Nihon Libro Secondo Di Giuseppe Bissanti

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Giuseppe Bissanti Stampato in proprio Prima edizione, giugno 2002 Libro secondo : : G G I I A A P P P P O O N N E E antico e feudale Piccolo Dizionario Enciclopedico Armi, Arti e Discipline Marziali Storia, Cultura, Personaggi Chiara come il cristallo, affilata e luminosa, la mia mente non offre aperture perché il male possa attaccarsi. Ueshiba Morihei - Aiki Kaiso Nel Libro Primo: Notizie utili sulla pratica dell’Aikido

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Giuseppe Bissanti

Stampato in proprio Prima edizione, giugno 2002

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Chiara come il cristallo, affilata e luminosa, la mia mente non offre aperture perché il male possa attaccarsi.

Ueshiba Morihei - Aiki Kaiso

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IINNDDIICCEE LIBRO PRIMO – Notizie utili sull’Aikido

PIANO DELL’OPERA 2 INDICE 3 PREFAZIONE 4 AIKIDO 4 PRIMA DI COMINCIARE 5

Cuore, Amore, Aikido 6 Nota Bene Pronuncia 6

GLOSSARIO 7 Nota Etichetta e comportamento: il Dojo 7

In palestra 7 Etichetta e comportamento: l’abbigliamento 7

Equipaggiamento 8 Etichetta e comportamento: sedersi, alzarsi Etichetta e comportamento: il saluto (senz’armi) 8 Etichetta e comportamento: la lezione 9

Esercizi di preparazione 9 Gli esercizi di preparazione 10

Parti del corpo 10 Posizioni Aggettivi Numeri Colori 11 Concetti primari 12

Unione 12 Altri termini tecnici 12

La pratica, la tecnica 13 I Maestri e gli Aiutanti. I principi del Bujutsu 13 Concetti interiori dell’Aikido 14

TERMINOLOGIA 15 Elenco delle principali NEUTRALIZZAZIONI 16 Elenco delle principali APPLICAZIONI delle neutralizzazioni 17 Elenco delle principali AZIONI AGGRESSIVE 17

Le cadute, le tecniche 18 Essere Aikido: la pratica serena e i tre mondi 19

IL METODO D’ALLENAMENTO 21 Considerazioni sul KI 21 Il cammino, il viaggio, il Maestro 22 I quattro metodi di allenamento 23

ESAMI 24 I requisiti per gli esami 24 Etichetta e comportamento: durante gli esami 27 Cerca il Costruttore 28

LIBRO SECONDO – Piccolo Dizionario Enciclopedico sul Giappone Antico e Feudale

INDICE 2 PICCOLO DIZIONARIO ENCICLOPEDICO – 1^ parte 3

Cronologia, periodi storici del Giappone, fatti importanti 3 Antiche arti da guerra 8 Tabelle comparative per misure e monete (dal secolo XII al XVI) 9 Note per la consultazione 10

LEMMI dalla lettera A 10 LEMMI dalla lettera M 102 PICCOLO DIZIONARIO ENCICLOPEDICO – 2^ PARTE (per approfondire un poco di più) 193

La Vita L’Artista L’Aikido 225 Bibliografia 226

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PPIICCCCOOLLOO DDIIZZIIOONNAARRIIOO EENNCCIICCLLOOPPEEDDIICCOO Cronologia, periodi storici del Giappone, fatti importanti

a) Preistoria e Protostoria

Periodo JOMON ~ 7500-300 a.C.

Cultura nomade, basata su caccia (paleolitico e mesolitico). Cerami-che con impressioni a corda; figurine in terracotta (neolitico).

660 a.C. Il giorno 11 febbraio, per la mitologia, è fondato l’Impero giapponese nello Yamato, per opera di Jimmu Tenno, discendente della dea del sole, Ama-terasu-oho-mi-kami.

Periodo YAYOI ~ 300 a.C.-300 d.C.

Età degli antichi Clan (uji); titoli ereditari. Economia agricola, riso. Lavorazioni di bronzo e ferro: grandi campane. Lavorazione della ce-ramica usando la tecnica della ruota.

57 d.c. Prima ambasceria alla Corte cinese (Dinastia Han orientale) degli isolani di Nu. Le tribù Yamato invadono il Giappone occidentale. Il Clan Mikoto evolve in regno.

Periodo KOFUN IV-VII secolo Tombe megalitiche. Statuine (Haniwa) di varie forme.

Armi di ferro (tra cui spade tsurugi) e statuine di guerrieri vengono sepolte nelle tombe. ~ 360 L’imperatrice Jingo, secondo la tradizione, guida un’invasione della Corea. ~ 450

Introduzione della scrittura cinese dalla Corea.

b) Storia

Periodo ASUKA 525-645 Influenza cino-coreana e introduzione del Buddismo. Riforma Taika.

538 Prima introduzione del Buddismo, favorito dal Clan Soga. Il re coreano Syongmyong invia all’Imperatore Senka Tenno i “Tre Tesori”, simboli del Buddismo: monaci, una selezione di scritti dottrinali (sutra), una statua di Sakyamuni. In Corea nasce e si espande il regno di Silla: il potere giapponese si attenua.

585 Scoppiano disordini all’inaugurazione della pagoda di Toyoura; provvedimenti contro il Buddi-smo, che può essere praticato solo privatamente.

587 Gli antibuddisti dei Clan Mononobe e Nakatomi sono sconfitti; inizia, con l’aiuto coreano, la costruzione del tempio Hokoji (terminato nel 596).

594 Il Buddismo è proclamato religione di stato. 604 È adottato il calendario cinese. 607 Prima ambasceria in Cina. 645 Riforma Taika: per consolidare il potere centrale (sul modello cinese), tutte le terre diventano

di proprietà dell’Imperatore, che le distribuisce alle famiglie in base al numero dei loro membri.

Periodo NARA 645-794 Prima capitale. Influenza cinese, Dinastia Tang.

663 In Corea Silla, con l’appoggio della Dinastia cinese Tang, sconfigge i guerrieri giapponesi ed annienta l’alleato Paekche. I Coreani usano magistralmente la lancia.

672 Temmu usurpa il trono imperiale. 702 È promulgato il Codice Tahito. 710 È costruita, sul modello della capitale cinese Chang’an (Xi’an) la prima capitale imperiale, Na-

ra. La burocrazia s’ispira al modello cinese. 712/720 Compilazione di cronache (Nihongi), gazzette (Fudoki) ed annali ufficiali (Kojiki).

740 Fujiwara Hirotsugu si ribella contro l’influenza esercitata a Corte del monaco Gembo. 764 Fujiwara Nakamaro è sconfitto ed il potere torna all’imperatrice Koken (Shotoku). L’abate Do-

kyo è nominato primo ministro. 784 La capitale è trasferita a Nagaoka. 794 La capitale è trasferita a Heian-kyo (Kyoto), appena fondata.

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Periodo HEIAN 794-1156 Età dei Nobili di Corte (Kuge, 794-1156). Seconda capitale. Sette esoteriche Tendai e Shingon. Cultura Fujiwara. “Imperatori in ritiro”.

801 Tamuramaro Sakanoue sottomette le tribù indigene del nord (Ainu). Il potere imperiale decade. I capi del Clan Fujiwara si affermano come reggenti (sessho) e dit-tatori civili (kampaku).

833/967 Disordini, intrighi, lotte e rivolte: coinvolti imperatori, reggenti e dittatori. 858 Instaurata la Reggenza a Fujiwara (Reggenti Fujiwara: 890-1185). 935 Insurrezione di Taira Masakado (giustiziato nel 940) nelle Province orientali.

XI sec. Guerre nelle Province del Nord e dell’Est; Taira e Minamoto hanno la supremazia sulle casate guerriere. Nascono i “governi claustrali”: i sovrani abdicatari (joko) od entrati negli ordini mo-nastici (ho), dai loro ritiri influenzano gli affari pubblici.

1051/62 Prima Guerra dei 9 Anni. I Minamoto eliminano il Clan Abe dal settentrione dell’isola Honshu. 1083/87 Guerra dei Tre Anni: Minamoto Yoshiie elimina il Clan Kiyowara dal settentrione dell’isola Hon-

shu. 1086 La Dinastia imperiale, di fatto, è esautorata (età degli “Imperatori in ritiro”). 1095 I monaci guerrieri (Yamabushi) del Monte Hiei discendono una prima volta a Kyoto.

Periodo ROKUHARA 1156-1185 Dominio del Clan Taira. Età dei Baroni feudali e della Nobiltà militare (Buke): si protrae fino al 1868.

1156 Taira Kiyomori, aristocratico provinciale, assume il controllo del governo civile. Insurrezione Hogen a Kyoto.

1156/58 Guerra di Hogen. Taira Kiyomori annienta molti capi del Clan Minamoto. 1159/60 Insurrezione di Heiji a Kyoto e guerra. Supremazia assoluta dei Taira.

1170 Primo seppuku documentato. 1180/85 Guerra Gempei tra Minamoto e Taira. Il Clan Taira, alla fine, è annientato.

1181 Muore Taira Kiyomori. 1184 Distruzione dei Taira a Dannoura.

Periodo KAMAKURA (prefeudale)

1185-1333 Primo shogunato. I reggenti Hojo. Introduzione del Buddismo Zen e influenza Dinastia cinese Song. Invasioni mongole.

1192 Minamoto-no Yoritomo si proclama Shogun; inizia lo shogunato (Bakufu) di Kamakura: il Governo militare convive con quello civile, formato dai cortigiani di Kyoto.

1205 Si afferma il Clan Hojo. 1210-1333 Supremazia dei reggenti (shikken) Hojo a Kamakura.

1215 Dalla Cina arrivano il tè ed il Buddismo Zen. 1232 È pubblicato il Joei Shikimoku, legge fondamentale del Paese. 1274 Prima tentata invasione mongola. Si distinguono gli arcieri di Kamakura. 1281 Seconda tentata invasione mongola, fallita grazie al “vento divino” (kamikaze), che scom-

pagina la flotta, ed al micidiale uso della naginata da parte dei Bushi contro la superstite cavalleria mongola.

1331/36 Guerra di Genko. L’Imperatore Go-Daigo tenta di governare direttamente.

Periodo ASHIKAGA (include, in parte, quello Muromachi)

1336-1568 Inizia l’era feudale: i capi dei Clan si liberano dalla tutela del potere centrale, cui devono un vassallaggio nominale. Secondo shoguna-to: gli Shogun Ashikaga. Le Due Corti.

1333 Declino degli Hojo; cade Kamakura. 1336/92 Fine della reggenza Hojo. Go-Daigo fugge a Yoshino ed un rivale occupa il trono a Kyoto,

protetto da Ashikaga Takauji, ribellatosi al legittimo sovrano. Tra la Corte del Sud (Yoshino) e

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la Corte del Nord (Kyoto) c’è guerra civile (guerra Nambokucho). 1338 Ashikaga Takauji (1308-1358) diventa Shogun, a Muromachi, Kyoto. 1339 Sono pubblicati gli Jinno Shoto-ki, “Documenti della successione legittima dei sovrani divini”.

1365/72 I Clan guerrieri si combattono nell’isola di Kyushu. 1392 Le due corti sono riunificate a Kyoto.

Periodo MUROMACHI 1392-1573 Splendore culturale. Le armi da fuoco. Il Cristianesimo.

1467/77 Guerre di Onin; lotte continue in tutto il Paese (continuano fino al 1568). 1485 Insurrezione contadina nella provincia di Yamashino. 1543 Contatti con navigatori Portoghesi. Introduzione delle armi da fuoco. 1545 Arrivano i primi missionari cristiani (gesuiti portoghesi) e si diffonde il Cristianesimo.

1549/51 Apostolato di san Francesco Saverio. 1568 Oda Nobunaga occupa Kyoto, elimina i Clan avversari, distrugge i templi buddisti. 1573 Oda Nobunaga depone Yoshiaki, ultimo Shogun Ashikaga, annientando il Clan, e lotta per ri-

pristinare l’autorità dell’Imperatore. Fino al 1603 non ci sono altri Shogun.

Periodo MOMOYAMA 1573-1603 “Periodo del Paese in Guerra” (sengoku jidai). I grandi condottieri e i dittatori. Unificazione nazionale. Repressione dei cristiani. I ca-stelli.

1582/98 Supremazia di Toyotomi Hideyoshi, che centralizza il potere. Nasce il catasto delle terre. 1583 Muore Oda Nobunaga 1585 Tre Daimyo convertiti al Cristianesimo (nel 1580, in Giappone, ci sono circa 150.000 credenti,

saliti al doppio nel 1600) inviano loro emissari a rendere omaggio a Papa Gregorio XIII; i primi giapponesi in Italia destano grande impressione e poca simpatia.

1587 Contrasti fra missionari gesuiti (portoghesi) e francescani (spagnoli) forniscono il pretesto per l’interdizione alla loro opera (del Cristianesimo si dice che “è come l’amore ostinato di una donna brutta”).

1588 Toyotomi Hideyoshi disarma i Giapponesi – ad eccezione dei Bushi – ed unifica il Paese. 1592 Toyotomi Hideyoshi invade la Corea per la prima volta. 1596 36 missionari francescani sono crocefissi; repressione del Cristianesimo. 1597 Seconda invasione della Corea. 1598 Muore Toyotomi Hideyoshi; cessa la repressione contro i cristiani. 1600 Tokugawa Ieyasu, aiutato dai Fudai-Daimyo, i “Signori dell’interno”, sconfigge a Sekigahara

una coalizione d’altri Clan. I Toyotomi sono annientati. 1603 Ieyasu è nominato Shogun ed inizia lo shogunato Tokugawa a Edo, odierna Tokyo.

Periodo EDO 1603-1868 Terzo shogunato: gli Shogun Tokugawa. La nuova capitale. La lunga pace. Il Paese si chiude su se stesso e agli stranieri.

1614 Espulsi tutti i missionari, è messo al bando il Cristianesimo, dottrina risultata incompatibile con lo spirito Shinto.

1615 Battaglia del Castello di Osaka, roccaforte del Clan Toyotomi; il Castello è distrutto. Tokugawa Ieyasu promulga i Buke-sho hatto (Leggi delle Case Militari).

1622 Sono messi a morte oltre cento cristiani, fra cui molti preti stranieri. 1624 Gli Spagnoli sono espulsi dal Paese.

1633/36 Regolamenti per il controllo delle classi sociali ed instaurare una severa politica d’isolamento. Il Paese è chiuso al resto del mondo, tranne limitati commerci a Nagasaki con mercanti olan-desi e cinesi. Il Governatore di Nagasaki deve applicare i tre articoli di un decreto shogunale: 1) nessun vascello senza regolare licenza può lasciare il Giappone; 2) nessun suddito giappo-nese può lasciare il territorio nazionale per recarsi in un paese straniero; 3) i giapponesi che ri-

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torneranno in patria saranno giustiziati. 1637/38 Ribellione di Shimabara. Migliaia di contadini e ronin che si oppongono alla tirannia, unita-

mente a molti cristiani, si ritirano nel Castello di Hara, penisola di Shimabara, dove resistono parecchie settimane ai samurai Tokugawa, nonostante questi usino navi olandesi per bom-bardamenti dal mare.

1638 37.000 cattolici sono uccisi a Nagasaki. 1639 I Portoghesi sono espulsi dal Paese. Tutti i porti sono chiusi agli stranieri, tranne Nagasaki

per cinesi e olandesi. 1640 Tutti gli stranieri sono espulsi dal Paese, tranne una piccola Compagnia olandese. 1649 L’intero Paese, in pratica, è isolato e “congelato”: nelle classi alte domina lo spirito repressivo,

in quelle basse la paura, su tutti pesa il potere shogunale, che monopolizza il commercio este-ro e ricopre con lo sfarzo la grettezza interiore.

1657 Compilazione delle “Cronache Nazionali” (Dainihon-shi). 1670 Compilazione della “Storia Generale del nostro Stato” (Honcho Tsugan).

1701/2 Saga dei “Quarantasette Ronin”. 1716/51 Lo Shogun Tokugawa Yoshimune tenta riforme sociali e fiscali. 1732/86 Periodo di grandi carestie, difficoltà economiche, catastrofi naturali e disordini sociali. Lo Shin-

to rinasce e si favorisce il ritorno al culto del Tenno. 1772/76 Fallisce la politica riformista del ministro Tanuma Okitsugo.

1787 Tentativi di riforme fiscali e sociali. 1790 È soppressa ogni traccia di cultura eterodossa. 1791 Compaiono, al largo delle coste, vascelli da guerra americani e russi. 1804 Russia e America avanzano richieste per la riapertura dei porti. 1837 Carestia, gravi disordini interni, rivolte per il riso. 1853 Il Commodoro Perry (marina da guerra degli Stati Uniti d’America) entra per la prima volta nel-

la baia di Tokyo, dopo averla forzata. 1858 Il governo shogunale stipula i cosiddetti “Trattati Commerciali Ineguali”, che favoriscono le pre-

tese degli Occidentali. 1867 Si dimette l’ultimo Shogun Tokugawa, Yoshinobu: il potere amministrativo torna all’Imperatore.

1867/68 Restaurazione del potere imperiale; l’Imperatore Mutsuhito (nato nel 1852 e salito al trono il 31/1/1867), porta la capitale da Kyoto a Edo, ribattezzata Tokyo e installa un governo di nuovo tipo, chiamato Meiji (“Governo Illuminato”).

Periodo CONTEMPORANEO 1868-oggi.

Era Meiji 1868-1912 Le riforme e la modernizzazione. Le oligarchie e l’espansionismo.

1868/70 La carica di Shogun e le istituzioni feudali sono abolite. È formato un esercito di leva e si introducono le tecnologie occidentali.

1869 È di nuovo legalizzato il Cristianesimo e sono scoperti piccoli gruppi di “cristiani nascosti”. 1871 Sono aboliti gli han (i domini individuali dei Daimyo), rimpiazzati dalle Prefetture, dipendenti

dal Governo centrale. Per i samurai è reso facoltativo il porto della spada. 1872 Il Buddismo è ufficialmente riconosciuto di pari importanza rispetto allo Scintoismo.

Entra in funzione la prima linea ferroviaria, da Tokyo a Yokohama. 1873 È varata la coscrizione obbligatoria: iscritti i maschi di vent’anni (esclusi eredi, funzionari e

alcuni professionisti), che devono prestare servizio militare attivo per tre anni, più sei nella riserva.

1874 L’ex vice Ministro all’Educazione, Eto Shimpei, per protesta contro la politica governativa in Corea organizza una sommossa nell’isola di Kyushu, alla testa di 2.000 samurai. Sconfitto, fugge nella provincia di Kagoshima e si unisce a Saigo Takamori, già Maresciallo di campo dell’Imperatore e sostenitore dell’ideale di un esercito formato da soli samurai.

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1876 È proibito a tutti, militari esclusi, di portare armi, di qualsiasi tipo. I samurai sono ufficial-mente privati del simbolo della propria esistenza: la spada. A Kamamoto 200 di loro, orga-nizzati nella “Lega Kami-Kaze”, assaltano la guarnigione imperiale armati proprio solo di spade: quelli che non restano uccisi dal fuoco dei difensori si suicidano.

1877 Insurrezione di Satsuma. Saigo Takamori (1827-1877) si ribella al Governo e guida 9.000 uomini – 7.000 dei quali samurai, allievi delle scuole private d’Arti Marziali da lui organizza-te nella penisola di Satsuma, nel sud di Kyushu – contro le truppe dell’armata imperiale, formata da “contadini-coscritti”. I ribelli utilizzano anche armi da fuoco e artiglieria, ma so-no sconfitti. Saigo, ultimo samurai, compie seppuku.

1889 È promulgata una Costituzione simile a quella tedesca. Le Famiglie aristocratiche si orga-nizzano in Corporazioni ed il Giappone cerca di acquisire nuovi mercati, anche attraverso l’espansionismo militare.

1894/1905 Guerre d’espansione contro: Cina (1894-95, è occupata Taiwan), Russia (1904-5, è occu-pata la Manciuria meridionale) e Corea (occupata nel 1905; dal 1910 è colonia).

1912 Muore l’Imperatore Mutsuhito, che ha riformato e modernizzato il Giappone, amico delle ar-ti e poeta. Suo erede è Yoshihito, malato, sotto la reggenza del principe ereditario Hirohito.

Era Taisho 1913-1926 Occidentalizzazione accelerata; l’imperialismo.

1914/18 Il 15 agosto 1914 il Tenno, alleato della Gran Bretagna, dichiara guerra alla Germania: la 1^ Guerra Mondiale (1 agosto 1914-11 novembre 1918, “Triplice Intesa” contro “Imperi Centrali”) coinvolge l’Estremo Oriente. Il Giappone conquista il protettorato tedesco in Cina, dalla quale ottiene concessioni politiche e commerciali notevoli.

Era Showa 1926-1989 Le riforme. La “Grande Asia”, l’imperialismo e i conflitti.

1926 Sale al trono l’Imperatore Hirohito, reggente già dal 1912. Governerà per 63 anni. 1929 La “Grande Crisi” economica mondiale provoca una nuova ondata espansionista. 1931 Prende avvio un impressionante programma di riarmo, terrestre e, soprattutto, navale. 1932 In Manciuria è costituito uno stato satellite (Manciukuo) e non vengono resi i territori ex ger-

manici ricevuti in mandato. Il Giappone esce dalla Società delle Nazioni e adotta ufficialmente il nome di Nihon (o Nippon), lettura giapponese del termine cinese Jihpûn, abbreviazione di Jihpûnkuo: paese (kuo) del sole (jin) levante (pûn).

1936 È firmato il “Patto anti-Comintern” con la Germania, in funzione antisovietica. 1937 È invasa e largamente conquistata la Cina.

1941/42 A Pearl Harbor, il 7 dicembre ‘41, la flotta USA è quasi completamente distrutta da un attacco aereo di sorpresa: il Giappone entra nella 2^ Guerra Mondiale e, con la parola d’ordine "l’Asia agli asiatici", riesce rapidamente a occupare gran parte dell’Asia sud-orientale e del Pacifico.

1942/45 Le forze armate giapponesi ripiegano su tutti i fronti di guerra. Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945) pone fine alla guerra: il Giappone s’arrende senza condizioni ed è sottoposto al regime d’occupazione militare statunitense fino al 1952.

1946 È ratificata una nuova Costituzione, che impone: un radicale taglio alle spese militari; la crea-zione di forze armate unicamente con compiti di “autodifesa”; la sovranità al popolo; la “uma-nizzazione” dell’Imperatore, cui viene attribuito solo un ruolo simbolico.

1989 Muore l’Imperatore Hirohito, nato nel 1901 e sul trono dal 1926.

Era Heisei 1989-oggi Dinamismo industriale, finanziario, commerciale. Interventismo sta-tale. Prima riduzione della produzione industriale: esportazioni pe-nalizzate dal rafforzamento dello yen, mentre sul mercato si affac-ciano nuove potenze regionali (p.es. la Cina). Crisi finanziaria degli anni 1997-98, comune a tutta l´Asia orientale, ancora non superata.

[si veda anche la voce “Cronologia, Imperatori e imperatrici giapponesi – shogun”, nella seconda parte del Di-zionario]

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Antiche arti da guerra

Con il termine Bugei s’indica l’insieme delle “Arti da Guerra” giapponesi, che possono prevedere o no l’uso delle armi. Le Arti con armi possono essere “maggiori” (con arco, lancia, spada; equitazione; nuoto), “minori” (uso di ventaglio, bastone, jitte) o “collaterali” (utilizzo di catene od altri arnesi; arti “occulte”). Il numero delle principali, denominate Kakuto Bugei, “Arti Marziali”, varia secondo gli esperti: da diciotto a più di cinquanta. Di seguito sono elencate le principali, in ordine alfabetico. La solita avvertenza legata alla lingua giapponese: secondo le diverse fonti, possiamo trovare il nome della medesima Arte anche trascritto con i caratteri separati (Kusari Gama Jutsu o Kusarigama Jutsu, Iai Jutsu) o uniti da trattino (Kusari-gama-jutsu o Kusarigama-jutsu, Iai-jutsu) piuttosto che insieme (Kusarigamajutsu, Iai-jutsu).

1 Ba-jutsu Equitazione militare 2 Bo-jutsu Scherma (tecniche) con il bastone lungo 3 Chikiriki-jutsu Uso di palla di ferro, collegata con catena ad un corto manico 4 Chikujo-jutsu Tecniche di fortificazione 5 Fukihari Tecniche di lancio con la bocca di piccoli aghi 6 Gekikan-jutsu Uso di catena con palla di ferro 7 Genkotsu Tecniche di attacco ai punti vitali 8 Hayagake-jutsu Tecniche per aumentare la velocità in marcia e corsa 9 Hojo-jutsu Arte di legare il nemico

10 Ho-jutsu Uso delle armi da fuoco 11 Iai-jutsu Arte di estrarre la spada e colpire 12 Jitte-jutsu (o Jitte) Uso della mazza di ferro 13 Jo-jutsu Scherma (tecniche) con il bastone medio 14 Ju-jutsu Lotta con il minimo uso d’armi 15 Karumi-jutsu Tecniche per rendersi leggeri (salto, arrampicata, schivare colpi) 16 Ken-jutsu Scherma (combattimento) con la spada (o le spade) 17 Kumi-uchi Lotta senz’armi ma con armatura 18 Kusarigama-jutsu Uso di falcetto e palla di ferro, collegati con catena 19 Kyu-jutsu Tiro con l’arco da guerra 20 Naginata-jutsu (o Naginata) Scherma (combattimento) con l’alabarda (lancia a lama curva) 21 Noroshi-jutsu Tecniche di segnalazione con il fuoco 22 Sasumata-jutsu Uso del bastone forcuto per bloccare il nemico 23 Senjo-jutsu Arte di disporre le truppe in battaglia 24 Shinobi-jutsu Arte dell’inganno, del travestimento 25 Shuriken-jutsu Tecniche di lancio di affilate, piccole armi 26 Sodegarami-jutsu Uso di un’asta appuntita per disarcionare 27 So-jutsu Scherma (combattimento) con l’alabarda 28 Suiei-jutsu Tecniche per combattere in acqua con armatura addosso 29 Suijohoko-jutsu Tecniche per attraversare i corsi d’acqua 30 Sumo (o Sumai) Lotta senz’armi né armatura 31 Tam-bo Jutsu Scherma (tecniche) con il bastone corto 32 Tessen-jutsu Uso del ventaglio di ferro 33 Tanto-jutsu Scherma (combattimento) con il pugnale 34 Tetsubo-jutsu Uso di una sbarra di ferro lunga 35 Uchi–ne Lancio di frecce con le mani 36 Yari-jutsu Scherma (combattimento) la lancia a lama dritta

A queste potrebbero aggiungersene altre, quali Joba-jutsu o Yabusame (tiro con l’arco da cavallo); Tachi oyogi (nuoto con armi e armatura); Ninjutsu (tecniche, normalmente segrete e tramandate oralmente, patrimo-nio dei Ninja) eccetera. Shige Taka Minatsu, nel suo “Storia delle Arti Marziali” (1714), elenca – oltre alle danze rituali, che ogni

samurai deve conoscere – le otto Arti Marziali nelle quali egli doveva eccellere. Esse sono:

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1. Il maneggio di tre specie d’armi: 1.1. armi da impugnare – Ken-jutsu (scherma con la sciabola impugnata a due mani) e Tanto-jutsu (uso

del pugnale); 1.2. armi maneggiate a distanza – So-jutsu, Yari-jutsu e Naginata-jutsu (scherma con alabarda, lancia a

lama dritta e curva); 1.3. armi da getto – Kyu-jutsu (tiro con l’arco).

2. L’allenamento in due discipline fondamentali: 2.1. Ba-jutsu (equitazione militare); 2.2. Suiei-jutsu, Suijohoko-jutsu e Tachi oyogi (nuoto).

3. La pratica del combattimento a corpo a corpo senz’armi, nelle sue tre grandi specialità: 3.1. Kempo, Karate e Atemi waza (tecniche di percossa); 3.2. Sumo (tecniche di forza contro forza) e Ju-jutsu (tecniche di non-resistenza contro forza); 3.3. Kappo (metodo di trattamento dei traumi).

NOTA. Nel linguaggio colloquiale, il complesso delle Arti Marziali giapponesi è chiamato “Arti Marziali samurai” mentre, in effetti, sarebbe forse più giusto definirle, con particolare riferimento al Periodo Edo, “antiSamurai”! Il predominio dei Buke nella società ha l’effetto, tra gli altri, di impedire a chiunque di portare armi, tranne che ai samurai, ovviamente. Un uomo comune, forse, può non temere molto l’altezzoso ex guerriero trasformato in burocrate, spesso bloccato ad una scrivania, che magari si pavoneggia con antiche spade (se già non le ha vendute o impegnate!). Altra faccenda è trovarsi ad affrontare un Ronin affamato, disperato (e allenato) oppu-re un brigante. Da questo pericolo reale nascono (o, meglio, si sviluppano maggiormente) quelle Arti Marziali che utilizzano sia le tecniche a mani nude (p. es. Karate, Sumo, Ju-jutsu) sia l’uso di comuni oggetti e/o at-trezzi (p. es. Kusarigama-jutsu, Jo-jutsu, Sasumata-jutsu).

Tabelle comparative per misure e monete (dal secolo XII al XVI)

♦ Misure di lunghezza

1 Rin = 0,303 mm. 1 Bu (10 Rin) = 3,0303 mm.

1 Sun (10 Bu) = 3,0303 cm. 1 Shaku (10 Sun) = 30,303 cm. 1 Ken (6 Shaku): - a Edo. = 1,757 m.

- a Nagoya = 1,818 m. - a Kyoto = 1,908 m.

1 Jo (10 Shaku) = 3,0303 m. 1 Cho (60 Ken): - a Edo. = 105,42 m.

- a Nagoya = 109,08 m. - a Kyoto = 114,48 m.

1 Ri (36 Cho): - a Edo. = 3,7951 km. - a Nagoya = 3,9268 km. - a Kyoto = 4,1212 km.

Per i tessuti: 1 Tan - da 25 a 30 Shaku Per i terreni (varia secondo le Regioni):

1 Kujira-shaku = 1 Shaku più ¼ 1 Cho (60 Ken) - da 105,42 a 109,08 m.

1 Kiki = 2 Tan 1 Ri (36 Cho) - da 3,9 a 4,3 km.

♦ Misure di superficie 1 Tsubo (o Bu) = 1 Ken quadrato = circa 3,35 m2 1 Se = 30 Tsubo = circa 1 ara 1 Tan = 10 Se = circa 10 are 1 Cho (60x50 ken) = 10 Tan = circa 1 ettaro 1 Ri quadrato = 36 Cho quadrati = circa 16 km2

♦ Misure di capacità 1 Shaku = 1,8 centilitri

1 Go (10 Shaku) = 1,8 decilitri 1 Sho (10 Go) = 1,8 litri 1 To (10 Sho) = 18 litri

1 Koku (10 To) = 180 litri 1 Hyo (4 Koku) = 720 litri

♦ Misure di peso 1 Momme = 3,75 grammi 1 Kin da 100 a 180 Momme, secondo le Regioni 1 Kan (1000 Momme) = 3,75 chilogrammi

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♦ Grandezze monetarie Wado-kaiho dal 708 al 958 Moneta coniata in Giappone, è di ra-me (talvolta d’argento o d’oro)

Mon (Sen, in cinese) Importate dalla Cina; Kan

dal 958 al 1587/91 moneta da 1.000 Mon

1587 Tensho Tsuho: argento e oro 1592 Bunroku Tsuho: argento

Monete giapponesi

1606 Keicho Tsuho: argento

Note per la consultazione. Le voci, riportate in ordine strettamente alfabetico, si riferiscono non solo all’Aikido, ma anche (seppure “in

sedicesimo”, per così dire) alla storia ed alla cultura, alle Arti e Discipline Marziali del Giappone antico, nonché ai suoi personaggi più illustri, ai miti ed alle armi caratteristiche. Questo non è, per ovvi motivi, un completo dizionario nippo-italiano e, per altrettanto evidenti ragioni di opportunità, sono riportati unicamente i nomi di tecniche o posizioni del solo Aikido o con questa Disciplina connessi o comuni. Nei casi relativi ad altre Arti e Discipline Marziali, il fatto è specificato.

Le parole “virgolettate” che seguono una voce giapponese ne sono la traduzione, letterale (soprattutto) od informale. Talvolta, invece, pongono l’accento su concetti o rimarcano un particolare valore del termine illu-strato.

Ogni lemma, quando ricorre nella descrizione d’altre voci, è riportato in CARATTERE MAIUSCOLETTO, come rimando.

In carattere corsivo sono indicati termini specifici o nomi propri (o di località non universalmente note), che non sono ulteriormente approfonditi, anche se ricorrenti.

Il CARATTERE MAIUSCOLETTO CORSIVO evidenzia, QUANDO RICORRONO PER LA PRIMA VOLTA, quei vocaboli, AL SINGOLARE O AL PLURALE CHE SIANO, specificatamente tecnici piuttosto che di cultura generale, la cui spiegazio-ne è proposta nella seconda parte del presente Dizionario.

Per i misteri della lingua GIAPPONESE [si veda anche la parte finale del Dizionario], può accadere di trovare grafie non identiche per i medesimi termini: le sillabe che compongono quest’idioma, infatti, possono essere separate, tutte unite, alcune unite ed altre no, unite da trattini. Ad esempio la “Cerimonia del Tè” si può tra-scrivere “Cha-no-yu” oppure “Chanoyu” ed anche “Cha no Yu”. Lo stesso vale in molti altri casi, ad esempio: “O Sensei” – “O-Sensei”, “Tan-to” – “Tanto”, “Kara-te” – “Karate”. Lo stesso dicasi per “Shiho Nage” – “Shi-ho-nage” – “Shi Ho Nage” – “Shihonage”, “Kata Te Tori” – “Katate Tori” – “Katate-tori” e così via. Pure lo stesso Aikido si può trovare anche nelle forme “Aiki-do” – “Aiki Do”. Abbiamo cercato, nei limiti del possibile, di man-tenere un’identica grafia per gli stessi termini.

- A - ABASHIRI. – Città nativa di TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI, nel nord dell’isola di Hokkaido. È sede della Palestra Centrale(HONBU DOJO) del DAITO RYU AIKI-JUTSU, il DAITOKAN. ABE RYU o ABE TATE RYU. – È la scuola di KENDO tradizionale più antica. Le sue tecniche discendono di-rettamente dal KEN-JUTSU praticato, ancora nel secolo XVII, dal Clan Abe, antichissima Famiglia SAMURAI. ABE TADASHI. – (1920-1984) UCHI DESHI di O-SENSEI. Nella seconda metà degli anni ’50 abita in Francia ed introduce l’AIKIDO in Europa. ABUMI. – “Staffa”. È di forma caratteristica, normalmente realizzata in legno con struttura metallica o total-mente in ferro, laccata e intarsiata d’argento. Prima del IV secolo è chiusa, a forma di scarpa; in seguito, fino alla fine del Periodo EDO (o TOKUGAWA, 1603-1868), è costituita da un largo predellino, su cui poggia tutto il piede, con forma simile al profilo di un cigno. Talvolta un foro svolge le funzioni di YARI-ATE. AGE. – “Sollevare”. Significa anche “dal basso in alto”.

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AGURA. – “Sedere” (con le gambe distese davanti). E’ la maniera non protocollare di sedere, opposta alla SEIZA. AGURA-SO-KATSU. – “Procedimento seduto”. Tecnica integrale di rianimazione (SO-KUATSU), che si applica al soggetto in posizione seduta. AI. – Il carattere significa “unione”, “armonia” ed anche “incontrare”, “essere in armonia”. È parola che com-pare, da sola o composta, in molti termini tecnici dell’AIKIDO, oltre che nel nome stesso della Disciplina, ed e-sprime un concetto che fa parte della cultura e della filosofia giapponese. È la forza vitale che governa l’universo e che lo mantiene in armonia, secondo movimenti sempre circolari, mai attraverso linee rette. Negli ultimi anni, UESHIBA MORIHEI usa questo termine sia per “armonia” sia per “amore”.

– “Simmetrico”, “uguale”. AI HANMI. – “Posizione simmetrica”. Posizione reciproca iniziale. TORI e AITE sono in posizione simmetrica, entrambi con il medesimo piede avanzato (destro o sinistro per ambedue). La posizione “speculare” è detta GYAKU HANMI. AIIRE. – “Finestra”. AIIRE-SO-KUATSU. – È un KUATSU ad azione globale, praticato su paziente sdraiato, supino, che richiede l’intervento di due operatori. [si veda SO-KUATSU] AI KAMAE o AI-GAMAE. – “Guardia uguale”. “Posizione di combattimento”. Posizione naturale di guardia. Prima di eseguire una tecnica, TORI e per AITE hanno la medesima posizione: uno di fronte all’altro, un piede avanti (destro, MIGI; sinistro, HIDARI), il medesimo, per entrambi. AIKI. – “Armonia del KI”. “Unione degli spiriti”. È uno dei più importanti “fattori interni” dell’AIKIDO, unitamente a KI-NO-NAGARE, KI-MUSUBI (che gli assomiglia) e KOKYU HO. AIKI è l’espressione statica del KIAI: tutta la forza, l’energia, è concentrata nell’HARA, lo spirito è quindi libero e in guardia. È l’attitudine, morale e spirituale, ac-quisita con l’allenamento, che consente di vincere prima di (e senza) combattere. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO- NO MASAYOSHI, uno dei Maestri di UESHIBA MORIHEI, gli dice: «Se c’è una qualsiasi riserva, una piccola esita-zione, anche un abile praticante può essere sconfitto. Ascolta il suono senza suono, guarda la forma senza forma. Con un’occhiata controlla l’avversario e ottieni la vittoria senza combattimento. Questo è il significato interno dell’Aiki». Per realizzare l’AIKI, vale a dire l’unione (AI) di tutto quanto costituisce l’energia vitale (KI) in un individuo, occorre praticare le tecniche per armonizzare CORPO, mente e spirito.

– È anche il contegno fisico e morale che rispecchia l’unità di corpo, mente, spirito. [N.B.: per CORPO si veda la seconda parte del Dizionario] AIKI BUDO. – Denominazione usata da UESHIBA MORIHEI, dal 1932 al 1942, per la sua Arte. È il periodo dell’AIKIDO “duro”, aggressivo, caratterizzato da forza muscolare, tecniche penetranti, ATEMI sui punti vitali. Le proiezioni sono secche e violente, leve e trazioni lussano e disarticolano. Lo studio è concentrato, per quanto riguarda le armi, su SPADA, lancia e baionetta. Le sfide da parte di praticanti di altre Arti Marziali sono conti-nue, seppure non rivolte mai – per timore della sua reputazione – ad O-Sensei, ma ai suoi assistenti. Prima del 1942, tuttavia, il metodo di UESHIBA MORIHEI è conosciuto anche con altri nomi: Kobukan Aiki-budo, Ueshi-ba Ryu Ju-jutsu, Tenshin Aiki-budo. AIKIDO. – “La Via dell’Armonia”. È il cammino (DO) per giungere ad armonizzare (AI) la propria energia vitale (KI) con quella cosmica. “Via dell’armonia con l’universo”. È la Via per l’AIKI. È un’ARTE MARZIALE appartenen-te al BUDO moderno, sviluppata dal MAESTRO UESHIBA MORIHEI (1881-1969) all’inizio degli anni Venti del XX secolo. Il primo DOJO a Tokyo (di 80 TATAMI), aperto nell’aprile 1931, è il KOBUKAN, dove O-SENSEI insegna la sua Arte Marziale (ancora AIKI BUDO) e la propria filosofia di vita. Nasce nel 1945 l’Associazione AIKIKAI, che prende questo nome nel febbraio del 1948, dopo il periodo di bando delle ARTI MARZIALI imposto dalle forze d’occupazione militari. L’AIKIDO è una Disciplina Marziale a pieno titolo, ispirata com’è non solo a JU-JUTSU (flessibilità), KEN-JUTSU (spostamenti, TAI SABAKI, e tecniche di scherma), SO-JUTSU (arte dell’IRIMI), ed AIKI-JUTSU e JU-JUTSU (numerose tecniche di base, leve e proiezioni), ma anche allo JO-JUTSU. In più, la dimensio-ne spirituale è del tutto evidente (l’AIKIDO si propone come una visione della vita basata sull’AIKI e sull’armonia

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con il creato), derivando dalla ricerca personale, religiosa e filosofica, del Fondatore, seguace o studioso di SHINTO, Buddismo ZEN e SHINGON, OMOTO-KYO. Due, comunque, sono gli elementi distintivi dell’AIKIDO, rispet-to a tutte le altre Arti e Discipline Marziali ed agli sport: 1- le tecniche non sono legate a forme o regole rigide, ma sono mutevoli perché “vive”, nel senso che vivono con il praticante e cambiano con la sua maturazione spirituale e fisica [dice UESHIBA MORIHEI: «L’Aikido non ha tecniche», perché i movimenti sono radicati nei prin-cipi naturali, non in forme rigide o astratte]; 2- non esistono competizioni. L’AIKIDO è diventato (anche) un me-todo d’autodifesa, soprattutto a mani nude, contro uno o più avversari, armati o meno, metodo che utilizza il KIME d’antica memoria, un TAI SABAKI perfezionato, la conoscenza dell’anatomia umana e la rapidità nell’esecuzione delle tecniche. La profonda religiosità del Maestro UESHIBA MORIHEI si esprime anche nella sua Disciplina: egli, infatti, vuole che il praticante si armonizzi non solo nel DOJO, con il compagno d’allenamento, ma anche con l’intero universo, nella sua vita quotidiana. Per far questo, e necessario “ricon-durre l’uomo alla Via della Spada” (KUATSU-JIN-KEN), purificando l’essenza profonda degli esseri umani da tutto quello che contrasta con il principio ed il concetto di AI: l’egoismo, l’odio, il “volere”. L’armonia dell’AIKIDO, inol-tre, è anche quella tra KI, il “soffio vitale” e TAI, il “corpo”, con la natura, oltre a quella – simbolizzata nel DO – tra SHIN, l’”anima”, lo “spirito” e RI, la “morale”. In altre parole, l’Aikido è la Via da percorrere per giungere alla perfezione, al SATORI: uno spirito purificato unito ad un corpo tonico e morbido. Per UESHIBA MORIHEI, solo chi percepisce – e realizza con amore – l’armonia universale può giungere all’illuminazione, alla perfezione, alla libertà. È solo il continuo allenamento (TANREN) – attraverso la conoscenza ed il progresso fisico, spirituale, psichico e morale – che riesce ad educare al mutuo rispetto e consente di raggiungere la totale coordinazione fra mente e corpo, senza che intervenga il pensiero cosciente (HISHIRYO). Solo così, con lo spirito svuotato dalle preoccupazioni materiali, è possibile trovare un perfetto equilibrio e giungere ad uno stato di vigilanza permanente ed intuizione immediata (SEN-NO-SEN). Coordinamento totale, equilibrio, SEN-NO-SEN, HISHIRYO: la fusione di questi elementi darà luogo, sul TATAMI, alla perfetta esecuzione delle tecniche e, nella vita di tutti i giorni, al pieno controllo di noi stessi, delle nostre azioni, dell’ambiente che ci circonda. Le tecniche, in AIKIDO, consistono nella corretta e armonica applicazione di tutto ciò che concorre a rendere inoffensivo un attacco, ma la loro esecuzione non è lo scopo della pratica dell’AIKIDO, perché esse sono soltanto uno strumento, un mezzo. Sono il mezzo che consente all’AIKIDOKA di sciogliersi della rigidità psicofisica e di respirare in sintonia con il movimento, correttamente e naturalmente; sono lo strumento per rilassare l’anima e focalizzare nel SEI-KA TANDEN il proprio equilibrio. Equilibrato, centralizzato, rilassato, TORI controlla lo spazio che lo circonda, come fosse il centro di una sfera. Senza sforzo alcuno, può parare, schivare, anticipare gli attacchi di AITE, proiettandolo rapidamente (in circuiti circolari – verticali, orizzontali, obliqui – dopo averlo sbilanciato ed attirato nel proprio centro), oppure bloccarlo a terra con efficaci leve articolari. I movimenti dell’AIKIDO sono sciolti, continui, normalmente ampi; non esistono vere parate di contrapposizione, ma solo spostamenti avvolgenti (“se ti spingono, ruota”, TENKAN) uniti a “entrate” risolute (“se ti tirano, entra”, IRIMI). Due sono le principali ca-tegorie di tecniche dell’AIKIDO, quelle di proiezioni (NAGE WAZA) e quelle di controllo o immobilizzazioni (KATAME WAZA, OSAE WAZA) dell’avversario, che si applicano sia contro prese di MANO (TE-HODOKI) sia contro colpi (ATE-MI, TSUKI, GERI), tanto con ARMI quanto senza. I più importanti “fattori esterni” dell’AIKIDO, i movimenti e le tec-niche principali, rimaste invariate, sono: IRIMI, TENKAN, SHI HO NAGE e SUWARI IKKYO. I più importanti “fattori in-terni” sono: KOKYU HO, KI-NO-NAGARE, KI-MUSUBI e AIKI. Pare che, in origine, molti WAZA dell’AIKIDO siano stati dei KATA, delle forme di base del DAITO AIKIJUTSU, lo stile di AIKI-JUTSU codificato dal celebre MINAMOTO-NO YO-SHIMITSU verso la fine del Periodo HEIAN, (794-1156). La prima “versione” dell’AIKIDO, l’AIKI-JUTSU, risale al Pe-riodo KAMAKURA (1185-1392) ed è insegnata ad AIZU, ai SAMURAI del Clan TAKEDA, i quali perfezionano il me-todo di combattimento individuando i KYUSHO (“punti vitali”) da colpire. Un buon AIKIDOKA dovrebbe conoscere, oltre alle tecniche di proiezione e controllo, anche quelle per colpire i punti vitali (ATEMI WAZA) e per “disarticola-re” (KANSETSU WAZA), quelle per strangolare (SHIME WAZA) e per lussare (ROFUSE). Inoltre, affinché la sua pre-parazione sia completa, dovrebbe studiare AIKI-JO (tecniche praticate maneggiando il bastone medio), AIKI-KEN e AIKI-TANTO (tecniche d’AIKIDO praticate con la spada e con il pugnale). Il termine AIKIDO è usato da UESHIBA MORIHEI, per la prima volta, nell’anno 1942, quando afferma: «Ho deciso di chiamare il nuovo Budo “Aiki-do”, da “ai”, armonia, che è uguale ad “ai”, amore, anche se la parola ‘aiki’ rappresenta un concetto antico». In Ita-lia l’AIKIDO si diffonde dal 1963. AIKIDOGI. – “Abito per l’allenamento (KEIKO) nella pratica dell’AIKIDO”. Di norma consiste in un KEIKOGI per i primi sei gradi inferiori (KYU), cui s’aggiunge un’HAKAMA nera per le cinture nere, i DAN, i livelli superiori (in al-

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cune scuole, l’HAKAMA s’indossa dal 3° KYU). Gli istruttori possono avere nera tanto l’HAKAMA che il GI, mentre i Maestri, di solito, hanno tutto bianco. AIKIDOJO. – “Luogo d’allenamento” all’AIKIDO. È abbreviato in DOJO. AIKIDOKA. – “Chi pratica l’AIKIDO”. AIKI-HO. – È una dottrina che enfatizza l’applicazione della non-resistenza. Adottata in alcune scuole, tra cui lo YAGYU SHIN-KAGE RYU. AIKI-IN-YO. – È un metodo basato sull’armonizzazione ed il controllo della tecnica di respirazione. AIKI-IN-YO-HO. – È la dottrina dell’armonia dello spirito, basata sui concetti di YIN e YANG [si veda la voce “ommyodo”, nella seconda parte del Dizionario] e applicata all’INSEGNAMENTO delle Arti Marziali. Il primo ad elaborare questa dottrina è TAKEDA TAKUMI NO KAMI SOEMON (1758-1853), di AIZU. AIKI-JO. – Tecniche d’AIKIDO praticate con il bastone (JO). AIKI-JUTSU. – Si può dire sia l’antenato “da combattimento” dell’AIKIDO. Risale al Periodo KAMAKURA (1185-1392), quando è patrimonio della Famiglia TAKEDA, ad AIZU. Le tecniche utilizzate sono, in larga parte, prati-cate ancora oggi, seppure in modo molto diverso (non è più necessario uccidere l’avversario!). Ai NAGE WAZA e KATAME WAZA, si sommano perciò le tecniche per colpire i punti vitali (ATEMI WAZA), quelle per “disarticolare” (KANSETSU WAZA), per strangolare (SHIME WAZA) e per lussare (ROFUSE). AIKIKAI. – La prima Scuola ufficiale dell’AIKIDO. È fondata il 22.11.1945 a Tokiwa ed assume il nome nel 1948, stabilendo la sede a Wakamatsu-cho, Tokyo, dove ancora si trova la “Palestra Centrale” (HONBU DOJO). AIKI KAISO. – “Il Fondatore” dell’AIKIDO, UESHIBA MORIHEI. AIKI-KEN. – Tecniche d’AIKIDO praticate con la spada (KEN). Normalmente si utilizza il BOKKEN. AIKI-KUATSU. – Tecnica di assistenza respiratoria (a bocca a bocca), che fa parte della serie di KUATSU respi-ratori (HAI-KUATSU) con percussioni riflessogene. AIKI NAGE. – “Proiezione AIKI”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). TORI proietta UKE dopo aver unito l’energia di entrambi. AIKI-NO-SEN. – “Opportunità”. AIKI OTOSHI. – “Caduta AIKI”. La caduta di UKE è laterale. AIKI RYU d’ITALIA. – Moderna scuola d’AIKIDO, fondata dal Maestro Riccardo Rampado. AIKI TAISO o AIKI UNDO. – È l’insieme degli esercizi fisici specializzati, preparatori, dell’AIKIDO. Consiste in movimenti compiuti da soli (TANDOKU DOSA) o in coppia (SOTAI DOSA), basati sulla concentrazione e, soprattutto, sulla respirazione controllata (KOKYU). I movimenti servono ad armonizzare corpo e spirito. AIKI-TANTO. – Tecniche d’AIKIDO praticate con il coltello (TAN-TO). AIKUCHI. – Coltello-pugnale. Ha LAMA quasi diritta, di 20-28 cm, a TAGLIO singolo. Il nome significa “simpatico compagno”, ma si può tradurre anche “a bocca a bocca” o “incontra l’imboccatura”. Non ha ELSO (TSUBA), e non rientra nella classe TAN-TO. Il nome deriva proprio dalla mancanza di elso: la fascia inferiore dell’IMPUGNATURA è a diretto contatto con l’imboccatura del fodero. Inizialmente è usato da chi – uomo anziano o eremita – non porta più la spada, ma non vuole trovarsi disarmato. Durante lo SHOGUNATO TOKUGAWA (1603-1868) l’AIKUCHI simboleggia uno stato sociale elevato, con impugnatura di lacca, fodero munito di KOZU-KA e KOGAI, FORNIMENTI d’oro, argento, rame o leghe e lama non più lunga di 18-20 cm. Quando è utilizzato per il suicidio rituale (SEPPUKU) – soprattutto dalle Dame della Corte imperiale – l’AIKUCHI ha impugnatura in le-gno bianco e fodero di legno. In precedenza era noto come kusungobu, termine indicante lo 0,95 del piede giapponese (pari a circa 27 cm, approssimativa misura iniziale della lama).

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AINU. – Popolazione paleoasiatica, di tipo paleoeuropide, primitiva abitatrice del GIAPPONE. Oggi è stanziata nelle isole settentrionali dell’Arcipelago Giapponese (Hokkaido) e nell’Isola di Sakhalin. Gli AINU, ridotti a circa 15.000 individui, sono dediti all’agricoltura, alla caccia e alla pesca, praticano la scultura in legno e la tessitura. Le strutture di parentela sono matrilineari; la religione si fonda sull’adorazione delle divinità naturali (Sole e Luna) e sul totemismo (culto dell’inao e dell’orso). AI-NUKE. – Situazione di “stallo”. Si riscontra quando due combattenti, avendo armonizzato i propri KI, non possono più affrontarsi. L’unione dei KI può essere raggiunta sia prima sia durante lo scontro, ma da quel momento in poi non può esserci né vincitore né vinto: combattere diventa inutile. AIO RYU. – Antica (1600) scuola d’Arti Marziali. Fonde tecniche di JU-JUTSU e YARI-JUTSU (scherma con la lancia). AITE. – “Che spezza l’armonia”. NELL’AIKIDO è l’UKE, il compagno d’allenamento. In altre Discipline o Arti Marziali può indicare una posizione o un atteggiamento. AI UCHI. – Indica un’azione simultanea. Due combattenti, nel medesimo tempo, eseguono simultaneamente la stessa tecnica. AIZU. – Clan guerriero dell’isola Honshu. È anche il nome del relativo feudo e della provincia coincidente. Oggi la zona è nella Prefettura di Fukushima. AIZU KAGE RYU. – Con questo nome è anche conosciuta la scuola KAGE RYU di KEN-JUTSU, fondata da AIZU IKO. AIZU IKO. – (1452-1538) Celebre spadaccino. È il fondatore della scuola AIZU KAGE RYU di KEN-JUTSU (scherma con la spada). AIZU-TODOME. – Tecniche segrete della Famiglia TAKEDA. Sviluppate nell’ambito del DAITO AIKIJUTSU, pren-dono questo nome quando TAKEDA Kunitsugu si trasferisce ad AIZU, nel 1574. sono conosciute anche come OSHIKI-UCHI ed anche ODOME. AKA. – “Rosso”. È sconsigliato, per ragioni d’educazione (si legge male) e scaramantiche (porta male), scri-vere ad un Giapponese utilizzando inchiostro rosso. AKINDO. – “Mercante”. Anche SHO. AKIRESUKEN. – “Tendine d’Achille”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. AKIYAMA SHINOBU. – Medico di Nagasaki. Dopo un viaggio in Cina – durante il quale apprende l’HAKUDA (cioè il KEMPO) ed il KAPPO – fonda nel 1732 lo YOSHIN RYU, “Scuola del Cuore di Salice”, di JU-JUTSU e KEN-JUTSU. Si dice abbia inventato oltre 300 tecniche di JU-JUTSU che, poi, ispirano KANO JIGORO quando dà origi-ne al moderno JUDO (dopo aver frequentato lo YOSHIN RYU). AKO-GISHI. – “Storia dei Valorosi di Ako”. Così, in Giappone, è ricordata l’epopea dei QUARANTASETTE RONIN, che nel teatro KABUKI viene rappresentata col titolo CHUSHINGURA. AMAKUNI. – È il primo armaiolo il cui nome sia certamente registrato. Attivo nella provincia di YAMATO nel 701 d.C. circa. AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI. – “Grande Augusta Dea che Illumina il Cielo”. È la dea del sole, figlia d’IZANAGI-NO-MIKOTO e progenitrice della Dinastia imperiale giapponese. AME-NO-MINAKA-NUSHI. – È il Creatore dell’Universo, la Parola Suprema al centro della pulsazione cosmi-ca. È una divinità (o Dio stesso?) che UESHIBA MORIHEI venera ed onora: concepita come esistente “qui den-tro” di noi e non “là fuori” (Paradiso o NIRVANA che sia), è la sacra fiamma che arde nel nostro corpo. AMON. – “Cranio”.

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AMON-KUATSU. – Massaggio ANTALGICO cranico. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU particolari: percussioni riflessogene adatte per traumi cranico-cervicali e per le cefalee. Si attuano per regola-re turbe neuro-vegetative, sollevare da stati sincopali e migliorare la funzionalità dopo la rianimazione. ANAZAWA RYU. – Scuola tradizionale di scherma con NAGINATA (NAGINATA-JUTSU). La sua fondazione risale al secolo XVII e, inizialmente, è destinata ad allenare le donne delle Famiglie militari: in caso d’attacco, saper usare la NAGINATA è essenziale per proteggere l’onore e la vita. ANSHA. – “Generosità”. È quella che, secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve possedere. [si veda BUSHI-DO] ANZAWA HEIJIRO. – (1887-1970) Maestro di KYUDO. È tra gli ultimi grandi Maestri di questa Disciplina: ne ravviva la pratica in Patria e contribuisce a farla conoscere fuori del Giappone, viaggiando e soggiornando all’estero. Scrive il Dai-sha-do, “La Grande Dottrina del Tiro con l’Arco”, riportando l’insegnamento del Mae-stro AWA KENZO, di cui è allievo. AOIRO. – “Blu”. ARAKI MATAEMON MINAMOTO-NO HIDETSUNA. – (1584-1638) Maestro di KEN-JUTSU. Appartiene alla Famiglia Matsudaira, di Echizen, ed è soprannominato Mujinsai. Prima di fondare la sua scuola, l’ARAKI RYU, ARAKI MATAEMON MINAMOTO-NO HIDETSUNA studia le tecniche e gli stili della YAGYU SHIN-KAGE RYU e del MUSO JIKIDEN RYU. ARAKI RYU. – Scuola d’Arti Marziali fondata da ARAKI MATAEMON MINAMOTO-NO HIDETSUNA ed ancora attiva. Inizialmente chiamata TORITE-KOGUSOKU (come lo stile insegnato nel TAKENOUCHI RYU), poi Moro Budo Araki-ryu-kempo, nell’ARAKI RYU s’insegnano numerose Arti Marziali, tra cui KEN-JUTSU, KENDO, KOGUSOKU-JUTSU, KUSARIGAMA-JUTSU, JU-JUTSU. Nell’allenamento di KEN-JUTSU, inizialmente, si usano spade di legno, speso ri-coperte di stoffa bianca (SHIROBO, “bastone bianco”). ARASHI. – “Tempesta”. ARASHIKO. – Si veda KOMONO. ARIMA SHINTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Arima Motonobu. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. ASA-GEIKO. – “Allenamento del Mattino”. Allenamento (KEIKO) del BUDOKA, fatto di mattino presto, d’estate. Questo tipo d’allenamento completa il KAN-GEIKO (l’invernale) e l’HATSU-GEIKO (fatto all’inizio dell’anno). ASHI. – “Piede”, “piedi”. “Gamba”.

– “Passo”; “avanzamento”. ASHIGARU. – “Piede leggero” o “dalle agili gambe”. Truppe contadine, all’inizio normalmente reclutate da capi guerrieri di non molta importanza per costituire contingenti di fanteria armata alla leggera. L’ ASHIGARU è l’antesignano del SAMURAI di basso livello. La seconda parte del Periodo MUROMACHI (e l’iniziale del Periodo MOMOYAMA) è conosciuta come SENGOKU JIDAI (“Era del Paese in guerra” o “Era della Guerra”, dal 1467 al 1568), perché caratterizzata da incessanti lotte per il potere fra i Signori locali. I DAIMYO hanno bisogno del maggior numero possibile di combattenti, quindi ricorrono spesso all’impiego di truppe contadine, con il rischio tanto di diserzioni di massa (prima, durante o dopo la battaglia), quanto, al minimo, di lasciare le terre prive dell’indispensabile forza-lavoro. Il primo DAIMYO in grado di disciplinare i propri ASHIGARU, trasformandoli in una forza combattente disciplinata e fedele, è TAKEDA SHINGEN (1521-1573). Costui – famoso anche perché il suo nome è associato ad un tipo di TSUBA [si veda SHINGEN TSUBA] – riesce ad inculcare nei suoi CONTADINI ar-mati il principio di fedeltà proprio dei SAMURAI, che sono soggetti, in ogni caso, ad un diverso vincolo in quanto, spesso, vassalli feudali. Gli ASHIGARU sono tra i primi, unitamente agli ZUSA, ad utilizzare le armi da fuoco (TEPPO) sul campo di battaglia. ASHI-GATANA. – “Taglio del piede”. Piede usato come spada. Bordo esterno del piede. Pure SOKUTO.

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ASHIKAGA. – Casata feudale: governa il Paese (con quindici SHOGUN) dal 1338 al 1573. Sono gli ASHIKAGA, per primi, a considerare lo SHOGUNATO come una carica ereditaria familiare e sotto il loro dominio inizia a for-marsi la casta di latifondisti feudali (i DAIMYO), mentre i SAMURAI diventano guerrieri professionisti. Il problema essenziale del Clan è lo scarso potere personale, quello basato sul possesso della terra: i pochi SHOEN (non più di trentacinque, nel secolo XV) rappresentano frazioni di provincia, e nemmeno delle più ricche. A questo si aggiunge lo scarso peso militare [si veda HOKOSHU], bilanciato però da un’accorta politica d’alleanze.

– Indica il momento storico dal 1336 al 1568 (che si sovrappone parzialmente al Periodo MU-ROMACHI, 1392-1573), caratterizzato da instabilità politica e perdita di potere della Corte imperiale. Avveni-menti importanti sono: la fine della reggenza HOJO; la fuga a Yoshino dell’Imperatore GO-DAIGO, mentre un ri-vale occupa il trono a KYOTO, protetto da ASHIKAGA TAKAUJI; le guerre continue tra la Corte Meridionale (Yo-shino) e la Corte Settentrionale (KYOTO). Questo è comunque uno dei periodi più splendidi della cultura e dell’arte di ispirazione ZEN del Giappone. È da questo Periodo che, per convenzione, inizia la vera epoca feu-dale del Giappone: i capi dei vari Clan si liberano quasi totalmente dalla tutela del potere centrale, cui devono, in pratica, un vassallaggio poco più che nominale. ASHIKAGA TAKAUJI. – È il primo degli SHOGUN ASHIKAGA. Dopo aver guidato le truppe fedeli all’Imperatore GO-DAIGO nella riconquista del potere, contro i reggenti HOJO, si ribella sia per le riforme dell’Imperatore (SHU-GO rimpiazzati da cortigiani civili, titolo di SHOGUN attribuito al di lui figlio) sia per le scarse ricompense ottenu-te. Nel 1335 scaccia GO-DAIGO da KYOTO e mette al suo posto un altro membro della Famiglia imperiale, ot-tenendone la nomina a SHOGUN (solo un Imperatore può attribuire questo titolo). La guerra civile – nota come guerra Nambokucho – tra i due Imperatori, l’uno che ha sede a Yoshino (la Corte Meridionale), l’altro che go-verna a KYOTO (la Corte Settentrionale), dura sessant’anni. ASHIKO. – “Ramponi” utilizzati soprattutto dai NINJA. Suole di metallo con quattro ganci: fissate alle calzature, facilitano i NINJA nelle loro arrampicate. ASHI-KUBI. – “Caviglia”. ASHINAKA. – “Sandali” di paglia per uso quotidiano. ASHI SABAKI. – Studio degli spostamenti di piedi e gambe. Fa parte dei TAI SABAKI. ASHI-URA. – “Pianta del piede”. Pure TEISOKU. ASHI-ZOKU. – “Dorso” del piede. Pure HAISOKU. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. ASUKA. – Indica l’epoca storica dal 525 al 645. È caratterizzato, tra l’altro, dall’introduzione del BUDDISMO, sotto l’influenza cinese e, soprattutto, coreana e dalla sua affermazione come Religione di Stato. Al 645 risale la Riforma Taika: per consolidare il potere centrale (sul modello cinese), tutte le terre diventano di proprietà dell’Imperatore, che le distribuisce alle famiglie in base al numero dei loro componenti. ATAMA. – “Testa”. Anche MEN, TSU, KASHIRA, TO. Durante il medioevo giapponese, spesso, la guerra si tra-sforma in una sorta di caccia alla testa. È prassi comune mozzare il capo degli sconfitti, uccisi in battaglia, suicidi dopo la cattura o soppressi se feriti: maggiore è il numero delle teste raccolte, maggiore è l’onore – e quasi sempre la ricompensa – che va al guerriero. Le teste mozzate dei nemici d’alto rango, della cui identità il generale vincitore vuole personalmente assicurarsi, sono tenute in recipienti pieni di SAKÈ. ATE. – “Percossa”. Deriva da ATERU, “colpire”. ATEMI. – “Colpo al corpo”, da ATERU, “colpire” e MI, “corpo”. È la percossa inflitta con una qualsiasi parte del corpo umano: dita e mani (aperte o chiuse a pugno); polsi, avambracci, gomiti e braccia; gambe, ginocchia, ti-bie e piedi; testa [si veda la voce “corpo” nella seconda parte del Dizionario]. Obiettivo dell’ATEMI – soprattutto nell’antico BUDO – è un KYUSHO, un “punto debole” (o “vitale”) del corpo dell’avversario, possibilmente scoper-to, allo scopo di metterlo fuori combattimento (paralisi da dolore e disorientamento; TRAUMA più o meno grave, con perdita di conoscenza o morte). Nell’AIKIDO di base, normalmente, gli ATEMI sono appena accennati o soppressi del tutto, per evitare sia ogni rischio e pericolo nei principianti, sia l’illusione – negli studenti avanzati – che un colpo ben portato possa sostituire la corrette esecuzione di una tecnica. Ciò non significa escluderne

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lo studio: tutte le tecniche di AIKIDO prevedono l’ATEMI [O-SENSEI, definendo la sua Disciplina, dice: «L’Aikido è irimi e atemi»], da quello leggero, che – attraverso un improvviso dolore in un KYUSHO – interrompe la concen-trazione dell’avversario e blocca la sua intenzione aggressiva, a quello che provoca uno svenimento. In ogni caso gli ATEMI – che normalmente si sferrano con il TE-GATANA (“taglio della mano”) – andrebbero studiati uni-tamente alla traumatologia (SEI-FUKU-JUTSU), ai metodi di rianimazione (KUATSU, KAPPO) e male certo non fa-rebbe una buona conoscenza di anatomia (sistema nervoso centrale e periferico, soprattutto) e d’elementi di Medicina Tradizionale Cinese, AGOPUNTURA o SHIATSU. ATEMI WAZA. – “Tecniche di percussione”. Fanno parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Ta-ka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle dan-ze rituali che ognuno di loro deve conoscere; si veda “ Antiche arti da guerra”). Queste tecniche, che sono antichissime, hanno come obiettivo, soprattutto, i KYUSHO, i “punti vitali” (o “deboli”) – che, se colpiti, mettono l’avversario fuori combattimento. Ogni praticante d’Arte Marziale (BUDOKA) che abbia raggiunto la qualifica di DANSHA (cintura nera), quindi, è indispensabile che conosca la dislocazione dei KYUSHO e possieda a nozioni d’anatomia e fisiologia (e, magari, rudimenti di Medicina Tradizionale…). Ciò, soprattutto, ad evitare incidenti nell’allenamento. ATERU. – “Colpire”. Etimologicamente, il verbo esprime l’idea di stimare con precisione la superficie di un campo, valutandola con esattezza. Per estensione, ATERU significa anche “collocarsi esattamente nel punto voluto” (al centro del bersaglio, per esempio). All’idea di “stima”, “valutazione”, s’aggiunge la notazione di “successo”. ATO-NO-SEN o ATO-NO-SAKI. – “Iniziativa difensiva”. Indica il concetto di movimento difensivo attuato non appena s’intuisce la volontà dell’avversario di attaccare: bloccato l’attacco avversario, è possibile un immedia-to contrattacco. È questo il principio che UESHIBA MORIHEI mette alla base dell’Aikido, in luogo del KOBO-ICHI (“unità in attacco e difesa”). Si dice anche GO-NO-SEN. ATSU. – “Premere”. AYUMI ASHI. – “Passo alternato”. “Spostamento base” (TAI SABAKI). Si esegue, mantenendo la guardia, spo-stando per primo il piede arretrato, girato verso l’esterno del corpo, che supera l’altro e si punta. I piedi scivo-lano al suolo, senza mai sollevarsi. Può essere in avanti o indietro (ROPPO). Fa parte degli esercizi fisici spe-cializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). AYUMU. – “Camminare”. AWA KENZO. – (1880-1939) Grande Maestro di KYUDO. AWASERU. – “Incontrare”. AZUMA KAGAMI. – “Lo Specchio della Terra Orientale”. È una cronaca, completata nel 1270 circa, compo-sta soprattutto da rapporti sia ufficiali, del BAKUFU di KAMAKURA, sia di nobili. Dalla sua lettura si evince il con-tegno dei SAMURAI del tempo, con la descrizione del loro comportamento ed il racconto di atti d’eroismo.

- B - BA. – “Cavallo”; “equitazione” in senso lato. I cavalli giapponesi, inizialmente, non sono ferrati ed abbisogna-no, quindi, di frequenti periodi di riposo. Nelle lunghe marce di trasferimento gli zoccoli sono avvolti in paglia, ad evitare inutili ferite. BAI. – “Susino”. Rappresenta il simbolo dell’amore.

– “Medico dei cavalli”. È una figura importante nel Giappone feudale, dove i cavalli sono oggetto di cure ed attenzioni da parte dei guerrieri di professione, i BUSHI. BA-JUTSU. – “Tecniche equestri”, “equitazione”. Fanno parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere; si veda “ Antiche arti da guerra”). Il guerriero professioni-

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sta di un tempo è, essenzialmente, un cavaliere; è quindi evidente l’importanza di saper governare il cavallo e combattere contemporaneamente. Il BA-JUTSU è praticato da tutte le Famiglie Militari (BUKE) – ognuna con le proprie tecniche, il suo stile – e comprende corsi completi di equitazione: il BUSHI impara sia a condurre il ca-vallo guidandolo solo con la pressione delle gambe (le redini si fissano ad un anello dell’ARMATURA), sia ad im-piegare tutte le armi del suo arsenale: arco lungo (YUMI), grandi spade (NO-DACHI, TACHI, NAGAMAKI), lance (YA-RI, nelle diverse varianti). Stabilmente e comodamente seduto in sella (di legno, ricoperta di cuoio o tessuto), i piedi ben piantati nelle larghe staffe (ABUMI), il SAMURAI impara a cavalcare perfettamente, con e senza armatu-ra e addestra il cavallo anche al salto di ostacoli e ad attraversare profondi corsi d’acqua. Al secolo XV risale una tra le più antiche scuole di BA-JUTSU, l’OTSUBO RYU, che utilizza lo YUMI e la NO-DACHI. BAKUFU. – “Governo della Tenda”. È il nome con cui s’indica lo SHOGUNATO, il governo militare dello SHO-GUN, composto quasi per intero da guerrieri professionisti. Il primo BAKUFU risale al 1192, quando MINAMOTO-NO YORITOMO si proclama SHOGUN e governa, formalmente, in nome dell’Imperatore. Sono tre i BAKUFU nella storia del Giappone: lo SHOGUNATO di KAMAKURA (1185-1333), quello degli ASHIKAGA (1336-1573), lo SHOGUNA-TO dei TOKUGAWA (o di EDO, 1603-1868). BAKU-HAN. – Sistema di governo locale. Introdotto all’inizio dello SHOGUNATO TOKUGAWA (1603-1868), tra-sforma l’istituto dell’HAN, fondamentalmente di tipo militare, in una sorta di “piccolo regno”, sulla falsariga del BAKUFU. Ogni DAIMYO è spinto a rendere prospero il proprio feudo, ricorrendo possibilmente all’autarchia. BANKOKU-CHOKI. – Antica ARMA, utilizzata per infliggere ATEMI mortali, di cui si ha notizia nei primi anni del 1600. È un anello piatto, talvolta munito di aculei e rientra nel gruppo delle KAKUSHI, le “armi nascoste”, facil-mente occultabili tra gli abiti. Difficilmente un BUSHI utilizza armi di questo genere, considerate poco “onorevo-li” e quindi adatte solo al popolo, ai NINJA, ai briganti. Una scuola, la NAGAO RYU, risalente al secolo XVII, in-segna l’uso del BANKOKU-CHOKI (KAKUSHI-JUTSU). BANSENSHUKAI. – “Cento, mille Fiumi”. È un trattato del 1676 sul NINJUTSU, di cui descrive gli aspetti psico-fisici. Dell’autore si conosce il nome, Fujibayashi, e si sa che appartiene al TOGAKURE RYU, nella provincia di Iga. BANSHO SHIRABESHO. – “Istituto per lo Studio dei Libri dei barbari”. È il maggior centro di formazione per insegnanti giapponesi, aperto nel 1857. Compito peculiare degli studiosi è quello di conoscere e far conosce-re la tecnologia – soprattutto militare – degli Occidentali. BARAI. – Suffisso per “spazzata” (HARAI). BASAMI. – Suffisso per “forbici” (HASAMI). BATTO-JUTSU. – Con questo nome, anticamente, è anche indicato lo IAI-JUTSU. È uno stile di combattimento con la spada che si fa risalire a HAYASHIZAKI SHIGENOBU, guerriero del secolo XVII. Lo stile cura molto la velo-cità dell’azione e la precisione del colpo. BE. – “Uomini di un’arte”. Gruppi di lavoratori o di ARTIGIANI. Al disotto degli aristocratici UJI, sono raggruppati non per ereditarietà, ma occupazione e per luogo di residenza. La maggior parte di loro è contadina. BENKEI. – Leggendario monaco del secolo XII. La tradizione vuole che questo religioso, esperto di BO-JUTSU e abile combattente, affronti con un BO rivestito di ferro MINAMOTO-NO YOSHITSUNE – fratello minore di MINAMO-TO-NO YORITOMO, ancora non investito della carica di SHOGUN – e ne sia sconfitto, diventandone quindi fidato consigliere. Pare che MINAMOTO-NO YOSHITSUNE utilizzi un semplice VENTAGLIO di ferro, per parare i suoi colpi. BISEN-TO. – Arma in asta. È simile alla NAGINATA, ma la lama è più somigliante ad una falce, corta e spessa. D’uso comune fra contadini, è anche arma dei NINJA. BITEI. – “Coccige”. Punto del coccige e dei bordi laterali dell’osso sacro. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. BO. – “Bastone”. Indica, di solito, il bastone lungo fino a 280 cm, di legno di quercia. È anche termine omni-comprensivo per tutti i bastoni, lunghi (KYUSHAKU-BO, ROKUSHAKU-BO), medi (JO, HAN-BO) e corti (TAM-BO, KE-

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BO). Nel Periodo EDO (1603-1868) il BO di legno diventa strumento per ordine pubblico: se ben manovrato, può sconfiggere anche un abile spadaccino. Oggi la polizia giapponese utilizza manganelli e sfollagente detti KEI-BO e KEI-JO. BO-JUTSU. – “Arte della scherma di bastone”. “Arte di maneggiare il bastone”. Si può studiare in maniera complementare ad AIKIDO, KENDO e KARATE, oppure separatamente. Lo studio di quest’Arte Marziale si basa sull’APPRENDIMENTO di numerosi KATA, spesso eseguiti, senza protezioni, all’aperto. Temibili praticanti di BO-JUTSU sono i monaci-guerrieri (YAMABUSHI, SOHEI), che spesso usano rivestire di ferro i loro bastoni, quando non utilizzano aste totalmente di metallo (KANA-BO). Anche quest’Arte giunge dalla Cina e dalla Corea, dove è studiata nei monasteri buddisti: i monaci giapponesi adattano e migliorano le tecniche di bastone, adattandole allo stile locale. BOKKEN o BOKEN. – “Spada di legno duro”. È detta anche bokuto e replica la foggia della KATANA, anche se la scuola d’origine può determinarne una forma diversa. È fabbricata con quercia rossa (akagi) o bianca (shi-ragashi), nespolo (biwa), legno di rosa (sunuke) o ebano (koutan). Solitamente lungo 105 cm, il BOKKEN si usa negli allenamenti di KEN-JUTSU e AIKI-KEN. Le prime notizie sull’uso di un bastone di legno duro, in forma di spada, risalgono al 400 a.C. BOKU. – “Albero”. BOKUSEKI. – “Arte della Calligrafia”. Si veda SHODO. BONGE. – L’insieme degli abitanti delle campagne, contadini in generale. Sono detti anche “gente comune” (KOOTSUNIN) oppure “persone dai cento nomi” (HYAKUSHONIN) poiché, non avendo diritto ad un cognome, sono designati con nomignoli di fantasia. Si dividono in CLASSI (a salire): ZOMIN (senza specializzazione), GENIN o NUHI (gente inferiore), GESAKUNIN (piccoli coltivatori), RYOKE (proprietari terrieri). Molti guerrieri (Bushi), soprat-tutto durante il Periodo KAMAKURA (1185-1333), vengono dalle fila dei BONGE. BONJI. – Caratteri stilizzati in sanscrito. Sono utilizzati per decorare LAME d’armi bianche, sia manesche sia in asta. BONNO. – “Tempo morto”. “Pensiero che disturba lo spirito”. È quel particolare istante nel quale un combat-tente si distrae o, con altre parole, il suo spirito, soffermandosi su un qualche particolare, perde la serenità. Un avversario dotato di YOMI (“lettura”, intesa dello spirito altrui), può cogliere l’attimo e prendere il sopravven-to. È questo il motivo per il quale un combattente esperto è sempre in uno stato di “allerta permanente” (HON-TAI), con la “mente vuota” (MUSHIN) e lo spirito è libero, sereno, non turbato (MUSO). BONNO è sinonimo di SUKI. BOSHI. – “Punta” di una lama. BO-SHURIKEN. – Arma da lancio (SHURIKEN), a forma di coltello o pugnale. Il BO-SHURIKEN rientra nel gruppo delle KAKUSHI, le “armi nascoste”, è d’ACCIAIO polito o brunito, è di lunghezza modesta, ma sovente è intriso di veleno. Sono i NINJA, soprattutto, ad utilizzare, al pari di tutte le altre SHURIKEN, il BO-SHURIKEN, che è spesso lanciato in gruppo (3 o 5 alla volta). BU. – “Miliare”, “marziale”, “combattimento”. È la versione fonetica di un ideogramma cinese, che indica la connotazione militare [ma non solo: si veda BUDO]. In Giappone è utilizzato per identificare la “dimensione militare” della cultura nazionale, distinta da quella “pubblica” (KO) e dalla “civile” (BUN), entrambe riferite alle funzioni della Corte imperiale. BU compare sia nei termini composti BUKE e BUMON – che identificano le “fami-glie militari”, cosa diversa da KUGE e KUGYO [KU è variante fonetica di KO], che si riferiscono ai “nobili pubblici”, “di Corte” – sia in BUSHI, “nobile militare” e BUKE-SEIJI o BUMON-SEIJI “governo militare”, entrambi nettamente distinti da BUNJI (“nobile”) e BUNJI-SEIJI (“governo civile”). Entra anche nei termini BUDO, “Via delle Arti Marzia-li”, BUGEI, “Arti da Combattimento”, BUJUTSU, “Arti Marziali”. Ha assunto anche il significato di “armonia e ri-conciliazione dell’uomo con l’universo”: la vera Arte Marziale!

– Misura di lunghezza (vale dieci RIN, cioè 3,03 mm) ed unità di misura di superficie (anche TSUBO): vale ad un KEN quadrato, cioè circa 3,35 m2.

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BUDO. – “La Via (DO) del combattimento (BU)”. “La Via delle Arti Marziali”. “Il Cammino del Guerriero” (che, più esattamente, si traduce BUSHIDO). “La Via Marziale”. È termine generico: racchiude alcune decine di spe-cialità tradizionali, praticate da centinaia di Scuole (RYU) e – dal secolo XX – designa quelle Arti Marziali con-notate da profondi intendimenti di natura filosofica, morale, etica. Da notare che l’ideogramma cinese (KANJI) la cui versione fonetica GIAPPONESE è BU, esprime il concetto di “arrestare la spada”, “cessare di battersi”, “fermare la lotta”. Nell’Era MEIJI, dopo il 1868, nello sforzo di distinguerlo da BUJUTSU (“tecniche di combatti-mento”) e BUGEI (“Arti da guerra”) – che hanno un orientamento assolutamente strumentale, d’utilità – il BUDO è chiamato Shin Budo (“Nuova Via Marziale”), abbreviato – ancora! – in BUDO. Il BUDO non ha alcun rapporto con lo sport, poiché non solo approfondisce le relazioni con etica, filosofia e religione, riguarda la cultura men-tale e riflette sull’ego, ma, dello sport, non ha il tempo: vita o non-vita, vittoria o non-vittoria si decidono in un istante. Intuizione e azione, nel BUDO, si devono esprimere nel medesimo tempo: nella pratica non ci possono essere pensieri né esitazioni, perché non c’è tempo per pensare. Esitando, il cervello entra in funzione, inve-ce coscienza ed azione devono essere istantaneamente identici: questa è la coscienza HISHIRYO, il muoversi automaticamente ed inconsciamente. Un altro importante aspetto del BUDO, concettualmente simile allo ZEN, è il muoversi senza muoversi: stare fermi, in perfetta stabilità, significa in realtà non fermarsi [si veda, anche, FUDO-NO-SEISHIN]. È come con una trottola che gira: possiamo considerarla immobile e invece gira, ma quan-do parte e quando, alla fine, rallenta, il suo movimento è visibile. La tranquillità nel movimento è il segreto del BUDO. Tre sono i periodi che distinguono il percorso di un praticante d’Arti Marziali, di un seguace del BUDO: nel primo periodo, di lunghezza assai variabile, talvolta anche più di dieci anni, è necessario praticare con vo-lontà e coscienza. Il secondo è il tempo della concentrazione senza coscienza: l’allievo, in pace con se stes-so, può essere l’assistente del Maestro. Nel terzo periodo lo spirito raggiunge la vera libertà, muore il Maestro e si diventa Maestri. Nel BUDO, per imparare, occorre allenarsi fino alla morte (cioè sempre, senza smettere mai). È illuminante una breve storia, scritta (si dice), da Mishotsu, allievo di Lao Tzu [il Maestro Lao, autore del Tao Te Ching, “Il Libro del TAO”]. Eccola: «Un re voleva un gallo da combattimento imbattibile, perciò chiese ad un Maestro di educarne uno; costui iniziò ad insegnare al gallo la tecnica del combattimento. Dopo dieci giorni il re domandò: “È possibile organizzare un combattimento con questo gallo?”. Il Maestro rispose: “No! Il gallo è forte, ma la sua forza è vuota, effimera; è eccitato e vuole combattere sempre”. Dopo altri dieci giorni il re chiese: “Ora si può organizzare un combattimento con questo gallo?”. Il Maestro rispose: “No! Il gallo è ancora eccitato, va spesso in collera e vuole sempre combattere, anche quando sente la voce di un al-tro gallo nel paese vicino”. Dopo dieci giorni ancora, il re nuovamente chiese: “Adesso è possibile un combat-timento?”. Il Maestro rispose: “Ora il gallo non è più eccitato e se vede un altro gallo resta calmo; la sua posi-zione è corretta, la tensione forte e non va più in collera. La sua forza e l’energia non si manifestano in super-ficie”. Il re allora disse: “Quindi il combattimento si può fare!”. “Forse”, rispose il Maestro. Si organizzò un torneo e si portarono molti galli da combattimento. Nessun altro gallo, però, non poteva avvicinarsi a quello del re e tutti fuggivano impauriti. Il gallo del re, così, non ebbe bisogno di combattere: aveva superato la fase delle tecniche, aveva una forza interiore che non si manifestava in superficie. Era diventato un gallo di legno». La morale della storia? Il BUDO, la Via delle Arti Marziali, non è competizione o battaglia perché è di là della vittoria e della sconfitta. Il segreto della spada sta nel non sguainarla: non bisogna estrarla perché, se deside-riamo uccidere qualcuno, noi dobbiamo morire. Dobbiamo uccidere noi stessi, uccidere il nostro spirito, il no-stro ego. È questo il momento in cui noi siamo fortissimi, i più forti: gli altri hanno paura, non si avvicinano o fuggono, e combattere non è indispensabile, e non è necessario vincere! Nella Via del Budo – come in quella dello Zen, d’altra parte – bisogna non avere né scopo né spirito di profitto. BUDOKA. – “Chi Pratica la Via Marziale”. Il suffisso –KA indica un praticante. Si attribuisce ad ogni praticante del BUDO, a prescindere da grado o abilità tecnica; per esempio: AIKIDOKA, JUDOKA, KARATEKA. BUDO-KAI. – “Associazione delle Arti Marziali”. È il primo DOJO di JUDO di Londra, apertovi nel 1918 da Koi-zumi Gingyo, allievo di KANO JIGORO. BUDOKAN. – Nuova sede (1962) del KODOKAN, a Tokyo. Qui s’insegnano diverse Discipline del BUDO: JUDO e affini. BUDO KENDO RON. – “Trattato di Kendo”. Opera di YAMADA JIROKICHI, Maestro di KENDO, sulla sua Arte.

