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Non c’è via più sicura per evaderedal mondo che l’arte, ma non c’è legamepiù sicuro con esso che l’arte.

J. W. Goethe

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Prima tappa: Cenni storici

“Prima di iniziare il nostro percorso, sulla storia ci dobbiamo soffermare!”

L’etimologia del nome ………………………………………………………… p. 8

Cenni storici ………………………………………………………………………… p. 11

Breve cronologia …………………………………………………………………. P. 15

Seconda tappa: Chiese e monumenti “Un giro per le vie del borgo…”

Il centro storico:

Le mura ………………………………………………………………………………… pp 18-20

La torre ……………………………………………………………………………….. pp 18-20

I mercati coperti ……………………………………………………………… pp 18-20

I giardini pensili ……………………………………………………………….. pp 18-20

Le Chiese:

Chiesa del Gonfalone……………………………………………………… p. 21

Chiesa di San Pier Celestino ………………………………………. P. 23

Chiesa del SS. Sacramento………………………………………… p. 27

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Chiesa di San Francesco in Rovereto ………………………… p. 33

Villa di San Martino o del Balì…………………………………. P. 36

Santuario della Villa…………………………………………………….. p. 39

Terza tappa: Usi, costumi, tradizioni e antichi mestieri

“Un viaggio nel passato …”

Antichi mestieri:

Il cappellaio …………………………………………………………………………… p. 42

Il cordaio …………………………………………………………………………… p. 46

Il fabbro ………………………………………………………………………………. P. 49

Il calderaio…………………………………………………………………………… p. 51

Antichi giochi:

Il gioco del bracciale …………………………………………………………….. p. 53

Il gioco del tamburello …………………………………………………………. p. 55

Schede di approfondimento………………………………………………. p. 56

Borghi e castelli…………………………………………………………………… p. 58

Le confraternite………………………………………………………………….. p. 64

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PRIMA TAPPACenni storici:“prima diiniziare sulla

storiaci dobbiamosoffermare…”

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Saltara: l ‘etimologia del nomeTutti i tentativi di formulare ipotesi sul nome di questo paese sonorivolti alla parte finale del termine; infatti, mentre tutti gli storiciconcordano riguardo alla prima parte del nome, cioè SALTUS (terminelatino che indica bosco o selva), non si trovano d’accordo sulla parteterminale e propongono diverse tesi.

Le varie ipotesi:

1. Un’ antica leggenda narra che un altare venne innalzato sulla collinadi S Martino per placare, con sacrifici, un drago che abitava i boschie terrorizzava le popolazioni del luogo; di qui Saltus ara (altare delbosco).

2. un'altra ipotesi tende a collegare l'origine del nome Saltara con latradizione romana. C'è chi lo vuole derivante da Saltus aeris, ossiabosco del bronzo, se si vuole credere che l'origine sia derivatadall'abbandono delle armature, in questi boschi, da parte deiCartaginesi, dispersi dopo la clamorosa sconfitta da parte deiromani (II Guerra Punica - 207 a.C. con la nota vittoria che i consoliromani Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone inflisseroall’esercito cartaginese di Asdrubale che cercava di portare rinforzial fratello Annibale deciso a debellare la potenza di Roma.)

3. ma l'interpretazione che risulta più credibile si basa sul vocabololatino, di derivazione longobarda, Saltarius. (cioè guardiapascoli,sorvegliante forestale). Una interpretazione che al Billi (storicolocale da cui si attingono le principali notizie riguardanti Saltara)risulta. credibile Questa teoria potrebbe essere avvallata dallapresenza di un pluteo o paleotto di origine longobarda nella chiesa diSan Pier Celestino che presenta moltissimi elementi comuni a unatransenna longobarda della chiesa Collegiale di Cividale.

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Chiesa di San Piero in Celestino,pluteo del VI secolo

4. Un’altra interpretazione, datata 1562, formulata da VincenzoFrancescucci di Fano, presupponeva che il centro fosse cosìdenominato perché localizzato fra due colline selvose (lat. intersaltus), ma il canonico Billi, nel 1866, esclude tale ipotesi perché latraduzione avrebbe dovuto essere “Tersalo” o “Intersalto”.

5. La versione che convince maggiormente il Billi fa derivare la secondaparte di Saltara dalla parola greca ARIUS o ARRIUS che ètradotto in latino con il vocabolo Mars vale a dire Marte. (Aria è

Cividale, chiesa collegiata,transenna

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l’accusativo di Arius) Da qui il nome Bosco di Marte o sacro a Marte.La comprova dice di trovarla nell’Esperide Fanese la quale cita:“VETUSTUM MARTIS TEMPLUM DIVO MARTINO DEVOLUTUM”.Era conforme all’uso ecclesiastico cambiare la parola da Marte aMartino. Con questa ipotesi avvalora la tesi che i Cartaginesi stessi,dopo la disastrosa sconfitta subita, costruirono un altare a Marte,(dal greco “Ares”) , dio della guerra, per placarne le ire.

Il primo documento storicamente attendibile in cui compare il nomedi "Saltara" è una bolla papale di Papa Giovanni VII (872-882) nellaquale viene citato fra tanti paesi e territori: Mansum Saltariae comeappartenente alla Badia di S.Paterniano di Fano.

Viene poi nominato nello statuto di Modena (rubrica 370 f. 74) dovesi legge che: “Saltarii teneantur custodire ed salvare clausuras,terras, hortos, vites, prata segetes et arbores hominum civitatismutinae” e cioè “I saltari sono tenuti a custodire e salvare i luoghichiusi, le terre, gli orti, le vigne, i campi arati e gli alberi deicittadini”.Quindi i saltari non erano altro che guardie campestri oguardaboschi. Probabilmente sotto la dominazione longobarda, imonaci benedettini della badia di San Paterniano, presso le mura diFano, possedendo terreni in Saltara, vi avranno inviato un custode ocastaldo, vale a dire un SALTARIUS longobardo o SALTUARIUSlatino.Il nome sarà poi stato usato per denominare quel gruppo di case cheman mano andò a crescere fino a formare un paesello, poi una terrae quindi un castello col nome di SALTARA.

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Un po’di storia

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La nascita di Saltara avvenne probabilmente all’inizio del XII secolo.Il primo documento in cui apparve il nome del paese è una bollapapale di Papa Giovanni VIII (872-882). Tra tanti paesi e territoriviene citato Mansum Saltariae come appartenente alla Badia si SanPaterniano di Fano.L’origine di Saltara è simile a quella di altri comuni .Le popolazioni, dopo lo sfacelo dell’impero Romano e le invasione deibarbari si raccolsero sulle alture e costruirono alti castelli.

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Qui era più facile la difesa e si potevano controllare gli assalti degliinvasori. Tutto ciò rendeva più sicura la vita della popolazione .È grazie alla Flaminia che Saltara assunse un importante ruolo dicentro commerciale.Il castello era comandato da un capitano che dipendeva dalla città diFano.Nel 1343, Galeotto Malatesta di Rimini (figlio di Pandolfo) occupòmilitarmente la città di Fano e quindi anche Saltara passò sotto lasignoria dei Malatesta.Iniziava così il periodo della signoria dei Malatesta: fu un fattomolto significativo per Saltara, che da questo momento adottò lostemma della famiglia, vale a dire un drago alato con zampe di leonesopra un altare in cui si trova la scritta “pax sit huic domui”; fuprobabilmente Novello Malatesta a proporre questo simbolo comestemma di Saltara. Nella biblioteca di Cesena si trova infatti unbassorilievo commissionato da Andrea Malatesta, zio di Novello,raffigurante un San Giorgio che uccide il drago, dove la figura deldrago presenta tratti molto simili al drago scolpito in pietra nelpalazzo di giustizia di Saltara.

Drago alato rappresentatoNel palazzo di giustiziamalatestiano di Saltara

Drago alato del bassorilievo della BibliotecaMalatestiana di Cesena

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Durante il periodo Malatestiano fu effettuata la fortificazione delcastello, il vero centro storico del paese, costituito da vie strette,antichi portici e mercati coperti, mentre lacostruzione del fossato intorno al castelloavvenne nel 1352; tale fortificazione funecessaria per far fronte ai continui attacchidovuti sia alle posizioni politiche assunte daiSignori di Rimini sia per evitare le continueminacce dei comuni limitrofi, in particolare diCagli e Fossombrone.Dal 1387 fino alla presa di Fano da parte di PioII (1458-1464) non si trovano altri documentiriguardanti Saltara, ad eccezione del saccheggiosubito nel 1445 da parte delle truppe diFrancesco Sforza..Un’altra data fondamentale è il 1463-64, quando Federico daMontefeltro venne in aiuto del papa e strappò Saltara a SigismondoPandolfo Malatesta; il duca di Urbino avrebbe infatti volutoannettere alla sua signoria i territori di Fano ed i castelli ad essaassoggettati, quindi anche Saltara.Pertanto, da questo momento i territori acquistarono la cosiddetta“libertas ecclesiastica” cioè la soggezione alla Santa Sede, che inviònuovi capitani a governarli.Il comando di Saltara fu affidato a Simone Rinalducci, cui seguironoaltri capitani, sempre nominati da Fano, col titolo di Castellani;Saltara fu infatti sempre sotto la giurisdizione di Fano anche se nonmancavano tentativi di sottrarsi all’autorità fanese da parte deicittadini saltaresi.Nel 1656 papa Alessandro VII dispose un censimento delle anime neisuoi territori, a Saltara risultavano 795 abitanti, che aumentarono a928 nel censimento del 1701 e a 1361 in quello del 1810.Anche Saltara subì il passaggio delle truppe napoleoniche; nelfebbraio del 1797 tutti i castelli passarono infatti nelle mani deifrancesi e il 10 giugno 1810, per ordine di Napoleone I, tutti gliordini religiosi vennero sciolti e i conventi passarono nelle mani dellamunicipalità che ne fecero ospedali, archivi e biblioteche.

