poneva in
pericolo la vita. In Catanzaro il 15.12.2014.
115
PRESIDENTE: Invito il PM e la Difesa ad indicare le fonti di
prova.
PM: chiedo che siano ascoltati i testi isp. Paolo Acheri, la dott.ssa
Maria Galimberti, Beatrice Sorbillo (minore) amica della persona
offesa e la persona offesa Gaia Procopio che non ho potuto sentire
prima per il suo stato di salute. Chiedo infine l’esame degli
imputati.
I difensori, avv. Gallo per tutti: oltre al controesame dei testi del
PM, chiediamo che siano ascoltati l’allenatore dei ragazzi Altiero
Spadanuda, Federico Foglia amico degli imputati e della stessa
persona offesa, e Giulio Barra fidanzato di Beatrice Sorbillo;
infine chiediamo anche noi l’esame degli imputati.
116
ATTO I (I TESTIMONI DELL'ACCUSA)
PRESIDENTE: Sig. PM, qual è il primo teste dell'Accusa?
PM: L'isp. della Polizia di Stato Paolo/a Acheri, sig. Presidente.
UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): L'isp. Paolo/a Acheri entri in aula.
Entra Acheri, viene accompagnato al banco
PRESIDENTE: Prego ispettore, legga la formula d'impegno.
ISP. ACHERI: Consapevole della responsabilità morale e
giuridica che assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta
la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.
Siede
PRESIDENTE: Prego ispettore, fornisca le sue generalità.
ISP. ACHERI: Sono Paola/o Acheri nata/o a Soveria Mannelli il
24/09/1973 e sono ispettore della Polizia di Stato, nella II sezione
della Polizia Postale e delle Comunicazioni di Catanzaro.
PRESIDENTE: Grazie ispettore, la prego di rispondere alle
domande del PM e del Difensore. Prego PM.
Esame diretto da parte del PM dell'Isp. Acheri
PM: Grazie Presidente. Ispettore Acheri, ci può dire come avete
avuto notizia per le indagini?
ISP. ACHERI: Sig. Presidente, data la complessità della vicenda
chiedo di essere autorizzato a poter consultare gli atti alla cui
redazione ho collaborato.
PRESIDENTE: Lei è autorizzato, prego, continui pure.
Prende il fascicolo
ISP. ACHERI: Gli atti sono stati trasmessi dalla Questura di
Catanzaro alla Polizia Postale e, in particolare, alla sezione da me
diretta, a seguito del tentato suicidio della minore di cui ha avuto
notizia l'ufficio di Polizia presso l'Ospedale di Catanzaro. C'è poi
stata una querela contro gli accusati che è stata sporta dal padre
della minore poiché ritiene che il gesto della ragazza sia da
imputare all'istigazione subita attraverso mezzi informatici in un
quadro di Cyber-bullismo.
117
PM: Qual è esattamente il motivo che il padre della vittima
adduceva, nella sua querela, come causa del tentativo di suicidio
della figlia minore?
ISP. ACHERI: Sosteneva che nel telefono di Gaia erano presenti
foto di pornografia minorile postate da un gruppo di WhatsApp
che ritraevano la stessa minore nuda e in atteggiamenti provocanti
insieme ad alcuni compagni di classe. Inoltre, asseriva che queste
foto stessero circolando tra i ragazzi e nel loro ambiente sempre
tramite WhatsApp. Questo, in definitiva, aveva determinato la
scelta suicida della figlia.
PM: Ora, a seguito delle indagini da voi condotte, siete riusciti a
risalire a chi ha messo in circolazione su Internet le foto che
ritraggono la vittima nella notte del 26/9/2014 negli atteggiamenti
che vediamo agli atti e nelle fotografie assunte come prove in
giudizio?
ISP. ACHERI: Sul gruppo WhatsApp denominato “Tavernauti”,
di cui è amministratore l'imputato Mirko Morelli, la prima foto è
stata postata dal telefono dell'imputato Luca Camera il 04/10/2014
e, dal gruppo, poi, l'immagine è stata condivisa un numero elevato
di volte tra i telefoni degli appartenenti alla loro scuola e non.
PM: Tutti e tre gli imputati hanno postato e condiviso le foto di
Gaia negli atteggiamenti che conosciamo per averli tra le prove a
disposizione del Tribunale?
ISP. ACHERI: Sì.
PM: Come lo avete stabilito?
ISP. ACHERI: Innanzitutto, a seguito del sequestro del
telefonino della vittima, Gaia Procopio, sono stati individuati i
ragazzi effigiati nelle fotografie e abbiamo proseguito le indagini
ponendo sotto sequestro i devices portatili a disposizione dei
minori che oggi risultano imputati. Su tutti gli smartphone sono
state individuate le foto di riferimento, sebbene fossero state
successivamente eliminate dagli utenti.
PM: Avevano dunque tentato di nasconderle?
ISP. ACHERI: Erano state di certo cancellate, ma i nostri
programmi investigativi permettono facilmente di risalire anche ai
118
files cancellati.
PM: Quindi non ci sono dubbi che le foto siano transitate e
divulgate da quei telefoni?
ISP. ACHERI: Su questo, nessun dubbio!
PM: Bene. Passiamo adesso al dopo.... Cioè, a seguito della
pubblicazione di quelle foto. Sbaglio o nei messaggi gli imputati
prendevano pesantemente in giro la ragazza?
AVV. MILIE': Obiezione! La domanda è suggestiva perché così
si suggerisce una risposta affermativa.
PRESIDENTE: Accolta. (al PM) La prego di riformulare la
domanda.
PM: Qual era il tenore dei messaggi inviati dagli imputati nei
confronti della vittima?
ISP. ACHERI: Le foto che spedivano, dopo quelle iniziali, e che
condividevano, erano spesso fotomontaggi in cui si giustapponeva
la faccia della ragazza sui corpi di attrici porno coinvolte in atti
sessuali. Nei messaggi si rivolgevano a lei chiamandola “troia”,
“zoccola” e simili volgarità e mettendola sempre alla berlina. Mi
pare di poter dire che erano piuttosto pesanti.
PM: Grazie ispettore. Ho finito, signor Presidente.
PRESIDENTE: La parola alla Difesa. Avvocati, chi di voi vuole
iniziare?
Controesame da parte della Difesa dell'Isp. Acheri
AVV. GALLO: Io sig. Presidente... Allora ispettore, su quanti
casi, simili a quello oggi all'esame, ha già indagato?
ISP. ACHERI: Questo è il quinto.
AVV. GALLO: Possiamo, quindi, dire che lei ha un po' di
esperienza di resoconti delle conversazioni e delle chat, via social
network, che coinvolgono minori...
ISP. ACHERI: Sì.
AVV. GALLO: E… senta un po', in un ambiente dove non si
sentono sorvegliati, come su un social network, ha notato se i
ragazzi talvolta eccedono in battute e comportamenti che altrove
chiameremmo ... sopra le righe?
PM: Mi oppongo, la domanda è generica e si riferisce a fatti
119
estranei al processo.
PRESIDENTE: Avv., la prego di attenersi ai fatti del processo.
AVV. GALLO: Mi spiego meglio... Pensiamo che attraversano
l'età ribelle ed anticonformista per antonomasia, l'adolescenza...
Ora… la media dei ragazzi che lei ha messo sotto la lente di
ingrandimento nelle indagini di polizia… usa parole volgari, un
linguaggio scurrile e fa continui riferimenti al sesso?
ISP. ACHERI: Sicuramente, non sapendo di essere controllati
sono molto presenti sia le parolacce che gli atteggiamenti volgari
e... anche i riferimenti al sesso... Ma questo non vuol dire che sia
normale trovare foto di pornografia minorile su tutte le chat dei
minori.
AVV. GALLO: E questo è chiaro! Ma venendo ora al nostro
caso...
Già nei verbali degli interrogatori degli imputati alla Polizia
Postale vi erano le dichiarazioni in cui non si negava di avere
scambiato le foto di Gaia di quella famosa sera e quindi, se
vogliamo, era anche inutile andare a controllare i telefonini. I
ragazzi hanno sempre dichiarato di avere scambiato le foto ma
dietro una chiara richiesta di Gaia, la quale teneva a far circolare
le fotografie che la ritraevano in atteggiamenti provocanti poiché
era in cerca di notorietà. Invece, circa la presenza dei
fotomontaggi, che è l'argomento che più mi preme adesso... lei
può di certo asserire che fossero stati confezionati dagli imputati
per il gruppo su WhatsApp?
ISP. ACHERI: Sono stati, di certo, postati da loro sul gruppo
WhatsApp.
AVV. GALLO: Postarli però non significa che a farli siano stati
loro. Non è forse vero che nei post dei fotomontaggi i ragazzi
spesso chiarivano di averli trovati su Internet, essendo diventata la
storia di Gaia di dominio pubblico ed essendo la ragazza ormai
oggetto di ludibrio e di sberleffo da parte di tutta la scuola e non
solo?
ISP. ACHERI: Sì, effettivamente è così.
AVV. GALLO: È un dato di fatto che dopo la pubblicazione
120
delle foto, tutti coloro che la riconoscevano ne facevano oggetto di
sfottò. Allora, lei mi conferma che non avete trovato prova piena
dell'attribuibilità agli imputati della creazione dei fotomontaggi e
dei conseguenti sfottò contro la povera Gaia?
ISP. ACHERI: L'indagine non si è spinta fino a quel punto.
Anche perché non si è ritenuto opportuno procedere anche con il
sequestro dei pc e della loro analisi per ragioni di celerità e
complessità.
AVV. GALLO: Bene, un'ultima domanda ispettore, ha trovato
per caso altre foto pornografiche sui telefonini dei ragazzi?
ISP. ACHERI: No, non ce n'erano.
AVV. GALLO: Grazie Presidente, ho finito con il controesame.
PRESIDENTE: Gli altri avvocati vogliono contro-esaminare?
AVV. PALLINI: No sig. Presidente.
AVV. SCORZA: No sig. Presidente.
AVV. MILIE': No sig. Presidente.