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BUDO-KUKAI. – Scuola paramilitare di Arti Marziali. Vive dal 1895 al 1945, in funzione preparatoria dei futuri soldati. BUDO-SEISHIN. – “Spirito del BUDO”. BUDO SOSHIN-SHU. – “Lettura elementare sul BUDO”. Opera sul BUSHIDO e sulle Arti Marziali. In quaranta-quattro capitoli, impregnati di filosofia neoconfuciana, Daidoji Yuzan (1639-1730) tratta gli aspetti educativi e morali in uso alla Corte shogunale dei TOKUGAWA. BUGEI. – “L’Arte del combattimento”. L’insieme di tutte le “Arti da Guerra” giapponesi. È termine composto da due caratteri: BU (“militare”, “marziale”) e GEI (“metodo”, “realizzazione”) ed è l’insieme delle tecniche prati-cate dai guerrieri per giungere alla migliore utilizzazione delle armi. Rientrano nel BUGEI (che comprende an-che il codice d’onore dei SAMURAI, il BUSHIDO) tutte le Arti Marziali derivanti dallo JUTSU: gli studiosi ne contano da trentaquattro a cinquanta. Dalla fine del secolo XIX, da quando, cioè, si è dilatata la dimensione spirituale delle Arti Marziali, si preferisce il termine BUDO a BUGEI. BUJIN. – “Uomo di guerra”. Come BUSHI, indica – da un certo momento della storia giapponese – il guerriero (SHI) di rango non molto elevato, mentre il solo cui spetta il titolo di SAMURAI è il guerriero di un certo rango, che nasce in una “Famiglia o Casa Militare” (BUKE, BUMON). BUJUTSU. – “Arte (JUTSU) marziale (BU)”. “Tecnica di combattimento”. Sono tutte le numerose tecniche che il BUSHI utilizza – dopo averle a lungo studiate – nella sua ricerca dell’assoluta efficacia ed efficienza in guerra. [si confronti con BUDO e BUGEI] BUJUTSU-RYU SOROKU. – “Trattato sulle Arti Marziali”. Scritto nel 1843, riporta i dati del censimento sui RYU marziali ordinato dallo SHOGUN. BUKE. – “Nobile militare”, “Famiglia Militare”, “Casa Militare”. Militari della CLASSE SAMURAI. La professione militare (come accade nelle altre CLASSI SOCIALI del Giappone feudale) si trasmette da padre in figlio, ma anche da Maestro a discepolo. I BUKE si contrappongono alle “Famiglie Nobili”, KUGE o HONKE, e si sviluppano ini-zialmente nelle Province settentrionali, dove i proprietari terrieri nipponici si scontrano con gli autoctoni AINU. L’unione di più Famiglie – o Famiglie allargate – dà origine ai Clan che, dal secolo XII, iniziano la lotta per la supremazia, sia tra loro sia contro i KUGE, gravitanti attorno alla Corte imperiale di KYOTO. Nel lungo scontro – Guerra GEMPEI, 1180-1185– tra i TAIRA (o HEIKE) ed i MINAMOTO (o GENJI), sono questi ultimi ad imporsi, nel 1185: i TAIRA sono annientati, i MINAMOTO istituiscono il primo SHOGUNATO della storia giapponese (1192) a KAMAKURA. BUKE-SHO HATTO. – “Leggi delle Case Militari”, “Codice delle Famiglie Guerriere”. Insieme di norme, pro-mulgate da TOKUGAWA IEYASU nel 1615, destinate a controllare i DAIMYO. È TOKUGAWA Iemitsu, nel 1635, a ri-vedere e correggere il testo, pur senza formalmente alterarlo. Si rifà ai codici familiari tipici del SENGOKU JIDAI, “Era del Paese in guerra” o “Era della Guerra”, periodo tra il 1467 ed il 1568, caratterizzato da continue lotte tra i Signori locali. Sono tredici regole che devono governare il comportamento della classe SAMURAI durante lo SHOGUNATO: «1) devono essere sempre praticate lo studio della letteratura e le arti umanistiche (BUN), quelle delle armi (BUKI), l’arcieria (KYU-JUTSU) e l’equitazione (BA-JUTSU); 2) devono essere evitati l’ubriachezza ed il comportamento licenzioso; 3) coloro che non rispettano la legge non devono essere nascosti in alcuna pro-prietà; 4) il DAIMYO deve scacciare qualsiasi SAMURAI accusato di tradimento o assassinio; 5) la residenza in un feudo deve essere limitata ai nativi di quel feudo; 6) le autorità dello SHOGUNATO devono essere informate di ogni progettato restauro dei CASTELLI; le nuove costruzioni sono vietate; 7) qualsiasi complotto, o fazione, sco-perti in un feudo vicino devono essere immediatamente riferiti; 8) i matrimoni non devono essere contratti pri-vatamente; 9) le visite del DAIMYO nella Capitale devono essere in accordo con le norme; 10) tutti i costumi e tutte le decorazioni devono essere appropriati al rango di colui che le indossa; 11) le persone comuni non de-vono circolare in portantina; 12) i SAMURAI devono condurre una vita semplice e frugale; 13) i DAIMYO devono scegliere in qualità di consiglieri uomini di provata capacità». Appare strano che nel BUKE-SHO HATTO non si faccia cenno ad alcun tipo di tassazione – da sempre il modo migliore per controllare i sottoposti, sudditi o cit-tadini che siano – ma lo SHOGUNATO ricorre a sistemi più raffinati: se la norma n° 6 proibisce la costruzione di nuovi castelli, pure i DAIMYO sono “invitati” ad offrire denaro, materiali e manodopera per edificare i castelli del-

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lo SHOGUN. Ed erigere tali fabbricati è operazione costosissima: basti pensare che, per la costruzione del Ca-stello di EDO (1604), per ogni 100.000 KOKU del loro reddito, i DAIMYO sono tenuti ad inviare 1.120 blocchi di pietra estratti dalle cave dell’isola Izu (blocchi enormi: ognuno deve essere maneggiato da oltre 100 uomini e possono essere trasportati sulle navi solo due per volta); non solo: per ogni 1.000 KOKU di reddito, i DAIMYO devono fornire un operaio. Altro sistema di controllo adottato, assai efficace, è il SANKIN-KOTAI (“Presenza Al-ternata”). Pure la norma n° 8 è destinata a mantenere uno stretto controllo sulla classe militare, impedendo sia i matrimoni tra i KUGE sia le unioni tra DAIMYO e cortigiane. BUKE-ZUKURI. – È lo stile – discreto, sobrio, austero – delle prime case dei SAMURAI, soprattutto dei samurai-contadini (JI-SAMURAI), anche se ritroviamo la stessa impronta nelle case si SAMURAI ricchi e potenti. A questo stile si contrappone quello aristocratico, opulento, detto shinden-zukuri. Dal 1400 circa in poi, si afferma una sorta di sintesi tra i due modelli: semplice ma raffinato, generoso nelle dimensioni, che presto è adottato dai SAMURAI ricchi e dai DAIMYO: lo SHOIN-ZUKURI. L’abitazione di un guerriero, a prescindere dallo stile architetto-nico, innanzitutto deve essere facilmente difendibile e deve quindi avere dimensioni contenute e accessi ben custoditi. Una palizzata (HATAITO) – o, in caso di capi di Clan, un muro di legno e terra (TSUIJI) – in cui s’apre un solo ingresso, sormontato da una torretta a balcone (YAGURA) circonda la dimora, spesso protetta anche con fossati, trincee, ostacoli vari.

– Comune FORNIMENTO per spada. Si compone di un fodero (SAYA) in legno laccato, un’impugnatura (TSUKA), un robusto elso ovale e di tutti gli altri accessori (FUCHI, MENUKI, KASHIRA, SEPPA) pre-visti. BUKI. – Termine generico per “arma da guerra”. BUKINOBU. – “Attacco a mano armata”. L’attacco a mani nude è TOSHUNOBU. BUKI WAZA. – Pratica d’armi. BUKKYO. – “Buddismo”. BUKYO. – Si veda BUSHIDO. BUKYO RYU. – Antico stile di scherma con la lancia a lama curva (NAGINATA). BUMON. – Termine che identifica, come BUKE, una “Famiglia Militare”. BUMON-SEIJI. – “Governo militare”. BUN. - È la versione fonetica di un ideogramma cinese, che indica la connotazione civile. In Giappone identi-fica la “dimensione civile” della cultura nazionale, che è distinta da quella “militare” (BU) e da quella “pubblica” (KO); insieme a quest’ultima, è riferita propriamente alle funzioni della Corte imperiale. BUN compare nei ter-mini composti BUNJI, “nobile” e BUNJI-SEIJI, “governo civile” entrambi nettamente distinti da BUSHI, “nobile milita-re” e BUKE-SEIJI, “governo militare”. BUN BU RYODO. – “La doppia Via”. È il metodo proposto da Yamada Soko (1622-1685), per fornire ai SA-MURAI una cultura non solo marziale, ma anche intellettuale. Egli scrive: «Se un samurai vuole avere delle re-sponsabilità in politica, dirigere dei laici e diventarne il capo, deve realizzare la Via della saggezza. Il SAMURAI, così, non deve essere solo un guerriero ma, oltre il Budo, deve ricevere una cultura sulla letteratura, il Buddi-smo, la filosofia cinese e lo Shinto.» BUNJI. – “Nobile”. BUNJI-SEIJI. – “Governo civile”. È distinto dal BUKE-SEIJI (“dominio militare”), che identifica il potere esercita-to dalla classe SAMURAI. Identifica anche l’idea del “governo attraverso la persuasione morale”, applicazione dei principi CONFUCIANI al governo della cosa pubblica, seguendo gli ideali di “governo benevolo” tipici del pen-siero neo-CONFUCIANO. BUNRAKU. – “Marionette”. Le marionette, che hanno due terzi della grandezza naturale, sono mosse da tre persone, la cui abilità infonde ai personaggi rappresentati nello JORURI un realismo eccezionale.

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BUSHI. – “Nobile militare”, “uomo della guerra”. “Guerriero” (SHI), anche se non tutti i combattenti possono de-finirsi BUSHI: più precisamente, BUSHI è il guerriero aristocratico dell’epoca prefeudale e feudale (dal secolo IX al XIX), appartenente ad una “Famiglia Militare” (BUKE, BUMON). In questo lungo periodo, in ogni caso, molti sono guerrieri senza essere BUSHI (come gli ASHIGARU arruolati da TAKEDA SHINGEN, od i coscritti di ODA NO-BUNAGA, per esempio, o TOYOTOMI HIDEYOSHI), mentre altri non sono guerrieri – non essendo specializzati nel-le Arti Marziali – pur essendo BUSHI per diritto di nascita. Normalmente indica il “cavaliere” giapponese per an-tonomasia, il SAMURAI, anche se, in verità, costui altri non è che un livello, un grado (nemmeno troppo elevato) all’interno della casta dei BUSHI e, addirittura, fino al Periodo KAMAKURA (1185-1333), è solo un armato al ser-vizio dei nobili (SABURAI). Pure BUJIN. BUSHIDO. – “La Via del Guerriero”. Si conosce l’esistenza, risalente al secolo XIII, di un codice orale, detto KYUBA-NO-MICHI (“Via dell’arco e del cavallo”), che attiene al comportamento sociale dei guerrieri. È del secolo XVII l’elaborazione del BUSHIDO (da BUSHI, “uomo della guerra” e DO, “Via”; da intendersi come “Via morale del guerriero”), che diventa il codice di comportamento e d’onore del BUSHI. L’evoluzione di un codice scritto si può far risalire ai regolamenti familiari dei DAIMYO (secolo XVI) o, ancor prima, alle “Istruzioni per la Casa” del Clan HOJO. È YAMAGA SOKO che, per primo, esamina in dettaglio la condizione del SAMURAI e, preoccupandosi dell’inattività nel tempo di pace, determina che «il SAMURAI deve riflettere sulla propria posizione nella vita, of-frendo un leale servizio al suo padrone se ne ha uno, approfondendo la sua fedeltà nei confronti degli amici e dedicandosi soprattutto al dovere». In sintesi, l’essenza del BUSHIDO è il dovere. Il dovere, in effetti, concerne tutti i gruppi sociali della società giapponese e gli appartenenti alle altre classi hanno modi diversi di compiere il proprio dovere, pur avendo identiche responsabilità nell’esprimerli. Soltanto il SAMURAI – che, contrariamente ai membri delle altre caste, i quali non sono liberi dalle loro occupazioni, non ha la necessità di lavorare – può e deve isolarsi nella “Via del Guerriero”, mantenendo viva questa regola di vita e punendo quelli che la offen-dono. L’opera di YAMAGA SOKO non è una guida pratica del BUSHIDO (e questo termine non compare nei suoi scritti), ma solo un approccio etico. È l’HAGAKURE (“Nascosto tra le foglie”), scritto da YAMAMOTO TSUNETOMO e completato nel 1716, il testo classico su cui si formano i SAMURAI: non per nulla inizia con l’affermazione «la Via del SAMURAI si trova nella morte». Il libro intero – che è una raccolta di saggi, aneddoti, scritti mistici – è un inno al primo impegno di ogni uomo d’onore, del BUSHI in particolare: il dovere (GIRI), la fedeltà. È la fedeltà che il SAMURAI deve mostrare al suo Signore, anche a costo della vita che, tanto, non gli appartiene più dal momento stesso in cui, dando la parola, impegna il proprio onore. Il BUSHI deve compiere il proprio dovere di guerriero, per l’onore (suo, della sua famiglia, della sua classe, del suo Signore) e per non essere disprezzato dagli altri BUJIN. Il BUSHI deve allenarsi costantemente nelle Arti Marziali (qualcuno afferma che il BUSHIDO è una pratica senza essere una filosofia) e coltivare quello spirito “senza paura” che gli consente di affrontare ogni situazione, dando il meglio di sé, per servire il suo Signore nel modo migliore. Il concetto esasperato di onore, unito all’altissima considerazione e rispetto di sé, porta inevitabilmente – soprattutto in una società pa-cificata e bloccata, come quella del Periodo TOKUGAWA – a lotte, sfide e duelli, cruenti e mortali, per inezie quali, ad esempio, la mancata precedenza o l’urto involontario di due spade all’angolo di una strada. I più saggi esponenti del BUSHIDO, preoccupati dalle conseguenze estreme d’episodi di tale poco conto, esortano i SAMURAI – ormai divenuti annoiati, ma armati, burocrati TOKUGAWA – a considerare innanzi tutto il dovere nei confronti dei propri Signori, padroni delle loro vite, da non arrischiare in sciocche liti. Il BUSHIDO – nato, non si dimentichi, sotto l’influsso di Buddismo e SCINTOISMO – può essere riassunto in sette punti: 1- GI (la decisione giusta nell’equanimità, la giusta attitudine, la verità; quando dobbiamo morire, noi dobbiamo morire). 2- YU (la bravura tinta d’eroismo). 3- JIN (l’amore universale, la benevolenza verso l’umanità). 4- REI (il giusto compor-tamento). 5- MAKOTO (la sincerità totale). 6- MEIYO (l’amore e la gloria). 7- CHUGI (la lealtà, la devozione). Evo-lutosi lo SHINTO in forme mistiche e patriottiche, l’influenza BUDDISTA si avverte molto forte in altri cinque punti: 1- l’acquietamento dei sentimenti. 2- la tranquilla obbedienza di fronte all’inevitabile. 3- la padronanza di sé al-la presenza di qualsiasi avvenimento. 4- la tranquilla intimità con le idee della morte e della vita (SEISHI-O CHO-ETSU). 5- la pura povertà. Non è un caso che il periodo in cui il termine BUSHIDO acquisti risonanza mondiale corrisponde ai primi del 1900, con il Giappone impegnato a consolidare la propria supremazia economico-politica in Asia, attraverso l’espansionismo militare. È INAZO NITOBE, nel 1905, con la sua opera “BUSHIDO”, che diffonde l’ideale del SAMURAI retto, coraggioso, sincero, controllato, dalla vita integerrima; e inoltre parco, incurante di ricchezze e onori, ma dedito al dovere, al servizio del suo Signore, custode dell’onore proprio e del Clan, intemerato nell’affrontare la morte. E, naturalmente, abile in tutte le Arti Marziali. Secondo INAZO NI-

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TOBE, il vero BUSHI deve possedere: senso del dovere (GIRI), generosità (ANSHA), magnanimità (DORYO), uma-nità (NINYO), risolutezza (SHIKI), fermezza d’animo (FUDO). La realtà è ben diversa, soprattutto nel Periodo E-DO, con la classe dominante investita di un potere quasi senza limiti ed esercitato senza scrupolo, nonostante il BUSHIDO abbia, in teoria, lo scopo di “umanizzare” i guerrieri. Pure BUKYO. [si veda “ Antiche arti da guer-ra” ed anche BUKE-SHO HATTO] BUSHI-NO-NASAKE. – “Tenerezza del guerriero”. È un po’ l’ideale cavalleresco, comune anche ai cavalieri medioevali europei. Significa che il guerriero deve mostrare generosità e compassione e deve essere giusto verso chiunque, poiché in tempo di pace il forte deve proteggere il debole. BUTOKUDEN. – “Luogo delle Virtù Marziali”. Identifica un edificio, vicino ad un tempio di KYOTO, che l’” Asso-ciazione per lo Sviluppo delle Virtù Marziali del grande Giappone” (DAI NIHON BUTOKUKAI) nel 1899 destina a luogo d’insegnamento delle principali Arti Marziali del BUDO. BUTSUDO. – “La Via del BUDDHA”. Così è detto, in giapponese, il Buddismo. BUTSUKARI. – “Allenamento all’attacco”. Esercizio di studio delle tecniche in movimento, in coppia. È utiliz-zato in molte Arti e Discipline Marziali, dal KENDO allo JUDO, prevede che UKE accetti la conclusione della tec-nica solo quando TORI riesca ad eseguirla correttamente. È detto anche UCHI-KOMI.

- C - CHA. – “Tè”. La pianta del tè è originaria della Cina meridionale e le sue prime applicazioni conosciute (VIII secolo) sono medicinali. Molteplici sono le virtù terapeutiche attribuite a questa pianta, utilizzata sia contro la fatica e per rafforzare lo spirito e la volontà (come infuso), sia contro i reumatismi (sotto forma d’impacco). I monaci TAOISTI lo considerano indispensabile ingrediente dei loro elisir di lunga vita, un tempo preparati bol-lendo un panetto di foglie di tè (cotte a vapore e pestate in mortaio) unitamente a riso, latte, buccia d’arancia, sale, zenzero e altre spezie. I monaci buddisti, più semplicemente, usano il tè per favorire la concentrazione. La tradizione vuole che sia il monaco buddista EISAI a portare in Giappone, nel secolo X, tanto il tè quanto la fi-losofia buddista Zen. La bevanda conosce poi la sua estrema popolarità solo 300 anni dopo, grazie sia alla diffusione del Buddismo contemplativo ZEN sia all’introduzione di forme d’intrattenimento sociale basate sulla “Cerimonia del Tè” (CHA-NO-YU).

– “Abbandonare”, “deporre”. CHADO. – “La Via del Tè”. È l’arte di preparare e gustare il tè, che trova la sua massima espressione nella CHA-NO-YU. CHANKO. – È un particolare tipo d’ALIMENTAZIONE (miscuglio di carne, pesce, verdure), destinata ai SUMOTORI. CHA-NO-YA. – “Casa per il tè”. È il sito, possibilmente appartato e immerso nella natura, destinato alla cele-brazione della CHA-NO-YU. CHA-NO-YU. – “Acqua per il tè”. La “Cerimonia del Tè”. Inizialmente, nei monasteri, il tè è utilizzato come bevanda medicinale dei monaci; presto, però, è offerto anche agli ospiti, come segno d’ospitalità, in quella che segna l’inizio di una forma d’intrattenimento sociale – anche fuori dell’ambiente monastico – giunta fino ai no-stri giorni. La bevanda in sé perde importanza e la cerimonia rappresenta un punto di contatto fra sacro e pro-fano, quasi un momento di adorazione del bello, del perfetto: è una forma artistica, insegnata nelle scuole, de-stinata a promuovere le buone abitudini e la moderazione in tutte le cose. Chi si dedica alla CHA-NO-YU imita, quasi, i filosofi ZEN nelle loro meditazioni. Tanto è vero che sono proprio due monaci ZEN, Juko (1422-1502) e Sen-no Rikyu (1520-1591) a stabilire le prime regole della cerimonia, allo scopo di promuovere buone abitudini e moderazione in tutte le cose fra chi vi si dedica. Il tè che si usa è particolare: amarognolo, denso, di un ver-de brillante, spumoso, è una polvere da sciogliere in acqua calda utilizzando un frullino di bambù. Un codice d’etichetta assai elaborato regola l’intera cerimonia e pare che l’osservanza, rigida, della prassi serva a garan-tire l’assenza d’imprevisti che possano turbare serenità e armonia dello spirito. Diversi sono i modi rituali di gustare il tè, secondo il tipo di cerimonia cui si partecipa, ma, sempre, è necessario complimentarsi per il sa-pore ed ammirare e commentare la bellezza della tazza. L’importanza che la CHA-NO-YU ha nella società feu-

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dale giapponese, si nota – tra l’altro – dalla raffigurazione degli strumenti tipici di quest’arte sui fornimenti d’armi classiche. Non si dimentichi che uno degli scopi iniziali perseguiti dalla cerimonia, è quello di far recu-perare calma e concentrazione ai guerrieri, facendo loro controllare al meglio spirito e contegno. La CHA-NO-YU non è un’Arte Marziale, ma ne è considerata valida integrazione e non è raro il caso di Maestri di cerimonia che lo sono anche di Arti Marziali. Ancora oggi questa cerimonia è studiata: in una tazza di tè si può trovare la serenità, l’armonia con l’universo e l’autorealizzazione. CHATAN YARA. – Maestro di Arti Marziali del XVIII secolo. Da OKINAWA si reca in Cina per apprendere le Di-scipline di quel Paese e, al ritorno, fonda una scuola per il combattimento a mani nude e con armi, basata sul-lo studio dei KATA. Tra i più conosciuti, ci sono i KATA con i SAI (Chatan Yara no Sai) e quelli con il BO (Chatan Yara no Bo), ancora oggi insegnati nello SHORIN RYU KARATE-DO. CHELANG. – “Schiena”. Zona della 7^ vertebra dorsale. CHI. – “Terra”. CHIBA EIJIRO. – (1832-1862) SAMURAI. È figlio di CHIBA SHUSAKU, il fondatore dello HOKUSHIN ITTO RYU di KEN-JUTSU. CHIBA SHUSAKU. – (1794-1855) SAMURAI. Allievo di OTANI SHIMOSA KAMI SEIICHIRO, è il fondatore dell’HOKUSHIN ITTO RYU di KEN-JUTSU. Ancora oggi è ricordata la sua tecnica “di frusta” con lo SHINAI. Gli alle-namenti dei suoi allievi, talvolta armati gli uni con il BOKKEN dritto, gli altri con KATANA o NAGINATA (soprattutto se donne), spesso diventano gare spettacolari, con contorno di pubblico. CHIBANA CHOSHIN. – (1885-1969) Maestro di KARATE, nativo di Shuri (OKINAWA). Nel 1920 cambia in SHO-RIN RYU KARATE-DO il nome della scuola SHURI-TE e, nel 1956, fonda l’Okinawa Karate-do Renmai, associazio-ne che raggruppa tutti gli stili di KARATE insegnati nell’isola. CHIBURI. – “Pulire la lama”. E’ un brusco movimento del polso, per rimuovere il sangue dalla lama della KA-TANA, dopo un combattimento, prima di rinfoderarla (NOTO) Il CHIBURI segue le fasi NUKI-TSUKE (“sguainare”) e KIRI-TSUKE (“tagliare”). E’ una delle tecniche di base (SHODEN) dello IAIDO. CHIGIRIKI. – Variante del KUSARI-GAMA, destinata più all’attacco che alla difesa. Una catena unisce all’impugnatura (un lungo bastone) una palla di ferro. La catena è lunga quanto l’impugnatura stessa. L’arma è usata per colpire o bloccare l’avversario e pararne i colpi. Appartiene alla famiglia delle mazze articolate, dove la forza del colpo è moltiplicata dalla flessibilità della catena. CHIGO. – “Paggio” di un monastero. Molti infanti di famiglie nobili, sono affidati a monaci e religiosi, per rice-vere educazione ed istruzione, servendo come paggi. Abbigliati lussuosamente, dipinti e con le sopracciglia rasate come le ragazze, molto spesso anche si comportano come tali. Nel Giappone feudale l’omosessualità è frequente e ammessa nella società sia civile, sia monastica, sia guerriera. I giovani, molto presto iniziati alle pratiche sessuali, godono tutti di grande libertà e crescono senza falsi pudori: la sessualità fa parte delle cose della vita. CHIKAKAGE. – Spadaio di Osafune, nella provincia di Bizen, considerato tra i migliori del suo tempo. Si con-servano sue lame datate 1317. CHIKA-MA. – È la distanza di un passo tra due avversari, generalmente troppo corta. CHIKARA-GAMI. – “Salvietta” di carta speciale. La usano i SUMOTORI, prima e dopo il combattimento, per a-sciugare il sudore. CHIKARA NO DASHI KATA. – “Estensione della potenza”. CHIKIRI ODOSHI. – Tipo di allacciatura di armatura (ODOSHI). CHIKU. – “Bambù”. Nell’immaginario collettivo delle Arti Marziali orientali rappresenta il simbolo di flessibilità: forza unita a cedevolezza. Anche TAKE.

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CHIKUTO. – Si veda SHINAI. CHI-MEI. – ATEMI mortale. Nelle gare, soprattutto di KARATE, non è – ovviamente! – portato a fondo. CHIN. – “Calma”. CHINKON. – “Calmare lo spirito”. Significa acquietare la mente ed il corpo, mediante MUDRA ed invocazioni; normalmente si pratica in un luogo sacro. Si veda CHINKON-KISHIN. CHINKON-KISHIN. – “Calmare lo spirito e tornare al divino” (da CHINKON e KISHIN). È un’antica tecnica di me-ditazione, della tradizione SHINTO, usualmente praticata dal Maestro UESHIBA MORIHEI. Questa pratica somi-glia molto a MISOGI. CHIOKEN. – È il contrattacco, dalle conseguenze letali se portato a fondo, contro tecnica di calcio. È tipico della scuola SHORIN RYU KARATE-DO. CHISA KATANA. – Spada di dimensioni intermedie tra KATANA e WAKIZASHI. Portata normalmente con l’abbigliamento di Corte, specie al servizio dello SHOGUN, misura circa 45 cm. Lama, TSUBA e fodero somiglia-no a quelli di KATANA e WAKIZASHI. CHO. – Misura agraria di lunghezza. Vale 60 KEN ed equivale, secondo le Regioni, da 105,42 a 109,08 metri.

– Misura di superficie (60x50 KEN). Vale 10 TAN ed equivale a circa 1 ettaro. CHO-ICHI-RYU. – “Grande spadaccino”. Titolo attribuito ad OTANI SHIMOSA KAMI SEIICHIRO. CHOKU TSUKI. – Colpo con il bastone, all’altezza del plesso solare. CHONIN. – Termine generico per designare il popolo. Nel Periodo TOKUGAWA indica, soprattutto, la borghesia cittadina. CHON-MAGE. – Acconciatura dei SUMOTORI [si veda]. CHOYAKU UNDO. – Esercizio durante il quale si esegue il movimento saltando. CHU. – “Medio”; “centro.” CHUDAN. – “Livello medio”. Nelle Arti Marziali indica l’altezza di un attacco o di una parata. È il livello com-preso fra l’addome e lo sterno.

–“Medio”. Posizione media della mano. È la zona che va dall’addome alla parte superiore dello sterno. CHUDAN MAE-GERI. – “Calcio frontale al livello medio”. CHUDAN KAMAE o CHUDAN-GAMAE. – “Guardia media”. Allorquando si riferisce a posizione di guardia con armi (la cui punta è tenuta parallela al terreno), è più corretto chudan no kamae. CHUDAN TSUKI. – “Pugno diretto all’addome, allo stomaco”. Colpo diretto medio (addome, stomaco). UKE attacca sferrando un pugno al torace. CHUDEN. – È la trasmissione mediana nell’antico sistema di classificazione del BUGEI: la metà del cammino è compiuta.

– “Insegnamento medio”. Identifica una serie di KATA, chiamati HASEGAWA EISHIN RYU, tipici del MUSO SHINDEN RYU: dieci tecniche eseguite in posizione eretta. CHUGI. – “La lealtà, la devozione”. Uno dei sette punti del BUSHIDO. [si veda] CHUJO RYU. – Stile di combattimento con la spada. È creato, intorno al 1400, da Chujo Nagahide ed è alla base di molte scuole di KEN-JUTSU. Tra le più importanti ci sono: GAN RYU; HASEGAWA RYU; ITTO RYU; KANE-MAKI RYU; MUTO RYU; NIKAIDO RYU; Toda-ha Ryu; Tomita Ryu.

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CHUKEI. – “Ventaglio di Corte”. È del tipo pieghevole (OGI), con le stecche esterne molto angolate. Sostitui-sce il bastone SHAKU. CHUKITSU. – “Articolazione interna del gomito”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. CHUNIN. – Sono gli organizzatori, i pianificatori delle operazioni, delle missioni commissionate ai capi (JONIN) \dei Clan o Famiglie NINJA. Ai loro ordini sono i GENIN, gli esecutori. CHUN NO KON. – KATA di base eseguito con il BO. Il bastone è utilizzato per colpi di punta e tecniche di per-cossa diagonale. CHUSEN. – “Estrazione a sorte”. CHUSHINGURA. – È il titolo della rappresentazione teatrale dell’AKO-GISHI. CHUSOKU. – “Palla del piede”: parte carnosa sotto le dita. Pure KOSHI. CHUTO. – “Radice del naso”. Punto naso-frontale. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure UTO.

- D - DACHI. – Suffisso per “stare in piedi” (TACHI).

– Suffisso per “spada” (TACHI). DAI. – “Grande”. Anche TAI.

– È la discendenza, non per parentela, del Maestro di un RYU. DAI NIHON BUTOKUKAI. – “Associazione per lo Sviluppo delle Virtù Marziali del grande Giappone”. È un’organizzazione statale, fondata nel 1895 ed attiva fino al termine della Seconda Guerra Mondiale, destinata all’insegnamento delle principali Arti Marziali del BUDO. DAI NIHON BUDO SENYO-KAI. – “Associazione per la Promozione delle Arti Marziali Giapponesi”. Fondata nel 1932 con l’auspicio della chiesa OMOTO-KYO, questa organizzazione – il cui Istruttore capo è UESHIBA MO-RIHEI – si prefigge lo scopo di istruire ed allenare una Milizia popolare. DAIDAIIRO. – “Arancione”. DAIDO RYU. – Scuola d’Arti Marziali ad AIZU. Vi s’insegna KEN-JUTSU (“arte della spada”), KYUBA (“tiro con l’arco da cavallo”), KA-JUTSU (“uso del moschetto”), SO-JUTSU (maneggio della lancia). Il fondatore è GOTO TAMAUEMON TADAYOSHI. DAIGO TETTEI. – “Realizzazione dello stato di Buddha” in sé. È uno dei punti dottrinali della filosofia ZEN. [si veda] DAIMYO. – “Nome grandioso” o “grande nome”. Di classe SAMURAI, il DAIMYO è sia un “signore della guerra” sia un proprietario terriero; spesso è il Signore della provincia, un tempo assegnatagli con l’incarico di Gover-natore [si veda SHUGO]; sempre è a capo di un Clan. In alcuni periodi storici il DAIMYO è l’assoluto padrone delle terre, che amministra e governa come fossero il suo regno privato, senza riferimento ad alcuna autorità esterna, imperiale o shogunale che sia. Nel Periodo EDO (1603-1868) un DAIMYO possiede una rendita di al-meno 10.000 KOKU (1.800.000 litri di riso) l’anno, con cui deve provvedere al mantenimento della Famiglia – SAMURAI e servitori compresi – alla manutenzione del castello di residenza ed al SANKIN-KOTAI. Tra di loro l’Imperatore sceglie (formalmente) lo SHOGUN. All’epoca della Restaurazione MEIJI molti DAIMYO restituiscono le donazioni di terre ricevute dallo SHOGUN restando, spesso, nell’ormai abolito HAN come governatore, agli or-dini dell’amministrazione centrale. DAI-SENSEI. – “Grande Maestro”. Solo pochi, eccezionali personaggi hanno diritto a questo titolo (o di O-SENSEI): UESHIBA MORIHEI, FUNAKOSHI GICHIN, KANO JIGORO, ad esempio.

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DAI-SHO. – “Grande-piccola”. Termine formato dall’unione delle due parole DAI-TO (spada lunga) e SHO-TO (spada corta): indica la coppia di spade portate da nobili e SAMURAI, indipendentemente dal rango. Può essere la classica coppia d’armi, KATANA e WAKIZASHI, infilata nella cintura degli abiti civili, oppure quella TACHI e TAN-TO, portata con l’armatura o l’abbigliamento di Corte. L’Etichetta (REIGI) non ammette confusione: è impensa-bile abbinare KATANA e TAN-TO piuttosto che WAKIZASHI e TACHI. Sempre il REIGI prevede che l’ospite deponga la KATANA all’ingresso, portando con sé la WAKIZASHI (che colloca sulla stuoia, alla destra); per dimostrare un più profondo rispetto al padrone di casa – ma questo comportamento è obbligatorio alla presenza dell’Imperatore o dello SHOGUN – depone entrambe le armi all’ingresso. Se la KATANA, per richiesta del padro-ne di casa, è portata all’interno, viene posata su una rastrelliera alla destra dell’ospite, in modo da non poter essere afferrata ed usata (mai alcun’arma è posata a sinistra, tranne che in imminente pericolo d’attacco). È considerato un insulto, una provocazione, esibire una lama nuda, a meno di non volerla mostrare come ogget-to prezioso; in questo caso la spada è tesa, per l’impugnatura, all’ospite, che lentamente, un po’ alla volta, e-strae la lama dal fodero, mai completamente però. Solo dietro insistenza del proprietario la lama può essere snudata del tutto, con molte scuse e, soprattutto, l’accortezza di tenerla verso l’alto e lontano dai presenti. La coppia d’armi è fabbricata e decorata in modo corrispondente. Sono detti DAI-SHO anche le coppie di TSUBA ed i vari accessori, ornamenti e fornimenti, gli uni leggermente più grandi degli altri. Il diritto di portare il DAI-SHO è soppresso nel 1876: da quel momento in poi i SAMURAI sono ufficialmente privati del simbolo della propria esi-stenza. DAISUKE NISHINA. – Pare abbia fondato, nel secolo XII, il TOGAKURE RYU, scuola di NINJUTSU che, sembra, è ancora attiva nella provincia d’Iga. DAI-TO. – “Grande spada”. Classe di spade con lama di lunghezza superiore a 60 cm e curvatura più o meno accentuata. I SAMURAI sono soliti portarla con la WAKIZASHI, classe SHO-TO, a formare un DAI-SHO. [si veda KA-TANA, TACHI, TO] DAI-TO AIKIDO. – Scuola tradizionale d’AIKI-JUTSU (UESHIBA MORIHEI è allievo di questa scuola). DAITO AIKIJUTSU. – È questo il nome dello stile di AIKI-JUTSU codificato, alla fine del secolo XI, da MINAMO-TO-NO YOSHIMITSU. È attraverso Yoshikiyo, secondo figlio di MINAMOTO-NO YOSHIMITSU, che si stabilisce nella provincia di Kai, a Takeda, prendendo questo come nome della sua Casata, che il DAITO AIKIJUTSU entra a far parte delle tecniche segretamente insegnate nella Famiglia TAKEDA, tramandate per generazioni solo ai suoi membri e famigli. Dal 1574, anno in cui TAKEDA Kunitsugu si trasferisce ad AIZU, le tecniche del DAITO AIKIJU-TSU sono conosciute come AIZU-TODOME ed anche ODOME. DAITO RYU AIKI-JUTSU. – Scuola d’AIKI-JUTSU, JU-JUTSU e KEN-JUTSU. È fondata in AIZU, alla fine del XIX secolo, da TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI, cui succede il figlio TAKEDA TOKIMUNE. Inizialmente il si-stema di combattimento è chiamato YAMATO RYU, ma verso il 1922-23 gli viene cambiato il nome in DAITO RYU AIKI-JUTSU, per la ricerca di un passato “nobile”: Daito è il nome della casata di MINAMOTO-NO YOSHIMITSU, che codifica lo stile DAITO AIKIJUTSU, alla fine del secolo XI. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI si auto-proclama 35° Caposcuola della stile che inventa, grazie a documenti contraffatti. Alcune delle 108 tecniche fondamentali di questa scuola – apprese da UESHIBA MORIHEI, nell’isola di Hokkaido (1911-16) e successiva-mente (1922) ad Ayabe – si ritrovano ancora oggi, spesso modificate, nell’AIKIDO. DAN. – “Gradino”, “scalino”.

– “Livello” o “grado superiore”, attribuito con l’acquisizione della cintura nera [si veda KYUDAN]. In AIKI-DO, formalmente, esistono dieci livelli (anche se il 10° DAN spetta unicamente al DOSHU), i primi tre (o quattro, secondo la scuola) acquisiti normalmente con esami, i successivi attribuiti per merito. DANSHA o YUDANSHA. – Chi ha acquisito il grado di cintura nera, cioè possiede almeno un DAN. DANSEN. – “Ventaglio d’uso personale”. Si veda UCHIWA. DAN TSUKI. – È una rapida successione di pugni, inferti con lo stesso arto a livelli diversi. DARUMA. – Nome giapponese di BODHIDHARMA.

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DE-AI. – Contrattacco eseguito approfittando del BONNO dell’avversario. È possibile solo se il combattente è nello stato HONTAI, di allerta permanente, con la “mente vuota” (MUSHIN) e lo spirito è libero, sereno, non turba-to (MUSO). È termine composto, che deriva dal verbo deru, “avanzare” e da AI, “unione”, “armonia”. DEGUCHI NAO. – (1836-1918) Profetessa dalla vita travagliata. È analfabeta, ma pare che dopo la sua prima visone (1892) sia in grado di leggere e scrivere correttamente. Per ventisette anni, fino alla morte, scrive pro-fezie sotto dettatura del dio Konjin: 100.000 pagine, nelle quali si trovano le predizioni sulle guerre future (la cino-giapponese, la russo-giapponese, la I e la II Mondiale) ed insegnamenti vari. DEGUCHI ONISABURO. – (1871-1948, si legge anche WANISABURO) Predicatore religioso, il suo nome è UEDA KISABURO fino al matrimonio (1900) con Deguchi Sumiko, figlia di DEGUCHI NAO, da lui avvicinata nel 1898. Dall’incontro delle loro esperienze nasce, tra il 1906 ed il 1908, la religione OMOTO-KYO. La nuova “chie-sa” si afferma nel 1913 e diventa assai potente nei successivi anni ’20, sconfinando però nell’attivismo politico e paramilitare, tanto che nel 1921 il movimento è represso e DEGUCHI ONISABURO è imprigionato per oltre quat-tro mesi (altre repressioni si hanno nel 1935 e negli anni ‘40). DEGUCHI ONISABURO ha incredibili capacità lette-rarie: nel corso della sua vita detta oltre 600.000 componimenti poetici e lascia libri in quantità, compresi gli ot-tantuno volumi del Reiki-monogatari (“Racconti del Mondo Spirituale”), che vanta una prefazione di ben 400 pagine! DENKO. – “Fianchi”, “costole flottanti”. Punto dell’ipocondrio, destro e sinistro, e del fegato. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure INAZUMA. DENSHO. – “Documenti segreti”. Sono gli archivi familiari degli antichi Clan, nei quali sono registrate e de-scritte le tecniche particolari della scuola o dello stile (RYU), ed il cui insegnamento è precluso agli estranei. I DENSHO si trasmettono di padre in figlio o da Maestro a discepolo.

– Campana dei monasteri ZEN. È suonata dal Doan ed annuncia le funzioni. DHARMA. – (sanscrito) “Legge”. Questo termine può indicare sia l’insegnamento del Buddha sia la verità uni-versale, tanto la natura di sé quanto, semplicemente, “la Via”. DO. – “La Via”; “metodo”, “strada”. Racchiude una vera e propria visione del mondo e della vita, oltre alla for-ma (diversamente dallo JUTSU, “tecnica” pura). È il mezzo, la via, lo stato per ottenere il superamento della di-visione tra l’“io” ed il “non-io”. L’ideogramma segnala il cammino spirituale intrapreso dai praticanti di una Di-sciplina marziale e dagli adepti di una dottrina religiosa o artistica. È un termine cino-giapponese (in cinese è Tao, o Dao) il cui corrispondente vocabolo in giapponese puro è MICHI, che significa “cammino”. È affascinan-te l’idea di una via, di un cammino spirituale, che implica anche uno scopo finale: l’integrazione armoniosa dell’uomo con le leggi dell’universo, attraverso un’ampia varietà di comportamenti morali e sociali. È il Tao ci-nese, il cui simbolo è un cerchio in cui una linea sinuosa separa due parti, bianca e nera, ciascuna contenente entro di sé il germe del proprio opposto. Tale simbolo esprime un concetto: nulla esiste se non in virtù dell’incessante azione reciproca dei due principi fondamentali, Yang e Yin, positivo/negativo, luce/oscurità, maschile/femminile, sole/luna, caldo/freddo, e così via. A differenza del Tao cinese, il concetto giapponese di DO, di via che conduce all’illuminazione (SATORI), non ha generalmente implicazioni religiose e, poiché “cam-mino” (MICHI), esprime la costante ricerca della perfezione, dell’armonia spirituale universale, dell’unione (AI) del proprio spirito con quello di tutti gli esseri del creato.

– Corazza dell’armatura leggera (sviluppatasi soprattutto dal XIV secolo), dotata di parecchi pezzi sup-plementari. Da ricordare, tra le molte varianti, due gruppi dello stile classico: DO-MARU (che si apre sul fianco) e HARAMAKI-DO (che si apre sulla schiena). Normalmente costituita da piccole piastre (KOZANE) - che possono essere d’osso di balena, metallo, cuoio - laccate e unite da cordoncini di seta variamente colorati, la DO è ela-stica e leggera. La precisione dell’allacciatura ed il rispetto della rigorosa gerarchia dei colori determina la qua-lità dell’armatura. La primitiva armatura (TANKO, KAWARA) si trasforma, nel medio e tardo Periodo HEIAN (circa 858-1156), nella YOROI, indossata dai ricchi guerrieri, BUSHI o SAMURAI e nella O-YOROI (“la Grande Armatura”) destinata ai generali ed ai guerrieri di rango elevato, mentre le truppe a piedi portano l’HARAMAKI. Oggi, con DO (o MUNE-ATE), s’indica la protezione metallica, o fatta con bambù laccato, per torace e stomaco dei KENDOKA.

– “Risposta”. Si veda MONDO.

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DOGEN ZENJI. – (1200?-1253) Nel 1227 circa, di ritorno dalla Cina, fonda la SOTO-SHU, scuola ZEN ancora attiva. Nato in Giappone, è l’autore dello Shobogenzo, “L’Occhio (o Tesoro) della Vera Legge”, importante collezione di saggi sul DHARMA e testo fondamentale dello ZEN. DOGU. – Equipaggiamento protettivo dei KENDOKA. È la versione moderna dell’armatura TAKE GUSOKU, indos-sata sopra un pesante KEIKOGI completo di HAKAMA. Il DOGU è costituito da casco (MEN) con maschera a griglia (MEN-GANE) e falde per le spalle, corazza per il petto (MUNE-ATE o DO), protezione a grembiule (TARE e TARE-OBI) per il ventre, bracciali e manopole (KOTE). Sotto il casco, per meglio assorbire colpi e sudore, s’indossa una salvietta (HACHIMAKI), annodata intorno alla testa. DOHAI. – Chi ha la stessa anzianità nella pratica dell’AIKIDO. DOHYO. – “Cerchio sacro”. È la zona circolare – in terra battuta, ricoperta di sabbia fine, con diametro di 4,55 metri – al centro della piattaforma quadrata (5 o 7 m. di lato, sollevata di circa 60 cm dal suolo) sulla quale si svolgono i combattimenti di SUMO. Il “cerchio sacro” è delimitato da una fune di paglia intrecciata, parzialmen-te interrata: chi è spinto oltre la fune – o mette a terra una qualsiasi parte del corpo, piedi esclusi – è sconfitto. Sopra il DOHYO è sospeso un tetto a due falde, a ricordare quello di un santuario SHINTO; dagli angoli della co-pertura pendono grosse nappe colorate, che simboleggiano le stagioni. DOHYO-IRI. – “Presentazione rituale”. È quella dei partecipanti ad un torneo o combattimento di SUMO, fatta ancora oggi dall’”araldo” (YOBI-DASHI) seguendo regole e rituali antichi di secoli. I SUMOTORI indossano un grembiule da cerimonia (KENSHO-MAWASHI). DOHYO-MATSURI. – “Cerimonia propiziatoria”. È una funzione SCINTOISTA che precede l’inizio di un torneo o combattimento di SUMO. Il celebrante è il giudice-arbitro (TATE-GYOJI), che invoca i KAMI, recita preghiere, offre sacrifici (SAKÈ e sale) e pone sul DOHYO oggetti di buon auspicio, come castagne (KACHIGURI), riso purificato (SENMAI), alghe marine (KOMBU). DOJO. – “Il Luogo dell’Illuminazione”. “Il Luogo dove si pratica la Via”. “Sala per la ricerca del DO”. È il luogo dove si pratica un’Arte o una Disciplina Marziale e nel quale si entra, soprattutto, per incontrare se stessi. Per la mentalità occidentale riesce difficile considerarlo un vero e proprio “spazio sacro” – il termine Dojo, un tem-po, indica il luogo del monastero riservato alla meditazione – ma, in ogni caso, resta il luogo dove si cammina insieme verso la conoscenza. Solo se il Maestro è già presente nel DOJO, si sale sul TATAMI e se la lezione è in corso, si può salire o scendere solo con il suo permesso. Per salire, volte le spalle al TATAMI, ci si sfilano i sandali, che rimarranno ordinatamente con le punte all’esterno; ogni volta che si sale o si scende si esegue un breve saluto in piedi (RITSU-REI). Il TATAMI ricopre il centro della sala, possibilmente in quadrati di 8 o 10 metri di lato e dovrebbe essere sollevato dal suolo di almeno quindici centimetri. Quando possibile, il KAMIZA, “il mu-ro alto”, la cosiddetta “sede superiore” (d’onore) del SENSEI, è orientato a Nord; al suo centro trova normal-mente posto, in Occidente, un ritratto del fondatore della Disciplina o dell’Arte Marziale insegnata, a simboleg-giare la continuità nella trasmissione dell’insegnamento e, spesso, l’insegna del DOJO. In ogni caso, il KAMIZA normalmente si colloca sul lato opposto all’entrata. Gli allievi si dispongono sulla “sede inferiore” (SHIMOZA), di fronte al SENSEI, partendo dalla sua destra con quelli di grado meno elevato. Eventuali ospiti o gli assistenti del SENSEI si collocano sul “lato superiore” (JOSEKI) del TATAMI (a sinistra, visto dal KAMIZA), che è la parte più onorifica. Il lato opposto (“inferiore”) è chiamato SHIMOSEKI. Durante cerimonie o manifestazioni il KAMIZA è il posto destinato alle autorità, alla bandiera, alla presidenza eccetera. Ogni luogo di pratica può trasformarsi in Dojo, se crediamo in quello che facciamo. DOJO-ARASHI. – “Tempesta nel DOJO”. Si veda YABURI-DOJO. DOJO-CHO. – “Direttore del DOJO“ [si intende l’HONBU DOJO]. DOJO-YABURI. – Si veda YABURI-DOJO. DOKA. – “Canto della Via”. Breve poesia, poemetto scritto a scopo didattico, per insegnare l’essenza dell’Arte ed ispirare gli allievi, ha una precisa sequenza di sillabe: 5-7-5-7-7.

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DOKKO. – “Mastoide”. Punto dell’apofisi mastoidea retro-auricolare. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. DOKEN-JUTSU. – “Arte di eseguire gli ATEMI”. È compresa nel TAI-JUTSU. DOKUKODO. – Trattato scritto da MIYAMOTO MUSASHI. In ventuno capitoli l’autore si sofferma sulle qualità che ogni guerriero deve possedere, dal senso dell’onore allo sprezzo per la morte, dal disinteresse all’austerità, e fornisce consigli etici ai lettori. DOKYU. – Ingegnosa balestra a ripetizione, di probabile origine cinese. Già Sun Tsu, nel trattato sull’Arte del-la guerra, del 500 circa a.C. accenna all’utilizzo di balestre, il cui uso è documentato durante la DINASTIA Han (206 a.C.-220 d.C.); nel 100 d.C. si ha notizia di balestre a ripetizione. La DOKYU è formata da un arco, di cor-no, di 70-80 cm, fissato ad un fusto di legno che è sormontato dall’astuccio mobile contenente le frecce. Una leva, imperniata a fusto ed astuccio, con il suo movimento consente di tendere l’arco, mettere in posizione la freccia (che cade per gravità) e tirare. DO-MARU. – Variante dell’armatura leggera, aperta sotto il braccio destro. In origine destinata ai fanti, è adot-tata dai SAMURAI nel periodo della guerra civile (guerra Nambokucho) tra gli ASHIKAGA ed i KUSUNOKI (1336-1392), quando l’ingombrante YOROI si rivela inadatta al combattimento appiedato in terreno difficile (boschi in località montagnose). Il tipo comune ha corsaletto fatto di piccole piastre metalliche, laccate e tenute insieme da cordoncini di seta colorata. Si conoscono diverse varianti di questo tipo d’armatura: HATOMUNE-DO, HOTOKE-DO, TATAMI-DO. DOMO ARIGATÒ GOZAIMASHITA. – “Grazie molte” (si dice anche arigatò gozaimashita). DORI o TORI. – “Presa”. “Prendere”. DORYO. – “Magnanimità”. È quella che, secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve possedere. [si veda BU-SHIDO] DOSA. – “Esercizio”. DOSHA. – “Tiro cerimoniale” (nel KYUDO, ma non solo), effettuato in particolari, solenni occasioni. È un rito scintoista, con l’arciere, l’officiante, in costume tradizionale, assistito da vari assistenti: uno porta la spada, uno l’arco, un altro è l’attendente (similmente a quanto accade nella “presentazione rituale”, DOHYO-IRI, dei tornei di SUMO). Si celebra lo “spirito” della freccia, che è tramite fra arciere e bersaglio, uniti nell’”armonia del KI” (AIKI). La prima freccia che viene scoccata è una “freccia fischiante” (KABURA-YA), che scaccia gli spiriti maligni. Quando la cerimonia non è particolarmente importante, il tiro cerimoniale si chiama REISHA. DOSHU. – “Guida”. Titolo riconosciuto agli eredi di UESHIBA MORIHEI, nella guida dell’AIKIKAI. Dal 18 gennaio 1999 tale ruolo è ricoperto da UESHIBA MORITERU, 2° DOSHU, figlio di UESHIBA KISSHOMARU (1° DOSHU) e nipote di O-SENSEI. DOSO. – Titolare di depositi di derrate alimentari. All’epoca della riunificazione delle Corti a KYOTO (Periodo ASHIKAGA, 1392), si afferma sempre più l’élite mercantile formata dai DOSO. All’inizio del secolo XV i DOSO, so-prattutto a KYOTO, svolgono anche la funzione di agenti di cambio e prestatori di denaro su pegno (e spesso sono usurai), ma rappresentano anche l’unica fonte di finanziamento per artigiani e piccoli bottegai, tanto che i cittadini – riuniti nelle associazioni MACHI – si uniscono a loro nella difesa contro le scorrerie degli IKKI. DOSOKU KATA SODE DORI. – “Seconda presa alle maniche”. DOSOKU TE DORI. – “Terza presa di polso (o di braccio)”. DÔZO. – “Prego!”. “Favorite!”.

- E - EBI. – “Aragosta”.

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EBIRA. – Tipo di faretra. È spesso di bambù, pregevolmente laccata, decorata con il MON della Famiglia o del Clan; si porta appesa alla spalla sinistra. Di solito è costituita da una cassetta aperta, con una serie di stecche che fermano le cuspidi (YANO-NE) delle frecce (YA) e da un telaio metallico (talvolta d’osso di balena), anch’esso aperto, munito di cordicelle per tenere le aste. Una corda di ricambio dell’arco ed altri accessori possono trovare posto in un cassettino, nella parte inferiore. EBOSHI. – Tipico copricapo per maschi adulti. Dal secolo XI è segno distintivo dei SAMURAI, che lo ricevono solo dopo la cerimonia della “Consegna del Cappello” (GENPUKU). Di forma approssimativamente triangolare, simile al “berretto frigio”, l’EBOSHI è di feltro (o crine di cavallo), nero, alto ed è portato con l’estremità pendente sulle spalle; in battaglia è indossato sotto l’elmo. Il clero SHINTO ed i nobili indossano un EBOSHI che assomi-glia ad una cuffia (nae-eboshi). La piccola nobiltà, i funzionari e la gente comune che non può accedere a Corte porta un EBOSHI a tubo, laccato, più o meno rigido. I grandi nobili, nell’intimità, sostituiscono il KAMMURI con un EBOSHI alto, di seta nera laccata. EBOSHI-KABUTO. – Elmo a forma di EBOSHI. Il COPPO è tutto in ferro, la visiera angolata sul davanti. Nel Pe-riodo EDO (1603-1868) il coppo è esageratamente alto. EBOSHI-NA. – È il nuovo nome attribuito al giovane SAMURAI, dopo la cerimonia della “Consegna del Cappel-lo” (GENPUKU). Da quel momento il giovane è un adulto a tutti gli effetti. EDA. – “Ramo”. EDO. – Antico nome di Tokyo.

– Indica il ciclo storico (detto anche TOKUGAWA) che va dal 1603 al 1868. Gli SHOGUN TOKUGAWA – che stabiliscono la sede della nuova capitale del Governo a EDO, antico nome di Tokyo – riescono a garantire un lungo periodo di pace, ma il Paese si chiude su se stesso ed agli stranieri. Sono tre le fasi che segnano il Pe-riodo EDO: di “cristallizzazione” (fino al 1680), di “equilibrio” (fino agli inizi del secolo XVIII) e di “disgregazione finale” (dal 1710 al 1868). È anche il momento in cui inizia quello che può considerarsi, a tutti gli effetti, il vero e proprio “culto della spada”: TOKUGAWA IEYASU, nella sua “Eredità” (le istruzioni ai successori), ne assimila l’uso in combattimento al corretto uso della forza militare e del potere e lascia scritto: «la spada è l’anima del samurai. Se qualcuno la dimentica o la perde, non sarà scusato». EISAI. – (1141-1215) Monaco buddista, della scuola filosofica cinese Linji o Huang-long. Per la tradizione, ol-tre ad aver fondato, nel 1191, la setta RINZAI, introduce in Giappone la filosofia ZEN ed il tè. EISHIN. – Famoso Maestro di KEN-JUTSU e IAI-JUTSU del XVIII secolo. Appartiene alla Famiglia HASEGAWA CHIKARA-NO-SUKE HIDENOBU e fonda il proprio stile di IAI-JUTSU, l’HASEGAWA EISHIN RYU, dopo aver lungamente studiato le tecniche del MUSO JIKIDEN RYU, a EDO, divenendone anche il 7° Caposcuola. EKAGAMI. – “Specchio” di metallo. EKI-KYO. – Traduzione del cinese YI JING (“Libro dei Mutamenti”). EKKU. – “Remo di legno”. È anche questa un’arma – non convenzionale: fa parte del KO-BUDO – utilizzata dai pescatori d’OKINAWA contro i SAMURAI, con tanto successo che anche MIYAMOTO MUSASHI, pare, la usi nel combattimento contro SASAKI KOJIRO, assassino del padre e fondatore del GAN RYU (ma forse è solo il suo amato BOKKEN). EMBUKAI. – “Dimostrazione” fatta al pubblico. EMMEI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. La fonda MIYAMOTO MUSASHI e vi insegna non solo l’uso delle due spa-de in combattimento, ma anche l’uso della spada con l’applicazione del principio FUDOSHIN (“Spirito Impertur-babile”), il concetto elaborato da TAKUAN SOHO, il monaco e Maestro ZEN. MIYAMOTO MUSASHI chiama questo principio IWA-NO-MI, “il Corpo come una Roccia”. L’EMMEI RYU è conosciuta anche come NITO ICHI RYU o NITEN (“Scuola delle due Spade”). Le due spade utilizzate sono una lunga (DAI-TO, KATANA) nella mano destra ed una corta (SHO-TO, WAKIZASHI) nella sinistra; nel combattimento la KATANA deve colpire per prima, mentre la WAKIZASHI porta l’affondo successivo.

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EMPI. – “Gomito”. Punto del gomito. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure HIJI. EMPI UCHI. – “Attacco di gomito”. ENGAWA. – “Veranda”. È quello spazio, aperto ma coperto, che circonda la casa tradizionale o, quantomeno, ne segna l’ingresso. È una sorta di “terra di nessuno”, nel senso che uno è ancora in casa propria, ma già s’appresta ad uscirne: infatti è nella ENGAWA che ci si mette le scarpe. La veranda è come il preludio all’intimità della casa, il luogo dove, togliendo le scarpe prima di entrare, ci si stacca dal mondo. EN.NO GYOJA. – “ En il Praticante”. Mago e asceta, la leggenda vuole che sia lui, verso l’anno 700, a fonda-re lo SHUGENDO [si veda] EN-NO IRIMI. – Entrata circolare. Tecnica avvolgente di proiezione in IRIMI. È il sistema prediletto da O-SENSEI, negli ultimi tempi, in luogo dell’esplosivo IRIMI NAGE di gioventù (energico passo fuori dalla linea d’attacco dell’avversario ed immediato contrattacco): TORI utilizza un TENKAN per far girare UKE attorno a sé, quindi lo guida in basso, morbidamente, con un movimento IRIMI eseguito circolarmente. L’esecuzione è parti-colarmente complessa. ENRYO. – “Sprezzo per la morte”: una delle “qualità” ideali” che ogni samurai deve coltivare. È la filosofia buddista – con la sua consapevolezza della caducità della vita umana, così come di tutte le cose – che contri-buisce non poco all’affermazione di questo concetto. ENSHO. – “Tallone”. Pure KAKATO, KAGATO. ERI. – “Bavero”; “collo”. Parte alta del bavero della casacca GI. ERI-KUATSU. – “Pressione addominale, con percussione dorsale”. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU ad azione elettiva: KUATSU con percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU); rientra anche nella se-rie di KUATSU respiratori (HAI-KUATSU), sempre con percussioni riflessogene. Questa è una variante del proce-dimento SEI-KUATSU (“tecnica completa”). ERI DORI. – “Presa al bavero”. UKE afferra TORI al bavero (o al collo). Da questa presa, “ai baveri” dell’AIKIDOGI, si elencano nove tecniche di difesa: 1 HIJI NOBASHI ERI DORI 2 HIJI NAGE MAE ERI DORI 3 RYO TE ERI DORI 4 MAE RYO TE ERI SHIME AGE 5 TSUKOMI JIME 6 ERI DORI YOKO MEN UCHI 7 ERI DORI TSUKI AGE 8 USHIRO ERI OBI DORI 9 USHIRO KATA TE DORI ERI JIME

ERI DORI TSUKI AGE. – “Settima presa al bavero”. Oltre alla presa, UKE colpisce con un montante (dal bas-so all’alto) al volto. L’azione difensiva di TORI comprende il brusco sollevamento dell’avambraccio di UKE – quello della mano che ha afferrato – ed un ATEMI al suo viso e si conclude con la proiezione all’indietro. ERI DORI YOKO MEN UCHI. – “Sesta presa al bavero”. L’azione difensiva di TORI comporta lo sbilanciamen-to di UKE, attraverso un primo ATEMI al suo braccio libero, un secondo ATEMI al viso, con l’altra mano e la proie-zione finale a terra. ETA. – Classe funzionale del Giappone feudale. Sono i reietti, i “non umani”: svolgono una funzione, ma non appartengono ad una classe ben definita; considerati meno che animali, non hanno diritti, nemmeno quello di radersi le sopracciglia o annerirsi i denti (quando di moda), così come gli HININ.

- F - FERUZUE. – Arma insidiosa. Un’asta, spesso di bambù, lunga circa un metro e cava, contiene una palla di ferro, vincolata ad una catena. Brandendo vigorosamente l’asta, la palla esce con forza tale da poter uccidere un uomo. La tradizione attribuisce l’invenzione di tale arma al monaco buddista HOZO-IN EI. Oggi l’uso di quest’arma è ancora insegnato nell’HOZO-IN RYU e nello SHINDEN FUDO RYU. FU. – “Vento”.

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FUCHI. – “Bordo” o “margine”. È la ghiera ornamentale, metallica, posta vicino alla TSUBA, intorno all’impugnatura (TSUKA). Solitamente è nello stile della CAPPETTA dell’impugnatura (KASHIRA) e dello stesso materiale. Solo artigiani specializzati producono questi pezzi, firmati e datati, che sono venduti separatamente e poi montati sull’arma.

– Fornimento della YARI. FUDAI-DAIMYO. – “Signori dell’Interno”. Sono i DAIMYO – per lo più vassalli ereditari dei TOKUGAWA o da que-sti elevati al rango di DAIMYO, con rendita annua minima di 10.000 KOKU – che sostengono TOKUGAWA IEYASU nella battaglia di SEKIGAHARA (1600) e, quindi, lo seguono nella sua presa del potere. Sono ricompensati con terre estese e la concessione dei più alti gradi nell’amministrazione del BAKUFU. La loro fedeltà al Clan è as-soluta. FUDO. – “Fermezza d’animo”. È quella che, secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve possedere. [si veda BUSHIDO] FU-DO SHINMYO ROKU. – “Libro Divino sulla Saggezza Imperturbabile”, tradotto anche “Documento Miste-rioso della Saggezza Immobile” e “Segreto Misterioso del non-movimento”. È una lunga lettera, quasi un libro, scritta dal monaco e Maestro ZEN (ed anche di KENDO, CHADO, SHODO) TAKUAN SOHO per YAGYU MUNENORI, famoso Maestro di KEN-JUTSU e co-fondatore dello YAGYU RYU. In quest’opera TAKUAN SOHO descrive quale stato d’animo deve avere un combattente, secondo la dottrina ZEN: spirito aperto, ma calmo, sereno, impertur-babile, impassibile. Solo chi è nello stato mentale FUDO-NO-SEISHIN può vincere. FUDO-NO-SEISHIN o FUDOSHIN. – “Cuore – o Spirito – Inamovibile”. “Spirito Imperturbabile” (nel combatti-mento). È una condizione di imperturbabilità totale di fronte a qualsiasi cosa possa accadere. Nulla, in questo stato mentale, può turbare lo spirito del combattente: imprevisto, aggressione o pericolo che sia; egli è calmo e resta impassibile. Il monaco e Maestro ZEN TAKUAN SOHO elabora il concetto FUDO-NO-SEISHIN, che MIYAMO-TO MUSASHI sviluppa, chiamandolo IWA-NO-MI, “il Corpo come una Roccia”. Il famoso spadaccino TSUKAHARA BOKUDEN [si veda] mette in mostra un concreto esempio di FUDOSHIN. Naturalmente, il FUDOSHIN non è uno stato mentale immobile e rigido, ma è la condizione di stabilità che deriva dal rapido movimento. Valere a dire che lo stato di perfetta stabilità (fisica e spirituale) proviene dal movimento che continua all’infinito e che è così infinitamente rapido da essere impercettibile. Il movimento si condensa nel SEIKA TANDEN. FUDO NO SHISEI. – “Esercizio dell’immobilità”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). [si vedano anche “ Considerazioni sul KI”] FUDOTACHI. – “Posizione ferma”. È la postura che ogni combattente deve avere, prima di un attacco: sere-na, ferma, immobile. FUGATAMI MISANORI HAN-NO-SUKE. – SAMURAI. È seguace del DAITO RYU AIKI-JUTSU (scuola tradizionale d’AIKI-JUTSU, JU-JUTSU e KEN-JUTSU) ed allievo del TAKENOUCHI RYU. Nel 1650 fonda la scuola SOSUICHI RYU di JU-JUTSU. FUJIWARA. – Potente Famiglia SAMURAI. All’inizio del Periodo HEIAN domina la scena politica giapponese. L’ascesa del Clan, iniziata nell’anno 858, si realizza con l’instaurazione della Reggenza a FUJIWARA (dall’anno 890 al 1185), la nomina a reggenti (sessho) e dittatori civili (kampaku), il controllo delle Famiglie TAIRA e MI-NAMOTO, fino all’esautorazione di fatto della Dinastia imperiale ("Imperatori in ritiro", 1086). FUJIWARA HIROSADA. – Celebre armaiolo operante all’inizio del Periodo EDO (primi anni del 1600). FUJIWARA NO NOBUTSUNA. – (1520-1577) Spadaccino. Fonda la scuola SHIN KAGE RYU (“Nuovo KAGE RYU”) di KEN-JUTSU ispirandosi all’AIZU KAGE RYU di AIZU IKO. FUJIWARA UJISHIGE. – Armaiolo attivo verso la fine del 1700. FUKIDAKE. – Cerbottana tradizionale. Inizialmente di legno, (ed è leggera, nonostante i 2,8 metri di lunghez-za), poi di canna e lunga 150 cm, lancia frecce di bambù di 25 cm, con impennaggi di carta.

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FUKIGAYESHI. – Risvolti laterali dell’elmo (KABUTO). Sono una specie di coppia d’alette, poste ai lati della vi-siera: servono ad impedire che qualche colpo recida i cordoncini che tengono unite le lamine della GRONDA (SHIKORO), posta a protezione della nuca. FUKKO KAMAE. – Posizione difensiva, tipica dello SHORIN RYU KARATE-DO. Una gamba ha il ginocchio a ter-ra, l’altra gamba è perpendicolare alla prima, quasi come un arciere che scocca. FUKOKU-KYOHEI. – “Uno Stato Prospero e un Esercito Forte”. È il motto che accompagna la Restaurazione MEIJI. L’atteggiamento dei capi della Nazione, fautori della modernizzazione, non può che riflettere il loro ca-rattere, la loro formazione ed anche i loro timori. Il modello da imitare è l’Occidente e la prosperità può arriva-re, ma occorre anche vigilare per affrontare eventuali minacce dall’estero (lo straniero fa sempre paura!). FUKU. – “Restituire”, “far tornare”; “ristabilire” “restaurare”. FUKUI YOSHIHARA. – Maestro di spada e fondatore, verso il 1750, della scuola di KEN-JUTSU, SHINDEN MU-NEN RYU, che la tradizione vuole s’ispiri allo TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. FUKUMI-BARI. – Arma da lancio (SHURIKEN), d’acciaio, a forma di ago. Rientra nel gruppo delle KAKUSHI, le “armi nascoste” e, come tutti gli altri SHURIKEN, è utilizzato soprattutto dai NINJA . Anche i FUKUMI-BARI sono molto spesso lanciati in gruppo, con la particolarità che, sovente, sono tenuti in bocca per poi essere scagliati negli occhi dell’avversario. FUKUNO SHICHIROEMON. – Fonda, ispirandosi al KITO RYU, la scuola d’Arti Marziali che porta il suo nome, il FUKUNO RYU. FUKURO SHINAI. – Spada d’allenamento. È di legno duro, ricoperto di cuoio o tessuto. Si usa nel KEN-JUTSU. FUKUTO. – Parte superiore esterna della coscia. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. FUMI-E. – Pittura religiosa cristiana. Nel 1629, per scoprire i convertiti al Cristianesimo, i sospetti sono obbli-gati a calpestare un FUMI-E: chi si rifiuta è ritenuto colpevole. FUNAKOGI UNDO o TORI FUNE. – Esercizio del “remare”. Movimento della voga. Fa parte degli esercizi fi-sici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). FUNAKOSHI GICHIN. – (1869-1957) Fondatore del moderno KARATE. Nato a Shuri (OKINAWA), studia OKINA-WA-TE già a 10 anni, come allievo del Maestro ITOSU YASUTSUNE ANKO, secondo caposcuola dello SHURI-TE. Maestro all’età di 33 anni, nel 1902, e soprannominato Shoto, si costruisce una solida reputazione con pubbli-che esibizioni, tanto che, all’inizio degli anni Venti del 1900, è a Tokyo – dove conosce e diviene amico di KA-NO JIGORO – per dimostrazioni ufficiali. È di questo periodo la sua opera di riordino e disciplina del metodo di combattimento, culminata nel 1936, quando sostituisce l’ideogramma KARA, “Cina”, “cinese”, con un altro ca-rattere, dalla stessa pronuncia, ma che significa “vuoto”, “nudo”. Il moderno KARATE (meglio sarebbe, in ogni modo, indicarlo con KARATE-DO), quindi, significa “Via della Mano Vuota” e non più “Arte della Mano cinese”. Negli anni ’30 del 1900 l’opera divulgativa e promozionale di FUNAKOSHI GICHIN (che comunque, come tutti i grandi Maestri, aborre la spettacolarizzazione ed ogni forma di competizione), è assai intensa e accende l’entusiasmo dei giovani, incoraggiati dalle idee ultra nazionaliste del Governo. Ciò porta all’apertura di nume-rosi DOJO, sia privati sia nelle grandi Società e nelle Università, compreso l’HONBU DOJO: lo SHOTOKAN, nel 1938. SHOTOKAN è anche il nome della scuola fondata da FUNAKOSHI GICHIN e dello stile da lui insegnato, che prevede rapidi spostamenti di base (TAI SABAKI), attacchi profondi, penetranti e bassi, tecniche leggere. La proibizione d’insegnamento delle Arti Marziali in Giappone, imposta dalle autorità militari d’occupazione, stra-namente non riguarda il KARATE, presumibilmente perché gli stessi americani vogliono imparare questi metodi di lotta, per inserirli nei loro programmi di addestramento militare. FUNAKOSHI YOSHITAKA. – ( - 1953) È figlio di FUNAKOSHI GICHIN e gli succede nella direzione dello SHOTO-KAN, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma gli premuore per malattia. FUNAKOSHI YOSHITAKA, chiamato anche Gigo, fonda a Tokyo, verso il 1946, lo stile di KARATE denominato SHOTOKAI, che ha un indirizzo più spi-

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rituale rispetto allo stile del padre e, soprattutto, utilizza metodi – d’allenamento e di combattimento – meno violenti. In effetti, se FUNAKOSHI GICHIN è il codificatore dell’OKINAWA-TE, suo figlio FUNAKOSHI YOSHITAKA è il vero padre spirituale della moderna disciplina chiamata KARATE-DO. FUNDOSHI. – “Perizoma”. È di cotone, lungo e stretto. FURIBO. – Mazza dritta, in legno rivestito, con punta di ferro. Appartiene alla categoria delle mazze compo-ste, costruite cioè con più materiali, per accrescerne l’efficacia. FURI-KABURI. – Sollevare la KATANA sopra la testa. È l’atteggiamento minaccioso (SEME), che si assume prima di eseguire la tecnica principale, il taglio (KIRI-TSUKE, nello IAIDO e nello IAI-JUTSU) o il fendente. FURI UCHI. – Tecnica di percussione. È un “taglio” diagonale, dal basso all’alto, che si può eseguire con la mano (SHUTO o TE-GATANA) o con un’arma. FURITAMA o FURUTAMA. – “Stabilire il KI”: metodo di meditazione e unificazione dello spirito. Esercizio di concentrazione, generalmente segue FUNAKOGI UNDO. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Spalle rilassate e braccia distese; occhi chiusi; ano serrato; mano sinistra chiusa a coppa sulla destra; tutta l’energia concentrata nel SEIKA TANDEN. Le mani vi-brano veloci davanti all’HARA, trasmettendo la vibrazione al corpo intero. Si deve concentrare lo spirito nel “terzo occhio”, tra le sopracciglia. FURITAMA ha lo scopo di provocare una forte concentrazione. FUSENSHO. – “Abbandono”. Si riferisce a competizioni e tornei: è dichiarato FUSENSHO chi abbandona la ga-ra, ferma o rifiuta il combattimento senza motivo o non si presenta. FUSUMA. – “Porta”. È un pannello scorrevole, di carta translucida su telaio di legno, presente nelle case giapponesi tradizionali; sempre per tradizione, si dovrebbe aprire con entrambe le mani, stando in SEIZA. È adatto come divisorio per ambienti interni. FUTARI. – “Due”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è NI, in giapponese puro si dice FUTATSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa NIHON. FUTARI DORI. – Tecniche con attacco contemporaneo di due persone. Neutralizzazioni d’attacchi multipli con presa alle mani. FUTATSU. – “Due” in giapponese puro. In sino-giapponese è NI, per contare le persone (NIN) si dice FUTARI, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa NIHON. FUTOMATA-YARI. – Si veda SASUMATA.

- G - GACHI. – Suffisso per “vittoria” (KACHI). GAESHI. – “Torsione”.

– Suffisso per “contrattacco” (KAESHI). GAI-WAN. – “Bordo esterno” dell’avambraccio. GAKE. – Suffisso per “attacco”, “attaccano”.

– Suffisso per “gancio”, “uncino”; “a gancio” (KAKE, KAGI). GAKU. – “Diploma scritto”. È rilasciato al BUDOKA dopo l’acquisizione di un grado. GAMAE. – Suffisso per “guardia” (KAMAE). GAMI. – Suffisso per “divinità”, “spirito divino” (KAMI). GAN. – Suffisso per “intuizione” (KAN).

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GANCHU. – “Plesso cardiaco”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. GANKA. – “Pettorali”. Zona tra la 4^ e la 5^ costola. Punto del petto. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. GANKAKU. – “Gru su una roccia”. È uno dei KATA superiori del KARATE stile SHOTOKAN. GAN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e TESSEN-JUTSU. Il fondatore, verso il 1600, è SASAKI KOJIRO, che s’ispira allo stile CHUJO RYU di Chujo Nagahide. Si racconta che numerosi spadaccini di questa scuola preferiscano usare il ventaglio di ferro, in luogo della spada, anche contro più avversari armati. GANSEI. – “Globo oculare”. Zona degli occhi. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. GANSEKI. – “Roccia”. GANTSUBUSHI. – “Lanciapepe”. Si veda MESTUBUSHI. GARAMI. – “Avvolgere”. S’intende mantenere una presa per immobilizzare l’avversario (KATAME WAZA). Viene da KARAMU, “imbrigliare”. GARI. – Suffisso per “falciata” (KARI). GASHIRA. – Suffisso per “testa”, “colonna” (KASHIRA). GASSAN RYU. – Scuola di NAGINATA-JUTSU. Risale al secolo XIX ed ha lo scopo, attraverso la padronanza delle tecniche di maneggio della lancia, di ricercare una saggezza superiore, universale. GASSHO. – Posizione di concentrazione con le mani congiunte. GASSHO KAMAE. – “Posizione di saluto”. È utilizzata nello SHORIN RYU KARATE-DO, prima e dopo gli allena-menti: mani giunte davanti agli occhi, dita divaricate. GATAME. – Suffisso per “controllo” (KATAME). GE o SHIMO. – “Basso”, “inferiore”. GEDAN. – “Livello basso”. Nelle Arti Marziali indica l’altezza di un attacco o di una parata. È il livello compre-so fra la terra e l’addome.

– “Basso”. Posizione bassa della mano. È la fascia dell’addome corrispondente al basso ventre. GEDAN MAE-GERI. – “Calcio frontale al livello basso”. GEDAN KAMAE o GEDAN-GAMAE. – “Guardia bassa”. Allorquando si riferisce a posizione di guardia con armi (la cui punta è tenuta bassa), è più corretto gedan no kamae. GEDAN TSUKI. – “Pugno al basso ventre”. GEI. – “Arte”.

– “Metodo”, “realizzazione”. GEIDO. – “La Via delle Arti”. Si intendono le “belle arti”. GEIKO. – Suffisso per “allenamento”, “esercizio” (KEIKO). GEISHA. – “Ospite femminile professionale”. Abile nella musica e nella conversazione, conoscitrice dell’etichetta, il suo ruolo è di rendersi gradita agli uomini, divertendoli e tenendo loro compagnia. La GEISHA del Periodo EDO (1603-1868) discende dalle danzatrici e dalle cortigiane dell’antica società aristocratica, ora divenute economicamente accessibili alla CLASSE SOCIALE dei MERCANTI.

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GEKKEN. – Antica denominazione del KENDO. È in vigore nell’Era MEIJI, fino al 1912, e gekkenka sono chia-mati i praticanti. Oggi indica una tecnica “dura” di SHINAI. GEKON. – “Mento”. Punto del mento. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. GEMBUKU. – È la cerimonia che, per un SAMURAI, segna il passaggio all’età virile. GEMPEI. – Così è chiamata la guerra tra i MINAMOTO (GENJI) ed i TAIRA (HEIKE), combattuta dal 1180 al 1185 per la supremazia politica e militare. Il nome viene dall’unione delle prime due sillabe dei caratteri che costi-tuiscono il nome di Clan coinvolti, letti alla maniera cinese. Al termine della guerra il Clan TAIRA è distrutto e MINAMOTO-NO YORITOMO si ritrova SHOGUN. GEN. – “Occhi”. GENIN. – “Gente inferiore”. Suddivisione interna della classe sociale dei contadini, nel Giappone feudale. Sono abitanti delle campagne, generalmente stranieri o loro discendenti (AINU, Coreani, Cinesi), ma tra loro si trovano anche contadini agiati diventati insolventi ed anche agricoltori vendutisi per fame. Spesso abbando-nano la terra e si mettono al servizio di signori e uomini d’arme, tanto che quasi tutti loro, dall’inizio del secolo XIV, sono diventati guerrieri al seguito (SHOJU) di SAMURAI.

– Sono, nell’ambito dei Clan NINJA, gli esecutori materiali delle missioni. Operano agli ordini dei CHUNIN e su mandato dei capi (JONIN). GENJI o MINAMOTO. – Si veda MINAMOTO. GENJI-NO-HEIHO. – “Arte guerriera dei GENJI”. Così si chiama una scuola di strategia militare e di perfezio-namento nelle Arti Marziali classiche; il nome deriva dal Clan guerriero dei MINAMOTO, vincitori della lotta per la supremazia contro i TAIRA (1185). Per la tradizione familiare, la scuola è fondata dal principe Teijun, sesto fi-glio dell’Imperatore Seiwa (859-877). Materie di studio sono la progettazione di ponti, strade e fortificazioni, l’arte di disporre le truppe in battaglia (SENJO-JUTSU) e le tecniche di segnalazione con il fuoco (NOROSHI-JUTSU), oltre a KEN-JUTSU, YARI-JUTSU e JU-JUTSU. La GENJI-NO-HEIHO passa presto sotto il controllo della Fa-miglia TAKEDA – sempre parte del Clan MINAMOTO – ed è TAKEDA NOBUMITSU, alla fine del secolo XI che amplia e rielabora le tecniche della scuola cui, nel secolo XV, è attribuito il nome di TAKEDA HEIHO. GENKI. – “Vigore” (è composto di KI). Non s’intende il solo vigore fisico. GENPUKU. – “Consegna del Cappello”. È la cerimonia con cui, ad un giovane entrato nell’età adulta, è con-segnato l’EBOSHI – segno distintivo della diversa condizione sociale – ed attribuito un nuovo nome (EBOSHI-NA) GENSHIN. – Sensazione che consente di prevedere l’azione dell’avversario, prima che questi la inizi. [si veda YOMI] GERI. – Suffisso per “calcio” (KERI). GESA. – Suffisso per “fascia”, “trasversale” (KESA). GESAKUNIN. – Suddivisione interna della classe sociale dei contadini, nel Giappone feudale. I GESAKUNIN fanno parte degli abitanti delle campagne: sono piccoli coltivatori e affittuari (a termine) di contadini proprietari. Tra loro, spesso, si trovano guerrieri senza titoli né proprietà, che per sopravvivere in tempo di pace, coltivano la terra. GETA. – Tradizionali zoccoli di legno, si usano quando piove. Rialzati da terra per mezzo di due piastre tra-sversali, si fissano con al piede con un paio di strisce che passano tra gli alluci. GI. – “Casacca” del KEIKOGI. Pure UWAGI.

– “Terra”. – Indica la capacità tecnica del DANSHA. [si veda SHINGITAI] – “La giusta attitudine”. Uno dei sette punti del BUSHIDO. [si veda]

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GIRI. – “Dovere”, “obbligo”, “debito di riconoscenza”. È inteso soprattutto verso un superiore (il padre, un Ma-estro o il proprio Signore). Il GIRI, per un SAMURAI, ha la precedenza su tutto, sentimenti di umanità compresi. È il “senso del dovere” che, secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve possedere. [si veda BUSHIDO]

– Suffisso per “taglio”, “tagliare”. GIYO-YO-ITA. – Piastra di protezione delle ascelle, nella tarda armatura. È fatta di scaglie metalliche laccate o maglia di ferro; il termine deriva dalla parola cinese che indica la foglia dell’albero ginkgo biloba (icho), forma che questa piastra conserva.

GO. – “Forza”, “forte”; “duro”. Principio opposto a JU. Deriva dall’ideogramma cinese wu (“principio di forza”). Indica l’applicazione della forza contro la forza.

– “Cinque” in sino-giapponese. In giapponese puro è ITSUTSU, per contare le persone (NIN) si dice GONIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa GOHON.

– “Protezione”. – Gioco di abilità. Pare certa l’origine cinese, risalente ad oltre 4.000 anni fa; è diffuso in tutto l’Estremo

Oriente, in particolare in Cina (dove è chiamato Wei-qi), Corea e Giappone. Si gioca su una scacchiera qua-drata (goban), da 9x9, 13x13 o 19x19 righe, su cui si collocano pedine, chiamate “pietre”, bianche o nere, pre-levate da ciotole (goke). In un goban 19x19, con 361 incroci, il nero (è il colore che contraddistingue il gioca-tore più debole, il quale inizia la partita) ha 181 pietre, il bianco 180. Vince il giocatore che “conquista più ter-reno”, delimitando aree sulla scacchiera con le proprie pedine, e che cattura più “prigionieri”, le pietre dell’avversario che restano circondate. È un gioco di strategia, in cui i giocatori principianti vanno dal 30° al 1° KYU e gli esperti dal 1° al 6° DAN (quelli professionisti dal 1° al 9°). GO-DAIGO. – Imperatore dal 1318 al 1339. È autore di un anacronistico tentativo di restaurare l’autorità im-periale – il cui prestigio è da tempo compromesso – ed il potere del TENNO. Tenta il colpo di stato nel 1331, contro i Reggenti HOJO, me la ribellione fallisce e lui è esiliato. Evaso nel 1332, si trova ad essere la forza uni-ficatrice di numerosi scontenti: KENIN delusi nelle proprie aspettative di ricompensa, interi Clan SAMURAI, fun-zionari e amministratori militari (JITO) degli SHOEN, diversi SHUGO. Grazie al Clan ASHIKAGA, guidato da ASHI-KAGA TAKAUJI, ed agli altri Clan alleati – tra cui i KUSUNOKI – prevale nella guerra di Genko e nel 1333 entra in KYOTO, conquistata da ASHIKAGA TAKAUJI, mantenendone il controllo fino al 1336. Rimpiazza gli SHUGO con cortigiani civili, nomina SHOGUN il proprio figlio e, soprattutto, tenta di restaurare in pieno il governo imperiale. Molti SAMURAI, però, non si sentono adeguatamente ricompensati e, nel 1335, ASHIKAGA TAKAUJI si ribella, scaccia GO-DAIGO (che si rifugia a Yoshino) mette al suo posto un altro membro della Famiglia imperiale e ne ottiene il titolo di SHOGUN. La nuova guerra civile (guerra Nambokucho) dura fino al 1392 e vede combattersi due Imperatori, uno con sede a Yoshino (Corte del Sud), l’altro, protetto dagli ASHIKAGA, che formalmente go-verna da KYOTO (Corte del Nord). Risultato ultimo del fallito tentativo di restaurazione di GO-DAIGO è che dal 1392, con la riunificazione delle Corti a KYOTO, tutti gli Imperatori sono tenuti sotto stretta sorveglianza e gli SHOGUN accentrano nelle proprie mani sia il potere militare sia quello civile, prima separati ed equilibrati: il BA-KUFU, il Governo militare, è più militare che mai. Altra importante conseguenza è l’impoverimento della ric-chezza imperiale: la fuga da KYOTO porta alla confisca di tutte quelle proprietà personali trasferite al Tesoro pubblico, con l’intento che siano amministrate in favore della Nazione. Persi per sempre quei beni, molti Impe-ratori, successori di GO-DAIGO, devono dipendere dalla generosità (spesso “pelosa”) delle Famiglie più ricche e potenti, che possono interferire pesantemente nella pur limitata opera del Governo imperiale. GODAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 5° grado”. [si ve-da KYUDAN] GOHO. – “Metodo attivo”. Comprende le “tecniche attive”, previste nell’allenamento del NIPPON SHORINJI-KEMPO, consistenti soprattutto in attacchi e parate con contrattacchi di calcio o pugno. Il GOHO è l’opposto del-lo JUHO, il “metodo passivo”, le “tecniche passive” della difesa. GOHON. – “Cinque”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è GO, in giappone-se puro si dice ITSUTSU, per le persone (NIN) s’usa GONIN.