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Dopo la caduta dell’impero napoleonico le Marche ritornarono alloStato Pontificio.Va infine ricordato il terribile bombardamento subito da Saltara,durante la seconda guerra mondiale, nella notte tra il 25 e il 26agosto 1945, che provocò la morte di numerosi civili; durante ilbombardamento, che doveva facilitare il passaggio degli alleati perlo sfondamento della linea gotica, fu in parte abbattuta la torrecivica, considerata osservatorio tedesco.La ricca storia del comune di Saltara è riscontrabile nella presenzadi numerosi monumenti, religiosi o civili, cui verrà dedicata laseconda parte del presente lavoro e dei quali si dà di seguito unbreve elenco:

1. le quattro chiese del centro storico: la chiesa della Fonte (sec. XV),la chiesa del Gonfalone (1649), la chiesa di San Pier Celestino, ilSantuario della Villa (1792)

2. il convento di San Francesco in Rovereto (primo nucleo risalente alsec. XIII)

3. il palazzo di San Martino o Villa del Balì (primo nucleo del sec. XII,struttura attuale del 1625)

4. il centro storico con il Palazzo Municipale e la Torre Civica entrambidi età Malatestiana.

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Breve cronologia207 a.C. : Battaglia del Metauro tra Romani e Cartaginesi

combattuta ai piedi di Saltara.

882: Bolla papale che cita Mansum Saltariae.

1156: papa Adriano IV riconferma Saltara tra i territoriassoggettati all’abbazia di S. Paterniano.

1283: Saltara viene annessa al comune di Fano, che nomina uncapitano a capo del castello.

1343: Saltara passa alla signoria dei Malatesta di Rimini.

XIV: dominazione dei Malatesta e compimento delle mura delborgo di Saltara.

1445: Saltara viene presa e saccheggiata dalle truppe diFrancesco Sforza.

1463-64: Federico da Montefeltro viene in aiuto del papa estrappa Saltara a Sigismondo Pandolfo Malatesta; da questo momentoSaltara fa parte dei possedimenti ecclesiastici e risulta, in particolare,sotto la giurisdizione del Comune di Fano che invia nuovi capitani pergovernarla

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1516: Lorenzo De’ Medici, col suo esercito, si stabilisce aSaltara per combattere il duca d’Urbino Francesco Maria I dellaRovere; Saltara rimane possedimento della Chiesa

1656: papa Alessandro VII dispone un censimento delle animenei suoi territori, quindi anche a Saltara

1797: Saltara subisce il passaggio delle truppe napoleoniche enel febbraio di quell’anno tutti i castelli passano nelle mani dei francesi

1815: dopo la caduta dell’impero napoleonico Saltara ritornasotto il dominio dello Stato della Chiesa

1861: Saltara diventa comune con l’Unità d’Italia

1945: terribile bombardamento subito da Saltara, durante laseconda guerra mondiale per facilitare il passaggio degli alleati

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SECONDA TAPPA

Chiese emonumenti:“un giro per levie del borgo…”

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Il centro storicoIl centro storico di Saltara è completamente “avvolto” dalle mura esi può raggiungere percorrendo le scale che partono dalla piazzaprincipale.L’intera fortificazione del Castello fu compiuta tra il XIII e XIVsecolo e fu realizzata per difendere il paese dalle continueincursioni dei Comuni di Fossombrone e Cagli, che rappresentavanouna minaccia costante alla pace del paese. Per lo stesso motivo ilcastello venne costruito con laforma particolare di un vascellocon la punta rivolta verso la valle,proprio per difendersi meglio dagliattacchi nemici. Di sicuro fuprogettato ispirandosi ai tanticastelli e rocche che Francesco diGiorgio Martini ideò in questoterritorio.

All’interno di questafortificazione si sviluppa ilvero e proprio centrostorico; attualmente ilcentro storico si puòraggiungere o salendo lagradinata di 106 gradini,eseguita nel 1934, che

parte dalla piazza principale del paese, oppure percorrendo ViaCorridoni che è delimitata, sul lato sinistro, dalla cinta muraria,ancora ben conservata. Si arriva così alla piazza principale di Saltaradove si affacciano due edifici di epoca malatestiana:

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il Palazzo Municipale, costruito fra il 1500 e il 1600, che conservaancora, situato sopra il portale, il “drago alato”, stemma deiMalatesta. Di pregevole in questo edificio è il portale, all’esterno, eun camino, all’interno, situato al primo piano del palazzo; fino adiversi anni fa era presente anche un dipinto su tavola di scuolamarchigiana, delle dimensioni di 90x60 cm, raffigurante unaCrocifissione (secolo XIV), di notevole pregio, che fu poi trasferitanella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino.

Sulla piazza sui affaccia anche la torre civica, sempre di epocamalatestiana, più volte ristrutturata, dove di trovano ancora dueantiche iscrizioni in caratteri gotici che ricordano la funzione diLuogo di Giustizia di questo edificio.

Tipicamente medievale risulta la presenza ravvicinata dei luoghi cherappresentano i tre diversi poteri: Comune (politico), Chiesa di S.Lucia (religioso), Mercati coperti (economico).

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Un monumento particolare ecaratteristico di Saltara sonoproprio i mercati coperti; nelperiodo medievale questo luogoera utilizzato per il passaggiodei carri, mentre negli annisuccessivi al 1449 questospazio fu utilizzato per il

mercato settimanale, di solito il mercoledì; si trattava di uno dei piùimportanti mercati dell’intera valle del Metauro. Dai mercati copertisi arriva, attraverso una scaletta, ai giardini pensili: un piccolospazio circondato da mura,con una suggestiva vista sul paesaggiocircostante e sulla piazza di Saltara. (Questa piccola area verde èstata recuperata e valorizzata dall’Istituto Leopardi con ilcontributo di altre scuole di Fano e Pesaro).

Torre malatestiana trasformata dalVenturelli nel 1786 Torre oggi

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Chiesa del GonfaloneLa Chiesa del Gonfalone si trovasulla strada che, uscendo dalcentro storico di Saltara, porta aCartoceto; è così chiamata perchéun tempo vi si trovava la sededella Confraternita omonima,detta anche del S.S. Crocefisso; sitratta della Confraternita piùantica e più numerosa di Saltara.La Chiesa, con facciata a capanna,in stile tardo rinascimentale,presenta, nella parte superiore,due finestre strombate con arco atutto sesto. L’ingresso principale,a cui si accede attraverso una piccola gradinata, è caratterizzato dauna inquadratura con ornamenti vegetali che richiamano lo stile delperiodo sopra citato.Nel fregio superiore si trova una iscrizione in latino, Anno Domini1649; il tutto è sovrastato da un Crocefisso in pietra. E’ possibileche tale data si riferisca ad un rifacimento dell’edificio, infatti nelresoconto di una Visita Pastorale del Vescovo Lapi, avvenuta nel1610, la chiesa viene nominata e ricordata come sede dellaConfraternita del SS. Crocifisso e di quella della Concezione. Neisecoli XVII e XVIII fu più volte trasformata.

Superato l’ingresso principale si può subito osservare una cantoriacon un organo ligneo del XVIII secolo di produzione veneta; a destradell’altare maggiore vi è una tela raffigurante l’Assunzione dellaMadonna in cielo, mentre a sinistra si trovava il dipinto di S. Antonioda Padova di Francesco Guerrieri da Fossombrone, attualmente nellachiesa del SS. Sacramento.

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Se rivolgiamo lo sguardo verso l’alto, possiamo ammirare il soffittoligneo a cassettoni, completamenteintagliato con decorazioni a motivivegetali dorati e dipinti con una vivacepolicromia di color giallo, verde e arancio.

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Chiesa diSan PierCelestino

Si tratta della chiesa principale del paese, di origini tardocinquecentesche, ma rifatta nel XVIII sec.L’edificio sembra essere stato ricostruito sopra una chiesaprecedente; nel corridoio che porta alla sacrestia è esposta unalapide con questa iscrizione latina la cui traduzione corrisponde a :”A DIO OTT. MASS. A MERITISSIMO CLEMENTE VIII PONT.MASS. E TEODOSIO BOLOGNESE GENERALE DEI CELESTININON PER ORNAMENTO MA PER NECESSITA’ FU ELEVATA LAFONDAZIONE – L’ANNO DI CRISTO 1601”.

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La chiesa è dedicata a Pietro Murrone, monaco Calabrese proclamatopapa con il nome di Celestino V, presente nelle processioni inoccasione della morte di qualcuno.La chiesa è stata, fino al 1819, sede del convento dei padri Celestini;fu poi donata alla parrocchia di San Giovanni, la cui chiesa, (poiOspedale Morioni) che era all’interno delle mura castellane, era inquei tempi in condizioni fatiscenti. I Celestini abbandonarono chiesae convento al tempo della soppressione napoleonica.

Un tempo era la sede della Confraternita dell’Addolorata, unicaconfraternita di Saltara composta esclusivamente da donne.

La chiesa è a navata unica con due altari addossati alla paretesinistra e due alla parete destra. Gli elementi decorativi di tipoclassicheggiante, in legno intagliato, che ornano gli altari, così comegli stucchi con elementi floreali e volute, con cartigli e cherubini,che decorano le finestre, l’arco trionfale e l’abside vanno datati alXVIII secolo.Appena entrati, nella controfacciata, si nota una notevole cantoria inlegno con decorazioni dipinte databile tra la fine del XVII secolo el’inizio del XVIII secolo: alla base si può notare una decorazione amotivi geometrici e a finto marmo, mentre sulla balaustra, nellaparte centrale, è raffigurato Il collegio dei cardinali riunito difronte a papa Celestino V che depone la tiara, il copri capo papale,rinunciando al suo pontificato (Dante per questo rifiuto metteràCelestino V nell’Inferno, nel girone degli ignavi, quelli che nella vitanon hanno fatto niente né di bene né di male). A destra di taleraffigurazione vi è Santa Cecilia che suona l’organo e a sinistra unSanto Profeta, non identificato, che suona l’arpa.All’interno della chiesa, sul primo altare a sinistra, è collocata la telaraffigurante Santa Irene che cura San Sebastiano trafitto dallefrecce. I due Santi rivelano una discreta fattura, nello studioproporzionato dei corpi e nella della resa dei dettagli; intorno ai duesanti vi sono rami di piante secche e, sullo sfondo, si intravedono dueuomini con una spada in mano, sembra che stiano parlando. Il primoha un vestito con colori accesi (rosso), il secondo ha un vestito blu

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scuro; sullo sfondo è raffigurata una città, dove si vedono una torre,come un campanile, e delle stradine che portano su una collina. Inalto, nel cielo, sopra una nuvola, si vedono degli angeli con vesti colorarancio.Il dipinto è di scuola baroccesca(fine del ‘500 circa).