Esce Acheri
PRESIDENTE: PM, qual è il secondo teste dell'Accusa?
PM: La dottoressa Maria Galimberti
UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): La dott.ssa Maria Galimberti entri in aula.
Entra Galimberti e viene accompagnata al banco
PRESIDENTE: Prego dottoressa, legga la formula d'impegno.
DOTT.SSA GALIMBERTI: Consapevole della responsabilità
morale e giuridica che assumo con la deposizione, mi impegno a
dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia
conoscenza.
Siede
PRESIDENTE: Prego dottoressa, fornisca le sue generalità.
121
DOTT.SSA GALIMBERTI: Sono Maria Galimberti, nata a
Montevecchio il 25 Agosto del 1968 Psicologa e Psicoterapeuta.
PRESIDENTE: Grazie dottoressa, la prego di rispondere alle
domande del PM e dei difensori. Prego PM.
122
Esame da parte del Pubblico Ministero della
dott.ssa Galimberti
PM: Buongiorno dott.ssa, in che modo è entrata in contatto con
Gaia Procopio?
DOTT.SSA GALIMBERTI: Sono stata contattata dalla madre
della ragazza che mi chiedeva un appuntamento per una
valutazione della figlia che, a suo dire, in quel momento viveva
una situazione di disagio.
PM: E cosa ci può dire di questo incontro?
DOTT.SSA GALIMBERTI: La mia conoscenza con la ragazza
si è risolta in quell'unico incontro poiché, sin da subito, è emerso
il mancato ed indispensabile consenso del padre.
PM: Come si svolse l'incontro?
DOTT.SSA GALIMBERTI: Ho incontrato la ragazza
accompagnata dalla madre; sin da subito mi è sembrata una
ragazza ritirata, abulica e distaccata. Ho osservato innanzitutto,
mentre era in sala d'attesa, che manifestava una certa distanza
relazionale con la madre.
PM: Cosa intende?
DOTT.SSA GALIMBERTI: Che era seduta dal lato opposto
della stanza ed ha mantenuto per tutto l'incontro lo sguardo verso
il basso, nonostante la mia presenza. Inoltre riferisco che ha
mantenuto le mani abbandonate sulle gambe per tutto il tempo e
mi ha incuriosito anche il fatto che fosse vestita con abiti scuri ed
informi, poco consoni per le ragazze della sua età. A quel punto
ho cercato di creare un contatto attivo, chiedendole se voleva
entrare in studio da sola o in compagnia della madre ma la madre
123
è intervenuta dichiarando di voler entrare anche lei in studio e la
ragazza ha aderito passivamente.
PM: Vorrei che mi riferisse i contenuti del colloquio.
DOTT.SSA GALIMBERTI: Rispetto a ciò, posso dire che
l'assenza del consenso da parte del padre ha reso impraticabile la
costituzione di un qualsiasi tipo di relazione con Gaia. Posso
riferire che nonostante il mio invito ad interloquire è sempre stata
la madre a rispondere e che le manifestazioni ansiose
aumentavano durante il racconto fino al punto in cui la ragazza si
è alzata di scatto urlando “adesso basta!” ed è uscita dallo studio
sbattendo la porta.
PM: Rispetto a quello che ha osservato, e soprattutto in relazione
a quanto da lei riferito sui comportamenti non verbali (vestiti
scuri, il silenzio, ecc.), può dirci se hanno un valore clinico?
DOTT.SSA GALIMBERTI: Posso dire che i segni di ritiro
sociale di evitamento e l'atteggiamento passivo-aggressivo
mostrato, nonché le manifestazioni ansiose e quanto raccontato
dalla madre circa la perdita del sonno, di peso e lo scarso
rendimento scolastico sono suggestivi di un disturbo
dell'adattamento. In tal senso ho raccomandato alla madre,
nell'impossibilità di continuare negli incontri, di far comprendere
al padre che i segni di disagio erano più che evidenti e che
necessitavano di un approfondimento e di una risoluzione.
PM: Ci può dire cosa sia un disturbo dell'adattamento?
DOTT.SSA GALIMBERTI: Il disturbo dell'adattamento è
definibile come un insieme di sintomi emozionali e
comportamentali clinicamente significativi in risposta ad uno o
più eventi stressanti. Nella sostanza, significa che una persona può
essere soggetta a una situazione stressante acuta (una sola volta)
124
oppure a tante situazioni stressanti in un quadro cronico (cioè che
dura nel tempo). In conseguenza di questi eventi, si possono
sviluppare sintomi di ansia (paura, ritiro, ecc.), sintomi depressivi
oppure sintomi misti. Nel concreto significa che lo stile di vita e la
quotidianità del soggetto cambiano significativamente.
PM: In base alla sua esperienza quali sono le situazioni che
possono causare una condizione clinica quale quella da lei
descritta come disturbo dell’adattamento?
DOTT.SSA GALIMBERITI: Tutti gli eventi o situazioni di
stress psicosociali che si possono identificare oggettivamente.
Vorrei aggiungere che mi è spesso capitato di rapportarmi a
ragazzi che manifestavano tali sintomi in quanto vittime di
bullismo.
Penso che sia un modo più generale di definire quelle condotte
oggi imputate ai ragazzi e che si concretizzano in particolar modo
in ambienti scolastici. Il bullismo, infatti, è una forma di
comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura
sia fisica che psicologica, oppressivo e prepotente, ripetuto nel
corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal
bullo come bersagli facili e incapaci di difendersi.
PM: Grazie Presidente, ho finito.
PRESIDENTE: La parola alla Difesa.
125
Controesame da parte dell'avvocato della Difesa
della dott.ssa Galimberti
AVV. MILIE': Stante la pochezza dei contenuti su cui lavorare e
l'impossibilità in cui si è trovata rispetto al diniego del padre di
Gaia, può dirci, invece, cosa ha scatenato quella violenta reazione
della ragazza? Cioè, qual era l'argomento di cui parlava con la
madre in quel preciso momento?
DOTT.SSA GALIMBERTI: Gaia ha reagito in quel modo
proprio mentre la madre affermava che il padre era contrariato per
quanto accaduto perché, in fondo, “se l'era cercata” e non riteneva
di dover far nulla, oltre che far passare del tempo e darle “una
bella punizione”, testuali parole.
AVV. MILIE': Se ho capito bene abbiamo di fronte una ragazza
con evidente disagio psicologico che, come lei ha riferito, ha un
distacco relazionale dalla madre e un padre che la ritiene
responsabile di una condotta negativa alla quale la famiglia, o quel
che ne resta, ha risposto con la minaccia di una punizione
esemplare... A questo punto, lei può affermare che i sintomi da lei
rilevati (ritiro, distacco, ecc.) siano ascrivibili alla condotta dei
ragazzi qui imputati?
DOTT.SSA GALIMBERTI: Anzitutto devo ribadire che non mi
è possibile fare una diagnosi rispetto alla minore; posso affermare
che una condizione clinica quale quella del Disturbo
dell’Adattamento (DA) compare in seguito ad uno o più eventi o
situazioni di stress psicosociali oggettivamente identificabili.
L’interazione tra evento e reazione del soggetto è molto stretta. È
da precisare che vi sono differenze individuali rispetto alla
possibilità che si sviluppi un DA considerato che l’elemento
chiave per tutti i DA è l’incapacità del soggetto, rispetto a una
serie di variabili personali, di affrontare e superare l’evento.
Pertanto io posso solo affermare che la ragazza che ho incontrato
126
quel giorno aveva chiare manifestazioni di sofferenza psicologica.
Quali ne fossero le cause dirette mi è impossibile da stabilire.
AVV. MILIE': Grazie Sig. Presidente, ho finito con il teste.
Esce Galimberti
PRESIDENTE: PM, qual è il terzo teste dell'Accusa?
PM: Si tratta di Beatrice Sorbillo, studentessa ed amica della
vittima.
UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): La sig.na Beatrice Sorbillo entri in aula.
Entra Beatrice e viene accompagnata al banco
PRESIDENTE: Prego Beatrice, non essere nervosa, in quest'aula
non hai nulla da temere quando rispetti le regole... Io sono apposta
qui per garantirti. Adesso, per favore, leggi e assumi l'impegno,
seguendo quanto scritto sul foglio che hai lì davanti.
BEATRICE: Consapevole della responsabilità morale e giuridica
che assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e
a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.
PRESIDENTE: Hai capito cosa hai letto e soprattutto hai
compreso a cosa ti stai impegnando?
BEATRICE: Sì.
127
PRESIDENTE: Prego, allora siedi e dicci il tuo nome, cognome,
età e occupazione.
BEATRICE: Mi chiamo Beatrice Sorbillo ed ho 15 anni, sono
nata a Milano il 3/3/2000 e abito con la mia famiglia a Catanzaro
Lido. Frequento il secondo anno del liceo “Parini” a Catanzaro.
PRESIDENTE: Grazie Beatrice, ora risponderai alle domande
del PM e del Difensore. Data la tua giovane età e come vedo, data
anche la tua emozione, farò in modo di fare da filtro... così ti
porgerò io le domande preparate dalle parti. Va bene?
128
Esame del Presidente su domande del Pubblico Ministero a Beatrice
PRESIDENTE: Allora, ho precedentemente parlato con il PM ed
abbiamo stabilito le domande. Dunque, cominciamo: in che
relazione sei con Gaia?
BEATRICE: Ci conosciamo dalle elementari e siamo compagne
di banco. Eravamo amiche del cuore.
PRESIDENTE: Dici eravamo... perché? Cos' è successo; perché
non lo siete più?
BEATRICE: Non è che non lo siamo più... è che dopo che sono
state pubblicate le foto... starle vicino è diventato difficile... lei era
isterica e poi, tutti mi dicevano che a stare con lei ci avrei rimesso
… anche come immagine.
PRESIDENTE: Ma chi sono questi tutti?
BEATRICE: Ehm... Le persone a me vicine
.
PRESIDENTE: Non avere paura, ti ho detto che ci sono io a
garantirti. Di’ pure tutto, senza timore. Allora, sii più specifica,
per favore... chi ti chiede di non frequentare Gaia?