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GOHON-KUMITE. – “Combattimento programmato”. Nel KARATE identifica una serie di cinque attacchi in al-trettanti passi; l’avversario esegue a sua volta cinque parate, arretrando di altrettanti passi e chiude con un contrattacco. GOJU RYU. – “La Scuola dura, la Scuola morbida”. Stile di KARATE. Ideato nel 1930 da MIYAGI CHOJUN, pre-vede l’alternanza di tecniche “dure” (GO) e “morbide” (JU) e si basa sugli insegnamenti di HIGAONNA KANRYO, d’OKINAWA. Tra le caratteristiche di questa scuola è la respirazione enfatizzata, su movimenti corti, e posture particolari, come il sanchin-dachi (“posizione a clessidra”). Caposcuola dopo MIYAGI CHOJUN è YAMAGUCHI GOGEN, detto “il Gatto”, che fonda lo stile KARATE-SHINTO. GOJUSHI-HO. – “Cinquantaquattro passi”. KATA superiore della scuola SHOTOKAN di KARATE. Può essere breve (gojushi-ho sho) o lungo (gojushi-ho dai). GOKADEN. – È termine che identifica il gruppo delle cinque scuole classiche di fabbricanti di spade. Corri-spondono alle aree (Province), ricche di giacimenti di minerali ferrosi, in cui si sono raggruppate numerosi la-boratori, fonderie, officine: Bizen, la più famosa, Mino, Soshu o Sagami, Yamashiro e YAMATO. GOKAKU-GEIKO. – “Allenamento tra equivalenti”. Si riferisce a sedute d’allenamento tra praticanti che si e-quivalgono in forza e abilità, soprattutto nel KENDO. GO-KENIN. – “Onorabile uomo di casa”. Inizialmente, all’inizio del Periodo KAMAKURA (1185-1333), si tratta di vassalli diretti dello SHOGUN, proprietari terrieri che comandano di persona i guerrieri tratti dai contadini del loro territorio e, pertanto, sono SABURAI. È il ceto più basso della classe SAMURAI. GOKUHI. – “Tecniche riservate”. Sono quelle tecniche insegnate solo ad allievi, di grado superiore, partico-larmente dotati. GOKYO. – “Tecnica numero cinque”. “Quinto principio” [si veda UDE NOBASHI]. IMMOBILIZZAZIONE con trazione del braccio di UKE. Si utilizza soprattutto contro fendenti verticali (SHO MEN UCHI) od obliqui (YOKO MEN UCHI).

– “I cinque principi”. Nello JUDO sono la base del programma d’insegnamento: cinque gruppi (KYO) di otto tecniche-base ciascuno, in posizione eretta (TACHI WAZA), con grado di difficoltà crescente. Ad ogni KYO corrisponde una cintura di colore diverso, da giallo (1°) a marrone (5°). GOKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di quinta classe”. [si veda KYUDAN] GOMAI-KABUTO. – Tipo d’elmo. È utilizzato, tra XI e XIII secolo, soprattutto con l’armatura YOROI. Cinque fi-le di lamine allacciate formano la gronda (SHIKORO), posta a protezione della nuca; da questa deriva, appunto, il nome dell’elmo: GO, “cinque” e MAI, “piastre”. Il coppo emisferico (HACHI), è formato da piastre unite con ri-battini, è fornito di visiera (MABEZASHI), ha il foro TEHEN ed è dotato di anello (kasa-jiryshi no kwan) nella parte posteriore, cui si fissa un distintivo di stoffa. GONIN. – “Cinque”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è GO, in giapponese puro si dice ITSU-TSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa GOHON. GONIN-GAKE. – Cinque UKE attaccano TORI. GONIN-GUMMI. – È il sistema della responsabilità collettiva. Un tempo limitato alle campagne è presto este-so anche alle città: in ogni strada, gli abitanti delle case sono riuniti in gruppi di cinque, con uno che è respon-sabile di tutti gli altri, ma con tutti che spiano tutti. GONIN DORI. – “Cinque persone prendono”. GO-NO-GEIKO. – Tipo di allenamento. Rientra nello studio classico (IPPAN-GEIKO). Si veda, nel Libro Primo, il Capitolo “Il metodo d’allenamento”.

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GO-NO-SEN. – “Dopo di prima: contrattacco”. Tecnica di difesa, comune a tutte le Arti Marziali: consiste nel contrattaccare con forza dopo aver parato un attacco dell’avversario, prendendo l’iniziativa del combattimento. È questo il principio che UESHIBA MORIHEI mette alla base dell’Aikido, in luogo del KOBO-ICHI (“unità in attacco e difesa”). Si dice anche ATO-NO-SEN. GO NO SEN. – “Discepolo”. Convenzionalmente, è la qualifica che spetta alla cintura nera, 2° DAN, praticante d’Arti Marziali. [si veda KYUDAN] GOREI. – “Allenamento collettivo”. È una forma di allenamento fatto in gruppo, sotto la guida di un esperto. GORIN NO SHO. – “Il Libro dei Cinque Anelli”. Saggio in cinque rotoli, considerato uno dei “classici” delle Arti Marziali. Lo scrive il celeberrimo MIYAMOTO MUSASHI, con l’aiuto del discepolo TERAO KATSUNOBU, verso il 1643, quando si ritira in una grotta per meditare e seguire una vita contemplativa. L’opera tratta, oltre che di strategia, di KEN-JUTSU le tecniche di spada, che MIYAMOTO MUSASHI predilige usare in coppia, una per mano. Ognuno dei rotoli in cui il GORIN NO SHO è diviso, è intitolato ad uno degli “elementi” della tradizione cosmolo-gica orientale: terra, acqua, fuoco, vento, vuoto (o cielo). L’aspetto più interessante del trattato è il cammino spirituale proposto dall’autore, una sorta di “Via della Spada” globale, quasi ad anticipare l’essenza del BUDO moderno, in contrasto con il carattere assolutamente pratico dello JUTSU. GOSHI. – “SAMURAI di campagna”. È una figura che prende piede nella prima metà del 1600, a fronte del massiccio inurbamento dei BUSHI. È il Clan Yamauchi, a Tosa, che concede il rango di GOSHI agli antichi gre-gari Chosokabe, sia per pacificarli sia per estendere le terre bonificate. Dal 1644, inoltre, chiunque possa di-mostrare la discendenza da un gregario Chosokabe e provvede a bonificare campi che rendano almeno 30 KOKU l’anno, diventa GOSHI. Nel 1763, abolito l’obbligo di discendenza, anche i mercanti possono ottenere la nomina e, nel 1822, il rango di GOSHI è messo in vendita, costituendo una valida (e meno dispendiosa) alterna-tiva all’adozione a pagamento. Anche i GOSHI – come gli SHOYA, con i quali hanno affinità – verso la metà del 1800 contribuiscono, con le loro pretese di cambiamento, a ridimensionare il ruolo dei SAMURAI di città.

– Suffisso per “vita”, “busto”, “zona della cinta”, “anca” (KOSHI). GOSHIN-DO. – Insieme di tecniche, solo difensive, del KARATE-DO. GOSHIN-JUTSU. – Forme di difesa dello JUDO. Il nome deriva da GO, “protezione” e SHIN, “cuore”, “intuizione” ed indica quelle tecniche di difesa – insegnate al KODOKAN – per opporsi ad aggressori, tanto a mani nude (TOSHUNOBU) quanto armati (BUKINOBU). Il suffisso JUTSU rivela l’aspetto utilitaristico di queste forme di com-battimento. GOSHOZAMURAI. – Sono guerrieri di nobile famiglia, al servizio della Casa imperiale, nel secolo XIV (Perio-do MUROMACHI, 1392-1573). È da questo vocabolo che, per un’evoluzione fonetica della pronuncia, deriva in seguito il termine SAMURAI. GOTO TAMAUEMON TADAYOSHI. – (1644-1736) Maestro d’Arti Marziali di AIZU. È il fondatore della scuola DAIDO RYU. GOTO-YUJO. – (1440-1513) Celebre Maestro, fabbricante di TSUBA. Lavora per l’ottavo SHOGUN ASHIKAGA, Yoshimasa; i suoi allievi fondano la scuola Goto, specializzata nelle decorazioni in oro e bronzo. GOYO-SHONIN. – Mercante patentato. I GOYO-SHONIN, sono mercanti privilegiati: vivono ed hanno bottega vicino al castello e godono d’alcune esenzioni fiscali. Alcuni sono di provenienza SAMURAI, specializzati nelle forniture militari. GUMBAI. – “Ventaglio da guerra”. È di del tipo rigido e arrotondato (UCHIWA) e dapprima (Periodo KAMAKURA, 1185-1333) affianca, poi (Periodo EDO, 1603-1868) soppianta il “bastone di comando” SAIHAI, raggiungendo il culmine della popolarità alla metà del secolo XVI. Il GUMBAI, come il SAIHAI, è segno distintivo di grado e di rango e serva anche a segnalare comandi e disposizioni durante la battaglia. Gli esemplari di maggiori di-mensioni servono, all’occorrenza, come scudi occasionali. In origine ogni capo-gruppo di guerrieri porta in battaglia il proprio GUMBAI che, in seguito (Periodo EDO o TOKUGAWA) diventa prerogativa dei generali coman-danti. Si trovano anche esemplari tutti di ferro. I motivi ornamentali, in origine, sono i simboli della COSMOGO-

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NIA orientale: sole e luna a rappresentare il principio attivo e passivo (Yang e Yin); draghi e tempeste; l’Orsa Maggiore (il centro dell’universo); in seguito predomina la rappresentazione del MON, l’emblema di Famiglia.

– “Ventaglio rituale”. Lo utilizzano gli arbitri (GYOJI) nelle gare e tornei di SUMO per segnalare le de-cisioni ai lottatori. Il colore varia secondo il rango dell’arbitro, dal nero dei principianti al blu, dal bianco al por-pora del giudice-arbitro (TATE-GYOJI). Identico, per forma e materiale, al ventaglio da guerra, di solito è decora-to con un sole su una faccia ed una luna sull’altra. GUNKIMONO. – “Cronache Militari”. Sono descrizioni delle grandi guerre civili del secolo XII, interessanti per l’immagine che i SAMURAI, protagonisti indiscussi ed autori delle “Cronache”, hanno di sé. Le opere più cono-sciute sono l’Heike Monogatari (“Storia della Famiglia TAIRA”) e il Konjaku Monogatari, del 1080. GUNSEN. – “Ventaglio da guerra”. È del tipo pieghevole ed è portato dal BUSHI quando indossa l’armatura. GURUMA. – Suffisso per “circolare”, “ruota” (KURUMA). GUSARI. – Suffisso per “catena” (KUSARI). GUSOKU o TOSEI-GUSOKU. – Armatura. Nel 1568 risulta già messa a punto, ma diventa tipica nel Periodo EDO (1603-1868). È definita “moderna” ed è costruita addirittura fino al XIX secolo. La fattura è fortemente in-fluenzata sia dalle ARMATURE europee sia dall’esigenza di protezione contro le armi da fuoco, anche se il lungo intervallo di pace e l’amore per la tradizione ne fanno un connubio tra un oggetto da parata ed una riedizione di vecchi modelli. Innumerevoli sono le varianti di GUSOKU, ognuna con un proprio nome: solo gli esperti rie-scono a distinguerle, e non sempre. Nel Periodo EDO, in ogni modo, sono prodotti tutti i tipi d’antiche armature, con aggiunte e varianti: DO-MARU, HARAMAKI, HARA-ATE, O-YOROI. Accanto ad armature forgiate alla vecchia maniera, con lamelle di ferro laccate, troviamo corazze all’europea, con piastre di ferro variamente collegate, o perfino piastre in pezzo unico, talvolta sagomate. La GUSOKU è chiamata nanban-gusoku quando alla stessa sono adattati tipici elementi d’armature europee. Le corazze di metallo sbalzato, tipiche dei secoli XVIII e XIX, sono chiamate uchidashi, mentre quelle formate da numerose piastre di dimensioni medie, unite e maglia di ferro, anch’esse dei secoli XVIII e XIX, sono le TATAMI-GUSOKU. Tutte le parti dell’armatura sono collegate e fermate da cinghie o cordicelle. Nell’ultimo quarto del XIX secolo molte armature – spesso di cuoio laccato – sono prive delle protezioni posteriori. GUSOKU BITSU. – “Scatola per l’armatura”. Può essere di legno, talvolta laccato, od anche di cartapesta. La GUSOKU BITSU per armatura leggera si trasporta sulla schiena, grazie a cappi nella parte anteriore dove s’infilano le BRACCIA. Quella per armatura pesante è più solida, con manici ed anelli di ferro, attraverso i quali si infila un palo retto, in viaggio, da due uomini. GYAKU. – “Contrario”, “opposto”; “inverso”, “rovesciato”. GYAKU-ASHI. – Posizione delle gambe opposta a quella delle braccia. GYAKU HANMI. – “Posizione speculare”. Posizione reciproca iniziale. TORI e AITE sono in posizione specula-re: al piede avanzato dell’uno (destro o sinistro), corrisponde quello opposto dell’altro (sinistro o destro). La posizione “simmetrica” è detta AI HANMI. GYAKU JUJI JIME. – È una tecnica di strangolamento (JIME) praticata con gli avambracci incrociati (JUJI) ed i palmi girati (GYAKU) verso l’alto. GYAKU KAMAE o GYAKU-GAMAE. – “Guardia opposta”. “Posizione di combattimento”. Posizione naturale di guardia. Prima di eseguire una tecnica, TORI e per UKE hanno una posizione obliqua e inversa: posti di fron-te, un piede avanti, ma l’uno assume la guardia destra (MIGI) e l’altro la sinistra (HIDARI). GYAKU KATA TE DORI. – “Seconda presa di polso (o di braccio)”. [si veda KATA TE TORI GYAKU HANMI] GYAKU KESA. – È il movimento d’attacco YOKO MEN UCHI eseguito al contrario, dall’anca alla spalla, in un cir-cuito obliquo ascendente.

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GYAKU TE DORI. – “Presa al polso con torsione”. Il polso è torto (verso l’interno o l’esterno) premendone il dorso con il pollice o le altre dita. GYAKU TSUKI. – “Pugno opposto”. Il pugno è sferrato con la mano opposta alla gamba avanzata, sfruttando la rotazione delle anche. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. GYOJI. – “Arbitro”. È il nome generico attribuito agli arbitri delle gare e tornei di SUMO. L’abbigliamento dei GYOJI risale al Periodo ASHIKAGA (1336-1568) ed è quello dei KANNUSHI, i sacerdoti SHINTO: dagli abiti sontuosi al tipico EBOSHI (in una variante alta). Il colore dell’abito varia secondo il grado, così com’è diversa la tinta del ventaglio rituale, il GUMBAI – del tipo UCHIWA – utilizzato come indicatore delle decisioni prese. Il grado più ele-vato è TATE-GYOJI, “Capo degli Arbitri”: è il celebrante della DOHYO-MATSURI (“cerimonia propiziatoria”, la fun-zione scintoista che precede i combattimenti), dà inizio ai tornei ed arbitra gli incontri più importanti. Pare che il predecessore di tutti i GYOJI sia il SUMOTORI Kiyobayashi: vincitore del primo torneo di SUMO svoltosi a NARA, l’Imperatore lo premia con un ventaglio da guerra e lo nomina arbitro.

- H - HA. – “Normale”.

– “FILO” della lama di spada. E’ anche il bordo – con cui si sferra il colpo – della SHINAI. – “Branca”. “Ramo”, “specialità” di un RYU d’Arti Marziali, od anche “scuola derivata”.

HABACHI. – “Ghette” della YOROI, di stoffa. HABAKI. – Ghiera metallica, o anello di cuoio, che stringe la lama, vicino all’elso (TSUBA). Protegge la lama dall’umidità (chiudendo con precisione l’apertura del fodero, SAYA) e ne salvaguarda il filo, tenendola ferma nel fodero. Può essere in un solo pezzo (hitoye habaki) oppure in due parti (nijiu habaki: una attorno alla lama e l’altra all’imboccatura della SAYA). HABAKI-MOTO. – È la parte spessa e non affilata della lama di spada, usata nelle parate. HACHI. – “Otto”. in sino-giapponese. In giapponese puro è YATTSU, per contare le persone (NIN) si dice HA-CHININ, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa HICHIHON.

– Coppo del KABUTO. HACHIDAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 8° grado”. [si veda KYUDAN] HACHIJI-TACHI. – “Guardia neutra”. Postura naturale prima del combattimento: i piedi – rivolti all’esterno – sono distanziati quanto le spalle e le anche; le ginocchia sono leggermente flesse; le spalle rilassate, le brac-cia distese. L’HACHIJI-TACHI, normalmente, è la posizione iniziale dei KATA. HACHIMAKI. – “Salvietta”, “benda” di cotone bianco. È d’uso antico: quando gli elmi (KABUTO) ancora non hanno fodera, i combattenti utilizzano una pezza di tessuto a mo’ di copricapo, per assorbire i colpi. In segui-to, l’uso dell’HACHIMAKI annodata attorno alla fronte serve sia ad assorbire il sudore (impedendo che coli negli occhi), sia a dimostrare la saldezza di nervi e intenti. L’HACHIMAKI è utilizzata, nel KENDO, con lo scopo primiti-vo: per meglio assorbire colpi e sudore. Nel quotidiano, l’HACHIMAKI è utilizzata da contadini ed operai, come un fazzolettone. HACHIMAN. – È il nome della divinità protettrice il Clan MINAMOTO, Ojin, il 16° Imperatore, che regna dal 270 (pare) al 310 d.C. HACHI-MANZA. – Elaborata cornice d’ottone, posta attorno alla TEHEN. Spesso è a forma di crisantemo. HACHININ. – “Otto”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è HACHI, in giapponese puro si dice YATTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa HICHIHON. HACINAM. – KAMI protettore del BUDO, in vita grande BODHISATTVA.

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HACIWARA. – Coltello-pugnale con lama a un solo filo di 30 cm. Alla base della lama, sul TALLONE, è presen-te un incavo destinato ad intrappolare quella dell’avversario. Il significato è “spacca elmo”, ma la funzione, in effetti, è quella dell’europea “manosinistra”: fermare la lama dell’avversario (e se possibile spezzarla), colpire di punta, proteggere la parte sinistra del corpo. HADAKO. – È una variante, d’origine cinese, del KEMPO. HADOME. – Sbarra applicata alla lama della YARI. HAGAKURE. – “Nascosto tra le foglie”. È una raccolta – la cui lettura è considerata fondamentale per capire il BUSHIDO – di saggi, aneddoti e scritti mistici che YAMAMOTO TSUNETOMO, disordinatamente, mette insieme tra il 1700 ed il 1716, ma che parlano al cuore di ogni vero BUSHI. È con la lettura e la meditazione di quest’opera, divenuta abituale, che i SAMURAI dell’HAN di Nabeshima allenano lo spirito: si preparano a vivere nell’attesa di morire per il proprio Signore. HAI. – “Sì”.

– “Petto”; “polmone”; “respirazione”. HAIDATE. – È la parte dell’armatura, a forma di grembiule, che protegge le cosce. Nella parte alta, coperta dalle falde dell’armatura (KUSAZURI), l’HAIDATE è di pelle o broccato. La parte bassa è fatta di maglia di ferro, piastre o lamelle (laccate e unite da cordoncini). Questa protezione aggiuntiva si è resa necessaria quando le piastre del KUSAZURI sono aumentate fino ad otto o nove, da quattro che erano, diventando però più strette e meno sicure. HAI-KUATSU. – Serie di KUATSU con percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU), per “rianimazione respiratoria”. HAIKUCHI. – Si veda AIKUCHI. HAI-REI. – “Saluto rituale in ginocchio”. È un “saluto secondo le regole” (RITSU-REI). Si esegue seduti (sulle ginocchia), a capo diritto, con il busto leggermente inclinato. Così come per il saluto in piedi (TACHI-REI), anche in questa posizione l’inclinazione del busto varia secondo l’interlocutore e le circostanze, fino a toccare il TA-TAMI con la testa. [si veda REI] HAIRU. – “Entrare”. HAISHIN UNDO. – “Rilassamento della colonna vertebrale”. Esercizio a coppie: flessione e stiramento della schiena. Rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO) che si praticano in coppia, senza caduta. HAISHU. – “Dorso” della mano. HAISHU UCHI. – “Colpo con il dorso della mano”. La mano è aperta ed il colpo è un manrovescio. HAISHU UKE. – “Parata con il dorso della mano”. HAISOKU. – “Dorso” o “collo” del piede. Pure ASHI-ZOKU. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. HAITO. – “Bordo esterno”, superiore, della mano, sopra il pollice. HAITO UCHI. – “Colpo con il bordo superiore della mano”. HAI-WAN. – “Parte superiore” dell’avambraccio. HAJIMÈ. – “Inizio”. “Iniziate”, “cominciate!”. È il comando per iniziare l’allenamento, nella lezione. Espressio-ne arbitrale (anche SHOBU-HAJIMÈ), è utilizzata per dare inizio ad un combattimento.

HAJIMERU. – “Cominciare”.

HAKAMA. – “Pantaloni” tradizionali. Ampi e lunghi, assomigliano quasi ad una gonna-pantalone e fanno par-te del costume tradizionale e cerimoniale giapponese. Anticamente indossata da uomini e donne, dal secolo

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XVII l’HAKAMA diventa esclusivamente maschile, con l’eccezione delle sacerdotesse scintoiste (MIKO) e, ovvia-mente, delle praticanti di alcune Arti Marziali. In Era MEIJI indossano l’HAKAMA, comoda e pratica, anche alcu-ne studentesse universitarie, in luogo del KIMONO usuale. Nella pratica dell’AIKIDO s’indossa dal 3° KYU o dalla cintura nera (secondo le scuole) in poi, sovrapposta all’AIKIDOGI. L’HAKAMA è normalmente nera: questa tinta incute timore e, nel simbolismo TAOISTA, è anche il colore dell’acqua che, per la sua fluidità e flessibilità è il simbolo dell’AIKIDO. Il colore dell’HAKAMA, in ogni caso, può essere differente (nero, bianco, marrone scuro, blu) secondo Disciplina (AIKIDO, IAIDO, KYUDO, KENDO, AIKI-JUTSU…), scuola e grado raggiunto. L’HAKAMA pre-senta cinque pieghe anteriori (considerando unica la sovrapposta centrale) e due posteriori, in rappresentanza degli elementi della mistica filosofica orientale: terra, acqua, fuoco, aria, etere. Una cintura (KOSHI-ITA), anno-data dietro, sostiene l’HAKAMA, cui si può sovrappone un HAORI. HAKKO. – Antica denominazione dello stile SHITO RYU di KARATE. HAKKO RYU. – Scuola di JU-JUTSU. La fonda, nel 1938, OKUYAMA YOSIJI. La scuola è specializzata nello stu-dio della Medicina Tradizionale applicata alle Arti Marziali, soprattutto quelle di combattimento a corpo a corpo. SO DOSHIN, monaco ZEN, trae spunto dall’HAKKO RYU per elaborare e codificare lo SHORINJI KEMPO. HAKUDA. – “Seminario di allenamento”.

– Altro nome del KEMPO. HAMA. – “Spiaggia”. HAMBO. – Tipo di maschera d’arme. Protegge mento e guance ed è usata dalla seconda metà del XVI a tut-to il XIX secolo. HAMIDASHI. – Coltello-pugnale classe TAN-TO: ha lama leggermente curva, ad un solo filo, lunga meno di 30 cm, di solito con SGUSCIO vicino al dorso. L’elso a disco (TSUBA), di piccole dimensioni, è aperta in corrispon-denza dei fori per lo stiletto KOGAI ed il coltellino KOZUKA. L’impugnatura (TSUKA) è come quella della spada: ri-vestita di pelle di pesce e ricoperta da cordoncino intrecciato. Fodero laccato e fornimenti di metalli anche pre-ziosi. HAN. – È il dominio, personale, individuale e privato, di un DAIMYO. È costituito dal gruppo di famigli SAMURAI con un feudo (RYO) e dalla “gente comune” (TAMI).

– “Mezzo”, “metà”. HANA-MICHI. – “Strada fiorita”. Nel SUMO indica il passaggio che collega gli spogliatoi al DOHYO; nella tradi-zione teatrale è il corridoio che dalle quinte porta al palcoscenico. HAN-BO. – “Bastone medio”. Indica il bastone di lunghezza media, 90 cm (per la precisione 3 SHAKU: 90,91 cm), nel cui uso sono maestri i NINJA. HANBURI. – Coppo di metallo o cuoio. In genere è poco profondo e copre la sommità del capo. Esistono va-rianti più grandi, per proteggere fronte e tempie. A volte si completa con maschera (MEMPO), cappuccio di ma-glia di ferro, berretto. HANDO NO KUZUSHI. – “Squilibrare per reazione”. Identifica quel processo che avviene nel momento in cui TORI, tirato o spinto da UKE, cessa di opporre resistenza: UKE perde l’equilibrio nella direzione dello sforzo pre-cedente. Per ottenere uno squilibrio totale, è sufficiente che TORI intensifichi la spontanea perdita d’equilibrio. In AIKIDO, l’HANDO NO KUZUSHI si applica attraverso il TAI SABAKI: ruotare (TENKAN) quando spinti, entrare (IRIMI) quando tirati. HANE. – “Ala”. “Saltare”. HANGYO WAZA. – È il ripasso mentale, ad occhi chiusi, delle tecniche eseguite durante la lezione. HANIWA. – Statuette funebri di terracotta, di varie forme. Risalgono ai Periodi YAYOI e KOFUN e rappresenta-no soprattutto guerrieri, gli antenati dei SAMURAI. Sono importanti per i dettagli ben rifiniti che mostrano l’aspetto dei guerrieri ed il loro equipaggiamento: armature, elmi, spade di ferro, archi lunghi eccetera. La leg-

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genda narra che l’inventore delle HANIWA sia un famoso campione di SUMO, Nomi-no-Sukune, di Izumo. Co-stui, al tempo dell’undicesimo Imperatore, Suinin (29-70 d.C.), disputa un leggendario combattimento contro un altro campione, Taima-no-Kahaya, di NARA; entrambi usano solo i piedi, nella lotta. Nomi-no-Sukune vince, va ad abitare nello YAMATO e l’Imperatore lo nomina capo della corporazione dei vasai (hajibe). HANMI. – “Metà (HAN) corpo (MI)”. È la postura iniziale – di difesa o di risposta ad un attacco – nella pratica di molte Arti Marziali (AIKIDO, KARATE, KENDO…): di profilo, con il piede della gamba anteriore – leggermente pie-gata – perpendicolare all’altro. Tale posizione dei piedi, a triangolo, a 90°, è detta SANKAKU TAI. Il peso del corpo è distribuito su entrambi i piedi. [si vedano anche “ Considerazioni sul KI”] HANMI HANTACHI. – Situazione in cui una persona è seduta (inginocchiata) e l’altra è in piedi. HANMI HANTACHI WAZA. – Tecniche eseguite in HANMI HANTACHI: UKE è in piedi e TORI in posizione seduta (inginocchiato). HANNYA. – “Conoscenza intuitiva”. Concetto fondamentale del Buddismo ZEN, è strettamente connesso alla dhyâna (meditazione). HANSHI. – “Maestro”. Nell’antico sistema di classificazione del BUGEI, si ottiene la qualifica di HANSHI solo con il grado minimo di 9° DAN e si rimane tali anche nel 10°. [si veda KYUDAN]

– “Esperto”. Convenzionalmente, è la qualifica che spetta alla cintura nera, 5° e 6° DAN, praticante d’Arti Marziali. In alcune scuole, HANSHI è la cintura nera di 7° e 8° DAN. [si veda KYUDAN] HANSOKU-MAKE. – È l’annuncio di sconfitta (MAKE) per squalifica di uno dei contendenti, pronunciato dall’arbitro durante gli incontri delle Arti Marziali da combattimento. HANTAI. – “Opposto”. Identifica la postura speculare, “opposta”, rispetto all’avversario. HANTEI. – “Decisione”. È la richiesta del verdetto ai giudici, pronunciato dall’arbitro durante gli incontri delle Arti Marziali da combattimento. HAORI. – “Giacca”. Indossata a completamento dell’HAKAMA, ha larghe maniche (o-haori) e, sulla schiena, l’emblema (MON) del Clan. Ora, spesso, l’insegna è quella del DOJO. E’ possibile indossare l’HAORI sopra il KIMONO. HAPPO. – “Otto direzioni”. “Otto leggi”. HAPPO-GIRI. – “Taglio su otto lati”. Nel KEN-JUTSU – ma non solo – identifica la capacità di fendere il cielo con la spada, negli otto versi dello spazio: avanti, indietro, a destra, a sinistra, in diagonale avanti a destra e sinistra, in diagonale indietro a destra e sinistra. HAPPO NO KUZUSHI. – “Squilibrare nelle otto direzioni”. HAPPO-MOKU. – “Fissare lo sguardo nel vuoto controllando le otto direzioni”. HAPPO UNDO. – “Esercizio delle otto direzioni”. IKKYO UNDO e rotazione in otto direzioni. Fa parte degli e-sercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Serve per impa-rare a proiettare l’avversario nelle otto direzioni, dopo averlo squilibrato (HAPPO NO KUZUSHI). HAPPURI. – Tipo di maschera d’arme. Copre fronte e guance ed è ancora usata nel secolo XIV. HARA. – “Pianura”, “piano”. HARA o TANDEN. – “Ventre”, “addome”. Centro della regione addominale, è il punto d’unione e d’origine del-le energie psicofisiche vitali: idealmente, circa due centimetri (tre o quattro dita) sotto l’ombelico, sulla linea mediana, tra questo e la spina dorsale. È il centro vitale dell’uomo, nel quale si respira e dove si fissa l’attenzione, dove ci si concentra e si accumula energia; è questa parte del corpo che occorre controllare, quando si eseguono tecniche di dominio corporale e si vuole far agire il KI. È ancora qui che si trattiene il re-spiro, prima di praticare il KIAI. È anche il punto d’equilibrio interno del corpo umano, il centro di gravità (bari-

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centro). Per gli Orientali è il punto in cui originano e si concentrano le forze vitali profonde, la sorgente del KI. È attraverso l’HARA che l’uomo comunica con l’universo, armonizzando il proprio KI con quello universale. HARA-ATE. – Armatura, indossata in genere sotto l’abito da cerimonia. Formata da lamelle, legate con lacci, è destinata a proteggere la parte anteriore del corpo, dal collo alle ginocchia. HARA-ATE-GAWA. – Corsaletto di pelle indossato dalle classi umili. HARAGEI. – “Arte del ventre”. “La Tecnica nascosta e invisibile”. Arte di concentrare pensiero, spirito ed e-nergie vitali nell’HARA. È solo attraverso la pratica costante dell’HARAGEI che ognuno può “unificarsi” con l’universo, sentendosi in perfetta armonia con il creato. È grazie all’HARAGEI che un combattente riesce a svi-luppare la capacità di “leggere” (YOMI) le intenzioni di un avversario, percependone l’intenzione aggressiva. Anche l’HARAGEI si ricollega alla profonda consapevolezza della cultura nipponica che nei rapporti interperso-nali le parole sono spesso insufficienti: occorre valersi dell’ishin-den shin, “da uno spirito all’altro”. HARAI. – “Spazzata”. “Falciata” eseguita con la gamba contro il piede dell’avversario. BARAI, come suffisso.

– (anche hare) “Esorcismo”. È uno dei tre metodi di purificazione (gli altri sono l’abluzione, MISAGI e l’astensione dalle cose impure, IMI) praticati dai fedeli SCINTOISTI e può essere individuale o collettivo. È ese-guito secondo riti consolidati: il sacerdote, evocati i KAMI della purificazione, li fa entrare in un recinto con al centro un ramo dell’albero sacro sakaki, quindi recita una formula magica (norito). Quelli che devono purifi-carsi gli consegnano gli oggetti – anche simbolici pezzi di carta – nei quali si crede si sia trasferita la contami-nazione: tali oggetti sono gettati nei fiumi o nel mare, perché siano annientati. Dal secolo VIII l’HARAI collettivo è celebrato regolarmente: il 30 giugno ed il 31 dicembre. HARA-KIRI. – Dalla traduzione dei due ideogrammi “ventre - taglio”: suicidio rituale. Si veda SEPPUKU. HARA-KUATSU. – Massaggio ipogastrico. Rientra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU particolari, adatti a traumi e dolori pelvici , quindi sia di rianimazione sia antalgici. HARAMAKI. – Armatura leggera messa a punto nel XIV secolo. Ideata in origine per i soldati di fanteria, l’armatura protegge il solo busto e si apre in mezzo alla schiena; non è contemplato – almeno all’inizio – l’uso di un elmo. Presto l’HARAMAKI si trasforma in armatura completa e complessa per i SAMURAI: l’HARAMAKI-DO. [si veda, e si veda anche DO] HARAMAKI-DO. – Armatura di tipo HARAMAKI, destinata ai SAMURAI. Il modello classico del XVI secolo è for-mato da cinque parti: una grande per il petto, due per i fianchi e due per la schiena. Due spalline, attaccate al-le piastre della schiena, si allacciano alla placca pettorale; la parte inferiore del corpo è protetta da sette falde (KUSAZURI). Ogni pezzo dell’armatura è fatta di lamelle unite da lacci, tranne che nella parte superiore del cor-po, dove le piastre sono compatte. HARI-RYOJI. – “Agopuntura”. D’origine cinese, questo metodo di cura è conosciuto e praticato in Giappone dai tempi più antichi, unitamente alla moxa (induzione di calore negli TSUBA d’agopuntura, per mezzo di piccoli coni d’erba essiccati), al massaggio (amma), ai bagni terapeutici, all’uso di piante medicinali. A fianco dei veri medici – assai rari e soprattutto al servizio dei nobili – che studiano i testi della Medicina Tradizionale Cinese, applicandone i principi, ci sono stuoli di guaritori itineranti, taumaturghi, santoni, venditori ambulanti di impia-stri, monaci erboristi, streghe e stregoni che offrono una pletora di rimedi; quando i rimedi proposti non funzio-nano, ci si rivolge agli incantesimi delle MIKO di qualche tempio scintoista od alle preghiere di qualche monaco itinerante. HARAU. – “Spazzare”. Nel KENDO indica un movimento dello SHINAI, che ruota, avvolge e devia un attacco. HARIYA SEKI.UN. – (1592-1662) Maestro di KENJUTSU. Si racconta che non abbia perso alcuno dei cinquan-tadue duelli disputati. HASAMI. – “Forbici”. Indica, anche, un movimento a cesoia, fatto con braccia o gambe. BASAMI, come suffis-so. HASAMIBAKO. – Cassa da viaggio, trasportata appesa ad un’asta; normalmente è di legno.

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HASEGAWA CHIKARA-NO-SUKE HIDENOBU. – Famiglia d’origine del Maestro EISHIN. HASEGAWA RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. La fonda Hasegawa Soki (1568-1595 circa), ispirandosi allo stile CHUJO RYU di Chujo Nagahide. HASEGAWA EISHIN RYU. – Stile di IAI-JUTSU. È la scuola fondata dal Maestro EISHIN, nel XVIII secolo. Oggi identifica una serie di KATA tipici del MUSO SHINDEN RYU: dieci tecniche eseguite in posizione eretta e conosciu-te come CHUDEN, “insegnamento medio”. HASHI. – “Bacchette per mangiare”. Pare che l’origine di questi strumenti – all’epoca due pezzetti di legno in-crociati ed incernierati al centro – risalga al Periodo YAYOI (300 a.C. circa - 300 d.C. circa). A differenza delle bacchette cinesi (quasi cilindriche e di lunghezza standard, tranne che quelle usate in cucina), gli HASHI sono appuntiti, talvolta da entrambe le estremità (rikyu bashi) ed hanno misure diverse per sesso/età (uomini, donne e bambini) e per destinazione d’uso (cucina, tavola, cerimonie). Diversi sono anche i materiali con cui sono fatti: bambù, legno di sugi o di salice, avorio eccetera e innumerevoli sono le fatture, le decorazioni, i colori. A tavola sono usate sia per trasferire il cibo dai piatti di portata al proprio (utilizzate da un lato), sia per mangiare (utilizzate dal lato opposto). L’etichetta vuole che non si succhino, che non siano infilzati nel cibo (sashi ba-shi), che non siano usati per passare il cibo a qualcuno (hashiwatashi: a questa maniera si offre il cibo ai de-funti!), che non si utilizzino per allontanare o avvicinare piattini e ciotole e che non si esiti, nel prendere il cibo dalle varie ciotole e piattini, passandovi sopra gli HASHI. HASHI-OKI. – “Appoggia bacchette”. Disposto accanto al piatto, a tavola, serve per reggere gli HASHI. Occor-re appoggiarvi l’estremità delle bacchette che portano il cibo alla bocca; se manca, gli HASHI si appoggiano sul bordo delle ciotole. HASSO. – “Attacco”. HASSO KAMAE. – “Posizione di guardia, con un’arma”. Il JO od il BOKKEN è verticale, impugnato sul lato de-stro o sinistro, all’altezza delle spalle. HATAITO. – “Palizzata di legno” che, spesso, circonda la casa di un BUSHI e, sempre, le primitive fortificazioni – non permanenti – sorte a difesa di luoghi strategici. Per salvaguardia contro le frecce incendiarie, l’HATAITO è ricoperta con uno strato di terra, così come ricoperti sono, in tempo di guerra, i tetti (di stoppie o di assi di le-gno). HATAMOTO. – “Sotto la bandiera”. Appartengono alla classe dei DAIMYO di grado intermedio ed il nome deri-va dalla posizione che occupano in battaglia. Devono essere sempre pronti alla guerra, come tutti gli uomini d’armi, ma sono anche tenuti a fornire soldati ed armi allo SHOGUN, se richiesto, secondo il reddito. Norme fis-sate nel 1649, ad esempio, obbligano un HATAMOTO con reddito di 2.000 KOKU a fornire, oltre che il proprio servizio personale, trentotto uomini: diciannove SAMURAI, otto di grado GO-KENIN e undici ASHIGARU (due co-mandanti; cinque armati di lancia con una riserva; un arciere; due archibugieri); undici portatori (uno di NO-DACHI; due d’armatura e una riserva; uno di sandali; due di HASAMIBAKO con una riserva; due di foraggio; uno di copricapi contro la pioggia) più quattro palafrenieri e quattro facchini. Naturalmente, anche portatori e serventi devono essere armati e addirittura, se possibile, SAMURAI di grado ASHIGARU. HATOMUNE-DO. – Armatura di tipo DO-MARU, con corazza all’europea. Grandi piastre, in pezzo unico, pro-teggono petto e schiena. HATSU-GEIKO. – “Allenamento d’inizio anno”. Allenamento (KEIKO) del BUDOKA: si pratica per due o tre giorni consecutivi, all’inizio dell’anno solare. È anche, questo, il momento di gare e tornei. Questo tipo d’allenamento completa l’ASA-GEIKO (estivo, fatto di mattino presto) ed il KAN-GEIKO (invernale). HAYA GAESHI. – “Reazione (risposta) veloce”. HAYAGO. – “Fiaschetta per polvere da sparo”. Di legno (anche ricoperto di pelle) o cartapesta laccata, corno, avorio o metallo, è in varie forme: barca, pera, zucca. Tappi d’osso o avorio chiudono il tubo d’uscita della polvere. Spesso la fiaschetta è decorata con il MON, l’emblema di Famiglia.

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HAYASHI TERUO. – Maestro di KARATE. Appartiene al KITO RYU ed è il fondatore dello stile KENSHIN RYU. HAYASHIZAKI JINSUKE SHIGENOBU. – Maestro di KEN-JUTSU del XVI secolo. Appartenente al Clan HOJO, nasce nella provincia di Sagami (che ancora oggi ospita la principale scuola di scherma con la spada) ed è no-to anche come JINNOSUKE. Fonda (1560) la scuola JINNOSUKE RYU (o MUSO JIKIDEN RYU) di IAI-JUTSU, dal secolo XVIII conosciuta come MUSO JIKIDEN EISHIN RYU, dopo l’opera di perfezionamento condotta dal Maestro EISHIN. HAYASHIZAKI SHIGENOBU. – Guerriero del XVII secolo. Pare sia l’inventore dello stile BATTO-JUTSU, nome con cui, anticamente, è anche indicato lo IAI-JUTSU. HEIAN. – Indica la fase storica dal 794 al 1156. È l’Età dei Nobili di Corte (KUGE) e della seconda capitale im-periale, KYOTO. Si sviluppano sette esoteriche (TENDAI e SHINGON) e fiorisce la cultura FUJIWARA.

– È il nome della forma di cultura fiorita – dalla fine del VIII a tutto il XII secolo – attorno a KYOTO e trae origine da Heian-kyo, l’antico nome della città. HEIAN KATA. – “Forme della pace e della tranquillità”. Con questo nome sono conosciuti, nello stile SHOTO-KAN di KARATE, cinque KATA fondamentali, elaborati dal Maestro Itosu Kensei e selezionati tra molte delle anti-che “forme”. HEIHO. – “Il Metodo Militare”. Si riferisce all’intero curriculum di studi marziali di una scuola tradizionale d’Arti Marziali. La lettura giapponese dei caratteri che compongono questo termine dà “Metodo Militare”, la lettura alla cinese significa “Via della Pace”. Nella traslitterazione ufficiale cinese Pinyin, il carattere bing-fa (HEIHO, in giapponese) significa “metodo militare”, mentre il medesimo carattere, se letto ping-fa, significa “metodo paci-fico”. HEIHO o SEIHO. – È il nome con cui ITO ITTOSAI KAGEHISA, nella sua scuola (ITTO RYU), chiama il KEN-JUTSU. Con questo vuole intendere che l’arte della spada deve essere, soprattutto, attitudine mentale, non solo pura tecnica (JUTSU). È proprio l’attitudine mentale che consente al combattente sia di mantenere lo spirito imper-turbabile, puro e sincero (MAKOTO), sia di anticipare l’azione dell’avversario in modo tale da non essere costret-to ad ucciderlo (“la Spada che dà la Vita”, KATSUJIN-NO-KEN). HEIHO KADENSHO. – “Tradizione familiare sull’Arte dei Guerrieri”. Opera di YAGYU MUNENORI, uno dei fon-datori dello YAGYU RYU: parla della sia Arte, il KEN-JUTSU. HEIJO-SHIN. – È lo stato d’animo calmo, senza alcuna passione, saldo e risoluto di chi s’oppone ad un attac-co. A questo stato d’animo si deve unire l’assoluta padronanza dei gesti, la respirazione lenta e controllata, una muscolatura non contratta. Non deve mai trasparire – ancorché improbabile – il timore dello scontro. HEIKI. – “Equanimità” (è composto di KI). HEIMIN. – “Gente comune”, “popolo”. È la nuova classe sociale che emerge dalla semplificazione del siste-ma, dopo la Restaurazione MEIJI: ne fanno parte tutti quelli che prima erano contadini, artigiani, mercanti o fuori casta. Ora sono loro garantite la libertà di residenza e di occupazione ed il permesso di usare sopran-nomi. HEISOKU-DACHI. – Posizione naturale. Posizione eretta di base, ma con i piedi paralleli e uniti. HENKA. – “Variazione”. HENKA WAZA. – “Tecniche di variazione” (o variazione delle tecniche). TORI applica una concatenazione di tecniche (od una serie di variazioni alla tecnica), reagendo a UKE. HENKO. – “Cambio”. “Cambiamento di lato”, riferito ad una posizione di guardia o ad una postura. HEYA. – “Scuola” (o “scuderia”) dove sono allenati – ed allevati – i lottatori di SUMO, i SUMOTORI. Ogni HEYA è diretta da un “Grande Campione” in attività (yokozuna) o ritiratosi (toshiyori).

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HI. – “Segreto”, “occulto”. HICHIHON. – “Otto”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è HACHI, in giappo-nese puro si dice YATTSU, per le persone (NIN) s’usa HACHININ. HICHU. – “Pomo d’Adamo”. Punto della trachea. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. HIDARI. – “Sinistra”. HIDARI-DO. – Attacco al fianco sinistro. [si veda KENDO] HIDARI HANMI. – “Posizione naturale sinistra”. Il piede sinistro è avanzato. HIDARI KAMAE o HIDARI-GAMAE. – “Guardia sinistra”. HIDARI-KOTE. – Attacco all’avambraccio sinistro. [si veda KENDO] HIDARI-MEN. – Attacco al lato sinistro del capo. [si veda KENDO] HIDARI RENOJI-DACHI. – “Posizione naturale a L, a sinistra”. HIDEN. – “Scienza occulta”. È l’insieme delle “tecniche segrete” (HI-JUTSU) e “riservate” (GOKUHI), insegnate dal Maestro con il “metodo segreto” (HI-HO) solo a quegli allievi – di grado superiore e particolarmente dotati – che ritiene degni di fiducia. HIGAONNA KANRYO. – (1853-1915) Maestro d’Arti Marziali, ad OKINAWA. Seguace dello stile Naha-te, (“mano di Naha”), è Maestro di MIYAGI CHOJUN (creatore del GOJU RYU) e di MABUNI KENWA (fondatore della scuola SHITO RYU). HI-GI. – È lo studio, nel WA-JUTSU, dei rapporti fra la realtà materiale ed il mondo spirituale, divino. È l’insegnamento esoterico, riservato ai più alti gradi della Disciplina. HI-HO. – “Metodo segreto”. È il sistema che il Maestro adotta per insegnare – solo agli allievi avanzati e parti-colarmente dotati, che ritiene degni di fiducia – sia le “tecniche segrete” (HI-JUTSU) sia le “riservate” (GOKUHI). HIJI. – “Gomito”. Punto del gomito. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure EMPI. HIJI ATE. – Tecnica di percussione eseguita con il gomito. HIJI-DORI. – Tecnica di pugno al viso di UKE. Si esegue, normalmente, su SODE DORI, (presa alla manica, all’altezza del gomito). HIJI KIME OSAE. – Variante di NIKYO. HIJI JIME. – “Leva al gomito”. Leva applicata al gomito. HIJI NAGE MAE ERI DORI. – “Seconda presa al bavero”. È una variante di HIJI NOBASHI ERI DORI, nella quale TORI effettua il movimento di sbilanciamento di UKE passando con il suo braccio sopra la mano cha ha afferra-to. Lo sbilanciamento di UKE è all’indietro, grazie ad un IRIMI effettuato da TORI. HIJI NOBASHI ERI DORI. – “Prima presa al bavero”. Oltre alla presa, UKE cerca di colpire con un pugno al volto. L’azione difensiva di TORI comprende uno spostamento laterale (per evitare il colpo) ed uno sbilancia-mento di UKE, per trazione della mano che ha afferrato, unita ad un movimento di braccio dal basso in alto). HIJI OSAE. – “Immobilizzazione del gomito”. HIJI SHIME. – “Strangolamento con il gomito”. Si veda UDE HISHIGI. HIJI DORI. – “Presa al gomito”. UKE afferra l’esterno del gomito di TORI. HIJI UCHI. – “Colpo con il gomito”.

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HIJI WAZA. – “Tecniche eseguite ai gomiti” (di UKE). Rientrano nella gamma delle KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che sono delle pratiche di controllo (KATAME od OSAE WAZA). Possono essere: chiavi arti-colari alle braccia (UDE HISHIGI); chiavi articolari con lussazione dell’articolazione (UDE GARAMI); chiavi articolari con spinta (OSHI TAOSHI); chiavi articolari con trazione (HIKI TAOSHI); chiavi articolari con torsione (UDE HINERI); chiavi articolari con leva (UDE GAESHI). HIJIKIME OSAE. – “Immobilizzazione al gomito”. HI-JUTSU. – “Tecniche segrete”. Sono quelle tecniche insegnate solo ad allievi, di grado superiore, partico-larmente dotati. HIKI. – “Tirare”. “Schivare”. Deriva da HIKU, “tirare”. HIKI AGE. – Movimento di “richiamo” dell’arma (spada, bastone). Si esegue verso l’alto, dopo un fendente: consente di tornare in con l’arma posizione d’attacco. HIKI-GANE. – Parte del KOTE, a protezione del gomito. HIKI MI. – Tecnica di schivata. Si attua contro un attacco frontale, a livello “medio” (CHUDAN) e si esegue arre-trando velocemente torace e addome. HIKI OTOSHI. – Tecnica di schivata. Si attua contro un attacco frontale, a livello “basso” (GEDAN) e si esegue arretrando velocemente tutto il corpo, ma non solo: una simultanea pressione di braccia, al dorso dell’avversario, lo fa cadere. HIKI TAOSHI. – “Chiave articolare di braccio (UDE HISHIGI), eseguita con trazione”. Fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME od OSAE WAZA). HIKI TATE. – Tecnica per far accostare l’avversario. In questo modo è più facile renderlo inoffensivo. HIKI WAZA. – Tecnica per arretrare. In questo modo si ha più spazio per portare a termine un attacco. HIKIDA BUNGORO. – (1537-1606) Celebre spadaccino. Appartiene alla scuola SHIN KAGE RYU e fonda l’HIKIDA RYU, conosciuta anche come HIKIDA KAGE RYU. HIKIDA RYU. – Scuola fondata da HIKIDA BUNGORO. Materie di studio sono KEN-JUTSU e KENDO. La scuola – nota anche come HIKIDA KAGE RYU – adotta nell’allenamento una spada analoga al BOKKEN, di legno duro, si-milmente a quanto poi accade nello SHIN KAGE RYU. HIKIME. – “Cuspide” (YANO-NE) di freccia; fa parte delle frecce non letali. È una biglia di legno – che può co-prire o sostituire la punta di metallo – utilizzata nello YABUSAME. HIKITA KAGE RYU. – È la scuola di KEN-JUTSU che Hikita Kagekane (1573-1592) fonda, ispirandosi all’AIZU KAGE RYU di AIZU IKO. HIKU. – “Tirare”. HIMO. – “Cinghie” dell’armatura TAKE GUSOKU. In origine servono a collegare i piccoli pezzi di bambù che for-mano l’armatura, oggi indicano i cordoni che legano il DO (piastra per il petto). HIMOGATANA. – Piccolo pugnale, tutto d’acciaio. Usato soprattutto dalle donne, si presenta con lama dritta a sezione romboidale, di 15 cm circa; l’impugnatura, diritta, ha sezione circolare; il fodero, ricavato da una canna, è guarnito alle estremità. Si porta appeso ad un cordoncino. HINERI. – (anche NEJI) Arma in asta. È utilizzata nel Periodo TOKUGAWA (o EDO, 1603-1868), soprattutto dalla polizia; per questo motivo è tenuta a portata di mano, agli sbarramenti che chiudono le porte delle città e bloc-cano i confini provinciali. Una lunga asta di legno è sormontata da un FERRO munito di punte, denti, uncini: il sospetto è agganciato alle larghe maniche (o-haori) dell’abito ed immobilizzato. Varianti d’uso più propriamen-

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te militare sono: SODE-GARAMI, tsukubo, mojiri, con modifiche che riguardano le serie di punte ed uncini della TESTA.

– “Torsione”. HINERI TE. – “Torsione della mano”. HINERI YOKO EMPI. – “Torsione laterale del gomito”. HINERI UCHI. – “Percossa con il gomito”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. HININ. – “Reprobo”. Classe funzionale del Giappone feudale. Non appartengono ad una specifica classe so-ciale: sono i mendicanti, considerati meno che animali, al pari degli ETA. Spesso si tratta di appartenenti al popolo, colpevoli di reati gravi, che comportano la marchiatura con ferro rovente e l’esilio dalla comunità. HI-OGI. – “Ventaglio di tipo pieghevole” (OGI). È d’uso personale ed appannaggio dei nobili, ma, sul finire del secolo XII, diviene anche “da battaglia”, utilizzato dai SAMURAI: l’intelaiatura esterna da lignea diventa di ferro e le stecche sono laccate, per rafforzarle. HIRA. – “Piatto”, con riferimento alle superfici “piatte” del corpo umano (p. es. pianta del piede, palmo della mano). HIRA-KEN. – “Pugno semichiuso”. HIRIKI. – “Forza del gomito”. HIRUMAKI. – Fornimento dell’asta della YARI. HISAMORI RYU. – Altro nome della scuola TAKENOUCHI RYU. HISHIGI. – “Tecnica di rottura”. È la spettacolare prova – che, normalmente, s’accompagna ad una tecnica respiratoria particolare (IBUKI) – con cui un BUDOKA (KARATEKA, in particolare) riesce a rompere oggetti – tavole di legno, mattoni, tegole eccetera – utilizzando il taglio della mano (SHUTO o TE-GATANA), il pugno (KEN), i piedi (tallone, KAKATO; bordo esterno, ASHI-GATANA o SOKUTO), la testa o altre parti del corpo. Per giungere a simili prestazioni, occorre un allenamento lungo ed impegnativo. Non è detto che un HISIGI ben eseguito sottenda la completa padronanza tecnica del BUDOKA. HISHIRYO. – “Pensare senza pensare”; “oltre il pensiero”. “Pensiero senza coscienza”. È un concetto tipico del Buddismo ZEN e dei praticanti esperti d’Arti Marziali. [si vedano BUDO, ZAZEN] HITAI-EBOSHI. – Acconciatura destinata ai figli dei SAMURAI. È, in pratica, la prima acconciatura del futuro SAMURAI, che può indossarla dal momento della sua presentazione al capo del Clan, all’uscita dall’infanzia, verso i sette anni. Si tratta di un triangolo di stoffa rigida nera o carta, fissato con un nastro alla sommità della fronte. HITO. – “Il Posto, il Luogo in cui risiede la scintilla di vita”, quindi “persona”, “essere umano”. HITO-E-MI. – “Posizione triangolare del corpo”: la schiena rappresenta l’ipotenusa. HITORI. – “Uno”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è ICHI, in giapponese puro si dice HITOTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa IPPON. HITOTSU. – “Uno” in giapponese puro. In sino-giapponese è ICHI, per contare le persone (NIN) si dice HITORI, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa IPPON. HITSU. – Foro centrale della TSUBA, attraverso il quale passa il CODOLO. HITSUI o HIZA. – “Ginocchio”. HI UCHI BUKURO. – “Acciarino”. Sopra una scatola rotonda, che contiene un’esca, è montata una piastra a focile, tipo SNAPHANCE. Lo HI UCHI BUKURO, normalmente, si porta appeso ad una miccia. È usato anche pro-

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prio per dar fuoco alla miccia del fucile. In Giappone non è mai stata montata la piastra a focile su armi da fuoco, passando direttamente dalla piastra a miccia – in uso fino alla metà del XIX secolo – al sistema a per-cussione. HIZA o HITSUI. – “Ginocchio”. HIZA-GASHIRA. – “Rotula”. HIZA GERI. – “Percussione eseguita con il ginocchio”. HIZA-KANSETSU. – “Rotula”, “tendine rotuleo”. Zona situata tra la rotula e la tibia. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. HIZO. – “Reni”. Punto dei reni. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. HO. – “Metodo”, “insieme”; “via”.

– “Passo”. – “Casacca” indossata a Corte dai nobili. Il colore dipende dal rango.

HOATE. – Tipo di maschera d’arme. Protegge mento e guance, ha nasale staccabile ed è in uso dal XIV al XVI secolo. HOGU-JUTSU. – Stile di combattimento dello JU-JUTSU. Le numerose tecniche del a corpo a corpo, utilizzate per bloccare l’avversario, derivano, pare, dall’antica scuola HOKUSAI RYU di JU-JUTSU. L’HOGU-JUTSU appartie-ne al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). HOJO. – Famiglia militare, strettamente legata al Clan MINAMOTO attraverso vincoli di parentela. Poco dopo la morte di MINAMOTO-NO YORITOMO, avvenuta nel 1199, con un colpo di stato (1203), assumono il controllo del BAKUFU di KAMAKURA (proclamato nel 1192) e consolidano il loro potere nel 1205. Per una strana sorte di pu-dore, gli HOJO mantengono solo la reggenza dello SHOGUNATO, fino al sorgere degli SHOGUN ASHIKAGA, che conquistano il potere, in nome dell’Imperatore GO-DAIGO, con l’aiuto di SAMURAI scontenti. HOJO-JUTSU. – “Tecnica per legare”. Si tratta di metodi (un tempo utilizzati soprattutto dai NINJA) che con-sentono di legare – con diversi livelli di BLOCCAGGIO – l’avversario. L’HOJO-JUTSU (che serve sia per catturare un nemico sia per immobilizzare un prigioniero) è praticato dalla polizia giapponese ancora oggi. HOJO TOKIMASA. – È uno dei più celebri attori del teatro KABUKI, famoso soprattutto per le (tollerate) parodie di TOKUGAWA IEYASU. HO-JUTSU. – Scuola di tiro con armi da fuoco. Pare abbia origine nei primi anni del secolo XVI, quando sono messe a punto tecniche per il tiro con l’archibugio (Yo Ryu). L’HO-JUTSU, conosciuto anche come KA-JUTSU, appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). HOKI RYU. – Antichissima scuola di tiro con l’arco da guerra (KYU-JUTSU). Fondata da ZENSHO MASATSUGU, risale al secolo X. HOKO. – Termine generico: indica qualsiasi tipo d’arma in asta fino al Periodo NARA (645-794) compreso. La testa, munita di codolo o GORBIA, può essere di ferro o di bronzo ed avere o no punte e lama laterale. Antica-mente l’HOKO è chiamato tencho ed anche rikken.

– Arma comparsa alla fine del XV secolo. Un’asta di 120-140 cm, a sezione ovale, laccata, è sormon-tata da una lama (fornita di codolo), cui se ne aggiunge una sporgente di lato. La lama laterale, normalmente corta, serve a sia a parare i colpi dell’avversario sia per colpire. Nel Periodo EDO (1603-1868) l’HOKO diventa arma da parata o cerimonia, talvolta con stravaganti lame laterali cortissime o smisurate, come alcuni esem-plari del XVII sec., in cui la lama principale diventa quella orizzontale – pesante sperone a quattro lati, simile ad un martello da guerra europeo – mentre la verticale è corta ed appuntita. Le lame sono protette da fodero, decorato e laccato (SAYA) o in legno, senza decorazioni, ma coperto di scritte (SHIRAZAYA). L’asta dell’HOKO è munita di CALZUOLO, chiamato HIRUMAKI.

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HOKO-IN RYU. – Antica scuola d’Arti Marziali. Specialità della scuola è la scherma di lancia (YARI-JUTSU), cui s’aggiunge lo JU-JUTSU. HOKOSHU. – È la guardia militare degli SHOGUN ASHIKAGA. Il Clan ASHIKAGA governa il Paese (con quindici SHOGUN) dal 1338 al 1573, ma per mantenere il potere deve contare sul sistema delle alleanze, potendo fare affidamento, normalmente solo su ridotte forze militari, tra le quali gli HOKOSHU (mai in numero superiore a 350 unità). HOKUSAI RYU. – Antica (1700 circa) scuola di JU-JUTSU. In questa scuola si studia lo stile HOGU-JUTSU. HOKUSHIN ITTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. È fondata, verso la fine del Periodo EDO (1603-1868), da CHI-BA SHUSAKU, che è alla ricerca di uno stile di KEN-JUTSU più spirituale rispetto a quello praticato al suo tempo. Gli allenamenti a coppia (KUMI-TACHI) – nei quali sono introdotte manopole e maniche di protezione (KOTE) – ri-guardano combattimenti sia tra allievi forniti di un BOKKEN dritto (antesignano dello SHINAI), sia di allievi armati di BOKKEN contro altri muniti di KEIKO-NAGINATA. HON. – “Origine”, “radice”. “Fondamentale”, “essenziale”, “principale”. “Regolare”.

– “Oggetti lunghi”. HONBU DOJO. – “Palestra Centrale”. È, per ogni Arte o Disciplina Marziale, la sede principale dell’attività. Quello dell’AIKIKAI si trova a Tokyo. HONMA SHINTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Honma Masayoshi. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. HONKE. – “Nobili di Corte”. Si veda KUGE, BUKE. HON-MOKUROKU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 3° o 4° grado”. Si chiama anche SANDAN se di 3° grado e JODAN se di 4°. [si veda KYUDAN] HONTAI. – “Allerta permanente”. Solo dopo lungo, duro allenamento, un combattente raggiunge quello stato di lucidità e profonda ricettività che gli consente la percezione di sé, del suo avversario e dell’ambiente circo-stante. Lo spirito, libero e permanentemente allerta, permette al combattente la perfetta padronanza delle pro-prie facoltà e capacità. È anche il titolo di un antico testo – si dice conservato da TAKUAN SOHO, monaco ZEN e Maestro di varie Discipline – che è alla base dell’insegnamento del KITO RYU. HORIMONO. – Incisioni decorative o simboliche – soggetti floreali, draghi, BONJI, fiamme, brevi poesie… – spesso presenti sulle lame delle armi bianche (spade, lance ecc.). Talvolta servono ad eliminare piccoli difetti superficiali. HORO. – Caratteristica protezione per i soldati a cavallo. Cinque strisce di tessuto, cucite fra di loro, formano un telo lungo circa 180 cm, a volte imbottito di cotone, a volte tenuto disteso da un telaio di vimini. Fissato all’elmo (o alla piastra posteriore della corazza) ed alla vita del cavaliere, si gonfia con il vento provocato dalla corsa ed offre una protezione aggiuntiva contro le frecce scagliate da tergo. HOSAKAWA RYU. – Altro nome della scuola TAKEDA RYU di YABUSAME. HOSHI-KABUTO. – Elmo. S’ispira a forme antiche (IV o VI secolo) e lo compongono piastre verticali, incurva-te, circondate alla base da una singola striscia. Una piastra di rinforzo, decorata, a forma di visiera, sporge sul davanti; in cima è presente il TEHEN. È caratteristica la tecnica di fissaggio delle piastre verticali: file di rivetti, con grossa capocchia a bottone (hoshi significa stella). Dai primi, rozzi, esemplari dei secoli X e XI, a forma quasi conica, si passa ad esemplari a forma quasi emisferica (inizio del XV), composto da numerosissime pia-stre e piccolo bordo inferiore, chiamato O-BOSHI. Nella parte posteriore troviamo una gronda (SHIKORO) enor-me, con imponenti FUKIGAYESHI (risvolti laterali della visiera). Nel tardo Periodo MUROMACHI (seconda metà del XVI secolo) questo tipo d’elmo è molto diffuso. Il numero delle piastre verticali va da 32 a 72 ed i rivetti (mini-mo 30 per ogni piastra) hanno capocchia conica, di dimensione decrescente dal basso all’alto. L’HOSHI-KABUTO, in diverse varianti, è prodotto a tutto il XIX secolo.

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HOSHINO KANZAEMON. – Campione di tiro con l’arco. Resta il miglior tiratore fino all’aprile 1686, quando WASA DAIICHIRO lo spodesta. HOSHIN RYU. – Scuola di NAGINATA-JUTSU. È recente (secolo XIX) ed ha lo scopo di far sviluppare negli al-lievi una “intelligenza perfetta”. HOSHI TETSUOMI. – Discepolo di O-SENSEI. Idea un metodo di lotta, chiamato KOBU-JUTSU, che ingloba tec-niche d’AIKIDO. HOTE. – “Giudice” del SUMO. Il primo HOTE che si ricordi è SHIGA SEIRIN, nominato giudice nel 740. HOTOKE-DO. – Armatura di tipo DO-MARU. Le piastre di protezione, modellate a sembianza di torso nudo, sono spesso incise con volti umani grotteschi. HOZAN RYU. – Antica scuola di KEN-JUTSU. Pure in questa scuola – aperta alla fine del secolo XIX – si utiliz-za lo SHINAI per l’allenamento. HOZO-IN EI. – (1521-1607) Monaco buddista di NARA ed esperto d’armi. È il guardiano del tempio della sua città e, per la tradizione, non solo ha fondato l’HOZO-IN RYU, ma è anche l’inventore di tutta una serie d’armi cosiddette insidiose, tra cui il FERUZE ed il KUDA-YARI. HOZO-IN RYU. – Antica scuola di KEN-JUTSU, SO-JUTSU e KENDO. Per la tradizione, il fondatore è HOZO-IN EI e tutti i successivi capiscuola sono dei religiosi. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. Tra i migliori allievi dell’HOZO-IN RYU si annovera TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI, la cui bravura non s’accompagna ad altrettanta buona moralità. L’HOZO-IN RYU, da sempre legata allo SHINDEN FUDO RYU e rinnovatasi alla fine del secolo XIX, insegna ancora oggi l’uso del FE-RUZE. UESHIBA MORIHEI, nel 1924-25, studia SO-JUTSU allo HOZO-IN RYU. HYAKU HACHI JU DO. – “180 gradi”. HYAKUSHONIN. – Si veda BONGE. HYODO. – È il termine che TSUJI GETTEN SAKEMOCHI usa con riferimento al metodo di combattimento con la spada, insegnato nella scuola da lui fondata, la MUGAI RYU. L’HYODO è un metodo che cerca di conciliare e fondere arti umanistiche e guerresche, l’attitudine spirituale militare con quella civile, la meditazione ZEN con l’etica confuciana. Il fine ultimo del principio HYODO è la perfetta vacuità (SHUNYA), l’unificazione dell’essere umano con il nulla cosmico.

– Così sono chiamate le Arti Marziali all’inizio del secolo XVIII, in Periodo Edo (1603-1868). Esse sono altresì indicate come Heido (“Via Militare”). HYOHO. – “Metodo della strategia”. Con questo termine MIYAMOTO MUSASHI, il celeberrimo SAMURAI, definisce lo stato d’animo adatto al combattimento: spirito integrato con la tecnica. È la perfetta auto conoscenza che porta a controllare e dominare sia le proprie azioni sia lo spazio circostante. L’HYOHO si applica a tutte quelle Arti Marziali note come “Arte di vivere e di morire”: le Discipline di combattimento proprie dei SAMURAI. L’HYOHO, in qualche misura, equivale al principio espresso con il moderno DO. HYOHO ITTEN ICHI RYU. – Antica scuola di spada, fondata verso il 1620. HYOHO-KYO. – “Lo specchio della vita”. Lo scrive MIYAMOTO MUSASHI che, in ventotto capitoli, tratta la stra-tegia del combattimento. A questo libro fa seguito l’HYOHO SANJUGO KAJO. HYOHO MICHI SHIRUBE. – “Fondamenti della Via della Spada”. Notevole opera sulle tecniche di spada, scritta da SHIRAI TORU, ai suoi tempi (inizio secolo XIX) famoso Maestro di KEN-JUTSU. HYOHO SANJUGO KAJO. – “Trentacinque Capitoli sullo Hyoho”. È una nuova stesura, ampliata, del prece-dente l’HYOHO-KYO (“Lo specchio della vita”). L’uno e l’altro sono precedenti al celebre GORIN NO SHO. HYOSHI. – “Ritmo”. È quella particolare “cadenza” che caratterizza un combattimento, condizionando lo “spa-zio-tempo” tra i due avversari ed anche il rapporto “corpo-spirito” di ciascuno.

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- I - IAI. – “Sguainare”, “estrarre”, “sfoderare” la spada. IAIDO. – “La Via dello IAI”; “la Via di sguainare la Spada”. È la versione moderna dello IAI-JUTSU, spesso abbi-nata allo studio del KENDO, così come lo IAI-JUTSU è complemento del KEN-JUTSU. Della versione “utilitaristica” richiede la concentrazione e mantiene intatta rapidità, eleganza, precisione ed efficacia (supposta!) dell’atto. Risale allo IAI-JUTSU, inoltre, tutta una serie di gesti simbolici – ma in origine dettati dalla necessità di essere sempre pronti a combattimenti successivi – che costituiscono le tecniche di base (SHODEN) dello IAIDO: NUKI-TSUKE, “sguainare”, KIRI-TSUKE, “tagliare”, CHIBURI, “pulire la lama”, NOTO, “rinfoderare”. A questi atti si aggiun-gono anche il saluto rituale, tutta una serie di KATA e, soprattutto, il controllo della mente e dello spirito e l’atteggiamento proprio dello spadaccino, che il praticante di IAIDO deve acquisire e mantenere: SEME, “minac-cia“, FURI-KABURI, “sollevare la spada“ eccetera. Oggi sono venti i movimenti di “estrazione” della spada e cir-ca cinquanta quelli di “taglio” nelle varie direzioni. Tecniche e KATA sono eseguiti con partenza sia in posizione eretta sia seduta, in ginocchio o addirittura sdraiata, a simulare situazioni diverse: in piedi, contro uno o più avversari; dopo una caduta; in luoghi dai soffitti bassi eccetera [non si dimentichi, a questo proposito, che molti KATA del moderno IAIDO sono sviluppati in tempo di pace e poco hanno a che fare con azioni realistiche di combattimento]. Lo IAIDO è insegnato nelle maggiori scuole di KENDO (ed anche KEN-JUTSU), sia come com-plemento alla Disciplina principale, sia come Arte Marziale a sé stante. Altre scuole – KATORI SHINTO RYU per tutte – abbinano allo IAIDO l’insegnamento di ulteriori Discipline: KEN-JUTSU, SO-JUTSU, NAGINATA-JUTSU, BO-JUTSU eccetera. IAI-JUTSU. – “L’Arte dello IAI”, “l’Arte di sguainare la Spada”. È la capacità di sguainare la spada e colpire immediatamente l’avversario – nel combattimento reale – prima che questi, a sua volta, estragga o riesca a colpire. Un tempo chiamato anche BATTO-JUTSU, lo IAI-JUTSU è il complemento naturale della scherma con la spada (KEN-JUTSU). Pare che la prima scuola a teorizzare questo tipo di disciplina sia la JINNOSUKE RYU (o MUSO JIKIDEN RYU), fondata nel 1560 da HAYASHIZAKI JINSUKE SHIGENOBU, detto JINNOSUKE. Essenziale, nello IAI-JUTSU, non è solo la rapidità d’estrazione dal fodero (SAYA), ma anche l’abilità nel colpire immediatamente, ed efficacemente, l’avversario: in teoria, deve bastare un solo colpo. IBARAGI SENSAI. – SAMURAI di basso rango, fondatore – pare – del KITO RYU, scuola di JU-JUTSU. IBUKI. – Tecnica di respirazione, praticata soprattutto dai KARATEKI. È equiparabile al KIAI, con inspirazione dal naso ed espirazione che “parte” dal ventre (e se ne percepisce il suono). Serve, essenzialmente, a assor-bire il dolore provocato dagli ATEMI inferti o dalle spettacolari “tecniche di rottura” (HISHIGI). ICHI. – “Uno”, in sino-giapponese. In giapponese puro è HITOTSU, per contare le persone (NIN) si dice HITORI, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa IPPON. ICHIBAN. – “Primo”. Questo termine indica tutto ciò che è di prima qualità. ICHIDEN RYU. – Recente scuola di KEN-JUTSU: risale al XIX secolo. ICHIKAWA MONDAIYU. – È l’ideatore dello stile KOWAMI di JU-JUTSU. ICHIMON. – Parente stretto del capo Clan, membro della famiglia. I Clan SAMURAI funzionano come una grande famiglia, al cui centro esiste un reale nucleo parentale. I rapporti tra gli appartenenti al Clan si defini-scono utilizzando termini di parentela, anche se non c’è consanguineità. Il gruppo di parenti “veri” del capo Clan – che, normalmente (dal secolo IX), è il proprietario dello SHOEN – sono gli ICHIMON. I diversi rami della famiglia sono chiamati ie-no-ko, “i piccoli di casa”, mentre i SAMURAI che non sono parenti sono chiamati KENIN, “uomini di casa”. Il KENIN, in cambio della sua fedeltà al capo del Clan, della Famiglia, riceve protezione ed il diritto ad una parte delle terre dello SHOEN. ICHIMONJI. – Ideogramma di “uno”. ICHI-NO-ASHI. – Occhiello del fodero della spada TACHI.

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ICHIRYO GUSOKU. – “Un feudo e un’armatura”. Il termine – composto da ICHI, “uno”, RYO, “territorio” o “feu-do” e GUSOKU “armatura” – indica i SAMURAI di campagna, quelli che, per l’appunto, possiedono solamente del-la terra, spesso coltivata direttamente, ed un’armatura, certo non di pregio. La condizione di samurai-contadino (JI-SAMURAI) non è rara, soprattutto fino alla fine del secolo XVI, quando i guerrieri di professione non si sono ancora affermati del tutto. Chosokabe Motochika (1539-1599) – un DAIMYO di Shikoku autore di un Codice familiare in cento articoli – autorizza quei suoi ICHIRYO GUSOKU, che per motivi economici non pos-sono permettersi il trasferimento nel Castello di Kocki, a rinunciare alla condizione di SAMURAI per essere con-tadini a tutti gli effetti. La riduzione allo stato di contadino, per un ICHIRYO GUSOKU, è molto spesso una puni-zione: non essere più un samurai, per chi è nato e cresciuto in questa classe sociale, è un castigo talvolta peggiore dell’esilio. IGA RYU. – Altro nome del TOGAKURE RYU, scuola di NINJUTSU. I-GO. – Il gioco del GO. IHAI. – Tavoletta recante inciso il nome del guerriero caduto in battaglia. È posta sull’altare di famiglia, nelle abitazioni dei BUSHI, e serve a mantenere vivo il ricordo del defunto. È buona norma, inoltre, erigere una pie-tra tombale, nel giardino o nel cimitero, anche quando non siano stati recuperati il corpo o le ceneri: si seppel-lisce un oggetto di proprietà del morto o una ciocca di suoi capelli. IIE. – “No”. IIZASA IENAO. – (1387-1488) SAMURAI, conosciuto anche come CHOISAI. Nasce a Iizasa, in una Famiglia militare del Clan Chiba, nell’omonima provincia, e serve vari DAIMYO. Istruttore di spada di Yoshimasa, ottavo ShOGUN ASHIKAGA, pare non sia mai stato battuto sul campo di battaglia. Alla caduta del Clan Chiba decide di vendere le sue terre e diventa monaco buddista nel santuario SHINTO di Katori-jingu, nella sua provincia di na-scita. Nel 1447, a 60 anni d’età, decide di affrontare una pratica di purificazione e duro allenamento (SHUGYO) lunga 1.000 giorni: preghiere quotidiane e allenamento con spada e lancia. Narra la leggenda che durante questo lungo spazio di tempo, mentre pratica vicino ad un pruno, ad IIZASA CHOISAI IENAO appare – in forma di bimbo, seduto su un ramo – Futsu Nushi-no-Mikoto, divinità cui il santuario è dedicato. Il dio, nel predirgli un futuro di grande Maestro, gli dona un libro di strategia marziale, da lui stesso scritto: l’Heiho Sinsho. IIZASA CHOISAI IENAO chiama la scuola, che ha sede nel santuario, TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU, “La Divina Tradizione Marziale del Santuario Shinto di Katori”. Questo RYU, conosciuto anche come KATORI SHINTO RYU, dove si insegnano KEN-JUTSU e SO-JUTSU, ma anche NAGINATA-JUTSU, bastone eccetera, è la più antica scuola d’Arti Marziali tuttora in attività. IIZASA CHOISAI IENAO, che ha il titolo di Yamashiro-no-Kami ed utilizza di prefe-renza il KO-DACHI (o WAKIZASHI, la spada corta), ha lasciato scritto: «l’arte del guerriero è l’arte della Pace; se si comincia a lottare si deve vincere. Ma si deve vincere senza lottare». IIZASA RYU. – Scuola di BO-JUTSU. L’arma utilizzata è di legno duro (tanto da poter contrastare un colpo di spada), lunga 180 cm. Per infondere autocontrollo e coraggio nei praticanti, l’allenamento è fatto senza in-dossare alcuna protezione. IKADA. – Parte del KOTE: protegge l’avambraccio. IKAKU RYU. – Scuola d’Arti Marziali, che risale al XVII secolo. Materie principali d’insegnamento sono JITTE-JUTSU e TAM-BO JUTSU. IKAN. – Costume indossato dalla piccola nobiltà. A partire dal XIII secolo è adottato anche a Corte. Si com-pone di una grande tunica o casacca, che copre ampi calzoni, stretti da lacci alle caviglie. Le estremità dei calzoni toccano terra e ricoprono gli zoccoli di legno laccato, neri, imbottiti, a punta tonda. In luogo della ca-sacca, talvolta, è indossata una specie di larga blusa con cintura, una sorta di giacca da caccia (kariginu). In casa, tolte le calzature, si tengono i piedi nelle gambe dei calzoni: per camminare, si scivola sui pavimenti. IKEBANA. – Composizione naturale di fiori o piante. Arte di disporre i fiori alla maniera giapponese. È mate-ria di studio già in Cina, sotto la Dinastia Tang (618-907), ma in Giappone s’è evoluta in una Disciplina, il cui scopo è la continua ricerca della perfezione nella “ricostruzione” della natura attraverso l’equilibrio dinamico di forme, colori, dimensioni, con innegabili riferimenti alla visione buddista dell’uomo integrato nella natura e que-

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sta nella divinità. Fiori e foglie, corteccia o tronco d’albero, rami secchi e radici, acqua, sabbia e sassi: è utiliz-zato tutto ciò che origina dalla natura, per comporre costruzioni equilibrate e armoniche, perfette figure tridi-mensionali, nelle quali i pieni e i vuoti definiscono lo spazio, l’elemento in cui la natura esiste. Si dice anche Kado. IKI. – “Forza di volontà” (è composto di KI).

– “Respirare”. – “Vivere”.

IKI TSUKI. – “Percossa con il palmo della mano”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. IKKI. – “Leghe rurali”. Contadini e piccoli proprietari terrieri SAMURAI, nel secolo XV, ritengono di avere un solo modo per far valere i propri diritti: la formazione di leghe rurali. Principali obiettivi delle loro rimostranze sono i DOSO, accusati di accaparrarsi il denaro delle campagne. Sommosse e disordini, a KYOTO, sfociano in vere e proprie incursioni, ripetute negli anni (1428, 1441, 1444, 1457, 1467), durante le quali gli IKKI si scontrano con le milizie delle associazioni MACHI. IKKYO. – “Tecnica numero uno”. “Primo principio” [si veda UDE OSAE]. Immobilizzazione del braccio di UKE: è il modo più semplice per controllare il suo braccio. Normalmente utilizzata contro prese ai polsi, ai gomiti, al bavero ed al petto, fendenti e tecniche di pugno. È anche possibile proiettare UKE (IKKYO NAGE), che effettua una caduta in avanti. L’IKKYO, in fase di controllo a terra, è simboleggiato da un triangolo. IKKYO, praticato in ginocchio, nella forma SUWARI, è uno dei più importanti “fattori esterni” dell’AIKIDO, i movimenti e le tecniche principali, rimaste invariate, unitamente a IRIMI, TENKAN, SHI HO NAGE.

– 1° gruppo di esercizi: compressione del polso. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). IKKYO OSAE. – “Prima immobilizzazione”. IKKYO UNDO. – “Parata alta”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si pra-ticano da soli (TANDOKU DOSA). IKKYO UNDO IRIMI TENKAN. – Passo, IKKYO UNDO e rotazione. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AI-KI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). IKKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di prima classe”. [si veda KYUDAN] IKO-KOKORO. – “Esperto” o “Maestro”. Convenzionalmente, è la qualifica che spetta alla cintura nera, 7° e 8° DAN, praticante d’Arti Marziali, o all’insegnante di 9° e 10° DAN. [si veda KYUDAN]

– Nel WA-JUTSU indica lo studio dell’aspetto spirituale, riservato ai praticanti di grado molto e-levato. IKU. – “Formazione e sviluppo”. È un metodo educativo che unisce corpo e spirito. Trasforma l’AIKIDO in una sorta di via ascetica, che indica il cammino verso la perfezione dell’umanità per mezzo, appunto, della forma-zione e sviluppo dell’essenza (KI-IKU), della saggezza e virtù (TUKU-IKU) e del corpo (TAI-IKU). IMI. – “Astensione” dalle cose impure. È uno dei tre metodi di purificazione (gli altri sono l’esorcismo, HARAI e l’abluzione, MISAGI) praticati dai fedeli scintoisti, soprattutto dai sacerdoti, che devono essere sempre pronti al-le cerimonie di culto. IN. – È la traduzione del cinese Yin e identifica anche il principio URA. [si veda la voce “ommyodo”, nella se-conda parte del Dizionario]

– È la traduzione del sanscrito mudra [si veda]. INAZO NITOBE. – (1862-1933) Scrittore. È merito suo se il termine BUSHIDO acquista la popolarità, in Giap-pone e fuori, di cui ancora gode: nel 1905, infatti, pubblica l’opera omonima, che ha straordinaria risonanza. È questo scritto che fa conoscere – in verità nobilitandolo parecchio – il “codice d’onore” dei SAMURAI, l’ideale del

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nobile, coraggioso, integerrimo guerriero, abile in tutte le Arti Marziali, sincero, retto, dedito al dovere ed incu-rante di ricchezze e onori, custode dell’onore del proprio Signore, del Clan e del suo, intemerato nell’affrontare la morte. [si veda anche BUSHIDO] INAZUMA. – “Fianchi”, “costole flottanti”. Punto dell’ipocondrio, destro e sinistro, e del fegato. KYUSHO, “pun-to vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure DENKO. INNO. – “Scroto”. INNO-KUATSU. – Percussione perineale (tra ano e pube). Rientra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU par-ticolari, adatti a traumi e dolori pelvici – quindi sia di rianimazione sia antalgici – attuati con percussioni rifles-sogene. INOSHISHI-NO-YARI. – “Spiedo”, usato nella caccia al cinghiale. La struttura è simile a quella d’analoghe armi europee del XV e XVI secolo: asta massiccia, lama larga e pesante, spesso con una traversa robusta, a difesa del cacciatore ed impedire che il ferro penetri troppo. INTOKU. – “Il bene fatto in segreto”. Secondo il Maestro Tohei Koichi, chi ha appreso e realizzato i principi dell’Universo – attraverso l’AIKIDO – ha l’obbligo di agire senza nulla chiedere in cambio, operare senza spera-re in una ricompensa, così facendo del bene, appunto, in segreto. INU. – “Cane”. INUGAMI NAGAKATSU. – È il fondatore del KUSHIN RYU, scuola di JU-JUTSU. INUGAMI NAGAYASU. – Conosciuto anche come GUBEI, è il figlio e continuatore d’INUGAMI NAGAKATSU. INU OI-MONO. – “Tiro al Cane”. È un particolare tipo d’allenamento al tiro con l’arco da cavallo (KYUBA), prati-cato soprattutto nel Periodo KAMAKURA (1185-1333). Il BUSHI, cavalcando, deve colpire dei cani, lasciati liberi in un recinto dal diametro di una ventina di metri. Inizialmente i cani (o scimmie o daini) sono uccisi, in quella che è una vera e propria caccia (TAKA-INU). S’iniziano poi ad utilizzare frecce non letali (HIKIME) e l’abilità dell’arciere consiste nel far cadere gli animali senza ferirli (almeno, non gravemente), in quel tipo d’allenamento che diventa complementare allo YABUSAME. IPPAN-GEIKO. – “Studio classico”. Modalità di allenamento, contro un solo avversario: TORI ed UKE ripetono la tecnica 4 volte ciascuno IPPA RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Moroka Kagehisa. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. IPPON. – “Uno”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è ICHI, in giapponese puro si dice HITOTSU, per le persone (NIN) s’usa HITORI. IPPON-KEN. – “Pugno chiuso, con nocca sporgente”. Pure NAKA-YUBI. IPPON NUKITE. – “Punta del dito teso”. IRIMI. – “Lineare”, “entrante”, “di fronte”. Viene da HAIRU, “entrare”.