San Sebastiano è il patrono diSaltara e viene festeggiato il 20gennaio. Visse al tempo dell’imperatore Diocleziano e per lasua militanza fu condannato amorte tramite frecce.

Sul secondo altare a sinistra ècollocata una statua ligneadevozionale raffigurante Cristo in preghiera.Si arriva così all’abiside: sull’altare maggiore una tela raffiguraL’elezione a papa di Pietro da Murrone con il nome di Celstino V; latela piuttosto scura e in parte rovinata mostra una discreta fattura.Ai lati di questo dipinto altre due tele molto buie e quasi illeggibiliraffigurano rispettivamente, quella a destra San Mauro che sollevaSan Placido dalle acque e, quella a sinistra, L’annuncio della elezioneal Pontificato Romano di San Pier Celestino. Le caratteristichestilistiche che si riescono a intravedere nei dipinti suggeriscono unadatazione al XVIII secolo.Dietro l’altare si trova un coro ligneo, costituito da sette sedilidivisi da semicolonne con capitelli in legno intagliato databile tra lafine del XIX e l’inizio del XX secolo circa.Proseguendo, sulla parete destra della chiesa, nel primo altare sitrova un dipinto raffigurante La morte di San Giuseppe; anche sel’opera mostra una discreta fattura, la tela risulta molto rovinata escura.

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Di seguito si trova il pulpito in pietra, quindi un altro altare decoratoda una statua devozionale della Madonna.

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Chiesa dellaFonte o delSS.SacramentoSi tratta di un piccolo edificio anavata unica con due cappellelaterali, che sorge appena al di fuoridalle mura del centro storico diSaltara; è dedicata alla "DivinaMaria delle Grazie sopra la Fonte diSaltara", in quanto venne costruitaproprio vicino ad una fontanella. Ilnome della chiesa fu poi abbreviatodai fedeli e diventò semplicemente"chiesa della fonte" o "chiesaMadonna della fonte".Poiché, in seguito, diventò la sede

della pia Confraternita del Santissimo Sacramento (una delle tre piùantiche che esistevano già fin dal '500), essa venne anche chiamata"chiesa del SS. Sacramento". Come ricordo di questa confraternita,sopra il portale d’ingresso, in mezzo al timpano, è stato scolpito uncalice con un’ostia.

Non si conosce l'anno di costruzione della Chiesa, ma solo l'anno delprimo restauro (1595), come ricorda la lapide conservata sullaparete di sinistra, che riporta fra l’altro anche il nome della Chiesastessa:D.O.M. TEMPLUM DIVAE MARIAE GRATIARUM SUPER SALTARIE FONTEMVETUSTATE COLLABENS CORP. XPI SOCIETAS INSTAURANDUM ATQUEAUGENDUM CURAVIT ANNO AB INCARNAT DOMINICA MDXCV SUB

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PRIORATU JOH DOMINICI SERBALDI ET MATTHEI HADRIANITraduzione: A Dio ottimo massimo. La Società del Corpus Cristi hacurato il restauro e l'ampliamento della chiesa della divina Mariadelle Grazie sopra la fonte di Saltara in rovina per l'antichitànell'anno 1595 dopo la festa dell'Incarnazione (25 marzo) sotto ilpriorato di Gian Domenico Serbaldi e Matteo Ariani.

All'interno dell’edificio sono conservatediverse opere.

Una tela di Scuola baroccesca postasull'altare maggiore raffigurante L’UltimaCena , di recente attribuita all’allievo delBarocci Giovanni Andrea Urbani(1568/1632), riproduzione esatta deldipinto che Federico Barocci (1535-1612)realizzò per il Duomo di Urbino, ancoraconservata nella Cappella del Sacramentodel Duomo.

Una tela, posta invece sul latodestro, raffigura Sant'Antonioda Padova a cui appare laMadonna con Gesù Bambino,attribuita a FrancescoGuerrieri da Fossombrone(1589-1657).

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In questo dipinto appaiono la Madonna con Gesù Bambino e Sant’Antonio. Quest’ultimo indossa miseri abiti da frate, mentre Maria hauna tunica rossa, in segno di amore e passione, e azzurra comesimbolo di purezza. In terra c’è un giglio che significa anch’essopurezza ed è ilo tipico attributoiconografico del Santo. In alto vediamodei cherubini e una colomba al centro,simbolo dello Spirito Santo. Infine, se siosserva attentamente la tela, si scopreche oltre ai tre personaggi in piena luce(Maria, Gesù e Sant’Antonio da Padova),c’è un quarto personaggio in ombra; sullaparte sinistra, infatti, si scorge un frate,seminascosto da una porta, che osservala scena.

Del dipinto in esame esiste un’altra versione quasi identica che sidifferenzia solo per alcunidettagli, come la mancanza dellacolomba in alto al centro e dellaporta aperta a sinistra,conservata ad Arezzo.

La Madonna con il Bambino eSant’Antonio da Padova, Arezzo, Chiesadi Strada nel Casentino

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Le opere comunque di maggiore interesse artistico risultano gliaffreschi attribuiti a Giovanni Antonio Bellinzoni (1417 ca.- 1477 ca.)situati nella cappella di sinistra e raffiguranti la Madonna dellaMisericordia nella sua iconografia più classica, quella con l'ampiomantello che protegge i fedeli in preghiera con, ai lati, i SantiSebastiano e Maria Maddalena, a sinistra, e San Bernardino e Sant’Antonio, a destra.

La Madonna è circondata daangeli ed in alto domina la figuradel Padre Eterno benedicente.Da notare, infine, l’iconografia,ancora di retaggio medievale,della mandorla che racchiude ilBambino, nella pancia di Maria.

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San Sebastiano e Maria Maddalena San Bernardino e Sant’Antonio

Infine, possiamo osservare ilsoffitto ligneo dipinto della cappelladella Madonna delle Grazie, decoratocon rose quadripetali tipichedell’emblema dei Malatesta. Questomotivo decorativo è riproposto anchenella parte superiore dell’affrescoabsidale della chiesa di San Francescoin Rovereto del sopraddetto Giovanni

Antonio e ricorda la dominazione dellafamiglia riminese a Saltara.

Dello stesso autore è l’affresco che raffigura La Madonna in tronocon Bambino collocato in una stanza laterale (sacrestia) della chiesa.L’opera è caratterizzata da colori accesi, si noti in particolare ilvivace accostamento fra il vestito rosso della Madonna e lo sfondoturchese, delimitati da profonde e sinuose linee di contorno. Pur nonessendoci ancora uno studio accurato e scientifico della prospettiva,il pittore tenta, comunque, di dare una certa profondità al dipinto,nella struttura del trono. Di notevole interesse risultano infine tutti

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gli elementi decorativi che ornano l’opera e le raffigurazioni lateralicon Angeli.

Oggi la chiesa non è utilizzata per funzioni religiose ma come spazio permostre e attività culturali.

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Chiesa disan

Francescoin

Rovereto

La chiesa sorge a circa un Kmda Saltara, su una collina circondata da boschi di querce (roveri) edè raggiungibile dalla via Flaminia.La tradizione vuole che in questo luogo S.Francesco abbia fondato unconvento. Fu costruita nel 1215 ed è stata riedificata da MagisterMarcus nel 1434, come indica l’iscrizione sull’abside “MagisterMarcus fecit” in stile tardogotico.Il convento è uno dei più importanti delle Marche.Della originaria costruzione rimane oggi traccia nella cappella che siapre nel fianco sinistro della chiesa; il convento, che prese il postodelle vecchie case dei religiosi, come ricorda un documento del 1493,fu costruito sul finire del XV secolo da Maestro Bernardino e daMaestro Norberto.

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La chiesa come si presenta oggi è data dalla fusione della piccolachiesetta originaria con quella piùgrande costruita nel 1400 ad "aulatardogotica"; all'esterno la facciata,l'abside ed il fianco occidentale dellachiesa presentano un cornicionedecorato con una fascia di archettipensili in laterizio; il campanilequadrangolare è stato aggiuntosuccessivamente.L'interno della chiesa è stato restituito, da un recente restauro, allaoriginaria semplicità quattrocentesca ravvivata però da splendidiaffreschi.In particolare, si distingue l’affresco absidale raffigurante, nellospazio centrale, la Crocifissione con ai lati S. Giovanni e la Madonna,mentre in alto volano alcuni angeli e uno in particolare raccoglie in uncalice il sangue di Cristo; nei riquadri laterali a sinistra S. Pietro, S.Paolo e S. Mustiola, a destra S. Sebastiano, S. Francesco d’Assisi edil Beato Galeotto Roberto Malatesta, tutti opera di Giovanni AntonioBellinzoni.

Notevoli risultano anche gli elementidecorativi che separano i riquadri descritti,dove si può riconoscere anche il motivostilizzato della rosa quadripetale tipica deiMalatesta.Questi motivi decorativi, che separano lefigure dei santi, sembrano ricordare latipologia delpolittico;d’altra parte il

il pittore aveva realizzato unnotevole polittico per la chiesa diSan Ermete a Gabicce Monte, dicui rimangono dei frammenticonservati alla Pinacoteca Civica diPesaro raffiguranti i santi Nicola, Silvestro ed Ermete, databili tra

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il settimo e ottavo decennio del ‘400 e molto vicini da un punto divista stilistico agli affreschi di Saltara.Un altro affresco, collocato nel nucleo primitivo della chiesa, operadi Allegretto Nuzi, eseguito nella seconda metà del Trecento,rappresenta la Crocifissione con S. Francesco, in ginocchio, ai piedidella croce, insieme alla Vergine e S. Giovanni. Altri affreschi,attribuiti a pittori locali, sono stati ultimamente restaurati.Nell’edificio si possono osservare anche interessanti testimonianzedel periodo barocco, possono essere attribuiti infatti a quest’epocal'altare maggiore e la cantoria in legno dorato nella cappella laterale.