BEATRICE: Mah, la mia famiglia non sa proprio tutto... Ecco...
è il mio fidanzato, Giulio... Lui dice che Gaia è… una leggera… e
che non la devo assolutamente frequentare, altrimenti tutti
pensano che sono come lei.
PRESIDENTE: Ma, invece, a te Gaia piace e le vuoi bene?
BEATRICE: Siamo sempre state come sorelle ma, in questo
periodo, non le sono stata tanto vicino e mi sento in colpa.
129
PRESIDENTE: Ma dimmi una cosa, tu pure credi che Gaia sia
una ragazza leggera come dice il tuo fidanzato?
BEATRICE: No, non lo credo per niente! Lui non la conosce
come me. Gaia è sempre stata una brava ragazza e penso che
quello che è successo quella sera è uno sbaglio che poteva capitare
a tutti.
PRESIDENTE: Bene, Beatrice, adesso passiamo alle domande
che ho concordato con la Difesa ovvero con tutti gli avvocati degli
imputati. Beatrice, diresti che Gaia era cambiata nell'ultimo
periodo... diciamo nel periodo che ha portato al fatto delle foto
che conosciamo?
BEATRICE: Come cambiamo tutti, alla nostra età, ecco.
PRESIDENTE: Sì, ma non è forse vero che Gaia ha avuto un
notevole cambiamento, soprattutto fisico negli ultimi tempi?
BEATRICE: Sì. Prima dell'estate scorsa, è molto dimagrita e, al
mare, tutti la guardavano perché era diventata magra magra ma
con il seno grande e forse, un po', per questo si era montata la
testa.
PRESIDENTE: E invece... ci racconti, per favore, come ha
affrontato la separazione dei suoi genitori?
BEATRICE: È stato un anno e mezzo fa... mi ricordo solo
l'immagine di lei che si metteva seduta sul letto con il cuscino
intorno alle orecchie e stava zitta, con gli occhi chiusi e stretti
stretti, così per ore. Per lei è stato molto difficile!
PRESIDENTE: Grazie Beatrice, abbiamo finito, ti puoi
accomodare fuori.
Esce Beatrice
130
ATTO II (TESTIMONI DELLA DIFESA)
PRESIDENTE: Poiché è, dunque, terminata l'escussione dei testi
dell'accusa, passiamo a sentire, adesso, i testimoni della Difesa.
Avvocati, qual è il primo teste a discarico?
AVV. SCORZA: Chiamo a deporre Altiero Spadanuda,
allenatore della squadra di calcio in cui giocano gli imputati.
UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): Il sig. Altiero Spadanuda entri in aula.
Entra Spadanuda e viene accompagnato al banco
PRESIDENTE: Prego Sig. Spadanuda, legga la formula
d'impegno.
SPADANUDA: Consapevole della responsabilità morale e
giuridica che assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta
la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.
Siede
PRESIDENTE: Prego, fornisca, adesso, le sue generalità.
SPADANUDA: Mi chiamo Altiero Spadanuda, nato a Chiaravalle
Centrale il 5/10/1948, sono residente a Catanzaro dal 1980. Sono
in pensione ma mi occupo attivamente e da moltissimi anni della
Società di Calcio Giovanile S. Leonardo Football Club.
PRESIDENTE: Grazie Sig. Spadanuda, la prego di rispondere
alle domande dei difensori e del PM. Prego avvocati.
Esame diretto da parte della Difesa del Sig. Spadanuda
131
AVV. SCORZA: Buongiorno allenatore.
SPADANUDA: Buongiorno.
AVV. SCORZA: Lei è l’allenatore di calcio dei ragazzi. Ci parla
un po' di loro?
SPADANUDA: Certamente. Si tratta di un bel gruppo di ragazzi,
devo dire. Da quando li conosco (e sono tanti anni) ho avuto modo
di sondare le ottime capacità di lavoro di questi soggetti. E, in
particolare, sono stato sempre molto colpito dalla vivida
intelligenza di Mirko Morelli che è risultato, fin da quando l'ho
conosciuto, uno ragazzo brillante ed appassionato. Mi risulta
anche che a scuola sia sempre stato bravissimo.
AVV. SCORZA: E cosa ci dice degli altri?
SPADANUDA: Del cugino di Mirko, Luca, non posso dire che
bene. Proviene da un’ottima famiglia e questo si vede chiaramente
dai modi. Comunque sono tutti e tre ragazzi educatissimi.
AVV. SCORZA: Ha la possibilità di incontrare i ragazzi spesso?
SPADANUDA: Certamente, da molti anni, come dicevo, sono
dirigente di un'importante squadra giovanile di calcio, il San
Leonardo Football Club e tutti e tre i ragazzi, in un modo o
nell'altro, sono passati, diciamo, sotto le mie mani. Anche Mirko
che non gioca più a calcio, mi segue per un progetto in cui
formiamo giovani arbitri.
AVV. SCORZA: Grazie Sig. Spadanuda e grazie signor
Presidente, ho terminato con questo teste.
PRESIDENTE: Grazie avvocato, la parola al PM.
132
Controesame da parte del Pubblico Ministero del Sig.
Spadanuda
PM: Mi dica un po', Sig. Spadanuda, oltre a Mirko, che, come lei
ha chiarito, ha un passo, anche a scuola, che lei definisce
brillante... cosa ci può dire, per esempio, di specifico di Luca
Camera?
SPADANUDA: Beh, non so che aggiungere oltre a ciò che ho già
detto: è un bravissimo ragazzo, educatissimo e di ottima famiglia.
PM: Ci vuole fare qualche esempio?
SPADANUDA: Per esempio è un leader nello spogliatoio ed è un
animatore dello spirito della squadra… tutti i suoi compagni
guardano a lui con ammirazione.
PM: E… da quando è cominciato il campionato, quante partite ha
disputato da titolare?
SPADANUDA: Mah, in verità Luca non gioca da titolare.
PM: Ah, dunque è molto importante nello spogliatoio ma non
gioca da titolare?
SPADANUDA: Senta, ho detto che conosco bene i ragazzi... e
poi, ritengo di avere sufficiente esperienza per formulare dei
giudizi in ambito calcistico.
PM: Peccato però che, proprio in ambito calcistico, ci sia poco su
cui ragionare!... E senta, perché non ci dice, invece, chi è lo
sponsor unico, quello presente sulle casacche dei giocatori per
intenderci, della squadra giovanile di calcio da lei diretta?
133
SPADANUDA: Certamente, non ho problemi, si tratta
dell'azienda del padre di Luca Camera, Massimo Camera, che ci
sponsorizza.
PM: Grazie Presidente, col teste ha finito anche l'Accusa.
Esce Spadanuda
PRESIDENTE: Avvocati della Difesa qual è il secondo teste?
AVV. SCORZA: Chiamo a deporre Giulio Barra, amico e
compagno di scuola degli imputati.
Entra Giulio e viene accompagnato al banco
PRESIDENTE: Prego, in quest'aula non hai nulla da temere. Io
sono apposta qui per farti da garante. Adesso, per favore, leggi e
prendi l'impegno, seguendo quanto scritto sul foglio.
GIULIO: Consapevole della responsabilità morale e giuridica che
assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a
non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.
Siede
PRESIDENTE: Prego allora, dicci il tuo nome, cognome ed
occupazione ecc.
GIULIO: Mi chiamo Giulio Barra ed ho 17 anni, sono nato a
Catanzaro il 12/01/1998 e abito con la mia famiglia a Siano.
Frequento il quarto liceo scientifico a Catanzaro.
PRESIDENTE: Grazie Giulio, ti vedo particolarmente sereno…
(rivolto alle parti). Avvocati e PM affiderei direttamente a voi
l’esame del teste, salvo che, nel corso dell’esame, non rilevi
134
motivi contrari.
AVVOCATI E PM (insieme): Nessuna obiezione Presidente,
concordiamo per l’esame diretto.
PRESIDENTE: Grazie (a Giulio) Adesso ti spiego... Il tuo esame
consisterà nel rispondere alle domande poste dagli avvocati e dal
PM. Ti è tutto chiaro?
GIULIO: Sì.
135
Esame da parte della Difesa di Giulio Barra
AVV. SCORZA: Dunque, Giulio... partiamo: conosci Gaia?
GIULIO: E' molto amica della mia fidanzata Beatrice... ma a me
questa amicizia non piace.
AVV. SCORZA: E, dicci, come mai non ti piace?
GIULIO: Non mi piace soprattutto perché stavano troppo
attaccate e si dicevano cose… troppo intime. Poi quando ho visto
di che pasta è fatta Gaia... ho detto a Beatrice che non mi andava
che stessero sempre così attaccate.
AVV. SCORZA: E di che pasta, come dici tu, credi sia fatta
Gaia?
GIULIO: A me dispiace per quello che è successo... ma se l'è
cercata: già si diceva in giro che era una leggera e insomma... una
ragazza facile. E la risposta l'ho avuta quella sera, quando, con
Bea, siamo ritornati nella tavernetta di Luca... l'abbiamo trovata in
quel modo, ubriaca e in mezzo a tre maschi!
AVV. SCORZA: Grazie Presidente, ho finito.
Controesame da parte del PM a Giulio
PRESIDENTE: Va bene, va bene... passiamo adesso all'accusa,
prego PM.
PM: Ciao Giulio... Beatrice ha dichiarato che sei stato molto
fermo nel chiederle di non frequentare Gaia. Perché?
GIULIO: Doveva scegliere, ad un certo punto, o me o Gaia. Non
poteva continuare con quello "stare sempre attaccate"! Adesso lei
sta con me.
136
PM: Ma se sono così amiche... a te, perché dispiace?
GIULIO: Sì, sì sono amiche... ma io non permetto che la mia
fidanzata dica cose come “mi manchi, ti adoro”... si dicevano pure
“io ti amo”!.. non sono mica un pupazzo, io. O è tutta mia oppure
non stiamo più insieme! E Bea ha capito.
PM: E quella sera a casa di Luca, quando siete tornati con
Beatrice, come avete trovato Gaia?