– “Mettere il corpo”. “Entrata diretta in avanti”. “Entrare nella guardia del compagno”. Allorquando e-seguito con un compagno, che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AI-KI TAISO) che si praticano in coppia, senza caduta. “Entrare nell’attacco dell’avversario”. Tecnica diretta, in avanti, in forma positiva (Yang, OMOTE): il movimento di contrattacco è simultaneo all’attacco. È il metodo di “non urto”: TORI esegue la tecnica portando il suo corpo in contatto (o quasi) con il corpo di UKE e si posiziona dietro alla linea di attacco di UKE, guidando il suo KI. IRIMI (che uno dei più importanti “fattori esterni” dell’AIKIDO, i movimenti e le tecniche principali, rimaste invariate, unitamente a TENKAN, SHI HO NAGE e SUWARI IKKYO), insieme ad IRIMI ISSOKU, nasce dallo studio di spada e lancia fatto da UESHIBA MORIHEI, che dice: «Quando siete di fronte ad un avversario armato di spada, vi trovate fra la vite e la morte. Restate calmi, sen-za farvi confondere dal nemico o dalla sua arma. Senza aprirvi a nulla, muovete decisamente in Irimi e can-

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cellate le cattive intenzioni dell’avversario». Ciò significa che, non appena inizia il combattimento, è necessa-rio evitare l’attacco ed “entrare” immediatamente nell’apertura che l’attacco stesso provoca nella guardia e nel-lo spirito dell’avversario. Alcuni DOKA di O-SENSEI spiegano meglio di molte parole: «Vedendomi di fronte/il nemico attacca,/ma in un lampo/io sono già/dietro di lui». «Senza la più piccola apertura,/senza mente, igno-ra/la spada del nemico/che attacca:/entra e taglia!». «Destra e sinistra,/ evita tutti/i tagli e le parate;/afferra la mente dell’avversario/ed entra direttamente!». [si vedano anche “ Considerazioni sul KI”] IRIMI ATE. – “Lancio in IRIMI”. IRIMI ISSOKU. – “Entrata con un solo passo”. Si può anche trovare issoku-irimi. IRIMI NAGE. – “Proiezione frontale, in avanti”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA), con TORI che porta il suo corpo in contatto, o molto vicino, a quello di UKE. Si esegue, normalmente, su presa al polso (ai polsi), dal davanti o da dietro e su fendente o colpo alto. La caduta di UKE è indietro. IRIMI OTOSHI. – “Entrata decisa”, per annientare l’avversario. IRIMI TENKAN. – “Spostamento base” (TAI SABAKI) dell’AIKIDO. Passo avanti e TENKAN. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Allorquando eseguito con un compagno, che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati che si pra-ticano in coppia, senza caduta. L’IRIMI TENKAN è simboleggiato da un cerchio. IRIMI TSUKI. – “Proiezione di difesa”. Colpo frontale in entrata. Si esegue, normalmente, su presa al gomito e su fendente alto. IRORI. – È il “focolare”, quadrato ed interrato, presente in tutte le abitazioni dei contadini e dei cittadini comu-ni. Attorno all’IRORI, per approfittare del suo tepore, nella stagione fredda si riunisce tutta la famiglia, mentre nobili e guerrieri, per scaldarsi, indossano più vestiti, l’uno sull’altro e si rintanano sotto coperte imbottite. Nel-le case del Giappone feudale quasi non esistono sistemi di riscaldamento, fatti salvi piccoli bracieri di legno, foderati di terra o metallo; con questi mezzi è impossibile riscaldare le dimore dell’epoca, dai muri sottili e dai tetti estesi, aperte a tutti i venti. Il combustibile, tanto dell’IRORI quanto dei bracieri, è costituito da pezzi di le-gno, dato che il carbone di legna, fino al secolo XIV, è articolo di lusso, accessibile solo ai ricchi. ISHIZUKE. – Parte del fodero della spada TACHI. ISHIZUKI. – “PUNTALE”. Fornimento dell’asta di lancia (YARI o NAGINATA). ISO MATAEMON. – (…-1862) È il fondatore dello stile TENJIN SHIN.YO RYU di JU-JUTSU. Ha numerosissimi al-lievi (più di 5.000, si dice), attratti dall’efficacia degli ATEMI, degli strangolamenti (SHIME) e delle immobilizzazio-ni (OSAE) insegnate. ITE. – “Arciere”. ITO ITTOSAI KAGEHISA. – (1560-1653) Famoso spadaccino, è il fondatore dell’ITTO RYU e l’ispiratore di nu-merosi altri Maestri, tra cui YAMAOKA TESSHU. Nel combattimento, ITO ITTOSAI KAGEHISA (che predilige l’uso di una sola spada impugnata a due mani) enfatizza lo SHIN-KI-RYOKU: agisce solo quando ha purificato lo spirito da ogni pensiero cattivo o impuro e dalla paura. ITOSU-KAI. – Nome con cui è conosciuta la Zen Nihon Karate-do Itosu-kai, fondata nel 1953 dal Maestro SA-KAGAMI RYUSHO. ITOSU RYU. – Stile di KARATE, ideato da ITOSU YASUTSUNE ANKO, che deriva direttamente dello SHURI-TE. ITOSU YASUTSUNE ANKO. – (1830-1915) Maestro di KARATE, ad OKINAWA. Secondo caposcuola della scuola SHURI-TE, è l’inventore dello stile che porta il suo nome, l’ITOSU RYU. ITOSU YASUTSUNE ANKO – che in-nova e semplifica i KATA, aggiungendone anche altri di provenienza cinese – è il precursore del KARATE mo-

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derno, quello poi ideato da FUNAKOSHI GICHIN, ed uno dei Maestri di MABUNI KENWA, il fondatore dello SHITO RYU. ITSUSAI CHOZANSHI. – (1659-1741) Maestro di KEN-JUTSU. Valente spadaccino (vero nome Niwa Jurozae-mon) è l’autore di una nota opera sulle Arti Marziali, il TENGU GEI-JUTSU-RON, “Trattato sulle Arti Marziali dei Tengu” (i TENGU sono esseri mitologici dell’antico Giappone, esperti d’Arti Marziali). ITSUTSU. – “Cinque” in giapponese puro. In sino-giapponese è GO, per contare le persone (NIN) si dice GO-NIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa GOHON. ITTO RYU. – “Scuola di una sola spada”. È fondata, nel secolo XVI, da ITO ITTOSAI KAGEHISA. L’ITTO RYU in-segna a dominare il cuore, lo spirito (SHIN), il soffio vitale (KI) e l’energia, la forza (RYOKU), in modo da agire – in combattimento – solo quando lo spirito è puro, senza paure o pensieri negativi. Non solo l’ITTO RYU influen-za fortemente il KENDO, ma è punto di riferimento per altri RYU, contemporanei o successivi. ITTO RYU SEIUNKAN. – Scuola di tradizione culturale. In questo RYU ancora sono proposte le antiche danze rituali, come il KEN-BU, eseguito indossando abiti da cerimonia e brandendo una KATANA. ITTO SHODEN MUTO RYU. – “Il Sistema della Non-Spada secondo la Corretta Trasmissione di Ito Ittosai”. È il nome con cui YAMAOKA TESSHU chiama la propria scuola, la MUTO RYU, dopo essere stato designato 10° Caposcuola della ONO-HA ITTO RYU da Ono Nario. Nel DOJO di YAMAOKA TESSHU, lo Shumpukan, gli allievi en-trano non per affrontare i combattimenti e sconfiggere gli avversari, ma per cercare l’illuminazione – e, in que-sta ricerca, devono essere disposti anche a rischiare la vita! IWAMA RYU AIKIDO. – Scuola d’AIKIDO. La fonda il SENSEI Morihiro Saito, 9° dan, ad Iwama. IWA-NO-MI. – “Il Corpo come una Roccia”. Così MIYAMOTO MUSASHI chiama nella sua scuola, l’EMMEI RYU, il concetto FUDO-NO-SEISHIN (“Spirito Imperturbabile”), elaborato da TAKUAN SOHO, monaco e Maestro ZEN. IZANAGI-NO-MIKOTO. – Divinità della mitologia scintoista. Incarna il principio maschile e, in coppia con IZA-NAMI-NO-MIKOTO, è considerato l’artefice dell’Arcipelago Giapponese, creato scagliando la “Lancia Gioiello del Cielo” (NU-BOKO) nell’oceano. È anche il creatore del Sole (AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI), della Luna (Tsuki-yomi-no-kami) e dell’uragano (TAKE-HAYA-SUSA-NO-WO-MIKOTO). IZANAMI-NO-MIKOTO. – Divinità della mitologia scintoista. Incarna il principio femminile e, in coppia con IZA-NAGI-NO-MIKOTO, è considerata l’artefice dell’Arcipelago Giapponese, creato scagliando la “Lancia Gioiello del Cielo” (NU-BOKO) nell’oceano. IZUMO NO KANJA YOSHITERU. – (1429-1441) È il fondatore della scuola SHINDEN FUDO RYU di YARI-JUTSU. La tradizione vuole che apprenda i segreti della scherma con la lancia da alcuni TENGU (esseri mitologici dell’antico Giappone, esperti d’Arti Marziali).

- J - JIGANE. – “Corpo principale” della lama. JIGEN RYU. – Stile per tagliare con la spada. Ad OKINAWA questo stile origina la scuola JIGEN RYU nella quale MATSUMURA SOKON, di ritorno dalla Cina, elabora lo SHURI-TE, la forma di KARATE che poi insegna nel suo RYU, che ha lo stesso nome.

– Scuola di KEN-JUTSU fondata da TOGO SHIGEKURA BIZEN-NO KAMI. Risale alla fine del Periodo MOMOYAMA (1573-1603) e la tradizione vuole che derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. Quasi tutti gli allievi di questa scuola si uniscono ai 9.000 ribelli (7.000 dei quali SAMURAI) che combattono contro le truppe imperiali, durante l’“Insurrezione di Satsuma”. La ribellione scoppia (1877) nella penisola di SATSUMA, nel sud dell’isola di Kyushu, contro la proibizione di portare le armi tradizionali e contro la coscrizione obbligatoria decretata dall’Imperatore. Alla loro testa degli insorti c’è SAIGO TAKAMORI, l’ex “Mare-sciallo di Campo” dell’Imperatore, che applica, senza successo, anche le tecniche dello JIGEN RYU. Ad OKI-NAWA lo JIGEN RYU ha dato origine alla scuola di KARATE omonima.

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JIGO HONTAI o JIGO-TAI. – Posizione difensiva di base. Può essere eretta (TACHI) o seduta (ZA), destra (MI-GI) o sinistra (HIDARI). Fa parte delle SHISEI (“posture”). JIKISHIN KAGE RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e NAGINATA-JUTSU. La fonda, nel secolo XVI, YAMADA HEIZAE-MON, che introduce la spada di legno (BOKKEN) per l’allenamento. È attiva ancora oggi, insegnando le varianti “morbide”: KENDO e NAGINATA-DO. JIKISHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU. Il fondatore è TERADA KAN.EMON, SAMURAI di basso rango che, nell’ambito del KITO RYU, sviluppa tecniche di JU-JUTSU che non hanno lo scopo di uccidere l’avversario, chia-mandole JUDO. È questa la prima scuola di BUDO classico che non usa armi. JIME. – Suffisso per “strangolamento” (SHIME). JIMMU TENNO. – “Divino Imperatore Guerriero”. Per la mitologia SHINTO è il discendente della dea del sole, AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI, il creatore dell’Impero giapponese, il fondatore della Dinastia imperiale e, quindi, l’antenato di tutti gli Imperatori succedutisi sul trono. JIN. – “L’amore universale”. Uno dei sette punti del BUSHIDO. [si veda] JINCHU. – “Base del naso”; “punto del filtro”. Punto alla base del naso, al centro del solco naso-labiale. KYU-SHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. JINGASA o KASA. – Caratteristico elmo aperto: assomiglia all’europeo “cappello di ferro”. Di ferro, rame o legno, nella forma imita i tradizionali cappelli orientali, di paglia di riso. Indossato inizialmente dai fanti (ZUSA) e dai dipendenti dei nobili, in seguito lo adottano anche i SAMURAI. I primi esemplari documentati (XVI secolo), in un pezzo solo, hanno cono alto, con TEHEN alla sommità. Nel XVIII e XIX secolo sono, spesso, in ferro sbalza-to, rotondi od ottagonali, piatti o con alto coppo cilindrico. La TESA è larga, talvolta rialzata sul davanti. Lo JIN-GASA è guarnito con un CIMIERO nella parte anteriore e con un fiocco (agemaki) in quella posteriore. Per fissa-re l’elmo si usa una cordicella morbida che, infilata attraverso dei cappi imbottiti che scendono sotto le orec-chie, si lega sotto il mento. JINNOSUKE RYU. – Celebre scuola di IAI-JUTSU, conosciuta anche con il nome di MUSO JIKIDEN RYU.. La fon-da, nel 1560, HAYASHIZAKI JINSUKE SHIGENOBU, del Clan HOJO. Dal secolo XVIII è conosciuta come MUSO JIKI-DEN EISHIN RYU, dopo l’opera di perfezionamento condotta dal Maestro EISHIN, quindi diventa MUSO SHINDEN RYU all’inizio del secolo XX, con il Maestro Nakayama Hakudo ed infine MUSO SHINDEN RYU BATTO-JUTSU nel 1933, per iniziativa del 17° Caposcuola, Morimoto Tokumi, della branca Tanimura-ha. JINZO. – “Lombi”; zona dell’incavo renale. JINZO-KUATSU. – “Percussioni lombari”. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU ad azio-ne elettiva: KUATSU con percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU). JIPPON. – “Dieci”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è JU, in giapponese puro si dice TO, per le persone (NIN) s’usa JUNIN. JISAI MICHIIE. – (1576-1615) È il fondatore della scuola KANEMAKI RYU di KEN-JUTSU. JI-SAMURAI. – È il samurai-contadino, il coltivatore guerriero, il SAMURAI di campagna, solitamente di bassa estrazione sociale, che vive coltivando la terra e partecipa alle campagne militari del suo Signore quando con-vocato. Questi SAMURAI sono anche indicati con il termine ICHIRYO GUSOKU, “un feudo e un’armatura”. JITA-KYO-EI. – “Amicizia e mutua prosperità”. È un concetto che si rifà alla “Via suprema”, il WA: il bene co-mune, la prosperità, si ottiene solo se gli esseri umani si uniscono in un’unica volontà d’intenti. JITE. – Si veda MAGARI-YARI. JITO. – Amministratore di uno SHOEN. Sostituisce il funzionario di corte (taira), di nomina imperiale, nel Perio-do KAMAKURA (1185-1333). È incaricato dallo SHOGUN di assicurare l’ordine, controllare il corretto funziona-

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mento dell’intero SHOEN e riscuotere le imposte, una parte delle quali costituiscono il suo compenso. Con lo JITO collabora il governatore militare (SHUGO). JITTE o JUTTE. – Bastone (o mazza) di ferro o acciaio, usato per parare i colpi, a punta smussata (ma talvol-ta acuminata, laddove serve quale stocco), lunga da 25 a 30 cm, con impugnatura e rebbi laterali (quasi ad uncino) sporgenti in avanti, per bloccare l’arma avversaria. La verga, nella variante più semplice, è lunga quanto l’avambraccio dell’utilizzatore ed ha un’impugnatura allungata ed un caratteristico uncino squadrato, posto al tallone. E’ ignota la vera origine di quest’arma, anche se alcune cronache la dicono proveniente dalle isole Ryukyu, dov’è conosciuta con il nome di SAI. Gli abitanti dell’arcipelago, sottoposti alle brutali forze giap-ponesi d’occupazione, che li hanno completamente disarmati, s’inventano metodi difensivi fantasiosi ed effica-ci (come gli indigeni d’OKINAWA, con il KARATE, il TONFA ed i NUNCHAKU) ed utilizzano come armi attrezzi agrico-li, in uso o inventati. Lo JITTE, ad esempio, si dimostra eccellente strumento di difesa per neutralizzare l’arma principale degli invasori: la spada. Pare che i SAMURAI medesimi, ammirati dall’efficacia dello JITTE, lo importi-no in patria, per utilizzarlo – come accade con l’HACIWARA – contro le spade degli avversari: in mani esperte, quest’arma può spezzare la lama preziosa di una KATANA. Si trovano JITTE di varie forme: un ventaglio di ferro, con impugnatura e gancio per appenderla alla cintura; tre lame pieghevoli, due pugnali e una sega; con forma e guarnizioni tipiche di una spada, ma con una sbarra lunga 45 cm, di ferro, curva, al posto della lama. L’uso ufficiale dello JITTE classico, nell’età feudale (Periodo EDO, 1603-1868), è riservato agli ufficiali di polizia (dei quali diventa anche simbolo di posizione sociale), che sono dotati di una coppia di tali armi. Possiamo trovare anche jittei o jutta, in luogo di JITTE e JUTTE. JITTE-JUTSU. – “Arte di usare il JITTE”. La tecnica principale consiste nello spezzare la lama nemica – bloc-cata dai rebbi dell’elso (guardia) – con un singolo movimento (torsione) del polso. Appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). [si veda anche “ Antiche arti da guerra”] JIYU WAZA. – Serie completa delle tecniche previste per un dato attacco. JO. – “Bastone medio”. Indica il bastone di lunghezza media, da 126 a 128 cm (per la precisione 4 SHAKU e 2 SUN: 127,27 cm), di norma con un diametro di 2,6. Di solito è in legno di quercia bianca o rossa.

– “Superiore”; “alto”. – È il documento rilasciato dal Signore (SHOGUN o DAIMYO) al suo vassallo per confermarlo nei diritti sui

possedimenti ricevuti in dono. Il precedente proprietario non ha modo di ricorrere contro la nuova donazione, ma nemmeno il nuovo può stare tranquillo: le elargizioni sono revocabili e la revoca è senza appello.

– “Superficie” di combattimento. – “Principio”, “norma dottrinale”. Anticamente, le cinque “tecniche-base d’immobilizzazione” (KIHON KATA-

ME WAZA) dell’AIKIDO (IKKYO, NIKYO, SANKYO, YONKYO e GOKYO) sono chiamate ikka-jo (primo principio), nika-jo (secondo p.), sanka-jo (terzo p.), yokka-jo (quarto p.), gaka-jo (quinto principio).

– “Lento”. JODAN. – “Livello alto”. Nelle Arti Marziali indica l’altezza di un attacco o di una parata. È il livello compreso fra lo sterno e la sommità del capo.

– “Alto”. Posizione alta della mano. È la parte superiore del corpo, corrispondente al capo. JODAN o HON-MOKUROKU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Ne-ra di 4° grado”. [si veda KYUDAN] JODAN KAMAE o JODAN-GAMAE. – “Guardia alta”. Allorquando si riferisce a posizione di guardia con armi (la cui punta è tenuta alta), è più corretto jodan no kamae. JODAN MAE-GERI. – “Calcio frontale al livello alto”. JODAN TSUKI. – “Pugno diretto al capo”. Colpo diretto alto (testa, viso, collo). UKE attacca sferrando un pu-gno al capo. JODO. – “La Terra di Purezza”. È il luogo, paradisiaco, dove rinascono i fedeli di Amida, il Buddha della sal-vezza. [si veda la voce “amidismo”, nella seconda parte del Dizionario]

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– “La Via del Bastone”. Così è ribattezzato lo JO-JUTSU nel 1955, quando dodici tecniche-base di ma-neggio del bastone – provenienti dalle oltre sessanta tipiche della tradizione della scuola SHINDO MUSO RYU – sono codificate come KATA dalla KATORI SHINTO RYU. Normalmente, l’esercizio dello JODO si esegue all’aperto: i praticanti (detti SHIJO) indossano, sopra il KEIKOGI, HAKAMA ed HAORI, senza protezione alcuna. Sei delle tec-niche-base rientrano nel livello superiore d’apprendimento (JO-MOKUROKU). JO-HA-KYU. – “Lento, normale, veloce”. È la progressione nella pratica, durante l’allenamento, uno dei con-cetti primari delle Arti Marziali. JO-JUTSU. – “Tecniche di bastone”. Si racconta che MUSO GONNOSUKE codifichi quest’Arte Marziale nel se-colo XVI, quando, in luogo del bastone lungo (BO), inizia ad utilizzare quello di media lunghezza (JO), più effi-cace contro un avversario armato di spada. Normalmente, le tecniche di JO-JUTSU hanno lo scopo di neutra-lizzare l’avversario mettendolo fuori combattimento, ma senza ucciderlo, anche se alcuni colpi possono essere davvero micidiali. L’efficacia di uno JO ben manovrato diventa lampante quando MUSO GONNOSUKE vince in duello MIYAMOTO MUSASHI, nell’unica sconfitta, si dice, da questi mai patita. La SHINDO MUSO RYU – scuola di bastone fondata da MUSO GONNOSUKE – insegna oltre una sessantina di tecniche-base di JO-JUTSU, sotto for-ma di KATA; dodici sono le tecniche di maneggio dello JO insegnate oggi dalla KATORI SHINTO RYU, sempre co-me KATA. JO-MOKUROKU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 2° gra-do”. [si veda KYUDAN] JOMON. – Era preistorica del Giappone; va dal 7500 circa al 300 a.C. circa. È caratterizzata da una cultura nomade, basata sulla caccia e sulla raccolta (paleolitico e mesolitico). Si trovano ceramiche con impressioni a corda e figurine in terracotta (neolitico). JO MOCHI NAGE WAZA. – “Tecniche di proiezione con presa del JO”. JONIN. – Sono i capi dei Clan o Famiglie NINJA. Mantengono i contatti con il resto della società giapponese. Ai loro ordini si trovano i preparatori delle missioni (CHUNIN) e gli esecutori (GENIN). JO NO AWASE. – Movimenti di armonizzazione di UKE e TORi, entrambi muniti di JO. JO NO SUBURI. – “Colpi base di bastone”. JORAN-ZUMO. – È la “versione marziale” del SUMO originale. Nasce con la progressiva assimilazione dei combattimenti di SUMO – fino a quel momento di carattere squisitamente religioso – all’Arte marziale, processo iniziato nella seconda metà del secolo IX e conclusosi nel secolo XII. Nel secolo XVII lo JORAN-ZUMO si com-bina con la variante rimasta “sacra”, lo SHINJI-SUMO, per dar vita al moderno SUMO. JORURI. – “Teatro delle marionette”. È una tipica e duratura forma d’arte teatrale, risalente all’inizio del Pe-riodo Edo (1603-1868) ed ancora oggi molto popolare. Le marionette (BUNRAKU), mosse da tre abili artisti, hanno due terzi della grandezza naturale e conservano un incredibile realismo. Uno dei maggiori autori teatra-li del tempo è Chikamatsu Monzaemon (1653-1725), che scrive molte tra le migliori opere per questo tipo d’intrattenimento. JOSEKI. – “Lato superiore”. È la parte più onorifica del TATAMI (a sinistra, visto dal KAMIZA), è il “lato d’onore” della sede allievi; nel DOJO, è il posto destinato agli eventuali ospiti o agli assistenti del SENSEI. [si veda “ Etichetta e comportamento: il Dojo”] JOSHI JUDO GOSHINHO. – Metodo di difesa personale. Destinato soprattutto alle donne, il sistema deriva dal JUDO, ed utilizza specialmente tecniche di liberazione da prese (RIDATSU-HO) e contrattacchi immediati (SEI-GO-HO). JO TORI o JO DORI. – “Tecniche su attacco di bastone”. Neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con il bastone. JU. – “Dieci” in sino-giapponese. In giapponese puro è TO, per contare le persone (NIN) si dice JUNIN, per og-getti particolarmente lunghi (HON) s’usa JIPPON.

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– “Morbido”, “flessibile”; “equilibrato”, “adattabile”; “in scioltezza”. – Indica il principio di non-resistenza o di cedevolezza (elasticità). Spesso, e poco correttamente, è tra-

dotto con “dolcezza” quando riferito allo JUDO, mentre il suo senso più profondo è quello di “flessibilità”, di cor-po e di spirito. Gli esempi figurati del bambù e del salice rendono bene il concetto di JU, che implica elasticità, cedevolezza, forza e rapidità. Il bambù, sotto l’infuriare della tempesta, si flette per poi raddrizzarsi. I rami del salice si curvano, sotto il peso della neve, lasciandola cadere a terra, ma poi riprendono la propria posizione. L’uno e gli altri si raddrizzano con tanto maggior vigore e grande energia quanto più si piegano inizialmente. Il principio JU è opposto al concetto GO, “forza” (inteso come “bruta”). JUBAN-NO-MA-AI. – È la “corretta distanza” tra due avversari disarmati: 2-3 passi; le mani, a braccia distese, si sfiorano. JUDAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 10° grado”. [si veda KYUDAN] JUDO. – “La Via della cedevolezza” o “La Via della flessibilità”. È una forma di combattimento sportivo a con-tatto, basato sulla lotta a corpo a corpo in piedi (TACHI WAZA) o al suolo (NE WAZA), ed ha origine dallo JU-JUTSU praticato dai BUSHI. Lo JUDO, nella sua forma moderna, è “creato” da KANO JIGORO, che sintetizza diverse del-le tecniche di JU-JUTSU e codifica un certo numero di movimenti delle gambe, delle braccia e del corpo, aventi lo scopo di squilibrare (KUZUSHI) l’avversario, per immobilizzarlo e renderlo inoffensivo. Il termine JUDO, in real-tà, è già utilizzato, nel 1600 circa, dallo JIKISHIN RYU, una scuola di JU-JUTSU, ad indicare una serie di tecniche di combattimento a mani nude, non mortali. Per questo motivo KANO definisce la sua Disciplina “KODOKAN JU-DO” – dove il termine KODOKAN significa “il Luogo per Studiare la Via”, da KO (lettura, studio, esercizio), DO (via, metodo, dottrina) e KAN (sala o luogo) – quando, nel 1882, fonda il suo primo Dojo a Tokyo, all’interno del tempio buddista d’Eisho-ji: dodici TATAMI sui quali s’allenano pochi allievi. Ben presto il numero degli allievi aumenta e la reputazione della Disciplina cresce: già nel 1886 il KODOKAN JUDO ottiene una brillante vittoria in un torneo organizzato della polizia di Tokyo dove, contro una scuola di JU-JUTSU, su quindici incontri registra solo due sconfitte ed un abbandono. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo JUDO riprende il suo cammino di diffusione mondiale: dal 1951 si disputano i Campionati d’Europa maschili (femminili 1982), dal 1956 quelli del Mondo; dal 1964 lo JUDO è Disciplina olimpica. Lo JUDO moderno è comunemente inteso sia come arte di di-fesa a mani nude sia, soprattutto, come attività sportiva agonistica e competitiva. Quest’ultima definizione, pe-rò, si allontana dai dettami originali di KANO JIGORO che, più propriamente, intendono lo JUDO come una filoso-fia, un’arte di vivere il quotidiano, un’esperienza assolutamente soggettiva con cui allenare la mente e il corpo (egli è contrario alle competizioni pubbliche!). Le tecniche prevedono proiezioni, immobilizzazioni al suolo, strangolamenti, leve articolari. In palestra (JUDOJO), nella pratica, “chi subisce” (la tecnica) è UKE, “chi proietta” al suolo ed immobilizza è TORI. Nello JUDO sono attentamente studiati i KATA, le “sequenze formali”, le tecni-che di base, eseguite con un partner e si pratica il combattimento libero non arbitrato (RAN DORI). Molto utiliz-zati sono gli spostamenti (TAI SABAKI, TSUGI e AYUMI ASHI) e le ripetizioni dei movimenti (UCHI-KOMI); le tecniche – che partono comunemente dalla presa allo JUDOGI – possono essere in piedi (TACHI WAZA) o al suolo (NE WA-ZA) e consistono in proiezioni (NAGE WAZA), forme di controllo (KATAME WAZA), immobilizzazioni a terra (osae-komi waza), strangolamenti (SHIME WAZA), lussazioni articolari (KANSETSU WAZA). Sono altresì studiate alcune tecniche di difesa contro avversari armati (kime-no-kata). Nelle competizioni, arbitrate (shiai), ci sono divisioni per sesso, per categorie di peso e per livello d’abilità. Il JUDOKA (come tutti i praticanti d’Arti Marziali) allenan-dosi impara ad essere rapido nei TAI SABAKI e si addestra a concentrare l’energia nell’HARA, controllando la re-spirazione. Ogni allievo, nel combattimento, deve cercare di mantenere HONTAI (“allerta permanente”), MUSO (“spirito libero”) e MUSHIN (“mente vuota”), senza che occorrano “tempi morti” (BONNO). Il perfetto JUDOKA, per-tanto, deve essere calmo e sereno, avere il controllo del corpo, dello spirito, delle emozioni: essere, in altre pa-role, un BUSHI ideale. In Italia lo JUDO si diffonde dal 1922. JUDOGI. – “Abito per l’allenamento (KEIKO) nella pratica dello JUDO”. Consiste in un KEIKOGI, composto di: ampi pantaloni (ZUBON), giacca a manica larga (UWAGI), cintura (OBI) di colore differente secondo il grado rico-perto (da bianca a nera, passando per gialla, arancione, verde, blu e marrone). Per gli spostamenti fuori del TATAMI si usano sandali (ZORI). JUDOJO. – “Luogo d’allenamento” allo JUDO. È abbreviato in DOJO.

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JUDOKA. – “Chi pratica lo JUDO”. JUGO AWASE. – Tecniche nelle quali si fondono “flessibilità” (JU) e “forza” (GO). JUHO. – “Metodo passivo”. “Metodo della flessibilità”. Sono le “tecniche passive” previste nell’allenamento del NIPPON SHORINJI-KEMPO a scopo puramente difensivo. Lo JUHO è l’opposto del GOHO, il “metodo attivo”, le “tecniche attive” utilizzate in attacco o contrattacco. JUJI. – “Incrociato”; “a croce”. JUJI GARAMI. – “Mantenere in croce”. “Proiezione con le braccia incrociate”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA) in avanti, con scarso intervento delle braccia. Sorta di controllo incrociato (JUJI) applicato normalmente contro prese alle spalle (RYO KATA DORI) od ai polsi (RYO TE DORI) – pure da dietro (USHIRO RYO KATA DORI, USHIRO RYO TE DORI) – ed anche se c’è un tentativo di strangolamento (USHIRO KATA TE DORI KUBI SHIME) JUJI UKEMI. – “Caduta incrociata”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). JU-JUTSU. – “Arte della cedevolezza”. Fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Mina-tsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). L’origine dello JU-JUTSU pare risalire al Periodo KAMAKURA (1185-1333) ed alla lotta a mani nude chiamata KUMI-UCHI, le cui tecniche devono consentire al BUSHI, rimasto disarmato, di affrontare un avversario ancora in possesso delle proprie armi. Ciò significa che l’esperto di JU-JUTSU deve essere in grado di valutare a colpo d’occhio l’avversario e la sua forza (e deve essere capace di sfruttarla a proprio vantaggio), deve riuscire, se possibile, ad evitare il combattimento, piuttosto che squilibrare l’attaccante, proiettarlo, immobilizzarlo al suolo (a mezzo di torsioni, leve, lussazioni, strangolamenti). Essen-ziale è la conoscenza dei punti vitali (KYUSHO), bersaglio degli ATEMI, che hanno lo scopo di intontire, ferire o uccidere l’avversario: il risultato finale di tutte le tecniche di JU-JUTSU è sconfiggere o, meglio, eliminare il ne-mico utilizzando ogni mezzo ed impiegando la minor energia possibile. Innumerevoli scuole – tra gli oltre 9.000 RYU esistenti in epoca prefeudale e feudale, appartenenti al KYUBA-NO-MICHI, la “Via dell’arco e del ca-vallo” – elaborano, sviluppano, insegnano metodi di lotta senz’armi, come il KOGUSOKU-JUTSU, ad esempio, in-segnato al TAKENOUCHI RYU (e conosciuto anche come HISAMORI RYU) o il KEMPO (o HAKUDA); queste scuole inglobano anche mosse e movimenti, contromosse e tecniche che arrivano dalla Cina (come il Kung-fu) o da OKINAWA (come il KARATE e le sue varianti). Lo sviluppo dello JU-JUTSU come vera e propria Arte Marziale in-dipendente, però, avviene nel Periodo EDO (1603-1868): la relativa tranquillità assicurata dai TOKUGAWA – e la proibizione del porto d’armi! – consente a numerosi SAMURAI, soprattutto RONIN, di fondare scuole aperte al pubblico, dove insegnano Arti Marziali a mani nude. La codificazione “moderna” di quest’Arte Marziale, co-munque, avviene dopo la Restaurazione MEIJI, nell’omonima “Era” (1868-1912), quando moltissimi SAMURAI (rimasti vittime di un vero e proprio SEPPUKU ideologico e ritrovatisi senza proprietà, lavoro, ruolo e funzione, ridotti al rango di RONIN), per sopravvivere, organizzano pubbliche dimostrazioni di Arti Marziali ed aprono scuole, insegnando anche alcune tecniche fino a quel momento custodite gelosamente e trasmesse nel più assoluto segreto. Un alone negativo, seppur immeritato, circonda lo JU-JUTSU del Periodo EDO – dapprima pa-trimonio dei soli BUSHI poi, molto spesso, di NINJA, popolani e briganti – ed i suoi metodi, spesso pericolosi, talvolta dagli esiti mortali. È anche per merito di KANO JIGORO, che adotta alcune tecniche e metodiche di JU-JUTSU per il suo “nuovo” JUDO, differenziando la “disciplina” dall’”arte guerriera”, se lo JU-JUTSU “tradizionale” – per un certo tempo e soprattutto in ambienti militari e di polizia – riconquista la considerazione che merita: un metodo di combattimento a corpo a corpo estremamente efficace, propedeutico all’impiego reale, sul campo. Ancora oggidì lo JU-JUTSU – che tuttora conserva il fascino di “progenitore” di moltissime tecniche, non solo di JUDO e d’AIKIDO – è considerato, più che uno sport, come un metodo di preparazione al combattimento reale. Lo JU-JUTSU degli stili YOSHIN RYU, TENJIN SHIN.YO RYU, Takeuchi Ryu appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). [si veda anche “ Antiche arti da guerra”] JUKAI. – È la cerimonia buddista durante la quale il discepolo ZEN s’impegna ad osservare e mantenere i pre-cetti.

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JUKEN. – “BAIONETTA”. JUKENDO. – “Tecniche di scherma con la baionetta”. Al solito, il suffisso “DO” caratterizza una versione “ad-dolcita” dello JUKEN-JUTSU. Lo JUKENDO è piuttosto povero di tecniche, ed il successo di un attacco dipende dal tempismo nell’anticipare l’avversario. Il segreto principale consiste nel riuscire a percepire immediatamen-te qual’è il punto vulnerabile dell’altro, per attaccare con decisione fulminea, piuttosto che schivare e contrat-taccare. JUKEN-JUTSU. – “Tecniche sull’uso della baionetta”. Quest’Arte Marziale si sviluppa contemporaneamente all’introduzione delle baionette (secolo XVII), inastate sulle armi da fuoco “lunghe” per utilizzarle similmente a lance. È nell’Era MEIJI (1868-1912) che lo JUKEN-JUTSU conosce la sua massima diffusione, con la necessità di addestrare le migliaia di coscritti arruolati nell’esercito imperiale, dove la capacità ci combattimento all’arma bianca gode di alta considerazione. L’allenamento, quando non fatto con armi vere, opportunamente protette, si effettua utilizzando un facsimile di fucile sormontato da baionetta, il MOKUJU, e prevede, di massima, parate ed affondi (SHITOTSU). JUKEN DORI. – “Tecniche su attacco di baionetta”. JUKI RYU. – Antica (1600 circa) scuola d’Arti Marziali. JUKU-GASHIRA. – “Discepolo Principale”. È quello a cui il Maestro fondatore del RYU trasmette tutti i segreti della propria Arte Marziale. Lo JUKU-GASHIRA può essere il figlio (naturale o adottato) del Maestro od il migliore e più affidabile degli allievi. JU-KUMITE. – “Allenamento libero al combattimento” (soprattutto nel KARATE). Deriva da KUMITE, “combatti-mento”, con prefisso JU, inteso come “tecniche eseguite in scioltezza”. JUMBI DOSA. – “Esercizi di preparazione”, sia fisica che mentale. Solitamente, ogni seduta di allenamento, nell’AIKIDO come in altre Arti Marziali, s’apre con questo insieme d’attività, che mirano a forgiare il corpo e lo spirito, sviluppando la stabilità mentale. JUMBI DOSA si compone di esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO) e mo-vimenti di base del corpo (TAI SABAKI) e gli esercizi possono essere praticati tanto singolarmente (TANDOKU DO-SA) quanto in coppia (SOTAI DOSA), con serietà ed intensità: tra questo lavoro e le tecniche, infatti, la relazione è profonda e costante. Il metodo JUMBI DOSA – che è anche detto jumbi undo, junbi undo e junbi taiso – si ba-sa su esercizi respiratori (KOKYU) e di mobilità articolare (TEKUBI UNDO); cadute (UKEMI); torsioni e rotazioni cor-porali (TENKAN HO); stiramento dei muscoli dorsali e rilassamento della colonna vertebrale (HAISHIN UNDO); for-za della respirazione (KOKYU RYOKU) ed irradiamento del KI (KI-NO-NAGARE); sviluppo della postura (SHISEI, che è anche attitudine all’esecuzione delle tecniche). [si veda anche, nel Libro Primo, il Capitolo “Glossario, Eser-cizi di preparazione”] JUMON-JI-YARI. – “Lancia a croce”. Altro nome della MAGARI-YARI. JUNAN SHIN o NYUNAN SHIN. – “Leggerezza dello Spirito”. Indica una tra le più importanti qualità che un praticante d’Arti Marziali deve possedere (o maturare): l’accettazione dell’insegnamento del Maestro, libera-mente scelto, e la contemporanea astrazione dal proprio ego. Significa accettare, con letizia e spirito umile, sia le tecniche proposte sia la didattica prescelta dal Maestro, astenendosi da giudizi, critiche sterili o dubbi. JUN KATA SODE DORI. – “Prima presa alle maniche”. JUN KATA TE DORI. – “Prima presa di polso (o di braccio)”. JUNIN. – “Dieci”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è JU, in giapponese puro si dice TO, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa JIPPON. JU-NO-GEIKO. – Tipo di allenamento. Rientra nello studio classico (IPPAN-GEIKO). Si veda, nel Libro Primo, il Capitolo “Il metodo d’allenamento”.

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JU NO RI. – “Morbidezza e flessibilità”. È il principio che coniuga la posizione adeguata con l’azione senza fu-ria, senza violenza: TORI, mantenendo il proprio equilibrio, sfrutta la forza di UKE, non vi si oppone, ma l’utilizza per squilibrare l’attaccante. JUNSHI. – “Suicidio per seguire il proprio Signore nella morte”. È pratica rituale, spesso collettiva, che viene da un’epoca in cui è molto stretto il rapporto tra il DAIMYO ed i propri SAMURAI (famigli, gregari, servitori): sicco-me questi non possono avere due padroni, quando muore il loro Signore anch’essi devono morire. Questo si-stema si traduce nella perdita di moltissimi personaggi (nel 1651, alla morte dello SHOGUN, tredici funzionari anziani si tolgono la vita), tanto che lo JUNSHI è proibito dal 1663 e chi lo compie mette in pericolo i propri fami-liari, come Okudaira Tadamasa. Questi, nel 1688, segue il proprio Signore nella morte, ma i suoi figli vengono giustiziati e l’HAN confiscato. Uno degli ultimi JUNSHI è quello compiuto dal Generale NOGI KITEN MARESUKE nel 1912, alla morte dell’Imperatore Mutsuhito. JUTAI. – “Morbido”, “cedevole”. JUTAI-JUTSU. – “Arte del combattimento a corpo a corpo”. È compresa nel TAI-JUTSU. JUTSU. – “Sincero”.

– “Tecnica”, “arte”, “metodo”; “abilità”. Termine applicato alle Arti Marziali “violente”, “da guerra”; sta ad indicare un’arte, una scienza o una tecnica, appresa dopo anni d’allenamento e pratica, basata sulla tradi-zione di una scuola (RYU). È un termine applicato a tutte le Arti Marziali “violente” o “da combattimento”, men-tre il suffisso “DO” distingue quelle che non sono destinate alla guerra. Tutti gli “JUTSU” (tranne lo JU-JUTSU) prendono il nome dall’arma o attrezzo utilizzato [si veda “ Antiche arti da guerra”]. Talvolta JUTSU si trova anche scritto “jitsu” JU YOKU GO O SEI SURU. – “La morbidezza contro la forza”, o, anche, “la flessibilità domina la rigidità”. Questo concetto è alla base di tutto il BUDO, tant’è vero che a questa massima si danno pure i significati di “la forza è nel cedere”, “il duttile devia il forte” ed anche “il duttile sconfigge il duro”. JUYU. – “Libero” JUYU WAZA. – “Tecniche applicate liberamente”. TORI applica una tecnica qualsiasi (libera), reagendo a UKE.

- K - KA. – “Inspirazione”.

– “Fuoco”. – Suffisso per “chi”, “coloro che”.

KABUKI. – Genere teatrale. Sorge nel secolo XVI (la prima rappresentazione pare risalga al 1603) e consi-ste, dapprima, in spettacoli di danze e canti eseguiti da donne. È proprio la presenza di attrici che, se da un lato attira il pubblico, dall’altro provoca anche disordini sociali, con duelli sanguinosi e sperpero di ricchezze per la conquista dei favori di queste donne, dai costumi non certo irreprensibili. Al 1628 risale il primo divieto a recitare, per le donne; altri bandi si hanno nel 1629, 1639, 1640, 1645, 1646 e, quello definitivo, nel 1647. Già dal 1612, comunque, in alcune compagnie teatrali attori maschi recitano in tutti i ruoli, compresi quelli femminili (ONNAGATA), dove riscuotono grande successo. La popolarità degli ONNAGATA, dopo il bando definitivo delle donne, è sempre maggiore e suscita quasi gli stessi sconvolgimenti registrati, prima, dalla presenza delle attri-ci. Affermatosi come genere popolare, più ardito (è addirittura tollerata un velato accenno di satira politica) e spettacolare del teatro NOH, il KABUKI s’è poi evoluto verso la rappresentazione di vicende storico-sociali ed eroiche dove, sia pure in modo stilizzato, sono messi in scena tutti gli aspetti delle Arti Marziali applicate ai combattimenti di SAMURAI. Celebri e popolari ancora oggi sono le opere Kokusenya e CHUSHINGURA. Nel si-stema classista TOKUGAWA il teatro KABUKI è mal considerato dalle classi dominanti, sia perché destinato alla gente di città, sia perché recitato da attori e gli attori, in quel Periodo, sono considerati di livello bassissimo, appena poco più in alto degli ETA. Il KABUKI, comunque, è sempre tollerato dalle classi dominanti, anche per-ché è un divertimento destinato ai mercanti (e CHONIN, in generale) e contribuisce a mantenerli tranquilli. Ac-cade anche, addirittura, che sotto lo SHOGUNATO di TOKUGAWA Iemitsu (1623-1651) nel Castello di EDO siano

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chiamate a recitare alcune compagnie di attori KABUKI, nonostante la minaccia alla moralità dei SAMURAI rap-presentata dagli ONNAGATA. KABURA-YA. – “Freccia fischiante”; fa parte delle frecce non letali. Un involucro di legno, oblungo e perfora-to, costituisce la cuspide (YANO-NE) del dardo: l’aria, durante il volo, penetra nelle perforazioni e produce sibili acuti, fischi o altri suoni, dipendenti da numero e conformazione dei fori. Le KABURA-YA sono lanciate prima delle battaglie, per spaventare i nemici ed allontanare gli spiriti maligni. Servono anche come mezzo di segna-lazione e sono utilizzate nei riti SHINTO (ad esempio DOSHA e REISHA). KABUTO. – Termine generico: indica l’elmo dell’armatura da guerra. Ogni elmo, in verità, ha una designazio-ne supplementare, che identifica la forma, l’epoca o addirittura la scuola dell’armaiolo che lo fabbrica. I primi elmi compaiono in epoca preistorica, e si trasformano poi, ininterrottamente, fino al XVI secolo, con la produ-zione di un numero incalcolabile di esemplari, moltissimi decorati con ottone, pelle, lacca, oro, argento: questo accessorio, infatti, è anche un simbolo, ed ha la funzione di indicare rango e funzione di chi lo indossa. L’unico ordine che possiamo seguire è tipologico. La parte basilare dell’elmo è il coppo (HACHI); per determi-narne il valore occorre valutarne materia prima, forma e tecnica costruttiva. Abitualmente, gli elmi sono fatti di piastre unite con rivetti. Fino al X secolo prevalgono COPPI semisferici, con piastre orizzontali o con file inter-medie di piastre verticali (SHOKAKUFU-HACHI). Talvolta è adottato il modello mongolo, a cono acuto, costellato di rivetti (moko-hachigyo). L’HOSHI-KABUTO compare alla fine del X secolo: rivetti dalla grossa testa fissano le piastre, decorandone la superficie; alla sommità del coppo è presente un largo foro (TEHEN). La visiera (MABE-ZASHI) molto pendente diventa una caratteristica degli elmi giapponesi. Il SUJI-KABUTO è una variante tipica del XIV secolo: alla forma ideale (segue la linea del cranio, un po’ più alto dietro, avvallato in cima; è molto mo-derno, insomma) unisce ingegnose soluzioni tecniche. Le piastre verticali che lo compongono sono di lar-ghezza ridotta, sempre unite da rivetti – ma a testa piccola – e quasi si sovrappongono l’una all’altra: tra le e-sterne, convesse, e le interne c’è dello spazio, che serve ad attutire i colpi (una corazzatura “spaziata” ante lit-teram, quasi!). Non solo: i bordi delle piastre (SUJI) sono rialzati, a formare una sorta di nervatura di rinforzo. Dal XVI secolo inizia la moda degli elmi fatti con grosse piastre (come il tipo hineno) e addirittura, sull’influenza europea, in pezzo unico, talvolta talmente pesanti da essere a prova di proiettile. È nel Periodo EDO (1603-1868) che l’HACHI assume forme sia di fantasia, prendendo il nome dall’oggetto che imita (il to-kamurai asso-miglia al kamuri, cappello da cerimonia, il kimen raffigura una testa di demonio, il momonari imita una pesca) sia curiose (il tatami-kabuto è pieghevole: fatto unendo anelli orizzontali, si può chiudere appiattendolo, quasi come un classico cappello a cilindro della “Belle Epoque”). La gronda (SHIKORO), a protezione della nuca, ge-neralmente di generose dimensioni e composta da piastre, è parte essenziale di tutti gli elmi giapponesi. Qua-si sempre dotata di alette o risvolti (FUKIGAYESHI), spesso dà il nome all’elmo, come il GOMAI-KABUTO (elmo a cinque piastre) o il sanmai-kabuto (elmo a tre piastre). Sul davanti di quasi tutti i KABUTO è presente una gor-bia (haridate), nella quale si inseriscono CIMIERI od altri ornamenti (MAIDATE), spesso a forma di corna; nella parte posteriore c’è un anello per un emblema (kasajirushi) o per il fiocco rituale (agemaki). I KABUTO più anti-chi non hanno fodera: per assorbire i colpi si usa un copricapo (HACHIMAKI). Più tardi compare una fodera ade-rente, di pelle o tessuto, fissata all’orlo dell’HACHI e rinforzata con cinghie. Il KABUTO si assicura alla testa con delle cordicelle, fissate ad anelli presenti sulla tesa dell’elmo, lunghe da 180 a 270 cm e legate con diversi e particolari stili. A completare il KABUTO, normalmente, è una maschera d’arme (MEN – termine generico – op-pure HAMBO, HAPPURI, HOATE, MEMPO eccetera, secondo il tipo di protezione offerto), sempre nello stile dell’armatura. KACHI. – “Vittoria”. GACHI, come suffisso. KACHIGUN. – “Castagne”. Sono usate, tra l’altro, come oggetti di buon auspicio nel DOHYO-MATSURI (“ceri-monia propiziatoria”) del SUMO. KACHIKAKE. – “Punta del mento”. Punto della punta del mento. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli A-TEMI. KACHU. – Altro nome della YOROI. [si veda] KADO. – Si veda IKEBANA.

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KAESHI. – “Scambio”; “trasformazione”; “contrattacco”. GAESHI, come suffisso. Viene da KAESU, “capovolge-re”. KAESHI WAZA. – “Controtecniche”, “tecniche di contrattacco”. TORI approfitta di una qualsiasi “apertura” – od errore nell’esecuzione – di UKE per applicare una tecnica adeguata alla situazione ed alle condizioni dinami-che. KAESU. – “Capovolgere”; “gettare”. KAGATO. – “Tallone”. Pure ENSHO, KAKATO. KAGE RYU. – Famosa scuola di KEN-JUTSU. Il fondatore è AIZU IKO, un celebre spadaccino nato nella provin-cia di AIZU e la scuola è anche conosciuta come AIZU KAGE RYU. A questa scuola s’ispirano altre scuole o stili di combattimento, tra cui: SHIN KAGE RYU, YAGYU RYU, TAISHA RYU, SHINKAN RYU, HIKITA KAGE RYU, OKUYAMA RYU, KASHIMA SHINTO RYU. KAGI. – “Gancio”, “uncino”; “a gancio”. Pure KAKE. GAKE, come suffisso. KAGURA. – “Dramma sacro”, tipico delle funzioni SCINTOISTE. Si tratta di danze e musiche mistiche, che ce-lebrano e glorificano i KAMI. I KAGURA, nel tempo antico, accompagnano le esibizioni d’Arti Marziali tradizionali, soprattutto i combattimenti di SUMO, ritenute cerimonie sacre. KAHO. – “Forma” [si veda KATA]. KAIAKU. – Punto sul palmo della mano, al 1° interosseo palmare. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KAI. – “Norma pratica fondamentale”; “precetto” (anche morale). KAIDEN. – Titolo attribuito al Maestro che insegna e che ha ottenuto il MENKYO KAIDEN. [si veda KYUDAN, MEN-KYO] KAIKEN. – Corto pugnale. Si veda KWAIKEN. KAIKI. – “Recupero della vita” (composto di KI). KAISHAKU. – Strumento a percussione: due parallelepipedi di legno duro, che vengono percossi l’uno contro l’altro. KAISHAKUNIN. – Assistente del suicida, durante il SEPPUKU. È compito del KAISHAKUNIN por termine alle sof-ferenze provocate dal suicidio rituale: con un ben assestato colpo di KATANA decapita il suicida. KAISO. – “Fondatore”. KAITEN. – “Lancio”, “caduta rotolata”.

– “Cambio del fronte d’attacco”, Può essere di 90 o 180° e si ottiene ruotando il corpo sulla parte an-teriore del piede. KAITEN NAGE. – “Proiezione in rotazione, circolare”. “Proiezione a ruota”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). Il corpo di UKE è fatto girare una volta prima della proiezione. Solitamente questa proiezione è usata contro presa ai polsi (RYO TE DORI), fendente al capo (SHO MEN UCHI) o colpo frontale al viso (SHO MEN TSUKI). KAJI. – “Maestro forgiatore”. È il fabbricante della lama di un’arma e, spesso, incide il proprio nome (MEI) sul codolo (NAKAGO). KA-JUTSU. – Tecniche per l’uso del moschetto. Le tecniche per insegnare il tiro con armi da fuoco in genera-le – mai molto popolare tra i BUSHI – e l’uso degli esplosivi, sono particolarmente sviluppate nella scuola DAIDO RYU, ad AIZU. Il KA-JUTSU, conosciuto anche come HO-JUTSU, appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”).

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KAKARI KEIKO o KAKARI-GEIKO. – Neutralizzazioni d’attacchi portati, in successione, da uno o più UKE. KAKATO. – “Tallone”. Pure KAGATO, ENSHO. KAKE. – “Gancio”, “uncino”; “a gancio”. Pure KAGI. GAKE, come suffisso. KAKUDO. – “Angolo”. KAKUN. – “Istruzioni per la Famiglia”. È una raccolta di istruzioni destinate a HOJO Nagatoki, diciottenne figlio di HOJO Shigetoki, nominato vice SHOGUN nel 1247. È uno dei primi testi scritti assimilabile ad un codice di comportamento, anche se – destinato com’è ad uno che deve comandare e rappresentare i SAMURAI innanzi ai cortigiani – contiene soprattutto norme di etichetta, di buone maniere e di principi di buon governo. Pochi so-no gli accenni al coraggio ed alla fedeltà – ritenuti connaturati al personaggio – mentre è richiamata l’attenzione sul dovere (GIRI), sull’effetto del KARMA, sulla fede nei KAMI e nei Buddha. KAKUSHI. – “Armi nascoste”. Sotto questa voce vanno tutte le armi di piccole dimensioni, facilmente occulta-bili, da usare a distanza ravvicinata o da lanciare: coltelli e pugnali (KWAIKEN); armi da lancio (SHURIKEN) a for-ma di stella, SHAKEN, o ago, FUKUMI-BARI; anelli aculeati (BANKOKU-CHOKI). È raro, per un BUSHI, utilizzare armi di questo genere, considerate non nobili e quindi adatte al popolo, ai briganti, ai NINJA. KAKUSHI-JUTSU. – Arte di utilizzare le “armi nascoste”. KAKUTO. – “Parte superiore del polso”. KAKUTO BUGEI. – “Arti Marziali”. Sono le Arti Marziali principali e se ne contano – secondo il metodo di classificazione: per alcuni devono comprendere solo quelle che prevedono l’uso di armi – da diciotto a più di cinquanta. [si veda “ Antiche arti da guerra”] KAMA. – “Falcetto”. È quello utilizzato dai contadini per tagliare la paglia di riso e, in caso di bisogno, spesso in coppia, per difesa contro banditi (e SAMURAI!). Dal KAMA hanno origine la KAMA-YARI ed i suoi derivati, come, ad esempio, la KUSARI-GAMA. GAMA, come suffisso. KAMAE. – “Postura”. “Guardia”. “Posizione di guardia” assunta all’inizio di una tecnica: il busto è di profilo, ri-spetto all’avversario. La guardia può essere destra (MIGI KAMAE) o sinistra (HIDARI KAMAE); alta (JODAN KAMAE), media (CHUDAN KAMAE) o bassa (GEDAN KAMAE). KAMAE indica anche l’attitudine alla posizione. GAMAE, come suffisso. KAMAKURA. – Città a sud est della moderna Tokyo. Nel 1192 MINAMOTO-NO YORITOMO la sceglie come capi-tale del suo BAKUFU, dopo aver distrutto (Dannoura, 1184) il Clan rivale dei TAIRA (o HEIKE).

– Indica la fase storica “prefeudale”, dal 1185 al 1333, e segna l’inizio dell’era degli SHOGUN. Il Periodo KAMAKURA – caratterizzato, tra l’altro, dall’introduzione del Buddismo ZEN, dall’influenza cinese della Dinastia Song (960-1279) e dalle figure dei reggenti (shikken) del Clan HOJO – registra un sostanziale equili-brio tra KYOTO, la città dei KUGE e degli Imperatori, centro culturale del Paese, e KAMAKURA, la sede del BAKU-FU, l’apice della gerarchia feudale. I mongoli, conquistata la Cina, insieme ai coreani tentano di invadere il Paese nel 1274 e nel 1281, senza successo. Risalgono a quest’epoca storica opere letterarie che esaltano l’ideale del BUSHI, come l’Hogen Monogatari (“Racconto della Guerra di Hogen”), il Gempei Seisuiki (è il rac-conto dell’ascesa e della caduta delle Casate MINAMOTO e TAIRA), l’Heike Monogatari (“Storia della Famiglia TAIRA”), l’AZUMA KAGAMI (“Lo Specchio della Terra Orientale”), l’Heiji Monogatari (“Storia della Guerra degli Heiji”). KAMA-YARI. – Arma in asta. È dotata di lama di falcetto (o ferro a piccone) infilata ad angolo retto su un’asta diritta. Appartiene alla famiglia dei becchi e martelli d’arme e nasce, come spesso accade, dalla trasformazio-ne e adattamento di un attrezzo agricolo, il falcetto (KAMA) usato dai contadini per tagliare la paglia di riso. E-sistono due versioni di quest’arma, la piccola e la grande, chiamata O-KAMA-YARI. La lama è munita di codolo – anche se esistono esemplari in cui il ferro è ripiegabile all’interno del manico: un manicotto scorrevole di me-tallo lo blocca in posizione aperta o chiusa – ed il taglio misura da 15 a 25 cm di lunghezza. Unita ad una pal-la di ferro con una catena, diventa un KUSARI-GAMA, eccellente arma da difesa.

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KAMI. – “Sopra”; “al di sopra”. Parte di sopra del corpo, epigastrio. – “Capelli”. La zona del cuoio capelluto è considerata un KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. – “Ciò che è sopra gli uomini”, “spirito divino”; “santità”; “anima”. GAMI, come suffisso. Sono le divinità

della religione SHINTO, presenti e venerate in tutte le cose, luoghi, elementi o fenomeni naturali. È la generica denominazione di qualunque aspetto o forza vitale (umana o animale o vegetale), cui è attribuito un carattere divino. Alcuni luoghi, come le cime dei monti, possiedono il KAMI: ciò li trasforma in ambienti dove gli dei pos-sono essere adorati. Ogni KAMI, a somiglianza degli esseri umani, ha un proprio carattere ed un suo modo di vivere; esso è il protettore non solo della cosa o del fenomeno (e con questo s’identifica), ma anche di un gruppo, di un Clan, di una famiglia o di un luogo particolare. Ad esempio: un KAMI protegge la vita coniugale, un altro la cultura; alcuni KAMI impersonano le forze della natura, altri rappresentano i pianeti mentre altri, an-cora, sono concepiti come spiriti dei mari, di boschi, villaggi. Alcuni sono ritenuti antenati delle diverse Fami-glie nobili, dei Clan UJI (uJIGAMI) ed altri sono invece personaggi reali, trapassati e divinizzati: da guerrieri a poeti, da letterati ad imperatori. L’Imperatore è un caso specifico: questi, se regnante, “possiede” il KAMI. Ciò non significa che è venerato come un dio, ma che la sua stirpe è in una posizione religiosa tale da essere considerata sacra. È su questa base che lo SHOGUNATO controlla l’Imperatore regnante, rendendo sempre più importante il suo ruolo religioso, a discapito di quello politico: la funzione quotidiana del TENNO, supremo sa-cerdote, è un rituale perenne, una cerimonia continua che assolve ai doveri spirituali, mentre lo SHOGUN ha il “dovere” di dominare il Paese. Spesso i KAMI hanno un aspetto terrifico, ma si possono placare con appropria-ti riti. Un esempio illuminante di come i KAMI sono considerati nella spiritualità giapponese, si trova in una mis-siva del 1591 che TOYOTOMI HIDEYOSHI invia al viceré portoghese di Goa: «Il nostro è il Paese dei Kami, e Ka-mi è lo spirito. (…) Senza Kami non può esservi spiritualità. Senza Kami non c’è Via. Kami regna in tempo di prosperità come in tempo di decadenza. Kami è positivo e negativo e insondabile (…) è la fonte di ogni esi-stenza». KAMI-DANA. – “Altare dei KAMI”. [si veda la voce “Shintoismo, Le funzioni scintoiste”, nella seconda parte del Dizionario] KAMIKARI. – “Arte di intagliare la carta”. Antico e affascinante metodo per ritagliare figure (umane, animali, mitologiche) e paesaggi da un (o in un) foglio di carta di riso. KAMIKAZE. – “Vento divino”; “Vento (KAZE) degli dei (KAMI)”. È l’uragano, la tempesta che nel 1281 disperde e distrugge la flotta mongola d’invasione dinanzi alle coste dell’isola di Kyushu.

– È l’appellativo con cui sono indicati i piloti che, nella II Guerra Mondiale, tentano di affondare le navi nemiche, colpendole con il proprio apparecchio imbottito d’esplosivo, in un attacco suicida. Il fenomeno dei KAMIKAZE nasce spontaneamente durante la campagna in difesa delle Filippine (battaglia nel golfo di Le-yte, ottobre 1944), quando gli stormi di prima linea delle forze aeree della Marina costituiscono unità d’attacco suicida. Il Giappone ha perso le ultime portaerei il 25/10/44 e non può più affrontare gli statunitensi in uno scontro aereonavale; i migliori piloti, quindi, tentano di affondare o danneggiare gravemente le navi nemiche – soprattutto le portaerei – colpendole con i propri apparecchi. Il rateo di perdite è talmente elevato (nelle dieci Operazioni Kikusui, “crisantemo galleggiante” condotte durante gli sbarchi ad OKINAWA, ad esempio, dal 6/4 al 21/6/45, sono distrutti 1.500 velivoli della Marina e oltre 1.000 dell’Esercito e circa 3.300 aviatori muoiono per colpire 146 navi americane – 60 affondate o non riparabili – e provocare la morte di oltre 4.000 americani), che gli Alti Comandi decidono di impiegare praticamente tutti gli aerei rimasti e tutti i piloti, compresi gli allievi in addestramento, per difendere il territorio metropolitano con gli attacchi suicidi. Il 15/8/1945, giorno dell’armistizio, la Marina ha pronti 5.900 aerei e l’Esercito 4.800, 2.500 velivoli sono in via di consegna e circa 5.000 giovani, tutti assegnati alle squadre suicide, sono in addestramento intensivo. Alle missioni suicide è at-tribuito il nome Kikusui in ricordo del pennacchio di crisantemi che costituisce il KUWAGATA (cimiero) di KUSU-NOKI Masashige, citato esempio di fedeltà all’Imperatore, dedizione assoluta al dovere e di coraggio estremo.

– Con questo termine oggi si definiscono quelle persone che compiono azioni spettacolari e te-merarie, mettendo a rischio la propria vita. Sono così chiamati, assai impropriamente, quei folli che – per un qualsiasi loro ideale – cercano di provocare il maggior numero di vittime (civili) facendo brillare cariche esplo-sive occultate sulla propria persona. KAMI-KUATSU. – “Percussioni epigastriche”. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU ad azione elettiva: KUATSU con percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU).

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KAMISOGI. – “Cerimonia del taglio dei capelli”. I bambini subiscono l’accorciatura dei capelli – tranne che tra i contadini, dove il taglio è sommario o non fatto del tutto – quando iniziano a parlare abbastanza bene (cinque anni i maschi, quattro le femmine). Le ciocche tagliate sono conservate; le ragazze, di solito, conservano l’intera capigliatura, salvo che non rinunciano al mondo entrando in un ordine religioso o, vedove, non vogliono risposarsi. KAMI DORI. – “Presa per i capelli”. Può essere frontale (MAE KAMI DORI) o da dietro (USHIRO KAMI DORI); in en-trambi i casi, normalmente, la tecnica difensiva prevede un KOTE GAESHI. KAMIZA. – “II Seggio degli dei”; il “Muro Alto”; il “Lato d’Onore”. Nel DOJO è la cosiddetta “sede superiore” (d’onore) dove trova posto il SENSEI. Possibilmente è orientato a Nord ed al suo centro trova normalmente po-sto, in Occidente, un ritratto del fondatore dell’Arte o Disciplina Marziale insegnata, a simboleggiare la trasmis-sione dell’insegnamento ed anche, spesso, l’insegna del DOJO (in Oriente c’è sempre un KAMI-DANA). Il KAMI-ZA, normalmente, si colloca sul lato opposto all’entrata. [si veda “ Etichetta e comportamento: il Dojo”] Nel-le case giapponesi il KAMIZA è il luogo in cui sono posti gli altari dedicati agli antenati ed al KAMI di famiglia. KAMMURI. – È il copricapo dei nobili di rango elevato, in servizio alla Corte imperiale. È costituito da una ca-lotta bassa, con dietro un tubo rigido (alto 15 cm circa) che racchiude il ciuffo di capelli alla sommità del cranio. Due code piatte, di garza di seta laccata o crine di cavallo, pendono sulla schiena; talvolta le code si arrotola-no e si fissano al tubo con un cordone; il colore dell’acconciatura indica il rango del nobile. Il nobile, durante il servizio a palazzo, spesso lungo giorni e notti consecutive, mai si toglie il KAMMURI (neppure per dormire) e, per riposare senza rovinare l’acconciatura, utilizza un MAKURA. KAMURAITA. – Piastra del KOTE. Protegge la spalla e serve anche per assicurare i cordoni che fissano il KO-TE al corpo. KAN. – “Intuizione”. È la capacità (che diventa istintiva dopo anni di pratica e di studio delle forme) di liberarsi da schemi e forme. GAN, come suffisso. [si veda YOMI]

– “Sala” o “luogo”, con riferimento al “luogo dove studiare la Via”. Si veda JUDO. – Misura di peso: equivale a 3,75 kg (= 1.000 momme). – Moneta importata dalla Cina, dal 958 alla fine del 1500. Vale 1.000 MON. – “Inverno”.

KANA-BO. – Mazza (o bastone) di ferro. Anticamente è usata soprattutto dagli YAMABUSHI, i monaci-guerrieri. KANEIYE. – Celebre Maestro fabbricante di TSUBA. Vive, probabilmente, nel secolo XV e la scuola che porta il suo nome, attiva a Fushimi (KYOTO), è famosa per i bassorilievi e le scene in miniatura di chiara influenza ci-nese (Dinastia Song). KANESADA IDZUMI. – Valente armaiolo, operante nel Periodo EDO, a metà dell‘Ottocento. KANEMAKI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. Il fondatore è JISAI MICHIIE, che s’ispira allo stile CHUJO RYU di Chu-jo Nagahide. KANGAKUSHA. – Movimento, corrente di strenui ammiratori della cultura cinese; è attivo dal secolo X in poi. I suoi appartenenti giungono a vergognarsi del loro essere giapponesi, abbandonano lo SHINTO per il Buddi-smo, adottano comportamenti ed atteggiamenti tipicamente cinesi. Violento è il contrasto con il movimento nazionalista ed estremista dei WAGAKUSHA. KAN-GEIKO. – “Allenamento d’Inverno”. È l’allenamento (KEIKO) del BUDOKA, fatto in inverno (KAN), nel mese più freddo, per saggiare la resistenza psicofisica: serve ad acquisire la totale padronanza dei movimenti attra-verso il controllo delle reazioni corporali, vincendo il freddo. Questo tipo d’allenamento completa l’ASA-GEIKO (estivo, fatto di mattino presto) e l’HATSU-GEIKO (fatto all’inizio dell’anno). KANI. – “Granchio”. KANJI. – “Ideogramma”. Ora è sinonimo di “calligrafia”.

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KANJIN-SUMO. – Con questo termine si indica un torneo di SUMO organizzato per raccogliere fondi a favore di un santuario o di un tempio (scintoista o buddista). I primi KANJIN-SUMO di cui si ha notizia risalgono alla fine del 1500: finanziano la ricostruzione di un tempio di KYOTO. KANNUSHI. – “Sacerdote” scintoista. KANO JIGORO. – (1860-1938) Fondatore del JUDO moderno. KANO JIGORO nasce in una famiglia di produttori di SAKÈ e funzionari imperiali onorari nel villaggio di Mikatse, presso Kobe. Notevole figura di sportivo, studio-so e poi Maestro di Arti Marziali ed educatore (è Decano della Scuola Normale Superiore di Tokyo nel 1893), pratica fin da giovane lo JU-JUTSU con vari Maestri i cui RYU – TENJIN SHIN.YO RYU e KITO RYU, tra questi – in-segnano tecniche di percussione, di controllo e immobilizzazione, strangolamenti, tecniche basate sulle proie-zioni e atterramenti e “forme di studio definite” (KATA). L’infanzia di KANO JIGORO corrisponde all’inizio della Restaurazione MEIJI (1867/68), anni di una confusa fase d’apertura all’Occidente, modernizzazione accelerata e rifiuto di tutto ciò che è sentito come “vecchio”: consuetudini, istituzioni e tradizioni, Arti Marziali comprese. KANO deplora l’oblio in cui è caduto lo JU-JUTSU classico e vuole non solo restituirgli dignità, ma anche farne sia una moderna (e poco pericolosa) disciplina sportiva marziale per la gioventù, sia un’attività culturale nazio-nale. Fonda perciò nel 1882 il KODOKAN JUDO, nel tempio buddista d’Eisho-ji a Tokyo: su nemmeno 20 metri quadrati (12 TATAMI) si allenano nove allievi. Vero e proprio “missionario” dello JUDO nel mondo, KANO, con i suoi viaggi, contribuisce alla diffusione internazionale della nuova Disciplina. Risale al 1899 – quando, nel KODOKAN di Tokyo, già praticano oltre 600 allievi – il primo dei suoi viaggi in Europa, con dimostrazioni a Mar-siglia; nel 1928 è a Roma per una manifestazione/gara, mentre l’ultima “missione”, al Cairo, è nell’anno della morte. KANSETSU. – “Leva”.

– “Articolazione”; “giuntura”. KANSETSU WAZA. – “Tecniche sulle articolazioni”. Si applicano torsioni e lussazioni delle articolazioni delle braccia di UKE (soprattutto il polso). Comprendono tecniche di gomito (HIJI WAZA), chiavi articolari al braccio (UDE HISHIGI e UDE GARAMI) e chiavi articolari al polso (TEKUBI WAZA, distinte in KOTE HINERI e KOTE GAESHI.) KANTO. – Zona del Giappone orientale, terra di coraggiosi SAMURAI. KANZASHI. – “Spillone” di legno, osso o metallo, a due punte. Lungo da 12 a 20 cm, serve a fissare, dall’interno, l’acconciatura delle donne e, oltre che elemento decorativo, può servire come arma. Lo spillone ad una sola punta, il KOGAI, è anch’esso talvolta usato per mantenere l’acconciatura, ma infilato orizzontalmen-te nella crocchia, sporgendone. KAO. – “Viso”. Sul viso ci sono parecchi KYUSHO, “punti sensibili” per gli ATEMI. KAPPO o KWAPPO. – “Metodo di rianimazione”. KAPPO è contrazione degli ideogrammi KUATSU (“Tecnica di vita”) e HO “metodo”, “insieme”. Il KAPPO è il filone maggiore del SEI-FUKU-JUTSU, “tecnica di restaurare i trau-mi”, “traumatologia”. Le tecniche di rianimazione KAPPO si applicano a stati d’incoscienza (o SINCOPE, addirittu-ra) provocati da CHOC respiratori, nervosi o traumatici. È opportuno che tali attività siano esercitate solo da esperti, con conoscenza d’elementi di Medicina Tradizionale Cinese e d’agopuntura o shiatsu. È indispensa-bile che l’azione di chi pratica (TORI) s’identifichi con lo stato di chi riceve (UKE), soprattutto attraverso il respiro (KIAI), rendendo i procedimenti del KUATSU (massaggi, pressioni, percussioni sui punti vitali – KYUSHO – o sui TSUBA di shiatsu e agopuntura) un tutt’uno armonico. Il KAPPO fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (ol-tre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere) [si veda “ Antiche arti da guerra”]. L’apprendimento del KAPPO nelle Arti Marziali, nei tempi antichi, avviene in segreto e l’iniziazione ai KUATSU è traumatica: l’adepto, di notte, è condotto al DOJO (che spesso si trova in un tempio) e, immediatamente, è por-tato alla sincope, con strangolamento per compressione dei seni carotidei (cordoni nervo-vascolari). Il cervello subisce la momentanea interruzione del flusso sanguigno e, soprattutto, il brusco stimolo della zona genera un riflesso inibitorio che blocca la respirazione e arresta il battito cardiaco. La sincope è rapida e indolore e, se la compressione è sufficientemente lunga, si ottiene una sorta di “amnesia retrograda”, che cancella il ricordo

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angosciante degli ultimi respiri; il neofito, “resuscitato” poi con opportuna tecnica, deve giurare di mantenere il segreto. Solo gli allievi migliori, che danno garanzia di riservatezza e sono moralmente degni, possono riceve-re quest’istruzione segreta, che concede potere di morte (strangolamento) e di vita (KUATSU). Studi svolti in varie parti del mondo, condotti soprattutto con JUDOKA (le tecniche di strangolamento, nella pratica di JUDO, sono molto praticate, in allenamento ed in gara), hanno dimostrato la facilità con cui è possibile indurre la sin-cope, per compressione sia della carotide sia della trachea (ostruzione delle vie respiratorie), piuttosto che per forte inibizione riflessa provocata dalla brusca stimolazione del seno carotideo. Altrettanto facilmente, si è sperimentato, da tali stati di sincope si può uscire con l’applicazione dell’appropriato KUATSU. KARA. – “Cina”.

– “Nudo”; “vuoto”. – “Da”.

KARADA. – “Corpo umano”. KARAMU. – “Intrecciare”, “imbrigliare”. KARA-SHINO-SUNEATE. – Variante di gambali SUNEATE, senza fodera. Sono composti di numerose strette piastre metalliche, unite da maglia di ferro. KARASU-TENGU. – Popolari esseri mitologici dell’antico Giappone, a forma di corvo. [si veda TENGU] KARATE, KARATE-DO. – “Via della Mano Vuota”. Antica forma di lotta, originaria dell’isola d’OKINAWA, ma di derivazione cinese (KEMPO). Per difendersi durante i lunghi periodi d’occupazione straniera, quando è loro proibito di portare armi, gli isolani sviluppano una forma di combattimento basato su un perfezionato metodo per colpire i punti vitali del corpo umano, usandone le “armi naturali”, secondo una dottrina molto semplice: “Ci proibiscono le lance, e noi facciamo diventare ogni dito una lancia; ci proibiscono i bastoni, e noi facciamo d’ogni pugno un bastone; ci proibiscono le spade, e noi facciamo d’ogni mano una spada!”. Alla base del KA-RATE di questi primi tempi c’è, evidentemente, solo la ricerca della massima efficacia, senza indulgenze all’etica né, tanto meno, all’estetica: è, in pratica, una tecnica guerriera (JUTSU), i cui numerosi stili prendono il nome delle località in cui sono praticati [si veda OKINAWA]. Il KARATE fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve ec-cellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere; si veda ANTICHE ARTI DA GUERRA). All’inizio degli anni Venti del 1900, il Maestro FUNAKOSHI GICHIN disciplina questo modo di lottare a mani nude (conosciuto soprattutto come OKINAWA-TE), ne codifica le tecniche e lo battezza KARATE, unione di due ideo-grammi: KARA, “nudo” e TE, “mano”. L’ideogramma KARA, però, richiama anche il concetto di “vuoto” che, oltre a riferirsi alla mano, indica anche lo stato mentale del praticante, che deve essere in una particolare condizio-ne di quiete, «come una silenziosa valle, in cui anche i più piccoli suoni possono essere percepiti», permet-tendo così una reazione immediata a qualunque stimolo. È da notare che, inizialmente, Karate-jutsu, “leggen-do” gli ideogrammi cinesi originari, significa “Arte della Mano Cinese”: KARA, infatti, sta per “Cina”, “cinese”. È solo nel 1936 che all’ideogramma “Cina”, “cinese” se ne sostituisce un altro, con la stessa pronuncia, ma che significa “nudo”, “vuoto”. Nel corso dei secoli, dalla forma originaria d’arte di combattimento per la vita, il KA-RATE, come tutte le Arti Marziali tradizionali, si è trasformato ed oggi è un esercizio sportivo dove la tremenda distruttività delle tecniche originarie si è mitigata nella forma controllata del combattimento agonistico. Il KARA-TE è un’Arte Marziale prevalentemente “esterna” di stile “duro”: rientra nella categoria dei sistemi che si fonda-no sul colpire e non sul a corpo a corpo, come nel JUDO o nel JU-JUTSU. Comprende una quantità di tecniche per portare a segno pugni, colpi e calci; per bloccare, parare e deviare; per schivare, con movimenti in avanti, indietro, laterali e abbassamenti improvvisi. L’essenza del colpire consiste nel generare uno slancio nel pro-prio corpo e trasmetterlo, mediante un arto e un’area d’impatto, al fisico dell’avversario. L’energia cinetica tra-smessa dipende tanto dalla massa dell’oggetto che colpisce quanto dalla sua velocità: raddoppiando la massa l’energia raddoppia, mentre quadruplica (secondo la nota formula: Ec = ½ m.v²) raddoppiando la velocità. Il metodo più usato per produrre lo slancio consiste in una rotazione rapida dei fianchi, che si trasmette alle spalle o alle gambe: il risultato è allora un pugno (l’avambraccio è in linea retta con la direzione d’impatto), un colpo (l’avambraccio è ad angolo retto) o un calcio (a spinta, a scatto; avanti, indietro, laterale; volante, rove-sciato…), portato con velocità, coordinazione e concentrazione ed utilizzando tutte le parti degli arti, dalla spal-

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la alle dita del piede. Nel KARATE moderno dei primi tempi, complice lo spirito bellicoso assai diffuso, tanto l’allenamento quanto i combattimenti sono condotti con violenza estrema ed i colpi “affondati”, portati al bersa-glio, con i praticanti che non indossano protezioni. È merito di FUNAKOSHI YOSHITAKA, figlio e successore di FUNAKOSHI GICHIN, ma morto prima del padre, se il KARATE diventa a tutti gli effetti KARATE-DO, una “Via Mar-ziale” educativa, di sviluppo fisico e spirituale: i colpi sono portati senza “toccare” e nelle gare la vittoria è as-segnata per la somma di punti ottenuti durante il combattimento. È prevista una suddivisione in gradi (KYU) e livelli (DAN) dei praticanti (KARATEKA), che in allenamento e gara indossano il KARATEGI. Gare e tornei possono essere di combattimento (kumite) – ed allora si adottano le categorie di peso – o di forme (KATA). KARATEGI. – “Abito per l’allenamento (KEIKO) nella pratica del KARATE”. Consiste in un KEIKOGI, composto di: pantaloni (ZUBON), giacca a manica larga (UWAGI), cintura (OBI) di colore differente secondo il grado ricoperto (come per lo JUDO) e sandali (ZORI) per gli spostamenti fuori del TATAMI. Il tessuto (di cotone) del KARATEGI non è robusto quanto quello dello JUDOGI, poiché i KARATEKA non si misurano nel corpo a corpo. KARATEKA. – “Chi pratica il KARATE”. KARATE-SHINTO. – Scuola di KARATE. E’ fondata, nel 1955, da YAMAGUCHI GOGEN, già caposcuola del GOJU RYU. Egli cerca di amalgamare, armonizzandoli, i principi di KARATE-DO, ZEN, YOGA e SHINTO, per fare del KA-RATE una specie di religione “spiritualista”. KARI. – “Falciata”. GARI, come suffisso. Viene da KARU, “falciare”. KARO. – “Anziano”. Decimo grado “superiore” all’interno della classe SAMURAI. KARU. – “Falciare”. KARUMA. – “Circolare”. KASA. – “Capelli”. KASA-GAKE. – Esercizio d’allenamento al tiro con l’arco, da cavallo. Bersagli sono dei cappelli (KASA) posati su paletti che il guerriero, galoppando, deve colpire da distanza ravvicinata con frecce non letali (HIKIME) e far cadere. Quando i bersagli sono posti più lontano, si parla di TOKASA-GAKE. KASHIMA SHINTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. È analoga al più famoso e quasi contemporaneo KATORI SHINTO RYU, che la tradizione vuole abbia ispirato anche questa scuola La fonda, nel santuario SHINTO di Ka-shima (Prefettura di Ibaraki), verso il 1647, TSUKAHARA BOKUDEN, famosissimo SAMURAI. Particolarità della scuola è il Mutekatsu Ryu, lo stile di “non-combattimento”, secondo il quale uno scontro si può vincere anche non combattendo: evitandolo o impedendo l’attacco del nemico con la forza di carattere e la capacità di saper-si comportare convenientemente oppure con lo “schivare con lo spirito” (MUTEKATSU). KASHIRA. – “Testa”; “colonna”. GASHIRA, come suffisso. Anche MEN, ATAMA, TSU, TO.

– Cappetta dell’impugnatura di spada o pugnale. Una cordicella, che passa attraverso due fessu-re, assicura alla TSUKA la KASHIRA, le cui decorazioni sono nello stesso stile di quelle del FUCHI. La KASHIRA, di solito, è di bronzo decorato od altro metallo, spesso prezioso, talvolta in corno o cuoio. Pure questo dettaglio è realizzato da artigiani specializzati ed è spesso un’opera d’arte, così come FUCHI e MENUKI. KASUMI. – “Tempie”. Punto della tempia. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KATA. – “ Modello”, “forma”. “Combattimento immaginario”. “Sequenza tecnica”. È la “forma", specifica ed originale, di ogni Arte Marziale. Nel BUDO, di solito, s’intende una successione di movimenti e tecniche di base o una sequenza preordinata di attacchi/difese, da eseguirsi da soli (ma anche in coppia) oppure una serie co-dificata di esercizi, obbligatoriamente invariati nel tempo, che consentono di preservare la purezza delle tecni-che. La pratica dei KATA non solo permette di perfezionare lo stile e di meglio comprenderlo, ma consente an-che di ricostruire l’insegnamento del Maestro. Se WAZA è l’applicazione pratica delle tecniche e DO la Via spiri-tuale, KATA è la forma rituale. Pure KAHO.

– “Spalla”. – “Singolo”, “con uno”.

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KATAGINU. – “Tunica”. Rigida, senza maniche, è indossata dai SAMURAI nelle cerimonie. KATAKI. – “Avversario”. KATAME. – “Controllo”, “immobilizzazione”. GATAME, come suffisso. Viene da KATAMERU, “stringere”. Sino-nimo, per “immobilizzazione”, è OSAE. KATAMERU. – “Stringere”. KATAME WAZA od OSAE WAZA. – “Tecniche di controllo” (con immobilizzazione). Le forme di controllo si eseguono: sui gomiti (IKKYO o UDE OSAE); con torsione esterna del polso (NIKYO o KOTE MAWASHI); con torsione del polso (SANKYO o KOTE HINERI); con pressione sulla parte alta del polso (YONKYO o TEKUBI OSAE); con trazione del braccio (GOKYO o UDE NOBASHI); con chiave articolare del braccio sotto l’ascella (UDE HISHIGI o HIJI SHIME).