Ora il convento èstato restituito allavita monastica eattualmente ospitaun centro dispiritualità.

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Villa di San Martino oVilla del Balì

L’elegante Villa del Balì, sui collifra Saltara e Cartoceto, vide lesue origini nel XVII secolo edacquistò l’aspetto attuale nelSettecento. Per secoli fuproprietà della nobile famigliafanese dei Negusanti, che lausarono anche come osservatorioper lo studio della volta celeste.

Il museo che oggi ha sede nella villa si rifà a questa anticatradizione scientifica. La villa, ampliata e ristrutturata nel corso deisecoli, ha assunto il definitivo aspetto esterno, oggi visibile, nelXVIII secolo, quando è stata addossata alla facciata una scalinatadi accesso centrale, che le dona imponenza e sobrietà.Adiacente alla villa si trova la cappella dedicata a San Martino cheha una storia tutta sua, ma strettamente collegata con le alternevicende dell’edificio residenziale. La villa del Balì ha già nella suadenominazione qualcosa che incuriosisce, dal momento che Balì non ècerto un vocabolo di uso comune: con questo termine si indica ungrado specifico nellagerarchia di alcuni ordinicavallereschi. Uno deitardi proprietari dellavilla, il conte AntonioMarcolini, era Balìdell’ordine dei cavalieridi Santo Stefano, comealtri componenti dellasua famiglia. Da qui la denominazione della villa. In epoca romana ilcolle dove sorgono la chiesa di S. Martino e le case adiacenti eraconsacrato a Marte e infatti era presente un tempietto dedicato al

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dio stesso. Nel 1165 l’edificio fu donato ai canonici della cattedraledi Fano. In seguito divenne proprietà del conte Vincenzo Negusantiche fece costruire una vasta residenza di campagna adiacente allachiesa di San Martino, da lui stesso riedificata (1568) e alla qualeaggiunse quattro torri che utilizzava per i suoi studi di astronomia,traformando quindi la villa in un osservatorio astronomico.Sotto la Villa si può accedere a suggestivi sotterranei, che, in realtà,costituiscono una componente abbastanza tipica nelle ville e nelleresidenze di campagna della zona. Entrando dal retro della villa, allivello del seminterrato, si trovano alcuni ambienti che ancorapresentano i segni di un loro uso come cucine, dispense e magazzini.Procedendo verso il fronte della villa, si giunge in un ampio spazio incui si trova, sulla destra, una stretta e buia galleria sotterranea chesi estende sotto il prato antistante l’edificio. Immediatamente dopo,procedendo nella grotta, per tutta la sua estensione, si percepisce lasensazione di una forma particolare.Infatti la planimetria mostra, nell’insieme, l’immagine di una grandecroce latina asua volta compostada quattro crocipatriarcali.Il braccio lungodella croce terminain una criptaquadrangolare la cuivolta, a botte, èrivestita di mattonie è decorata daun’immagine dipintache rappresenta una croce rossa profilata di nero su fondo bianco.Il corridoio che porta alla cripta è in forte pendenza e in direzioneortogonale rispetto al braccio corto della croce latina, per cui taleambiente sotterraneo viene a trovarsi in corrispondenza del piazzaleantistante la gradinata esterna della villa.

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Dal tardo Seicento, la villa di San Martino cambiò nome in “Villa delBalì”. Più tardi, a partire dal 1852 fino al 1861, è stata di proprietàdei Gesuiti; con la soppressione degli Ordini religiosi imposta daldecreto Valerio, la villa passò al Collegio Convitto Nolfi fino al 1944,quando divenne proprietà del Comune di Fano.Oggi la Villa del Balì è concessa in comodato trentennale al Comunedi Saltara che ne ha fatto un museo della scienza, un progetto chevede finalmente coronato il sogno dell’astronomo conte VincenzoNegusanti.

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Chiesa dellaMadonna dellaVillaSulla strada secondaria che da Saltara porta aCartoceto sorge la chiesa della Madonna della Villa.

La sua costruzione, avvenuta nel 1790, fu affidata a tre architetti:la facciata a Cesare Selvelli, la gradinata ed il parapetto a ProsperoSelvelli, entrambi di Fano e l’interno ad un architetto di Senigallia.

L’edificio è un tempietto a pianta ottagonale, l’interno è scandito dacolonne decorate da ricchi capitelli. La facciata principale èrivestita in mattoni e presenta una serie di semicolonne in rilievo; alcentro, nella parte superiore, vi è una grande apertura a forma difinestra, che sovrasta il grande portale centrale con timpanotriangolare; sulla sinistra si eleva il campanile.

All’interno è conservato un dipinto su tavola rappresentante laMadonna del Rosario eseguito dal fanese Sebastiano Ceccarini insostituzione di una più antica immagine della Madonna del Rosario,ormai rovinata. Per questo motivo i rettori del piccolo santuariodecisero di commissionare un’opera con lo stesso soggetto al pittoredanese, intorno al 1760. Ceccarini per creare continuità conl’immagine precedente, decise di usare lo stesso supporto su tavolae, in secondo momento, ritagliò le figure.

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Egli raffigurò la Madonna nell’atto didonare il rosario ai fedeli che siinginocchiavano di fronte a lei. Il dipinto siinserisce pienamente nell’ambito dell’operadel pittore che riesce a rendere il temasacro intimo e umano.

Da notare, infine, il caratteristico organo acanne di anonimo marchigiano del ‘700,restaurato di recente e, lungo le pareti,quattro tele raffiguranti figure di Santi:San Luigi Gonzaga, San Pietro, SanGiuseppe e San Francesco. Sotto ognidipinto sono ricordate le famiglie saltaresiche contribuirono alle spese relative allarealizzazione di queste opere. QuestoSantuario era la sede della Confraternitadel Rosario.

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TERZA TAPPA

Usi, costumi,tradizioni eantichi

mestieri: “un viaggio

nel passato…”

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IlCappellaio

Il mestiere del cappellaio a Saltara è sicuramente più remoto diquanto attestano i documenti rinvenuti negli archivi.Il più antico atto in nostro possesso risale all’ 11 aprile del 1618 ecita un certo “ mastro Bastiano, già di Pierangelo della Bruna,cappellaio di Cartoceto, abitante a Saltara…” (archivio di Stato diFano, frammenti di filze b30 11 aprile 1618)Si tratta forse del primo cappellaio in Saltara ?Le nostre ricerche non ci permettono di dare a questa domanda unarisposta sicura.È comunque provata da documenti d’archivio la presenza di undiscreto numeri di cappellai nel paese alla fine del Settecento e neiprimi anni del Ottocento.Quella del cappellaio, a Saltara, resta, comunque anche negli annisuccessivi un’attività artigianale diffusa.Il cappellaio è proprietario della sua bottega, che spesso è anche lasua casa, collocata o sulla piazza o lungo le vie del centro del paese;qui lavora, conserva gli attrezzi della sua arte e vende i prodotti.

La manifattura dei cappelli da uomo a Saltara si distingue in duerami principali e diversi: quella dei cappelli di lana e quella deicappelli di pelo di coniglio o di lepre.Il cappello di lana è più richiesto perché dura più a lungo e costa dimeno; nel 1823 un capello di lana costava, secondo i documenti, 45baiocchi (moneta di rame dello stato pontificio equivalente a 5 cent.)e, nel 1911, 3 lire.Il cappello di pelo invece è più caro, è un cappello speciale, da grandioccasioni, per una clientela più esigente.

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Le tinte più richieste sono il grigio, il nero e il marrone in varietonalità; il cappello maschile d’uso prodotto a Saltara conservapressappoco la stessa forma, anche se, nel tempo, subisce alcunemodifiche per quanto riguarda la grandezza e l’altezza della calotta,la dimensione della falda, che poteva essere, a seconda dellarichiesta, larga, stretta, rococò, rivolta in alto, e la qualità delmateriale: fettuccia, cotone, raso o cuoio.

Dopo della scelta delle pelle migliori si passa alla disrognatura, perripulire il pelo dalla polvere e dalle impurità e quindi alla sbarbaturaossia all’eliminazione della peluria molle e corta.Il cappellaio effettua il segretaggio, strofina cioè le pelli con unaspazzola di cinghiale.La successiva feltrazione consiste in una serie di operazioni (taglio ostrappo dei peli, mischia, accordellamento o intrecciatura dei pelicon arco e arsone) e, formato un solo se ne fa un cono (cloche).In tempi più recenti, l’artigiano non provvede più personalmente allafeltrazione , ma si rifornisce di feltri trasformati in “cloche”,pressofabbriche sorte allo scopo a Montevarchi, Arezzo,Chiavari…., cheper ottenere feltri migliori mescolano il pelo di conigli italiani conquello di conigli australiani e francesi.Il cono , viene quindi sottoposto alla follatura, immergendolo in unacaldaia di acqua bollente perché abbia maggior consistenza.Si passa poi alla formatura introducendo a forza nel cono la formasostenuta dal dormiglione.Per la tintura dei cappelli vengono usati prodotti naturali (carminio,campeggio,verderame,tartaro di botte etc.); segue quindi la primalucidatura il cappello, irrobustito con un leggero passaggio di gommaarabica molto diluita, viene fatta asciugare al sole; con il “pilota”,tampone di stoffa inumidito e scaldato , viene lucidato dando al peloun verso circolare, e misurato con il misuratore.Si passa quindi alla bordatura, mediante la quale si fa prendere alcapello la forma desiderata, servendosi di un cordone e di unpassacordone o “voloir” e alla battitura della falda, bagnata con colladi tipo tedesco e aggiustata con le forbici.

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La falda viene quindi posata nel cavalletto perché prenda forma einfine stirata , protetta da un panno con ferro scaldato sul fornelloa carbone.Il “pilota” inumidito e scaldato , viene passato sul cappello per dareal pelo il verso definitivo e la giusta lucentezza.

Formatura: il cappello grezzoviene messo sulla forma

Aggiustamento della tesa conle forbici

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La rifinitura è la fase finale della manifattura del cappello econsiste nel foderarlo con tela cotonina bianca colorata o con raso,nel collocare il marocchino, striscia in cartone o pelle e nel guarnirlodel nastro di seta .