GIULIO: Era di cattivo umore e non ha detto una parola ma gli
altri scherzavano e hanno scherzato su quello che avevano fatto.
PM: Ma voi siete arrivati quando era tutto finito, non è vero?
GIULIO: Si, ma poi mi è bastato vedere le foto... me le hanno
spedite Antonio e Mirko.
PM: Va bene. Basta così Giulio, abbiamo finito, accomodati.
Esce Giulio
PRESIDENTE: Allora, avvocati qual è il terzo teste della
Difesa?
AVV. GALLO: Chiamo a deporre Federico Foglia, compagno di
istituto degli imputati.
UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): Federico Foglia entri in aula.
Entra Federico Foglia e viene accompagnato al Banco
PRESIDENTE: Ciao Federico, senza problemi, ti accomodi e
leggi la formula d'impegno e poi... tienila sempre presente perché
la tua testimonianza ha un peso notevole nel processo.
137
FEDERICO: Consapevole della responsabilità morale e giuridica
che assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e
a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.
Siede
PRESIDENTE: Prego allora Federico, fornisci adesso le tue
generalità.
FEDERICO: Mi chiamo Federico Foglia, nato a Catanzaro il
07/05/2000, sono residente a Catanzaro e frequento il secondo
Liceo Scientifico.
Esame da parte della Difesa di Federico Foglia
PRESIDENTE: Grazie Federico, ti vedo in forma e tranquillo!
(rivolto alle parti) Avvocati e PM anche in questo caso, affiderei
direttamente a voi l’esame del teste:
AVVOCATI E PM (insieme): nessuna obiezione Presidente.
PRESIDENTE: Bene, signori, ritengo pertanto possibile ed
opportuno che Federico risponda direttamente alle domande che
saranno da voi poste, procediamo avvocato;
AVV. MILIE': Dunque Federico, tu non hai partecipato al gioco
che definiremmo un po' spinto, nella notte del 26/09/2014 nella
Tavernetta di Luca, ma quella sera, eri alla festa nella villa dei
sigg. Camera, in compagnia dei tuoi amici. Raccontaci di quella
sera.
FEDERICO: Sono arrivato con il motorino a casa di Luca alle 20
e dopo cena, mi sono appartato con Marta, una mia compagna di
scuola con la quale siamo stati in una stanza, al piano di sopra,
138
poiché i genitori di Luca erano a cena fuori ed avevamo a
disposizione tutta la villa.
AVV. MILIE': E cosa hai visto al tuo ritorno nella tavernetta?
FEDERICO: Siamo rimasti scioccati quando siamo tornati e
abbiamo trovato una specie di set fotografico con tante lampade
accese... Ve l'ho detto, sembrava un set fotografico!
AVV. MILIE': E i tuoi compagni e Gaia? Dov'erano?
FEDERICO: Erano sul divano tutti insieme e Gaia era mezza
nuda.
AVV. MILIE': Cosa significa mezza nuda, aveva il seno nudo?
FEDERICO: Quando siamo entrati io e Marta si è come
spaventata e si è nascosta dietro alla libreria... ma poi ho visto che
era in reggiseno e mutande.
AVV. MILIE': E qual è stata la reazione tua e di Marta?
FEDERICO: Abbiamo chiesto cosa stessero combinando e loro
si sono messi a scherzare dicendo che era stata una serata molto
divertente.
AVV. MILIE': E secondo te, avevano bevuto molto?
FEDERICO: Abbastanza ecco, ma non da stare male.
AVV. MILIE': E ti è sembrato di vedere Gaia in imbarazzo o in
difficoltà?
FEDERICO: Mi è sembrata imbarazzata ma credo più per il
nostro ritorno e per quello, poi, di Beatrice e Giulio che sono
139
arrivati dopo un poco.
AVV. MILIE': E cosa è avvenuto tra te e Gaia nei giorni
successivi?
FEDERICO: Ci siamo scritti via WhatsApp perché lei mi ha
raccontato che, quella sera, avevano scattato delle foto con una
macchina fotografica professionale... è quella che le ha regalato il
padre, che è fotografo ma... è successo che la scheda di memoria
della macchina doveva essere rimasta a casa di Luca. Così mi
chiedeva di aiutarla a riprendergliela. Io sono andato a casa di
Luca, ho preso la scheda che era vicino alla Playstation e gliel'ho
fatta riavere. E lei è stata molto contenta del favore che le avevo
fatto.
AVV. MILIE': E gliel'hai restituita?
FEDERICO: Sì, quando ci siamo poi visti al compleanno di
Mario Danetti, il sabato successivo... e... e … siamo stati insieme.
AVV. MILIE': Cioè avete avuto un incontro intimo?
FEDERICO: Non abbiamo fatto sesso perché lei ha detto che le
piaceva un altro.
AVV. MILIE': Hai poi ricevuto le foto che ritraevano Gaia nuda?
FEDERICO: Sì, le ho ricevute sul gruppo “Tavernauti”, su
WhatsApp, come poi le hanno avute tutti, ma io le ho cancellate e
non le ho mai condivise.
AVV. MILIE': Attenzione, adesso, a questa domanda Federico...
Puoi dirci qual era l’atteggiamento di Gaia rispetto a queste foto?
FEDERICO: Ho pensato volesse che fossero divulgate perché
140
altrimenti non avrebbe lasciato la scheda di memoria a casa di
Luca, quella sera. Allora, ho pensato che avesse lasciato le foto a
Luca perché venissero postate.
AVV. MILIE': Grazie sig. Presidente, ho finito.
Controesame da parte del Pubblico Ministero di Federico
Foglia
PRESIDENTE: Adesso passiamo a lei sig. PM ... Prego.
PM: Non è vero che nei giorni successivi a quella sera, dai vostri
messaggi su WhatsApp, risulta che Gaia era molto preoccupata
perché la scheda SD di memoria della macchina fotografica era
sparita?
FEDERICO: Sì.
PM: E ritieni che una persona che voglia che le foto vengano
pubblicate, poi si preoccupi di riaverle?
FEDERICO: Sì, lei era preoccupata... ma io ho pensato che si
fosse pentita di quello che aveva fatto …
PM: Mentre tu la rassicuravi sul fatto che l'avresti trovata e gliela
avresti restituita presto...
FEDERICO: Sì.
PM: E ... come mai eri così sicuro di trovarla, questa scheda?
FEDERICO: Ehm … perché poteva trovarsi solo a casa di Luca!
PM: E come mai proprio dopo che le hai restituito la scheda,
141
avete passato una serata, diciamo intima, insieme?
FEDERICO: Ci siamo trovati ecco ... io sono maschio!
PM: Sì, questo lo vediamo, ma non è forse vero, come risulta dai
tabulati di WhatsApp, che sei stato molto insistente nel cercare di
convincerla a quello che pure tu hai definito, in uno dei messaggi,
uno scambio?
FEDERICO: Io pure se ho insistito... diciamo che, comunque, mi
faceva piacere fare una cosa che le faceva piacere... sapendo che
questo l'avrebbe fatta un poco sciogliere verso di me.
PM: E come mai, all'una di notte di quel sabato 26/09 già scrivevi
ad Antonio che la scheda ce l'avevi tu?
FEDERICO: Ehm, forse non ricordo bene, forse la scheda... sono
tornato a prenderla quella sera stessa.
PRESIDENTE: Federico, non ricordi bene?... Ma io ti ricordo
che sei sotto giuramento ed è una cosa molto seria quella che
stiamo facendo... Prego PM.
PM: Quindi forse sei tornato a prenderla quella sera stessa... Va
bene anche perché, comunque, non risulta dai messaggi
WhatsApp che Gaia te l'avesse già chiesta, questa scheda...
FEDERICO: Non l'aveva fatto per messaggio, me lo aveva
chiesto a voce.
PM: Ok, ok e... senti Federico, oggi, non provi rimorso per aver
un po' approfittato di una situazione in cui Gaia era un po' fragile,
diciamo per trascorrere una serata in sua compagnia?
FEDERICO: In effetti, mi sono un po' pentito che siamo stati
142
insieme... ma io non è che l'ho costretta, e poi... io sono uomo,
doveva essere lei a dirmi di no e non farsi acchiappare!
PM: Grazie Presidente, ho finito ma chiedo che l'imputato non si
allontani e rimanga a disposizione fino alla fine del processo.
PRESIDENTE: Certo PM, la richiesta è accolta... Grazie
Federico, puoi andare ma non puoi allontanarti.
Esce Federico
143
INTERMEZZO (L'incidente probatorio)
PRESIDENTE: Grazie sig. PM. Passiamo ora a sentire come
testimone la persona offesa. Nelle questioni preliminari abbiamo
stabilito questa variazione, procederemo ora con modalità
analoghe all'Incidente Probatorio, come abbiamo già detto. Il
Collegio ha deciso di delegare la dott.ssa Giorgia Sestito, giudice
onorario e psicologa per l'audizione di Gaia, con modalità
protette.
L’audizione di Gaia prevede un sia pur minimo cambio di scena.
Si suggerisce di spegnere le luci e illuminare solo le due attrici
che prenderanno posto una di fronte all'altra.
GIUDICE ONORARIO: Ciao Gaia, io sono Giorgia Sestito, sai
dove ti trovi?
GAIA: So di essere in un'aula protetta del Tribunale per i minori.
GIUDICE ONORARIO: Ti sono chiari i motivi per cui ti trovi
qui?
GAIA: Perché mio padre ha denunciato i miei compagni… hanno
divulgato delle foto di me nuda e si sono accaniti su di me…
GIUDICE ONORARIO: Bene Gaia sai cosa faremo qui oggi?
GAIA: So che mi dovete ascoltare, però non mi è chiaro cosa
succederà.
GIUDICE ONORARIO: Ok, oggi ci dedicheremo al tuo ascolto
e questo consentirà ai giudici che seguono il tuo caso di portare
avanti il processo...
Io sono una dei giudici e sono anche una psicologa, sai cos'è una
psicologa?