KATAHA. – È la sbarra dalla quale sono forgiate le lame. Si ottiene saldando fra di loro due strisce d’acciaio, uno duro ed uno tenero. KATANA. – Una delle più importanti armi giapponesi, se non la più importante in assoluto. È il simbolo del SAMURAI, del suo onore, del suo ruolo nella società feudale e, unitamente all’arco (YUMI), costituisce l’armamento tipico del guerriero, il BUSHI. Appartiene alla classe DAI-TO (spade con lama di lunghezza superio-re a 60 cm e curvatura più o meno accentuata) ed i SAMURAI – gli unici autorizzati a farlo – sono soliti portarla con la WAKIZASHI, classe SHO-TO (spade con la lama di lunghezza compresa fra 40 e 60 cm, leggermente in-curvata), a formare un DAI-SHO. In tempi PREISTORICI (Periodo KOFUN, secolo IV-VII) le spade giapponesi (TSU-RUGI, KEN) sono diritte, ad uno o due TAGLI. In seguito (secolo VIII circa, tempi storici, dunque) appare la TACHI, con lama curva, ad un filo [SCIABOLA, nella classificazione Occidentale], che si porta appesa alla cintura, con taglio rivolto a terra. Nel corso dei secoli la TACHI diventa spada rituale, sostituita in battaglia – all’inizio del Pe-riodo ASHIKAGA, verso il 1340 circa – da un’altra arma da combattimento, simile nella forma, meno incurvata, leggermente più corta (poco più di 60 cm), dotata di numerosi fornimenti, da portarsi infilata nella cintura (OBI), con il taglio verso l’alto: la KATANA, che rientra sempre nella classe di spade DAI-TO. Le lame dell’una e dell’altra arma sono molto simili, ma recano la firma del Maestro sulle facce opposte del codolo (NAKAGO), o-gnuna sempre sul lato “esterno” quando l’arma è portata. La lama (MI) – che per la tradizione scintoista è se-de di un KAMI e, molto spesso, riceve un nome proprio – è l’elemento principale di questa come di quasi tutte le altre armi bianche giapponesi. Trasmessa per generazioni, quando di buona qualità, la lama può essere dota-ta più volte di nuovi fornimenti ed accessori (sia per ragioni pratiche – dovendo sostituire, ad esempio, parti ormai usurate – sia per seguire la moda del momento): si cambia impugnatura (TSUKA), fodero (SAYA) e SAGEO, elso (TSUBA) eccetera. Quando la spada non è portata, normalmente si smontata ed un modello in legno sosti-tuisce la lama, che è pulita, fissata ad un supporto di legno di magnolia e posta sul KATANA KAKE. La KATANA, unitamente alla TACHI e ad altri tipi di spade, è oggetto di un elaborato galateo. È nel Periodo TOKUGAWA (o EDO, 1603-1868) che s’instaura un vero e proprio “culto della spada” – tanto che TOKUGAWA IEYASU scrive «la spada è l’anima del samurai; se qualcuno la dimentica o la perde, non sarà scusato» – e si crea una nuova E-tichetta (REIGI). L’Etichetta prevede rigidi rituali concernenti sia il modo di maneggiare, presentare, ammirare una KATANA [si veda anche DAI-SHO], sia per provocare con questa un avversario al combattimento (e basta davvero poco: toccare l’arma di un altro o urtarne il fodero è considerata offesa grave, meritevole di morte). La lama di una KATANA è formata da strati compensati d’acciaio (dolce, medio e duro) o d’acciaio e ferro, in proporzioni varie secondo il tipo di lama da eseguire. La sezione di una lama presenta un nucleo centrale, una COSTA contrapposta al taglio, due sottili lamine parallele, definite “pelle”, a formare il PIATTO e chiudere il tutto. In rapporto alla composizione della lama, si hanno quattro tipi di sezione: maru-kitae, tutto duro; wariha-tetsu kitae, duro solo il filo; kobuse san mai kitae, nucleo e dorso teneri; shihozume kitae, nucleo tenero, con pelle e dorso di media durezza. I masselli di metallo che compongono la lama sono ripiegati e saldati a caldo da quindici a più volte: gli strati risultanti, quindi, sono da 32.000 a quattro milioni, ma il lavoro di stratificazione deve essere regolare in ogni parte della lama. La lama è poi temperata in modo differente, per dare al taglien-

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te il massimo della tempra, mantenendo al resto – con una tempera media e minima – una robustezza ecce-zionale. La foggia della KATANA, in pratica, è invariata dal IX secolo, ed a quell’epoca risale la fittissima codifi-cazione che riguarda sezione, forma della punta, attaccatura della TSUBA, fornimenti e fodero. Basti pensare, ad esempio, che il solo KISSAKI (la punta vera e propria, distinta dal BOSHI e spesso separata dal resto della lama – MI – da una nervatura trasversale, YOKOTE) è suddiviso, a sua volta, in ben quindici distinti e particolari componenti, ognuno con il suo nome proprio, mentre il codolo (NAKAGO) ne conta “appena” otto. La medesi-ma, ossessionante, codificazione si ha nella “prova” che ogni lama deve superare: quella del taglio (TAMESHI-GIRI), spesso fatta su corpo umano (già cadavere o condannato da giustiziare che sia). I tipi di taglio conside-rati, dal meno impegnativo (polso) al più difficile (colpo trasversale, all’altezza della regione pelvica), sono se-dici. Un solo fendente, in tutti i casi, deve troncare o scindere di netto la parte [si veda anche TAMESHI-GIRI]. La lunghezza della lama di una KATANA deve essere in proporzione alla statura del committente, quando è for-giata su ordinazione. Ancora oggi, nella pratica del DOJO, si calcola la lunghezza della lama sottraendo 90 cm (98, per un uso più facile) all’altezza del praticante. [si veda anche la voce “lama”, nella seconda parte del Di-zionario] NOTA – Talvolta, nei testi, KATANA, TACHI e WAKIZASHI sono considerati di genere maschile. KATANA KAKE. – Tipica “rastrelliera”, normalmente in legno di magnolia, per riporre spade, daghe e pugnali. Nella KATANA KAKE di tipo verticale, destinata soprattutto alla TACHI, la spada è posta con la punta in alto. Nella rastrelliera orizzontale, l’elso va a destra e l’arma deve avere il filo rivolto in basso (TACHI) o in alto (tutte le al-tre). Normalmente queste rastrelliere sono in legno laccato, di varie forme e talvolta hanno cassetti per i for-nimenti supplementari delle armi. Esistono anche KATANA KAKE da viaggio, pieghevoli. KATANA ZUTSU. – “Cassetta”, che serve a trasportare la KATANA. È di legno laccato e decorato con le inse-gne del proprietario. KATA TE. – “Una mano”; “con una mano”. KATA TE JIME. – “Strangolamento con una mano”. KATA TE KATA. – “Presa a spalla e polso”. UKE afferra contemporaneamente polso e spalla di TORI. KATA TE MUNE DORI. – “Presa ad un polso ed al petto”. UKE afferra un polso di TORI e, contemporanea-mente, anche il suo petto. KATA TE RYO TE DORI o RYO TE MOCHI. – “Presa con entrambe le mani ad un polso”. Presa a una mano con due mani. UKE afferra con le due mani un polso di TORI. KATA TE DORI. – “Presa alla mano” generica. UKE attacca afferrando il polso o l’avambraccio di TORI. Da ri-cordare che è fondamentale l’unità di mano, piede e bacino, ricercata attraverso lo studio di tutte le tecniche di presa al polso. UKE è guidato con una mano ed “abbattuto” con l’altra. KATA TE DORI AI HANMI. – “Presa al polso con guardia uguale”. Presa a una mano con una mano, simme-trica, in diagonale. UKE attacca afferrando con la mano destra (o sinistra) il polso – o l’avambraccio – destro (o sinistro) di TORI. KATA TE DORI GYAKU HANMI. – “Presa al polso, con guardia opposta”. Presa a una mano con una mano, sullo stesso lato. UKE attacca afferrando con la mano destra (o sinistra) il polso – o l’avambraccio – sinistro (o destro) di TORI. KATA TE DORI HANTAI o KOSA DORI. – “Presa al polso corrispondente”. È come KATA TE DORI AI HANMI. KATA TE DORI KUBI SHIME. – “Presa al polso con strangolamento”. UKE, afferra sia il polso di TORI sia il suo collo, per strangolarlo. KATA TE WAZA. – “Presa della spada con una mano sola”. Questo termine indica il maneggio della spada – soprattutto dello SHINAI, nel KENDO – fatto usando solo una mano. Ciò richiede lungo allenamento e grande forza del polso e della mano.

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KATA DORI. – “Presa alla spalla”. Presa ad una spalla con una mano. UKE afferra TORI ad una spalla (nor-malmente in GYAKU HANMI); questi, di solito, effettua subito un TAI SABAKI di squilibrio ed un ATEMI per “fissare” l’attenzione dell’attaccante, la cui intenzione è colpire. Con le armi, la spalla deve servire come bersaglio “di lusinga”, offerto all’avversario: mentre UKE mira alla spalla, TORI colpisce. KATA DORI MEN UCHI. – “Presa alla spalla con colpo”. UKE afferra TORI ad una spalla e lo colpisce al volto o al capo con un MEN TSUKI. KATORI SHINTO RYU. – È la più antica (inizio del secolo XV) scuola di KEN-JUTSU tuttora operante. Il fonda-tore è IIZASA CHOISAI IENAO e la prima sede è nel tempio SHINTO di Katori-jjingu, nella provincia di Chiba. L’insegnamento delle tecniche di scherma con la spada (ma anche di IAI-JUTSU, IAIDO, SO-JUTSU, NAGINATA-JUTSU, bastone, lotta a corpo a corpo eccetera), sono integrate con i principi del Buddismo ZEN. Nei KATA della scuola – il cui nome originario completo è TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU – sono utilizzati gli IN (mudra, in sanscrito: gesti mistici delle mani) e gli allievi, spesso, eseguono il KUJI-NO-IN, (”Iscrizione delle Nove Lettere”). Due, tra le molte caratteristiche, sono peculiari di questa scuola: la tradizione del KEPPAN – il “giuramento di sangue” – tuttora praticato, ed i ruoli “nemico”/”vincitore”, TEKI/SHI, nel lavoro di coppia. Nei KATA della scuola, sempre, il progresso tecnico di un allievo è affidato ad un compagno più esperto, che impersona il ruolo del “nemico”, TEKI. L’allievo meno esperto, il “vincitore”, SHI, ha il ruolo di chi conclude il KATA sconfiggendo l’avversario; in questo modo, oltre che migliorare la destrezza ed affinare l’abilità, SHI non abbatte il proprio spi-rito subendo sconfitte. KATSU. – Si veda KIAI. KATSUJIN-NO-KEN. – “La Spada che dà la Vita”. Anticipo dell’azione dell’avversario. È grazie all’attitudine mentale (HEIHO) che il combattente può “sentire”, “leggere” (YOMI) il pensiero dell’avversario, anticipandone i movimenti in modo tale da non essere costretto ad ucciderlo. In caso contrario, la Via della Spada è solo “la Spada che Uccide”, SATSUJIN-NO-KEN. KATSUSATSU. – Zona della 5^ vertebra dorsale. Punto tra le scapole. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KAWA. – “Fiume”. KAWAGASA. – Elmo dei soldati di rango più basso e dei servi. È di cuoio speciale molto resistente (neri-gasa), laccato nero. Imita il SUJI-KABUTO: coppo basso, tondeggiante, con nervature ed una visiera imponente. KAWAISHI MIKONOSUKE. – Maestro di JUDO, vissuto in Francia prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale. È ricordato per il metodo d’insegnamento “francesizzato” – che da lui prende nome – dove anche l’originale terminologia giapponese è sostituita da una in francese. KAWARA. – Termine generico per armatura. Indica l’arcaica armatura del primo Periodo HEIAN (794-1156), normalmente fatta di spesso cuoio. KAWASHI. – Schivata, effettuata con una rotazione del corpo, un movimento di base (TAI SABAKI), contro un colpo od una tecnica d’attacco. KAZE. – “Vento”. KAZOKU. – “Nobile”. È la nuova classe sociale che emerge dalla semplificazione del sistema, dopo la Re-staurazione MEIJI: ne fanno parte DAIMYO e cortigiani. KEBIISHI. – Funzionario imperiale. Ha il compito di catturare e punire i criminali. Le sue notifiche hanno il va-lore di ordinanze imperiali. KEBIKI. – Tipo di allacciatura dell’armatura ODOSHI. KE-BO. – “Bastone corto”. Si veda TAM-BO. KEGA. – “Ferita”.

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KE-GUTSU e KO-GAKE. – “Calzature” dell’armatura. Sono, spesso, in pelle d’orso. KEI-BO. – “Bastone corto”. Oggi indica un tipo di manganello in dotazione alla polizia giapponese. KEIBO-SOHO. – “Tecniche di difesa”. Il termine si riferisce, soprattutto, ai metodi d’impiego dei bastoni corti (manganelli, sfollagente) utilizzati dalla polizia giapponese (TAIHO-JUTSU). KEICHU. – “Nuca”. 3^ e 4^ vertebra cervicale. Punto della nuca. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli A-TEMI. KEI-JO. – “Bastone corto”. Oggi indica un tipo di sfollagente in dotazione alla polizia giapponese. KEIJO-JUTSU. – “Arte di maneggiare il bastone corto”. KEIKO. – “Esercizio”; “allenamento”; “pratica” nel DOJO. È quello fatto per migliorare, perfezionare un’arte o una tecnica, al fine di “superare” (kei) gli “antichi” (KO). In AIKIDO, il KEIKO prevede tre fasi: TAI SABAKI, KOKYU e RAN DORI. GEIKO, come suffisso.

– “Tibia”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. – “Dita a becco d’aquila”. – Armatura protostorica, utilizzata tra il V e l’VIII secolo, fino ai primi tempi del Periodo HEIAN (890 cir-

ca). Costituita da lamelle legate fra di loro, a formare una sorta di giubba senza maniche, aperta sul davanti (sull’esempio cinese) è adattata al TANKO. La giubba, retta da spalline di cotone, presenta lamelle concave in vita e sul bordo della falda, che copre la parte alta delle cosce; gli arti superiori sono protetti da aderenti brac-ciali, in scaglie metalliche o tubolari. Alla KEIKO si accompagna un elmo di forma nuova: coppo tondeggiante, piatta e larga visiera, gronda formata da strisce di ferro curve. Sulla cima dell’elmo, che è fatto con cerchi o-rizzontali alternati a segmenti triangolari, il tutto fissato con rivetti, un terminale a tazza ha fori per il fissaggio di un cimiero. Dalla KEIKO si sviluppa l’armatura YOROI. KEIKOBA. – “Luogo d’allenamento”. KEIKOGI. – “Abito d’allenamento”. È termine generico che indica la divisa, il costume da indossare per la pra-tica di numerose Discipline (per l’AIKIDO, più propriamente, si parla d’AIKIDOGI, per lo JUDO di JUDOGI, per il KA-RATE di KARATEGI eccetera). Il KEIKOGI è formato da pantaloni (ZUBON) e casacca (GI), normalmente bianchi, con cintura (KEIKO OBI) alla vita. In AIKIDO e, spesso, in altre Discipline, sopra il KEIKOGI s’indossa l’HAKAMA (keikoba kama) KEIKO HO. – “Forma di allenamento”. KEIKO OBI. – “Cintura del KEIKOGI”. In AIKIDO è bianca per i gradi bassi (dal 1° al 6° KYU) e nera per i DAN. Torna ad essere bianca per i Maestri. In molte ARTI e Discipline MARZIALI il colore della cintura indica il grado del praticante. KEIKO-NAGINATA. – Variante da addestramento della NAGINATA. KEIKO-YARI. – Variante da addestramento, in legno, della YARI. KEKOMI. – “Colpo penetrante”. Indica l’azione diretta verso un punto, situato oltre il bersaglio, nel quale si fo-calizzano le forze psicofisiche di chi attacca. [si veda KIME] KEMPO. – “Pugilato”; “la Via del Pugno”. Tecniche di percossa (calci e pugni) d’origine cinese, giunte in Giap-pone attraverso l’isola di OKINAWA dove, introdotte verso il 1600, influenzano profondamente l’originale OKINA-WA-TE. Gli esperti di KEMPO (conosciuto anche con i termini HAKUDA e Shuhaku) sono usi colpire con forza ed estrema velocità, movendosi con incessante agilità durante il combattimento. Da quest’Arte Marziale, nel tem-po, emerge il KARATE. Il KEMPO fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”]

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KEN. – “Spada”. Tipo di spada comparso in tempi PROTOSTORICI (Periodo KOFUN, secolo IV-VII). Ha forma d’origine cinese, con lama in ferro forgiato (e normalmente di scarsa qualità), diritta, a due tagli, che a volte s’allarga leggermente alla punta. I fornimenti sono anch’essi di ferro, con lunga impugnatura – di solito a ner-vature – POMO spesso ad anello ed elso con bracci terminali arricciati. La forma è ripresa nelle spade votive ed in quelle per le cerimonie nei templi. È sinonimo di TSURUGI. [si veda anche la voce “lama”, nella seconda parte del Dizionario]

– “Tagliare”. – “Attaccare”. – “Prefettura”. Suddivisione territoriale e amministrativa. – “Pugno”. – Misura di lunghezza. Equivale a 6 SHAKU e corrisponde a 1.757 cm a EDO, 1.818 cm a Nagoya, 1.908

cm a KYOTO. KEN-BU. – “Danza rituale”. Fa parte – con le altre danze rituali – del patrimonio di conoscenza proprio d’ogni SAMURAI, così come le “otto Arti Marziali” del BUGEI [si veda “ Antiche arti da guerra”]. Il KEN-BU, eseguito prima (come forma propiziatoria) e dopo ogni battaglia (per celebrare le gesta guerresche), è accompagnato dal canto di un poema in onore dei KAMI. È probabile che questa danza abbia influenzato lo YUMITORI-SHIKI dei SUMOTORI, oltre che le rappresentazioni scenografiche nel teatro sia KABUKI sia NOH. KENDO. – “La Via della Spada”, “la Via che taglia”. [si veda KEN]. È la Disciplina Marziale, un tempo cono-sciuta anche come GEKKEN e, ancor prima, come KEN-JUTSU, relativa al maneggio della spada. Il termine KEN-DO è utilizzato dal 1900 in poi – per opera di Abe Tate, dell’omonima Famiglia SAMURAI e della scuola ABE RYU – in luogo del più “guerresco” KEN-JUTSU, ancora usato per indicare quello che, dal 1876, è divenuto in pratica uno sport. È merito di SAKAKIBARA KENKICHI, dello JIKISHIN KAGE RYU, se l’antichissima forma di combattimento con la spada riesce a sopravvivere nei tempi nuovi che seguono alla Restaurazione MEIJI. Dapprima reso fa-coltativo (1871) quindi proibito (1876) il porto della spada, ai SAMURAI non resta che allenarsi con lo SHINAI ed il KEN-JUTSU pian piano si trasforma in una forma di combattimento codificato, una sorta di attività sportiva, che comunque contribuisce all’addestramento psicofisico e spirituale dei giovani. Al 1909 risale la prima Accade-mia di KENDO, fondata a Tokyo, destinata all’insegnamento di quella Disciplina che, da allora, mai ha cessato di incarnare la più profonda spiritualità marziale legata al maneggio della spada, da sempre simbolo del BUSHI. Il KENDO, come tutte le Arti e Discipline Marziali del BUDO, si propone di plasmare gli allievi, di far loro sviluppa-re uno spirito pronto e determinato, un fisico armonico e vigoroso attraverso un allenamento rigoroso, ma lega-to alla tradizione, alla cortesia, alla sincerità. In ogni modo, sono ancora le tecniche del KEN-JUTSU, opportu-namente adattate da SAKAKIBARA KENKICHI e dai suoi successori, alla base delle regole del KENDO: colpi rapidi, netti e decisi, portati su bersagli predeterminati, considerati validi. In allenamento ed in gara i KENDOKA indos-sano un equipaggiamento protettivo, che è una versione moderna dell’antica armatura TAKE GUSOKU: casco (MEN), con maschera d’acciaio a griglia (MEN-GANE), imbottitura per la gola (TSUKI-DARE) e protezioni per le spalle; corsaletto metallico o di bambù laccato per il petto (DO); protezione a grembiule per il ventre (TARE e TARE-OBI); bracciali e manopole imbottite (KOTE). Al di sotto, un pesante KEIKOGI (KENDOGI), normalmente bian-co o blu, completo di HAKAMA, ampia abbastanza da nascondere il movimento dei piedi nudi (il DOJO, normal-mente, ha pavimento a parquet). Il KENDOKA deve entrare in uno stato psicofisico ideale (KIKENTAI NO ICHI) per realizzare un attacco efficace, lo deve eseguire con totale partecipazione, e deve esprimere con il KIAI l’energia interna, focalizzata nella tecnica. Sono ammessi solo fendenti (UCHI) e stoccate (TSUKI) ed il colpo è valido sol-tanto se eseguito con la punta (KENSEN) o con l’ultimo terzo (NAKAYUWAI) dello SHINAI [la terza parte della “la-ma”, verso la punta] e se l’attaccante indica il bersaglio mirato urlandone il nome mentre colpisce. Nel com-battimento i bersagli validi sono: la testa (MEN, di fronte; MIGI-MEN, il lato destro; HIDARI-MEN, quello sinistro) e la gola (TSUKI); l’avambraccio destro (MIGI-KOTE) e, in alcuni casi, quello sinistro (HIDARI-KOTE); il corpo (do, fronta-le; MIGI-DO, il fianco destro; HIDARI-DO, quello sinistro). Per colpire si utilizza lo SHINAI, la classica spada da scherma che ha peso e lunghezza diversi, in funzione dell’età del praticante ed è munita di TSUBA. È possibile impugnare lo SHINAI a due mani (ryote) o con una mano sola (katate), così come è consentito l’uso di due SHI-NAI, uno per mano, di lunghezza differente. I KATA di KENDO sono eseguiti utilizzando una KATANA, non lo SHI-NAI né il BOKKEN: per questo molti considerano lo IAIDO il complemento naturale del KENDO.

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KENDOGI. – “Abito per l’allenamento (KEIKO) nella pratica del KENDO”. Al normale KEIKOGI, di pesante cotone bianco o blu, completo di HAKAMA, si sovrappone l’equipaggiamento protettivo (DOGU). KENDOKA. – “Chi pratica il KENDO”. KEN DORI. – “Tecniche su attacco con spada”. KENDO SHUGYO NO SHIORI. – “Allenamento al Kendo”. Importante opera sul KENDO, scritta nel 1930 circa da MAKINO TORU, Maestro della scuola HOKUSHIN ITTO RYU. KENGI. – “Tecnica di spada”. KENGO. – “Esperto di tecniche di spada”. Pure kenkaku e kenshi. KENIN. – “Uomo di casa”. È il SAMURAI, non legato da vincoli parentali con il Signore, che vive all’interno del Clan, come se questo sia una grande famiglia, la sua. Il KENIN, in cambio della sua fedeltà, riceve protezione ed il diritto ad una parte delle terre dello SHOEN. Nel Periodo KAMAKURA (1185-1333) il rango di KENIN è consi-derato eccellente, una condizione dalla quale, però, si può decadere per punizione. Accade anche, più spes-so di quanto si creda, che in un Clan siano accettati come KENIN dei SAMURAI provenienti da Clan in preceden-za nemici; in questi casi si cerca di accentuare il legame contrattuale per mezzo di matrimoni combinati. È prerogativa dei KENIN proporre allo SHOGUN la nomina di propri seguaci guerrieri, validi e meritevoli, al rango ufficiale di SAMURAI, il livello superiore di combattente. KEN-JUTSU. – “Arte di usare la Spada”; “scherma”; “tecnica di spada”. È il termine che indica l’Arte di com-battere utilizzando la spada ed anche le antiche scuole che ne insegnano l’uso, come quella creata da Nodo nel 1346, anche se già dal secolo X i BUSHI considerano quella della spada – simbolo e “anima” del guerriero – l’Arte Marziale per eccellenza, da tutti loro studiata e praticata. È nella forma KEN-JUTSU, conosciuta anche come KEN NO MICHI, “la Via della Spada”, che il maneggio della spada e la scherma con quest’arma entrano nel patrimonio di conoscenze dei BUSHI: saper usare il KEN, la KATANA, e usarla al meglio, risulta essenziale e risolutivo tanto nei duelli quanto nelle battaglie, dove lo scontro tra guerrieri di rango, spesso, si trasforma in tenzone individuale. È evidente che nel novero delle tecniche di KEN-JUTSU rientra anche lo IAI-JUTSU o BATTO-JUTSU, cioè l’arte di sfoderare e colpire immediatamente l’avversario. Già all’inizio del Periodo EDO (1600 cir-ca), sono centinaia le scuole (RYU) dove si impara a combattere con la spada: in pratica ogni BUKE [Famiglia Militare] sviluppa un proprio metodo, uno stile particolare di KEN-JUTSU, insegnato da istruttori qualificati ai membri del Clan. Secondo un censimento ordinato dallo SHOGUN nel 1843, rispetto agli oltre 9.000 RYU cata-logati in epoca prefeudale esistono ancora oltre 1.000 scuole, ma solo 159 sono ufficiali: 61 di spada (prima erano oltre 2.000 e ben 400 erano dedicate allo studio del IAI-JUTSU), 29 di combattimento a mani nude, 14 di tiro con l’arco, 9 di equitazione e 5 in cui si praticano Discipline diverse. Dal 1876, in pratica, quando è proibi-to a tutti di portare armi, il KEN-JUTSU si evolve in KENDO, e l’antica Arte di combattimento si trasforma in un’attività di tipo sportivo. Ancora oggi, tuttavia, alcune scuole di KEN-JUTSU e KENDO, di IAI-JUTSU e IAIDO so-pravvivono, a testimonianza di una tradizione culturale (ed anche religiosa) in Giappone sempre meno “senti-ta”, ma non per questo da obliare. Tra queste si possono ricordare, ad esempio: ITTO RYU, ITTO SHODEN MUTO RYU, JIGEN RYU, KAGE RYU, MANIWA-NEN RYU, TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU. Il KEN-JUTSU – sia l’Arte sia il metodo – è noto come (o chiamato anche) GEKKEN, HEIHO, HYODO, KEN NO MICHI, TO-JUTSU, e fa parte, secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714), delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ An-tiche arti da guerra”] KEN NO AWASE. – Movimenti di armonizzazione di TORI e di UKE, entrambi muniti di KEN. KEN NO MICHI. – “La Via della Spada”. Altra denominazione del KEN-JUTSU. KEN-NO-SEN. – “Prendere l’iniziativa”. Indica il concetto di assumere l’iniziativa in un attacco. KEN-NO-SHINZUI o NUKAZU NI SUMU. – “Arte di risolvere i problemi senza usare la Spada”. Ben applicata da TSUKAHARA BOKUDEN, quest’arte è tipica della dottrina “senza spada”, MUTO.

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KEN NO SUBURI. – “Colpi base di spada”. KENSAKI. – Si veda KISSAKI. KENSEI. – Tecnica di espressione dell’energia (KIAI), ma realizzata in modo silenzioso, in alcuni esercizi di meditazione.

– “Il santo della Spada”. Altro appellativo di MIYAMOTO MUSASHI. KENSEN. – “Punta” dello SHINAI. È ricoperta dalla SAKIGAWA, di cuoio. KENSHIKAN. – Moderno stile di KARATE, praticato soprattutto nella zona di KYOTO. È analogo allo stile SHITO RYU e, come quello, si basa principalmente sullo studio, l’applicazione e l’interpretazione (bunkai) dei KATA. Il riferimento dottrinale è agli antichi stili dell’OKINAWA-TE. KENSHIN RYU. – Moderno stile di KARATE. Lo elabora il Maestro HAYASHI TERUO, del KITO RYU. KENSHO. – “Vedere dentro la propria natura”. È l’esperienza ZEN del SATORI, la realizzazione del Buddha in sé (DAIGO TETTEI). [si veda ZEN] KENSHO-MAWASHI. – “Grembiule da cerimonia” dei SUMOTORI. Spesso di notevole valore, è lungo, di seta, ricamato d’oro e argento, frangiato ai bordi. I SUMOTORI lo indossano prima del combattimento, durante la pre-sentazione rituale (DOHYO-IRI). KEN TAI JO NO AWASE. – Movimenti di armonizzazione in cui TORI impugna il KEN e UKE il JO. KEN-TO. – “Parte anteriore del pugno”. Pure SEI-KEN. KEN TORI o KEN DORI. – “Tecniche su attacco di spada”. Neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con la spada. KEN-TSUI. – “Pugno chiuso a martello”. Pure TE-TSUI. KEPPAN. – “Giuramento di sangue”. Antica tradizione dei RYU marziali: il nuovo allievo, alla sua ammissione nella scuola, sigilla col proprio sangue il giuramento di custodire gli insegnamenti ricevuti per tutta la vita, sen-za rivelarli agli estranei. KERI. – “Calcio”. GERI, come suffisso. KERI-GOHO. – “Percossa” sui KYUSHO (“punti vitali”). L’attacco può essere di pugno o di piede. Comprende le seguenti “tecniche attive” (GOHO): colpo con il palmo della mano (IKI-TSUKI), il pugno (TSUKI) od il pugno op-posto (GYAKU TSUKI); colpo con il gomito (HINERI UCHI); calcio frontale (MAE-GERI), all’indietro (URA-GERI o USHI-RO-GERI), laterale (YOKO-GERI) o circolare (MAWASHI-GERI). KESA. – “Fascia”. “Trasversale”. GESA, come suffisso. KESA è la stola, la fascia del monaco buddista, che, portata di traverso, dalla spalla all’anca opposta, simboleggia la povertà d’abbigliamento del Buddha. KESA-GIRI. – Altro nome dello YOKO MEN UCHI. KI. – “Energia”. “Energia interna del corpo”; “soffio vitale”, “respirazione”; “vita”. “Fiato originale” in un’accezione metafisica. È la contrazione della parola KAMI (“anima”) ed indica un concetto importante e dif-fuso in Asia (Cina: qi; India: prana). S’identifica in tre livelli: universale, della specie e individuale. Il KI univer-sale è all’inizio di ogni cosa e dà origine alla vita, mentre dal KI della specie, che è funzione del precedente, di-pendono il mantenimento delle caratteristiche della razza e la sua propagazione. Il KI individuale è la manife-stazione, in ciascun essere vivente, del KI universale e di specie; dal suo stato dipendono vita e salute dell’essere, ad ogni livello. Secondo il convincimento – e l’esperienza – di molti, la concentrazione e la forza mentale, unite a questa energia “creatrice”, possono essere proiettate all’esterno, attraverso il KIAI. Altro im-portante aspetto che riguarda il concetto di KI è la cosiddetta arte del “respiro vitale” (KOKYU): la concentrazio-ne con cui si esegue il normale atto respiratorio, durante gli esercizi dedicati (KOKYU HO), “carica” di “qualità vi-tale” l’aria respirata, attivando il KI. Anche il potere del KI, come tutti quelli dati all’uomo – espresso com’è at-traverso le sue azioni – può essere positivo o negativo. Per questo motivo, in Giappone, non si domanda, a

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chi s’incontra, “come stai”, bensì “come sta il tuo KI” e di un uomo si afferma che ha un KI forte (TSUYOKI) o de-bole (YOWAKI) a seconda che la sua personalità sia determinata e vivace oppure scialba, umile. Il KI, così co-me il KOKYU, è una forza neutra, che chiunque può padroneggiare, a prescindere da moralità individuale e qua-lità spirituale. Si dice che UESHIBA MORIHEI sia uno dei pochi uomini in grado di unire ed armonizzare i tre livel-li di KI, l’universale, quello della specie e l’individuale. Tra i molti che riguardano la sua padronanza del KI, si raccontano anche questi episodi. Sfidato da un giovane KARATEKA (oltre 80 kg di peso), O-SENSEI (che ne pe-sa meno di 57) accetta di essere colpito al petto con un pugno. Al primo colpo, sferrato con slancio, UESHIBA MORIHEI nemmeno vacilla ed invita l’avversario a riprovarci. Il secondo colpo, sferrato con slancio ancor mag-giore, non solo lascia immobile il Fondatore, ma causa la frattura del polso del KARATEKA. Nel primo caso il Maestro, con la non-resistenza, ha assorbito il pugno; al secondo colpo, invece, riflette l’energia usata per col-pirlo contro l’avversario, come un’onda di ritorno. Un giorno, verso il termine della sua vita, gravemente am-malato, un discepolo cerca di sollevarlo per metterlo a letto. Non riuscendoci, chiama un altro ad aiutarlo, poi un altro in aiuto ed un altro ed ancora uno. In cinque non riescono a smuovere UESHIBA MORIHEI, che sembra-va incollato a terra. Destatosi finalmente dal suo profondo torpore, O-SENSEI si scusa: inconsciamente, ha uni-to in sé il cielo e la terra. Rilassatosi, diviene leggero ed è facilmente sollevato. Il Maestro Tohei Koichi rias-sume in questo modo l’essenza del KI: «Nel contare, tute le cose cominciano col numero uno; è impossibile quindi che uno possa venire ridotto a zero. Come qualsiasi cosa non può essere fatta dal nulla, così uno non può essere fatto dallo zero. KI è come il numero uno; KI è formato da particelle piccolissime, più piccole di un atomo. Il KI universale diventa un individuo, che, condensandosi, a sua volta diventa il punto nel basso addo-me [SEIKA TANDEN], che, ancora infinitamente condensato, non diventa mai zero, ma uno con l’Universo. Que-sta è l’essenza del KI». KIAI. – “Unione delle energie”, realizzata nell’HARA. “Unione delle anime”. È l’”espressione dell’energia”: rea-lizza in sé il principio attivo dell’universo, l’AIKI; può essere in forma silenziosa quanto vocalizzata. È princi-palmente di tre tipi ed ha altrettante accezioni: è un grido di vittoria (alto, acuto), al termine dell’azione; è un ”urlo paralizzante” (basso e grave), emesso dal combattente, mentre l’energia si esprime nello scontro; è la tecnica (respiro normale, ma intenzionale) per risvegliare il KI e ridare la vita. Non è scientificamente dimostra-ta l’efficacia del KIAI nel combattimento, a parte l’eventuale disorientamento provocato nell’avversario, ma chi emette il KIAI durante l’azione, sicuramente riesce ad eliminare ogni altro pensiero dal suo spirito, concentran-do tutta l’energia (KI) nell’atto. Le vibrazioni emesse nel grido, si dice, riescono a paralizzare per alcuni istanti l’avversario, sopraffacendone le analoghe vibrazioni attraverso la forza mentale e fisica liberata in un solo, e-splosivo istante. Di certo, soltanto chi esegue appropriati esercizi (KOKYU) riesce ad emettere KIAI efficaci, che nascono dal TANDEN, dal “cuore dell’individuo”, non certo dalle corde vocali. Proprio la possibilità di influenza-re e modificare le vibrazioni altrui, è alla base di quelle tecniche di rianimazione (KAPPO, KUATSU) attivate da esperti in caso di stati d’incoscienza provocati da strangolamenti o traumi. L’operatore (TORI) pratica i KUATSU con un tempo sottolineato dal respiro intenso, acuto o grave, secondo le tecniche e il TORI. Il KIAI si realizza in modo silenzioso (KENSEI) nel caso di alcuni esercizi di meditazione. KIAI-JUTSU. – È l’arte di sconfiggere un avversario con il KI ed il potere del KOKYU. KI AWASE. – “Incontro del ki”. È l’armonizzazione di TORi con UKE, mentre entrambi esprimono il proprio KI. KIBA-SEN. – Arte del combattimento a cavallo (a piedi: TOHO-SEN). KI-GA-NUKERO. – “Perdere il KI”. [si vedano “ Considerazioni sul KI”] KIHON. – “Base”; “basico”. È lo studio e la ripetizione continua di un movimento di base o di una tecnica fon-damentale di un’Arte Marziale, con lo scopo di poterli eseguire istintivamente, senza l’intervento del pensiero cosciente. KIHON DOSA. – “Movimento di base (o fondamentale)”. KIHON KATAME WAZA. – “Tecniche-base d’immobilizzazione”. Sono cinque: IKKYO, NIKYO, SANKYO, YONKYO e GOKYO.

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KIHON KUMITE. – Studio – fatto individualmente – dei movimenti di base di un’Arte Marziale, simulanti un combattimento (KUMITE). KIHON NAGE WAZA o KOKYU WAZA. – “Tecniche-base di proiezione”. Le principali sono tredici: IRIMI NAGE, KOTE GAESHI, SHIHO NAGE, UDE KIME NAGE, KAITEN NAGE, TEN CHI NAGE, KOSHI NAGE, KOKYU NAGE, AIKI NAGE, SUMI OTOSHI, JUJI GARAMI, UDE GARAMI, USHIRO KIRI OTOSHI. KIHON WAZA. – “Tecnica di base”. KI-IKU. – “Formazione e sviluppo (IKU) dell’essenza (KI)”. Si veda IKU. KIKAI. – “Coscienza”; “riprendere coscienza”.

– “Oceano del KI”. Indica quell’istante che separa due movimenti, di difesa o attacco, durante un combattimento. Uno dei combattenti – percependolo e concentrando il proprio KI nell’HARA – può approfittare del momento di relativa debolezza dell’avversario. [si veda HARA, TANDEN] KIKAI-SO-KUATSU. – Procedimento integrale addomo-toracico. È un KUATSU ad azione globale. [si veda SO-KUATSU] KIKENTAI NO ICHI. – È quella condizione ottimale nel combattimento, ora soprattutto nel KENDO, in cui ener-gia (KI), spada (KEN) e corpo (TAI) sono uniti, fusi, armonizzati. I tre elementi costituiscono, in pratica, una cosa sola, volta all’attacco. KIKI. – Misura di lunghezza per i tessuti. Vale 2 TAN. KIKKO. – Armatura leggera. È utilizzata soprattutto nei viaggi o in occasioni particolari. In pratica si tratta di una corta giacca, di tessuto trapuntato; all’interno della trapunta ci sono piccole piastre esagonali, forate al centro. Le piastre, di cuoio duro o acciaio, sono tenute con legacci che passano dal foro centrale. KIMARITE o SHIJUHATTE. – Termine che indica le 48 prese autorizzate, utilizzate nel SUMO per far cadere l’avversario o spingerlo fuori del “cerchio sacro”. Pare che la codificazione di queste prese risalga a SHIGA SEIRIN, il primo arbitro (GYOJI) nominato prima NUKIDE-NO TSUKASA, quindi “giudice” (HOTE) dall’Imperatore, nel 740. KIME. – “Determinazione”. “Estensione dell’energia”. È la focalizzazione delle energie psicofisiche e può es-sere fatta sia nel proprio HARA sia in un punto oltre il bersaglio (KEKOMI). È lo “spirito di decisione”, tipico delle tecniche delle antiche Arti Marziali e fatto proprio dal Fondatore nell’AIKIDO. Il KIME, unitamente agli sposta-menti rapidi e coordinati del corpo (TAI SABAKI), alle schivate, alle leve articolari, è il solo adatto alla difesa con-tro uno o più avversari, contro i quali è usata la loro stessa forza.

– Piegare una giuntura secondo il movimento naturale. KIMOCHI. – “Intenzione aggressiva”. KIMONO. – “Abito tradizionale” giapponese, maschile e femminile, normalmente ampio, lungo, con maniche a “tre quarti”. “Status”, temperatura e occasione determinano quantità, qualità, spessore e colore dei numerosi KIMONO indossati, essendo spesso l’abito anche un tangibile segno del rango e della carica rivestita. Il KIMONO può essere più o meno lungo, anche con strascico, ed avere le maniche ampie o strette. Le nobili, a Corte, usano indossarne molti, l’uno sopra l’altro (il numero è fissato ad un massimo di cinque nel secolo XII), di tinte diverse, disposti in modo tale che tutti i colori sovrapposti sono visibili. Le popolane usano un KIMONO sempli-ce, protetto da una gonna-grembiule (yumaki) e spesso, d’estate, nei campi, sfilano le maniche e lavorano a torso nudo, senza peraltro destare curiosità alcuna. KI-MUSUBI. – “Unire se stesso all’altro”. Indica il fondersi del KI dei praticanti, in un’unità senza soluzione di continuità. È uno dei più importanti “fattori interni” dell’AIKIDO, unitamente ad AIKI (che gli somiglia), KI-NO-NAGARE e KOKYU HO. KIN o KOGAN. – “Testicoli”.

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KIN GERI. – “Calcio ai testicoli”. KIN-KUATSU. – Massaggio antalgico pelvico. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU par-ticolari: percussioni riflessogene adatte per traumi pelvico-addominali. Si attuano per regolare turbe neuro-vegetative, sollevare da stati sincopali e migliorare la funzionalità dopo la rianimazione. KI-NO-MICHI. – “La Via del Ki”. Moderno (1979) stile di AIKIDO, ideato da un allievo di O-SENSEI, Noro Masa-michi, come forma idealizzata e perfezionata di tecnica difensiva. KI-NO-NAGARE. – “Corrente dello spirito”. “Flusso del KI”. È uno dei più importanti “fattori interni” dell’AIKIDO, unitamente ad AIKI, KI-MUSUBI e KOKYU HO. Normalmente KI-NO-NAGARE s’affronta dopo un allenamento di tec-niche fondamentali: serve a sensibilizzare i praticanti sul fluire del KI tra di loro. KI-NO-NAGARE è uno dei con-cetti primari delle Arti Marziali. [si vedano anche “ Considerazioni sul KI”] KI-NO-NAGARE WAZA. – “Tecnica fluida”. KINTEKI. – “Testicoli”. Punto dei testicoli. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure TSURIGANE. KIRI. – “Tagliare”. Esprime “l’azione del tagliare” (con arma bianca) o il rapido movimento di braccio, mano, pugno, o piede. GIRI, come suffisso. KIRIKAMI. – “Primo certificato”. Diploma di primo grado, nell’antico sistema di classificazione del BUGEI. KIRISUTE-GOMEN. – È il diritto del SAMURAI ad abbattere un appartenente a classe inferiore che lo offende. Così recita: «La gente comune che si comporta male nei confronti dei membri appartenenti alla classe militare, o che dimostra poco rispetto per i vassalli diretti o indiretti, può essere uccisa sul posto». Pare che questo di-ritto non sia frequentemente applicato, ma, in ogni caso, è il simbolo di un’autorità che non può, e non deve, essere messa in discussione. KIRITSU. – “Alzarsi in piedi”. KIRI-TSUKE. – “Tagliare”. È l’azione di tagliare con la spada, dopo averla sguainata (NUKI-TSUKE). E’ una del-le tecniche di base (SHODEN) dello IAIDO. KIRU. – “Tagliare”. KISAKI. – Si veda KISSAKI. KISERU. – “Pipa”. È la tipica pipa dal lungo cannello (rao), con bocchino (suikochi) e piccolo fornello metallico (gankubi). Alla pipa – generalmente trasportata in un portapipa (KISERU-ZUTSU) s’accompagna una scatola (TONKOTSU) o una borsa (TABAKO-IRE) di pelle o stoffa, per il tabacco. Il cannello di una pipa da uomo è lungo da 15 a 20 cm; le donne usano pipe con cannello che arriva a 60 cm. Nei secoli XVI e XVII, però, si diffondo-no pipe tutte di metallo, con cannello lungo fino a 120 cm – spesso munite di una vera e propria TSUBA – che talvolta sono addirittura trasportate da un servitore apposito. Nel 1609 il BAKUFU di EDO proibisce tanto il fumo in sé (è un’attività antieconomica e troppi sono gli incendi provocati da fumatori distratti) quanto, nello specifi-co, il porto delle lunghissime pipe, vere e proprie armi da botta che tanta parte hanno nei disordini cittadini. Dal 1610, per aggirare l’editto che ne vieta produzione e vendita, il tabacco da fumo è chiamato “tè di lunga vi-ta”. KISERU-ZUTSU. – “Portapipa”. Spesso laccato e decorato, serve a proteggere la pipa. KISHA HASAMI MONO. – Scuola di YABUSAME, fondata dall’ottavo SHOGUN TOKUGAWA, Yoshimune (1716-1745). KISHIN. – “Patrocinio”, “raccomandazione”. È la pratica adottata, durante la Reggenza FUJIWARA (890-1185), per non pagare tasse, da molti possidenti terrieri. Alcuni proprietari di SHOEN hanno il privilegio di non pagare tasse per le loro proprietà private, ad esempio perché non soggetti al controllo dei funzionari incaricati della ri-scossione o perché si tratta di templi. Altri proprietari, soggetti alle imposte, ricorrono allora al KISHIN: fanno

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nominalmente dono delle proprie terre ad un possidente esente (che può così ingrandire il proprio SHOEN), ad un monastero o ad un centro religioso.

– “Ritorno alla Testa del dio”. Stato di unione mistica con il divino. Si veda CHINKON-KISHIN. KISOKU. – “Respirazione prolungata” (è composto di KI). KISSAKI o KISAKI o KENSAKI. – Punta della lama di spada. Quando si tratta di SHINAI si chiama, più pro-priamente, KENSEN e la copertura di cuoio è la SAKIGAWA. Per la sola KATANA il KISSAKI è composto da quindici distinti elementi, ognuno con il suo nome proprio. KISURIYUBI. – “Dito anulare”. KITAI. – “Con il KI”. KITANOMARU-KOEN. – È il parco, al centro di Tokyo, consacrato ai caduti nella Seconda Guerra Mondiale. Circonda il tempio scintoista di YASUKUNI-JINJA. KITO. – “Cadere e rialzarsi”. Più poeticamente: “sorgere e tramontare”. Nome di un’antica scuola di JU-JUTSU. KITO RYU. – Antica e celebre scuola di JU-JUTSU. Pare che l’abbia fondata, alla fine del secolo XVI, IBARAGI SENSAI, discepolo dello YAGYU SHIN-KAGE RYU. Materie d’insegnamento, all’inizio, sono soprattutto KEN-JUTSU, BO-JUTSU, JU-JUTSU, IAI-JUTSU e KUSARIGAMA-JUTSU. La base filosofica dell’insegnamento si trova in due testi antichi, HONTAI e SEIKO, conservati dal monaco e Maestro TAKUAN SOHO, propugnatore della teoria MUTEKATSU (“schivare con lo spirito”), che tenta di trasformare lo JU-JUTSU in un’Arte meno violenta e più “estetica”. TERA-DA KAN.EMON, SAMURAI di basso rango, nell’ambito del KITO RYU sviluppa una forma di combattimento senz’armi e non mortale, chiamata JUDO e impianta quindi una propria scuola, denominata JIKISHIN RYU. Il KI-TO RYU dà origine anche ad altre scuole d’Arti Marziali, tra cui il Teishin Ryu di TERAMA HEIZAEMON ed il Fukuno Ryu di Fukuno Shichiroemon, il KENSHIN RYU di HAYASHI TERUO. UESHIBA MORIHEI, nel 1901, studia JU-JUTSU al KITO RYU con il Maestro Tozawa Tokusaburo. KI-WO-DASU. – “Realizzare il KI”. [si vedano “ Considerazioni sul KI”] KI-WO-KIRU. – “Interrompere il KI”. [si vedano “ Considerazioni sul KI”] KI-WO-NERU. – “Esercitare il KI. [si vedano “ Considerazioni sul KI”] KI-WO-TOTONOERU. – “Preparare il KI”. [si vedano “ Considerazioni sul KI”] KO. – “Piccolo”; “anziano”, “antico”. Nel significato di “piccolo”, un sinonimo è SHO.

– “Lettura”, “studio”; con riferimento al “luogo dove studiare la Via”. Si veda JUDO. – “Artigiano”. Anche SHOKUNIN. – È la versione fonetica di un ideogramma cinese, che indica la connotazione pubblica. In Giappone è u-

tilizzato e identifica la “dimensione pubblica” della cultura nazionale, che è distinta da quella “militare” (BU) e da quella “civile” (BUN). KO, nella variante fonetica KU, compare nei termini composti KUGE e KUGYO, che si riferi-scono ai “nobili pubblici”, distinti da BUKE e BUMON, che identificano le “famiglie militari”. KOAN. – Il significato originale è: “caso giuridico che stabilisce un precedente legale”; “principio di governo”. Nello ZEN indica un principio di verità eterna trasmesso da un Maestro, ma soprattutto designa una massima enigmatica, una storia apparentemente irragionevole o paradossale, un problema contraddittorio dell’esistenza, che il ROSHI assegna ad un discepolo come argomento di meditazione. L’allievo dovrebbe ri-solvere il KOAN, per aiutare il proprio “risveglio” piuttosto che per esaminarne la profonda attuazione, metten-doci ore o giorni interi per analizzarlo. Quasi sempre, però, l’interpretazione del discepolo non è accettata dal Maestro, che lo manda nuovamente a meditare, per trovare la “risposta”. Poco alla volta il discepolo capisce che il KOAN non può essere analizzato o interpretato analiticamente, ma la mancanza di una risposta è essa stessa una soluzione, una soluzione che si conosce solo vivendola. La vera meditazione KOAN mette l’allievo in una situazione per cui s’identifica talmente con il rompicapo propostogli, che sente se stesso, il suo “io”, come un indovinello senza risposta, fino al giorno in cui non si rende conto che la sua incapacità (o

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l’impossibilità) di comunicare agli altri una risposta oggettiva al KOAN è non un problema, ma fonte di gioia: ha raggiunto l’”illuminazione”, si accetta per quello che è. Il KOAN ZEN è un “mezzo” educativo, che porta lo stu-dioso – sotto la guida del suo ROSHI ed attraverso una pratica interiore severa e intensa – ad uno stato di “co-scienza pura”, che non è più “coscienza di”. I KOAN documentati sono circa 1700; un esempio è il seguente. Allievo: «Se tutti i fenomeni ritornano all’UNO, dove ritorna l’UNO?». Maestro Joshu: «Quando vivevo a Seiju feci un mantello di canapa che pesava dieci libbre». Le parole di Bassui, ROSHI vissuto nel secolo XIV, aiutano forse a capire meglio: «Quando i tuoi interrogativi diverranno sempre più profondi, non otterrai risposta, finché giungerai in un vicolo cieco, con il pensiero del tutto arrestato. Non troverai nulla che si possa chiamare “men-te” o “io”. (…) Continua a provare, e svanirà la mente che s’accorge che non c’è nulla: non avrai più coscienza dei tuoi interrogativi, ma solo del vuoto. Quando anche la consapevolezza del vuoto scomparirà, scoprirai che non c’è nessun Buddha al di fuori della mente e nessuna mente al di fuori del Buddha (…) scoprirai che quan-do non odi con le tue orecchie odi veramente e quando non vedi con i tuoi occhi vedi veramente i Buddha del passato, del presente e del futuro, ma non attaccarti a qualcuno di questi, solo sperimentalo per te stesso». KOBAYASHI KOEMON TOSHINARI. – (seconda metà del secolo XVI) Maestro di IAI-JUTSU. Fonda la scuola MIZUNO SHINTO RYU. KOBO-ICHI. – “Unità in attacco e difesa”. È il concetto alla base dello JU-JUTSU classico: attacco e difesa, nel combattimento, sono la medesima cosa, assumendo priorità diversa in base alle circostanze. KOBORE. – “Tibia”. KO-BUDO. – “Antiche Arti Marziali”. Prendono il nome di KO-BUDO le Arti Marziali insegnate in alcune deter-minate scuole, come lo JU-JUTSU degli stili YOSHIN RYU, TENJIN SHIN.YO RYU, Takeuchi Ryu, ed anche certe particolari Discipline, come TAI-JUTSU, HOGU-JUTSU, HO-JUTSU, SO-JUTSU, YOROI-KUMIUCHI, KYU-JUTSU della OGASAWARA Ryu. Il termine di KO-BUDO va anche a quelle Arti Marziali in cui si utilizzano armi non convenzio-nali (o di origine non convenzionale), tanto indigene (per esempio KUE, KUSARI-GAMA, NAGINATA) quanto impor-tate da zone esterne al gruppo principale dell’Arcipelago giapponese, come le isole Ryukyu (NUNCHAKU, TONFA e JITTE). KOBU-JUTSU. – Metodo di difesa personale. Lo inventa HOSHI TETSUOMI, allievo di UESHIBA MORIHEI; per questo motivo alcuni considerano il KOBU-JUTSU come una scuola (stile) di AIKIDO. KOBUKAN. – “Palestra del Valore Marziale Imperiale”. È il primo, vero Dojo d’AIKIDO del Maestro UESHIBA MORIHEI, inaugurato nell’aprile del 1931 a Tokyo, grande 80 TATAMI. La pratica è intensa: al mattino dalle 6 al-le 7 e dalle 9 alle 10, il pomeriggio dalle 14 alle 16 e dalle 19 alle 20, ma accade che gli UCHI DESHI, gli allievi residenti – veri e propri “attendenti” del Maestro, che si occupano di tutti i servizi: non pagano retta, ma porta-no in dote denaro o cibo, materiali o lavoro – siano svegliati in piena notte per provare le nuove tecniche che O-SENSEI s’è sognato. KOBUSHO. – È la scuola d’Arti Marziali degli SHOGUN TOKUGAWA. KOCHO. – “Farfalla”. KOCHU. – “Base del cranio”. 1^ vertebra cervicale. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KO-DACHI. – “Piccola sciabola”. Altro nome del WAKIZASHI. KODANSHA. – È il praticante d’Arti Marziali, cintura nera. In alcune scuole e Discipline è dal 5° DAN in su, in altre dal 3° in poi. KODENKO. – Zona della 4^ vertebra lombare; estremità inferiore della colonna vertebrale. KYUSHO, “punto vi-tale” o “debole” per gli ATEMI. KODO. – “La Via dei Profumi”. È la “Via” del legno profumato che si consuma bruciando. KODO-BORI. – È lo sfruttamento delle miniere per mezzo di pozzi e gallerie orizzontali.

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KODOKAN. – “Il Luogo per Studiare la Via”. Il termine deriva da KO (lettura, studio, esercizio), DO (via, meto-do, dottrina) e KAN (sala o luogo) ed è il nome che il fondatore dello JUDO, il Maestro KANO JIGORO, dà nel 1922 al Centro da lui fondato, a Tokyo. È qui che si forma il maggior numero di istruttori, anche stranieri, ed è al KODOKAN che i KODANSHA arrivano per perfezionarsi. Dal 1962 la sede del KODOKAN è un fabbricato, chiamato BUDOKAN, che ospita Maestri non solo di JUDO, ma anche di Arti e Discipline Marziali affini, come AIKIDO ed al-cune scuole di JU-JUTSU. Il KODOKAN ha per emblema il SAKURA, il fiore di ciliegio; la sua regola è quella dello JUDO, che ogni JUDOKA deve sottoscrivere: «una volta entrato nel Kodokan, non interromperò i miei studi sen-za valido motivo; non disonorerò mai il Dojo; senza autorizzazione non insegnerò lo Judo, non svelerò e non mostrerò i segreti appresi; da allievo o da insegnante, seguirò sempre le regole del Dojo». KOFUN. – Enorme tumulo funerario. Sono tombe megalitiche, dove viene sepolta l’élite del tempo, i primi Im-peratori, i capi dei Clan dominanti (UJI) del Periodo YAYOI (dal 300 a.C. al 300 d.C.). Contengono statuine di varie forme (HANIWA), prime rappresentazioni artistiche dei guerrieri dell’epoca e, talvolta, primitivi esemplari d’armature di ferro (TANKO) ed armi, come spade TSURUGI e KEN.

– È il nome al Periodo protostorico del Giappone, dal IV al VII secolo d.C. KOGAI. – Sorta di spillone o stiletto; coltello ad ago. È fatto in un pezzo solo, di rame, ferro o lega metallica, intarsiato e decorato (MON, animali, piante, figure umane o fantastiche); la lama, smussata, ha impugnatura piatta. Generalmente è abbinato alle spade SHO-TO, unitamente al KOZUKA e spesso inserito, con questi, nel fodero (SAYA) delle spade DAI-TO. Il KOGAI, vero e proprio attrezzo “mille usi”, è utilizzato sia per impieghi quo-tidiani – mangiare (esistono modelli con la lama divisa in due nel senso della lunghezza, a formare una sorta di forcina o un paio di bacchette) o acconciarsi i capelli; come una specie di lesina, per riparare oggetti di cuoio o come arma – sia per trasportare la testa mozzata del nemico, infilato nella crocchia dei capelli o negli occhi. Si racconta anche che, spesso, il KOGAI serva ad uccidere compagni d'armi, feriti senza speranza, inci-dendo loro le vene. Con il passare del tempo quest’oggetto si trasforma in una presenza simbolica, tradizio-nale. KOGAN o KIN. – “Testicoli”. KOGAN-KUATSU. – Percussioni del piede. Rientra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU particolari, adatti a traumi e dolori pelvici – quindi sia di rianimazione sia antalgici – attuati con percussioni riflessogene. KOGUSOKU. – Armatura leggera. È la tipica protezione dei soldati a piedi (ZUSA), completata da un elmo a-perto (JINGASA o KASA), di cuoio laccato, rame, legno o ferro. KOGUSOKU-JUTSU. – Forma di combattimento ideata da TAKENOUCHI HISAMORI nel 1532. In questo tipo di lotta si utilizza un bastone – o altra arma corta – contro guerrieri protetti da armatura leggera. Lo stile è anche detto TORITE-KOGUSOKU. KOHAI. – Chi ha meno anzianità nella pratica di un’Arte Marziale. Sovente è affidato ad un SEMPAI. KOHO. – “Rotolare indietro”. KOHO TENTO UNDO. – “Cadere indietro e rialzarsi proiettando il KI avanti”. Fa parte degli esercizi fisici spe-cializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). KOHO UKEMI UNDO o KOHO KAITEN UNDO. – “Rotolamento continuato e controllato indietro”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). KO-INAZUMA. – Zona “sotto i glutei”. Punto dell’inserzione del nervo sciatico. KYUSHO, “punto vitale” o “de-bole” per gli ATEMI. KOJIKI. – “Memorie degli Avvenimenti dell’Antichità” (o “Storia Antica”, o “Memoria degli Antichi Fatti”; anche “Registro delle Questioni Antiche”). Annali ufficiali del Periodo NARA, in tre volumi, compilati dal 712. Tra le prime opere della letteratura giapponese, unitamente a cronache e gazzette (gli “Annali del Giappone”, Nihon-gi, 720; i “Libri dei luoghi e dei costumi”, Fudoki, inizio secolo VIII), sono la trascrizione, in ideogrammi cinesi, di tradizioni prima tramandate oralmente. Il KOJIKI, in particolare e tra l’altro, è nota per il racconto che fa del

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leggendario combattimento (KUNI-YUZURI SUMO) tra i due KAMI (o, molto più probabilmente, due capi Clan) Ta-kemikazuchi e Takemi-no-kata, per assicurarsi il dominio dello YAMATO. È da questo combattimento, per la tradizione, che nasce il SUMO. [si vedano anche SHINTO e la voce “Giappone, Lingua e letteratura”, nella se-conda parte del Dizionario] KOJIRI. – “Puntale” della SAYA. KOKONOTSU. – “Nove” in giapponese puro. In sino-giapponese è KU o KYU, per contare le persone (NIN) si dice KYUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa KYUHON. KOKORO. – “Cuore”; “spirito”, “anima”. Sinonimo di SHIN, si riferisce sia a persone sia a cose. Nella tradizio-ne orientale – medica, filosofica, religiosa – sede dello spirito è il cuore, non la testa [il cervello da solo non è nemmeno considerato, nella Medicina Tradizionale Cinese, che parla di sistema “cuore-cervello”]. KOKORO, pertanto, è l’essenza di un uomo (o di una cosa); nessuno può riuscire a compiere qualcosa se non è permea-to, condizionato da KOKORO, che rappresenta la realtà assoluta d’ogni cosa ed incarna l’interesse “disinteres-sato”, fine a se stesso (addirittura l’AI, inteso come essenza dell’amore). KOKORO, in AIKIDO, richiama un invito: ame tsuhi no hajimè ni oite kudasai (“Poni la tua mente all’inizio del cielo e della terra”). [si veda MUSHIN, MIRU-NO-KOKORO, MIZU-NO-KOKORO, TSUKI-NO-KOKORO]

– “Esperto”. Convenzionalmente, è la qualifica che spetta alla cintura nera, 5° e 6° DAN, praticante d’Arti Marziali. [si veda KYUDAN] KOKORO-E. – “Vero Spirito della Comprensione”. KOKORO-NO JUMBI DOSA. – “Esercizi di concentrazione”. KOKOTSU. – Parte mediana, interna, della tibia. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KOKU. – Unità di misura di capacità (equivale a circa 180 litri). È usata anche come un indicatore di ricchezza del feudo (HAN) di un DAIMYO: corrisponde alla quantità di riso necessaria a nutrire un uomo per un anno inte-ro.

– “Spazio vuoto”. KOKUGIKAN. – “Palestra Centrale” (HONBU DOJO) del SUMO. È a Tokyo ed è, quasi, un tempio. KOKYU. – “Respirazione”. Anche “respiro vitale” e “respiro cosmico”. Kokyu e KI sono uniti indissolubilmente: il KI irradia dal KOKYU ed il KOKYU è la forza vivificante che attiva il KI. Il principio ideale dell’AIKIDO è unire il proprio respiro al flusso cosmico di KOKYU affinché, respirando con l’Universo, ci possa permeare la “potenza (o forza) del respiro”, KOKYU RYOKU. Il KOKYU, così come il KI, è una forza neutra, che chiunque può padroneg-giare, a prescindere da moralità individuale e qualità spirituale. Nella respirazione (del BUDO, in generale), l’espirazione è circolare, una funzione dell’elemento acqua, mentre l’inspirazione è quadrata, una funzione dell’elemento fuoco. KOKYU o FUKUSHIRI KOKYU. – “Respirazione profonda” o “respirazione addominale profonda”. “Centraliz-zazione dell’energia”. Il respiro nasce nell’HARA ed attiva il KI. Respirazione e movimenti sono sincronizzati. È anche il momento in cui il singolo, concentrandosi, si armonizza con l’universo. [si vedano anche “ Conside-razioni sul KI”] KOKYU DOSA. – Esercizio eseguito in posizione seduta (SEIZA). UKE afferra i polsi di TORI; questi, concen-trando l’energia nell’HARA ed esprimendola con la respirazione – attraverso le braccia – lo proietta a terra. Il KOKYU DOSA è analogo al principio hakko-dori, applicato nelle tecniche da seduti (SUWARI WAZA) del WA-JUTSU, dove TORI deve liberare i polsi, afferrati da UKE. Nel caso l’azione difensiva di TORI si concluda con un paio di ATEMI, portati a costato e collo di UKE, si tratta di un KATA di base, chiamato hiza-gatame. KOKYU HO. – “Esercizio o metodo (HO) di respirazione (KOKYU)”. Gruppo di esercizi respiratori. Allorquando eseguiti come un esercizio, con un compagno che tiene o afferra il polso, rientrano tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO) che si praticano in coppia, senza caduta.

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– Arte di coordinare il respiro tra noi, il Cielo, la Terra ed il partner. È uno dei più importanti “fatto-ri interni” dell’AIKIDO, unitamente a KI-NO-NAGARE, KI-MUSUBI e AIKI

– È la forza che viene dal KI e consente, a chi pratica l’arte del KOKYU, di influire sugli altri. KOKYU HO HENDA. – “Cambio con respirazione”. KOKYU HO UNDO. – “Guida dell’energia nei polsi, con rotazione”. Allorquando eseguito come un esercizio, con un compagno che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO) che si praticano in coppia, senza caduta. KOKYU RYOKU. – “Potenza (o forza) del respiro”. È la potenza dell’Universo, accumulata nel SEIKA TANDEN. È la forza che emana da una mente serena e calma e da un corpo rilassato, entrambi pronti a rispondere, in ogni necessità, in ogni momento, nella direzione voluta. KOKYU RYOKU è un dono del cielo, che non può e-sprimersi se teniamo spalle, nuca e braccia contratte, o se ci s’immagina molto forti (o molto deboli), o se non crediamo che questa forza esista. Queste sono tutte impurità, del corpo o dello spirito, sono sbarramenti al fluire del KI. Non basta, però, capire KOKYU RYOKU con l’intelletto, occorre impararlo ogni giorno, attraverso il corpo, perché, come dice O-SENSEI: «Un lavoro di tre giorni non è che un lavoro di tre giorni; il lavoro di un an-no non è che il lavoro di un anno; un lavoro di dieci anni accumula la forza di dieci anni». Senza passare dalle tecniche non è possibile imparare KOKYU RYOKU, ma senza KOKYU RYOKU può esistere solo la forma della tecni-ca, una forma vuota. KOKYU NAGE. – “Proiezione fluida del respiro”. “Proiezione con la potenza del respiro”. “Proiezione dell’energia centralizzata”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA); la caduta di UKE può avvenire in tut-te le direzioni (avanti, indietro, laterale, dall’alto). Allorquando eseguito come un esercizio, con un compagno che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO) che si praticano in coppia, senza caduta. È la proiezione di UKE fatta sincronizzando mente e corpo (respiro) ed utilizzando il suo slancio, senza leve alle articolazioni. Normalmente si applica a presa a polsi e spalle, colpi e fendenti al volto.

– È la forza che viene dal KI e consente, a chi la domina, di proiettare “morbidamente” un avversario. KOMBU. – “Alghe marine”. Sono usate, tra l’altro, come oggetti di buon auspicio nel DOHYO-MATSURI (“ceri-monia propiziatoria”) del SUMO. KOMI. – “Interno”.

– “Contro”. KOMONO. – “Gente modesta”. Sono gli individui, di bassissima condizione sociale e di provenienza contadi-na, che accompagnano i contingenti militari, occupandosi degli approvvigionamenti e di piccoli lavori. Sono chiamati anche ARASHIKO. KOMUSO. – “Monaco errante”, soprattutto del Periodo EDO (1603-1868). È riconoscibile per il copricapo, a forma di cesto, che copre l’intera faccia e per l’immancabile flauto (SHAKUHACHI) che l’accompagna; normal-mente appartiene alla setta fuke. KONBANWA. – “Buona sera”. KONGO-ZEN. – “ZEN del Diamante”. Particolare forma di pratica ZEN, che annovera oltre 600 tecniche mar-ziali e movimenti difensivi e schivate: spostamenti, parate, posizioni, ATEMI. Il KONGO-ZEN influenza fortemente il NIPPON SHORINJI-KEMPO. KONNICHIWA. – “Buon giorno”; si usa dalla tarda mattinata fino al tramonto. KOOTSUNIN. – Si veda BONGE. KONSHA-TENGU. – Popolari esseri mitologici dell’antico Giappone, dal lungo naso. [si veda TENGU] KOPPO – Tecniche di difesa mediante un bastone più corto del TAM-BO. Si può utilizzare sia un bastoncino (di legno, di metallo) – talvolta munito di un anello al centro, in cui s’infila il dito medio – sia un qualsiasi altro og-

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getto, anche d’uso comune, maneggevole e facile da impugnare. Il bastoncino serve tanto a moltiplicare la forza degli ATEMI inferti quanto a rendere più dolorose le tecniche di leva. KORI. – “Collo del piede”. Parte sporgente del dorso del piede. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATE-MI. KORINDO. – Stile d’AIKIDO e scuola di difesa personale. Il fondatore è Hirai Minoru, UCHI DESHI di O-SENSEI. KOSHI. – “Vita”, “busto”, “zona della cinta”; “anche”, “fianchi”. È la parte inferiore del tronco, che va dall’ombelico in giù. GOSHI, come suffisso.

– “Palla del piede”: parte carnosa sotto le dita, serve per colpire in alcune tecniche di calcio, soprat-tutto in KARATE. Pure CHUSOKU. KOSHIATE. – “Portaspada”. È un originale ed esclusivo congegno, formato da grandi pezzi di cuoio e cinghie incrociate che li attraversano: introdotta la spada, questa rimane bloccata nella cintura e fissata nella giusta posizione. Esistono anche contenitori tubolari, addirittura doppi, per il DAI-SHO.

– Protezione dei fianchi, utilizzata dagli arcieri: ripara dalle cuspidi (YANO-NE) delle frecce (YA). KOSHI-ITA. – “Cintura”, annodata posteriormente, che regge l’HAKAMA. KOSHI-KUATSU. – Percussioni sacro-iliache. Rientra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU particolari, adatti a traumi e dolori pelvici – quindi sia di rianimazione sia antalgici – attuati con percussioni riflessogene. KOSHI NAGE. – “Proiezione circolare dell’anca”. “Proiezione con movimento di torsione del busto o delle an-che”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA); la caduta di UKE è dall’alto. Normalmente si applica con-tro prese a polsi e spalle. KOSHI-NO-MAWARI. – Pare sia il più antico termine che identifica la lotta a mani nude. In seguito diventa TAI-JUTSU e quindi JU-JUTSU. KOSHIRAE. – Fornimento da guerra per spada. KOSHI SABAKI. – Studio degli spostamenti di anche e bacino. Fa parte dei TAI SABAKI. KOTAI. – “Duro”. KOTE. – “Polso”. Pure TEKUBI.

– “Avambraccio”. Pure UDE. – Manica corazzata dell’armatura. Se ne parla già nel Periodo Kofun (IV – VII secolo), quando sono

costituite da bracciali tubolari, ma gli esemplari arrivati a noi sono soprattutto d’armature moderne. Il KOTE è formato da una manica aderente, di tessuto imbottito o pelle o seta, assicurata al braccio con lacci. Cordicel-le, che girano attorno al petto, l’assicurano al corpo. La manica, in alcune parti, è ricoperta da maglie di ferro, scaglie e piastre e termina con una mezza manopola, a protezione della mano (tetsu-gai: arrotondata e lacca-ta, segue la forma del dorso della mano), munita di cappi attraverso i quali passano le dita. Ogni elemento o variante del modello di base ha un nome particolare e specifico, così come ogni particolare combinazione di maglia di ferro, piastre e scaglie ed ogni tipo di legaccio. Questo rende il KOTE uno dei mezzi di protezione più elaborati, complicati e complessi mai messi a punto. Spesso gli elementi costitutivi del KOTE sono decorati o guarniti.

– Manopole dell’armatura per scherma TAKE GUSOKU, usata nel KENDO. Si definiscono anche UCHI-KOTE e ONI-KOTE. KOTE GAESHI. – “Proiezione su torsione del polso”; può essere verso l’interno o verso l’esterno. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA) che fa parte, insieme alla KOTE HINERI, delle “tecniche di polso” (TEKUBI WAZA). La caduta di UKE è laterale. Si può applicare a tutte le prese TE-HODOKI, ai fendenti ed agli attacchi di pugno. KOTE HINERI. – “Torsione del polso”; può essere verso l’interno o verso l’esterno. Terza tecnica di controllo con immobilizzazione (KATAME WAZA), effettuata sul polso. Insieme al KOTE GAESHI fa parte delle “tecniche di

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polso” (TEKUBI WAZA) e normalmente si applica contro prese ai polsi e gomiti e contro fendenti. [si veda SAN-KYO] KOTE MAWASHI. – “Torsione interna del polso”. Seconda tecnica di controllo con immobilizzazione (KATAME WAZA), effettuata sul polso. [si veda NIKYO] KO-TENGU. – “Piccoli TENGU”. Popolari esseri mitologici dell’antico Giappone, muniti di ali. [si veda TENGU] KO-TO. – “Spada antica”; “vecchia lama”. Il termine indica le spade forgiate anteriormente al 1530 (oppure al 1603, secondo fonti diverse), a partire dal 900 circa. KOTODAMA. – “Verbo sincero”. È la “scienza sacra dei suoni” cinese, ma di provenienza indiana, che il mo-naco buddista Kukai – il fondatore della setta esoterica SHINGON – importa in Giappone all’inizio del secolo IX. Alla base di questa scienza, che non poco influenza le tecniche di KIAI, c’è la teoria che la vibrazione acustica sia all’origine della vita. DEGUCHI ONISABURO, il co-fondatore della religione OMOTO-KYO, è un esperto di questa scienza, grazie all’istruzione ricevuta dalla nonna, iniziata dal padre, il maggior esperto del tempo. Anche UE-SHIBA MORIHEI diviene esperto di KOTODAMA, tanto che elabora il suo sistema nei termini propri di questa Disci-plina. KOTSU. – “Osso”. KO-UGI. – Pugnale di piccole dimensioni, normalmente celato nel fodero della NINJA-TO, la spada dei guerrieri NINJA, gli SHINOBI. KOWAMI. – È uno stile di JU-JUTSU particolarmente duro. Il suo ideatore, ICHIKAWA MONDAIYU, ha definito un metodo di combattimento basato sull’applicazione della forza fisica, con esercizi intensi e faticosi. KOYO GUNKAN. – Opera del secolo XVII – essenziale per conoscere quale deve essere lo spirito di un BU-SHI, in pace e in guerra – che, in 59 capitoli, descrive tutto quanto si riferisce alla vita dei SAMURAI. L’attribuzione e dubbia: autore può essere Obata Kagenori (1572-1662), erudito confuciano al servizio dello Shogun, oppure Kosaka Danjo Nobumasa, samurai al servizio del famoso DAIMYO TAKEDA SHINGEN. KOYUBI. – “Dito mignolo”. KOZANE. – Piastre che formano l’ODOSHI. KOZUKA o KOGATANA. – È un piccolo coltello, utilizzato principalmente, ma non solo, come coltello da lan-cio. Si porta normalmente inserito nel fodero di una spada o pugnale. Ha lama dritta, lunga da 12 a 25 cm e taglio singolo, senza TSUBA, ricavata da una KATAHA. Il lato d’acciaio duro è piatto e levigatissimo; quello d’acciaio morbido (o ferro) è lasciato ruvido, quasi grezzo e assottigliato verso il filo. L’impugnatura del KOZU-KA – che di solito è di metallo o lega metallica, ma può anche essere di corno, legno, osso, avorio – come ac-cessorio della spada, è seconda solo alla TSUBA, come importanza. Ornamenti, intarsi, incisioni, smalti, scritte possono arricchire la faccia anteriore dell’impugnatura, estendendosi talvolta a quella posteriore. Il KOZUKA è spesso inserito nella SAYA della KATANA, assieme al KOGAI oppure portato in una tasca laterale del fodero dell’AIKUCHI. Quando il coltello è chiamato KOGATANA, il vocabolo KOZUKA indica solo l’impugnatura. KRO. – “Nero”. KU o KYU. – “Nove” in sino-giapponese. In giapponese puro è KOKONOTSU, per contare le persone (NIN) si di-ce KYUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa KYUHON. KU. – “Vuoto” (in riferimento, soprattutto, alla filosofia ZEN).

– Variante fonetica di KO. [si veda] KUA. – “Vita”. KUATSU. – “Tecnica di vita”. “Tecnica di ritorno alla vita”. Metodo di rianimazione. KUATSU è contrazione fo-netica (secondo una trascrizione anglosassone) di due caratteri: KUA, “vita” e tsu, a sua volta riduzione di JU-TSU, “tecnica”. È parte – compreso nella metodologia KAPPO, secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige

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Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere; si veda “ Antiche arti da guerra”). Il KUATSU (per correttez-za e precisione, però, dovremmo sempre parlare di KAPPO) consiste di un insieme di procedimenti manuali – o, più in generale, non strumentali – messi in atto per rianimare soggetti in stato d’incoscienza, causata, normal-mente, da traumatismo o strangolamento. Percussioni, pressioni e massaggi sono eseguiti in zone che corri-spondono ai TSUBA dello shiatsu o dell’agopuntura. Si massaggia con la punta delle dita; si preme con il pal-mo della mano; si percuote con pugno, gomito, ginocchio, tallone. Le zone sollecitate dipendono dal tipo di trauma; quelle maggiormente stimolate sono: i dischi intervertebrali, i punti paravertebrali della colonna, la zo-na epigastrica, l’apofisi spinosa, la pianta del piede. L’effetto ottenuto può essere sedativo, stimolante o inibi-torio. Uno stesso principio d’azione può essere applicato al soggetto sdraiato (supino o bocconi) o seduto e si caratterizza secondo l’intensità ed il tipo di azione. La corretta applicazione dei KUATSU (che dovrebbe essere nota ad ogni Maestro d’Arti Marziali, se vero e completo) non può prescindere da una buona conoscenza di anatomia – sistema nervoso centrale e periferico, soprattutto – e d’elementi di Medicina Tradizionale Cinese, agopuntura o shiatsu. Le tecniche di rianimazione KUATSU – che si possono apprendere unicamente con un allenamento continuo – si dividono in: KUATSU ad azione elettiva: KUATSU con percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU);

KUATSU respiratori (HAI-KUATSU); KUATSU cardiaci (SHINZO-KUATSU).

KUATSU ad azione globale o KUATSU maggiori (SO-KUATSU). KUATSU particolari, per: traumi cranico-cervicali (AMON-KUATSU);

traumi pelvico-addominali (KIN-KUATSU); annegamenti.

Non possiamo dimenticare, infine, che i KUATSU sono applicabili non solo nei trattamenti di rianimazione, ma anche per il trattamento rapido del dolore (KUATSU antalgici). KUATSU-JIN-KEN. – “Ricondurre l’uomo alla Via della Spada”. È un antico adagio giapponese e si riferisce all’idea di ritornare alla vera essenza dell’uomo, eliminando tutto ciò che è inutile, sbagliato o cattivo. Per il Maestro UESHIBA MORIHEI, che adotta questa massima per la sua Arte Marziale, è da eliminare tutto quello che contrasta con il principio ed il concetto di AI: l’egoismo, l’odio, il “volere”; la spada richiamata non è la KATANA, ma quella “spada dello spirito” che deve armare la mano di chi persegue il bene. KUBI. – “Collo”. Nel collo ci sono alcuni KYUSHO, “punti sensibili” per gli ATEMI. KUBI SHIME. – “Strangolamento”. UKE afferra per strangolare. KUBOTAN. – Piccolo cilindro di metallo, utilizzato soprattutto dai NINJA, sia come “tirapugni” sia per tecniche di KOPPO. Portato appeso alla cintura, può essere cavo e contenere diverse FUKUMI-BARI (armi da lancio ad ago). KUCHI. – “Bocca”. KUDAKU. – “Rompere”, “spaccare”, “frantumare”. KUDAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 9° grado”. [si ve-da KYUDAN] KUDA-YARI. – “Guida-lancia”. È un corto cilindro di ferro che, posto sopra l’asta di una lancia ed impugnato con la mano sinistra, consente di guidare l’arma con precisione, equilibrandola. Per assicurare il KUDA-YARI al-la mano, si utilizza la cordicella kuda-no-utomo.

– Arma insidiosa. Una lancia è contenuta in una corta asta cava: la punta fuoriesce grazie ad un brusco movimento in avanti, come nell’occidentale BRANDISTOCCO. Per la tradizione, l’inventore di tale ar-ma è ancora il monaco HOZO-IN EI, di NARA, alla metà del XVI secolo. KUDEN. – “Trasmissione orale”. Insegnamento tipico delle antiche scuole. KUE. – “Zappa”. Anche questo attrezzo agricolo si può trasformare in arma, come dimostrato dai soliti conta-dini di Okinawa. Lo studio dell’uso di quest’arma non convenzionale rientra, naturalmente, nel KO-BUDO.

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KUGE o HONKE. – “Nobili di Corte”. Il termine indica le Famiglie aristocratiche affermatesi a partire dal Pe-riodo HEIAN (794-1156). Al tempo dello SHOGUNATO TOKUGAWA (1603-1868), le Famiglie Nobili rimaste – circa trecento, mantenute con modeste donazioni – in pratica sono prigioniere nel palazzo imperiale di KYOTO, come l’Imperatore e la loro attività è limitata al cerimoniale ed ai rituali. [Si veda anche BUKE] KUGYO. – “Nobile pubblico”, “di Corte”. KUJI-KIRI. – “Nove Simboli”. Sono mudra utilizzati dai monaci-guerrieri (YAMABUSHI), nel Buddismo esoterico (sette TENDAI e SHINGON) e nella pratica d’alcune scuole d’Arti Marziali, soprattutto di NINJUTSU. Secondo la tradizione, la corretta esecuzione di questi particolari mudra, unita alla recitazione di specifici MANTRA, assicura una forza fisica magica, se non l’invisibilità, addirittura. I KUJI-KIRI sono più efficaci se praticati durante la medi-tazione sotto una cascata (TAKI-SHUGYO). KUJIKU. – “Torcere”, “slogare”. KUJI-NO-IN. – ”Iscrizione delle Nove Lettere (o dei Nove Segni)”. Formula magica e pratica ascetica del Bud-dismo MIKKYO (setta esoterica SHINGON) nell’ambito dell’HEIHO (il “Metodo del Soldato”) che anche molti prati-canti d’Arti Marziali – come, ad esempio, i seguaci del KATORI SHINTO RYU – eseguono. Consiste nel ripetere la serie dei nove movimenti caratteristici delle mani (IN) – ciascuno dei quali ha un nome proprio (rin, pyo, to, sho, kai, jin, retsu, zai, zen) – concludendo il rito con un decimo movimento, segreto. Il tutto accompagnato dal canto di un appropriato MANTRA. KUJIRA-SHAKU. – Misura di lunghezza per i tessuti. Vale 1 SHAKU più ¼. KUJU DO. – “90 gradi”. KUKI-NAGE. – Particolare tecnica di proiezione, inventata da MIFUNE KYUZO, adatta a JUDOKA di piccola statu-ra. KUKI-SHIN RYU. – Scuola segreta degli YAMABUSHI delle montagne di Kumano. È un’Arte Marziale di com-battimento che usa molto il bastone ed è praticata anche dai NINJA. Pare che anche UESHIBA MORIHEI sia sta-to iniziato a quest’Arte, all’età di 42 anni. KUMADE. – “Palmo della mano, con le dita ripiegate attorno”.

– “Grappino d’abbordaggio”. È usato nelle battaglie navali, sia per l’abbordaggio vero e proprio sia per demolire barriere. Il ferro – munito di forte codolo e montato su asta lunga fino a 250 cm – si compone di una lama curva, ben rifinita, ed uno o due ganci. KUMAZASA-NO-OSHIE. – “L’insegnamento del piccolo bambù”. Serie di brevi storie, patrimonio della scuola KATORI SHINTO RYU, che si riferiscono ad un tipo di insegnamento implicito, impartito dal fondatore IIZASA CHOI-SAI IENAO, ai SAMURAI che si recano a trovarlo, con l’intento di sfidarlo per provarne l’abilità. A tutti gli sfidanti giunti nel suo DOJO, il Maestro propone di prendere un tè insieme, prima del confronto, e fa preparare due pic-cole sedie di fragile bambù, su una delle quali si accomoda tranquillo, nonostante il precario equilibrio. È il momento, questo, in cui lo sfidante si rende conto di trovarsi di fronte ad un essere superiore e rinuncia al con-fronto, diventando, magari, allievo di cotanto Maestro. KUMI. – “Afferrare”. KUMI-JO. – Sequenze preordinate di attacco/difesa, da eseguirsi in coppia, armati di JO. KUMI-TACHI o KUMI-KEN. – “Tecniche di coppia”. Sequenze preordinate di attacco/difesa, da eseguirsi in coppia, normalmente armati di spada (KEN, TACHI). In alcuni KUMI-TACHI elaborati da IIZASA CHOISAI IENAO per la sua scuola, la TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU, solo uno dei praticanti è armato di spada, mentre l’altro è fornito di arma diversa (lancia, bastone o altro) e l’intento è colpire uno dei punti deboli dell’armatura piuttosto che i KYUSHO. KUMI-TACHI è anche il nome dello stile di combattimento con la spada elaborato da CHIBA SHU-SAKU per la sua scuola, l’HOKUSHIN ITTO RYU.