Stiratura della tesaprotetta da unpanno con ferroscaldato a carbone

Alcune fra le famiglie più importanti di cappellai sono: Agostani,Berardi , Berloni , Bonazzelli , Cappellacci , Castelletti , Ceccarelli ,Ciavarini , Ciacci , Curina , De angelis, Del Signore , Di Ambri, Fabbri, Fulvi , Mascarucci , Martinelli , Serrallegri , Tonelli , Verzolini ,Vitali.

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Il Cordaio

Il mestiere del cordaio era moltoimportante nel periodo che seguì laseconda guerra mondiale, quando,nella vallata del Metauro,l'attività principale era costituitadall'agricoltura.Questo perché un tempo i lavoriagricoli non venivano praticati conmezzi meccanici, bensì utilizzandobuoi e mucche che trainavanol'aratro, il carro e altri strumentiagricoli.Questi animali, infatti, venivanoattrezzati con gioghi e, perregolarne l'andatura, si utilizzavano delle corde che venivanocollegate agli animali mediante un anello (muraglia) in un puntosensibile, quello delle narici; in questo modo l'agricoltore potevafrenare o sollecitare i due buoi.

Le corde erano quindi unostrumento assolutamenteindispensabile al lavoro agricolo egli abitanti di Saltara sispecializzarono nella lorolavorazione.

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Fasi di lavorazione della corda e strumenti:per lavorare la corda, era innanzitutto necessario che il cordaioavesse a disposizione una certa quantità di canapa (=pianta erbacea).Questa pianta, una volta raggiunta la maturazione, veniva tagliata,legata a fasci e consegnata al cordaio.

A questo punto il cordaioportava la canapa vicino ad uncorso d'acqua e qui lalasciava macerare; poi,quando si era ammorbidita, labatteva con forza e quindi lametteva ad asciugare dietro ipagliai e la passava al

"canapino", attrezzo formato da tanti aghi metallici che serviva apettinarla.

La canapa era cosìtrasformata in filisottilissimi, che venivanouniti per ottenere un filo dicorda più grosso e compattoche si passava alla "granderuota"; al centro di questa sitrovavano, su di un lato, una

manovella (fatta girare da ragazzi in età scolare o da donne),sull'altro, invece, venivano applicate delle forme.A questo punto il cordaio faceva girare la ruota e la corda venivaallungata lungo un sentiero.Infine, all'estremità della corda, era applicato un uncino che era

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sistemato ai fianchi di un ragazzino, ilquale, allontanandosi pian piano dallaruota, formava una corda.La corda era quindi arrotolata ed erapronta per essere venduta.

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Il Fabbro

Un tempo, quando l’attività prevalente era l’agricoltura, ma non siusavano ancora mezzi meccanici per i lavori rurali, fra gli attrezzipiù utilizzati vi erano la falce per mietere il grano, la falce fienaiaper tagliare i vari tipi di foraggio, la zappa, per ripulire il campodall’erbacce, i vomeri e le lame triangolari applicate agli aratri, cheerano trainati da mucche o buoi e che servivano a rimuovere la

terra.

Di conseguenza, uno dei mestieripiù comuni del passato era quellodel fabbro, particolarmentediffuso anche qui a Saltara, dovel’agricoltura era uno dei settoriprincipali dell’economia almeno pertutta la prima metà del Novecento.Il fabbro, il più delle volte, doveva

modellare tutti gli attrezzi sopra citati: accendeva la forgia chealimentava con carbone e quandoquesto diventava incandescente, viappoggiava sopra l’attrezzo.Una volta arroventato modellava glistrumenti sull’incudine, con il martello.Il fabbro era anche in grado diproteggere gli zoccoli dei buoicostruendo ferri a forma dimezzaluna.Un altro compito del fabbro eral’affilamento di lame, forbici, coltelli;per questo accendeva la mola, ossiauna pietra, vi faceva scendere un po’

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d’acqua per ammorbidire le lame e poi precedeva nel suo lavoro diaffilatura.

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Il CalderaioFin dai tempi antichi ilcalderaio era un lavoropiuttosto diffuso nella nostrazona.A Calcinelli era presente unabottega appartenente allafamiglia Carletti.Gli attrezzi occorrenti perpraticare questo mestiereerano, oltre alla forgia, martelli in legno o metallo e forme in rame.

Le fasi per la lavorazione di un caldaio erano le seguenti:il caldaio veniva scaldato, quindilo si immergeva nell’acqua e lo silavorava con un martello alegno.Per renderlo più resistente sifaceva scorrere, ai lati e sulfondo, una borchia in metallo ela si batteva con un martellosempre in legno.Successivamente venivalucidato: lo si bagnava con acidoe successivamente lo si asciugavacon della segatura.

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I caldai, un tempo, venivano realizzatiin serie per risparmiare tempo.Una volta pronti erano portati allefiere.L’utilizzo era vario: scaldare acqua percuocere pasta e verdure, per farci lapolenta nei mesi invernali o anche,quando era di grosse dimensioni,scaldare l’acqua per l’uccisione del maiale.

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Il Gioco del braccialeIl gioco del bracciale ha appassionato i saltaresi fin dagli annitrenta del Novecento; il gioco si disputava fra due squadre che silanciavano reciprocamente la palla che doveva essere colpita conquesto particolare strumento in legnochiamato appunto bracciale.Il bracciale era costituito da un unicopezzo di legno a forma cilindrica,ricoperto da punte sempre di legno dettebigoli o becchi .La palla era formata da due parti: unaesterna, la corazza, formata da ottospicchi di pelle di vacca cuciti insieme, eduna interna, che non era altro che una camera d’aria.Saltara aveva la sua squadra, la quale si confrontava con quelle dipaesi vicini, ma anche con quelle di paesi più lontani come Faenza(Romagna).Quando si giocava “in casa” le partite si disputavano in uno spaziovicino alle mura chiamato “sferisterio”.Ogni squadra era formata da quattro giocatori:il battitore, la spalla,il terzino e il mandarino.Il battitore partiva daltrampolino (un piccolo pianoinclinato) con lo scopo diagevolare la rincorsa, mentre ilmandarino, che gli stava piùavanti, gli alzava la palla in modoche potesse colpirla al volo.Aveva così inizio la partita.I giocatori indossavano, di solito, pantaloncini bianchi alla zuava eduna camicia anch’essa bianca; in vita portavano una fascia colorata eai piedi calze bianche e scarpe da tennis.Dall’alto delle mura che delimitavano un lato del campo di gioco, isaltaresi seguivano i vari momenti della partita.

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Fasi di lavorazione del bracciale:

il legno viene suddiviso intante parti all’ altezza delbracciale, poi, con uncompasso, si traccia unacirconferenza, quindi si passaa tagliare con l’accetta laparte esterna allacirconferenza tracciata e,infine, il legno viene levigato.

Poi, con uno scarpellino o martello, l’artigiano ricava la parte internadel bracciale.Successivamente si prende uno scalpello che viene utilizzato pertracciare tante righe equidistanti, sopra le quali vengono effettuatitanti fori con una macchina bucatrice.Per costruire le punte del bracciale si prende un’asta di legno e conuna macchina si modella in modoche poi, tagliandola, siottengono tante punteacuminate che hanno una parteappuntita, ma anche una partesottostante che va ad inserirsinei fori fatti in precedenza.Infine, con la fase d’incastro ilbracciale si va a ricoprire dibigoli o becchi.Il bracciale, nella parte superiore, aveva un bullone di ottone cheserviva ad evitare che il bracciale di legno, quando strisciava sullaparete, si rovinasse.Dopo aver finito la fase di lavorazione l’artigiano rifinisce con loscalpello il bracciale per abbellirlo.

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Il Gioco del tamburelloUn gioco molto praticato a Saltara fin dalla metà del secolo scorsoera quello del tamburello.

Il gioco si disputava fra due squadre, ogni squadra era formata dacinque giocatori: due, i più alti, costituivano la spalla, uno, il piùpreparato, occupava la posizione centrale, e altridue, davanti, in prossimità della linea di divisionedel campo, fungevano da terzini. I due campi dagioco erano delimitati da linee bianche e al centronon erano suddivisi da una rete. I campi da giocoerano delle seguenti dimensioni: 70 X 40 cmper i ragazzi, 80 X 40 cm per gli adulti.La palla veniva lanciata da uno dei due giocatori,che costituivano la spalla, con un tamburello di forma ovalechiamato ”tamburella” e così aveva inizio la partita.

I primi tamburelli avevano il bordo in legno e il fondo in pelle, quindierano più delicati di quelli attuali.

Vinceva la partita la squadra cheraggiungeva per prima i 15 set, ma avolte, se le due squadre erano forti,la partita si protraeva anche perqualche ora e nel corso della partitaera partita era possibile fare deicambi.Le squadre di Saltara hanno sfidatoinizialmente le squadre dei Comunivicini come Lombaroccio, riportandoanche diversi successi, poi hannoaffrontato anche squadre di centripiù lontani come Treia, Ancona.

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Alcuni approfondimenti

Di seguito abbiamo inserito alcune schede di approfondimento cherimandano al testo principale dove sono state evidenziate in giallodelle parole chiave. Chi avrà ancora la pazienza e la curiosità diprocedere nella lettura potrà conoscere tante notizie in più.

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A caccia didraghi…

Come hai appena letto attorno a Saltara esisteun’antica leggenda che racconta di un dragoterribile che minacciava la città e i suoi abitanti.Le leggende sui draghi sono sempre molto affascinanti, ora più chemai, basti pensare ai numerosi libri per ragazzi, film d’animazioni efumetti che continuano ad uscire nelle sale e a venir pubblicati ognigiorno.Di certo per Saltara questa antica leggenda continuò a rimanerenegli animi, tanto che il drago compare anche nello stemma dellacittà.Ti proponiamo un piccolo gioco per allenare la tua memoria visiva:dopo aver fatto un giro per Saltara e aver visitato i monumenti cheti proponiamo nella guida, prova a ricordare dove hai visto i draghiche ti proponiamo nelle foto di seguito.Se non li hai riconosciuti tutti, niente paura, gira pagina e leggi ledidascalie.