144
GAIA: Sì
GIUDICE ONORARIO: Devi sapere che poi la tua deposizione
sarà ascoltata dal Presidente, dal PM, dal tuo avvocato e dagli
avvocati di parte. Sai chi sono queste persone e qual è la loro
funzione?
GAIA: Sì
GIUDICE ONORARIO: Ora che ti è tutto chiaro rimane una
cosa importante da dire. In questo ascolto ci sono delle regole da
seguire...
GIUDICE ONORARIO: Cominciamo Gaia, come ti ho spiegato,
adesso reciti la formula di impegno e poi dici le tue generalità.
GAIA: Consapevole della responsabilità morale e giuridica che
assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a
non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza. Sono Gaia
Procopio, nata a Catanzaro il 29/8/2000 e sono residente in via
Santa Maria, 12, Catanzaro.
GIUDICE ONORARIO: Ci racconti della festa a casa di Luca
del 26/9/2014?
GAIA: Ero molto felice quel giorno! Era la prima volta che Luca
mi invitava a casa sua. Io, Luca, lo conoscevo già dalle scuole
medie, ma solo di vista. Quando c'è lui non capisco più niente, il
cuore mi va a duemila; perciò quando mi ha chiesto di andare da
lui per la festa mi sono sentita al settimo cielo. Per me quel giorno
doveva essere speciale…
GIUDICE ONORARIO: Ti va di raccontarmi quello che è
successo?
145
GAIA: Luca mi ha chiesto di fare uno spogliarello per lui e i suoi
amici...
GIUDICE ONORARIO: Cosa stavate facendo prima che Luca ti
chiedesse di fare questa cosa?
GAIA: Dopo aver mangiato, una coppietta di amici si è appartata
in una camera, mentre io, Luca, Antonio e Mirko siamo rimasti
nella tavernetta a chiacchierare e scattare qualche foto con la
macchina fotografica che mi aveva regalato mio padre. Ad un
certo punto, ci è venuta l'idea di accendere tutte le lampade e
anche un ventilatore, che era nell'angolo della stanza, per fare
finta di essere su un set fotografico, continuando a fare scatti.
GIUDICE ONORARIO: Cosa provavi mentre facevi quelle
foto?
GAIA: Era divertente… e poi mi sentivo una diva, gli occhi di
Luca erano fissi su di me, e questo non poteva che rendermi
felice.
GIUDICE ONORARIO: Quindi se ho capito bene, eravate a
questa festa, avete deciso di realizzare una sorta di set fotografico
ed avete fatto delle foto in cui tu facevi da modella e questa cosa ti
faceva sentire una diva? È corretto?
GAIA: Sì, è così.
GIUDICE ONORARIO: Prima hai detto che Luca ti avrebbe
chiesto di spogliarti?
GAIA: Sì
GIUDICE ONORARIO: Potresti specificare in quale modo e in
146
che momento te lo ha chiesto?
GAIA: dopo le prime foto, tra una risata e l'altra, ho iniziato ad
assumere delle pose un po’ sexy… ripeto, eravamo tutti molto
divertiti… ad un certo punto Luca, che con i suoi modi non solo
sa comandare, ma sa anche come ottenere le cose e farti fare ciò
che vuole, mi ha chiesto di levarmi la gonna... mi chiamava
Bambolina mia... ed io come una scema l'ho fatto felice … almeno
così pensavo.
GIUDICE ONORARIO: Come ti sei sentita in quel momento,
mentre Luca ti chiedeva di spogliarti?
GAIA: Mi sono sentita molto in imbarazzo… non mi faceva certo
piacere spogliarmi, ma me lo aveva chiesto Luca… ed io mai e
poi mai avrei voluto deluderlo. In quel momento pensavo che se
non l'avessi fatto Luca se la sarebbe presa e non mi avrebbe più
invitata. Non potevo fare la figura della bambina impaurita e non
mi sono fermata… e poi, a dirla tutta, avevamo anche bevuto della
vodka… insomma, io… io… non pensavo potesse finire in quel
modo.
GIUDICE ONORARIO: Ok abbiamo stabilito che, lo stesso, hai
deciso di spogliarti. Dalle prove sappiamo che le foto sono
diventate pubbliche. Volevi che le foto che avete scattato quella
sera, nella Tavernetta, fossero divulgate?
GAIA: No, no, no! Non ho mai voluto... è una bugia! È una
bugia. Mai avrei potuto pubblicare quelle foto. Non so perché mi
vogliono così male! È vero che le foto le abbiamo fatte con la mia
macchina fotografica... ma qualcuno si è rubato la scheda di
memoria e ha copiato le foto per... ammazzarmi! Mi hanno
ammazzata, capite... sono morta, sono morta!
GIUDICE ONORARIO: (con dolcezza) Capisco Gaia che tu ti
147
possa sentire così... ti chiedo però, lo sforzo di rimanere
concentrata.
GAIA: (Annuisce)
GIUDICE ONORARIO: E come ti sei sentita, quando i ragazzi
del gruppo hanno pubblicato le foto?
GAIA: Non potevo credere ai miei occhi, mi sono sentita morire.
Volevo sparire dalla faccia della terra.
GIUDICE ONORARIO: Ci puoi dire cosa è successo nei giorni
successivi alla pubblicazione delle foto?
GAIA: Per me è stato terribile. Avrei voluto tenere tutto nascosto,
ma a scuola tutti hanno iniziato a guardarmi male, anche quelle
che reputavo mie amiche mi tenevano a distanza... ma la cosa che
mi ha ammazzato, che mi ha fatto a pezzi, sono stati i messaggi su
WhatsApp. Soprattutto quelli mandati da Luca, Mirko e Antonio.
Loro dicevano di riportarmi solo quello che sentivano in giro... su
di me... delle parole molto offensive… anche se a questo punto
non so più se era vero.
GIUDICE ONORARIO: Come ti senti, oggi, a parlare di questa
storia?
GAIA: E’ stato difficile, tutti mi avevano allontanata… mi
sentivo molto sola. Non mi sono potuta fidare di nessuno. Ho
capito che la gente è vigliacca... e la cosa peggiore è che la più
vigliacca di tutti sono stata io, perché ad un certo punto ho
cominciato a non rispondere più a quei messaggi... leggevo e
rileggevo lo stesso messaggio 100 volte per capire fin dove si
sarebbero spinti. Non avevo la forza di reagire, di chiedere di
smetterla con tutte quelle cattiverie. Mi hanno detto e scritto di
tutto, ed io lì, ad ascoltare, muta... che ero la sagra della cellulite,
148
che il mio corpo era orrendo... poi mi davano della mongoloide...
ricordo ogni singola parola. Io… io non me la sento di raccontare
tutto, perché alcuni messaggi sono troppo volgari. Ancora oggi mi
capita, qualche volta, di svegliarmi di notte e di pensarci… senza
riuscire più a dormire. Ma grazie al cielo, oggi ne parlo come di
un brutto sogno, di una cosa passata completamente.
GIUDICE ONORARIO: Hai detto che rimanevi a rileggere
cento volte i messaggi e che raccontando oggi queste cose ti senti
sola. Come ti sentivi in quel periodo?
GAIA: Stavo peggio. Avevo smesso di mangiare e dormire,
avevo iniziato a non volere più uscire, né curarmi … un giorno,
disperata, ho aperto il mio armadio e con le forbici ho tagliato tutti
i miei vestiti... pensavo che quell'incubo non sarebbe mai finito…
GIUDICE ONORARIO: Gaia, se ho capito bene, mi stai
dicendo che a seguito di tutti questi episodi hai cambiato il tuo
modo di vivere e che questa cosa ti ha fatto a pezzi.
GAIA: Assolutamente sì.
GIUDICE ONORARIO: Ne hai parlato con qualcuno?
GAIA: No, ero terrorizzata all'idea che i miei genitori prima o poi
avrebbero scoperto tutto. Come avrei potuto spiegare quelle
foto… mi vergognavo troppo e tutti i messaggi che ricevevo, tipo
"ammazzati", "impiccati"… mi mettevano paura.
GIUDICE ONORARIO: Cos'è successo poi?
GAIA: Immagino lo sappiate … continuare in quel modo era
insopportabile … dovevo farla finita... (Gaia sta un po' in silenzio)
... e ho tentato di impiccarmi.
149
GIUDICE ONORARIO: Come mai hai pensato di farlo?
GAIA: Quando non sei nessuno per gli altri, non vale la pena
vivere.
GIUDICE ONORARIO: Quando hai pensato di farlo
concretamente?
GAIA: Quando ho visto le foto mi sono sentita morire, ma ero
talmente innamorata di Luca che pensavo che prima o poi sarebbe
finito tutto. Avevo perso la voglia di fare tutto, me ne stavo chiusa
in casa, ma la cosa che mi faceva un po' sperare erano i messaggi
che continuavo a scambiarmi con Luca, anche se solo per parlare
di quelle maledette foto e di cosa diceva la gente. Poi tutto è
peggiorato. Una mattina gli ho chiesto di andare insieme a
scuola… pensavo che magari così gli altri non mi avrebbero presa
in giro... e lui invece mi ha risposto che... mai e poi mai sarebbe
andato a scuola con me perché io ero una poco di buono e lui non
voleva di certo perdere la faccia a causa mia… io sono morta… e
ho fatto quel che ho fatto.
GIUDICE ONORARIO: (con dolcezza) Mi dispiace Gaia…
Vuoi che facciamo una pausa?
GAIA: No, voglio arrivare fino in fondo.
GIUDICE ONORARIO: Sei a conoscenza di come sono state
divulgate le foto?
GAIA: So solo che quando non ho trovato la scheda nella
macchina fotografica, ho chiesto aiuto a Federico e lui mi ha
aiutato a ritrovarla… Ci siamo incontrati a casa di Mario. Ci
siamo pure baciati, non so nemmeno io perché l'ho fatto… non ci
capivo più nulla…
150
GIUDICE ONORARIO: Ti sei fatta un’idea di come sia sparita
la scheda dalla macchina fotografica?
GAIA: Quando sono tornata a casa, la scheda non c’era più e
quindi doveva essere per forza stata presa a casa di Luca. Da chi,
non lo so proprio. Poi ho scritto a Federico per sapere dove fosse
la scheda per paura che le foto fossero divulgate.