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KUMITE. – “Combattimento”. KUMI TSUKI. – Serie di quattro prese alla cintura (MAE UTATE KUMI TSUKI, MAE SHITATE KUMI TSUKI, USHIRO UTATE KUMI TSUKI e USHIRO SHITATE KUMI TSUKI), cui corrispondono altrettanti tipi di difesa, che prevedono normalmen-te tecniche di ROFUSE. Fanno parte dei TE-HODOKI (“liberare le mani”). KUMI-UCHI o YAWARA. – “Lotta senz’armi” (da KUMI, “afferrare” e UCHI, “chi colpisce”). È praticata con in-dosso l’armatura, e serve per allenare i guerrieri a continuare il combattimento pur avendo perduto, o non po-tendo utilizzare, le proprie armi. Questo metodo di combattimento pare derivi – attraverso il SUMO – dall’antichissimo SUMAI. Si ritiene che dalle tecniche KUMI-UCHI – ben descritte in un’opera letteraria del secolo XIII, il Konjaku-monogatari – si sia poi sviluppato lo JU-JUTSU. Oggi, più semplicemente, il termine KUMI-UCHI indica una tecnica di presa alla giacca dell’avversario, all’inizio del combattimento. KUNI-YUZURI SUMO. – Leggendario combattimento per assicurarsi il dominio dello YAMATO, narrato nel KO-JIKI (“Memoria degli Antichi Fatti”), tra due KAMI (o, molto più probabilmente, due capi Clan): Takemikazuchi e Takemi-no-kata. Per la tradizione, è da questa lotta che nasce il SUMO. KURAI. – Termine che definisce chi, pur nello stato di “allerta permanente” (HONTAI), ha “spirito libero” (MUSO) e “mente vuota” (MUSHIN), sì che può dare l’impressione di “cedere” l’iniziativa all’avversario ed alla sua forza, per poi ritorcergliela contro. Si intende anche la forza della “non-resistenza”: ad un avversario che spinge o ti-ra, non si oppone una forza uguale e contraria, bensì lo si asseconda, tanto da indebolirne la spinta o la tra-zione. KURAMA RYU. – Antica scuola di Kendo, fondata verso il 1547. KURIGATA. – Aletta forata, sporgente dal lato interno del fodero (SAYA). A questa si fissa il cordoncino piatto di seta (SAGEO), che vincola il fodero della spada (escluso la TACHI) o pugnale alla cintura. KURIIRO. – “Marrone”. KURIMATA. – “Freccia biforcuta”. Cuspide (YANO-NE) di freccia a doppia punta. KURO. – “Giallo”. KURUMA. – “Circolare”; “ruota”. Indica una rotazione secondo il piano verticale. GURUMA, come suffisso. KUSANAGI. – Base del polpaccio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KUSARI. – “Catena”. GUSARI, come suffisso. KUSARI-GAMA o NAGE-GAMA. – In pratica è una KAMA-YARI collegata ad una palla di ferro per mezzo di una lunga catena, agganciata al tallone della lama. E’ un’arma caratteristica – nata dall’unione di una KAMA-YARI e di una catena – appartenente alla categoria delle mazze articolate, che si può usare sia nel combattimento sia nella difesa durante gli assedi. Negli scontri, ad esempio, la catena serve tanto a bloccare i fendenti quanto ad avvolgere la spada (per disarmare) o le gambe dell’avversario (per farlo cadere) mentre la palla di ferro può assestare micidiali botte e la lama è usata per colpire di punta o taglio. Negli assedi la KUSARI-GAMA può esse-re lanciata dall’alto e recuperata per mezzo della catena. I maggiori utilizzatori della KUSARI-GAMA, nel corso dei secoli, sono i NINJA e la polizia. Pare che il più abile utilizzatore di KUSARI-GAMA, in Periodo EDO (1603-1868), sia Yamada Shinryukan, ucciso dal Maestro ARAKI MATAEMON MINAMOTO-NO HIDETSUNA che, per scon-figgerlo, lo blocca in un boschetto di bambù: mancando lo spazio per far roteare la catena o per aggredire alle spalle, con la lama, l’avversario, Yamada Shinryukan non ha scampo. KUSARIGAMA-JUTSU. – Arte dell’uso di falcetto e palla di ferro, collegati con catena. È una delle antiche Discipline del KAKUTO BUGEI. Oggi solo pochi RYU, come ad esempio l’ARAKI RYU, praticano questa Disciplina. Negli allenamenti si usa un falcetto con lama di legno, la catena è sostituita da una corda e la palla di ferro è sostituita da una in gomma pesante.

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KUSAZURI. – Falda dell’armatura. Lamelle di cuoio laccato o metallo, collegate fra di loro – e raggruppate a formare sezioni più ampie, allargate verso il basso – sono appese alla corazza con cordoncini. Nella O-YOROI i KUSAZURI coprono la parte anteriore, quella posteriore ed i fianchi, due sezioni per ogni parte. Nelle armature posteriori le sezioni aumentano di numero (fino a nove), ma si restringono, costringendo all’uso dello HAIDATE. KUSEN. – “Insegnamento orale”. È quello impartito agli allievi dal Maestro Zen (ROSHI) durante la pratica della meditazione (ZAZEN). KUSHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU. È fondata a EDO da INUGAMI NAGAKATSU mentre suo figlio, INUGAMI GUBEI NAGAYASU, ne perfeziona le tecniche, simili a quelle del KITO RYU, nel 1720. KUSUNOKI. – Clan militare, che appoggia l’Imperatore GO-DAIGO e la sua discendenza nella sessantennale guerra civile – guerra Nambokucho, 1336-1392 – contro la Corte di KYOTO (Corte settentrionale) e gli SHOGUN ASHIKAGA. Il più famoso dei KUSUNOKI è Masashige, considerato la perfetta incarnazione dell’ideale SAMURAI. Egli, nel 1333, quando ancora il suo Clan è alleato degli ASHIKAGA e tutti combattono per GO-DAIGO contro i Reggenti HOJO, pur consapevole di non poter vincere una battaglia (quella di Minatogawa), vi s’impegna u-gualmente, sia per obbedire agli ordini ricevuti sia per fedeltà all’Imperatore. Sconfitto, mostrando un coraggio estremo ed un’esemplare spirito di dedizione, compie SEPPUKU. KUWAGATA. – Ornamento anteriore (cimiero) dell’elmo. In genere è fatto con sottile piastra metallica dorata o stecca di balena. Prevale la forma ad imitazione di corna, anche enormi, piuttosto che quella di foglie chiuse di piante acquatiche. KUZURE. – “Squilibrio”. Deriva da kuzureru, “cadere”. KUZUSHI. – “Squilibrare”; “rompere” (l’equilibrio dell’avversario). Viene da KUZUSU, “spezzare”. È importante, nel combattimento a corpo a corpo, riuscire a squilibrate l’avversario, per proiettarlo al suolo. Un buon BUDO-KA, dotato di quell’attitudine mentale definita come SEN o SEN-NO-SAKI [si veda], riesce a muoversi in modo tale da costringere l’avversario a rompere il proprio equilibrio, spostando l’HARA [qui inteso come baricentro del corpo], mettendosi nella posizione migliore per essere proiettato. Il movimento di TORI – che è opportuno sia nella condizione di KURAI – è frutto di un accorto TAI SABAKI. KUZUSU. – “Spezzare”. KWAIKEN o KAIKEN. – Corto, affilatissimo pugnale. Lo usano soprattutto le donne delle Famiglie Militari (BUKE e BUMON), che lo portano nascosto tra le pieghe del KIMONO. Lungo in genere 20-25 cm, senza TSUBA, ha lama leggermente curva, ad uno o due FILI, con TSUKA e SAYA di legno laccato, semplici, e fornimenti di cor-no o argento. È utilizzato per difesa personale o, in particolari circostanze, per il suicidio rituale, mediante ta-glio della carotide (arteria del collo). KWAPPO. – Si veda KAPPO. KYO. – “Principio”; “gruppo di movimenti”. Ci sono cinque KYO principali (dal primo al quinto): IKKYO (o UDE OSAE), NIKYO (o KOTE MAWASHI), SANKYO (o KOTE HINERI), YONKYO (o TEKUBI OSAE), GOKYO (o UDE HISHIGI).

– “Mascella”. KYOEI. – Zona tra la 5^ e la 6^ costola. Punto sulla linea ascellare anteriore. KYUSHO, “punto vitale” o “debo-le” per gli ATEMI. KYO-JUTSU. – “Menzogna e verità”. Indica un inganno, una finta, un movimento di schivata e contrattacco immediato. È concetto utilizzato, soprattutto, in KENDO, KEN-JUTSU e KARATE. KYOKAKU. – “Uomo virile”, “uomo coraggioso”. Si veda OTOKODATE. KYOKUSHINKAI-KAN. – Stile di KARATE (abbreviato in K.K.K.), ideato da MASUTATSU OYAMA nel 1955. Va-riante dello stile GOJU RYU, è molto duro ed altrettanto efficace, basato com’è su forza fisica, tecniche velocis-sime – e pericolose! – e posizioni naturali, il tutto amalgamato dallo spirito ZEN. Caratteristiche del KYOKU-

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SHINKAI-KAN, come già dello stile GOJU RYU, sono la respirazione enfatizzata (IBUKI, NOGARE) e gli esercizi re-spiratori (YOI-IBUKI). KYOSEN. – “Apofisi xifoide sternale”. “Plesso solare”. Punto sporgente dello sterno. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KYOSHI. – “Istruttore”. Nell’antico sistema di classificazione del BUGEI, si ottiene la qualifica di KYOSHI solo con il grado minimo di 7° DAN e si rimane tale anche nell’8°. La qualifica corrisponde, altresì, al raggiungimen-to di un livello di perfezione interiore. In alcune scuole, KYOSHI è la cintura nera 6° DAN. [si veda KYUDAN] KYOSHI-NO-KAMAE. – Posizione inginocchiata. KYOSHIN MEICHI RYU. – Scuola di Arti Marziali cui appartiene MOMONO-I SHUNZO. KYOTETSU-KOGE o KYOGETSU-KOGE o KYOTETSU-SHOGE. – Tipica arma da NINJA. È un pugnale a due lame, una dritta ed una curva; all’impugnatura è fissata una lunga corda, con un disco di ferro all’altra e-stremità. Il KYOTETSU-KOGE serve come arma bianca o da lancio e può fungere da rampino, per scalare muri. La corda, inoltre, lanciata col disco che funziona da contrappeso, può servire per far cadere un avversario ed è utilizzata per legarlo. KYOTO. – Capitale del Giappone dal 794 al 1868. KYOTOTSU. – “Sterno”. Punto della parte inferiore dello sterno. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli A-TEMI. Pure CHUDAN. KYU. – “Classe”.

– “Grado” o “livello inferiore” delle Arti Marziali. Ne esistono da 6 a 10, secondo Arte Marziale e scuola. Il KYU, fino al raggiungimento della cintura nera, può essere attribuito per esame, come accade normalmente, od a giudizio del Maestro. Di solito, è il colore della cintura che indica il livello di pratica dell’allievo; in Giappo-ne, a differenza di quanto accade fuori del Paese, i colori sono solo due: bianco dal 6° al 4° KYU e marrone dal 3°al 1° [si veda KYUDAN]. Nell’AIKIDO, la cintura è di color bianco per i KYU dal 6° al 2° e marrone per il 1° in Giappone, mentre altrove si segue la regola giapponese piuttosto che quella dello JUDO (un colore diverso per ogni grado), oppure tutti indossano la cintura bianca. I praticanti con solo i gradi KYU sono detti MUDANSHA (senza DAN).

– “Arco”. – “Veloce”, “rapido”.

KYU o KU. – “Nove” in sino-giapponese. In giapponese puro è KOKONOTSU, per contare le persone (NIN) si di-ce KYUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa KYUHON. KYUBA. – Arte Marziale. Comprende sia il tiro con l’arco (KYU) sia l’equitazione (BA). Il metodo d’allenamento tipico di quest’Arte è lo YABUSAME, ancora oggi popolare e praticato a KAMAKURA. KYUBA-NO-MICHI. – “Via dell’arco e del cavallo”. Deriva da KYU, “arco”, BA, “cavallo” e MICHI, “cammino”. È un codice di comportamento, non scritto, che risale al secolo XIII, antesignano del BUSHIDO. KYUDAN. – È l’insieme dei gradi, inferiori e superiori (KYU e DAN), attribuiti nelle Arti Marziali. È un sistema di graduazione – adottato da tutte le Discipline del BUDO moderno e derivato dal BUJUTSU e dal BUDO classico – per indicare il livello tecnico raggiunto; un diploma (GAKU), spesso, ufficializza l’attribuzione del grado. La pro-gressione della conoscenza, unita all’evoluzione dell’abilità, è il fattore decisivo per il riconoscimento del gra-do. Nei tempi antichi – ed ancora oggi, nel BUJUTSU e nel BUDO classici – il sistema d’insegnamento, con la trasmissione della conoscenza di tecniche segrete (o dei segreti dell’Arte Marziale, che dir si voglia) condizio-na l’attribuzione dei gradi, fatta ad insindacabile giudizio del Maestro. Questa l’antica classificazione BUJUTSU: SHODEN: è la trasmissione iniziale; quello che serve per cominciare. CHUDEN: è la trasmissione mediana; la metà del cammino è compiuta. OKUDEN: è la trasmissione profonda; gli insegnamenti esoterici (HI-GI).

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MENKYO KAIDEN: certificato e titolo; chi lo riceve ha appreso tutti i segreti; può succedere al Maestro o fon-dare un HA del RYU. MOKUROKU, INKA. Certificato di trasmissione.

Normalmente, nel BUDO, si considerano i gradi inferiori (KYU, da 6 a 10, secondo Arte Marziale e scuola) come fasi dell’apprendimento e quelli superiori (DAN, da 5 a 12, secondo Arte Marziale e scuola) come livelli di prati-ca e perfezionamento. Le tabelle che seguono sintetizzano il “sistema” KYUDAN – in ordine crescente di livello – ed anche il “valore” convenzionale espresso dal grado, con l’ovvia notazione che, come anche per altri casi, le diverse Discipline e le differenti scuole possono attribuire nomi, livelli e qualifiche in modo difforme.

categoria grado cintura titolo Qualifica KYU 6° bianca ROKKYU Studente di 6^ classe

5° gialla GOKYU Studente di 5^ classe 4° arancione SHIKYU o YONKYU Studente di 4^ classe 3° verde SANKYU Studente di 3^ classe 2° blu NIKYU Studente di 2^ classe 1° marrone IKKYU Studente di 1^ classe

DAN 1° SHODAN; SHO-MOKUROKU C. n. 1° grado 2° NIDAN; JO-MOKUROKU C. n. 2° grado 3° SANDAN; HON-MOKUROKU C. n. 3° grado

Discepolo

4° JODAN; HON-MOKUROKU; SHIHAN C. n. 4° grado 5° GODAN o MENKYO o tasshi C. n. 5° grado 6° ROKUDAN o MENKYO C. n. 6° grado

Assistente Istruttore (RENSHI)

7° SHICHIDAN C. n. 7° grado 8° HACHIDAN C. n. 8° grado

Istruttore (KYOSHI)

9° KUDAN C. n. 9° grado 10°

nera

JUDAN C. n. 10° grado Maestro (HANSHI)

grado qualifica titolo grado qualifica Titolo 1° dan Studente SEN 5° DAN KOKORO; HANSHI 2° dan Discepolo GO NO SEN 6° DAN

Esperto d’alto grado KOKORO; HANSHI

7° DAN IKO-KOKORO 3° dan Discepolo confermato o Allievo e-sperto 8° DAN

Esperto spe-cializzato IKO-KOKORO

4° dan Esperto SEN-NO-SEN

9° e 10° DAN Maestro IKO-KOKORO

Il titolo onorifico di HANSHI è dato agli “esperti” IKO-KOKORO, che hanno raggiunto il perfetto controllo dello spiri-to; quello di KYOSHI agli Istruttori esperti (6° e 7° DAN), con un alto livello di perfezione interiore. È chiamato RENSHI (5° DAN) chi ha raggiunto l’autocontrollo, unito alla perfetta conoscenza delle tecniche. Un altro “metro” di classificazione, che inserisce fattori, simboli ed elementi legati alla mistica filosofica orienta-le, è questo:

grado Dan la Pratica i Simboli il Sentire

SHO-MOKUROKU 1

blocca gli attacchi e crea opposizione prima di rea-lizzare una tecnica; azioni scomposte, angolari; lavo-ro muscolare

terra – quadrato

OMOTE e URA come tec-nica; volontà di “fare” (ego)

JO-MOKUROKU 2

realizza spostamenti circolari: può assorbire, indiriz-zare, guidare le energie sul cerchio del suo mondo e neutralizzare l’attacco

acqua – cerchio

tecnica, più negativo e positivo in forma circo-lare; c’è ancora l’ego

HON-MOKUROKU 3 – 4

amplifica l’azione nello spazio-tempo, senza stagna-zione; non si lascia agganciare da violenza e ag-gressività dell’attacco

fuoco – triangolo

tecnica, cerchio, mente libera: lascia l’ego, per-cepisce il fluire del KI

MENKYO 5 – 6 inizia a muoversi in coordinazione con gli attacchi, per rapidi e improvvisi che siano; l’intuizione guida a neutralizzare il pensiero aggressivo dell’avversario

aria – vento

unione come amore; controllo dei propri sen-si; ritmo e armonia

KAIDEN 7 – 8 non esiste dualità fra attacco e difesa, non hanno si- etere – non c’è dualità, realizza

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– 9 gnificato; agisce e vive spontaneamente nel presen-te; realizza il non-attaccamento

spazio – vuoto

l’unità con l’universo

KYUDO. – “La Via dell’Arco”. È l’Arte del tiro con l’arco tradizionale e deriva dal KYU-JUTSU. Si sviluppa (dal secolo XVI) quando la precisione nel tiro assume un’importanza relativa, poiché l’arco è dapprima affiancato e quindi, in pratica, soppiantato, dalle armi da fuoco – nonostante il venerato YUMI rimanga in dotazione alle truppe imperiali fino al 1868. Nell’allenamento di questa “via”, in luogo della precisione, assumono grande im-portanza l’armonica gestualità, la ritualità, la padronanza di una mente serena sul corpo, l’equilibrio psico-fisico, il valore spirituale di un pensiero elevato. Numerosissimi sono i DOJO, in Giappone ed in altri Paesi, do-ve si perpetua l’insegnamento dei Maestri, antichi (come MORIKAWA KOZAN) e moderni (tra tanti: AWA KENZO ed il suo discepolo ANZAWA HEIJIRO). Il praticante di KYUDO (KYUDOKA) indossa, come KEIKOGI, un KIMONO – di tipo particolare durante alcune cerimonie, nelle quali porta anche un EBOSHI – ed un’HAKAMA; è prevista la solita suddivisione in KYU e DAN (10) dei gradi. Negli allenamenti – quello fisico ha lo stesso nome della Disciplina, KYUDO, mentre quello di tipo spirituale si chiama SHADO – si usano bersagli particolari (MAKIWARA), posti a 2-3 metri; nelle gare la distanza dai bersagli arriva a 60 metri. Sono sette le posizioni-azioni di base (yugamae) che formano la sequenza di tiro: ashibumi, dozukuri, uchi-okoshi (o kikitori), hikiwake, kai (o jiman), hanare e zanshin (o daisan). Si deve all’opera di MORIKAWA KOZAN, della YAMATO RYU, la codificazione (1644) dello studio di questa Disciplina, che da allora comprende sei parti: kyu-ri (“logica dell’arco”), kyu-rei (“etichetta”), kyu-ho (“tecnica“), kyu-ko (“impugnatura”), kyu-ki (“analisi meccanica”) e, per finire, she-mei (“le quattro virtù dello sviluppo dello spirito dell’arco”). KYUDOKA. – “Chi pratica il KYUDO”. KYUHON. – “Nove”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è KU o KYU, in giap-ponese puro si dice KOKONOTSU, per le persone (NIN) s’usa KYUNIN. KYU-JUTSU. – “Arte del tiro con l’Arco da guerra”; “tecnica dell’arco da guerra”. È una delle Arti Marziali più antiche, come antichissimo è l’uso, in caccia e in guerra, di questo strumento ed anche lo “status” sociale di chi l’arco lo usa. L’arciere, ITE, chiamato anche YUMI-TORI, “colui che impugna l’arco”, da sempre è un guerrie-ro di rango, tanto è vero che, per il BUSHI, “guerra” (BU) e “arco e frecce” (yumi-ya), sono sinonimi; anche il primo codice di comportamento dei guerrieri, il KYUBA-NO-MICHI, “Via dell’arco e del cavallo”, fa riferimento a quest’arma. Il KYU-JUTSU fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere) e, per importanza, è la prima di quelle comprese dal KAKUTO BUGEI. L’allenamento quotidia-no in quest’arte deve far acquisire all’arciere non solo la precisione nel tiro (e 1.000 tiri al giorno sono il minimo previsto), ma anche la corretta postura in battaglia. Anche se non mancano esemplari di foggia cinese, l’arco tradizionale, YUMI [si veda], a struttura mista, ha la caratteristica foggia asimmetrica, molto utile per tirare con un ginocchio poggiato a terra (è solo dal secolo XII che gli arcieri scoccano cavalcando) ed è lungo da 180 a 240 cm, per uno spessore di circa 5 cm. Enorme è l’assortimento di cuspidi, YANO-NE [si veda] che possono essere montate sulle frecce (YA): dalle più semplici a vere e proprie opere d’arte, ce ne sono per tutti gli usi, per tutti i gusti e per tutte le tasche. È soprattutto dal secolo XIV che nascono numerose scuole dove l’uso dell’arco tradizionale è codificato ed insegnato, anche se già dal secolo X il tiro con l’arco da cavallo è pratica-to come divertimento o allenamento sportivo, in manifestazioni (INU OI-MONO, YABUSAME, KASA-GAKE, TOKASA-GAKE, ad esempio) di carattere anche sacro o religioso, talvolta giunte sino ai nostri giorni. Dopo l’introduzione delle armi da fuoco (1543) e la loro diffusione, soprattutto nei contingenti di contadini-soldati e SAMURAI di bas-so rango, la precisione nel tiro con l’arco perde relativamente d’importanza ed il KYU-JUTSU si trasforma in KYUDO. Il KYU-JUTSU insegnato nell’OGASAWARA RYU appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). [si veda anche “ Antiche arti da guerra”] KYUNIN. – “Nove”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è KU o KYU, in giapponese puro si dice KOKONOTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa KYUHON. KYUSHAKU-BO. – “Bastone lungo”. Indica il bastone lungo 280 cm (per la precisione 9 SHAKU: 272,72 cm). KYU SHIN KYU. – “Dirigere lo spirito”. Questa pratica, comune ad Arti Marziali e ZEN, insegna a penetrare i fenomeni, gli elementi, senza risparmio d’energia e con creatività, per raggiungere l’obiettivo. È necessario

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concentrarsi unicamente sul “qui” e sull’”ora”, tanto quando si pratica un’Arte Marziale quanto vivendo la vita quotidiana: donandosi completamente [già l’Imperatore romano Marco Aurelio Antonino (121-180), studioso di retorica e filosofia, ammiratore e conoscitore della cultura greca, sostiene: «Compi ogni azione della tua vita come se fosse l’ultima»]. Nel combattimento non si può vincere se si risparmia energia e non si è creativi: per sopravvivere, non si può dipendere dalle tecniche. KYUSHO. – “Punti vitali”, “punti deboli”. Sono i numerosi punti vulnerabili, distribuiti su tutta la superficie del corpo umano, che ogni praticante esperto d’Arti o Discipline Marziali deve (dovrebbe?) ben conoscere. Sono appunto i KYUSHO il bersaglio (MATO) delle ATEMI WAZA che, con la loro percussione, possono causare moltepli-ci effetti, dalla paralisi da dolore al trauma più o meno grave, dalla perdita di conoscenza alla morte. Non ogni KYUSHO, se colpito, provocano effetti devastanti quali paralisi o morte, così come non tutti gli ATEMI sono morta-li, naturalmente: dipende dall’energia impiegata. Scopo degli ATEMI, in ogni caso, è mettere l’avversario fuori combattimento. La tabella che segue riepiloga, in ordine di posizione, solo alcuni dei KYUSHO principali ed i lo-ro possibili effetti. [si veda anche la voce “corpo”, nella seconda parte del Dizionario]

Punti che, se colpiti, possono provocare perdita di conoscenza, lesioni permanenti o morte. KYUSHO della testa e loro possibile effetto

1 TENDO - fontanella anteriore, bregma - frattura cranica; svenimento; morte 2 TENTO - fontanella posteriore - frattura cranica; svenimento; morte 3 CHUTO, UTO - radice del naso - lesione cerebrale; morte 4 GANSEI - globo oculare - forte dolore; svenimento 5 SEIDON - zigomi, orbite oculari - perdita d’equilibrio; cecità (transitoria o meno) 6 JINCHU - base del naso - frattura; svenimento 7 GEKON - mento - forte dolore; svenimento 8 KACHIKAKE - punta del mento - svenimento 9 KASUMI - tempie - lesione cerebrale; morte

10 MIMI - orecchie - forte dolore; lesione timpano; svenimento

11 DOKKO - apofisi mastoidea - morte 12 MIKAZUKI - mascella - svenimento 13 MURASAME,

MATSUKAZE - carotidi - svenimento

14 HICHU - trachea, pomo Adamo - svenimento 15 KOCHU - base del cranio - morte 16 KEICHU - nuca - frattura; svenimento

KYUSHO della parte anteriore e loro possibile effetto 1 SONU - base del collo, tra clavicole - morte 2 TANCHU - parte sup. dello sterno - lesione cardiaca; svenimento; morte 3 KYOTOTSU - parte inf. dello sterno - lesione cardiaca; svenimento; morte 4 KYOSEN - apofisi xifoide sternale - paralisi sistema nervoso; svenimento; morte 5 GANKA - pettorali, tra 4^ e 5^ costola - arresto respiratorio; svenimento; morte 6 KYOEI - tra 5^ e 6^ costola - arresto respiratorio; svenimento (a dx.); morte (a sx.) 7 GANCHU - plesso cardiaco - svenimento 8 DENKO, INAZUMA - fianchi, costole fluttuanti - arresto respiratorio; svenimento; morte 9 SUIGETSU - bocca dello stomaco - blocco respiratorio; svenimento

11 MYOJO - ombelico - svenimento 12 YAKO - spina pubica - svenimento 13 KINTEKI, TSURIGANE - testicoli - svenimento; morte 14 HIZA-KANSETSU - rotula - svenimento 15 KOKOTSU - parte interna della tibia - svenimento 16 UCHI-KUROBUSHI - caviglia, malleolo interno - svenimento 17 KORI - collo del piede - svenimento 18 SO-IN - tubercolo del 5° metatarso - svenimento

KYUSHO della parte posteriore e loro possibile effetto 1 SODA - base delle scapole - arresto respiratorio; svenimento; morte

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2 KATSUSATSU - tra le scapole - svenimento 3 HIZO - reni - choc nervoso; svenimento; morte 4 KODENKO - base della colonna - svenimento 5 BITEI - coccige - lesione midollo spinale; paralisi; morte 6 KO-INAZUMA - sotto i glutei - paralisi transitoria della gamba; svenimento 7 SHITSU-KANSETSU - cavità poplitea - paralisi transitoria della gamba; svenimento 8 SOBI - base del tricipite - svenimento 9 AKIRESUKEN - tendine d’Achille - svenimento

Punti che, se colpiti, provocano dolore, anche paralizzante, ma non danni permanenti. È da ricordare che ogni muscolo di braccia e gambe, se percosso con sufficiente energia, si contrae spasmodicamente, provo-cando forte dolore e temporanea paralisi dell’arto. In particolare, si considerano i seguenti

KYUSHO del braccio 1 WANJU - interno del braccio, verso l’ascella 2 CHUKITSU - articolazione interna del gomito 3 SANTCHI - parte sup. esterna dell’avambraccio 4 SHAKUTAKU - parte sup. esterna del polso

5 USHIRO-SHAKUTAKU - parte sup. interna del polso

6 SHUKO - palmo mano, a sx tendine del 2° radia-le

7 KAIAKU - palmo mano, sul 1° interosseo palmare

KYUSHO della gamba 1 FUKUTO - parte superiore esterna della coscia 2 YAKO - parte superiore interna della coscia 3 KEIKO - tibia

4 KUSANAGI - base del polpaccio 5 NAIKE - caviglia

- L -

- M - MA. – “Spazio” (l’ideogramma significa, concettualmente, “attraverso qualcosa”); “distanza”. “Ritmo”. Tutte le Arti Marziali, non solo quelle orientali, abbinano al concetto di “distanza” – che separa dall’avversario – anche la nozione di “tempo” – necessario ad esprimere una tecnica. Tipica della mentalità orientale, invece, è la concezione del principio di interazione ed integrazione di tutte le cose con la natura e con l’Universo, che porta ad un concetto di “spazio-tempo” (caratteristico, inimitabile e non delimitato) fra due momenti, due oggetti, due spazi. Consideriamo, inoltre, che è tipico d’ogni essere umano concepire come “vitale” lo spazio attorno a sé e qualunque intrusione in questo “spazio vitale” è percepita come azione aggressiva. È immutabile il concetto di una sorta di sfera – privata e virtuale e impenetrabile – della quale noi siamo il centro; quello che cambia, naturalmente, è il raggio di quest’area. Sono i tempi, i luoghi e le circostanze che modificano la distanza alla quale percepiamo come ostile la presenza degli altri. Pensiamo, ad esempio, alla ressa sui mezzi di trasporto, nell’ora di punta o alla calca durante spettacoli e manifestazioni: nessuno accetterebbe, in condizioni diverse, una vicinanza così pressante di persone estranee, potenzialmente pericolose. In rapporto al centro di questa sfera – il nostro TANDEN – si possono valutare e classificare i punti dello spazio come segue (in ordine logico).

destra: MIGI sinistra: HIDARI davanti: MAE

dietro: USHIRO laterale: YOKO, hen

lato superiore: JOSEKI lato inferiore: SHIMOSEKI

grande: O, oki piccolo: KO, SHO

livello: DAN

alto: JO medio: CHU basso: GE, shimo

interno: UCHI esterno: SOTO

diritto, diretto: IRIMI circolare: TENKAN di fronte: OMOTE

opposto, contrario: URA angolo: SUMI

fluttuante: UKI sopra: OMOTE, KAMI sotto: SHITA, URA piatto: HIRA

obliquo: NANAME uncino, interno: KOMI

a gancio: KAGI, KAKE circolare: KURUMA

semicircolare: MAWASHI lontano: TO

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MA-AI. – La “distanza (MA) che unisce (AI)”. La “giusta distanza” dall’avversario. La distanza corretta tra due avversari disarmati – 2-3 passi: le mani, a braccia distese, si sfiorano – è detta JUBAN-NO-MA-AI. TO-MA è una distanza troppo ampia. CHIKA-MA (distanza di un passo) è quella troppo corta. NISSOKU-ITTO-NO-MA-AI è la “distanza ideale” tra due avversari armati di spada: 4-5 passi circa, le punte delle spade distano una deci-na di centimetri. [si vedano anche “ Considerazioni sul KI”] MABEZASHI. – È un termine generico che indica la visiera dell’elmo in genere (KABUTO). MABUNI KENWA. – (1889-1952) Maestro d’Arti Marziali. Vissuto ad OKINAWA al tempo di FUNAKOSHI GI-CHIN, a 13 anni inizia a studiare OKINAWA-TE sotto il Maestro ITOSU YASUTSUNE ANKO, della scuola SHURI-TE, passando a 20 anni con HIGAONNA KANRYO, della scuola Naha-te. MABUNI KENWA, nel 1928, concepisce lo stile SHITO RYU e nel 1929 si trasferisce ad Osaka, dove apre un DOJO per insegnare il suo metodo. Nel 1937, quando è secondo caposcuola dello stile ITOSU RYU, cerca di unificare il suo stile con il Tomari-te, ra-zionalizzando e sistematizzando i rispettivi metodi d’allenamento. MACHI. – “Associazioni urbane”. Si tratta dell’unione volontaria di centri abitati vicini o quartieri della stessa città o, addirittura, più abitazioni del medesimo rione. È lo spirito di comunità, che caratterizza la zona di KYOTO all’inizio del XV secolo, a favorire la formazione delle associazioni MACHI. Quelli che vivono in un MA-CHI, si comportano come se facessero parte di un’unica comunità ai fini della prevenzione dei crimini, del soccorso reciproco, della difesa contro gli incendi (frequentissimi, in città fatte di legno). Dalla metà del se-colo XV, inoltre, ai compiti precedenti si aggiunge la formazione di milizie per la difesa delle città contro scor-rerie e saccheggi operati dagli IKKI. MACHI-DOJO. – DOJO privato, dove si pratica il BUDO. MADE. – “Fino a”. MAE. – “Davanti”; “in avanti”; “frontale”. MAE-GERI. – “Calcio diritto, frontale”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. MAE KAMI DORI. – “Presa per i capelli, frontale”. MAE RYO TE ERI SHIME AGE. – “Quarta presa al bavero”. UkE afferra, con entrambe le mani, il bavero di TORI, per strangolarlo. L’azione difensiva di TORI normalmente comprende lo sbilanciamento di UKE attraver-so un abbassamento del busto, con rotazione. MAE RYO TE KATA SODE DORI. – “Terza presa alle maniche”. UkE afferra, con entrambe le mani, le ma-niche di TORI. L’azione difensiva di TORI normalmente porta allo sbilanciamento di UKE attraverso un ampio movimento rotatorio delle braccia, unito ad un TENKAN. MAE RYO TE DORI. – “Quinta presa di polso (o di braccio)”. Presa ad entrambi i polsi, frontale. [si veda RYO TE DORI] MAE SHITATE KUMI TSUKI. – “Seconda presa alla cintura”. L’azione difensiva di TORI prevede, normal-mente, una tecnica di lussazione o chiave articolare (ROFUSE). MAE TATE MITSU. – “Perizoma” (FUNDOSHI) di seta, aderente, annodato sotto la cintura (MAWASHI) dei SU-MOTORI. MAE UKEMI. – “Caduta in avanti”. MAE UTATE KUMI TSUKI. – “Prima presa alla cintura”. L’azione difensiva di TORI prevede, normalmente, una tecnica di lussazione o chiave articolare (ROFUSE). MAE WAZA. – “Tecniche su attacchi frontali”. MAGARI-YARI o JITE. – Arma in asta. Forma di spiedo, tridente. Il ferro ha i due rebbi, due lame laterali che sporgono a croce e l’arma, pertanto, è chiamata anche JUMON-JI-YARI, assomigliando al carattere che, in

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giapponese, esprime il numero “10”, una croce appunto. Le prime citazioni di quest’arma risalgono al secolo VIII e, sicuramente, la utilizzano i combattenti a cavallo del Periodo MOMOYAMA (1573-1603), mentre in se-guito si trasforma in oggetto da parata, da cerimonia: con il fodero decorato dal MON del Clan, precede in corteo il DAIMYO. Numerosissime sono le varianti dell’arma, ottenute cambiando le dimensioni del ferro (lun-go anche meno di 10 cm, ma sempre dotato di lungo codolo inserito nel manico) e/o dell’asta (varia da 210 a 270 centimetri). Varia anche posizione e forma delle lame, con quella centrale che può essere molto allun-gata o con triplice sguscio ed i rebbi laterali diritti, arcuati o asimmetrici. La MAGARI-YARI è tra le armi in dota-zione ai guerrieri a piedi (ASHIGARU, ZUSA), i quali imparano tecniche (Jite-jutsu) e maneggio di questa lancia utilizzando un JITE di legno. L’allenamento è simile a quello con il bastone lungo (BO) ed oggi rientra nel NA-GINATA-JUTSU, poiché lo Jite-jutsu non è quasi più praticato. MAI. – “Piastra”, “piastre”, metalliche [si veda GOMAI-KABUTO]. MAIDATE. – È termine generico, che indica qualsiasi ornamento (cimiero) portato sul davanti dell’elmo. Fat-to di legno laccato o dorato, di stecche di balena o metallo, normalmente il MAIDATE ha forma di creatura mi-tica, insetto o animale e dovrebbe anche rappresentare il carattere di chi lo indossa. Il nome particolare in-dica dove il MAIDATE trova posto, sull’elmo: kashira-date (sulla sommità), ushiro-date (dietro), waki-date (due, uno per lato). MA-ITTA. – “Mi arrendo”. Dichiarazione di resa durante gli incontri delle Arti Marziali da combattimento. MAKE o MAKETA. – “Sconfitta”, relativamente agli incontri delle Arti Marziali da combattimento. MAKE-KATA. – Chi ha subito una sconfitta (MAKE) durante un incontro delle Arti Marziali da combattimento. MAKI. – “Avviluppato”, “avvolto”. MAKIKOMU. – “Avvolgere”. MAKI-KOTE. – “Cambiamento”. MAKIMONO. – È il “registro delle tecniche” di un RYU classico. Rappresenta non solo la tradizione della scuola (documentando sia i metodi di combattimento tipici, sia le credenze e la storia del RYU), ma anche il suo tesoro, perché riflette l’ispirazione (spesso affermata divina) che ne è all’origine. In principio, nessun MAKIMONO può uscire dal RYU (il loro studio è riservato ai soli adepti) ed anche in tempi recenti è molto diffici-le consultare tali registri, quelli rimasti, almeno. Infatti, oltre a tutti i testi andati perduti – perché dispersi o bruciati all’estinzione della famiglia dell’ultimo Maestro – i MAKIMONO rimasti, se disponibili, sono difficilmente decifrabili: i simboli incomprensibili, i diagrammi, il linguaggio criptico consentono l’interpretazione solo a chi è discepolo del RYU e possiede la conoscenza e l’esperienza necessarie.

– È il “diploma” o “certificato” rilasciato dal Maestro di un RYU agli allievi, secondo l’antico me-todo di graduazione del BUGEI. [si veda MENKYO] MAKINO TORU. – Maestro di spada, appartenente allo HOKUSHIN ITTO RYU, scuola di KEN-JUTSU. È ricorda-to per un’opera scritta verso il 1930, il KENDO SHUGYO NO SHIORI (“Allenamento al Kendo”), in cui si sofferma sullo stato di SEISHI-O CHOETSU, sottolinea l’importanza di adempiere ai doveri di lealtà e predica il rispetto delle virtù filiali. MAKI-OTOSU. – Controllo del braccio di UKE, quando questi è finito a terra. MAKIWARA. – “Bersaglio”. Nel KARATE consiste di una tavola di legno, elastica, rivestita di paglia o gomma, infissa nel terreno o fissata al muro. Nel KYUDO è un cilindro di paglia di riso compressa, profondo circa 100 cm e con un diametro di 60. Il MAKIWARA è montato su di un supporto, a 150 cm dal suolo, e serve unica-mente ad affinare la tecnica di tiro, poiché l’arciere si posiziona a 2-3 metri di distanza. MAKKI. – “Parata”. MAKOTO. – “La sincerità totale”. Uno dei sette punti del BUSHIDO [si veda]. Questo sentimento di assoluta franchezza non può prescindere da uno spirito puro, magnanimo e, riguardando tanto la purezza fisica

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quanto quella morale, è tipico dell’etica giapponese e di ogni praticante di Arti Marziali. Il MAKOTO ha il suo simbolo nel fiore di ciliegio (SAKURA: caducità di tutte le cose) e nella neve (assoluta purezza) ed è rappre-sentato dal pino (SHO). MAKURA. – “Cuscinetto di legno”, talvolta imbottito leggermente. È usato per riposare, appoggiandovi la nuca, senza rovinare l’acconciatura dei capelli. MAMORI-GATANA. – “Spada da difesa”, “spada di protezione”. È la spada che portano i figli dei BUSHI, modello in scala della KATANA paterna, più segno d’appartenenza ad una casta che arma vera e propria. MANABU. – “Imparare copiando”. È il tipico apprendistato di tipo pragmatico: l’allievo apprende imitando le tecniche del Maestro, praticando, applicando. Quello che davvero importa è l’efficacia delle tecniche, senza eccessiva preoccupazione per i concetti che, sottaciuti, diventano palesi solo in un secondo tempo. MANDKORO. – È l’ufficio di amministrazione generale del BAKUFU. Unitamente al SAMURAI DOKORO (quartie-re generale militare e di polizia) ed al MONCHUJO (l’ufficio legale), costituisce la snella e semplice struttura or-ganizzativa iniziale dello SHOGUNATO. MANIWA-NEN RYU. – Scuola di Arti Marziali risalente al secolo XVI. È ancora oggi operante, dopo la radi-cale trasformazione “etica” del secolo XVII: le discipline insegnate (JU-JUTSU, KEN-JUTSU, KUSARIGAMA-JUTSU, tra le altre, ed ogni forma di BUDO con le armi) “sono Arti di combattimento pacifico”, perché “preservano la Via anziché imboccarla”. Una tipica forma di allenamento con la spada, tuttora praticata, consiste nel devia-re con la KATANA le frecce scagliate contro lo spadaccino. MANRIKI-GUSARI. – “Catena dei 10.000 poteri”. È una catena di ferro, con due pesi alle estremità e con una lunghezza variabile dai 70 cm ai 4 metri. Quest’arma, che può facilmente essere nascosta negli abiti, ha molteplici usi: può bloccare eventuali assalitori, legando loro le braccia; impedisce l’uso delle armi (tenuta tra le mani, può fermare le lame); immobilizza un uomo in fuga, usata come le bolas. Pare che sia MASAKI TOSHIMITSU DANNOSHIN, nel secolo XVII, a servirsi per primo di quest’arma, per fermare briganti o RONIN sen-za ucciderli. È, anche, attrezzo usato dai NINJA. MAN’YOSHU. – “Raccolta delle Innumerevoli Foglie”. Antologia di poesie che risale al secolo VIII. In que-sta, come in tutte le opere letterarie dell’epoca, abbondano i riferimenti all’antica cultura militare. Nel MAN’YOSHU, in particolare, si menziona il “combattente di valore”, il MASURAO. MAPPO. – È il periodo di catastrofi, agitazioni sociali ed orrori che i monaci buddisti profetizzano debba rea-lizzarsi dal 1052. In effetti, l’ultimo terzo del Periodo HEIAN (794-1156) è caratterizzato da continue guerre, che vedono affermarsi i primi guerrieri di professione, i SABURAI. MARU. – “Cerchio”. MARUI. – “Movimento circolare”. È quello che caratterizza l’AIKIDO: un attacco portato in linea retta, può es-sere affrontato – con relativa facilità – incanalandone la forza in un movimento circolare, fino al completo controllo dell’attaccante. MARUME KURANDO. – (1540-1629) Spadaccino, fonda la scuola TAISHA RYU di KEN-JUTSU ispirandosi all’AIZU KAGE RYU di AIZU IKO. MASA-KARI. – “Ascia da battaglia”. Di ferro, è più piccola e maneggevole dell’ONO. MASAKI RYU. – Scuola di NAGINATA-JUTSU, fondata agli inizi del secolo XX. I suoi insegnamenti assomi-gliano a quelli della Toda-ha Ryu.

– Scuola che insegna i principi d’uso della MANRIKI-GUSARI, la “catena dei 10.000 poteri”. La fonda MASAKI TOSHIMITSU DANNOSHIN, nel secolo XVII e pare che sia famosa per l’abilità mostrata dai suoi al-lievi nel fronteggiare numerosi avversari armati.

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MASAKI TOSHIMITSU DANNOSHIN. – SAMURAI, custode di una delle porte di EDO nel secolo XVII. Pare sia il primo ad utilizzare la MANRIKI-GUSARI, la “catena dei 10.000 poteri”, per fermare briganti o RONIN senza ucciderli. MASAMUNE GORO. – (1264-1343) Considerato il miglior fabbricante di lame di tutti i tempi, è attivo nella provincia di Sagami. MASURAO. – “Combattente di valore”. Il primo riferimento al prode guerriero dall’onore senza macchia, che reputa il dovere al di sopra del diritto, si ha nella raccolta di poesie MAN’YOSHU, del secolo VIII. MASUTATSU OYAMA. – È l’ideatore (1955) dello stile KYOKUSHINKAI-KAN di KARATE (abbreviato in K.K.K.), duro, veloce, efficace, pericoloso. MATA. – “Interno della coscia”.

– “Di nuovo”. MATO. – “Bersaglio”. MATSU. – “Aspettare”. MATSUKAZE. – “Carotide sinistra”. Punto della carotide. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. MATSUMURA SOKON. – (1808-1899). Maestro di Arti Marziali, nativo dell’isola di Kyushu. È allievo dello JIGEN RYU di KEN-JUTSU ed apprende in Cina le Arti Marziali di quel Paese. Tornato in Giappone, a Shuri (OKINAWA), MATSUMURA SOKON fonda una scuola di KARATE, dove insegna un suo stile, lo SHURI-TE, lo stesso nome che da al RYU. Alla sua morte diventa caposcuola il discepolo ITOSU YASUTSUNE ANKO, che ottiene d’inserire questa Disciplina tra le materie di studio scolastiche a Shuri. MATSUURA SEIZAN. – (1760-…) DAIMYO dell’omonima Famiglia, nella provincia di Hizen (Nagasaki), nell’isola di Kyushu. Esperto di diverse Arti Marziali, fonda una scuola di KEN-JUTSU, la SHINKEITO RYU (“Scuola della Tecnica e dello Spirito della Spada”), rimasta attiva fino al 1908. MATTE. – “Aspettate!”. Espressione usata dall’arbitro, durante gli incontri delle Arti Marziali da combatti-mento, in attesa di una decisione. MAWARU. – “Girare”. MAWASHI. – “Semicircolare”; “in cerchio”. Viene da MAWASHU, “ruotare”.

– “Cintura” dei SUMOTORI. Si tratta di una lunga (11 metri) e pesante (13 - 15 kg) striscia di se-ta, generalmente nera, alta sessantun centimetri che, piegata sei volte, i SUMOTORI si avvolgono attorno ai fianchi, sopra un perizoma di seta (MAE TATE MITSU). Numerosi cordoncini rigidi di seta (sagari) pendono dal-la MAWASHI, a scopo ornamentale. MAWASHI-GERI. – “Calcio circolare”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. MAWASHU. – “Ruotare”. MAWATTE. – “Girate!”. ME. – “Occhio”; “sguardo”; “visione”. MEI. – È il nome, la “firma”, che il forgiatore (KAJI) spesso appone sul codolo (NAKAGO) della lama, di KATANA soprattutto. MEIJI. – “Governo Illuminato”. È Il nome del TENNO dal 1867 al 1912. Sotto l’Imperatore Mutsuhito, dal 1868, è restaurata l’autorità imperiale ed il Giappone si modernizza. MEIYO. – “L’amore e la gloria”. Uno dei sette punti del BUSHIDO. [si veda] MEKUGI. – È il piolo che, trapassandolo, fissa al codolo (NAKAGO) della lama l’impugnatura (TSUKA).

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MEKUGIANA. – È il foro – sempre presente nel codolo (NAKAGO) delle lame – che, attraversato dal piolo MEKUGI, consente di fissare l’impugnatura (TSUKA). MEMPO. – Tipo di maschera d’arme. Ha il nasale staccabile. MEN. – “Faccia”, “volto”. “Testa” in senso generale. Anche TSU, ATAMA, KASHIRA, TO. Sul volto ci sono pa-recchi KYUSHO, “punti sensibili” per gli ATEMI.

– Casco imbottito, a protezione di testa e viso, dell’armatura per scherma (DOGU) usata nel KENDO. – Termine generico per indicare la maschera d’arme. – “Tecnica di percossa eseguita sopra la fronte”.

MENDARE. – L’insieme delle protezioni per testa (MEN, MEN-GANE) e spalle (falde pesanti) dell’armatura per scherma (DOGU), usata nel KENDO. MEN-GANE. – “Maschera a griglia”, posta a protezione del viso, che completa il casco, MEN, dell’armatura per scherma (DOGU) usata nel KENDO. MEN-HIMO. – “Cordoni” che legano la maschera MEN-GANE al casco MEN e fissano questo alla testa del KEN-DOKA. MENKYO. – È l’antico metodo di graduazione del BUGEI. Il Maestro del Ryu, ritenendo abile e degno un suo discepolo, gli rilascia un diploma (MAKIMONO) che, certificandone le qualità e le attitudini, lo abilita all’insegnamento. MENKYO KAIDEN. – “Io ho dato tutto a…”. È la trasmissione finale, nell’antico sistema di classificazione del BUGEI, il Diploma di terzo grado. Chi lo riceve ha appreso tutti i segreti e ottiene i diplomi o certificati (MAKIMONO, da 3 a 5, secondo attitudine e capacità) dal Maestro, cui può succedere, o può fondare un HA (“specialità”, “branca”) del RYU. MENUKI. – Guarnizioni metalliche dell’impugnatura di spada o pugnale. La funzione iniziale è di copertura del piolo MEKUGI, ma presto si trasformano in manufatti raffinati – che riproducono oggetti, insetti, animali, demoni, figure umane, draghi, piante – prodotti da artigiani specializzati, spesso in metalli preziosi. MEN TSUKI. – “Colpo al viso”. METSUBUSHI. – “Colpire gli (o agli) occhi”. Normalmente, un ATEMI del genere è portato contro un punto al centro degli occhi con la nocca del dito medio.

– “Lanciapepe”. È una scatola, di lacca o bronzo, munita di un grosso boccaglio da un lato ed un tubo dall’altro: contiene pepe in polvere, che i poliziotti del Periodo EDO (1603-1868) soffiano negli oc-chi di chi vogliono catturare, per bloccarlo. Anche GANTSUBUSHI. METSUKE. – “Penetrare con lo sguardo”, “occhi che vedono tutto”. Il termine identifica le spie, la polizia se-greta, la cui funzione è sancita dalla norma 7 del BUKE-SHO HATTO, ma la cui opera interessa l’intera società giapponese: tutti si occupano degli affari di tutti gli altri. MI. – “Corpo”. Pure TAI.

– “Espirazione”. – “Lama”. – “Acqua”.

MI-ATERU. – “Combattere a corpo a corpo”. MICHI. – “Cammino”. “Via”. Si veda DO. MIDORI. – “Verde”.

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MIFUNE KYUZO. – (1883-1965) Maestro di JUDO, allievo di KANO JIGORO. È ricordato soprattutto quale in-ventore di una particolare tecnica di proiezione, adatta a JUDOKA di piccola statura (come lui stesso): KUKI-NAGE. MIGI o U. – “Destra”. MIGI-DO. – Attacco al fianco destro. [si veda KENDO] MIGI HANMI. – “Posizione naturale destra”. Il piede destro è avanzato. MIGI-KOTE. – Attacco all’avambraccio destro. [si veda KENDO] MIGI-MEN. – Attacco al lato destro del capo. [si veda KENDO] MIGI KAMAE o MIGI-GAMAE. – “Guardia destra”. MIJIKAI-MONO. – “Cose corte”. Così sono dette le armi quali pugnali, coltelli, falcetti, bastoni corti. Sono invece chiamate NAGAI-MONO, “cose lunghe”, le armi come lance, alabarde, spade, bastoni lunghi eccetera. MIJIN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Negishi Tokaku. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. MIKAZUKI. – “Massetere” (angolo della mascella). Punto della mascella, leggermente di lato rispetto al mento. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. MIKKYO. – Setta del Buddismo mistico SHINGON, una delle cui pratiche ascetiche è il KUJI-NO-IN, l’”Iscrizione delle Nove Lettere”. MIKO. – Specie di “sacerdotessa” SHINTO. Ha talvolta nozioni mediche (più spesso di stregoneria) ed è chiamata a scacciare, per mezzo d’incantesimi, i demoni (ONI) responsabili di una malattia, quando altri ri-medi non hanno avuto effetto. MIMI. – “Orecchie”. Punto dell’orecchio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

– Bordo della TSUBA. MINAMOTO o GENJI. – Celebre Clan militare. Già nel secolo XI, unitamente ai TAIRA, conquista la supre-mazia sulle casate guerriere, estesa con l’eliminazione dei Clan Abe (Prima Guerra dei Nove Anni, 1051-62) e Kiyowara (Guerra dei Tre Anni, 1083-87) dall’isola di Honshu. Durante la Guerra GEMPEI (1180-85), nel 1184 sconfigge ed annienta il Clan rivale dei TAIRA (o HEIKE), dopo che questi hanno dominato il Periodo RO-KUHARA (1156-1185). Nel 1192 MINAMOTO-NO YORITOMO si proclama SHOGUN e fissa la sede del Governo a KAMAKURA, dando inizio all’omonimo Periodo, protrattosi fino al 1333. Dei MINAMOTO sono molti personaggi illustri – guerrieri, politici, amministratori, fondatori di RYU – della storia giapponese e da questo Clan discen-dono, in linea retta, sia i TOKUGAWA sia i TAKEDA. MINAMOTO KIYOMARO. – Rinomato armaiolo della prima metà del 1800 (Periodo EDO). MINAMOTO-NO HIDETSUNA. – Si veda ARAKI MATAEMON MINAMOTO-NO HIDETSUNA. MINAMOTO-NO SONECHIKA. – Si veda SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINAMOTO-NO SONECHIKA. MINAMOTO-NO MASAYOSHI. – Si veda TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI. MINAMOTO-NO YORITOMO. – (1147-1199) Primo SHOGUN (1192) del Giappone prefeudale. Con l’aiuto insostituibile del fratello minore, MINAMOTO-NO YOSHITSUNE – il più famoso condottiero dell’epoca, poi caduto in disgrazia – annienta il Clan TAIRA (Dannoura, 1184) e si insedia a KAMAKURA, da dove ha provveduto a tessere strategiche alleanze, mentre il fratello conduce vittoriosamente la Guerra GEMPEI. Il merito maggiore di MINAMOTO-NO YORITOMO è l’aver esteso all’intera nazione il sistema feudale proprio dei MINAMOTO. Egli è ricordato anche come ideatore dello stile “classico” di YABUSAME: da 7 a 36 cavalieri che, indossando un abi-to da caccia, cavalcano lungo 220 metri di pista, scoccando frecce contro bersagli posti ogni 3 metri. A cau-

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sa dell’inettitudine dei suoi due figli, lo SHOGUNATO cade sotto il controllo degli HOJO, che però si proclamano solo Reggenti. MINAMOTO-NO YOSHIMITSU. – (1045-1127) SAMURAI di eccezionale abilità, fratello minore di quel Yoshiie che elimina il Clan Kiyowara dal settentrione dell’isola Honshu. È un attento studioso di tecniche marziali e d’anatomia umana (si racconta che la sua esperienza derivi anche dalla dissezione dei corpi di morti in guer-ra o giustiziati) e sembra che elabori una forma di AIKI-JUTSU, il DAITO AIKIJUTSU – poi divenuta patrimonio della sua Famiglia, anche se la tradizione domestica ne fa risalire l’origine al principe Teijun, sesto figlio dell’Imperatore Seiwa (859-877) ed alla sua scuola, la GENJI-NO-HEIHO – osservando con quale abilità un comune ragno sia in grado di intrappolare gli insetti, anche grossi, nella sottile trama della propria ragnatela. Il nome, DAITO AIKIJUTSU, di questa forma di AIKI-JUTSU, si riferisce a quello della residenza di MINAMOTO-NO YOSHIMITSU, “Villa Daito”. Pare che molti WAZA dell’AIKIDO derivino da una serie di KATA da lui codificati. MINAMOTO-NO YOSHITSUNE. – (1159-1189) Celeberrimo guerriero e condottiero dell’epoca prefeudale. È fratello di MINAMOTO-NO YORITOMO e con lui sopravvive al quasi completo sterminio del proprio Clan, che poi guida alla vittoria contro il rivale Clan TAIRA. Narra la tradizione che MINAMOTO-NO YOSHITSUNE apprenda sia l’arte della spada (KEN-JUTSU) sia quella del ventaglio (TESSEN-JUTSU) da alcuni TENGU, le divinità silvane. E si racconta che, ancora adolescente, proprio con un ventaglio di ferro, sul ponte Gojo di KYOTO, sconfigge BENKEI, il leggendario monaco che poi diventa suo fedele compagno. Suscitata la gelosia del potente fratel-lo, che anche grazie a lui ha potuto affermare il proprio dominio a KAMAKURA, fugge con alcuni seguaci. Raggiunto, per non cadere vivo nelle mani degli inseguitori, come narrano le cronache dell’epoca «si pugna-lò da solo sotto il seno sinistro (…) poi, dopo aver esteso l’incisione in tre direzioni, trasse le sue interiora dalla ferita e asciugò la daga sulla manica della giacca». Non ha ancora compiuto i trent’anni. La moglie si fa uccidere da un vassallo, il quale uccide poi i figli del suo Signore, dà fuoco alla casa e si getta tra le fiam-me. MINAMOTO-NO YOSHITSUNE, che incarna il prototipo del SAMURAI, è considerato uno dei personaggi più famosi del Giappone. MINAMOTO-NO YANAGI. – Maestro della scuola YOSHIN RYU. Nel secolo XVIII razionalizza insegnamento e tecniche di combattimento della scuola, riducendo queste ultime a 124, dalle oltre 500 che lo YOSHIN RYU conta alla fine del secolo XVII. MINO. – Giubba fatta con le foglie lunghe e larghe di un’erba. È usata da contadini e barcaioli per protezio-ne contro la pioggia. MINO-ODORI. – “La danza del MINO”: macabra forma di tortura messa in atto durante una rivolta ad Harima, nel secolo XVII. I contadini – e tra loro molti gregari del precedente feudatario, dal suo successore privati di rendite e terreni – che non riescono a produrre la quantità di riso arbitrariamente stabilita dal DAIMYO, sono legati e rivestiti da un MINO, che viene incendiato. Chi non s’uccide battendo il capo a terra, muore carboniz-zato. MIRU-NO-KOKORO. – “Spirito della visione”. È la “visione globale”: dell’avversario e di quel che lo circon-da, unita alla corretta valutazione del suo spazio/tempo. [si veda KOKORO, MA-AI] MISAGI o MISOGI. – “Abluzione”, “lavacro del corpo”. È uno dei tre metodi di purificazione (gli altri sono l’esorcismo, HARAI e l’astensione dalle cose impure, IMI) praticati dai fedeli scintoisti. La convinzione è che, sporcata la natura originale di ognuno dal contatto con le impurità del mondo, MISOGI riesce a purificare e ri-pristinare il contatto con il divino . Questo metodo è diventato un’abitudine quotidiana, ripetuta spesso du-rante la giornata, per eliminare ogni forma di contaminazione. Talvolta, si aggiunge del sale all’acqua usata per la purificazione, ed è usanza comune mettere mucchietti di sale sulla soglia delle case. Nei templi ci so-no sempre bacili d’acqua: servono per sciacquarsi la bocca e lavarsi le mani prima della preghiera. Oltre al lavaggio con acqua fredda, che purifica l’esterno, esiste un MISOGI “interno”, rigenerante, che pulisce lo spiri-to attraverso il respiro. MITSU. – “Tre” in giapponese puro. In sino-giapponese è SAN, per contare le persone (NIN) si dice SANNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa SAMBON.

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MIURA RYU. – Scuola di JU-JUTSU e KEN-JUTSU. Secondo alcuni è fondata, nel secolo XVIII, da un allievo di MIURA YOSHIN. MIURA YOSHIN. – Medico di Nagasaki del XVIII secolo. Una tradizione gli attribuisce la figura d’ispiratore dello YOSHIN RYU, fondato da un suo allievo. Può darsi che MIURA YOSHIN e AKIYAMA SHINOBU (cui un’altra tradizione attribuisce la paternità dello YOSHIN RYU) siano la stessa persona. MIYABI. – “Cortesia”; “raffinatezza”. È un termine che indica il tranquillo stile di vita dei nobili, predominante a KYOTO, nel Periodo HEIAN (794-1156), alla Corte imperiale. Durante il successivo Periodo KAMAKURA (1185-1333) l’espressione MIYABI è utilizzata in rapporto al comportamento ideale che deve avere un BUSHI: pensieri elevati, tratto elegante, abilità nel maneggio delle armi “nobili”, arco e spada. MIYAGI CHOJUN. – (1888-1953) Maestro di KARATE. È allievo di HIGAONNA KANRYO, della scuola Naha-te; nel 1930 fonda lo stile GOJU RYU. MIYAI GANZAEMON. – È il SUMOTORI che, vincitore di un torneo organizzato da ODA NOBUNAGA nel 1575 e premiato con riso (500 KOKU) ed un arco, improvvisa una danza di ringraziamento e gioia, in onore del Si-gnore. Ancora oggi tale fatto è commemorato, nei tornei di SUMO, con la “Danza con l’arco” (YUMITORI-SHIKI). MIYAMOTO MUSASHI. – (1584-1645) Celeberrimo SAMURAI, definito KENSEI, “il santo della Spada”, anche per l’austerità con cui vive: pare non dorma mai sul morbido, non si lava mai né mai si pettina, non si sposa, non ha figli. Impara l’Arte della Spada (KEN-JUTSU) dal padre, Munisai Shimmen che, in seguito, è sconfitto in duello da SASAKI KOJIRO (il fondatore del GAN RYU) ed ucciso. MIYAMOTO MUSASHI diventa tanto esperto nel maneggio della spada – anche grazie agli insegnamenti, pare di TAKUAN SOHO – che per duellare con SASAKI KOJIRO ed ucciderlo, vendicando il padre, dicono si limiti ad usare un EKKU, un remo da pescatore (ma forse è solo il suo BOKKEN). Di legno è anche una delle armi preferite, il BOKKEN, da lui usato con totale maestria. Si racconta che MIYAMOTO MUSASHI abbia patito una sola sconfitta in duello, per opera di MUSO GONNOSUKE, l’inventore dello JO-JUTSU, armato proprio di un JO. L’errabonda, avventurosa, quasi leggenda-ria vita di MIYAMOTO MUSASHI, spadaccino insuperabile (oltre sessanta avversari uccisi in duello), stratega imbattibile, perfetto esempio della “spada che uccide” – e, da giovane, ossessionato dall’idea di vincere ogni scontro – ispira lavori teatrali e romanzi. Uno dei più riusciti, intitolato “Musashi”, è opera di Yoshikawa Eiji ed esce a puntate sull’autorevole quotidiano Asahi Shimbun, negli anni dal 1936 al 1939. MIYAMOTO MUSA-SHI è soprannominato NITEN, con riferimento al tipo di combattimento da lui prediletto, quello con una spada per ogni mano, una lunga (DAI-TO, KATANA) nella destra ed una corta (SHO-TO, WAKIZASHI) nella sinistra. È questa sua caratteristica che assegna il nome popolare NITO ICHI RYU o, ancora, NITEN (la “Scuola delle due Spade”) allo stile da lui ideato ed alla scuola di KEN-JUTSU dove insegna a combattere usando due spade, l’EMMEI RYU. In questo stile non solo sono teorizzati alcuni principi basilari originali, ma sono anche svilup-pati ed applicati concetti propri d’altri Maestri e pensatori. Ad esempio il TANREN (l’”allenamento continuo”, che porta alla perfezione dei movimenti ed al completo autocontrollo), l’HISHIRYO (la coordinazione mente-corpo senza intervento del pensiero cosciente), il FUDO-NO-SEISHIN (lo “Spirito Imperturbabile”, al NITO RYU chiamato IWA-NO-MI, “il Corpo come una Roccia”), l’HYOHO (“metodo della strategia”). I metodi di allenamento dell’EMMEI RYU sono duri quanto austero è lo stile di vita di MIYAMOTO MUSASHI, tanto che, pare, i suoi disce-poli diretti sono soltanto tre. Come tutti i SAMURAI di un certo livello, MIYAMOTO MUSASHI ha dimestichezza anche con lettere e belle arti: egli è autore d’alcuni testi, come il DOKUKODO, che tratta dello spirito del BU-SHIDO, il GORIN NO SHO, il diffusissimo “Libro dei Cinque Anelli” e l’HYOHO-KYO (“Lo specchio della vita”). An-che MIYAMOTO MUSASHI, come molti altri guerrieri, prima e dopo di lui, verso il termine della propria esistenza realizza che c’è molto più che sconfiggere un nemico: la Via della Spada non è solo “la Spada che Uccide” (SATSUJIN-NO-KEN), ma anche “la Spada che dà la Vita” (KATSUJIN-NO-KEN) e si ritira in meditazione in una grotta, a Reigando, alla ricerca di ciò che trascende la vittoria e la sconfitta, MIZU. – “Acqua”. MIZU-NO-KOKORO. – “Il cuore come l’acqua”: indica la calma perfetta di uno spirito non aggressivo, la sua resistenza passiva. Chi possiede il MIZU-NO-KOKORO ha un KI che vibra in armonia con l’universo e, per que-sta ragione, è sensibile a tutte le percezioni esterne. [si veda AIKI, KOKORO, MIRU-NO-KOKORO]

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MIZUNO SHINTO RYU. – Scuola di IAI-JUTSU, fondata da KOBAYASHI KOEMON TOSHINARI. Oltre alle tecniche di spada, è insegnato lo JU-JUTSU, nello stile tipico della provincia di AIZU. MOCHI. – “Presa”; “prendere con le mani”; “afferrare”. MOCHIZUKI HIRO. – Figlio di MOCHIZUKI MINORU, fonda lo YOSEIKAN BUDO, moderno sistema di combatti-mento. MOCHIZUKI MINORU. – (1907-…) Discepolo di UESHIBA MORIHEI, è il fondatore dello YOSEIKAN, scuola “in-dipendente” di AIKIDO. MOKKO. – Tipo di TSUBA, con quattro lobi. MOKSO o MOKUSO. – “Concentrazione e rilassamento”. Corrisponde a quegli istanti – all’inizio (ed alla fi-ne) d’ogni lezione – quando liberiamo la mente dai pensieri del mondo esterno (o ci prepariamo a rientrarvi) e concentriamo attenzione ed energia (KI) nel TANDEN, realizzando, attraverso noi stessi, un ideale “ponte” fra cielo e terra. Seduti in SEIZA o nella posizione “del loto”, ad occhi chiusi, con la colonna vertebrale diritta e le spalle rilassate, le mani poggiano sulla parte alta delle cosce, con dita e gomiti non allargati (oppure so-no posate l’una sull’altra, pollici a contatto e palmi volti in alto). Tra le ginocchia lo spazio di due pugni (uno per le donne); il respiro, ventrale, è calmo, lungo, profondo. La lingua poggia al palato, la mascella non è serrata e la fronte è distesa: l’espressione del viso è serena. La mente si svuota, lo spirito si calma, la ten-sione sparisce. MOKUJU. – Facsimile, in legno, di fucile con baionetta, per gli allenamenti di JUKEN-JUTSU e JUKENDO. MOKUROKU. – “Catalogo delle tecniche”. Diploma di secondo grado, nell’antico sistema di classificazione del BUGEI. MOMONO-I SHUNZO. – (1826-1886) SAMURAI, appartenente alla scuola KYOSHIN MEICHI RYU, partecipe alla vita politica del suo tempo e coinvolto negli avvenimenti che portano alla Restaurazione MEIJI. Maestro in numerose Arti Marziali, organizza a EDO lo Shigaku-kan Dojo, dove allena SAMURAI ostili, come lui, allo SHO-GUNATO. MOMOYAMA. – Località nei pressi di KYOTO. TOYOTOMI HIDEYOSHI vi fa costruire un castello (famoso per le decorazioni), distrutto alla sua morte.

– Indica il momento storico, dal 1573 al 1603. Si mettono in luce grandi condottieri, che edifi-cano imponenti castelli e fortezze. Emergono i dittatori, come TOYOTOMI HIDEYOSHI (che riesce ad unificare il Paese e disarmare la popolazione) e TOKUGAWA IEYASU (che inizia lo SHOGUNATO del suo Clan a EDO). La repressione dei cristiani prelude alla totale chiusura del Giappone al mondo esterno. La parte iniziale di questo periodo (fino al 1568) è definita “Era del Paese in guerra” o “Era della Guerra”, SENGOKU JIDAI.

– Indica una corrente artistica in auge dalla fine del XVI secolo all’inizio del XVII. MON. – “Emblema” della Famiglia o del Clan.

– “Domanda”. – “Porta”. – Moneta importata dalla Cina dal 958 alla fine del 1500.

MONCHUJO. – È l’ufficio di inchieste, legate agli affari legali, del BAKUFU. Unitamente al SAMURAI DOKORO (quartiere generale militare e di polizia) ed al MANDKORO (l’amministrazione generale), costituisce la snella e semplice struttura organizzativa iniziale dello SHOGUNATO. MONDO. – “Riunione formale”. È quella tra un Maestro ed i suoi discepoli (MONJIN) ed allievi (MONTEI), fatta nel DOJO, nella quale si discute dello spirito del BUDO.

– “Domande e risposte”, da MON (“domanda”) e DO (“risposta”). Metodo di insegnamento nel Bud-dismo ZEN, basato sul dialogo, con domande e risposte, tra discepoli e Maestro, che spesso propone KOAN [si veda] su cui meditare. MONJIN. – “Discepolo” di un Maestro o di un Ryu marziale. Anche MONTEI, come sinonimo.

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MONTEI. – “Allievo” di una scuola d’Arti Marziali (RYU) o “discepolo” di un Maestro. Anche MONJIN, come si-nonimo. MONTO. – Setta di monaci, feroci oppositori di TOKUGAWA IEYASU ed abili combattenti. Il loro spirito in bat-taglia si riassume nel motto dipinto sulle bandiere: «Colui che avanza è certo del Paradiso, colui che indie-treggia è certo dell’eterna dannazione». MORIKAWA KOZAN. – Celebre Maestro di KYU-JUTSU. È opera sua il riadattamento (1644) delle tecniche insegnate nella YAMATO RYU, che portano, in pratica, alla nascita del moderno KYUDO. MORO TE. – “Due mani”, “con due mani”. Pure KATA TE. MOROTE DORI. – “Presa al polso con entrambe le mani”. MO-SUKOSHI. – “Ancora un po’”, “un po’ di più”. È la richiesta, fatta dall’arbitro durante gli incontri delle Arti Marziali da combattimento, di prolungare l’incontro. MU. – “Senza”.

– Esprime un concetto di negazione totale, con un richiamo alla filosofia buddista della vacuità (SHUN-YA): ciò che sembra essere è unito, in modo imperscrutabile, a ciò che non è.

– “Vuoto”, “vacuo”. MUDANSHA. – Allievo di un’Arte Marziale che ancora non è qualificato ad indossare la cintura nera (DAN), possedendo soltanto un KYU. MUFUDA-KAKE. – Tavoletta di legno, con inciso il nome di un defunto. È usanza, in alcuni DOJO, onorare la memoria del fondatore di un RYU o dei Maestri trapassati, ponendo MUFUDA-KAKE a loro dedicati sul lato KAMIZA. MUGA. – Condizione di estrema concentrazione. In questo stato – della mente e dello spirito – nulla e nes-suno riesce a disturbare il BUDOKA, che riesce ad eseguire la tecnica o compiere l’azione soggiogando, in pratica, l’avversario. MUGAI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. La fonda, nel 1695, TSUJI GETTEN SAKEMOCHI. Egli si richiama alla fi-losofia cinese, alla reciproca interazione di Yin e Yang [si veda la voce “ommyodo”, nella seconda parte del Dizionario] per indicare il principio alla base del suo insegnamento, l’HYODO, un metodo di combattimento che cerca di conciliare e fondere arti umanistiche e guerresche, l’attitudine spirituale militare con quella civi-le, la meditazione ZEN con l’etica confuciana. MUHEN INOUE. – Monaco buddista e guaritore. Il suo nome significa “senza limiti” o “infinito” (da uno dei quattro voti del BODHISATTVA: shu-jo mu-hen seigan-do, vale a dire “infinite sono le forme di vita, faccio voto di curarle tutte”) e, infatti, MUHEN INOUE vive in Giappone, India, America, Europa, sempre curando chi ha bi-sogno. Nasce agli inizi del 1900 e, rimasto presto orfano, è accolto in un tempio buddista, dove pronuncia i voti; la sua ultima residenza è la Francia. Apprende l’arte di “soffiare” sul dolore, fino a farlo scomparire, da uno yogi (Maestro di Yoga) vissuto in Nepal, capace d’imprese incredibili (accendere una candela distante alcuni metri concentrandovi il KI, fermare il cuore per un paio d’ore…). Il metodo di cura si basa, in pratica, sull’applicazione del KI su TSUBA o altri “punti dolorosi” corrispondenti alla malattia da guarire. MUKADE TSUBA. – Tipo di TSUBA. [si veda SHINGEN TSUBA] MUKA MAE. – Posizione naturale. Posizione eretta normale, di base. Anche SHIZEN HONTAI o SHIZEN-TAI. Fa parte delle SHISEI (“posture”). MUKEN. – Posizione (tipicamente del KENDO) con la spada: le lame (o gli SHINAI) non si toccano. Questa posizione è opposta a YUKEN, con le lame che, toccandosi, s’incrociano. MUKYU. – È l’allievo di un’Arte Marziale, di cui non possiede ancora alcun KYU.

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MUNE. – “Petto”, “torace”. Anche muna. – “Dorso” della lama di una spada. Più propriamente, con riferimento alle lame in genere, si do-

vrebbe parlare di “costa”. MUNE-ATE o DO. – Corazza per il petto, fatta con bambù laccato o metallo, indossata dai KENDOKA. Fa parte del DOGU (equipaggiamento protettivo, versione modernizzata della leggera armatura TAKE GUSOKU). MUNE MOTO. – “Presa in pieno petto”. È la “presa al petto” – di solito a due mani – che equivale, in pratica, ad essere colpiti da una stoccata di spada o lancia. Normalmente TORI agisce prima che UKE concluda MUNE MOTO. MUNEN-MUSHIN. – Viene dall’unione di MU (“senza”, “vuoto”), NEN (“coscienza”) – perciò, “senza coscien-za”, “senza pensiero” – ed ancora MU con SHIN (“cuore”, “spirito”, “pensiero”) – quindi “non-pensiero” –; tutto insieme richiama lo “stato mentale di vacuità” (SHUNYA). Si veda anche MUSO. MUNE DORI. – “Presa al petto”. Presa al petto con una mano. UKE afferra TORI al petto (in GYAKU HANMI). Questa presa, di solito, prelude ad una spinta o ad una trazione, soprattutto se fatta a due mani (MUNE MO-TO). TORI asseconda UKE: se tirato, entra in IRIMI, se spinto, ruota, assorbe e controlla. MUNE DORI MEN UCHI. – “Presa al petto con colpo”. Presa al petto con una mano, più fendente al capo. UKE afferra TORI ad una spalla e lo colpisce al volto o al capo con un MEN TSUKI. MUNE TSUKI. – “Colpo al petto”. Colpo diretto al petto. UKE attacca sferrando un pugno al torace. MURAKAMI TETSUJI. – (…-1987) Maestro di Karate, dello stile SHOTOKAN. È tra gli artefici della diffusione, in Europa, prima della stile SHOTOKAN e poi di quello SHOTOKAI. MURAMASA ISE. – (1340 circa) È considerato tra i migliori fabbricanti di lame giapponesi. La sua scuola, attiva nella provincia di Ise, è famosa per il bellissimo disegno ondulato (notare-ha) e l’accuratezza della YA-KIBA, identica sulle due facce della lama delle YARI prodotte. Narrano le leggende che le lame prodotte da Muramasa siano tanto assetate di sangue da spingere i loro proprietari ad uccidere indiscriminatamente, fino a impazzire e suicidarsi. MURASAME. – “Carotide destra”. Punto della carotide. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. MUROMACHI. – È il quartiere di Tokyo dove lo SHOGUNATO ASHIKAGA stabilisce la propria sede, che dà no-me al relativo Periodo storico.

– Indica la fase storica – parzialmente inclusa in quella ASHIKAGA – dal 1392 al 1573, carat-terizzata, tra l’altro, dai primi contatti con i Portoghesi, l’introduzione della armi da fuoco, la predicazione di San Francesco Saverio, l’“Era del Paese in guerra” (SENGOKU JIDAI). Alla fine di questa fase storica le batta-glie sono combattute da truppe, anche armate alla leggera (ASHIGARU, ZUSA), che lottano schierate: le sca-ramucce tra guerrieri d’alto rango, i duelli tra SAMURAI o Signori comuni sono sempre più rari. MUSHA-E. – “Incisione su legno”: raffigura scene di guerrieri, spesso in combattimento. MUSHA-SHUGYO. – Diffuso e antico metodo, utilizzato dai BUSHI per apprendere e padroneggiare il mag-gior numero possibile di tecniche marziali: seguire, nel tempo e successivamente, diversi Maestri in molti RYU. Questa pratica è criticata e censurata dai tradizionalisti, secondo cui un allievo (meglio, un adepto) de-ve seguire, per tutta la vita, uno solo Maestro, il suo primo, ed una sola scuola, quella che lo ha accolto. In massima parte, quindi, sono RONIN o SAMURAI indipendenti e fortemente decisi ad allargare la propria cono-scenza a seguire questa pratica. Solo RYU a forte impronta Zen – con il loro rifiuto del formalismo nella tra-smissione del sapere – accolgono volentieri questi allievi atipici. MUSHIN. – “Non-pensiero”; “mente vuota”. “Stato mentale originale”. Lo spirito non si fissa su nulla, è aper-to, disponibile a tutte le cose, che riflette come fosse uno specchio e, pertanto, è l’opposto di USHIN. MUSHOTOKU. – “Non-coscienza”. “Indifferenza” (al raggiungimento di qualcosa). È lo stadio finale – se-condo la filosofia ZEN – di chi vive in perfetta armonia con sé, con la natura e con l’Universo: indifferente a

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ricompense, profitti, scopi, obiettivi. Premessa indispensabile al MUSHOTOKU è l’aver raggiunto uno stato mentale HISHIRYO (“oltre il pensiero”, “pensiero senza pensiero”), con la mente “pura” ed il vuoto totale nello spirito, che così è totalmente ricettivo e “disponibile”. MUSO o MUNEN-MUSHIN. – “Stato mentale di vacuità” (SHUNYA). La mente è vuota e non si fissa su alcun pensiero (MUSHIN), lo spirito, non turbato dall’apparenza delle cose, è totalmente disponibile. Nel BUDO, è la posizione senza movimento, la “non-posizione”. MUSO GONNOSUKE. – La leggenda vuole che sia l’inventore del bastone medio (JO) – adottato, in luogo del più lungo, pesante, ingombrante BO, su ispirazione divina – e l’ideatore dell’Arte Marziale nota come JO-JUTSU (“tecniche di bastone”, secolo XVI); è anche il fondatore della scuola SHINDO MUSO RYU. La tradizione vuole che MUSO GONNOSUKE sia l’unico ad aver sconfitto in duello il celeberrimo MIYAMOTO MUSASHI, utiliz-zando, appunto, un JO. MUSO JIKIDEN EISHIN RYU. – È il nome assunto dalla scuola MUSO JIKIDEN RYU nel secolo XVIII, quando il Maestro EISHIN v’insegna il suo stile, l’HASEGAWA EISHIN RYU. MUSO JIKIDEN RYU. – Celebre scuola di IAI-JUTSU. La fonda, nel 1560, HAYASHIZAKI JINSUKE SHIGENOBU, del Clan HOJO, con il nome JINNOSUKE RYU. In questa scuola, ancora oggi attiva, non si pratica il TAMESHI-GIRI (“prova di taglio”). Un’evoluzione tecnica si ha nel secolo XVIII, con l’arrivo del famoso Maestro EISHIN (che diviene suo 7° Caposcuola): da allora la scuola prende il nome di MUSO JIKIDEN EISHIN RYU. All’inizio del secolo XX, con il Maestro NAKAYAMA HAKUDO, si ha una nuova modifica di stile e la scuola assume il no-me di MUSO SHINDEN RYU. MUSO SHINDEN RYU. – È il nome assunto dalla scuola MUSO JIKIDEN RYU nel secolo XX, dopo l’opera di modifica del Maestro Nakayama Hakudo. Nella scuola si fonde lo stile OMORI RYU del Maestro Omori Soe-mon Masamitsu. I KATA praticati sono molti: 11 in SEIZA, 10 in tatehiza [seduti su un tallone, l’altra gamba è sollevata: piede a terra, ginocchio piegato a 90°] e 21 rientrano tra gli OKU-IAI [8 da posizione SUWARI, 13 in TACHI]. Dal MUSO SHINDEN RYU nascono molte specialità o scuole derivate (HA), che spesso rielaborano i KA-TA, la più nota delle quali è la Tanimura-ha, un cui Maestro, Morimoto Tokumi, è il 17° Caposcuola e rinomi-na la scuola MUSO SHINDEN RYU BATTO-JUTSU nel 1933. MUSO SHINDEN RYU BATTO-JUTSU. – È il nome assunto nel 1933 dalla scuola MUSO SHINDEN RYU, ad opera del suo 17° Caposcuola, Morimoto Tokumi, della branca Tanimura-ha. MUSOKEN. – Tipico movimento, di difesa o d’attacco, eseguito nel combattimento con la spada (soprattutto nel KENDO): è automatico, senza intervento del pensiero cosciente (HISHIRYO) ed anticipa un attacco avver-sario. MUTEKATSU. – “Schivare con lo spirito”. È un principio ZEN attribuito al monaco TAKUAN SOHO, ma già prima applicato (si veda TSUKAHARA BOKUDEN), secondo cui è possibile sconfiggere il nemico senza usare mani o armi: “Colpire non è colpire, uccidere non è uccidere”. Nei limiti del possibile, infatti, occorre evitare ogni forma di combattimento, facendo in modo che il nemico sia impossibilitato ad attaccare. Sono numero-se le scuole che seguono espressamente questo principio filosofico, diventato un vero e proprio stile (Mute-katsu Ryu, lo stile di “non-combattimento”); tra queste: MUTO RYU, KATORI SHINTO RYU, SHIN KAGE RYU e KA-SHIMA SHINTO RYU. MUTEKI RYU. – Scuola di JU-JUTSU, fondata nel secolo XVII. Tra i principi adottati c’è l’uso simultaneo di “forza” (GO) e “iniziativa” (SEN o SEN-NO-SAKI). MUTO. – “Senza (MU) spada (TO)”. È la dottrina spirituale di combattimento sostenuta da YAGYU MUNEYOSHI TAJIMA NO KAMI, secondo cui non è necessaria la spada per vincere un duello, basta che lo spirito sia puro e desideroso di evitare il combattimento (piuttosto che a morire senza paura). MUTO RYU. – “Sistema della Non-Spada”. È la scuola di scherma fondata, all’inizio dell’Era MEIJI, da YA-MAOKA TESSHU. Quando questi diventa 10° Caposcuola della ONO-HA ITTO RYU, chiama la propria scuola IT-TO SHODEN MUTO RYU.

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MUTTSU. – “Sei” in giapponese puro. In sino-giapponese è ROKU, per contare le persone (NIN) si dice RO-KUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa ROPPON. MYOCHIN NOBUIYE. – (1486-1564) Maestro fabbricante di TSUBA. Membro di una famiglia di famosi fab-bricanti di spade, è il primo ad aver firmato i suoi prodotti, TSUBA decorate a traforo. MYOJO. – “Ombelico”, “ipogastrio”. Zona dell’addome posta sotto l’ombelico. Punto della parte inferiore del ventre. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

- N - NAE-EBOSHI. – Cappello floscio, nero. I popolani lo indossano quando sono in servizio. NAGAI-MONO. – “Cose lunghe”. Così sono dette le armi quali lance, alabarde, spade, bastoni lunghi ecce-tera. Le armi come pugnali, coltelli, falcetti, bastoni corti sono chiamate MIJIKAI-MONO, “cose corte”. NAGAMAKI o NAGATSUKA-NO-KATANA. – Arma bianca in asta. La sua lama ha forma a metà tra spada e NAGINATA. È anche detta “NAGINATA dritta”. La lama è sempre fabbricata come quella di una spada, leg-germente curva, con costa e YOKOTE (corta nervatura al tallone, trasversale) ed il codolo è lungo da 50 a 60 centimetri. Sono previsti TSUBA e SAYA, di legno laccato, mentre la TSUKA è costituita da un’asta. Non è chiara l’origine di quest’arma: alcuni la fanno derivare dalle lunghissime (possono oltrepassare i 2 metri!) spade TACHI e NO-DACHI dei periodi Yoshino (1337-1392) e tardo KAMAKURA (inizi del XIV secolo). Altri riten-gono che essa abbia origine dalla NAGINATA lunga (lama anche di 120 cm) sempre del Periodo KAMAKURA (1185-1333). Nel Giappone dell’epoca si trovano spesso sia lame di spada, inastate per essere utilizzate come lance sia, viceversa, lame da lancia usate come spade. Le NAGAMAKI, invece, anche se di forma atipi-ca, sono vere e proprie spade, da non confondere con lame a codolo lungo forgiate per le lance. NAGAO KENMOTSU. – SAMURAI, allievo dell’ITTO RYU e dello YAGYU SHIN-KAGE RYU. Nel secolo XVII fonda la scuola che porta il suo nome. NAGAO RYU. – Scuola di TAI-JUTSU. Il fondatore, nel secolo XVII, è NAGAO KENMOTSU. La scuola insegna anche KAKUSHI-JUTSU (l’uso, nei combattimenti reali, dei KAKUSHI, le “armi nascoste”). I KAKUSHI non sono considerati “onorevoli”, degni d’uso da parte dei SAMURAI: pertanto gli allievi sono, soprattutto, TAMI e KOO-TSUNIN, la “gente comune”. NAGARE. – “Flusso”; “corrente”. NAGAYE. – Asta della YARI. NAGE. – “Chi guida”. È chi, attaccato, esegue la tecnica. Si usano anche i termini SHITE, TORI e UCHI.