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Didascalie

1 - torre della casa di giustizia (1444);

2 – Chiesa di San Piero in Celestino (1601), altare;

3 – fontana Via Mazzini(1868)

4 - portale municipio (1500/1600);

5 – cantoria Chiesa della Villa(1786);

6 – stemma portale municipio;

7 – stemma comunale;

8 – porta sul retro della chiesa di S.Piero Celestino (1602);

9 - gruppo draghi del giardino pensile.

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Borghi e CastelliNelle zone limitrofe a Saltara esistono numerosi borghi e castelliancora ben conservati; tra questi abbiamo scelto quelli che, secondonoi, sono forse i più interessanti da un punto di vista architettonico

MONDAVIOIl comune di Mondavio sorge su di un colle, a circa 20 km dal mareadriatico, da cui si può benissimo vedere il monte Catria ed ilNerone. Il paese si trova tra due fiumi marchigiani, a sinistra ilMetauro e a destra il Cesano, al centro delle rispettive vallate.La rocca di Mondavio,risalente probabilmenteagli anni compresi tra il1482 e il 1492, fucommissionata da Giovannidella Rovere, insieme adaltre rocche del ducato,all'architetto Francesco diGiorgio Martini. Nonavendo mai subito attacchiè ancora in ottimo stato. Il mastio ad otto facce domina la maestosafortezza e si collega ad un camminamento, protetto da untorrioncino, che porta ad una massiccia torre semi-circolare, unitacon un ponte al rivellino d'ingresso.Le forme sinuose dell'intero complesso fortificato, dalle altemuraglie che svettano al di sopra di un largo fossato, si sarebberoulteriormente accresciute se fosse stato edificato un'ulteriore

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torrione rotondeggiante, previsto sul versante occidentale e nonrealizzato.Gli ambienti interni corrispondono in gran parte alle struttureoriginarie. Nel mastio, gli spazi residenziali si trovavano al livellosuperiore dell'edificio, con gli alloggi del castellano e l'accesso allebocche da fuoco. Attualmente questi ambienti sono destinati a spaziespositivi e museali, tra cui una pregevole collezione di armature estrumenti di uso militare.

SAN LEOSan Leo conserva uno dei castelli più belli einteressanti tra quelli ancora conservati; ilForte, così viene chiamato, è consideratouna delle opere militari più imponentid’Italia, sia per la sua vastità, sia per la suaposizione davvero unica, sulla cima di unarupe. La storia particolarmente antica e

travagliata di San Leo fa pensare che inquesto stesso punto sia esistita un’operamilitare già dai tempi più remoti. Varicordato che San Leo è stata anchecapitale del Regno Italico di BerengarioII, il quale, dopo essere stato sconfitto aPavia, nel 961 d.C., da Ottone I diSassonia, si rifugiò proprio a San Leo,dove resse l'assedio per due anni prima dicedere all' avversario. Per tutto ilMedioevo San Leo continuò ad essere unaroccaforte molto ambita, ma il meritodell’ampliamento del castello, nonché di

tutte le strutture ancora visibili, deve attribuirsi all’architettoFrancesco di Giorgio Martini che, chiamato da Federico

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Montefeltro, duca di Urbino, cinse la rocca di enormi mura e diquattro torrioni, di cui oggi ne restano soltanto due.

A San Leo è inoltre ancora conservata una delle più antichi Pievid’Italia, un vero gioiello architettonico risalente al secolo IX, conuna tipica struttura preromanica, probabilmente sorta sul luogo doveSan leone costruì un primo sacello dedicato alla Madonna.

SASSOCORVAROLe origini del borgo di Sassocorvaro non si conoscono precisamente.Le prime fonti scritte in cui viene citato il Castello di MonteRotondo, sito in prossimità dell'attuale luogo ove sorge il paese,risalgono al 1061 e attestano la presenza di una fortezza conannessa una cappella dedicata a San Giovanni Battista.

Il suo centro continuò poi asvilupparsi nei secolisuccessivi, fino al 1200,epoca in cui il piccolo borgodi Castrum Saxi Corbari eraretto da una famiglia localefedele ai ghibellini.

Anche l'origine del suo nomenon è chiara e vi sonotuttora diverse ipotesi:secondo alcuni studiosipotrebbe derivare da "Sasso nido dei corvi", animali che tuttora siannidano sulla collina, secondo altri da "Corbarius", cavalieretemplare presunto fondatore del borgo, oppure dal termine latino

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"Corbis" che significa "Cesta", e ricorca la forma particolare dellasommità del colle.

La Rocca, opera dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini,costituisce il primo esempio di fortificazione studiato per opporsiagli attacchi con la terribile arma che si stava affermando semprepiù, la bombarda. La grandiosità della struttura e la possanza dellemura sono bilanciate dall’eleganza delle superfici curve checonferiscono alla rocca una forma del tutto innovativa e particolare,unica nel suo genere. All’interno s’impone il cortile d’onore, su cui siaffacciano le sale, una loggia e la rampa di scale elicoidale checonduce al piano superiore dove attualmente ha sede il Museo Civico.

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Francesco di Giorgio Martini(Siena, 1439 – Pesaro, 1477 ca)

Nella prima fase della sua produzione artistica, intorno al 1460,Francesco di Giorgio Martini si esercita soprattutto come pittore,fin quando, a partire dal novembre 1477 viene chiamato a vivere adUrbino presso la corte di Federico da Montefeltro, di cui divienefedele consigliere e dove viene impegnato soprattutto comearchitetto civile e militare, nella costruzione dei palazzi ducaliresidenze del Duca sia ad Urbino che a Gubbio e nella realizzazionedi numerose fortificazioni nei castelli del Ducato di Urbino. Duranteil periodo urbinate la sua fama crebbe molto e divenne così, nella suapoliedricità, una delle figure più importanti dell'arte ingegneristicaed architettonica rinascimentale.

Nel 1488, a causa delle cariche politiche e diplomatiche affidateglidalla Repubblica senese, torna nella sua città natale dove, nel 1499,viene nominato capomastro dell'Opera del Duomo di Siena.

Nel 1490 incontra a Milano Leonardo da Vinci in occasione di una suaconsulenza architettonica per l'erezione del tiburio del Duomo diMilano, commissionata da Ludovico Sforza. Nel maggio 1491 èimpegnato anche nel Napoletano e per il duca di Calabria adispezionare le fortezze locali. Nel 1500 torna nuovamente nelleMarche per un sopralluogo alla cupola della Basilica di Loreto chepresentava problemi di staticità.

Francesco si cimentò quindi in diversi ambiti artistici: pittura,architettura militare, architettura religiosa e civile, scultura eingegneria.

Tra le opere di architettura militare ricordiamo la rocca diMondavio, di San Leo, di Sassocorvaro, di Mondolfo, di Pergola.

Tra i palazzi da lui progettati vanno menzionati il Palazzo Ducale diUbino, di Gubbio, di Urbania e il Palazzo della Signoria di Jesi.

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Progettò anche diverse Chiese tra cui la Chiesa San Bernardino degliZoccolanti a Urbino.

Dipinse anche alcuni quadri, ora dispersi.

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Le ConfraterniteLe Confraternite sono associazioni pubbliche di fedeli finalizzateall'incremento del culto, ad opere di carità, di penitenza e dicatechesi.Si diffusero nel Medioevo allo scopo di preparare l’esistenzaultraterrena, anche se poi vennero coinvolte sempre più in attività dicarattere sociale e in risposta ai bisogni delle famiglie più povere.Fin dall’inizio i primi Confratelli e Consorelle si vestivano con rozzetuniche di lino o di juta, che erano le stoffe più comuni e poveredell'epoca; poi, quando definirono sempre più la propria funzionepubblica, scelsero un preciso abito confraternale che divenne unodei principali simboli identificativi. Cominciò presto l’usanza da partedelle famiglie più benestanti di lasciare a queste associazionicospicue eredità con l’obbligo di far celebrare delle messe disuffragio. Grazie a tali beneficenze le confraternite riuscirono amantenere e a volte anche a costruire chiese, a sostenere famigliepovere nell’espletamento di alcuni sacramenti e in generale a fareopere di carità. Queste associazioni locali di laici cattolici eranoriconosciute dai Vescovi, ma fondate e gestite in modo autonomo dailoro membri.A Saltara, già fin dal ‘500, come risulta daalcuni documenti, esistevano treConfraternite: ognuna di esse aveva una“divisa”, denominata Cappa, ed una sede inuna chiesa o in una cappella di una chiesa.

Stendardodella confraternita del Gonfalone

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Le prime tre Confraternite furono quelle:

del SS. CROCIFISSO con tunica bianca e manto rosso e con sede,dal 1649, nella chiesa del Gonfalone.

del ROSARIO con tunica bianca e manto giallo. La sua sede inizialeera nella chiesa di S. Pier Celestino, poi, dal 1792 nella chiesa dellaMadonna della Villa. Si riuniva ogni mese per la recita del SantoRosario

del SACRAMENTO con tunica bianca e manto azzurro ebbe sedenella chiesa della Madonna della Fonte o del Sacramento. Avevacome simbolo l’Ostensorio e si riuniva in occasioni di processioni enella terza domenica di ogni mese.

Più tardi presero vita altre Confraternite:nel ‘600 la CONFRATERNITA DEL SUFFRAGIO con tunica bianca emanto nero e con sede nella chiesa di S. Pier Celestino;

nel 1586 la CONFRATERNITA DEI CORDIGERI, compagnia volutad Sisto V, che aveva come simbolo penitenziale il cordoneFrancescano;

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infine il 16 maggio 1846 prese vita la CONFRATERNITADELL’ADDOLORATA o “Dei Dolori”, contunica nera e manto rosa e con sedenella chiesa di S. Pier Celestino: eral’unica Confraternita formata da soledonne ed era presente nelle processionie in occasione della morte di qualcuno.