GIUDICE ONORARIO: Tu hai già affermato che non volevi
che le foto fossero pubblicate. C’era qualcun altro che era a
conoscenza del fatto che non volevi che le foto fossero
pubblicate?
GAIA: Nei messaggi che gli spedivo dicevo a Federico che non
volevo assolutamente, gliel’ho detto quanto ci tenevo che le foto
non fossero pubblicate… per cui lui lo sapeva proprio bene! Ma è
molto furbo e protegge i suoi amichetti! A lui interessava solo
stare con me e… a me solo riavere quella maledetta scheda! Gli
ho detto pure quanto ero innamorata di Luca... e invece loro mi
hanno rovinata lo stesso!
GIUDICE ONORARIO: E come ha fatto a recuperare questa
scheda?
GAIA: Federico mi ha detto che era rimasta nella Tavernetta e
che lui l'ha recuperata ma non mi ha detto chi l'ha rubata dalla
macchina fotografica.
GIUDICE ONORARIO: Va bene Gaia, va bene: abbiamo finito.
Capisco che per te sia stato molto difficile riaffrontare tutto
questo… Ti ringrazio… E dimmi, oggi come stai?
GAIA: Oggi sto molto meglio, perché dopo aver tentato il
suicidio, ho capito che avevo bisogno di aiuto e sono stata seguita
da una psicologa che mamma e papà hanno trovato per me. La
151
cosa più importante per me oggi è che ho capito che non sono una
povera scema e non meritavo tutto questo: nessuno merita di
subire cose del genere.
Fine dell’Ascolto
152
ATTO III (Interrogatorio degli Imputati)
PRESIDENTE: PM con quale imputato iniziamo
l'interrogatorio?
PM: Con Luca Camera.
Luca si avvia al banco
PRESIDENTE: Prego,... non essere nervoso... Ti faccio presente,
come ti avrà spiegato il tuo avvocato, che è stato chiesto il tuo
esame e che hai diritto di non rispondere alle domande, anche se il
processo andrebbe avanti ugualmente. Vuoi rispondere?
LUCA: Io non sono per niente nervoso! Rispondo... certamente.
Siede
PRESIDENTE: Bene Luca, ora risponderai alle domande che ho
preparato con il PM e con il tuo difensore.
Tu interloquirai solo con me, così ti porgerò io le domande, anche
quelle preparate dalle parti. Va bene?
LUCA: Sì, sì, come volete.
PRESIDENTE: Dunque, ci racconti di quella sera a casa tua, in
cui vennero scattate le foto con la macchina di Gaia?
LUCA (scostante): Ho già detto tutto quando ho parlato con la
Polizia... che devo aggiungere?
PRESIDENTE: Diciamo, perché ti sia chiaro, che questo è il
momento più importante. Pensa che non conosciamo quanto hai
detto finora. E’ qui che devi cercare di dimostrare la tua
innocenza.
LUCA (infastidito): Ho già detto che le foto sono stato io a
postarle sul gruppo, questo sì, ma anche che me lo ha chiesto Gaia
153
perché voleva farsi bella con tutti e perché voleva essere famosa.
PRESIDENTE: Però Gaia sostiene il contrario... dice che vi ha
pregato di non pubblicare le foto e che la scheda di memoria della
macchina le è stata sottratta.
LUCA: E che mi importa della parola di una pagliaccia! È la sua
parola contro la mia.
PRESIDENTE: Senti Luca, forse tu non hai realizzato cosa sta
succedendo qui! Questo non è un videogame e qui non arriva la
protezione a cui sei abituato! Non c'è il joystick e, soprattutto, non
si può ricominciare la partita... Devi cercare di capire che il
Tribunale deciderà della tua vita futura e ti potrebbe anche
condannare.
LUCA (arrogantemente): Se è per la multa, la possiamo pagare!
AVV. GALLO: Chiedo un' interruzione, Presidente!
PRESIDENTE: Ecco, forse è il caso, avvocato, cerchi di parlare
lei col ragazzo...
L'avv. Gallo si avvicina al banco dov'è Luca,
confabula con lui che dà segni di grande nervosismo.
Poi si allontana.
PRESIDENTE: Spero che muterai atteggiamento perché quello
di prima non portava a niente di buono per te... Ora mi corre
l'obbligo di proseguire con l'interrogatorio. Andiamo avanti.
LUCA: E se io non voglio?
PRESIDENTE: Cioè mi stai dicendo che ti rifiuti di continuare...
In teoria, ti ho detto che lo potresti anche fare ma, senti, facciamo
154
che interrompiamo un'altra volta... Forse è il caso che tu ti consulti
bene con il tuo avvocato e con i tuoi genitori...
AVV. GALLO: Se le altre parti sono d'accordo, Presidente,
vorrei chiedere che l'esame di Luca Camera venga interrotto e
posposto, dopo quello degli altri due imputati.
Inoltre vorrei che fosse chiaro che quanto testé avvenuto è di certo
frutto del nervosismo del ragazzo.
PRESIDENTE: Va bene Avv. Gallo, risentiremo Luca più tardi e
speriamo arrivi a più miti consigli... Allora PM, passiamo a sentire
un altro imputato?
PM: Mirko Morelli.
Si alza Mirko e si porta al banco
PRESIDENTE: Prego, nessuna paura...
MIRKO: Sì, sì.
PRESIDENTE: Lo dico anche a te, come già ti avrà spiegato il
difensore... hai diritto a non rispondere alle domande ma devo
anche dirti che se non rispondi il processo andrà avanti
ugualmente. Vuoi rispondere?
Siede
MIRKO: Sì, va bene.
PRESIDENTE: Ora risponderai alle domande sia del PM che del
tuo difensore. Le domande mi sono state già proposte da loro e tu
parlerai solo con me come è previsto dalla legge. Va bene?
MIRKO: Sì.
155
PRESIDENTE: Allora, ci racconti di quella sera a casa di Luca
in cui vennero scattate le foto con la macchina di Gaia?
MIRKO: Sì, c'era una festa a casa di Luca e, come al solito,
siamo finiti in tavernetta a giocare con la Play-Station. Poi
abbiamo mangiato e dopo mangiato le coppie che erano lì sono
sparite nelle stanze della villa di Luca.
Siamo rimasti io, Antonio e Luca, in compagnia di una nostra
compagna di classe, Gaia. Lei aveva una macchina fotografica
buona e nuova nuova; con quella scattava foto in continuazione,
soprattutto a Luca. Poi Antonio ha preso la macchina ed ha
iniziato a scattare foto a lei. In fondo alla stanza c'è un divano
nero di pelle e lì intorno abbiamo portato tutte le piantane e le
lampade che c'erano al piano di sotto della villa. Sembrava un set
di moda. La musica era a palla e Luca ha recuperato pure un
ventilatore e tutti abbiamo fatto i fotografi, mentre la modella era
Gaia. Ad ogni giro di foto brindavamo con la vodka al limone e
visto che Gaia era già ubriaca, ha cominciato a mettersi in pose
provocanti. Aveva la maglietta e si è tolta il reggiseno che aveva
sotto e a quel punto Antonio non ci vedeva più dagli occhi, era
completamente andato e diceva che se non riusciva a stare con lei
rompeva il muro con la testa! Luca era molto divertito ed ha
scattato solo le foto di particolari: occhi, bocca ed i piedi di Gaia.
A quel punto, Gaia non aveva più molti vestiti addosso e Luca le
ha ordinato di togliersi la gonna perché nessuna coniglietta di
Playboy rimane vestita! Poi le ha detto di spogliarsi
completamente per il pubblico. E lì Gaia non voleva farlo più ed
hanno cominciato a beccarsi... ma ho visto che Luca se la girava
come voleva. Avevo già qualche sospetto che Luca piacesse a
Gaia e lì l'ho capito benissimo. Chi non capiva niente invece era
Antonio che era ubriaco perso e cercava di palpare e toccare Gaia
dappertutto. Ad un certo punto Gaia ha acconsentito e si è fatta
fotografare nuda. Luca voleva continuare e le chiedeva ancora
altre cose, ma Gaia ad un certo punto ha detto che voleva fermarsi
156
e si è rimessa reggiseno e slip. E proprio allora sono tornati Marta
e Federico e ci hanno interrotto.
PRESIDENTE: Bene Mirko, sono contento che tutto sia stato
così chiaro... ma adesso cerca di rispondere a questa domanda cui
solo tu puoi rispondere... Se Gaia aveva chiesto che le foto fossero
diffuse, deve esserci stato per forza un momento in cui lei ha
messo a vostra disposizione la scheda di memoria... Ora, ricordi
quando l'ha tolta dalla macchina fotografica e soprattutto a chi l'ha
data? La scheda non si muove da sola... Quindi, ripeto, chi ha tolto
la scheda di memoria dalla macchina fotografica e quando?
MIRKO: Io, io, io... ehm... non lo so, non ricordo...
PRESIDENTE: Mirko, attento, “non lo so” e “non ricordo” sono
molto lontane come risposte. Fino ad adesso non hai perduto un
colpo... perché adesso ti fermi? Sei un ragazzo intelligente, devi
aver capito quali sono state le conseguenze del fatto che quella
scheda è rimasta a casa di Luca. Si può affermare che se non
capiamo questo punto non andiamo avanti... Allora, ti ripeto, con
la massima serietà: chi ha tolto la scheda di memoria dalla
macchina fotografica?
MIRKO: (titubante) Io, io, non lo so, non ricordo!
PRESIDENTE: Mirko, adesso ti faccio vedere una cosa...
Cancelliere, mi porga il fascicolo delle prove documentali, per
cortesia...
Prende una foto e la sottopone a Mirko
Ecco quali sono state le conseguenze causate da quella scheda!...
Hai visto come è ridotta Gaia in questa foto, ti sembra la stessa
ragazza che fotografavate quella sera?
157
MIRKO: Madonna mia no! No! (scoppia in lacrime) Che
abbiamo fatto! Che abbiamo fatto!