– “Proiezione”. Viene da NAGERU, “gettare”. Nell’AIKIDO sono previste dieci “tecniche di proiezione” (NAGE WAZA), chiamate anche “forme di proiezione” (NAGE-NO-KATA). NAGE-GAMA. – Si veda KUSARI-GAMA NAGE-NO-KATA. – Forme di proiezione di TORI nei confronti di UKE. Comprendono 10 movimenti (o tecni-che, NAGE WAZA) di proiezione:

IRIMI NAGE - frontale, in avanti IRIMI TSUKI - di difesa, in entrata

JUJI GARAMI - con le braccia incrociate KAITEN NAGE - in rotazione, circolare KOKYU NAGE - dell’energia centralizzata

KOSHI NAGE - circolare dell’anca KOTE GAESHI - su torsione del polso SHIHO NAGE - nelle quattro direzioni

TEMBIN NAGE - con braccio ad angolo TEN CHI NAGE - cielo – terra

NAGE-YARI o NAGARI. – Giavellotto o lancia corta. Un corto e pesante ferro è posto su una breve asta. È utilizzato per la difesa durante i viaggi. NAGERU. – “Proiettare”, “gettare”.

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NAGE WAZA. – “Tecniche di proiezione”. NAGINATA. – Tipica arma in asta. La lama è molto curva e allargata verso la punta, ha nervatura, ma è priva di quella al tallone (YOKOTE). Il lungo codolo (NAKAGO) si inserisce in un’altrettanto lunga asta a sezione ovale. In origine, come per moltissime altre armi, si tratta dell’adattamento di attrezzi agricoli, tanto è vero che i primi esemplari di NAGINATA (fine IX secolo) sono del tipo a gorbia (e per questo motivo lo studio sull’uso della NAGINATA rientra nel KO-BUDO). È l’arma preferita dalle truppe arruolate dai monasteri (nel 1100 circa) e trova il suo utilizzo migliore in campo aperto, contro nemici a cavallo, mentre in terreni boscosi o spazi angusti ha uso limitato. In seguito il suo impiego si diffonde fra tutti i soldati, a piedi e a cavallo, qua-si a scapito della spada ed anche le donne delle Famiglie militari ne apprendono l’uso. Le NAGINATA del tar-do Periodo KAMAKURA (inizi del XIV secolo), chiamate shobuzukuri-naginata, hanno una lama lunga fino a 120 cm ed un codolo altrettanto lungo. Dopo una breve fase di declino, la NAGINATA torna popolare nel XVI secolo: le continue guerre civili rendono necessario l’approvvigionamento d’armi di tutti i tipi. È questa l’età in cui appare la NAGINATA ad asta corta (da 150 a 270 cm), con lama ben curva e di lunghezza normale (da 30 a 60 cm), talvolta munita di TSUBA: l’ampio movimento circolare che la sua forma permette, è efficace e funzionale. Con l’avvento del Periodo EDO (1603-1868) e l’imposizione della pace, pure la NAGINATA diventa più arma da parata che da guerra: lama accorciata e ornata; asta – sempre a sezione ovale – laccata, guar-nita, incrostata di madreperla. È presente un fodero di legno, in genere magnolia, laccato, decorato con in-segne e ricoperto con fodera di seta. Sotto i TOKUGAWA la lama della NAGINATA è lunga 40-50 cm e l’asta 180. Le donne, nei loro allenamenti, utilizzano una versione alleggerita e con lama ridotta. NAGINATA-JUTSU e NAGINATA-DO. – “Scherma con la NAGINATA”. Nelle competizioni e per addestra-mento si impiegano modelli speciali, chiamati KEIKO-NAGINATA e shiai-naginata, talvolta con la lama costituita – a somiglianza degli SHINAI – da lamelle di bambù legate insieme. È ovvio che, come accaduto per quasi tutte le altre Arti Marziali tradizionali, al NAGINATA-JUTSU si è prima affiancato – per poi sostituirlo quasi del tutto – il NAGINATA-DO, oggi molto diffuso, soprattutto fra le donne, e che non prevede la graduazione in DAN. Nella pratica del NAGINATA-DO sono utilizzate protezioni analoghe a quelle del KENDO, così come da questa Disciplina (e dal BO-JUTSU) derivano molte tecniche. Ancora oggi, come già ai tempi (fine del Periodo EDO) di CHIBA SHUSAKU, fondatore dell’HOKUSHIN ITTO RYU di KEN-JUTSU, in Giappone sono apprezzate le competi-zioni tra praticanti muniti di SHINAI o BOKKEN (chiamati UCHI-DACHI) contro altri armati di NAGINATA (e detti SHI-DACHI). JIKISHIN KAGE RYU, KATORI SHINTO RYU, TENTO RYU e TODA-HA RYU, tra le maggiori scuole ancora at-tive di NAGINATA-DO. NAHA-TE. – “Mano di Naha”. Si veda OKINAWA. NAIKE. – “Caviglia”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. NAKAGO. – “Codolo” della lama. Per la sola KATANA sono previsti otto diversi particolari, ognuno con la propria nomenclatura. Spesso reca il nome (MEI) del forgiatore (KAJI). NAKAMURA RYU. – Stile di IAI-JUTSU. Lo costituisce il Maestro NAKAMURA TAISABURO, all’interno della scuola TOYAMA RYU di IAI, da lui fondata. Caratteristica di questo stile – come, del resto, della scuola – è la pratica eseguita solo dalla stazione eretta. Otto sono le posizioni di base (KAMAE) ed altrettante le tecniche di taglio eseguite (tra cui HAPPO-GIRI, TAMESHI-GIRI, KIRI-TSUKE), con velocità d’esecuzione ed efficacia come scopo principale. NAKAMURA TAISABURO. – (1911-…) Maestro di spada. Fonda la scuola TOYAMA RYU di IAI, all’interno della quale sviluppa lo stile NAKAMURA RYU di IAI-JUTSU. NAKANISHI CHUTA. – SAMURAI, Maestro di KEN-JUTSU. Allievo di ONO TADAAKI, fonda una scuola di KEN-JUTSU, la NAKANISHI-HA ITTO RYU, antesignana del più moderno KENDO. NAKANISHI-HA ITTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU fondata da NAKANISHI CHUTA. Durante l’allenamento gli allievi sono protetti da una variante dell’armatura leggera TAKE GUSOKU, con corazza di bambù (MUNE-ATE o DO), protezione a grembiule (TARE), bracciali e manopole (KOTE) ed utilizzano una spada particolare, la FU-KURO SHINAI.

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NAKANO MICHIOMI. – (1911-1980) Nome laico del monaco SO DOSHIN che, dopo la Seconda Guerra Mon-diale, prendendo spunto dalla scuola HAKKO RYU, elabora e codifica lo SHORINJI KEMPO. NAKAYAMA HAKUDO. – Maestro di spada. All’inizio del secolo XX modifica lo stile della scuola MUSO JI-KIDEN EISHIN RYU, già MUSO JIKIDEN RYU, che da allora si chiama MUSO SHINDEN RYU. NAKAYAMA MASATOSHI. – (1913-1987) Maestro di KARATE. È anche grazie a lui che il KARATE conosce popolarità e successo. Allievo di FUNAKOSHI GICHIN, dopo la Seconda Guerra Mondiale partecipa alla fonda-zione dell’Associazione Giapponese di Karate, che contribuisce all’opera di promozione di questa Disciplina inviando esperti nelle palestre d’Europa ed America. Non solo: è lui che organizza i primi campionati di KA-RATE – ma solo dopo la morte (1957) di FUNAKOSHI GICHIN che, come tutti i grandi Maestri, aborre la spetta-colarizzazione ed ogni forma di competizione – trasformando definitivamente questa Disciplina in attività sportiva. NAKA-YUBI. – “Dito medio”. Vale inoltre per “pugno chiuso, con nocca sporgente” (anche IPPON-KEN). NAKAYUWAI. – È l’ultimo terzo, la terza parte della “lama”, verso la punta, dello SHINAI. NAMBAN TSUBA. – Tipo di TSUBA. NAMBU-DO o NAMBU BUDO. – Moderno stile di KARATE, fondato da NAMBU YOSHINAO nel 1984. Più che Arte Marziale o sport competitivo, si tratta di esercizi d’armonizzazione con la natura, basati su tecniche di respirazione addominale. NAMBU YOSHINAO. – Maestro di KARATE. Nel 1984 fonda l’omonima scuola di KARATE, mentre in prece-denza ha ideato lo stile SANKUKAI, sempre di KARATE. Anche grazie alla sua opera, nella seconda metà del secolo XX in Europa si conosce lo stile SHUKOKAI, una sorta di KARATE “danzante”. NANAHON. – “Sette”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è SHICHI o NANA, in giapponese puro si dice NANATSU, per le persone (NIN) s’usa SISHININ. NANAME. – “Obliquo”, “obliquamente”. Direzione diagonale. NANAME TSUGI ASHI. – Movimento TSUGI ASHI in diagonale. NANATSU. – “Sette” in giapponese puro. In sino-giapponese è SHICHI o NANA, per contare le persone (NIN) si dice SISHININ, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa NANAHON. NARA. – Capitale del Giappone nel secolo VIII. È famosa per l’architettura buddista.

– Indica il momento storico dal 645 al 794, caratterizzato dell’influenza cinese della Dinastia Tang. NARABI. – “A fianco a fianco”. NAYASHI. – Movimento difensivo effettuato con la spada, soprattutto nel Kendo. È una risposta ad un af-fondo (TSUKI) dell’avversario: con la propria arma si abbassa verso terra la sua. NE. – “Suolo”. NEI-WAN. – “Bordo interno” dell’avambraccio. NEJI. – Altro nome dell’HINERI. NEKO. – “Gatto”. NEN. – “Coscienza”. “Concentrazione”. Indica anche un atteggiamento mentale d’estrema attenzione verso qualche cosa.

– “Anno”. NERI TSUBA. – Antico tipo di TSUBA, laccata su entrambe le facce.

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NETSUKE. – Maschera teatrale di legno. Si usa nelle rappresentazioni NOH. NE WAZA. – “Tecniche al suolo”. Sono tecniche eseguite con TORI e UKE entrambi a terra (soprattutto nello JUDO). NI. – “Due” in sino-giapponese. In giapponese puro è FUTATSU, per contare le persone (NIN) si dice FUTARI, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa NIHON. NIDAN o JO-MOKUROKU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 2° grado”. [si veda KYUDAN] NIHON. – “Due”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è NI, in giapponese puro si dice FUTATSU, per le persone (NIN) s’usa FUTARI. NIHON o NIPPON – “Paese del Sol Levante”. È la lettura giapponese del termine cinese Jihpûn, abbrevia-zione di Jihpûnkuo: paese (kuo) del sole (jin) che sorge (pûn). È adottato ufficialmente nel 1932, quando il Giappone esce dalla Società delle Nazioni. NIHON KATANA. – “Tecnica con due spade”. È il metodo di combattimento – codificato da MIYAMOTO MU-SASHI – con una spada per ogni mano, solitamente una lunga (DAI-TO, KATANA) ed una corta (SHO-TO, WAKI-ZASHI). NIHON NUKITE. – “Dita a forcella”. NIJUSHI-HO. – “Ventiquattro passi” [da niju, 20, SHI, 4 e HO, passo]. Originale KATA di KARATE, d’incerta provenienza, caratterizzato dal particolare ritmo di tempi rapidi alternati a tempi lenti. NIKAIDO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. È fondata da Matsuyama Mondo nel 1600 circa e s’ispira allo stile CHUJO RYU di Chujo Nagahide. NIKYO. – “Tecnica numero due”. “Secondo principio” [si veda KOTE MAWASHI]. Immobilizzazione del braccio di UKE con torsione del polso. Normalmente utilizzata contro prese ai polsi ed al petto, fendenti e tecniche di pugno.

– 2° gruppo di esercizi: torsione del polso. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). NIKYO OSAE. – “Seconda immobilizzazione”. NIKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di seconda classe”. [si veda KYUDAN] NIN. – “Persone”. NININ. – “Due persone”. NININ-GAKE. – Due UKE attaccano TORI. NININ DORI. – “Due persone prendono”. NINJA. – “Guerriero delle tenebre”. Caratteristico insieme di leggendari combattenti, di volta in volta straor-dinari guerrieri, abilissime spie, spietati assassini prezzolati, briganti da strada… Normalmente di bassa e-strazione sociale, sono considerati l’antitesi dei SAMURAI, per quanto riguarda il BUSHIDO, anche se pare as-sai probabile abbiano un loro proprio codice d’onore. Già tra la fine del Periodo HEIAN (794-1156) e l’inizio di quello ROKUHARA (1156-1185) formano uno scelto corpo di specialisti [oggi diremmo “corpi speciali per ope-razioni non convenzionali”], addestrandosi sulle montagne intorno a KYOTO, dove spesso vivono a contatto con gli YAMABUSHI, i temibili monaci-guerrieri. Nonostante i BUSHI li disprezzino apertamente, non mancano le occasioni in cui si rivelano indispensabili ai DAIMYO, in guerra contro Clan nemici o impegnati in lotte inte-stine. Sono allora assoldati per condurre operazioni di sorveglianza o colpi di mano o penetrare nelle fortez-ze avversarie per spiare e magari uccidere, in silenzio, i nemici del loro temporaneo padrone. Alcune (po-

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che) famiglie, in maggioranza delle Province d’Iga e Koga sono specializzate in quest’Arte – solitamente tramandata di padre in figlio – e formano gli SHINOBI (questo è il vero nome dei guerrieri NINJA) attraverso un addestramento duro e particolare, che consente loro di compiere imprese ai limiti del possibile. La tradizio-ne popolare vuole i NINJA capaci di camminare sull’acqua e sul fuoco, scalare pareti verticali, rendersi invisi-bili, uccidere con un soffio o un tocco. Naturalmente una spiegazione razionale c’è: i NINJA sono tutti abili nel nuoto, anche subacqueo (e, quando serve, usano delle specie di canotti gonfiabili), nel travestimento, nell’uso di veleni e prodotti chimici vari, polvere pirica inclusa (sono degli alchimisti veri e propri, molto pro-grediti per l’epoca). Inoltre, sono in grado di impiegare una impressionante panoplia di attrezzi ed armi, con-venzionali ed occulte: SHUKO ed ASHIKO, KAKUSHI, KYOTETSU-KOGE, KO-UGI, SHURIKEN, cerbottane, piccoli ar-chi… I NINJA usano indossare, soprattutto di notte, un particolare costume nero con cappuccio (SHINOBI-SHOZUKU), ideale per confondersi nelle tenebre, ma sono in grado di rendersi praticamente “invisibili” fino al momento di entrare in azione, mimetizzandosi tra la gente di tutte le classi sociali, grazie allo SHINOBI-JUTSU (“Arte del travestimento e dell’inganno”), nel quale sono maestri. Disprezzati ma ricercati, temuti e detestati dagli appartenenti alla classe “alta” (BUKE o KUGE, BUMON o BUSHI che siano), i NINJA suscitano terrore nella gente comune e, se catturati vivi, sono torturati brutalmente, con l’intento di carpire i segreti della loro Arte, il NINJUTSU. All’interno dei Clan esistono tre classi di SHINOBI: i capi, quelli che comandano, mantengono i con-tatti formali con il mondo esterno (e, quindi, i potenziali committenti), chiamati JONIN. Ci sono poi i “manager”, gli organizzatori e pianificatori delle missioni (CHUNIN) ed infine gli esecutori materiali, i GENIN. Nel 1581, dopo aver deposto (1573) Yoshiaki, ultimo SHOGUN ASHIKAGA, eliminando quel Clan, ODA NOBU-NAGA – che lotta per ripristinare l’autorità imperiale ed unificare la Nazione – decide di annientare anche i Clan NINJA della provincia d’Iga. Gli è necessaria un’armata di oltre 45.000 guerrieri per aver ragione di cir-ca 4.000 SHINOBI, quasi tutti uccisi in battaglia o crocifissi dopo la tortura. L’epoca d’oro dei NINJA si chiude con l’avvento del Periodo EDO. La situazione socio-politica del Giappone, forzatamente pacificato, offre loro scarso spazio di manovra e gli SHINOBI, quelli rimasti, diventano fuorilegge, banditi, assassini a pagamento, briganti da strada, contribuendo ancor di più ad alimentare l’avversione del popolo nei loro confronti. NINJA-TO. – “Spada NINJA”. È la spada tradizionale degli SHINOBI, portata normalmente sulla schiena. Ha lama diritta, ad un solo filo e più corta di quella d’una KATANA; spesso la TSUKA (impugnatura) nasconde un puntale, avvelenato. Il fodero (SAYA) è particolare: oltre a celare un pugnale (KO-UGI) di piccole dimensioni, può essere usato come cerbottana. NINJUTSU o NINPO.– “Arte del NINJA”. La preparazione completa di uno SHINOBI è particolarmente dura e molto particolare. Il NINJA è un esperto sia nel maneggio di tutte le armi, convenzionali e no, della sua epoca – bianche, da lancio e da fuoco, comprese alcune di sua invenzione – sia di attrezzi ed utensili particolari. Deve conoscere i prodotti chimici – dai veleni alla polvere esplosiva, alle sostanze fumogene e piriche – dall’uso dei quali, spesso, dipende il successo della missione. Atleta, acrobata, equilibrista, si serve di codici per comunicare con i membri del gruppo ed impara ad utilizzare i “Nove Simboli” (KUJI-KIRI), per assicurarsi una magica forza fisica, se non, addirittura, l’invisibilità. È maestro nell’arte dell’inganno (SHINOBI-JUTSU) nonché di scienze “occulte” come l’ipnosi (SAIMIN-JUTSU) e “segrete” (HIDEN) come la KUKI-SHIN RYU. Svilup-pa, con l’addestramento, sensi acutissimi ed un sentimento d’appartenenza al Clan così forte che, in caso (o pericolo) di cattura si uccide immediatamente, per non rivelare né i segreti del NINJUTSU né il Clan di prove-nienza (e, tanto meno, il mandante). È solo nel secondo dopoguerra che quest’Arte è idealizzata dai suoi adepti (NINJUTSUKA), con una aggregazione di mistica buddista ZEN e pratiche Yoga: in realtà, del vero NIN-JUTSU si conosce ben poco, nonostante le scuole tradizionali dove tuttora è praticato – come la TOGAKURE RYU, fondata nel secolo XII da Daisuke Nishina – ed i testi che ne parlano, come l’antico (1676) BANSENSHU-KAI (“Cento, mille Fiumi”) di Fujibayashi, del TOGAKURE RYU, che del NINJUTSU descrive gli aspetti psicofisici. Il NINJUTSU, basato su furtività, trucchi e inganni, è l’antitesi dell’AIKIDO, anche se pare che UESHIBA MORIHEI abbia studiato anche quest’Arte. NINJUTSUKA. – “Chi pratica il NINJUTSU”. È termine moderno. NINYO. – “Umanità”. È quella che, secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve possedere. [si veda BUSHIDO] NIPPON. – “Paese del Sol Levante”. Si veda NIHON.

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NIPPON SHORINJI-KEMPO. – È il nome assunto nel 1972 dallo SHORINJI KEMPO, quando questo si giappo-nesizza completamente, nella terminologia (con piccole varianti) e nell’abbigliamento: KEIKOGI bianco – a-dorno di un emblema del Buddismo esoterico, la SVASTICA, ricamata sulla falda sinistra del GI – con sovrap-posta una tunica nera, senza maniche, legata in vita da un grosso cordone a mo’ di cintura. Gli adepti (non soltanto monaci ZEN!), attraverso l’addestramento nel KEMPO e la meditazione ZAZEN, allenano corpo e spiri-to, secondo l’insegnamento del KONGO-ZEN. Il tempio principale (più che Arte Marziale, questa è una forma di pratica filosofico-religiosa) del NIPPON SHORINJI-KEMPO è nell’isola Shikoku, a Tadatsu, Prefettura di Kaga-wa. NISHIKI. – “Broccato”. NISSOKU-ITTO-NO-MA-AI. – “Distanza ideale” tra due avversari armati di spada. Corrisponde a circa 4-5 passi. [si veda MA-AI] NITEN. – Soprannome attribuito a MIYAMOTO MUSASHI, per l’abitudine che ha di combattere con una spada per ogni mano, una lunga (DAI-TO, KATANA) ed una corta (SHO-TO, WAKIZASHI). È anche il soprannome del suo stile di KEN-JUTSU e della scuola da lui fondata, l’EMMEI RYU, conosciuta anche come NITO ICHI RYU. NITO. – “Due spade”. NITO ICHI RYU. – “Scuola delle due Spade”. È l’altro nome – il soprannome è NITEN – con cui è conosciuta l’EMMEI RYU, scuola di KEN-JUTSU fondata da MIYAMOTO MUSASHI. NIWA JUROZAEMON. – Vero nome di ITSUSAI CHOZANSHI, autore del TENGU GEI-JUTSU-RON, “Trattato sulle Arti Marziali dei Tengu”. NO. – “Di”. Preposizione con significato di appartenenza; particella possessiva. NOBORI. – “Pendio”. NOBUKUNI. – Celebre fabbro attivo nella prima metà del 1700. NOBUSHI. – “Coloro che dormono in pianura”. “Guerrieri delle Pianure”. Sono monaci-guerrieri, apparte-nenti principalmente ai grandi monasteri buddisti delle pianure, contrapposti – almeno nelle opere letterarie di contenuto epico del secolo X – ai “Guerrieri dei Monti”, gli YAMABUSHI. NODA HANKEI. – Armaiolo attivo alla metà del 1600. NO-DACHI. – “Spada da battaglia”. È molto lunga (fino a 180 cm) e pesantissima. Pare che l’uso della NO-DACHI risalga alla guerra Nambokucho, la guerra civile tra i sostenitori dell’Imperatore GO-DAIGO e quelli degli SHOGUN ASHIKAGA (1336-1392). È questo un periodo di innovazioni belliche, tra cui la sostituzione della classica YOROI con la più maneggevole DO-MARU e l’introduzione di cosciali e ginocchiere; l’uso di sandali di paglia in luogo di stivali pesanti; il sollevamento della gronda (SHIKORO) dell’elmo, per rendere più agevole il maneggio delle armi. In battaglia la NO-DACHI si porta sulla schiena, appesa ad una tracolla, con TSUKA (el-so) sporgente sopra la testa, a sinistra e taglio in basso. Come tutte le armi da combattimento, ha fornimenti semplici, TSUBA di ferro e SAYA di legno. Prima della battaglia e durante i trasferimenti, normalmente, è tra-sportata da un apposito incaricato. Anche O-DACHI. NODACHI-JUTSU. – È un’antica forma di combattimento, praticata a cavallo. Il BUSHI è armato della spada da battaglia NO-DACHI, lunga almeno un metro e mezzo, che normalmente rotea in ampi fendenti. Non si ha notizia di scuole dove il NODACHI-JUTSU sia insegnato. Anche O-DACHI-JUTSU. NODO. – “Gola”. NODOWA. – GORGIERA dell’armatura. I primi modelli, di cuoio ricoperto con pelle di RAZZA (SAMÉ), sono fo-derati di broccato. In seguito sono utilizzate placche laccate e allacciate, piastre di metallo trapunte e legate o anche maglia di ferro. La NODOWA si chiude dietro il collo con cordoncini, mentre alcune varianti utilizzano ganci (meguriva) o fibbie (eriva).

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NOGARE. – Tecnica di respirazione rapida, praticata soprattutto dai KARATEKI (stile KYOKUSHINKAI-KAN) nelle parate. Si inspira dal naso e si espira, attraverso la bocca socchiusa, con percepibile suono gutturale, ven-trale, come nell’IBUKI e, come per l’IBUKI, la respirazione violenta dà luogo al KIAI. NOGI KITEN MARESUKE. – (1849-1912) Generale. Oltre che per la carriera miliare (guerre contro Cina, 1894/95 – diventa governatore di Taiwan – e Russia, 1904/05 – vittorie di Port Arthur e Mukden) è ricordato per l’ultimo atto della sua vita, lo JUNSHI (suicidio rituale) compiuto, insieme con la moglie, alla morte dell’Imperatore Mutsuhito. NOH. – Genere teatrale. È creato da Zeami Motokiyo (1363-1444), il quale dà forma definitiva a rappresen-tazioni precedenti, che si rifanno a manifestazioni artistiche cinesi. Dal carattere notevolmente simbolico, si compone di danza, recitazione, canto e musica; gli argomenti sono tratti dalla storia e da leggende nazionali, con finalità d’educazione spirituale. Più stilizzato del KABUKI, il teatro NOH ha subito pochi cambiamenti nel tempo, ed è rappresentato ancor oggi da soli attori maschi, spesso mascherati, per un pubblico selezionato di intenditori. Nel Periodo EDO (1603-1868) questa è l’unica forma teatrale, classica e discreta, ritenuta se-ria, adatta ai SAMURAI e degna dell’aristocrazia. NOJO-JUTSU. – Metodo di lotta. Consente di legare un avversario utilizzando due corde. È ancora inse-gnato in alcune scuole, come il TAKENOUCHI RYU. NOROSHI-JUTSU. – Tecniche di segnalazione con il fuoco. Appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). [si veda anche “ Antiche arti da guerra”] NOTO. – È l’azione di rinfoderare la spada, dopo averla pulita (CHIBURI), scolando il sangue dalla lama. Il noto è l’ultima fase, quella che segue NUKI-TSUKE (“sguainare”), KIRI-TSUKE (“tagliare”) e CHIBURI. E’ una delle tecniche di base (SHODEN) dello IAIDO. NU-BOKO. – “Lancia Gioiello del Cielo”. Appartiene alla mitologia dell’antico Giappone, secondo la quale la coppia di dei IZANAMI-NO-MIKOTO e IZANAGI-NO-MIKOTO creano le isole giapponesi scagliando questa lancia nell’oceano. Per la leggenda, la NU-BOKO è a forma di wa-bashira (“colonna di maschio”: sottintende un qualche tipo di culto fallico nel Giappone preistorico), termine che, di solito, indica i pilastri terminali e pali di una ringhiera o del parapetto di un ponte. NUHI. – Si veda GENIN. NUKAZU NI SUMU o KEN-NO-SHINZUI. – “Arte di risolvere i problemi senza usare la Spada”. Ben applica-ta da TSUKAHARA BOKUDEN, quest’arte è tipica della dottrina “senza spada”, MUTO. NUKIDE-NO TSUKASA. – Carica ufficiale istituita, nel 719, dall’Imperatrice Gensho (715-724) per la ricerca dei migliori SUMOTORI del Paese, in vista del torneo SECHI-E-ZUMO. NUKI-TSUKE. – “Sguainare”. È l’azione di estrarre la spada dal fodero, per colpire (“tagliare”: KIRI-TSUKE) immediatamente l’avversario. Il movimento deve avvenire prima che questo possa estrarre a sua volta. Al NUKI-TSUKE seguono CHIBURI (“pulire la lama”) e NOTO (“rinfoderare”). E’ una delle tecniche di base (SHODEN) dello IAIDO. NUKI UCHI. – Tecnica di taglio “diagonale”. NUKI WAZA. – “Tecniche di finta”. NUNCHAKU. – Arma da botta, flagello. Deriva dall’attrezzo agricolo destinato a battere la paglia di riso (SO-SETSU-KON) ed è originaria dell’isola d’OKINAWA. Il NUNCHAKU, formato da due bastoncini (in legno o metallo) uniti fra di loro da una catena o una corda, è molto efficace anche contro un avversario armato di spada. Il Nunchaku-jutsu, l’arte di usare il NUNCHAKU, appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). Il nunchaku a tre sezioni si chiama SAN-SETSU-KON. NYUNAN SHIN. – “Leggerezza dello Spirito”. Si veda JUNAN SHIN.

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- O - O. – “Grande”; “grosso”, OBI. – “Cintura”. Nelle Arti Marziali, normalmente, s’indossano cinture – di tessuto spesso, lunghe tanto da girare intorno alla vita un paio di volte ed alte circa 5 cm – di un colore corrispondente al livello di apprendi-mento [si veda KYUDAN]. OBI-KUATSU. – Massaggio lombare, alla cintura. Rientra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU particolari, adatti a traumi e dolori pelvici – quindi sia di rianimazione sia antalgici – attuati con percussioni riflessogene. OBITORI. – Anello dell’occhiello di SAYA per TACHI. OBOERU. – “Ricordare”; “memorizzare”. O-BOSHI. – Elmo di tipo HOSHI-KABUTO. O-DACHI. – “Grande spada da battaglia”. È usata per combattere da cavallo. [si veda TACHI] O-DACHI-JUTSU. – Si veda NODACHI-JUTSU. ODA NOBUNAGA. – (1534-1583) Esponente di spicco della Famiglia feudale Oda. Avversario del Buddi-smo, occupata KYOTO (1568) tenta non solo di unificare il Paese, ma anche di ripristinare l’autorità imperiale – tanto che, pur avendo il titolo di “generalissimo”, non si fa nominare SHOGUN, dopo aver sconfitto e depo-sto (1573) l’ultimo SHOGUN del Clan ASHIKAGA, Yoshiaki; fino al 1603 non ne sono nominati altri. Morto sui-cida (per cause ignote), alla guida dell’esercito imperiale gli succede TOYOTOMI HIDEYOSHI. Memorabile, tra le altre sue imprese, la campagna di sterminio condotta nel 1581 contro i Clan Ninja della provincia d’Iga: 45.000 guerrieri faticano ad aver ragione di circa 4.000 SHINOBI, quasi tutti uccisi in battaglia o crocifissi dopo la tortura. ODOME. – Pratica di combattimento a mani nude. Si veda OSHIKI-UCHI. ODORI. – “Danze tradizionali”. ODOSHI. – Termine che indica il sistema di unione delle piccole piastre (KOZANE) che costituiscono la coraz-za dell’armatura giapponese. L’armatura giapponese è caratterizzata da numerosissime peculiarità: il mate-riale dei cordoncini (o stringhe o trecce) che uniscono le piastre (ed il loro colore e le varie combinazioni di colori…), il numero e la posizione delle piastre e addirittura dei fori nelle piastre. Soprattutto, però, è il tipo d’allacciatura che contrassegna i diversi periodi (antico, medio, moderno) in cui si divide l’armatura giappo-nese; in tali epoche abbiamo solo tre tipi d’allacciatura: KEBIKI, SUGAKE (o arame) e SHIKIME (o chikiri odoshi). Variano dimensione e posizione delle KOZANE, numero e collocazione dei fori di fissaggio e, conseguente-mente, numero dei passaggi di cordoncino nei fori. OGASAWARA RYU. – Antichissima scuola, ancora attiva, di YABUSAME (“tiro con l’arco da cavallo”), fondata durante il Periodo KAMAKURA (1185-1333). L’abbigliamento dei praticanti è il caratteristico costume da cac-cia feudale.

– Antico (secolo XIV) RYU di KYU-JUTSU (“tiro con l’arco da guerra”), ancora attivo, il cui caposcuola è anche ora un discendente della Famiglia OGASAWARA, nell’omonima isola. Nel RYU è tutto-ra osservata l’originaria etichetta (REI-SHIKI), che influenza il comportamento degli allievi non solo nella scuo-la, ma anche nella vita privata. OGI o SENSU. – “Ventaglio di tipo pieghevole”. È simile ad un settore di disco; può avere sia un utilizzo funzionale sia una valenza rituale e può essere d’uso personale o “da guerra”. Pare che l’origine dei VENTA-GLI pieghevoli sia giapponese: durante la Dinastia cinese Song, le cronache narrano le continue importazioni di tali accessori, chiamati appunto “ventagli giapponesi”. OGURI NIEMON. – SAMURAI. Nel 1616 fonda l’omonima scuola di JU-JUTSU, adattando tecniche di KUMI-UCHI (lotta senz’armi, ma con indosso l’armatura) a praticanti in abiti normali.

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OGURI RYU. – Scuola di JU-JUTSU. La fonda nel 1616 OGURI NIEMON. I praticanti di WA-JUTSU (“Arte della Pace”) fanno risalire a questo RYU l’origine (ideale) della propria scuola. OHAYÒ GOZAIMASU. – “Buon giorno”; si usa la mattina presto, quasi come “ben alzato”. O-ICHO-MAGE. – Acconciatura dei SUMOTORI [si veda]. OISHI SHINKAGE RYU. – Scuola di KENDO, fondata da OISHI SUSUMU. Le tecniche della scuola si basano più sull’uso della forza, che su agilità e flessibilità. Gli allievi dello OISHI SHINKAGE RYU, negli incontri, indos-sano caschi (MEN) dalla forma particolare ed impugnano, con una sola mano (katate) uno SHINAI molto lungo. OISHI SUSUMU. – (1798-1865) Maestro di KEN-JUTSU, appartenente allo SHIN KAGE RYU. OISHI YOSHIO. – È il capo dei celeberrimi “Quarantasette Ronin” [si veda la relativa voce, nella seconda parte del Dizionario]. OJIGI. – “Grande saluto” (cerimoniale) nel KENDO. OJI-KAESHI. – “Contrattacco immediato”: risposta che segue una parata (soprattutto in KARATE e KENDO). OJI WAZA. – Tecniche di difesa ed immediato contrattacco (soprattutto in KENDO). OJO. – “Buona morte”. È quella che – per la religione buddista d’impronta AMIDISTA – garantisce la rinascita nel paradiso di Amida, il Buddha della salvezza, “colui che accoglie le anime nel Paradiso dell’Ovest”. Ai Giapponesi del tempo feudale importa soprattutto fare, dopo una vita spesa bene, una buona morte. I BU-SHI, come tutti i loro contemporanei, del resto, sono tradizionalmente tolleranti, dal punto di vista religioso, non formulano dottrine esclusive, accettano culti stranieri e traggono da ogni credenza idee, concetti, ele-menti che possano soddisfarli moralmente e spiritualmente. Così, possono dirsi allo stesso tempo scintoisti, buddisti e confuciani (anche cristiani, più tardi): sono fedeli ai KAMI del Clan (perciò scintoisti); all’occorrenza, sono grandi uccisori di nemici e mangiatori di carne (e cioè, secondo la morale religiosa, nocivi al prossimo); osservano i principi morali di sottomissione, fedeltà ed amore filiale (quindi confuciani); venerano le divinità buddiste e credono nella transitorietà delle cose, nella retribuzione del bene e del male in una vita futura e nella rinascita ultima in paradiso (perciò sono anche buddisti). È piuttosto comune che, dopo una vita pas-sata al servizio di qualche Signore, i BUSHI prendano i voti e si facciano monaci, ritirandosi in qualche tem-pio. OKADA MORIHIRO. – (1893-1984) Maestro di KENDO, IAIDO, JUDO, KARATE e SHODO. O-KAMA-YARI. – Tipo di KAMA-YARI. OKINAWA. – Isola dell’arcipelago delle Ryukyu, il cui nome significa, letteralmente, “una corda gettata nell’acqua”, a descriverne il profilo stretto e contorto. Le Ryukyu sono il secondo gruppo di isole, per gran-dezza, a sud di quello principale – che è costituito dalle isole Hokkaido, Honshu, Kyushu e Shikoku – ed a metà strada tra Kyushu e Taiwan. Invasa prima dai cinesi (secolo XVI) e poi dai giapponesi (Clan SATSUMA di Kyushu, secolo XVII), è sottoposta ad una ferrea occupazione militare, tanto dura quanto contrastata. La resistenza degli abitanti l’arcipelago è così tenace che gli occupanti decidono di proibire agli indigeni la de-tenzione di qualsiasi tipo d’arma, tanto che – si racconta – gli abitanti d’ogni villaggio possono servirsi di un unico coltello, incatenato ad un palo e sorvegliato da un guerriero. Contadini e pescatori – alcuni di questi ultimi hanno anche imparato, in Cina, tecniche di KEMPO – trasformano con successo i propri attrezzi in armi (EKKU, TONFA, NUNCHAKU, JITTE…), elaborandone anche i criteri d’uso, ma, soprattutto, s’inventano fantasiosi ed efficaci metodi di combattimento a mani nude. Lo studio delle tecniche di combattimento a corpo a cor-po, soprattutto di derivazione cinese, è così sviluppato che ogni zona ha un proprio stile ed i metodi prendo-no nome dalle città dove sono praticati: NAHA-TE (“mano di Naha”), SHURI-TE (“mano di Shuri”), TOMARI-TE (“mano di Tomari”) eccetera. L’insieme dei diversi stili va sotto il generico nome d’OKINAWA-TE (“Mano d’OKINAWA”) o TO-DE (“Mano Cinese”). I SAMURAI verificano in fretta, sulla loro pelle, l’efficacia di questi si-stemi di lotta e presto se ne impadroniscono, dando origine – in patria – a tutta una serie di stili d’Arti Marzia-li, tra cui spicca il KARATE.

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OKINAWA KARATE-DO. – È il termine che identifica il gruppo di tutte le tecniche di KARATE originarie d’OKINAWA. Gli stili insegnati nell’isola sono raggruppati nell’associazione Okinawa Karate-do Renmai. OKINAWA-TE o TO-DE. – “Mano d’OKINAWA” o “Mano Cinese”. È il termine che indica l’insieme delle tecni-che di combattimento a mani nude originarie d’OKINAWA. In sostanza, si tratta della versione originale del KARATE, poi codificato da FUNAKOSHI GICHIN e modernizzato dal di lui figlio, FUNAKOSHI YOSHITAKA. OKI RYU. – Scuola di IAI-JUTSU fondata, nella seconda metà del secolo XV, da Katayama Isayasu nel san-tuario di Katayama, sulla montagna di Atago. OKUDEN. – “Insegnamento segreto”. È la “trasmissione profonda”, prevista nell’antico sistema di classifica-zione del BUGEI. Il Maestro impartisce gli insegnamenti esoterici (HI-GI) solo a quegli allievi – da lui scelti – ri-tenuti meritevoli ed affidabili, il cui comportamento si confà alle regole del gruppo e che giurano di custodire gli insegnamenti ricevuti per tutta la vita, senza rivelarli agli estranei. OKU-IAI. – KATA di Iaido, eseguito in posizione eretta (TACHI: 13 movimenti) o seduta (SUWARI: 8 movimenti). L’OKU-IAI rientra tra gli “insegnamenti segreti” (OKUDEN). OKURI. – “Coppia”; “entrambi”. OKURI ASHI. – “Spostamento base” (TAI SABAKI) dell’AIKIDO. Si esegue, mantenendo la guardia, facendo scivolare in avanti il piede anteriore, mentre il posteriore, prima che l’altro completi il passo, scivola avanti. I talloni quasi si toccano, i piedi non si sollevano dal suolo. Può essere in avanti o indietro. Fa parte degli e-sercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). OKUYAMA RYU. – È la scuola di KEN-JUTSU che Okuyama Magojiro (1525-1602) fonda, ispirandosi all’AIZU KAGE RYU di AIZU IKO. OKUYAMA TADENOBU. – È il fondatore dello SHINKAN RYU, scuola di KEN-JUTSU ispirata all’AIZU KAGE RYU di AIZU IKO. OKUYAMA YOSIJI. – Adepto del DAITO RYU AIKI-JUTSU, è il fondatore (1938) dell’HAKKO RYU, scuola di JU-JUTSU. OMICHI. – Armaiolo attivo alla fine del 1700. OMORI RYU. – Stile e KATA di IAIDO. È una scuola, fondata dal Maestro OMORI SOEMON MASAMITSU e poi confluita nel MUSO SHINDEN RYU, che predilige tecniche da posizione seduta (SEIZA o SUWARI). Questo KATA, composto di dodici movimenti di base, con partenza dalla posizione assisa, permette di assimilare i principi (JO) dello IAI. Ogni movimento comprende le quattro fasi tipiche dello IAIDO – NUKI-TSUKE (“sguainare”), KIRI-TSUKE (“tagliare”), CHIBURI (“pulire la lama”), NOTO (“rinfoderare”) – che costituiscono lo SHODEN, l’insegnamento base dello IAIDO. OMORI SOEMON MASAMITSU. – È il fondatore dello stile, e della scuola, OMORI RYU di IAIDO. OMOTE. – “Fronte”; “di fronte” (rispetto all’avversario). “Esterno”. “Positivo”. “Sopra”. “Tecnica eseguita “in entrata”. È un metodo d’esecuzione delle tecniche che, in AIKIDO, quasi sempre, si possono eseguire sia in OMOTE WAZA [di fronte, entrando davanti all’avversario; diretta] sia in URA WAZA [da dietro, entrando dietro l’avversario; circolare]. OMOTE rappresenta principalmente l’aspetto apparente delle cose, l’esterno, la loro facciata.

– È l’insegnamento impartito a quegli allievi che ancora non sono in grado di ricevere la “trasmis-sione profonda” (OKUDEN) del loro Maestro. OMOTO-KYO. – Religione fondata da DEGUCHI ONISABURO (o WANISABURO) e Deguchi Nao. Si afferma nel 1913 ed è potentissima tra il 1919 ed il 1921, sconfinando nell’attivismo politico e paramilitare. Le autorità intervengono contro la chiesa ed i suoi fedeli già nel 1921, poi, assai pesantemente, nel 1935 (quando i se-guaci sono oltre due milioni) ed ancora nella prima metà degli anni ’40. I capi ed i semplici adepti sono arre-stati, perseguitati, oppressi, imprigionati per lungo tempo. UESHIBA MORIHEI, che si avvicina a questa dottrina

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nel 1918, partecipa alle attività, esplicite o meno, della chiesa – compresi il viaggio in Mongolia nel 1924 e la funzione di Istruttore capo nel DAI NIHON BUDO SENYO-KAI – e vi ricopre ruoli di tutto rilievo, rimane sempre fedele alla filosofia dell’OMOTO-KYO. In Giappone, dalla la morte di DEGUCHI ONISABURO, avvenuta nel 1948, l’OMOTO-KYO non ha più significativa rappresentanza né particolare influenza, divisa com’è in fazioni. ONAJI. – “Stesso”. ONAJI KAKUDO. – “Stesso angolo”. ONAKA. – “Addome”. ONEGAISHIMASU. – “Per favore”. ONI. – “Demone”, “diavolo”. ONI-KOTE o KOTE. – Manopole dell’armatura per scherma TAKE GUSOKU, usata nel KENDO. Si definiscono anche UCHI-KOTE. ONNA. – “Donna”. ONNAGATA. – Attore del teatro KABUKI che interpreta un ruolo femminile. Il successo di questi attori, dopo il bando definitivo (1647) delle donne, è assoluto ed i teatri sono affollati da un pubblico pronto a compiere follie per i bei giovani sul palcoscenico, come altri, prima, hanno fatto per le attrici. Per ovviare all’imposto taglio del ciuffo sulla fronte – cosa che fa somigliare gli ONNAGATA ai SAMURAI, rendendoli meno attraenti – gli attori iniziano ad usare parrucche, abuso che nessun decreto shogunale riesce a reprimere. ONO. – “Scure da guerra”. Il grande ferro, a taglio convesso da 25 cm e grossa penna spiraliforme, è mon-tato su un’asta lunga fino a 210 cm, mentre la SAYA copre unicamente il taglio. Si trovano anche ONO dalla forma d’ascia d’arme all’europea. A volte l’ONO è unita ad una SU-YARI, per formare una sorta d’alabarda. Tra le non molte scuole ad insegnare l’uso di quest’arma è la SHINDEN FUDO RYU, antica scuola tradizionale di YARI-JUTSU. ONO-HA ITTO RYU. – Branca (HA) della scuola ITTO RYU. Fondatore è ONO TADAAKI, allievo di ITO ITTOSAI KAGEHISA. È una scuola d’estremo prestigio ed anche gli SHOGUN la frequentano. Caratteristica principale dello stile è la ricercata capacità di eliminare l’avversario con un unico colpo di spada. ONO TADAAKI. – (1565-1628) Maestro di spada. Appartiene alla scuola ITTO RYU di ITO ITTOSAI KAGEHISA, di cui è discepolo. ONO TADAAKI è il Maestro di NAKANISHI CHUTA. ONSHITSU. – “Bagni caldi” (di vapore). ONSEN. – “Bagni”; “stabilimenti balneari”. ORENAI TE. – “Braccio inflessibile”. [si vedano “ Considerazioni sul KI”] ORIGAMI. – Tecnica artistica, diffusa soprattutto dal secolo XVII, consistente nel piegare più volte un foglio di carta, di regola senza l´uso di forbici e colla, in modo da ottenere figure bi- o tridimensionali di persone, fiori, animali, oggetti diversi. ORU. – “Spezzare”. OSAE. – “Pressione”; “immobilizzazione”; “controllo”. Viene da OSAERU, “tenere”. Sinonimo, per “controllo”, è KATAME. OSAERU. – “Tenere”; “premere in basso”. OSAE WAZA o KATAME WAZA. – “Tecniche di controllo” (con immobilizzazione). O-SEI-KUATSU. – “Grande procedimento autentico”. È un KUATSU ad azione globale, praticato su paziente in posizione seduta, che richiede l’intervento di due operatori. [si veda SO-KUATSU]

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O-SENSEI. – “Grande Maestro”. È titolo attribuito a pochi, eccezionali personaggi, tipicamente il fondatore di una scuola come, ad esempio, UESHIBA MORIHEI, Kano Jigoro, FUNAKOSHI GICHIN. OSHI. – “Spingere”, “premere”. OSHIERU. – “Insegnare”. OSHIKI-UCHI. – “Tecniche segrete”. Tecniche di combattimento senz’armi che la Famiglia TAKEDA sviluppa seguendo la dottrina AIKI-IN-YO-HO. L’insegnamento di questo sistema – noto anche come ODOME o AIZU-TODOME – è inizialmente riservato ai SAMURAI di rango superiore. Uno dei più famosi Maestri di OSHIKI-UCHI è TANOMO SAIGO HOSHINA CHIKAMASA, insegnante anche di TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI. OSHI TAOSHI. – “Chiave articolare di braccio (UDE HISHIGI), con spinta”. Si esegue applicando una pressio-ne sul gomito di UKE. Fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a loro volta della gamma KAN-SETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME od OSAE WAZA). O-SOTO. – “Grande esterno”. OTAKEBI. – Movimento per concentrare immediatamente tutte le energie. Segue normalmente ad un eser-cizio o ad una serie di esercizi respiratori. Le mani sono all’altezza della fronte, le dita intrecciate, i palmi verso il basso: esprimendo un KIAI (ei!) potente, si spingono con forza le mani in basso, fino all’ HARA. OTA-KEBI può paragonarsi ad una forma di autosuggestione, che provoca l’immediata concentrazione di tutte le energie. OTANI SHIMOSA KAMI SEIICHIRO. – (1789-1844) Celebre spadaccino. Appartiene allo JIKISHIN KAGE RYU, dirige il KOBUSHO (scuola shogunale d’Arti Marziali) ed è il Maestro di CHIBA SHUSAKU. Gli è attribuito il titolo di “Grande spadaccino” (CHO-ICHI-RYU). OTEN. – “Rotolare di lato. OTOKO. – “Uomo”. OTOKODATE o KYOKAKU. – “Uomo virile”, “uomo coraggioso”. È l’uomo che ha raggiunto il perfetto auto-controllo, grazie anche alla pratica delle Arti Marziali. Nell’immaginario collettivo della sua epoca è l’uomo di forte carattere ed animato da spirito cavalleresco, difensore di deboli e perseguitati. OTONASHI NO KEN. – “La spada silenziosa”. OTOSHI. – “Far cadere”. Viene da OTOSU, “cadere”. OTOSU. – “Cadere”, “lasciar cadere”; “gettare”; “abbattere”. OTSUBO RYU. – Antica (secolo XV) scuola di BA-JUTSU. L’OTSUBO RYU, che utilizza lo YUMI e la NO-DACHI, è la più famosa scuola di equitazione militare destinata ai BUSHI. O-TSUCHI. – “Mazza ferrata”. Tra le non molte scuole ad insegnare l’uso di quest’arma è la SHINDEN FUDO RYU, antica scuola tradizionale di YARI-JUTSU. OTSUKA HIDENORI. – (1892-1982) Studioso di JU-JUTSU allo SHINDO YOSHIN RYU e quindi allievo di FUNA-KOSHI GICHIN, è il fondatore (1939) dello stile WADO RYU di KARATE. Questo stile predilige agilità, morbidezza e flessibilità piuttosto cha la forza, nell’esecuzione delle tecniche. OTSUKA HIDENORI vuole rendere il KARATE una disciplina essenzialmente spirituale. O-UCHI. – “Grande interno”. OWARI. – “Fine”. OYASUMINASAI. – “Buona notte”.

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OYAYUBI. – “Dito pollice”. OYAYUBI NUKITE. – Tecnica di affondo, con il pollice, agli occhi dell’avversario. O-YOROI. – “La Grande Armatura”. Tipo di armatura YOROI. [si veda] OYO WAZA. – “Tecniche applicate”.

- P - PAO. – Schermo rigido, imbottito, solitamente rettangolare (cm 30x60). È utilizzato come bersaglio per tec-niche di pugno o calcio, retto da un altro praticante o fissato al muro.

- Q -

- R - RAIFU. – “Ascia di pietra”. RAN DORI. – Neutralizzazioni d’attacchi in dinamica di più UKE. “Combattimento libero”, inteso contro più avversari. Può essere in TACHI WAZA, SUWARI WAZA, HANMI HANTACHI WAZA, USHIRO WAZA o combinazioni varie. È la lettura giapponese di due caratteri cinesi: louan (confuso) e tsiu (presa). REI. – “Rispetto”, “venerazione”. “Saluto”. L’Etichetta del DOJO (REI-SHIKI) prevede che i BUDOKA salutino l’Istruttore e si salutino tra loro prima e dopo ogni allenamento; inoltre, devono salutarsi tra loro all’inizio ed alla fine di un incontro. Questo “saluto secondo le regole” (RITSU-REI) può avere denominazione diversa, se-condo l’Arte o Disciplina Marziale praticata, e si può eseguire in piedi (TACHI-REI) o seduti (in ginocchio), con il capo diritto e leggera inclinazione del corpo (HAI-REI) piuttosto che con mani e fronte a terra (ZA-REI). Reigi-sa-ho è un sinonimo di REI.

– “Il giusto comportamento”. Uno dei sette punti del BUSHIDO. [si veda] REIGI. – “Etichetta”. Espressione del mutuo rispetto all’interno della società. Modo per prendere coscienza della propria posizione nel contesto sociale; non è sovvertibile. [si veda anche DAI-SHO; KATANA] REISHA. – “Tiro cerimoniale” (nel KYUDO, ma non solo). È un rito scintoista, con l’officiante, l’arciere, in co-stume tradizionale (ma si scopre la spalla sinistra, per evitare impaccio nel tiro), EBOSHI compreso. Si cele-bra lo “spirito” della freccia, che è tramite fra arciere e bersaglio, uniti nell’”armonia del KI” (AIKI). La prima freccia che viene scoccata è una “freccia fischiante” (KABURA-YA), a scacciare gli spiriti maligni. Quando la cerimonia è particolarmente importante, il tiro cerimoniale si chiama DOSHA. REI-SHIKI. – “Regole del Cuore”. “Cerimoniale”. È l’”Etichetta” del DOJO, che alcune scuole tradizionali os-servano con rigore assoluto. Numerose sono le regole di comportamento che un praticante deve seguire all’interno del DOJO. Tra le più importanti – e comuni a tutte le Discipline – ci sono l’educazione, la corret-tezza ed il rispetto, verso il Maestro o Istruttore, verso gli altri allievi, verso il DOJO in sé. Non si tratta di compiere solamente gesti rituali, ma di riscoprire (attraverso un atteggiamento modesto, generoso, compas-sionevole) proprio quelle “Regole del Cuore” che consentono di vivere l’esperienza del DOJO come un arric-chimento costante. REN RAKU. – “Successione di attacchi”. RENSA-SANKAKU. – “Tecnica dei tre bastoni”. È un metodo particolare, ideato nella scuola TAKAGI RYU, per la difesa contro un attacco di spada. RENSHI. – “Chi ha il controllo di sé”. “Maestro Esterno”; “assistente Istruttore”; “aiutante esperto”. Nell’antico sistema di classificazione del BUGEI, si ottiene la qualifica di RENSHI solo con il grado minimo di 4° DAN e tale si rimane fino al 6°. [si veda KYUDAN]

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RENSHU. – “Pratica d’allenamento”. Normalmente indica, in un’Arte Marziale, un periodo di addestramento. REN-TSUKI o RENZUKI. – Tecniche alternate di pugno (soprattutto nel KARATE). RENZOKU-GERI. – Serie di successivi e continui attacchi con tecniche di calcio (soprattutto nel KARATE). RENZOKU-TSUKI. – Serie di successivi e continui attacchi con tecniche di pugno (soprattutto nel KARATE). RI. – “Morale”.

– “Teoria”. – Misura agraria di lunghezza. Vale 36 CHO ed equivale, secondo le Regioni, da 3.900 a 4.300 metri. Un

RI quadrato vale 36 CHO quadrati, cioè 16 km2 circa. RIDATSU-HO. – Tecniche di liberazione da prese, cui normalmente seguono contrattacchi immediati. Sono utilizzate, soprattutto, nello JOSHI JUDO GOSHINHO. RI-GI-ITTAI. – È il principio dell’unità fra teoria (RI) e tecnica (GI). RIN. – Unità base di lunghezza. Corrisponde a 0,303 millimetri. RINZAI o RINZAI-SHU. – Scuola ZEN, una delle due principali rimaste, l’altra è la SOTO (SOTO-SHU). La tra-dizione vuole che sia fondata, nel 1191, dal monaco EISAI, da cui prende il nome. In questa scuola (o setta, che dir si voglia) sono molto utilizzati sia i KOAN sia lo ZAZEN (che si pratica rivolti al Maestro del DOJO) per raggiungere il SATORI. RITSU-REI. – “Saluto secondo le regole”. “Saluto rituale in piedi” nell’AIKIDO. Si esegue a talloni uniti, mani lungo le cosce, busto leggermente flesso in avanti verso la persona cui è destinato. [si veda REI] RITSU ZEN. – Pratiche ZEN eseguite in piedi. RO. – “Vecchio”. Si veda ROSHI. ROFUSE. – Tecniche di lussazione o chiave articolare. Si eseguono, sia con le mani sia con le braccia, agli arti superiori, all’altezza del gomito. ROJU. – “Presidente del Consiglio dello SHOGUN”. ROKKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di sesta classe”. [si veda KYUDAN] ROKU. – “Sei” in sino-giapponese. In giapponese puro è MUTTSU, per contare le persone (NIN) si dice ROKU-NIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa ROPPON. ROKUHARA. – Indica l’intervallo storico dal 1156 al 1185. È caratterizzato dal dominio del Clan TAIRA (o HEIKE). Inizia Età dei Baroni feudali e della nobiltà militare (BUKE), che si protrae fino al 1868. ROKUDAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 6° grado”. [si veda KYUDAN] ROKUNIN. – “Sei”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è ROKU, in giapponese puro si dice MUTTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa ROPPON. ROKUSHAKU-BO. – “Bastone lungo”. Indica il bastone lungo 190 cm (per la precisione 6 SHAKU: 181,81 cm). RONIN. – “Uomo onda”. Così è chiamato (prima del secolo X) il contadino che abbandona il villaggio e si sottrae all’autorità del proprietario (nobile o religioso che sia) della terra. Il termine, soprattutto in epoca EDO (1603-1868) indica il SAMURAI senza Signore, il soldato senza mestiere, come anche un guerriero il cui Si-gnore ha perduto le proprietà (perché morto o caduto in disgrazia). Molti RONIN diventano insegnanti d’Arti Marziali, fondando diverse scuole (anche perché sono obbligati a mantenersi in esercizio); numerosi altri in-

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traprendono attività compatibili con il proprio rango – guardie del corpo, protettori di villaggi eccetera – men-tre parecchi si danno al brigantaggio. I RONIN diventano un problema nel 1651 quando, guidati da Yui Sho-setsu, un RONIN che campa insegnano Arti Marziali, tentano un colpo di stato, che deve iniziare con l’incendio di EDO e l’occupazione del castello; scoperto il loro piano, Yui Shosetsu compie SEPPUKU. Se le ri-volte dei RONIN sono comunque rare, più frequenti sono incidenti e duelli fra RONIN ubriachi o aggressioni ai danni di CHONIN indifesi; questi sono spesso uccisi con la scusa di un’offesa patita: il SAMURAI, infatti, procla-ma il diritto (KIRISUTE-GOMEN) di abbattere sul posto qualsiasi appartenente alle classi inferiori che lo insulti! Altrettanto frequenti sono gli episodi di brigantaggio. Si racconta anche di SAMURAI gregari diretti (katamoto) dei TOKUGAWA che, stanchi degli ozi della guarnigione, si uniscono a bande di malfattori, dandosi al furto ad all’assassinio: sono soprannominati kabukimono (“eccentrici”), per l’abitudine di indossare abiti stravaganti e farsi crescere lunghe basette. I nomi che questi gruppi di malviventi si danno sono fantasiosi (Daisho-jingi-gumi, ad esempio, “la Banda di tutti gli Dei”) ed è notevole l’interesse che suscitano, nella loro qualità di SA-MURAI che combattono per se stessi, fra gli autori di KABUKI e JORURI (sono soprannominati, piuttosto inge-nuamente, OTOKODATE, “uomini coraggiosi che si fanno giustizia da soli”). I più famosi, popolari e onorati RONIN dell’epopea feudale giapponese – oltre al più celebre di tutti, MIYAMOTO MUSASHI – sono i cosiddetti “Quarantasette Ronin”, la cui tragica storia è ricordata ancora oggi come la più autentica interpretazione del BUSHIDO. [si veda AKO-GISHI ed anche la voce “Quarantasette Ronin”, nella seconda parte del Dizionario] ROPPO. – Movimento opposto ad AYUMI ASHI. ROPPON. – “Sei”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è ROKU, in giappo-nese puro si dice MUTTSU, per le persone (NIN) s’usa ROKUNIN. ROSHI. – Titolo onorifico ZEN. È conferito ai grandi Maestri, responsabili di un tempio, soprattutto ZEN. De-riva da RO, vecchio e SHI, maestro. Significa anche “Insegnante principale” ed è, normalmente, il Maestro che segue l’evoluzione di discepolo, assegnandogli, di volta in volta, un KOAN da meditare. RYO. – “Entrambi”. “Doppio”, “con due”.

– Moneta d’oro, in uso nel Periodo EDO (1603-1868). – Territorio, “feudo” di un SAMURAI.

RYO ERI JIME. – “Presa al petto con le due mani incrociate”. UKE afferra i baveri di TORI incrociando le braccia. RYO HIJI DORI. – “Presa ad entrambi i gomiti”. UKE afferra i gomiti i TORI. RYO KATA DORI. – “Presa ad entrambe le spalle”. Presa alle due spalle con due mani. UKE afferra le spalle di TORI. RYOKE. – Suddivisione interna della classe sociale dei contadini, nel Giappone feudale. Fanno parte degli abitanti delle campagne e sono proprietari di terre, che affittano ai GESAKUNIN. RYOKU. – “Forza”; “energia”. RYO MUNE DORI. – “Doppia presa al petto”. Presa al petto con due mani. UKE afferra con le due mani il petto di TORI. RYO-SHINOGI-YARI. – Tipo di YARI, con lama a sezione romboidale. RYO TE. – “Due mani”, “con due mani”. Pure MORO TE. RYO TE ERI DORI. – “Terza presa al bavero”. UkE afferra, con entrambe le mani, il bavero di TORI; questi inserisce un braccio tra quelle di UKE e lo sbilancia, sia mediante un passo indietro sia abbassando il proprio braccio, con movimento circolare, sopra un braccio di UKE. L’azione difensiva prosegue con l’abbassamento del gomito di UKE ed il bloccaggi a terra. RYO TE JIME. – Strangolamento (JIME) a due (RYO) mani (TE), non incrociate.

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RYO TE KATA DORI. – “Quarta presa di polso (o di braccio)”. RYO TE MOCHI o KATA TE RYO TE DORI. – “Presa con entrambe le mani ad un polso”. UKE afferra con le due mani un polso di TORI. RYO TE DORI. – “Presa ad entrambi i polsi”. Presa alle due mani con due mani. UKE afferra con le mani entrambi i polsi di TORI (come avere due GYAKU HANMI contemporaneamente). RYU. – “Drago”.

– “Tradizione marziale”. – “Scuola”, “stile”, “sistema”. Così si chiamano le antiche (talvolta antichissime) scuole dove i SAMURAI

imparano le Arti Marziali, spesso retaggio di insegnamenti segreti, trasmessi di padre in figlio e rivelati solo ai membri del Clan o della Famiglia. Il RYU, a tutti gli effetti, è una corporazione di Maestri, che si perpetua per consanguineità (SEI, in linea diretta o collaterale) oppure no (DAI). Ma è anche una sorta d’entità auto-noma, dotata di una personalità (che condensa quelle degli appartenenti) e che, pertanto, quasi vive di vita propria. Nella tradizione classica, un RYU nasce per un volere divino (tenshin sho) trasmesso al fondatore (SHOSEI o SHODAI) e perpetuato negli insegnamenti che, pertanto, mantengono elementi di misticismo so-vrannaturale. Nella pratica, invece, a far sorgere una scuola d’Arti Marziali può essere tanto il nobile SAMU-RAI – all’interno delle grandi Famiglie Militari (quindi riservata gli appartenenti al Clan), piuttosto che aperta a tutti i BUSHI – quanto il RONIN, stanco di girovagare. Accade che anche appartenenti alla “gente comune” (BONGE, HEIMIN, KOOTSUNIN, TAMI) aprano scuole “marziali”, riservate ai membri delle medesima classe socia-le. Una stessa Arte Marziale può essere insegnata in numerosi, diversi RYU, in ognuno dei quali, magari, s’impara uno stile (RYUGI) differente: in epoca prefeudale e feudale, infatti, ogni Maestro – alla ricerca dell’efficacia assoluta nella propria Disciplina – elabora un metodo personale, studia nuove tecniche, s’inventa variazioni stilistiche. Questo porta non solo al proliferare di “specialità” o “branche” o perfino “scuo-le derivate” (HA), ma anche alla nascita di un numero sempre maggiore di RYU d’Arti Marziali. Normalmente il RYU ha sede nel luogo dove vive il fondatore, meglio se in provincia, lontano dagli “occhi che vedono tutto” (METSUKE: le spie, la polizia segreta dello SHOGUN) e può avere un numero di allievi (RYUSHA, MONJIN o MON-TEI) che varia da poche unità – non caso esiste la tradizione dello SHISODEN, la “trasmissione ad un solo al-lievo” – a centinaia se non migliaia. Ogni Maestro insegna il proprio RYUGI (stile) sia con una “trasmissione profonda” (OKUDEN, destinata agli allievi che sono in grado di riceverla) sia con una trasmissione più elemen-tare, superficiale (OMOTE), per tutti gli altri. Ai SAMURAI, in queste scuole, spesso non s’insegna solo a difen-dersi, ad uccidere e la nozione di “tecnica marziale” (JUTSU, WAZA) è integrata con riflessioni etiche e religio-se e studi filosofici, dando quindi spazio al concetto di “Via” (DO). Molti sono i Maestri che lasciano scritti e registri (MAKIMONO), con l’essenza delle loro tecniche – anche le più segrete, spesso codificate in maniera ermetica, incomprensibili quindi agli estranei – destinati, sovente, ad essere gelosamente conservati negli archivi dalle rispettive scuole. Nel 1843, secondo un censimento ordinato dallo SHOGUN (e riportato nel “Trattato sulle Arti Marziali”, BUJUTSU-RYU SOROKU), in Giappone esistono ancora oltre un migliaio di RYU, ri-spetto agli oltre 9.000 catalogati in epoca prefeudale. Di questi RYU, appena 159 sono ufficiali e, i più impor-tanti, così ripartiti: 61 (o 66, secondo altre fonti) di spada (KEN-JUTSU, IAI-JUTSU), 20 di scherma con la lancia (SO-JUTSU, NAGINATA-JUTSU), 29 (o 20) di combattimento a mani nude (KARATE-JUTSU, JU-JUTSU), 19 di tiro con armi da fuoco (HO-JUTSU, KA-JUTSU), 14 di tiro con l’arco da guerra (KYU-JUTSU), 9 di equitazione (BA-JUTSU) e 5 in cui si praticano Discipline diverse. Tutte le altre scuole sono piccole o sperdute, clandestine ed esoteriche oppure erranti (BUSHI che insegnano occasionalmente, vagando nel Paese) ed oggi praticamente nulla resta del loro patrimonio di tecniche (spesso occulte), esperienze, capacità: estinte le famiglie dei Mae-stri, i libri, i MAKIMONO ed i testi segreti sono stati distrutti. La più antica scuola giapponese, tra quelle tuttora attive, insegna KEN-JUTSU: è il KATORI SHINTO RYU, fondata da IIZASA CHOISAI IENAO. È soprattutto dopo la Restaurazione MEIJI che moltissimi SAMURAI – vittime di un vero e proprio SEPPUKU ideologico e rimasti senza proprietà, lavoro, ruolo e funzione – iniziano ad organizzare pubbliche dimostrazioni di Arti Marziali e delle tecniche fino a quel momento gelosamente custodite e sovente trasmesse nel più assoluto segreto. Il suc-cesso ottenuto spinge molti Maestri al gran passo: non solo aprirono i propri RYU, ma riversano una maggio-re spiritualità nelle Arti insegnate. KANO JIGORO nel 1882 apre la sua prima scuola di JUDO, elaborando nel tempo un metodo (KODOKAN JUDO) che è evoluzione e adattamento dello JU-JUTSU. Al 1922 risale la prima esibizione pubblica di FUNAKOSHI GICHIN e nel 1924 l’Università di Keio istituisce il primo DOJO di KARATE del

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Giappone. È nel 1927 che UESHIBA MORIHEI fonda la sua prima scuola d’AIKIDO. Un recente censimento ha accertato che il numero di scuole d’Arti Marziali, in territorio giapponese, sfiora (ancora!) il numero di 1.000. Ogni anno le autorità di governo scelgono, fra tutte le scuole considerate appartenenti alla “tradizione origi-nale” giapponese, 46 RYU, che partecipano al “Grande Incontro” (TAIKAI) delle scuole tradizionali, al BUDOKAN di Tokyo. RYUGI. – Lo “stile” insegnato in un RYU. RYUKO-NO MAKI. – “Libro del Drago e della Tigre”. È un trattato – d’incerta datazione, ma pare il più anti-co in assoluto – sulle Arti Marziali tradizionali. RYU-NO-GEIKO. – Tipo di allenamento. Rientra nello studio classico (IPPAN-GEIKO). Si veda, nel Libro Pri-mo, il Capitolo “Il metodo d’allenamento”. RYUSHA. – “Praticante, “discepolo” di un Maestro, all’interno di una scuola. Il Maestro gli insegna diretta-mente la Disciplina. RYUTAI. – “Fluido”.

- S - SA. – “Sinistra”. [si veda HIDARI] SABAKI. – “Movimento”, “spostamento”. L’ideogramma SABAKI è composta da due elementi: la mano ed il verbo SABAKU, “separare”. Significa eludere un attacco, compiendo una schivata con un movimento del cor-po, circolare o diretto. Omofono di sabaki, scritto però con altro carattere, si traduce con “giudicare”, “taglia-re un vestito”. [si veda TAI SABAKI] SABAKU. – “Separare” (idea di separare con un coltello). Per estensione: vendere, distribuire, sbrigare un affare; anche riordinare, fare ciò che si deve, decidere ciò che è giusto o falso. SABURAI. – “Quelli che stanno a lato (del Signore)”. Proprietari terrieri e capi dei Clan delle Province set-tentrionali e del KANTO, generalmente vassalli diretti (GO-KENIN) del primo SHOGUN, MINAMOTO-NO YORITOMO, che nel 1192 proclama il BAKUFU di KAMAKURA. Si tratta anche di militari di professione, con incarichi impor-tanti nel BAKUFU, che possiedono truppe – quasi tutte d’origine contadina – e servitori ed in guerra ci vanno a cavallo. Dal secolo XIV in poi il titolo di SABURAI spetta unicamente ai “capi di guerra”, alle dirette dipenden-ze dello SHOGUN ASHIKAGA di MUROMACHI, ed ai nobili guerrieri in servizio alla Corte imperiale (GOSHOZAMU-RAI). SABURARU. – “Tenersi, stare a lato”, “servire”. È da questo termine che nasce il nome originale dei SAMU-RAI, cioè SABURAI. SADO. – “La Via della Meditazione”. È la Disciplina che insegna a meditare, soprattutto in posizione seduta. SAGEO. – È un “cordoncino piatto”, normalmente di seta, che vincola il fodero (SAYA) alla cintura (OBI). Fis-sato all’aletta forata KURIGATA, impedisce che il fodero della KATANA esca del tutto dalla cintura quando si sfodera la lama, anche rapidamente. È presente in tutte le spade delle classi TO (DAI-TO, SHO-TO, TAN-TO), ad eccezione della spada TACHI e di alcuni piccoli pugnali. SAI. – Corto tridente. Si veda JITTE. SAIGO SHIRO. – (1868-…) Allievo della scuola TENJIN SHIN.YO RYU di JU-JUTSU, diventa discepolo di KANO JIGORO. È grazie al talento ed all’abilità di questo allievo – che, tra l’altro, modifica il suo nome originario, SHIDA SHIRO, in SAIGO SHIRO – che il KODOKAN riesce a vincere numerosi tornei, tra cui quello, celebre, orga-nizzato dalla polizia di Tokyo nel 1886. Nel 1888 SAIGO SHIRO è nominato direttore del KODOKAN, ma presto abbandona la pratica del JUDO per dedicarsi al KYU-JUTSU, dove diventa HANSHI (Maestro di 9° DAN).

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SAIGO TAKAMORI. – (1827-1877) SAMURAI del Clan SATSUMA della provincia di Kagoshima, nell’isola Kyu-sho, a servizio del DAIMYO della Famiglia Shimazu. Fautore dell’autorità imperiale, nel biennio 1867/68 col-labora alla restaurazione del potere dell’Imperatore Mutsuhito, del quale diventa Maresciallo di Campo e comandante la Guardia. Sostenitore di un esercito ideale, formato da soli SAMURAI, è contrario alla coscri-zione obbligatoria e si ritira nelle terre del Clan, nella penisola di SATSUMA, provincia di Kagoshima, quando questa è approvata (1873), seguito da migliaia di giovani SAMURAI. Pretesto è il lavoro in una comunità agri-cola, ma in realtà tutti si addestrano nella pratica d’armi. Nel 1874 SAIGO TAKAMORI è raggiunto dall’ex vice Ministro all’Educazione, Eto Shimpei, sconfitto dopo che, per protesta contro la politica governativa in Corea, ha organizzato una sommossa nell’isola, alla testa di 2.000 SAMURAI. Nel 1877 scoppia l’”Insurrezione di Sa-tsuma”, nell’isola di Kyushu, per protesta sia contro la coscrizione obbligatoria sia – e soprattutto – contro la proibizione governativa al porto d’armi di qualsiasi tipo per i civili, compresi i SAMURAI e le loro KATANE. SAI-GO TAKAMORI si ribella al Governo e guida 9.000 uomini (7.000 dei quali SAMURAI, allievi delle scuole private d’Arti Marziali da lui organizzate) contro le truppe dell’armata imperiale, formata da “contadini-coscritti”. I ri-belli utilizzano anche armi da fuoco e artiglieria, ma sono sconfitti entro pochi mesi e SAIGO TAKAMORI com-pie SEPPUKU. La sua persona, per il popolo, incarna la figura ideale del nobile SAMURAI, virtuoso, coraggioso, leale, eroico. SAIGO TAKAMORI è riabilitato nel 1891. SAIHAI. – “Scacciamosche”. “Bastone di Comando”. Lo portano, sul campo di battaglia, i comandanti mili-tari feudali, come segno distintivo e per impartire ordini. Ad un corto manico di legno, con puntale di metallo, è unito un corposo fiocco di robuste striscioline colorate di carta oleata oppure una nappa di cuoio. Dall’instaurazione del dominio MINAMOTO (1192) e, poi, dei reggenti HOJO (1210) – nel Periodo KAMAKURA, 1185-1333 – lo SAIHAI diventa intercambiabile con il GUMBAI che, in seguito (Periodo EDO, 1603-1868), lo soppianta. SAIMIN-JUTSU. – “Ipnosi”. È uno dei campi in cui si specializzano i Ninja, le cui conoscenze nel campo della psicologia pratica sono evolute, complesse e segrete. SAKAGAMI RYUSHO. – (1915-1993) Maestro di KARATE. È allievo, tra altri, dei Maestri Tamagusuku (scuola Tomari-te), Yabiku Moden (allievo diretto di ITOSU YASUTSUNE ANKO) e MABUNI KENWA, cui subentra nel 1952 come caposcuola, il terzo, dell’ITOSU RYU. Nel 1953, a Yokohama, con la dichiarata intenzione di preservare il vero insegnamento del Maestro ITOSU YASUTSUNE ANKO, fonda la scuola Zen Nihon Karate-do Itosu-kai, comunemente conosciuta come ITOSU-KAI. SAKAKIBARA KENKICHI. – (1830-1894) Maestro di KEN-JUTSU e di KENDO. E’ discepolo di OTANI SHIMOSA KAMI SEIICHIRO ed è famoso per aver inventato una tecnica di SHINAI analoga al fendente diagonale (TEMESHI-GIRI) eseguito con la KATANA. Appartiene allo JIKISHIN KAGE RYU e contribuisce, con una lunga serie di dimo-strazioni in tutto il Giappone, dal 1873 in poi, a rendere popolare il KENDO, trasformato in attività sportiva do-po che la proibizione di portare armi impedisce, in pratica, l’allenamento nel KEN-JUTSU. Pare che SAKAKIBA-RA KENKICHI abbia avuto come allievo TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI. SAKÈ. – “Vino di riso”. Detta anche “acquavite di riso”, è una bevanda moderatamente alcolica, ottenuta dalla fermentazione del riso (tre mesi). Di solito si beve caldo. SAKIGAWA. – Rivestimento della punta (KENSEN) della SHINAI. È di cuoio duro. SAKKI. – “Intuizione istantanea”. È quella sorta di “campanello d’allarme” che l’altrui intenzione aggressiva fa scattare nel subconscio di un BUDOKA ben allenato. È questo che gli permette di reagire ancor prima che l’avversario trasformi l’intenzione in azione. SAKOTSU. – “Clavicola”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SAKURA. – “Ciliegio”. Albero del ciliegio. Il fiore di ciliegio è uno degli emblemi del SAMURAI, simboleggian-done la vita transitoria e precaria con la sua fragilità e caducità. SAMA o SAN. – Suffisso per signora, signore, signorina.

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SAMBON. – “Tre”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è SAN, in giappone-se puro si dice MITTSU, per le persone (NIN) s’usa SANNIN. SAMÉ. – Pelle di razza o di squalo. È usata per ricoprire sia l’impugnatura (TSUKA) sia – spesso anche lac-cata – il fodero (SAYA) di armi bianche. La pelle di questi pesci, ricoperta da fitti tubercoli calcarei levigati, è non solo resistente, ma aderisce bene al contatto ed è di bell’aspetto, tanto che la qualità del SAMÉ dipende sia dal colore sia dalle dimensioni delle protuberanze e dalla loro distribuzione. Cronache cinesi antichissi-me già riferiscono sull’uso di pelle di pesce, per ornare l’impugnatura delle spade. SAMPAI. – Posizione che si assume davanti al Buddha o al Maestro. L’allievo o il discepolo ZEN si proster-na, fronte a terra e mani ai lati della testa, palmo in alto. È il modo simbolico di “ricevere i piedi del Buddha”. SAMURAI. – “Uomo di servizio”. Il termine deriva da SABURAI, quelli, cioè, che “stanno a lato” del Signore, per servirlo (e proteggerlo). Più propriamente, SAMURAI è la pronuncia del termine GOSHOZAMURAI, dopo un’evoluzione fonetica. Il titolo di SAMURAI, in seguito, spetta ai guerrieri (SHI) di rango piuttosto elevato, che nascono nelle “Famiglie o Case Militari” (BUKE, BUMON). È il guerriero feudale giapponese per antonomasia [si veda anche BUSHIDO], legato da un rapporto di vassallaggio e dedizione assoluta al DAIMYO, il Signore. Scelti tra la piccola nobiltà rurale, dal secolo IX i SAMURAI costituirono una casta militare esclusiva e privile-giata, caratterizzata dall’elaborazione e dall’osservanza – non sempre rigorosa – di principi ideali e morali particolarmente – ed anche utopisticamente – austeri. Di qualsiasi grado egli sia, comunque, tra tutti i suddi-ti dell’Imperatore, il SAMURAI è l’unico autorizzato a portare la coppia di spade DAI-SHO. All’inizio dell’epoca “prefeudale” (Periodo KAMAKURA, 1185-1333), gli uomini dediti unicamente alle attività guerresche, nelle Province centrali, sono un’esigua minoranza. Nelle province settentrionali e nel KANTO, invece, dove quasi tutti i guerrieri vengono dalla “gente comune” (BONGE, KOOTSUNIN) – ed il pungente freddo dei mesi invernali spinge ad una pratica fisica (guerra compresa) continua – è più consistente la presenza di uomini dediti alle attività marziali, guidati dai loro capi, i SABURAI. Ai tempi della splendida Corte di Heian-kyo (Periodo HEIAN, 794-1156) i guerrieri dell’Est – semplici, rudi, frugali, esperti d’Arti Marziali e, poi, seguaci del KYUBA-NO-MICHI, chiamati “barbari” – hanno in comune con quelli del Nord la frammentazione in Clan, che solo occa-sionali alleanze riuniscono. La devozione incondizionata del SAMURAI al suo Signore, così come la mistica del coraggio e del valore in battaglia, il rispetto per la parola data e il disprezzo per la morte, è certamente in relazione con il suo modo di vedere il futuro e tanto si accorda con la concezione buddista del karma quanto si accompagna alla pietà filiale raccomandata dalla filosofia e dall’etica confuciana e neo-confuciana; la mor-te, in ogni caso, non è ricercata inutilmente. Formalmente, il BUSHI disprezza agi, comodità, denaro, proprie-tà e la vita stessa gli è indifferente, avendo a cuore unicamente la reputazione e l’onore, il proprio e del suo Signore. In realtà, dai tempi delle continue lotte per la supremazia locale (dal Periodo KAMAKURA, 1185-1333, in poi), prima del dominio TOKUGAWA, non si contano i casi di tradimenti, bassezze, fellonie, sotterfugi, inutili crudeltà, avidità, scorrettezze... Sono fatti documentati anche nella letteratura cavalleresca dell’epoca – che, pure, tende a dare un giudizio lusinghiero della classe militare e delle buone qualità dei BUSHI – e ben illustrano le reali condizioni di vita dei guerrieri (il guerriero ideale, anche in Giappone, esiste solo nei ro-manzi). Scomparsa l’austerità dei costumi e la frugalità del vivere quotidiano, sono sempre più apprezzati agi, lussi, comodità. La guerra, in questo, aiuta: non più ragione di vita per il BUSHI, essa diventa l’opportunità per acquisire meriti, accampare pretese, pretendere ricompense, ricchezze e titoli. I Clan guer-rieri non s’immischiano formalmente con gli affari della Corte fino a quando, dopo le tentate (e respinte) in-vasioni mongole, delusi dalle mancate ricompense attese, trovano nell’Imperatore GO-DAIGO (che regna dal 1318 al 1339) la forza unificatrice, il catalizzatore di tutti gli scontenti. La nuova lotta per la supremazia porta all’accentramento nelle mani dei nuovi SHOGUN ASHIKAGA di tutto il potere, sia militare che civile: i SAMURAI, esigua minoranza nel Paese, di fatto controllano l’intero Giappone. Nel Periodo TOKUGAWA il SAMURAI si tra-sforma da guerriero in burocrate – seppur armato – e la sua condizione di abitante della città (l’inurbamento dei SAMURAI risale agli anni dal 1580 al 1610, epoca di costruzione intensa dei castelli e, conseguentemente, delle città-castello) si fa irreversibile, pur se in apparente contrasto con l’ideale rurale del sistema TOKUGAWA. Tale sistema – che è basato sul modello filosofico confuciano – esalta la nobiltà dell’agricoltura, afferma il di-ritto del SAMURAI a governare ed assegna alla posizione sociale più bassa il prototipo del cittadino: il mercan-te. Invero, la nuova realtà economica imposta dai tempi, costringe spesso SAMURAI e mercanti ad essere soci, sia pure riottosi. È il mercante, infatti, che non solo assume il ruolo di trasformare il riso – che è

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l’usuale remunerazione del SAMURAI, soprattutto se di basso rango, come i piccoli funzionari – nel più stabile denaro, ma funge anche da mediatore tra il SAMURAI del Periodo TOKUGAWA ed il BAKUFU, ritirando dai ma-gazzini della Capitale il riso e poi distribuendolo ai SAMURAI, piuttosto che pagando loro l’equivalente in mo-neta o anticipandolo a titolo di prestito. All’inizio dell’Era MEIJI (1867), i SAMURAI rappresentano, ancora, quasi il 5% della popolazione e mantengono un ruolo di prestigio, seppure ormai divisi in SAMURAI d’alto e basso rango (semplicemente BUSHI o BUJIN, quindi) e distaccati dal possesso della terra. Il processo di mo-dernizzazione accelerata (unito a misure specifiche, come la coscrizione obbligatoria, ad esempio) emargina istituzionalmente gli uomini della guerra: quelli di livello inferiore vanno a formare la piccola burocrazia stata-le, mentre quelli d’alto rango, appartenenti alle Famiglie di più antica nobiltà, costituiscono l’élite amministra-tiva, economica e militare del Paese. Il BUSHI, in ogni modo, rappresenta uno dei motivi dominanti dell’ideologia nazionalista e militarista del Giappone moderno. [si veda anche la voce “classi sociali”, nella seconda parte del Dizionario] SAMURAI DOKORO. – “La Carica dei Samurai”. È istituito come quartiere generale militare e di polizia da MINAMOTO-NO YORITOMO, all’inizio della Guerra GEMPEI, ma dopo la disfatta dei TAIRA acquisisce anche un ruolo politico. Il SAMURAI DOKORO pianifica il reclutamento e l’ordinamento delle truppe, controlla le necessità strategiche del governo militare e, in generale, dirige gli affari dei KENIN. Unitamente al MANDKORO (l’amministrazione generale) ed al MONCHUJO (l’ufficio legale), costituisce la snella e semplice struttura orga-nizzativa iniziale dello SHOGUNATO. SAN – “Tre” in sino-giapponese. In giapponese puro è MITTSU, per contare le persone (NIN) si dice SANNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa SAMBON. SAN o SAMA. – Suffisso per signore, signora o signorina. Anche SAMA. Per i SUMOTORI di rango elevato si usa, al posto di SAN, il suffisso seki (o zeki). SANDAN o HON-MOKUROKU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 3° grado”. [si veda KYUDAN] SANGO-KEN. – Nella pratica dello SHORINJI KEMPO indica varie forme di parate e contrattacchi. SANJAMATSURI. – Festa religiosa scintoista. Si tiene, alla metà di maggio (anticamente il 15 gennaio), nel santuario di Asakusa di Tokyo (EDO, un tempo) ed è accompagnata da gare di tiro con l’arco da cavallo (KA-SA-GAKE, YABUSAME) e spettacoli di antiche musiche mistiche e danze sacre (KAGURA). SANKAKU. – “Triangolo”. SANKAKU KAMAE. – Posizione di guardia con i piedi a “T”. SANKAKU TAI. – Posizione triangolare dei piedi, tipica dell’HANMI: la pancia è l’ipotenusa. SANKAKU-YARI. – Tipo di YARI. La lama ha sezione triangolare. SANKIN-KOTAI. – “Presenza Alternata”. È un metodo di controllo adottato dallo SHOGUNATO TOKUGAWA: i DAIMYO sono costretti a trascorrere con regolarità un certo lasso di tempo nella Capitale, in visita alla Corte dello SHOGUN, per rendergli omaggio, affrontando viaggi talvolta lunghi, ma sempre costosi (per non parlare poi della dispendiosa vita a EDO). I FUDAI-DAIMYO nella zona del KANTO (quella più vicina) devono risiedere alternativamente sei mesi a EDO e sei mesi nel loro HAN, per gli altri Signori la permanenza si alterna ogni anno, mentre per i DAIMYO che vivono più lontano e che hanno quindi responsabilità – e pericolosità! – infe-riore il periodo è ridotto: i So di Tsushima, ad esempio, devono risiedere nella Capitale quattro mesi ogni tre anni. Nel 1663, sotto Ietsuna, il SANKIN-KOTAI si evolve: diventa norma obbligatoria una prassi antica e ab-bastanza comune tra i SAMURAI, quella di inviare loro familiari al castello del lontano Signore, a pegno della propria fedeltà. Lo SHOGUN obbliga quindi tutti i DAIMYO a lasciare permanentemente a EDO mogli e figli, in ostaggio. SANKUKAI. – Moderno stile di KARATE. E’ fondato, nella seconda metà del secolo XX, da NAMBU YOSHINAO e, oltre che in Giappone, si diffonde soprattutto negli Stati Uniti. NAMBU YOSHINAO, in seguito, fonda lo stile

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NAMBU-DO di KARATE (più esercizi d’armonizzazione con la natura, basati su tecniche di respirazione addo-minale che Arte Marziale o sport competitivo) e pubblicizza in Europa la scuola SHUKOKAI, sempre di KARA-TE. SANKYO. – “Tecnica numero tre”. “Terzo principio” [si veda KOTE HINERI]. Immobilizzazione del braccio di UKE con torsione del polso. È anche possibile proiettare UKE (SANKYO NAGE), che effettua una caduta indie-tro. Normalmente utilizzata contro prese (anche da dietro) ai polsi, ai gomiti, al bavero ed al petto e fendenti.