Stendardo della Confraternitadell’Addolorata

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Celestino V

Celestino V viene ricordato come il Papa del gran rifiuto: nato aIsernia il 1215 ca., morto nel castello di Fumone nel 1296, divennePapa nel 1294, ma abdicò dopo soli cinque mesi di pontificato.Al secolo Pietro Angelieri o del Morrone (dal nome del monte pressoSulmona, dove fu a lungo eremita), divenne monaco Benedettinoall’età di 17 anni.Preferendo la vita solitaria, si ritirò sulle montagne abruzzesi, doveattirò numerosi fedeli che formarono il primo nucleo del suo ordineeremitico. Fondò verso il 1264 una congregazione di eremiti chiamatiin seguito “Celestini”, un ramo dei Benedettini.Fu eletto a Pontefice il 5 Luglio 1294, assunse il nome di Celestino Ve fu consacrato Papa il 29 agosto 1294 a l’Aquila.Tale nomina derivò essenzialmente dalla sua fama di santità, nonmeno che dall’influenza di Carlo d’Angiò.Infatti Celestino nominò subito alcuni napoletani alti uffici dellacuria, creò dodici nuovi cardinali di cui sette francesi e ai primi dinovembre si lasciò condurre a Napoli dove pose la sua residenza aCastelnuovo.Al principio dell’Avvento volle chiudersi in una cella e lasciare ilgoverno della Chiesa a Cardinali di sua fiducia.Ma la situazione era insostenibile. Le mire politiche di Carlo d’Angiò,favorite dal Cardinale Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII,dominavano la Curia e Celestino.Dopo una esperienza di 5 mesi, il 13 dicembre, lesse in Concistoro lasua rinuncia solenne al Papato.Il Caetani, forse non estraneo alle decisioni di Celestino V, ebbepartita vinta e dopo l’abdicazione di Celestino, fu eletto Papa il 23dicembre 1294 col nome di Bonifacio VIII.Dante Alighieri, nemico di Bonifacio VIII, colloca Celestino Vnell’Inferno nel girone degli “Ignavi” come colui “che fece perviltade il gran rifiuto”.

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Intanto Pietro, al quale era stato negato l’autorizzazione diritornare al suo eremo ed era costantemente controllato, fuggìsegretamente; lo inseguirono l’Abate di Montecassino ed ilCamerlengo di Bonifacio VIII, che lo raggiunsero a Vieste, sulGargano e lo riportarono ad Anagni nella residenza di BonifacioVIII. Qui lo rinchiusero con qualche discepolo nel castello diMontefumone presso Alatri. Pietro morì il 19 maggio 1296 a 87 anni.Clemente V lo canonizzò il 5 maggio 1313.I Celestini furono una congregazione di eremiti seguaci della regolabenedettina più rigida, fondata nel 1264 sotto Urbano IV da PietroAngelieri o da Morrone.Scopo dei Celestini era quello di restaurare l’ideale del monachesimocristiano delle origini.Essi si propagarono largamente in Italia ed in Francia dove ebberomonasteri assai ragguardevoli, come quelli dello Spirito Santo alMonte Maiella (che fu culla dell’ordine), di S. Eusebio in Roma, diSan Michele in Napoli, dell’Annunziata a Parigi.I Celestini ebbero le loro regole ben precise, scritte dallo stessofondatore e poi confermate da Bonifacio VIII, Clemente V ed altri.Indossavano una tunica bianca con scapolare e cappuccio nero.Erano obbligati a povertà strettissima e alla più rigida astinenza.Furono aboliti prima in Francia, durante la rivoluzione del 1789, daPapa Pio VI, poi in Italia, sotto Napoleone, fra il 1807 e il 1810.

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Federico Barocci e la sua scuola(Urbino 1535 - 1612)

Si tratta del più importante pittore marchigiano alla fine delRinascimento, caratterizzato, fin dalle prime opere, da unainconfondibile cifra stilistica, che influenzerà tutta la pitturaitaliana dell’epoca.Dopo un breve soggiorno a Roma, ospite del cardinale Giulio FeltrioDella Rovere, fratello del Duca di Urbino Guidobaldo II, Baroccitornò a Urbino, con la scusa di un presunto avvelenamento chenascondeva, in realtà, problemi di natura psicologica e da questomomento non si allontanò più dalla sua città natale. I dipinti diBarocci sono caratterizzati da una complessa costruzionedell’impaginazione spaziale delle figure che compongono l’immagine,le quali figure vengono però rese con una profonda umanità; tutti itemi trattati, anche quelli di carattere religioso, sono inseriti inun’atmosfera di domestica intimità. Un’altra caratteristica delpittore è la predilezione percolori accesi e cangianti.Fra le opere del pittorericordiamo l’Ultima Cena (1599)per il Duomo di Urbino, perchéuna replica della tela si trovaproprio qui a Saltara, nella chiesadi San Pier Celestino el’Annunciazione che realizzò perla Cappella dei Duchi nellaBasilica di Loreto. L’Ultima Cenaviene affrontata dal pittorecome una grande e complessa scena teatrale, con tanto discenografia sullo sfondo, sulla quale ogni personaggio compie un suospecifico movimento; ogni dettaglio è studiato in maniera minuziosae anche i colori vivaci e cangianti ricordano quelli di unarappresentazione teatrale. Per quanto riguarda invece

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l’Annunciazione, si tratta forse del dipinto più celebre di Barocci, disicuro il più replicato (quasi tutti i paesi, anche i più piccoli esperduti, delle Marche ne conservano una copia); si noti, sullosfondo, la presenza del Palazzo Ducale di Urbino con i due famosi

torricini. L’opera ebbe una vicendatravagliata: fu prelevata dalletruppe di Napoleone nellespoliazioni del 1797; poi, nel 1815 ilpapa, usando come intermediarioAntonio Canova riuscì a farsirestituire molte opere derubate e,tra queste, anche il dipinto inesame, che, però, una voltaraggiunta Roma, non venne piùrestituito e oggi si trova allaPinacoteca Vaticana.A Urbino, Barocci aprì unafiorente bottega di pittura chevenne frequentata da molti pittoridell’epoca, dando vita ad una vera e

propria scuola. Gli allievi studiando le opere del maestro, copiandolee riproducendole, anche con disegni e incisioni, contribuirono adiffondere lo stile di Barocci sia nel territorio marchigiano, che inquello italiano. Paradossalmente, pur non lasciando mai Urbino,Barocci fu uno dei pittori più copiati dell’epoca. Fra gli allievi diBarocci ricordiamo Antonio Visacci detto Cimatori, Andrea Urbani,Ventura Mazza, Alessandro Vitali, per citarne solo alcuni.Tutte le chiese del territorio conservano ancora opere che vengonoriferite appunto a Scuola Baroccesca e spesso, in mancanza didocumenti, risulta molto difficile distinguere la mano specifica di unallievo.

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San Sebastiano

Sebastiano nacque a Narbonne in Francia meridionale nel 256 circa emorì a Roma il 20 gennaio del 288.

Sebastiano, cresciuto e vissuto a Milano, fu subito indirizzato allafede cristiana, ma quando si trasferì a Roma, nel 270, doveintraprese la carriera militare, intorno al 283, dovette nasconderela sua fede cristiana agli imperatori Massimiano e Diocleziano, che lostimavano per la sua lealtà e intelligenza, tanto da promuoverlopersino a tribuno della prima coorte della guardia imperiale a Roma.Grazie alla sua funzione, poteva aiutare con discrezione i cristianiincarcerati, curare la sepoltura dei martiri e riuscire a convertiremilitari e nobili della corte, dove era stato introdotto da Castulo(anche lui probabilmente cristiano), domestico della famigliaimperiale, che poi morì martire. Sebastiano riuscì a far convertiremolti personaggi di un certo rango, come prefetti e nobili.Quando fu scoperto che molti cristiani si nascondevano tra ilpersonale del palazzo, tra cui anche Sebastiano, egli fu condannatoad essere trafitto dalle frecce: venne legato ad un palo in una zonadel colle Palatino chiamato ‘campus’ e venne colpito seminudo datante frecce; i soldati, credendolo ormai morto, lasciarono il suocorpo in pasto agli animali selvatici. Ma la nobile Irene, vedova diCastulo, andò a recuperarne il corpo per dargli degna sepoltura,secondo l’antica usanza dei cristiani, i quali sfidavano il pericolo purdi rispettare le proprie tradizioni.Irene si accorse che Sebastiano era ancora vivo, si occupò di lui e loaccudì fino a quando riuscì a guarire (proprio questo è l’episodiodipinto nella tela conservata nella chiesa di S. Pier Celestino diSaltara). Nonostante il consiglio degli amici di fuggire da Roma, egli,che cercava il martirio, decise di proclamare la sua fede davanti aDiocleziano e Massimiano. Diocleziano ei suoi prefetti ancora moltoscossi dalla ricomparsa del martire, ascoltarono i suoi rimproverisulla persecuzione dei cristiani e, infine, decisero di flagellarlo a

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morte; l’esecuzione avvenne nel 304 ca., il corpo fu gettato nellaCloaca Massima (il più grande condotto fognario del tempo),affinché i cristiani non potessero recuperarlo.L’abbandono dei corpi dei martiri senza sepoltura, era inteso daipagani come un castigo supremo, credendo così di poter trionfare suDio e privare loro della possibilità di una resurrezione. La tradizionedice che il martire apparve in sogno alla matrona Lucina, indicandoleil luogo dov’era approdato il cadavere e ordinandole di seppellirlo nelcimitero “ad Catacumbas” della Via Appia, oggi chiamate appunto diSan Sebastiano.La figura del martire diventò talmente popolare tra i pellegrini, chenel 680 gli si attribuì la fine di una grave pestilenza a Roma.Il santo venerato il 20 gennaio, è considerato il terzo patrono diRoma, dopo i due apostoli Pietro e Paolo. Le sue reliquie, sistemate inuna cripta sotto la basilica, furono divise durante il pontificato dipapa Eugenio II il quale ne mandò una parte alla chiesa di S.Medardo di Soissons (Francia settentrionale); Dopo parecchispostamenti da una chiesa all’altra, le reliquie del santo vengonotuttora venerate e si trovano nella Basilica dei Santi QuattroCoronati.San Sebastiano è considerato patrono degli arcieri e archibugieri,dei tappezzieri, dei fabbricanti di aghi e degli omosessuali, che lohanno scelto, di recente, per l’aspetto femminile ed elegante con ilquale è stato rappresentato nella storia dell’arte..Nell’arte antica S. Sebastiano fu raffigurato come anziano, uomomaturo con barba e senza barba, vestito da soldato romano o conlunghe vesti. Dal Rinascimento in poi diventò nell’arte l’equivalentedegli dei ed eroi greci celebrati per la loro bellezza come Adone oApollo, pittori e scultori cominciarono quindi a raffigurarlo come unbellissimo giovane nudo, legato ad un albero o colonna e trafittodalle frecce.E’ stato sempre invocato nelle epidemie, specie di peste, così diffusain Europa nei secoli addietro.Può essere riconosciuto grazie agli attributi iconografici quali lefrecce e la Palma del Martirio.