PRESIDENTE: Mirko, chi ha tolto la scheda di memoria dalla
macchina fotografica?
MIRKO: È stato Federico, è stato Federico!
PRESIDENTE: Federico? ... Federico Foglia?
MIRKO: Sì, perché voleva scambiarla con una pomiciata con
Gaia solo che poi, quando l'ha fatto... tutto è scoppiato!
PRESIDENTE: Va bene, ci fermiamo un attimo, così potrai
calmarti ma anche perché a questo punto vedo necessario mettervi
a confronto... è evidente che le vostre deposizioni sono in aperto
contrasto.
UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): Il sig. Federico Foglia entri in aula.
Entra Federico e viene accompagnato al banco di fronte a Mirko
PRESIDENTE: PM e avvocati, prepariamoci per il confronto.
Federico, ti ricordo che tu ti sei già impegnato a dire la verità in
questo processo come testimone e questo impegno perdura.
Abbiamo deciso di metterti a confronto con Mirko. Credo che sia
opportuno, per memoria di tutti, dare lettura della norma che
punisce la testimonianza falsa o reticente: Prego il Cancelliere di
dare lettura dell’art. 372 cp.
Si alza il Cancelliere
CANCELLIERE: Art. 372 del cp. Chiunque, deponendo come
158
testimone innanzi all'Autorità giudiziaria afferma il falso o nega il
vero ovvero tace in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui
quali è interrogato, è punito con la reclusione da 2 a 6 anni.
PRESIDENTE: Tu, Mirko, hai detto che la scheda di memoria
della macchina fotografica di Gaia l'ha presa Federico. Ti ricordo,
invece, Federico, che hai dichiarato come testimone, e lo sei
ancora, di essere tornato alla tavernetta e di aver preso la scheda
che era vicino alla Playstation.
FEDERICO: (confuso) Ma non capisco, che vuol dire? Può
ripetere..., non ho capito bene…
PRESIDENTE: Mi spiego meglio... Mirko, correggimi se
sbaglio, hai detto che a sottrarre la scheda dalla macchina
fotografica di Gaia è stato lui?
MIRKO: Sì
FEDERICO: Ma che dici Mirko, ma che cavolo! Ma che? Ma
che?...
MIRKO: Adesso basta Federico, io non gioco più, è una
schifezza quello che abbiamo fatto a Gaia!
Dal banco degli imputati
ANTONIO (agitato e ad alta voce): Basta! Basta! Adesso basta,
è finita, non ne voglio più sentire parlare: siamo stati noi, siamo
colpevoli ed abbiamo fatto una carognata, una carognata… tutti...
tutti per i nostri bravi motivi... Federico! Sei stato tu a prendere
quella maledetta scheda, e tutto è iniziato da lì.
Non gioco più nemmeno io... mi tiro fuori e quello che viene è
sempre meglio di questa messinscena!
Presidente, ci eravamo messi d'accordo per recitare le nostre parti
e salvarci a vicenda... Pure Federico ci aiutava nei messaggi
159
contro Gaia…
Io l'ho fatto, invece, perché a Gaia volevo bene… ma era la
ragazza sbagliata, e non mi ha voluto... e per stupida gelosia… ho
cercato di odiarla, di distruggerla, ma non potevo immaginare che
saremmo arrivati a questo punto!...
Piange anche Federico
FEDERICO: (con le mani sul viso) Sì, è tutto vero sig.
Presidente, sono stato uno stupido a prendere quella scheda. Ma io
ho solo fatto qualche fotomontaggio!
Dal banco degli imputati
LUCA: La verità è solo che siete tutti dei cacasotto… dei buffoni!
PRESIDENTE: Silenzio in aula! ... Altrimenti sarò costretto a
fare allontanare chi disturba l’udienza.
Una breve pausa
PRESIDENTE: Signori, abbiamo concluso l’acquisizione delle
testimonianze ed abbiamo raccolto le dichiarazioni degli imputati.
A questo punto, dichiaro chiusa l’istruttoria dibattimentale ed
invito le parti a concludere.
Prego PM, a Lei la parola per la sua requisitoria.
In aula i difensori di Mirko e Antonio confabulano con il PM
160
Requisitoria del PM:
PM: Signor Presidente, se potevano residuare dei dubbi, a parere
di questo ufficio comunque ingiustificati, circa la piena
responsabilità degli imputati, l’evoluzione del dibattimento e le
sincere confessioni che abbiamo ascoltato non giustificano
ulteriori perplessità. Peraltro essendo stato informato dai difensori
di Antonio e Mirko della loro intenzione di richiedere la
sospensione per messa alla prova pur attendendo la richiesta
formale in tal senso, mi riservo di esprimere il parere dell’ufficio
circa un rinvio del processo al fine di verificare la possibilità di
applicazione del suddetto istituto. Avanzo pertanto le mie richieste
finali unicamente su uno dei tre imputati. Nei confronti di Luca
Camera richiedo che venga dichiarata la responsabilità per tutti
reati contestati, unificati sotto il vincolo della continuazione e che
sia condannato alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione e 15.000
euro di multa, con esclusione dei benefici di legge.
Chiedo inoltre nei confronti di Luca, in attesa che la sentenza
diventi definitiva, che venga immediatamente applicata la misura
rieducativa del collocamento in comunità.
In ordine, invece al teste Federico Foglia chiedo la trasmissione
degli atti al mio ufficio perché si proceda separatamente,
ravvisandosi a suo carico il concorso negli stessi reati contestati
agli imputati.
PRESIDENTE: Grazie PM. Invito a questo punto i difensori a
svolgere le proprie arringhe. La parola all’avv. Scorza.
Arringhe degli avv. difensori
Avv. SCORZA: Presidente … Onorevole Tribunale,
quale difensore di Mirko Morelli formulo richiesta di sospensione
del processo ai sensi dell’art. 28 del DPR 448/1988.
Insieme abbiamo potuto constatare che, in verità, vi è concreta
161
possibilità di recupero del minore che rappresento.
La messa alla prova, attraverso il progetto educativo in essa
contenuto, sarà utile a far emergere ogni aspetto positivo del
carattere di Mirko, eviterà ulteriore commissione di reati e
condurrà, senza dubbio alcuno, ad una corretta condotta di vita.
La consapevolezza di avere agito in maniera sbagliata nei
confronti della giovane Gaia e la rivisitazione accorata dei propri
agiti, fanno ben sperare in un esito positivo del percorso di messa
alla prova; il ravvedimento, sincero, del minore… Presidente… è
di per sé un segnale di buona riuscita.
PRESIDENTE: Grazie Avvocato. La parola all’avv. Miliè.
AVV. MILIE’: La difesa di Antonio Casale si associa alla
richiesta appena formulata dal collega.
Presidente, la messa alla prova è un’opportunità alla quale il mio
assistito vuole rivolgere tutte le sue energie, anche per dimostrare
– a Gaia, a se stesso e alla famiglia – di avere compreso i propri
errori e di avere preso parte a qualcosa di molto pericoloso. Questi
errori, sig. Presidente, non si ripeteranno più; quanto è accaduto
ha cambiato molto Antonio … il suo modo di pensare e di vivere.
Si dice disponibile, anche da subito, a dialogare con Gaia, si
presta ad un confronto per porgere le sue sentite scuse e per dirle
che vorrebbe rimediare al male che le ha procurato. Questo basta,
Presidente, a farci comprendere che il ragazzo è pronto ad
affrontare un percorso di messa alla prova e che questo potrà
avere esiti positivi.
PRESIDENTE: Grazie avvocato. Ascoltiamo ora le conclusioni
dell’avv. Gallo.
162
AVV. GALLO: Signor Presidente, signori giudici, ho il difficile
compito di svolgere le difese nell'interesse di Luca. Per lo stesso
difensore è stato in parte fonte di sorpresa.
D'altra parte io rivendico la nobiltà della funzione del difensore
tecnico che apprende dal suo assistito esclusivamente quello che
egli vuole dirgli senza forzature e non ritengo che questa sia
ingenuità. In questi mesi io ho conosciuto un Luca ben diverso da
quello che può essere apparso a voi e, forse, solo ora capisco dei
momenti di grave depressione del ragazzo che a me non aveva
voluto chiarire.
Luca in realtà, è il frutto di modelli educativi che gli stessi genitori
oggi ammettono di avere frainteso. Per loro è stato più facile
colmare il figlio di quelle opportunità materiali che loro stessi non
avevano potuto avere, assorbiti come sono dagli impegni
professionali di successo.
Io stesso sono stato portato fuori strada dalla parziale conoscenza
della verità dei fatti; ripeto che non avevo preteso che mi
raccontasse la verità.
È difficile a questo punto sostenere l’estraneità di Luca, piuttosto
vorrei richiamare la vostra attenzione sulla immaturità del ragazzo
che si atteggia a bulletto per difesa ma che in realtà è lungi
dall’essere consapevole delle conseguenze delle sue azioni.
Chiedo pertanto che Luca sia dichiarato non punibile perché
ancora non capace di fare una distinzione tra il bene e il male e
pertanto non imputabile.
In ogni caso, ove non fosse accolta la mia richiesta principale,
sollecito il riconoscimento della diminuente della minore età e,
per i motivi che ho già esposto, delle attenuanti generiche con
irrogazione del minimo della pena.
Posso inoltre assicurare che, oltre alle apparenze, ho visto Luca
veramente provato, e ancor di più i suoi genitori, tanto che può
escludersi che possa commettere altre violazioni della legge
penale e pertanto chiedo con convinzione che, in caso di
condanna, sia applicato il perdono giudiziale.
163
PRESIDENTE: Grazie avv. Gallo. PM le do nuovamente parola
per esprimere il suo parere circa le richieste di messa alla prova
per Antonio e Mirko.
PM: Presidente, da quanto avvenuto poco fa in aula, prendo atto
che Mirko Morelli e Antonio Casale sembra che abbiano
finalmente preso coscienza della gravità dei loro comportamenti.