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Di seguito abbiamo inserito alcune interpretazioni del Santo diimportanti artisti; quella più facilmente raggiungibile è costituita dalbellissimo dipinto di Federico Barocci, conservato presso il Duomo diUrbino.

Marco PalmezzanoSan SebastianoBudapest

Federico BarocciMartirio di san SebastianoUrbino, Duomo

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Jusepe De RiberaS. Sebastiano,Dresda

Antonello da MessinaSan SebastianoNapoli

Paolo VeroneseMartirio di S. Sebastiano

(particolare)Venezia

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Giovanni Francesco Guerrieri(Fossombrone, 1589 – Pesaro, 1657)

Figlio di un notaio, di famiglia nobile, già all’età di diciassette anni, ilGuerrieri si era dedicato alla pittura, cominciando a copiare le operedi Federico Barocci; il suo vero apprendistato si svolse però a Roma,dove si recò nel 1606 e dove rimase per circa dodici anni (le notiziesulla biografia del pittore sono state tramandate dal canonicoVernerecci in Di tre artisti fossombronesi: G.F. Guerrieri, CamillaGuerrieri e GiuseppeDiamantini, Fossombrone 1892).A Roma Guerrieri fuprofondamente colpito dall’artedi Caravaggio, che studiò conattenzione e su cui si esercitò,come dimostra la copia cheeseguì della Deposizione diCristo, opera realizzata per lacittà marchigiana diSassoferrato, ora conservatapresso la chiesa di S. Marco aMilano. Il pittore cercòcomunque,dopo queste primeesercitazioni, di interpretarel’opera del maestro con unostile personale e ne offre unesempio notevole nel dipintocon La Maddalena penitente,ora conservata presso la Fondazione della Cassa di Risparmio diFano. Si tratta della prima opera firmata e datata del pittore, che, asoli 22 anni, nel 1611, decide di inviare a Fossombrone un dipinto,forse a dimostrare i suoi progressi nell’arte, una sorta di saggiodella propria acquisita abilità da mostrare ai suoi concittadini. Il

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dipinto è stato per molto tempo in una collezione privata diFossombrone, passato poi nel mercato antiquario, fu acquistato dallaFondazione nel 1993. Si tratta di un’opera notevole, sia nellaminuziosa cura dei dettagli, sia, soprattutto, nell’uso già sapientedella luce e del chiaroscuro, di evidente ispirazione caravaggesca,che nel passaggio dalle ombre dello sfondo alla diafana carnagionedella santa crea un effetto altamente suggestivo.Il pittore continuò per tutto il soggiorno romano ad inviare opere interritorio marchigiano, finchè poi, nel 1619, lasciò la capitale e tornòdefinitivamente a Fossombrone, dove eseguì importanti opere per laChiesa di San Filippo. Da non dimenticare, infine, i dipinti cherealizzò per la chiesa di San Pietro in Valle di Fano, ora presso laPinacoteca Civica della stessa città.

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Giovanni Antonio Bellinzoni(Pesaro, 1417 ca – Pesaro, 1477 ca)

Giovanni Antonio Bellinzoni nacque a Pesaro intorno al 1417 da Giliolodi Giovanni Bellinzoni, pittore di origine parmense giunto a Pesaroverso il 1410.Gli inizi artistici di Giovanni Antonio vanno collocati in relazione allacosiddetta “scuola della costa”, una scuola pittorica che, come dicela parola stessa, operava lungo tutta la costa marchigiana con trattie caratteristiche comuni. Le primetestimonianze che riguardano ilpittore lo ricordano a Fano, nel 1437,accanto al padre, pittore al serviziodi Malatesta Novello, e ad Ancona,nel 1441, per eseguire degliaffreschi, tutti ormai perdutiLe opere più antiche rimaste diGiovanni Antonio, oltre alle Storie diSan Biagio (Roma, Museo di PalazzoVenezia e collezione privata), sonoproprio gli affreschi in SanFrancesco di Rovereto a Saltara,eseguiti con tutta probabilità nonlontano dal 1432, anno di morte delbeato Galeotto Roberto Malatesta, che vi è rappresentato. Le figurehanno una espressività che li accomuna per alcuni aspetti ad AntonioAlberti e denotano una decisa adesione alla pittura dei più famosiPietro di Domenico da Montepulciano e di Giacomo di Nicola daRecanati, ai quali il nostro non ha nulla da invidiare, ma anzi rivelauna maestria nell’uso dei colori e nella precisione dei trattidecisamente notevoli, come segnalò Federico Zeri quando, per primo,scoprì il valore del pittore.

Madonna in trono con BambinoAffresco staccato;cm 162,5x144,3Fano, Pinacoteca Civica

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Un pittore molto vicino ad Antonio, forse lui stesso, comesostengono alcuni studiosi, eseguì un’altra serie di affreschi semprea Saltara, nella chiesa di San Pier Celestino, di cui due interessantiframmenti sono conservati presso la Pinacoteca Civica di Fano. Iframmenti raffigurano Una Madonna in trono con il Bambino e una

Santa Barbara e mostrano alcunecaratteristiche stilistiche che possonoessere ricondotte alla primaproduzione di Giovanni Antonio incollaborazione con il padre GilioloBellinzoni.

In particolare si notino i tratti del volto, la forma degli occhi dallosguardo obliquo e le tipiche lumeggiature che risultano quasi unafirma del pittore. Vanno inoltre osservati i motivi decorativi a nastrie racemi che incorniciano le figure e che risultano molto simili aquelli che ornano gli affreschi di San Francesco.Il pittore è autore, inoltre, della cosiddetta Madonna dell’Argillaconservata nella chiesa di Santa Maria dell’Arzilla a Pesaro; sotto ildipinto si legge: “Anno Domini 1462 die VIII Decembris hancpicturam Mariae Misericordiae fecit fieri Comunitas Candelariae”.In fondo al quadro si vede il nome del pittore: “Johannes AntoniusPisaurensis Pinxit. Ave Maria”.La pittura risulta di buona fattura.Altre opere riferibili all’artista si trovano nella controfacciata enella parete sinistra della chiesa di San Esuperanzio a Cingoli, dovegli angeli della Madonna di Loreto trovano un'eco e una somiglianzacon quelli delle opere di Saltara.Le fisionomie che distinguono queste opere, l'espressività un po'arcigna, gli occhi grandi e dilatati ricordano ancora le più anticheopere di Jacobello del Fiore e di Nicolò di Pietro; quest’ultimo, inparticolare, aveva lasciato, a Pesaro, un polittico di destinazione

Santa BarbaraAffresco staccato; cm 162x123,5Fano, Pinacoteca Civica

Fano, Pinacoteca Civica

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agostiniana nel corso del secondo decennio del Quattrocento conStorie di San Biagio e di San Paolo (Pesaro, Museo Civico), al quale,di sicuro, Giovanni Antonio si ispirò, come dimostrano leelegantissime figure di Santi, eseguite attorno al 1448, per la cittàdi Pesaro e conservate presso la Pinacoteca della stessa città.Si tratta di opere molto raffinate, dalla stesura pittorica morbida eprecisa, segno di caratteristiche espressive che ricorrono in quasiun cinquantennio di attività; un percorso che dovette chiudersi nonmolto prima del 18 maggio 1478, quando un tale Corradino chiede diriscuotere un suo credito presso gli eredi del pittore, sintomo diquanto recente fosse stata la scomparsa di quest'ultimo.

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S.Terenzio San Nicola, San Silvestro e Sant’ ErmeteTempera su tavola, Tempera su tavola, cm 86 x 71 a cm 174x94 ciascunPesaro, Pinacoteca Civica Pesaro, Pinacoteca Civica

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Sebastiano Ceccarini(Fano, 1703 – 1783)

La produzione pittorica di questo pittore è quasi tutta rivolta versola città di Fano dalla famosa tela giovanile (1726), con La Madonna ei quattro Santi protettori di Fano (Paterniano, Orso, Fortunato;Eusebio) conservata presso la Pinacoteca Civica della città stessa,fino ai più tardi ritratti di illustri personaggi fanesi. Egli ritrasse inpratica tutti i componenti delle famiglie nobili di Fano (Mariotti,Rinalducci, Gabuccini, Alavolini ecc.) e questa attività gli diedeun’ampia fama e gli consentì di mantenere fino alla morte unafiorente bottega.

Ritratto del Marchese Ritratto della ContessaGian Ottavio Gabuccini Maddalena Ferretti GabucciniFano, Pinacoteca Civica Fano, Pinacoteca Civica

Egli fu allievo di Francesco Mancini da Sant’Angelo in Vado eapprese da tale maestro una propensione per una pittura dal gustoclassico e intimo al tempo stesso; i temi trattati, da quelli dicarattere religioso a quelli profani, come appunto i ritratti, vengonosvolti cogliendo l’aspetto più umano del soggetto.

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A tal proposito abbiamo scelto un bel dipinto raffigurante LaMadonna col Bambino e San Rocco in adorazione, conservato pressola Pinacoteca Civica di Fano, frutto della collaborazione di maestro eallievo. Vanno riferiti a Mancini la figura di San Rocco, mentre aCeccarini gli altri elementi; si notino, in particolare, i dettagli delcane e del pezzo di pane appoggiato sul gradino, elementi piuttostoinusuali in un soggetto sacro come questo, un’Adorazione, ma cherendono l’immagine più intima, più quotidiana. Va inoltre ricordatoche Ceccarini realizzò anche diversi dipinti con il soggetto dellaNatura Morta, genere molto di moda all’epoca.Dopo alcuni viaggi giovanili,seguendo il maestro nelle suecommissioni, e un’inevitabilesoggiorno di formazioneromano, imprescindibile perun giovane pittore dell’epoca,Ceccarini rimase sempre aFano, dove morì nel 1783.