Tale consapevolezza è elemento indispensabile per l’avvio della
messa alla prova che richiede una fattiva partecipazione e
consenso di chi vi è sottoposto. Posso pertanto ammettere che
esistono i presupposti per ipotizzare un percorso di messa alla
prova che condurrà ad esiti positivi ed esprimo parere favorevole
circa un rinvio del processo al fine di verificare la possibilità di
predisporre un percorso di messa alla prova per Antonio Casale e
Mirko Morelli.
PRESIDENTE: Esaurita la discussione, dichiaro chiuso il
dibattimento ed il Collegio si ritira in Camera di Consiglio per
deliberare.
Il Collegio esce
164
Entra il Collegio come fosse passato il tempo per elaborare la
sentenza…
SENTENZA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI CATANZARO
Visti gli art. 533 e ss codice di procedura penale,
dichiara la penale responsabilità di Luca Camera per tutti reati
contestati, unificati sotto il vincolo della continuazione e,
riconosciuta la diminuente della minore età, concesse le attenuanti
generiche, equivalenti all’aggravante del reato più grave (capo E),
lo condanna alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione e 11.600
euro di multa aumentati per la continuazione a anni 2 e mesi 10 di
reclusione e 12.325 euro di multa;
visti gli artt. 163 e ss codice penale dispone che l’esecuzione
della pena rimanga sospesa per anni 5.
visto l’art. 32 DPR 448/88 affida Luca Camera al Servizio
Sociale di Catanzaro perché lo collochi in Gruppo
Appartamento; con provvedimento immediatamente efficace.
Dispone procedersi separatamente nei confronti di Mirko Morelli
ed Antonio Casale e, a tal fine, dispone la formazione di separato
fascicolo processuale in cui sarà inserita copia degli atti del
presente processo.
Dà incarico all’USSM di verificare la possibilità, insieme ai
Servizi operanti nel territorio di residenza dei ragazzi, di
predisporre un adeguato progetto di messa alla prova per Mirko ed
Antonio. Il progetto sarà adattato alla personalità dei minori ed al
tipo di reato commesso.
Rinvia all’udienza del 25 Maggio 2016 per l’elaborazione del
165
progetto a cura dei servizi incaricati.
Motivazione in giorni 30.
166
EPILOGO
UDIENZA DEL 25 MAGGIO 2016 PROCESSO A CARICO DI
MIRKO MORELLI E ANTONIO CASALE
PRESIDENTE: Prego Assistente Sociale, ha potuto predisporre
un progetto per Mirko ed Antonio?
ASSISTENTE SOCIALE: Sì Presidente. Il compito dell’ufficio,
per un verso, ha riguardato la collocazione di Luca Camera nel
Gruppo Appartamento ed il conseguente progetto di rieducazione
del ragazzo e, per un altro, la stesura di un doppio progetto di
messa alla prova per Mirko ed Antonio.
Per quel che riguarda Luca ho incontrato più volte i genitori ed ho
trovato, presso di loro, grande collaborazione. Si sono proposti
come promotori di un gruppo multifamiliare per degli incontri,
gestiti da un facilitatore, che riuniscono famiglie dei ragazzi autori
di reato, per fornire loro opportunità di discussione, supporto e
sostegno nel corso dell'iter processuale.
Abbiamo così formato il gruppo cui far partecipare i ragazzi e le
loro famiglie, come avrete modo di vedere nei rispettivi progetti.
Il trasferimento di Luca in Gruppo Appartamento non è stato
facile, ma posso dire che, ad oggi, il ragazzo ha dimostrato una
predisposizione diversa e più positiva verso le azioni che stiamo
compiendo nei suoi riguardi.
Per LUCA:
Il suo progetto rieducativo lo coinvolgerà nei lavori
dell’Associazione “Iris” che si occupa di giardinaggio, recupero di
aree rurali e rimboschimenti di aree bruciate per espletare lavori
manuali e concreti, strettamente connessi alla gratificazione di
167
vedere crescere le piante e gli alberi. Seguirà normalmente il corso
di studi e, oltre a svolgere le attività del Gruppo Appartamento,
parteciperà alle attività dell’associazione “Il Bradipo” che
organizza attività sportive cestistiche tra disabili e normo-abili.
Per quel che riguarda i Progetti di MAP dei due restanti imputati
preciso che, come di consueto, ho avuto modo di incontrare i
ragazzi e le loro famiglie.
Ho dunque, formulato un progetto educativo individualizzato in
grado di tenere conto delle peculiarità dei minori, delle loro
risorse e delle opportunità disponibili sul territorio giungendo alla
formulazione di due progetti personalizzati sulle esigenze
educative di entrambi.
Per MIRKO:
Sin dalla prima anamnesi socio familiare è emerso che Mirko è
particolarmente portato per lo studio e tale sua risorsa potrà
rappresentare il punto focale del progetto educativo arricchito con
le altre attività che di seguito si riportano:
• Attività di studio: prosecuzione della frequenza al secondo
anno dell'Istituto superiore dal lunedì al sabato e studio a casa
nelle ore pomeridiane.
• Attività di volontariato: da svolgersi nei pomeriggi di
lunedì, mercoledì e venerdì dalle 15.30 alle 17.30 presso il centro
di aggregazione per minori gestito dall'associazione “La
Margherita Rossa” all'interno del quale, il ragazzo affiancherà i
volontari nel supportare i bambini nello svolgimento dei compiti e
delle attività ludiche all'interno del centro;
• Partecipazione agli incontri settimanali del gruppo dei
ragazzi segnalati dall'USSM al progetto “Unioni” gestito
dall'Associazione “Odisseo”, che mira a informare e far operare
un'attenta riflessione sulle nuove dipendenze (gioco d'azzardo,
168
internet, shopping, lavoro, sesso) mirando a informare e/o
prevenire i rischi e le implicazioni emotive connesse anche all'uso
non corretto degli strumenti informatici puntando ad un uso più
responsabile di tali strumenti;
• Partecipazione del ragazzo e dei suoi genitori agli incontri
quindicinali del gruppo multifamiliare;
• Attività sportiva finalizzata al controllo degli impulsi ed
alla introiezione delle regole, da svolgersi nei pomeriggi di
martedì e giovedì dalle 18.00 alle 19.00 presso la scuola di Arti
Marziali “Armonia Interiore”.
• Riconciliazione con la persona offesa attraverso il
coinvolgimento dell'Ufficio di mediazione penale che si occuperà
di valutare la fattibilità di una riconciliazione tra la vittima e
l'autore del reato, nell'ottica di una giustizia riparativa che
prospetta un coinvolgimento attivo della vittima, dell'agente e
della stessa comunità civile nella ricerca di soluzioni atte a far
fronte all'insieme di bisogni scaturiti a seguito del reato;
• Incontri periodici di verifica e sostegno con l'Assistente
Sociale USSM incaricata del caso che si riserva di monitorare
costantemente l'andamento della misura e di comunicare eventuali
variazioni o deroghe al programma.
Per ANTONIO:
Antonio non è particolarmente interessato allo studio, ma ciò
nonostante essendo ancora lo stesso in età ricadente nell'obbligo
scolastico, dovrà impegnarsi nella frequenza della scuola. La sua
corporeità e i suoi modi, richiedono un percorso diverso da quello
delineato per il suo coimputato:
1. Attività di studio: prosecuzione della frequenza al primo
anno dell'Istituto superiore dal lunedì al sabato e studio a casa
nelle ore pomeridiane, se opportuno il ragazzo potrà essere
169
supportato nello studio da operatori dell'associazione “Il Sole” con
la quale l'Ufficio scrivente collabora.
2. Attività di volontariato: da svolgersi nei pomeriggi di
lunedì mercoledì e venerdì dalle 15.30 alle 17.30 presso la “Croce
Verde”, affiancando i volontari nel trasporto ed assistenza di
dializzati; tale attività ha lo scopo di mettere a contatto il ragazzo
con situazioni di disagio grave che possono contribuire ad una
maggiore capacità di riflessione e maturazione;
Partecipazione agli incontri settimanali del gruppo
dell’associazione “Odisseo”, come nel progetto di Mirko.
3. Partecipazione del ragazzo agli incontri organizzati presso
il Consultorio familiare finalizzati alla realizzazione di un
percorso individualizzato di sostegno e chiarificazione sui temi
inerenti l'accettazione di sé, della propria corporeità, del controllo
della propria forza, nonché il rapporto con l'altro sesso,
4 Attività sportiva finalizzata al controllo degli impulsi ed
alla introiezione delle regole, da svolgersi nei pomeriggi di
martedì e giovedì dalle 18.00 alle 19.00 presso la squadra di
Rugby “Le Aquile Nere”. La scelta di tale disciplina è legata alla
possibilità di dare libertà di sfogo alla sua forza fisica,
mantenendo il rispetto di regole condivise.
5 Riconciliazione con la persona offesa ed incontri periodici
anche per lui, come per il progetto precedente.
Il Presidente: Il Tribunale, su richiesta dei difensori e parere
conforme del PM, ammette Mirko e Antonio all’istituto della
messa alla prova e provvede con separata ordinanza.
Fissa in anni uno la durata della prova.
Incarica il giudice onorario dott.ssa Giorgia Sestito di seguire
l’andamento della prova dei giovani Mirko e Antonio con udienze
di verifica, in modo da valutare il progresso educativo dei minori,
170
le attività svolte, l'evoluzione del caso nonché i risultati raggiunti
dagli stessi in relazione al progetto previsto.
Rinvia all’udienza di valutazione finale del 25 Maggio 2017.
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UDIENZA DEL 25 MAGGIO 2017
PM: Presidente, dalle relazioni e dal percorso seguito in maniera
rigorosa e partecipativa dei ragazzi, la procura osserva che la
messa alla prova ha avuto un esito decisamente positivo. Per tale
motivo si domanda sentenza di non doversi procedere perché
estinto il reato.
I difensori: Ci associamo alla richiesta del PM.
SENTENZA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI CATANZARO
Visti gli artt. 531 e ss c.p.p.
Dichiara non doversi procedere nei confronti di Mirko Morelli e
Antonio Casale in ordine al reato contestato per essersi lo stesso
estinto per esito positivo della messa alla prova.