– 3° gruppo di esercizi: torsione del polso. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). SANKYO OSAE. – “Terza immobilizzazione”. SANKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di terza classe”. [si veda KYUDAN] SAN-NEN GOROSHI. – “Tecniche segrete a tempo” (SAN-NEN: “tre anni”). Questo termine designa quelle tecniche di ATEMI che provocano una morte ritardata. La tradizione vuole che sia sufficiente, talvolta, sfiora-re l’avversario o colpirlo col leggerezza, ma in punti ben determinati dell’anatomia, per causargli danni i cui effetti può avvertire a distanza di tempo. Solo alcune antiche Discipline del BUJUTSU studiano questo tipo di tecniche, ma forse è più fantasia che realtà, anche se è ben vero che certi colpi subiti possono provocare traumi ritardati. SANNIN. – “Tre”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è SAN, in giapponese puro si dice MITTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa SAMBON. SANNIN-GAKE. – Tre UKE attaccano TORI. SANNIN DORI. – “Tre persone prendono”. SAN-SETSU-KON. – Particolare variante di NUNCHAKU, a tre sezioni. SAN-SO-KUATSU. – “Tre procedimenti integrali”. Serie di KUATSU ad azione globale. [si veda SO-KUATSU] SANTCHI. – Parte superiore esterna dell’avambraccio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SASAKI KOJIRO. – SAMURAI del Clan Mori. È un esperto di “spada da battaglia” (NO-DACHI) e di TESSEN-JUTSU (l’Arte del Ventaglio di ferro); fonda, verso il 1600, la scuola GAN RYU. È soprattutto noto per aver as-sassinato Munisai Shimmen, padre di MIYAMOTO MUSASHI, che poi lo affronta in duello, uccidendolo con un EKKU. SASHIBA. – “Ventaglio da cerimonia”. Si tratta di un grande, imponente oggetto simbolico, usato in cerimo-nie o come ornamento; le prime tracce documentate sull’uso del SASHIBA cerimoniale (a forma di foglia, color vermiglio, issato su un’asta lunga), si trovano negli annali del regno di Yuryaku, Imperatore dal 457 al 479. In effetti, più che di ventagli, si tratta di scudi, grandi e tondeggianti, fatti di vimini intrecciati e portati su di un lungo manico. SASHI-MEN. – Attacco alla gola, con una stoccata. [si veda KENDO] SASHIMONO. – “Insegna araldica”. È una bandiera rettangolare, montata su un’asta di bambù e mantenuta tesa da una bacchetta perpendicolare all’asta. Il SASHIMONO – il cui uso risale al 1573 (Periodo MOMOYAMA) – è fissato al dorso del guerriero mediante attacchi di metallo, all’altezza dei reni, ed un occhiello tra le spal-le. La bandiera riproduce, di solito, il MON del Clan o quello personale del Signore. SASHIYUBI. – “Dito indice”. SASOI. – “Far tornare in sé”. SASOI-KUATSU. – “Schiacciamento addominale”. Tecnica respiratoria che fa parte della serie di KUATSU respiratori (HAI-KUATSU), con associate percussioni riflessogene.

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SA SOKU. – “Piede sinistro”; “lato sinistro”. SASUMATA o FUTOMATA-YARI. – Arma in asta. Ha ferro simile a forcone, ma con due lame anziché pun-te. È montata su asta lunga 2,5 m, laccata, con fasce fermamano. Diffusa nel XVI secolo, alla fine del Pe-riodo EDO (o TOKUGAWA, 1603-1868) è adottata dai vigili del fuoco. SATORI. – “Risveglio” alla verità cosmica. “Illuminazione”. “Lucidità”. È uno stato particolare dello spirito e della mente, un’esperienza diretta: la realizzazione della propria vera natura. Il SATORI può essere tanto un’esperienza improvvisa, quasi esplosiva, quanto il culmine di un graduale processo d’accumulo di cono-scenze ed esperienze, che porta – in un caso e nell’altro – a comprendere la realtà delle cose e le loro inte-razioni con le leggi dell’Universo. Nel corso della vita è possibile sperimentare diversi SATORI – che nulla hanno a che fare con le “estasi” dei mistici cristiani – dato che ogni “illuminazione”, normalmente, riguarda uno spazio-tempo definito e delimitato. La pratica costante, sincera, accurata di una qualsiasi Disciplina del BUDO – così come l’incessante meditazione ZAZEN per alcuni o la riflessione KOAN per altri – può operare quella trasformazione dell’essenza del pensiero del praticante che è il SATORI. Così il O-SENSEI UESHIBA MORIHEI racconta il suo SATORI, la sua esperienza mistica: «Ho iniziato a praticare attorno ai quindici anni, visitando molti Maestri di spada e di Ju-jutsu. Ho padroneggiato in pochi mesi le tecniche segrete di queste scuole, ma nessuna mi soddisfaceva. Così mi avvicinai a diverse religioni, senza peraltro ottenere una ri-sposta concreta. Nella primavera del 1925, nel giardino [dopo un intenso allenamento – N.d.A.], sentii tre-mare l’Universo; uno spirito mi apparve e coprì di un velo dorato il mio corpo. Mente e corpo divennero luce e compresi il cinguettio degli uccelli, essendo consapevole della mente del Creatore. Fui illuminato: l’origine del Budo è l’amore di Dio, lo spirito paterno verso tutti gli esseri. Lacrime di gioia mi scorrevano le guance. Da allora sono consapevole che la Terra è la mia casa e sole, luna e stelle sono ciò che io possiedo; mi so-no liberato da ogni desiderio di posizione sociale, di nome, di ricchezza e anche di essere forte» [N.B.: pare che esistano diverse versioni di questo racconto; questa è tratta da “Pace Doviziosa”, di J. Stevens ] SATSUJIN-NO-KEN. – “La Spada che Uccide”. È uno dei modi di interpretare la Via della Spada, quando ancora non si è abbastanza maturi per capire che c’è molto più che sconfiggere un nemico: esiste anche “la Spada che dà la Vita” (KATSUJIN-NO-KEN). SATSUMA. – Penisola nel sud dell’isola di Kyushu.

– Clan della penisola omonima, nella provincia di Kagoshima. I guerrieri del Clan, celebri per abilità e coraggio, prendono parte attiva, alleati con i Choshu (di quella che ora è la provincia di Yamaguchi) alla lotta per restaurare l’autorità imperiale, dal 1866 al 1868, sotto la guida, anche, di SAIGO TAKAMORI, all’epoca uno dei capi del Clan. I membri della Famiglia Shimazu, DAIMYO della provincia (al cui servizio so-no i SATSUMA), dopo la Restaurazione MEIJI occupano posizioni prestigiose nel nuovo governo, ma SAIGO TAKAMORI [si veda] organizza una rivolta, non riuscita, contro la proibizione governativa al porto d’armi di qualsiasi tipo per i civili e contro la coscrizione obbligatoria. Sconfitto, commette SEPPUKU. SAYA. – “Fodero”. È per arma bianca, sia manesca (lunga o corta) sia in asta. Di solito è in legno (possi-bilmente di magnolia, honoki), in due parti; talvolta è di metallo foderato di legno. La SAYA per arma mane-sca, normalmente laccata, ha guarnizioni che corrispondono a quelle della TSUBA; ad un’aletta forata (KURI-GATA), sporgente dal lato interno, si fissa il cordoncino SAGEO, che vincola il fodero alla cintura. La spada TACHI ed alcuni pugnali di piccole dimensioni non hanno KURIGATA. Sulla cima è presente un anello o punta-le (koiguchi kanagu), mentre una striscia di metallo o corno protegge la custodia per KOZUKA e KOGAI (ura-gawara). Un puntale (KOJIRI) e, sovente, altre guarnizioni (MENUKI) sono fissate al SAYA. Per una sola spada, spesso, esistono parecchi foderi: dal più semplice, di legno naturale, per quando non è usata, a quello quo-tidiano, modesto nei fornimenti; da quello ricoperto di ferro, per la guerra, a quello, lussuoso, da cerimonia. Ad ogni fodero, naturalmente, corrisponde una TSUBA appropriata. Accorgimento particolare: sono previsti foderi doppi, l’esterno ornato – e costoso – l’interno, che entra perfettamente nel primo, rinnovabile, in caso di successive molature della lama. Nel rigido Periodo EDO (1603-1868), quando s’instaura un vero e proprio “culto della spada”, la nuova Etichetta (REIGI) formalizzata – che contempla rigidi rituali concernenti il modo di maneggiare, presentare, ammirare una KATANA – prevede anche che l’urtare un altro SAMURAI con la SAYA

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della propria spada o sfiorare il fodero dell’altrui arma è offesa grave, un atto di sfida che immancabilmente conduce al duello mortale. SAYA-ATE. – “Urto con il fodero”. È un gesto che l’Etichetta (REIGI) considera grave affronto, passibile di morte o, almeno, di duello. Diventa così, talvolta, il pretesto o l’occasione per sfidare o farsi sfidare, al fine di “lavare con il sangue” l’offesa patita. Evidentemente, è anche l’occasione giusta per mettere in pratica l’arte dello IAI-JUTSU! SAYONARA. – “Arrivederci”. SAYO. – “Sinistro/destro”. SAYO UNDO. – “Oscillazione laterale”, con o senza passo: il corpo si bilancia di lato, da sinistra a destra e viceversa. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TAN-DOKU DOSA). SE. – Misura di superficie. Vale 30 TSUBO ed equivale a circa 1 ara. SECHI-E-ZUMO. – Grandioso torneo annuale di SUMO, che si tiene dal Periodo NARA (645-794), cui parteci-pano SUMOTORI di tutte le province giapponesi. I combattimenti hanno luogo nei santuari SHINTO della Corte imperiale e, sotto l’Imperatore Mommu (697-707), alla sua presenza (da cui Sechi-e, “visto dall’Imperatore”), dal 7 luglio. Gli incontri – che hanno un carattere prettamente religioso, apotropaico: servono ad ingraziarsi i KAMI ed avere raccolti abbondanti – sono accompagnati da musiche mistiche e danze sacre (KAGURA). Dal 719 il compito di reclutare i migliori SUMOTORI del Paese spetta all’ufficio del NUKIDE-NO TSUKASA, carica isti-tuita dall’Imperatrice Gensho (715-724). È con l’assimilazione del SECHI-E-ZUMO ad Arte soprattutto militare (dall’anno 868, con un processo concretizzatosi poi nel secolo XII) che il SUMO si divide in due stili, l’uno che acquisisce una connotazione prettamente marziale da un lato (JORAN-ZUMO) e l’altro che mantiene un carat-tere sacrale (SHINJI-SUMO). I due stili si fondono nel secolo XVII, per dar vita al SUMO attuale. SEI. – “Vero”, “autentico”; “come prima” (come una volta).

– È la discendenza per consanguineità – diretta o collaterale – del Maestro di un RYU. SEIDON. – “Zigomi”. Orbite oculari. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SEIGAN. – Posizione di guardia (media, CHUDAN) con la spada, utilizzata soprattutto nel KENDO. I combat-tenti si studiano reciprocamente, in preparazione (o attesa) di un attacco. SEI-FUKU. – “Rimettere (come prima) a posto. Ristabilimento dai traumi. SEI-FUKU-JUTSU. – “Tecnica di restaurare i traumi”, “traumatologia”. Deriva da SEI, “vera”, “autentica”, FU-KU “restituire”, “ristabilire” e JUTSU, tecnica. Comprende tutte le tecniche di rianimazione che si utilizzano in caso di collasso o svenimento. [si veda KUATSU] SEIGO-HO. – Contrattacchi immediati, che seguono a tecniche di liberazione da prese (RIDATSU-HO). Sono utilizzate, soprattutto, nello JOSHI JUDO GOSHINHO. SEIHO. – È la scienza medica tradizionale giapponese, che si basa sulla Medicina Tradizionale Cinese.

– È il nome con cui ITO ITTOSAI KAGEHISA chiama il KEN-JUTSU nella sua scuola l’ITTO RYU. Si veda HEIHO. SEI-I-TAISHOGUN. – “Generalissimo per aver vinto i barbari”. È il titolo completo dello SHOGUN, da MINA-MOTO-NO YORITOMO (1192) in poi. SEIKA-NO-ITTEN. – “Punto unico”, “centro dell’uomo”. [si veda HARA, TANDEN] SEIKA TANDEN. – È il “punto centrale” del TANDEN. È qui che si accumula la “potenza del respiro” (KOKYU RYOKU) [si veda anche HARA] SEI-KEN. – “Parte anteriore del pugno”. Pure KEN-TO.

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SEIKI. – “Spirito Energia” (è composto di KI). SEIKO. – È il titolo di un antico testo che è alla base dell’insegnamento del KITO RYU. Si dice sia conservato da TAKUAN SOHO, monaco ZEN e Maestro di varie Discipline. SEI-KUATSU. – “Tecnica completa”. Tecnica di rianimazione respiratoria, che fa parte della serie di KUATSU respiratori (HAI-KUATSU), con associate percussioni riflessogene. SEIRYOKU-ZEN.YO. – “Efficace utilizzazione dell’energia”. Principio (applicabile tanto alle Arti Marziali quanto a tutte le umane attività) che consiste nell’avvalersi, in modo totale e compiuto, del KI e del WA, par-tendo dall’HARA. SEIRYOKU ZEN.YO KOKUMIN TAI-IKU NO KATA. – “Forme di cultura nazionale basate sui principi di massima efficacia”. È un metodo di allenamento fisico alle Arti Marziali [si veda IKU], che comprende due gruppi d’esercizi, TANDOKU RENSHU e SOTAI RENSHU, gli uni da eseguirsi da soli, gli altri in coppia. SEISHIN TANREN. – “Formazione Spirituale”. Lo spirito di un uomo, così come la lama di una spada, deve essere forgiato e purificato, per giungere alla perfezione. SEISHI-O CHOETSU. – Stato di trascendenza [al di fuori del mondo oggettivo] della vita e della morte. È una delle virtù predicate dal BUSHIDO, essenziale per un SAMURAI. SEIZA. – “Sedere” (sopra i talloni). È la tipica maniera formale, protocollare, di sedere, usata anche nelle lezioni d’Arti Marziali, sia durante le spiegazioni sia per praticare esercizi di respirazione: inginocchiati, la schiena eretta, i glutei appoggiati sui talloni. Corrisponde anche alla pratica spirituale (meditazione, concen-trazione) effettuata in questa postura. Il modo di sedere non protocollare, con le gambe distese o incrociate davanti, è detto AGURA. SEIZA-HO. – “Muoversi in posizione seduta formale”. SEKIGAHARA. – Località teatro, nel 1600, di una celebre battaglia. TOKUGAWA IEYASU, appoggiato dai FU-DAI-DAIMYO, sconfigge Ishida Mitsunari che, con i “Signori Occidentali”, difende la casata TOYOTOMI. SEKIGUCHI HACHIROZAEMON. – Figlio di SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINAMOTO-NO SONECHIKA, nel secolo XVII fonda ad Hiroshima una scuola di JU-JUTSU e BO-JUTSU, lo SHIBUKAWA RYU. SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINAMOTO-NO SONECHIKA. – (1647-1711) Nativo di Suruga, è il fondatore della scuola SEKIGUCHI RYU di JU-JUTSU, allora da lui chiamato YAWARA. SEKIGUCHI RYU. – Scuola di JU-JUTSU. Il suo fondatore, SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINAMOTO-NO SONECHIKA, utilizza il termine YAWARA per indicare l’Arte Marziale insegnata. Nella scuola si sviluppano e s’insegnano anche tecniche di BATTO-JUTSU. SEME. – “Minaccia”. È l’atteggiamento minaccioso assunto dal combattente armato di spada, subito dopo aver sguainato. Normalmente segue il movimento di FURI-KABURI, con la spada sollevata sopra la testa, pri-ma di colpire (nel KENDO), o di eseguire la tecnica principale (il taglio, KIRI-TSUKE, nello IAIDO e nello IAI-JUTSU). SEMEITE. – Così è chiamato il praticante di KARATE e KENDO che, nell’esecuzione di un KATA a coppie, sfer-ra l’attacco a SHI-TACHI o ne subisce il contrattacco. SEMPAI. – Chi ha più anzianità nella pratica di un’Arte Marziale. Sovente gli viene affidato un KOHAI. Anti-camente così è chiamato il Maestro d’armi di un DOJO, i cui allievi, spesso, sono chiamati KOHAI. SEN – “Studente”. Convenzionalmente, è la qualifica che spetta alla cintura nera, 1° DAN, praticante d’Arti Marziali. [si veda KYUDAN]

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SEN o SEN-NO-SAKI. – “Iniziativa”. È l’attitudine mentale che un buon BUDOKA deve possedere e che gli consente di dominare la situazione nel combattimento. È grazie a questa attitudine che il BUDOKA, tanto se decide di anticipare l’avversario (SENKEN, si muove ancor prima che l’avversario possa esprimere la sua tec-nica; KEN-NO-SEN, “prendere l’iniziativa” e SEN-NO-SEN, “prima di prima” – attacca immediatamente, non ap-pena percepisce l’altrui volontà di attaccare) quanto se attua tecniche di contrattacco (GO-NO-SEN, “dopo di prima” – para un attacco e contrattacca immediatamente – e ATO-NO-SEN, “iniziativa difensiva” – si muove non appena intuisce la volontà di attaccare dell’avversario) può vincere un combattimento. SENGOKU JIDAI. – “Era del Paese in guerra” o “Era della Guerra”. È l’epoca che va dal 1467 al 1568 (co-prendo la seconda parte del Periodo MUROMACHI e l’iniziale di quello MOMOYAMA), caratterizzata da inces-santi lotte per il potere fra i Signori locali. È in questo periodo storico che, privati dei propri mezzi di sussi-stenza dalle continue lotte tra i Signori feudali, molti contadini sono spinti ad arruolarsi come truppe merce-narie o in contingenti di ASHIGARU o ZUSA. SENI RYU. – Antica scuola di NAGINATA-JUTSU. SENJO-JUTSU. – Arte di disporre le truppe in battaglia. Appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). [si veda anche “ Antiche arti da guerra”] SENKEN. – È un movimento che anticipa l’attacco avversario. SENMAI. – “Riso purificato”. È usato, tra l’altro, come oggetto di buon auspicio nel DOHYO-MATSURI (“ceri-monia propiziatoria”) del SUMO. SEN-NO-SAKI. – Sinonimo di SEN. [si veda] SEN-NO-SEN o SAKI. – “Prima di prima: preparazione all’attacco”. È lo stato di vigilanza permanente ed in-tuizione immediata. Consente di percepire la volontà aggressiva di un avversario, prima che questi riesca a metterla in pratica. Per estensione, indica anche il concetto di un attacco eseguito in anticipo rispetto al mo-vimento dell’avversario (cioè, più propriamente, ATO-NO-SEN), una sorta di contrattacco “preventivo”.

– “Esperto”. Convenzionalmente, è la qualifica che spetta alla cintura nera, 4° DAN, praticante d’Arti Marziali. [si veda KYUDAN] SENAKA. – “Schiena”. SENSEI. – “Nato prima”. “Maestro”. “Professore”. Anticamente il titolo di SENSEI è attribuito, con deferenza, solo a chi ha la reputazione d’aver completato un’opera importante. Nelle Arti Marziali è riservato al capo-scuola, normalmente un 10° DAN, o al fondatore di un RYU. Nella pratica il titolo identifica chi dirige un DOJO o un insegnante affermato. Solo pochi, eccezionali, personaggi hanno diritto al titolo di O-SENSEI (o DAI-SENSEI), “Grande Maestro”: UESHIBA MORIHEI, FUNAKOSHI GICHIN, KANO JIGORO, ad esempio. SENSU. – “Ventaglio d’uso personale”. Si veda OGI. SEOI. – “Sulla schiena”, “prendere sul dorso”. Viene da SEOU, “caricare sulla schiena”. SEOIE. – “Dorso”, il dorso. SEOIE-KUATSU. – “Percussioni dorsali”. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU ad a-zione elettiva: KUATSU con percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU). SEOU. – “Caricare sulla schiena”. SEPPA. – Spessori, che bloccano la TSUBA. Sono interposti fra TSUBA e, da un lato, la lama, dall’altro la TSUKA. SEPPA DAI. – Fascetta che circonda l’HITSU della TSUBA. SEPPUKU. – “Suicidio rituale”. Il SEPPUKU – che è comunemente detto HARA-KIRI, “taglio del ventre”, quando eseguito mediante taglio cruciforme dell’addome – è tipico, ma non esclusivo, degli appartenenti alle classi

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elevate, uomini e donne (che, però, preferiscono tagliarsi la gola o affogarsi). Il suicidio dei SAMURAI, nei primi tempi, avviene soprattutto per evitare l’onta della cattura, se il guerriero non è riuscito a farsi uccidere in combattimento. Il BUSHI può aprirsi il ventre con un pugnale, gettarsi sulla propria spada o scegliere di morire nell’incendio della propria casa, spesso insieme ai familiari, ai servitori, ai vassalli più fedeli (JUNSHI, suicidio collettivo). Il SEPPUKU, nella forma rituale HARA-KIRI, provoca un’agonia molto lunga e dolorosa; per questo motivo, in seguito, un aiutante è autorizzato a decapitare il suicida appena dopo il primo taglio. Il SEPPUKU di un BUSHI è normalmente eseguito con la WAKIZASHI, alla presenza di un amico o di un assistente (KAISHAKUNIN) e di testimoni. Il BUSHI – vestito di bianco e seduto il SEIZA su un telo bianco – si fende il ven-tre da sinistra a destra, poi risalendo dal basso in alto, a dimostrare la volontà di morire (questo in teoria: è difficile che la pur straordinaria forza d’animo del guerriero gli consenta un gesto così plateale, la totale per-forazione del ventre ed il successivo taglio), mentre il KAISHAKUNIN termina il rito decapitando il SAMURAI, an-che per evitargli, come detto, il protrarsi di sofferenze atroci. Il BUSHI, per tradizione, si accomiata dalla vita componendo un breve poemetto (haiku) in 17 sillabe ed il suo corpo viene poi sepolto o bruciato. Ricordia-mo come, per la cultura del tempo, il suicidio può essere tanto imposto dal Signore quanto scelto come e-spressione di estrema protesta o rivendicazione per un torto subito oppure per salvare l’onore. Le donne delle Famiglie Militari e Nobili si suicidano, quando il caso lo richiede, mediante taglio della carotide (arteria del collo), utilizzando di preferenza l’affilato KWAIKEN piuttosto che il “simpatico compagno”, l’AIKUCHI. Il primo SEPPUKU documentato risale al 1170 e molti sono i suicidi plateali, fedelmente riportati dalle cronache: devo-no servire sia ad onorare la memoria del protagonista sia all’edificazione dei discendenti [si veda, ad esem-pio, MINAMOTO-NO YOSHITSUNE]. Una delle descrizioni più raccapriccianti riguarda il suicidio di Son-un, se-condogenito dell’Imperatore GO-DAIGO, all’epoca della fuga di questi da KYOTO (1336). Dopo aver indossato gli abiti del padre, per ingannare il nemico, Son-un si rifugia sulla torre di una porta cittadina e, dal parapetto di una finestra, si mostra agli inseguitori, grida il proprio nome e la posizione sociale ed annuncia l’intento suicida. Toltosi l’armatura e la casacca, si squarcia l’addome da sinistra a destra, getta le sue interiora sul parapetto, si infila la spada in bocca e si lancia dalla torre, a testa in giù. SESSHIN. – Periodo di pratica ZAZEN, molto intensa. Si tratta di uno o più giorni di vita collettiva nel DOJO: concentrazione, silenzio, ore di ZAZEN (4 o 5) intervallate da conferenze, MONDO, lavori manuali. SETE-IAI. – KATA di IAIDO che nascono nella scuola OKI RYU di IAI-JUTSU. In numero di sette, sono conside-rati fondamentali per la pratica della Disciplina e quindi studiati dai praticanti di IAIDO, a qualunque tipo scuo-la o stile appartengano. SETSU. – “Aiutare”; “assistere”. SETSUDO. – “Insegnare la Via dell’Universo”. Secondo il Maestro Tohei Koichi, dopo aver appreso e rea-lizzato i principi dell’Universo – attraverso l’AIKIDO – ciascuno ha l’obbligo di spiegarli al mondo, per aiutare gli altri esseri umani, troppo spesso preda dell’egoismo. SETSUMEI. – “Spiegazione”. SETSUMEI SURU. – “Spiegare”. SHADO. – “Allenamento spirituale” nel KYUDO. SHAGAKUSEIDO. – È la denominazione giapponese di un’opera cinese sulle tecniche di tiro con l’arco, che risale alla Dinastia Ming (1368-1644). SHAKEN. – Arma da lancio (SHURIKEN), normalmente a forma di stella. Rientra nel gruppo delle KAKUSHI, le “armi nascoste”, è d’acciaio polito o brunito, ha un diametro variabile (5-10 cm), così come è vario il numero di punte. Lo SHAKEN, al pari di tutti gli altri SHURIKEN, è utilizzato soprattutto dai NINJA: lanciato spesso in gruppo (3 o 5 alla volta), può causare ferite gravi, talvolta mortali se le punte sono avvelenate, come sovente accade. Lo SHAKEN piatto e stellato, con foro centrale, è chiamato semban-shaken. SHAKU. – “Piede”. Misura di lunghezza. Equivale a 10 SUN e corrisponde a 30,303 centimetri.

– Unità di misura di capacità. Equivale a 1,8 centilitri.

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– Piccolo bastone piatto, d’avorio o legno. Il suo uso risale ai tempi in cui, alla Corte imperiale, è forte l’influenza cinese e coreana (dal Periodo ASUKA, 525-645 in poi). I cortigiani del tempo (e del successi-vo Periodo NARA, 645-794) lo portano per avere un “comportamento dignitoso”: infilato nell’OBI, contro la par-te inferiore del petto, in posizione leggermente obliqua. È poi sostituito dal CHUKEI, un “ventaglio di corte” i-deato apposta e d’uso obbligatorio. SHAKUDO. – Lega di bronzo. È composta di rame, oro e antimonio ed utilizzata per fornimenti di spade e lavori decorativi. SHAKUHACHI. – “Flauto di bambù”. Il suo suono accompagna spesso il girovagare dei KOMUSO, i “monaci erranti” del Periodo EDO (1603-1868). SHAKUJO-YARI. – Arma in asta, con lama nascosta. È simile al bastone usato da monaci questuanti, che in cima è fornito di una sorta di puntale con anelli pendenti ed è usato sia dai monaci stessi sia da SAMURAI in incognito. Quest’accessorio, nello SHAKUJO-YARI, altro non è che un fodero, tolto il quale lo SHAKUJO-YARI diventa quasi uno SU-YARI. SHAKUTAKU. – Parte superiore esterna del polso. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SHASHIN. – “Finta”. È l’errore simulato durante un combattimento, per trarre l’avversario in inganno. SHI o YON. – “Quattro” in sino-giapponese. In giapponese puro è YOTSU, per contare le persone (NIN) si di-ce YONNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa YONHON. SHI. – “Guerriero”.

– “Dito” (anche YUBI). “Indicare”. – “Maestro”. Si veda ROSHI. – “Vincitore”. Ruolo assunto – negli allenamenti a coppie della scuola KATORI SHINTO RYU – dal meno

esperto dei praticanti. SHIAI. – “Contesa”, “competizione”. “Combattimento arbitrato”. È un combattimento d’allenamento o una competizione. SHIAI-JO. – Sinonimo di DOJO, nel KARATE. SHIBARU. – “Legare”. SHIBORI. – “Strangolamento”. SHIBUICHI. – “Quattro parti”. Lega di bronzo. È composta di argento unito a stagno, rame, piombo o zinco ed utilizzata per fornimenti di spade e lavori ornamentali. SHIBUKAWA RYU. – Scuola di JU-JUTSU e BO-JUTSU. La fonda nel secolo XVII, ad Hiroshima, SEKIGUCHI HACHIROZAEMON, figlio di SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINAMOTO-NO SONECHIKA, fondatore, a sua volta, del SEKIGUCHI RYU di JU-JUTSU, allora da lui chiamato YAWARA. SHICHI o NANA. – “Sette” in sino-giapponese. In giapponese puro è NANATSU, per contare le persone (NIN) si dice SISHININ, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa NANAHON. SHICHIDAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 7° grado”. [si veda KYUDAN] SHI-DACHI. – Sono i praticanti muniti di NAGINATA, contrapposti a quelli armati di SHINAI o BOKKEN (detti UCHI-DACHI), nelle competizioni tuttora apprezzate in Giappone. SHIDA SHIRO. – (1868-…) Allievo (1881 circa) della scuola TENJIN SHIN.YO RYU di JU-JUTSU, diventa disce-polo di KANO JIGORO e modifica il suo nome in quello di SAIGO SHIRO.

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SHIGA SEIRIN. – Antico SUMOTORI. È ricordato per essere stato il primo arbitro (GYOJI) nominato prima NU-KIDE-NO TSUKASA, quindi “giudice” (HOTE) dall’Imperatore, nel 740. SHIHAN. – “Grande Esperto”. Titolo attribuito nelle Arti Marziali, normalmente a chi è 9° DAN. In alcune scuole, SHIHAN è la cintura nera 4° DAN. [si veda KYUDAN] SHIHO. – “Quadrato”.

– “Quattro lati”, “quattro membra”, “quattro direzioni”. SHIHO-GIRI. – “Taglio su quattro lati”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Un “padre nobile” è il “Servizio ai Punti Cardinali” (shiho-hai) di un’antica cerimonia di Corte. L’Imperatore, il primo giorno del nuovo anno, si rivolge alle Quattro Direzioni e ringrazia i Poteri del Cielo e della Terra per i doni ricevuti e prega perché non cessino SHIHO NAGE. – “Proiezione nelle quattro direzioni”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA); la ca-duta di UKE è indietro o – ma è molto pericoloso – laterale. Normalmente si applica a presa a polsi e spalle, colpi e fendenti al volto. Allorquando eseguito come un esercizio, con un compagno che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO) che si praticano in coppia, senza ca-duta. SHIHO NAGE è uno dei più importanti “fattori esterni” dell’AIKIDO, i movimenti e le tecniche principali, ri-maste invariate, unitamente a IRIMI, TENKAN e SUWARI IKKYO. Per O-SENSEI, il questa tecnica, il “quattro” sim-boleggia le Quattro Gratitudini: per il Divino, che dà lo Spirito; per i genitori, che danno il corpo; per la natura, che ci sostenta; per i nostri simili, da cui riceviamo la vita quotidiana. Lo SHIHO NAGE è simboleggiato da un quadrato. SHIJO. – Il praticante di JODO. SHIKAKU. – “Punto, angolo morto”. SHIKANTAZA. – Il sedersi, concentrati nella pratica ZAZEN. SHIKARE WAZA. – Rapido ed improvviso attacco che, soprattutto nel KENDO, “riempie” il “vuoto” che si de-termina quando l’avversario abbassa la guardia. SHIKI. – “Risolutezza” (termine composto di KI). È quella che, secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve possedere. [si veda BUSHIDO] SHIKIME. – Tipo d’allacciatura dell’armatura ODOSHI. SHIKIRI. – “Cerimonia iniziale”, che precede i combattimenti di SUMO. Caratteristica e immutata da secoli, dura da tre a quattro minuti ed è ripetuta quattro volte. I SUMOTORI, accosciati (chiri) all’interno del “cerchio sacro” (DOHYO), si fronteggiano con i pugni a terra e si concentrano, fissando l’avversario. Si risollevano per spargere manciate di sale per poi riaccosciarsi, battendo ripetutamente i piedi a terra (shiko). SHIKKO. – “Camminare (muoversi) sulle ginocchia”. “Passo del SAMURAI”. Fa parte degli esercizi fisici spe-cializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). In AIKIDO si pratica spesso: così s’acquista stabilità e scioltezza di movimento, utile anche nella posizione eretta. SHIKORO. – Gronda dell’elmo, formata da lamelle (da tre a cinque, anticamente anche sette) di metallo o cuoio, allacciate fra loro. La lamella superiore, in età antica, è unita al coppo con borchie, mentre poi si uti-lizzano lacci intrecciati o di pelle. La forma dello SHIKORO varia con l’epoca, in ogni caso la lamina superiore (tra il 1532 ed il 1570) o le quattro lamine superiori si ripiegano a formare i risvolti di protezione (FUKIGAYE-SHI). SHIKYU o YONKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di quarta classe”. [si veda KYUDAN] SHIME. – “Strangolamento”. JIME, come suffisso. Viene da SHIMERU, “stringere”.

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SHIMENAWA. – “Cordone di paglia di riso”, posto all’ingresso dei santuari SHINTO. Identifica il luogo come sacro. SHIMERU. – “Chiudere”.

– “Stringere”, “premere”, “torcere”. – Esercizio per tonificare ed irrobustire gli avambracci, usato soprattutto nel KENDO: mentre si

eseguono fendenti (SHO MEN UCHI), si serrano fortemente le mani, contraendo i muscoli degli avambracci, so-lo nel momento di colpire. SHIME WAZA. – “Tecniche di strangolamento”. SHIMIZU JASHITARO. – Tecnico. Tra le due Guerre Mondiali ha inventato la mitragliatrice a forza centrifu-ga. La carica di lancio non è esplosiva, ma costituita dalla forza centrifuga impressa ad un disco rotante da un motore a benzina, ad alto numero di giri. I proiettili contenuti nel un disco sono liberati e lanciati ad una cadenza che può superare i 9.000 colpi al minuto. SHIMO o GE. – “Basso”, “inferiore”. SHIMOSEKI. – “Lato inferiore” della sede allievi. Nel DOJO è di fronte allo JOSEKI. [si veda “ Etichetta e comportamento: il Dojo”] SHIMOZA. – “La sede inferiore”. Nel DOJO è il posto gli allievi, che si dispongono di fronte al SENSEI, par-tendo dalla sua destra con quelli di grado meno elevato. [si veda “ Etichetta e comportamento: il Dojo”] SHIN. – “Ago metallico” per agopuntura.

– “Cuore”; anche “anima”, “spirito”; “intuizione”. È analogo al termine KOKORO. – Indica il valore morale del DANSHA. [si veda SHINGITAI] – “Cielo”. Anche TEN. – “Nuovo”.

SHINAI. – Spada da scherma. Quattro stecche di bambù, legate insieme, formano una “lama” dritta, munita di lunga impugnatura (TSUKA) ed elso (TSUBA) rotondo, in plastica o cuoio. Si usa soprattutto nel KENDO e le sue misure (dimensione, peso) variano in funzione dell’età del praticante. SHIN BUDO. – “Nuova Via Marziale”. È così chiamato il BUDO dopo la Restaurazione MEIJI, per distinguerlo da BUJUTSU (“tecniche di combattimento”) e BUGEI (“Arti da guerra”), che hanno un orientamento assoluta-mente strumentale, d’utilità. Per brevità, comunque, resta il nome BUDO. SHINDEN FUDO RYU. – Antica scuola tradizionale di YARI-JUTSU. Fondatori sono IZUMO NO KANJA YOSHITE-RU ed il suo successore Izumo no Kanja Yoshikane. Gli insegnamenti di questa scuola – a lungo rimasti se-greti ed i cui Maestri sono, soprattutto YAMABUSHI – comprendono lo studio della scherma con diversi tipi di lance, NAGINATA compresa, e l’uso d’ONO (“scure da guerra”), O-TSUCHI (“mazza ferrata”) e FERUZUE. SHINDEN MUNEN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da FUKUI YOSHIHARA nel 1750 circa. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. SHINDO ITEN RYU. – Scuola d’AIKIDO fondata da discepoli di UESHIBA MORIHEI. SHINDO MUNEN RYU. – Scuola di KENDO. Risale alla fine del secolo XIX. SHINDO MUSO RYU. – Scuola di JO-JUTSU. La fonda, nel secolo XVI, MUSO GONNOSUKE, dopo aver vinto in duello MIYAMOTO MUSASHI nell’unica sconfitta da questi mai patita. La tradizione vuole che anche questo RYU sia stato ispirato dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. Sono sessantaquat-tro le tecniche-base di maneggio del bastone, formalizzate da MUSO GONNOSUKE ed insegnate nella sua scuola come KATA. Da queste derivano le dodici tecniche che – codificate dalla scuola KATORI SHINTO RYU nel 1955 – danno origine allo JODO.

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SHINDO ROKUGO RYU. – Stile di AIKIDO, idealo da un allievo di O-SENSEI, Noguchi Senryuken. Questo sti-le adotta solo tecniche totalmente difensive. SHINDO SHIZEN RYU. – Scuola e stile di KARATE. Artefice è un allievo dei “Grandi Maestri” FUNAKOSHI GI-CHIN e UESHIBA MORIHEI, Konishi Yasuhiro. Lo stile punta al maggior sviluppo spirituale degli allievi, che stu-diano numerosi KATA. SHINDO YOSHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU. Risale al secolo XIX e tra i suoi allievi celebri figura OTSUKA HIDENORI, poi discepolo di FUNAKOSHI GICHIN e fondatore (1939) dello stile WADO RYU di KARATE. SHINGEN TSUBA. – Tipo di TSUBA. Hanno decorazioni che ricordano il millepiedi e sono diffuse nel XVI se-colo. Sono così chiamate – oltre che con il nome MUKADE TSUBA (il termine mukade indica appunto un tipo di millepiedi) – perché apprezzate e ricercate da TAKEDA SHINGEN, famoso DAIMYO morto nel 1573. SHINGITAI. – È il “triplo valore” di chi ha acquisito la cintura nera. SHIN è il valore morale, il carattere; GI in-dica la capacità tecnica; TAI la forza ed il vigore fisico; le qualità costituenti lo SHINGITAI sono complementari ed inseparabili. Il DANSHA che arriva a possiede lo SHINGITAI – attraverso il principio SEIRYOKU-ZEN.YO (“effi-cace utilizzazione dell’energia”) ed il concetto JITA-KYO-EI (“amicizia e mutua prosperità”) – riunisce in sé il cielo (SHIN), la terra (GI) e l’uomo (TAI): egli è un “essere umano completo”. SHINGON. – “Vero Suono”. Setta esoterica buddista, introdotta in Giappone dal monaco Kukai all’inizio del secolo IX. La setta basa i propri fondamenti sullo studio del KOTODAMA, la “sacra scienza dei suoni” cinese, ma di provenienza indiana. Una fazione ancor più “magica” del mistico Buddismo SHINGON, il MIKKYO, prati-ca il KUJI-NO-IN, l’”Iscrizione delle Nove Lettere”. SHINJI-SUMO. – È la “versione sacra” del SUMO originale. Si sviluppa parallelamente alla progressiva as-similazione dei combattimenti di SUMO – in origine di carattere squisitamente religioso – all’Arte marziale, processo iniziato nella seconda metà del secolo IX e conclusosi nel secolo XII. Nel secolo XVII lo SHINJI-SUMO, che mai si è mischiato alle cose di guerra, si combina con la variante “marziale”, lo JORAN-ZUMO, per dar vita al moderno SUMO. SHIN KAGE RYU. – “Nuovo KAGE RYU”. È la scuola fondata da FUJIWARA NO NOBUTSUNA, già allievo del KAGE RYU e del KATORI SHINTO RYU. È nota, tra l’altro, per l’uso in allenamento di una spada, analoga al BOKKEN, di legno duro. Oltre che KEN-JUTSU, s’insegnano anche tecniche di combattimento a corpo a corpo, senz’armi (JU-JUTSU), al fine di integrare e migliorare lo stile KAGE RYU. È YAGYU MUNEYOSHI TAJIMA NO KAMI che aggiunge alcuni precetti e principi ZEN all’insegnamento dello SHIN KAGE RYU, come il “non-pensiero” (MUSHIN) e la “vacuità totale” (MUSO o MUNEN-MUSHIN). UESHIBA MORIHEI, nel 1922-24, studia KEN-JUTSU allo SHIN KAGE RYU. SHINKAI INOUYE. – Celebre fabbro attivo nella seconda metà del 1600. SHINKAN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. La fonda OKUYAMA TADENOBU, che s’ispira all’AIZU KAGE RYU di AI-ZU IKO. SHINKEITO RYU. – “Scuola della Tecnica e dello Spirito della Spada”. Scuola di KEN-JUTSU – fondata alla fine del secolo XVII da MATSUURA SEIZAN, DAIMYO della provincia di Hizen – rimasta attiva fino al 1908. SHIN KEN. – “Combattimento reale”. SHINKEN-SHOBU. – “Combattimento all’ultimo sangue”. SHIN-KI-RYOKU. – Concetto espresso, tra gli altri, da ITO ITTOSAI KAGEHISA. Indica la volontà di agire solo dopo aver purificato i propri sentimenti da ogni cattivo pensiero e dal timore, padroneggiando SHIN (il “cuo-re”), KI (il “soffio vitale”) e RYOKU (l’”energia”). SHINOBI. – È il termine che indica un NINJA.

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SHINOBI-JUTSU. – “Arte dell’inganno, del travestimento”. Ne sono maestri, ovviamente i NINJA, famosi per l’abilità con cui riescono a mimetizzarsi (con travestimenti, camuffamenti), rendendosi anonimi tra la gente, per portare a compimento le proprie missioni. SHINOBI-SHOZUKU. – È il particolare “costume dei NINJA”: tutto nero, compreso il cappuccio che serve a nascondere il viso, è l’ideale per missioni notturne. SHINOGI. – Dorso di una lama. E’ lo spigolo longitudinale che corre lungo il dorso della lama (MUNE) della KATANA. Con questo si parano i colpi. A mani nude, così come il TE-GATANA è utilizzato similmente al filo della lama, si usa il dorso della mano in modo paragonabile allo SHINOGI. SHIN-NO-DACHI. – Si veda SHOZOKU-DACHI. SHIN-NO SHINDO RYU. – Scuola di JU-JUTSU, che insegna numerosissime tecniche (pare 166). Per la tra-dizione risale al secolo XVI. SHINO-SUNEATE. – Variante di gambali SUNEATE. Sono composti di una dozzina di piastre metalliche verti-cali, unite da maglia di ferro, foderati di tessuto. Alla gamba, come tutti i SUNEATE, sono fissati con cordonci-ni. SHIN-SHIN-TO.– “Spada nuovissima”; “nuovissima lama”. Il termine indica le spade forgiate dopo il 1867. SHINTAI. – “Passo”; “avanzamento”. Tecniche di spostamento del corpo: i piedi scivolano al suolo, in modi diversi (TSUGI ASHI, AYUMI ASHI eccetera), ma con appoggio prevalente sul bordo esterno (tsuri ashi). SHINTAI-DO. – Movimento culturale, con impronta religiosa. Nasce negli U.S.A., nella seconda metà del secolo XX, per opera di Aoki Hiroyuki, Maestro di KARATE. Questi, riadattando i concetti della Rakutentai (un’associazione per lo studio della Bibbia, costituita a Tokyo nel 1966), fonda un proprio sistema di educa-zione, che ha lo scopo di plasmare e sviluppare armonicamente corpo, spirito e volontà degli allievi, in modo che essi possano esprimere la propria originalità. Tecniche e movimenti sono mutuati da KENDO, BO-JUTSU e JO-JUTSU, ma, pur fondato sullo studio di KATA – seppur interpretati quali sorta di danza gestuale – è diffici-le considerare lo SHINTAI-DO come una Disciplina del BUDO, anche se il fondatore si richiama ad antichi RYU marziali. Per i loro esercizi, i seguaci di questa Disciplina indossano un KEIKOGI bianco e praticano calzando dei TABI o a piedi nudi. SHINTO. – “Trauma”; “impatto”.

– “La Via dei KAMI (o degli Dei)”. È la religione autoctona giapponese, anteriore alla diffusione, nel VI secolo, del Buddismo e, poi, del CONFUCIANESIMO. Inizialmente, in epoca preistorica, questa forma di cre-denza – secondo la quale gli spiriti animano ogni cosa (ANIMISMO) – non ha neppure un nome: semplicemen-te, è la religione del popolo, sintesi di numerosi culti SCIAMANICI locali che si fondono tra loro. Il nome SHIN-TO, “la Via dei KAMI”, comincia a diffondersi in opposizione a BUTSUDO (BUKKYO), “la Via del Buddha” (Buddi-smo); infatti, quando il Buddismo, nel secolo VI, penetra in Giappone, con il suo carattere più spirituale ed una dottrina evoluta, mette in crisi lo Scintoismo, che perde seguaci, e potere. Nel tentativo di assorbire il culto dei KAMI in quello del Buddha, questi è dapprima considerato un nuovo KAMI; poi si afferma che i KAMI sono manifestazioni del Buddha e dei Bodhisattva, ma nel X secolo, ormai, lo SHINTO sopravvive solo in po-chi templi e piccole comunità. È solo tra il XVI ed il XVIII secolo che lo Scintoismo si riprende dalla profonda crisi, seppure al prezzo della distruzione di meravigliosi templi buddisti ed opere d’arte non scintoiste, a cau-sa del movimento nazionalista ed estremista dei WAGAKUSHA. Questi, opponendosi violentemente ai KAN-GAKUSHA (ammiratori assoluti della cultura cinese), esaltano lo SHINTO come religione su cui è fondata l’unità nazionale e si battono per un ritorno alle origini nell’estetica letteraria e nella lingua. La presenza del Buddi-smo, comunque, è sempre molto forte – tanto che nel 1872 è riconosciuto ufficialmente pari allo SHINTO, come importanza – perché solo questo culto, con le sue esperienze mistiche, soddisfa l’anelito religioso po-polare. È per ovviare a ciò che è decisa la secolarizzazione dello SHINTOISMO: il culto dei KAMI è dichiarato Istituzione di Stato (allo scopo di accrescere il sentimento nazionale e stimolare la devozione per l’Imperatore); i riti scintoisti si trasformano in cerimonie ufficiali dello Stato e le dottrine SHINTO sono insegna-te nelle scuole; i sacerdoti diventano funzionari statali e cerimonieri. L’Imperatore stesso è considerato un

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KAMI. È la disfatta militare del 1945 che fa crollare lo Scintoismo: l’anno successivo, con la nuova Costitu-zione, l’Imperatore perde la sua connotazione divina ed allo Scintoismo è negato il riconoscimento statale. Oggi, in Giappone, rimane uno Scintoismo popolare, simile a quello sviluppatosi dal secolo XVI: è definito “Religione delle Sette” ed è diffuso tra le masse grazie, soprattutto, all’efficiente organizzazione missionaria, che assiste i fedeli nei loro bisogni, non solamente religiosi. I fedeli sono circa quattro milioni. Lo SHINTO, più che una religione vera e propria, è un insieme di credenze e di riti strettamente collegati a storia e cultura nipponica (e quindi difficilmente “esportabile”). Non c’è un fondatore e non esiste una “scrittura sacra”, tanto è vero che libri religiosi sono anche i testi storici o di natura mitologica! I testi cultuali più importanti – non tutti conservatisi – dello SHINTO, sono redatti tra all’inizio del secolo VIII: del 712 è il KOJIKI, in tre volumi (“Memorie degli Avvenimenti dell’Antichità”); il Nihonji (o Nihon shoki, “Annali – o Cronache – del Giappo-ne”), in trenta tomi, è compilato a partire dal 720. Qui si ricostruisce la storia della coppia divina, IZANAGI-NO-MIKOTO e IZANAMI-NO-MIKOTO, creatori delle isole giapponesi e progenitori, attraverso AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI, la dea del Sole, della Dinastia imperiale (TENNO), ancora oggi sul trono. Tra il XII e il XVI secolo sono compilati i cosiddetti “Cinque Libri dello Scintoismo” (Shinto Gobusho), tentativo di fissare organicamente e sistematicamente la dottrina, dandole anche solide basi storiche. Notizie sui culti antichi e sui miti scintoisti si possono trovare in altre importanti opere, tra cui: Sendai kuji hongi (detto Kujiki, “Annali degli Antichi Av-venimenti” in dieci volumi, il cui originale risale al 620); Fudoki (“Libri dei luoghi e dei costumi”, del 713); Ka-goshui (“Raccolta di ciò che resta di Vecchie Storie”, 807); Engi-shiki (“Cerimoniale dell’Era Engi”, del 927, in ottanta volumi). Lo SHINTO non ha una concezione organica del mondo o una propria filosofia e poco si pre-occupa dell’aldilà e della sfera morale personale [nel Giappone, soprattutto antico, non c’è un senso della moralità vero e proprio, solo un grande rispetto reciproco ed una costante preoccupazione per la purezza, fi-sica e spirituale], mentre essenziale è il concetto di KAMI. È proprio la sua ”elasticità ideologica” che ha permesso allo SHINTO di convivere accanto al Buddismo, nonostante i fortissimi contrasti in età feudale. Og-gi non è infrequente che un individuo si dichiari seguace al contempo delle due religioni, che, fondamental-mente, non presentano aspetti incompatibili tra loro. [si veda anche KAMI e le voci “animismo”, “sciamane-simo” e “shintoismo”, nella seconda parte del Dizionario] SHIN-TO. – “Spada nuova”; “nuova lama”. Il termine indica le spade forgiate dopo il 1530 (o, secondo altri, il 1603), fino al 1867. SHINTO RYU. – Si veda TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU. SHINWA TAIDO. – Metodo di autodifesa basato sull’AIKIDO, messo a punto da Inoue Kyoichi, allievo di UE-SHIBA MORIHEI. SHINZO. – “Cuore”. SHINZO-KUATSU. – Tecniche di rianimazione (KUATSU). Serie di KUATSU ad azione elettiva, per rianimazio-ne cardiaca. Il procedimento può avvalersi di pressione diretta, pressione indiretta (massaggio transdia-frammatico) oppure percussione. SHIO. – “Marea”. SHIODA GOZO. – (1915-…) Discepolo di UESHIBA MORIHEI e suo UCHI DESHI per otto anni. È il fondatore dell’AIKIDO YOSHINKAN, scuola che si rifà allo stile “duro” dell’AIKIDO dei primi tempi. SHIRAI TORU. – (1783-1850) Maestro di spada, appartenente alla scuola Kijin Ryu di KEN-JUTSU e seguace della ITTO RYU. È ricordato, oltre che per un’opera sulle tecniche della sua arte, lo HYOHO MICHI SHIRUBE (“Fondamenti della Via della Spada”), anche per la pesantezza del suo BOKKEN d’allenamento. SHIRASAYA. – “Fodero bianco”. Tipo di SAYA per spada. Semplice, generalmente in legno di magnolia (honoki), è utilizzato per custodire le spade di qualità appena forgiate – prima che il proprietario decida come e da chi far preparare i fornimenti – e quando queste non sono usate. Talvolta sul fodero compaiono infor-mazioni concernenti la lama, compreso il nome del fabbricante.

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SHIRAZAYA. – Tipo di SAYA per TACHI. È rivestito di pelle (cinghiale, daino, tigre o leopardo) e, anticamen-te, portato solo in viaggio o in guerra. Talvolta con questo termine si indica tutta la spada con fodero rico-perto di pelle.

– Fodero di semplice legno, talvolta coperto di scritte, destinato a proteggere il ferro della YARI o dell’HOKO. SHIRIZAYA-DACHI. – Fodero per TACHI, ricoperto di pelle d’orso. È segno distintivo per i BUSHI d’alto rango quando si recano a Corte, indossando l’abito cerimoniale (dapprima il SOKUTAI, il “grande costume ufficiale”, quindi l’IKAN) e portando la spada cerimoniale SHOZOKU-DACHI. SHIRO. – “Bianco”. SHIROBO. – “Bastone bianco”. Così è chiamata la spada di legno, ricoperta di stoffa bianca, usata nell’allenamento di KEN-JUTSU alla scuola ARAKI RYU. SHISEI. – “Postura” assunta da un combattente. Può essere una posizione naturale, di base, normalmente eretta (SHIZEN HONTAI o SHIZEN-TAI o MUKA MAE), piuttosto che difensiva (JIGO HONTAI o JIGO-TAI). Indica an-che l’attitudine all’esecuzione delle tecniche. SHISHI. – “Uomini di grandi intenti”, “patrioti”. Così sono chiamati i SAMURAI che si battono per la restaura-zione imperiale, dopo l’apertura del Giappone al mondo (1853, sbarco del Commodoro Perry) e la fine del feudalesimo. SHISODEN. – “Trasmissione ad un solo allievo”. Tipico metodo di insegnamento delle antiche scuole. SHITA o URA. – “Sotto”. SHI-TACHI. – Così è chiamato il praticante di KARATE e KENDO che, nell’esecuzione di un KATA a coppie, su-bisce l’attacco di SEMEITE o lo contrattacca. SHITE. – È chi, attaccato, esegue la tecnica. Si usano anche i termini TORI, UCHI e NAGE. SHITO RYU. – Scuola di KARATE. La fonda nel 1928 il Maestro MABUNI KENWA, allievo dei Maestri ITOSU YA-SUTSUNE ANKO (della scuola SHURI-TE, ideatore dell’ITOSU RYU) e HIGAONNA KANRYO (della Naha-te), in onore dei quali dà il nome al suo stile [“shi“ è la prima lettera di ITOSU, “to” la prima di HIGAONNA], debitore di en-trambe le scuole. L’intensa preparazione fisica prevista nello SHITO RYU è propedeutica alla necessaria po-tenza corporea, basilare in questo stile e che consente l’esecuzione degli oltre cinquanta KATA studiati. Questo stile, un tempo, è conosciuto come HAKKO. SHITOTSU. – “Affondo”, “stoccata”. SHITSU-KANSETSU. – “Poplite”, “cavità poplitea”. Regione posteriore del ginocchio, punto al centro della parte interna del ginocchio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SHITSUMON. – “Domanda”. SHITSUMON KEIKO. – Parte dell’allenamento riservato alle domande. SHITSUMON SURU. – Fare domande. SHIWARI. – È la pratica delle “tecnica di rottura” (HISIGI). Questa spettacolare pratica è diffusa in parecchie Arti Marziali tradizionali, compreso il KARATE (anche se non tutte le scuole lo accettano), ed enfatizzato in al-cune moderne. SHIZEN HONTAI o SHIZEN-TAI. – Posizione naturale. Posizione eretta normale, di base. Anche MUKA MA-E. Fa parte delle SHISEI (“posture”). SHIZOKU. – “Gentiluomo di campagna”. È la nuova classe sociale che emerge dalla semplificazione del si-stema, dopo la Restaurazione MEIJI: ne fanno parte quei SAMURAI che non sono SOSTUZOKU.

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SHO. – “Piccolo”. È sinonimo di KO. – “Pino”. Rappresenta “la sincerità totale” (MAKOTO). – “Mercante”. Anche AKINDO.

SHOBU. – “Combattimento” – normalmente di gara – tra due praticanti d’Arti Marziali.

– “Duello”. Può anche essere “all’ultimo sangue” (SHINKEN-SHOBU). SHOBU-ARI. – “Terminate il combattimento”. Espressione arbitrale, utilizzata in gara per porre fine ad un combattimento. SHOBU-HAJIMÈ. – “Iniziate il combattimento”. Espressione arbitrale, utilizzata in gara per dare inizio ad un combattimento. SHOCHIKUBAI. – È il termine che vuole descrivere un combattimento con la spada, che mescola, armoniz-zandoli, movimenti d’AIKIDO e di KENDO. È insegnato solamente in alcune scuole d’AIKIDO ed il vocabolo è parola composta da SHO (“pino”, rappresenta il MAKOTO), CHIKU (“bambù”, simbolo di flessibilità) e BAI (“susi-no”, simbolo dell’amore). È la pratica di questa forma d’Arte Marziale che, si dice, consente di sviluppare al meglio il SAKKI (“intuizione istantanea”) e lo YOMI (“intuizione”, “preveggenza”, legato ai concetti di MA-AI, “di-stanza” e HYOSHI, “ritmo”), per giungere alla capacità di sferrare un contrattacco immediato e fulmineo, non appena l’avversario matura la propria “intenzione aggressiva” (KIMOCHI). SHODAI o SHOSEI. – Il fondatore di un RYU d’Arti Marziali. Anche Soke e Sokei. SHODAN o SHO-MOKUROKU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 1° grado”. [si veda KYUDAN] SHODEN. – È la trasmissione iniziale nell’antico sistema di classificazione del BUGEI: quello che serve per cominciare.

– Insegnamento base dello IAIDO. Comprende quattro tecniche, che costituiscono altrettante fasi: NUKI-TSUKE (“sguainare”), KIRI-TSUKE (“tagliare”), CHIBURI (“pulire la lama”), NOTO (“rinfoderare”). SHODO. – “La Via della Scrittura”. Pratica e scienza della calligrafia. Nel Giappone antico – ed anche in tutto l’Oriente, dove la scrittura è “disegnata” con ideogrammi – un guerriero abile e capace non può che es-sere anche un provetto calligrafo e, spesso, pure valente pittore. Il tratto del pennello, come il maneggio di una spada, richiede attenzione, concentrazione, rapidità d’esecuzione e padronanza perfetta del gesto. Non è un caso che gli adepti del BUJUTSU (e poi del BUDO), da sempre, si allenano anche a scrivere poemi o tra-scrivere massime: serve per migliorare la coordinazione neuromuscolare e disciplinare lo spirito. Eccellente combattente, esperto calligrafo, buon pittore: così deve essere il SAMURAI. Non per nulla il BUKE-SHO HATTO prescrive, alla norma n° 1: «Devono essere sempre praticate lo studio della letteratura e le arti umanistiche (BUN), quelle delle armi (BUKI), l’arcieria (KYU-JUTSU) e l’equitazione (BA-JUTSU).» Vale la pena di notare che, in Estremo Oriente, la distinzione tra calligrafia e pittura non è netta. SHODO è anche detta BOKUSEKI. SHOEN. – Vasta proprietà terriera destinata alla coltivazione del riso. Nasce dal fallimento del progetto TA-HITO di riforma della proprietà terriera, nella prima metà del IX secolo. L’ingrandirsi delle proprietà, formal-mente assegnate dall’Imperatore, con l’acquisizione di nuove terre (bonificate o acquistate, assorbite ille-galmente – quelle pubbliche – o arrivate con il KISHIN), unitamente alla perdita d’autorità e potere del gover-no centrale, costringe i proprietari degli SHOEN a proteggersi da soli, anche unendo le forze. I proprietari più piccoli, cedendo terre ai più grossi, in cambio di protezione, promettono di essere fedeli sostenitori e si auto-definiscono “coloro che servono”, i SAMURAI. Il Giappone torna ad avere una élite militare. SHOGUN. – “Generalissimo”. Il titolo completo è SEI-I-TAISHOGUN, ovverosia “Generalissimo per aver vinto i barbari”. È usato per la prima volta nel 200 d.C. circa, a indicare i quattro generali inviati dal 10° Imperatore, Sujin, a sedare le ribellioni, durante la fase di consolidamento del potere. Spetta all’Imperatore la nomina formale dello SHOGUN, scelto tra i DAIMYO più ricchi e più forti militarmente, da MINAMOTO-NO YORITOMO (che si autoproclama tale nel 1192) in poi. Tre sono i BAKUFU (“Governo della Tenda”, questo il termine con cui s’indica lo SHOGUNATO, il governo militare dello SHOGUN) nella storia del Giappone: lo SHOGUNATO di KAMA-KURA (1185-1333), quello di KYOTO, con gli ASHIKAGA (1336-1573) ed i Reggenti HOJO, ed infine lo SHOGUNA-

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TO dei TOKUGAWA, a EDO (1603-1868). Inizialmente, l’istituto dello SHOGUNATO giustifica la propria esistenza con la delega formale e legale del potere da parte dell’Imperatore: è pressoché perfetto l’equilibrio politico e culturale tra KAMAKURA, sede del BAKUFU, e KYOTO, il centro culturale nazionale, la città degli Imperatori e dei KUGE. La carica di SHOGUN è abolita nel 1868 ed entro il 1870 tutte le istituzioni feudali fanno la stessa fine. [si veda anche la voce “Cronologia, Shogun”, nella seconda parte del Dizionario] SHOGUNATO. – Governo militare (BAKUFU) dello SHOGUN. L’iniziale organizzazione del BAKUFU è semplice e snella, contando appena su tre strutture: il SAMURAI DOKORO (“la Carica dei Samurai”, il quartiere generale militare, di polizia e amministrativo), il MANDKORO (l’amministrazione generale) ed il MONCHUJO (l’ufficio lega-le). Questa forma di dittatura ha termine con le dimissioni (1867) dell’ultimo SHOGUN TOKUGAWA, Yoshinobu – che rimette il potere amministrativo nelle mani dell’Imperatore Mutsuhito – ed è formalmente abilita nel 1868, al termine della cosiddetta Restaurazione MEIJI. SHOIN-ZUKURI. – È lo stile abitativo che si afferma dal 1400 in poi, adottato dai SAMURAI ricchi e dai DAIM-YO. La dimora di un capo Clan o di un DAIMYO – spesso vero e proprio palazzo fortificato – comprende corti-li, giardini, sale di ricevimento ed alloggi per gli ospiti; non può mancare una scuderia (UMAYA) cui, spesso, s’aggiunge una piccola cappella buddista (jibutsudo) all’interno del recinto. Questo, ampio, è circondato dal TSUIJI, e racchiude spazi liberi, destinati all’addestramento dei guerrieri: equitazione, maneggio delle armi, ti-ro con l’arco. Distinti edifici (toozamurai), all’interno del recinto, sono destinati ad alloggiare i fanti, mentre i SAMURAI di basso rango abitano nei sajiki, capanne di modeste dimensioni, con pavimento in terra battuta, muri di bambù intrecciato o paglia (solo paraventi, d’estate), tetto d’assi e divisori interni costituiti da tende. Man mano che cresce l’importanza, il rango del padrone di casa, la sua abitazione si trasforma in un vero e proprio castello [si veda la voce “castello”, nella seconda parte del Dizionario] SHOJI. – “Porta”. Pannello scorrevole a riquadri, di carta translucida, su telaio di legno. È presente nelle case giapponesi tradizionali; la tradizione vuole che sia essere aperto con entrambe le mani, stando in SEIZA. È adatto come porta finestra per esterni. SHOJU. – “Guerrieri al seguito” (di un SAMURAI). Sono antichi contadini di classe NUHI, ormai svincolati dalla terra (dall’inizio del Periodo ASHIKAGA); prestano servizio armato alle dipendenze di un BUSHI. SHOKAKUFU-HACHI. – Piastre tipiche dell’elmo KABUTO. SHOKAKUFU-NO-HACHI. – “Coppo ad ariete”. È termine che indica lo spigolo frontale, accentuato dal becco, del coppo della TANKO. SHOKUNIN. – “Artigiano”. Anche KO. SHO MEN. – “Parte frontale”, “davanti”, “di fronte”. “Colpo diretto alla testa”. SHO MEN TSUKI. – “Colpo frontale al viso, con il pugno”. SHO MEN UCHI. – “Fendente verticale al capo”. “Colpo frontale al viso, con taglio dall’alto al basso”. Ese-guendo SHO MEN UCHI, UKE deve considerare il TE-GATANA (bordo inferiore della mano, quello che colpisce) come fosse il filo tagliente di una spada ed unirsi al KI del cielo e della terra per concentrare l’energia sulla mano, come se volesse separare l’Universo. TORI, da parte sua, assumendo la “giusta distanza” (MA-AI), deve sentirsi animato dall’intenzione di “unirsi” al suo avversario, per condurlo nella direzione prescelta. TO-RI si armonizza con la respirazione di UKE e – con il cuore stabile come una montagna, il corpo morbido co-me l’acqua – lo guida in IRIMI o s’apre in TENKAN. SHO MEN UCHI IKKYO TSUGI ASHI. – Passo seguito, parata alta e rotazione. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). SHO-MOKUROKU o SHODAN. – “Cintura Nera di 1° grado” [si veda KYUDAN], secondo il moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU. Nel WA-JUTSU indica lo “studente esperto”. SHORINJI KEMPO. – Particolare stile di KARATE. È un misto di JUDO, JU-JUTSU e KARATE – più pratica reli-gioso-filosofica che Arte Marziale – che SO DOSHIN, monaco buddista ZEN (al secolo NAKANO MICHIOMI), ela-

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bora e codifica, dopo la Seconda Guerra Mondiale, prendendo spunto dalla scuola HAKKO RYU. I religiosi ZEN vi ricorrono come complemento fisico alla loro meditazione in posizione seduta (ZAZEN), giacché l’insegnamento di SO DOSHIN, che lega indissolubilmente corpo e spirito, prescrive che sia l’uno sia l’altro devono essere allenati, proprio attraverso KEMPO e ZAZEN. Nel 1972 lo SHORINJI KEMPO – che segue l’insegnamento dello “Zen del Diamante” (KONGO-ZEN) – assume il nome di NIPPON SHORINJI-KEMPO, e si giapponesizza completamente. Il nome di questa Disciplina deriva dalla lettura giapponese dei caratteri “SHAO LIN-SI“ e “Quanfa”, che identificano un tipo di lotta, simile alla boxe, praticata nell’omonimo, famoso monastero buddista cinese. SHORIN RYU KARATE-DO. – È il nome che assume nel 1920, per opera del Maestro CHIBANA CHOSHIN, l’antica scuola SHURI-TE di KARATE, ad OKINAWA. Oggi la SHORIN RYU KARATE-DO fa parte dell’associazione Okinawa Karate-do Renmai, che rappresenta tutti gli stili insegnati sull’isola. [si veda, anche, OKINAWA] SHOSEI o SHODAI. – Il fondatore di un RYU d’Arti Marziali. Anche Soke e Sokei. SHOSHITSU RYU. – Antica scuola di scherma con la spada, usata indossando l’armatura. Risale al 1646 circa. SHOTEI. – “Palmo della mano”. Pure SHU-WAN. SHO-TO. – “Piccola spada”. Classe di spade con la lama di lunghezza compresa fra 40 e 60 cm, legger-mente incurvata. I SAMURAI sono soliti portarla con la KATANA, classe DAI-TO, a formare un DAI-SHO. [si veda TO] SHOTOKAI. – Nome dello stile di KARATE ideato da FUNAKOSHI YOSHITAKA, figlio di FUNAKOSHI GICHIN, e della scuola da lui fondata a Tokyo verso il 1946. Intenzione del fondatore è aiutare i praticanti a raggiungere lo stato di MUSHIN, il “non pensiero”, sviluppandone maggiormente lo spirito e trasformare il KARATE in un modo di vita, piuttosto che in un’attività sportiva. L’”Associazione Giapponese di Karate” (Nihon Karate Kyokai) ha origine dallo SHOTOKAI, nel 1937. SHOTOKAN. – “Il Luogo di Shoto” (dal soprannome del fondatore). È la scuola di KARATE-DO fondata da FUNAKOSHI GICHIN ed anche il nome dell’HONBU DOJO (la “Palestra Centrale”), impiantato a Tokyo nel 1938. Lo stile messo a punto da FUNAKOSHI GICHIN preferisce i rapidi spostamenti di base (TAI SABAKI), attacchi pro-fondi, penetranti e bassi, tecniche leggere. Questo stile è poi elaborato e modificato dal figlio del fondatore, FUNAKOSHI YOSHITAKA, che subentra al padre nella direzione del DOJO alla fine della guerra. Lo SHOTOKAN (distrutto nel 1945 e ricostruito subito dopo la Seconda Guerra Mondiale) ha lo scopo di promuovere la diffu-sione del KARATE-DO ed equivale al BUDOKAN. SHOYA. – “Capo villaggio”. Con l’inurbamento dei SAMURAI, endemico durante la dominazione TOKUGAWA, l’amministrazione rurale è tutta nelle mani degli SHOYA, che è al più basso gradino tra i funzionari dell’HAN, ma al più alto della gerarchia che, da sempre, esiste anche nei più sperduti villaggi. Lo SHOYA deve stimare la terra, riscuotere le tasse, badare alla moralità pubblica, mantenere l’ordine. Verso la metà del 1800 gli SHOYA contribuiscono non poco a ridimensionare il ruolo e la figura dei SAMURAI che, addirittura, sentono in-feriori. Dimostrano, con petizioni all’Imperatore, che il loro ruolo di “capo del popolo comune”, è più antico dell’istituto dei SAMURAI, “i piedi dei nobili” e che l’evoluzione del loro gruppo [oggi diremmo “figura professio-nale”] è precedente agli SHOGUN. Inoltre, nella pratica, gli SHOYA provano di essere in grado di amministrare il 95% della popolazione – quella delle campagne – senza alcun intervento della cosiddetta classe gover-nante, i SAMURAI, appunto. In sintesi, oltre a pretendere cambiamenti, reclamano anche alcuni privilegi, il più comune dei quali è la nomina al rango di SAMURAI (!?). SHOZOKU-DACHI o SHIN-NO-DACHI. – “Spada cerimoniale”, parte dell’abito indossato a Corte dai nobili (dapprima il SOKUTAI, il “grande costume ufficiale”, quindi l’IKAN). Quando il fodero (SAYA) della TACHI è rico-perto di pelle d’orso, segno distintivo per BUSHI d’alto rango, la spada prende il nome di SHIRIZAYA-DACHI. [si veda TACHI] SHU. – “Mano”. Pure TE.

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SHUCHU. – “Concentrazione”. SHUCHU RYOKU. – “Concentrazione dell’energia” o “della forza”. SHUGENDO. – Complesso di pratiche magiche – che caratterizzano soprattutto le scuole (sette) esoteriche buddiste SHINGON e TENDAI – e superstizioni personali proprie degli YAMABUSHI, i “Guerrieri dei Monti”. Que-sta setta, per la tradizione, ha un fondatore (l’eremita EN.NO GYOJA, “En il Praticante”), una data di nascita (il 700, circa) ed una lunga serie di patriarchi fino al 1872, anno in cui è soppressa d’autorità, ma, nella realtà, l’insieme di credenze e di pratiche esoteriche si sono amalgamate nel tempo e, sedimentando, hanno dato credito a leggende, superstizioni, opinioni e fedi diverse. Numerose sono le divinità buddiste e scintoiste (KAMI) venerate dai rudi (e spesso incolti) YAMABUSHI, i quali sono convinti – riprendendo, in parte, un con-cetto del Buddismo ZEN – che, se restano fedeli all’idea di un’assoluta uguaglianza tra gli uomini, tutto ciò che fanno in vita è opera di Buddha. Dalla soppressione ufficiale del 1872, nonostante un tentativo di “resur-rezione” nel secondo dopoguerra, tutti i seguaci dello SHUGENDO sono rientrati nelle sette TENDAI o SHINGON. SHUGI. – “Conservare l’energia” (è composto di KI). SHUGO. – “Governatore militare”. È il governatore di una delle Province – o gruppo di Province piccole – i-stituite dal BAKUFU di KAMAKURA, dopo il 1192. Di classe SAMURAI, ha il compito di provvedere, a livello loca-le, alle funzioni militare e di polizia e di proteggere le attribuzioni civili e amministrative dello JITO, compresa la riscossione delle tasse. La designazione degli SHUGO compete allo SHOGUN, che dovrebbe nominarli per la loro abilità nel governare, non per ricompensa o alleanza, com’è chiaramente specificato nel Kemmu-shiki-moku (il Codice ASHIKAGA) del 1336. Nel 1370 esistono, in tutto, venti famiglie SHUGO – metà delle quali imparentate con gli ASHIKAGA – che governano il Giappone in nome dello SHOGUN. Lo SHUGO ha il dirit-to-dovere di reclutare truppe nel suo dominio, per formare, quando richiesto, un contingente militare al servi-zio dello SHOGUN. Questo, unitamente alle funzioni già concentrate nelle sue mani (militari, di polizia e civili, con lo JITO praticamente esautorato), lo rende sempre meno burocrate e sempre più simile ad un vero e proprio Signore, che governa la provincia come fosse un possedimento privato, quasi un regno indipenden-te, senza riferimento all’autorità shogunale o imperiale. È la fine del secolo XIV: nasce lo SHUGO-DAIMYO. SHUGO-DAIMYO. – Si veda SHUGO. SHUGYO. – “Purificazione”.

– “Addestramento solenne”. Chi pratica questa forma di addestramento austero è chiamato shu-gyosha. SHUIN TACHI. – “Spada di legno con iscrizioni”. Una delle più famose SHUIN TACHI conosciute è quella fab-bricata da ITO ITTOSAI KAGEHISA e trasmessa, attraverso oltre quattordici generazioni di discendenti Capi-scuola dell’ONO-HA ITTO RYU, fino a YAMAOKA TESSHU ed ai suoi eredi. Sulla spada sono scritte, con inchio-stro rosso, cinque frasi o parole relative alla scherma, tra cui “il tempismo del non tempo”. SHUKO. – Punto sul palmo della mano, a sinistra del tendine del 2° radiale. KYUSHO, “punto vitale” o “debo-le” per gli ATEMI.

– Particolari “manopole” o guanti, usate dai NINJA. Di cuoio, hanno rinforzi in metallo muniti di ganci. Utilizzati per scalare e arrampicare (muri, pareti scoscese, cinte murarie, alberi eccetera), in caso di necessità servono a parare fendenti o sono adoperati come artigli. Anche TEGAKE. SHUKOKAI. – Stile (e scuola) di KARATE, molto coreografico, quasi “danzante”, ideato da TANI CHOJIRO nel 1948 e conosciuto in Europa grazie all’opera divulgativa di NAMBU YOSHINAO. Alla base di tutti i movimenti dello SHUKOKAI – che puntano comunque alla massima efficacia – c’è un accurato studio scientifico, ma gli incontri, assai scenografici, assomigliano più a rappresentazioni che a combattimenti, tant’è vero che i prati-canti indossano accessori tipici delle forme teatrali classiche giapponesi, KABUKI e NOH. SHUMATSU DOSA. – Movimento per “fissare”. SHUNYA. – “Vacuità”. La perfetta vacuità è l’unificazione dell’essere umano con il nulla cosmico. È un principio buddista: ciò che sembra essere è unito, in modo imperscrutabile, a ciò che non è. SHUNYA è il fine

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ultimo del metodo HYODO, si trova richiamato nel concetto MU di negazione totale e, quindi, nello “stato men-tale di vacuità” MUSO (e MUNEN-MUSHIN). SHURIKEN. – Armi da lancio. Rientrano nel gruppo delle KAKUSHI, le “armi nascoste”. Piccole (5-10 cm di diametro), appuntite ed affilate, sono utilizzate soprattutto dai NINJA ed hanno forma diversa: a stella (SHA-KEN), ad ago (FUKUMI-BARI), a coltello (BO-SHURIKEN) eccetera. Gli SHURIKEN spesso sono lanciati in gruppo (3 o 5 alla volta) e possono causare ferite gravi, talvolta mortali, se, come sovente accade, sono avvelenati. L’arte di lanciare gli SHURIKEN è detta, ovviamente, Shuriken-jutsu. SHURI-TE. – “Mano di Shuri”. Scuola di KARATE. Creata nel 1830 ad OKINAWA da MATSUMURA SOKON, è svi-luppata in seguito da alcuni suoi discepoli, tra cui ITOSU YASUTSUNE ANKO e CHIBANA CHOSHIN che, nel 1920, la rinomina SHORIN RYU KARATE-DO; oggetto particolare di studio è l’applicazione dei KATA. Oggi fa parte dell’associazione Okinawa Karate-do Renmai, che rappresenta tutti gli stili insegnati sull’isola. [si veda, an-che, OKINAWA] SHUTO o TE-GATANA. – “Taglio della mano”. Bordo esterno della mano. SHUTO UCHI. – Attacco diretto, fendente, con il TE-GATANA o con la spada (soprattutto nel KENDO). SHUTO UKE. – Parata, eseguita con il TE-GATANA o con il dorso della spada (soprattutto nel KENDO). SHUYO SHOSEI-RON. – “Trattato sull’insegnamento dello Spirito e della Vita”. Opera di YAMADA JIROKICHI, Maestro di KENDO, sulla sua Arte. SHU-WAN. – “Parte inferiore” dell’avambraccio; “palmo della mano”. Pure SHOTEI. SINGETSU. – “Epigastrio”. Zona dell’addome situata sopra l’ombelico. Punto dell’ epigastrio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SISHININ. – “Sette”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è SHICHI o NANA, in giapponese puro si dice NANATSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa NANAHON. SO. – “Primo”, “maggiore”

– “Integrale” o “unico”; “completo”. – “Violenza”.

SOBI. – “Tricipite surale”. Base del muscolo tricipite o tibiale posteriore. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SODA. – Zona della 7^ vertebra cervicale. Punto alla base delle scapole. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SODE. – “Manica” della casacca GI.

– SPALLACCI dell’armatura. Introdotti nei tempi antichi – ma considerati d’impaccio e quindi, in segui-to, aboliti – tornano con l’armatura moderna. Forma e dimensioni variano molto, ma in genere sono quasi quadrati, larghi da 15 a 35 cm e fatti in un’unica piastra di metallo oppure di piastre metalliche, scaglie o la-melle unite da cordoncini di seta. All’armatura si allacciano mediante cordoncini o fettucce. SODE-GARAMI. – “Aggroviglia maniche”. Tipica arma in asta, utilizzata per catturare, disarcionare o disar-mare un avversario, facendo presa sulle larghe maniche dei vestiti. [si veda HINERI] SODE GUCHI. – “Imboccatura della manica”. SODE GUCHI DORI. – “Presa all’imboccatura della manica”. SODE DORI. – “Presa alla manica”. UKE afferra la manica o l’interno del gomito di TORI (in GYAKU HANMI). In alcuni stili d’AIKIDO, si contano cinque serie di prese, cui corrispondono altrettanti tipi di difesa: JUN KATA SODE TORI (“prima presa di maniche”), DOSOKU KATA SODE DORI (“seconda presa”), MAE RYO TE KATA SODE DORI (“ter-

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za presa di maniche”), USHIRO ERI KATA SODE DORI (“quarta presa”), USHIRO RYO KATA SODE DORI (“quinta presa di maniche”). SODO. – “Sala della meditazione” (anche ZENDO). [si veda] SO DOSHIN. – Monaco ZEN. Si veda NAKANO MICHIOMI. SOHEI. – “Monaci-samurai”. Sono ordinati con una cerimonia piuttosto superficiale, dato che, in fondo, si tratta di guerrieri arruolati per incrementare le truppe monastiche. La necessità di disporre di un buon nume-ro d’armati deriva dalla volontà di difendere le proprietà – inizialmente dichiarate esenti da imposte – dei centri religiosi, sempre più vaste man mano che il sistema KISHIN (la donazione di terre, per evitare le tasse ed ottenere protezione) si diffonde. La rivalità tra i maggiori centri religiosi aumenta con l’aumentare dei loro possedimenti ed è grande l’allarme sociale che desta il loro continuo guerreggiare, durante la Reggenza FU-JIWARA (890-1185, ma anche dopo: il ruolo militare dei templi cessa solo nel 1571, quando ODA NOBUNAGA espugna il monte Hiei). Non si tratta solo di lotte fra monasteri – che, generalmente, si concludono con l’incendio del tempio sconfitto –, ma di vere e proprie interferenze nell’attività della Corte imperiale. SO-IN. – “Base delle dita” dei piedi. Zona corrispondente al tubercolo del 5° metatarso, sul bordo esterno del piede. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SOJOBO. – Sovrano dei TENGU [si veda], popolari esseri mitologici dell’antico Giappone. SO-JUTSU o YARI-JUTSU. – “Scherma con la lancia”. Fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (ol-tre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). Il SO-JUTSU, che si pratica indossando l’armatura, appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). [si veda anche “ Antiche arti da guerra”] SO-KUATSU. – Tecniche di rianimazione (KUATSU) molto complesse. È una serie di KUATSU ad azione glo-bale (o KUATSU maggiori), che unisce gli effetti delle percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU) a quelli delle pressioni addomo-toraciche (manovre respiratorie, HAI-KUATSU) alle stimolazioni cardiache (SHINZO-KUATSU). Tradizionalmente, i SO-KUATSU si praticano con l’utilizzo del KIAI. Della serie fanno parte tre gruppi: SAN-SO-KUATSU (“tre procedimenti integrali”): applicano lo stesso principio, ma il paziente è supino (USHI-

RO-SO-KUATSU), bocconi (TANDEN-SO-KUATSU) o seduto (AGURA-SO-KUATSU). KIKAI-SO-KUATSU: procedimento integrale addomo-toracico; procedimenti che necessitano di un aiutante: AIIRE-SO-KUATSU, O-SEI-KUATSU.

SOKUMEN. – “Lato”. SOKUMEN DORI. – “Presa di lato”. SOKUTAI. – “Grande costume ufficiale”. È una specie di uniforme, che tutti gli alti funzionari di Corte devo-no indossare. È composto, essenzialmente, da HAKAMA molto larghi, con biancheria a manica corta (koso-de), e casacca (HO). Colore delle vesti (leggere o pesanti secondo stagione) e lunghezza dello strascico, obbligatorio, sono regolati da norme stabilite nel 1212. Nel secolo XIII il costume si semplifica e diventa si-mile a quello chiamato IKAN. SOKUTO. – “Bordo esterno” del piede. Pure ASHI-GATANA. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SOMABITO. – “Boscaiolo”. Il legno è la materia prima più importante, nel Giappone storico, ma chi procura il legno, i SOMABITO appunto – che vivono nelle foreste, abbattono gli alberi necessari all’edificazione di pa-lazzi, templi e case, raccolgono legna da ardere e preparano il carbone di legna – sono normalmente molto poveri. Ricco diventa chi il legno lo commercia, mentre chi lo lavora – carpentiere, maestro d’ascia, fale-gname, scultore – talvolta è conosciuto e ricercato artigiano, quando non artista addirittura. SOMEN. – Tipo di maschera d’arme. Usata dall’inizio del XVI e conservata fino al XIX secolo; copre tutto il volto, è plasmata con lineamenti terrificanti ed alcuni esemplari hanno addirittura lunghi baffi di canapa.

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SONSHI. – Nome giapponese di Shun Tzu (il Maestro Shun) o Shunzi, celeberrimo stratega cinese del se-colo IV a.C. È l’autore – tra l’altro – del più antico trattato d’arte militare conosciuto, il Shunzi Bingfa. SONU. – “Base del collo”. Punto della base del collo, tra le creste clavicolari. KYUSHO, “punto vitale” o “de-bole” per gli ATEMI. SORASHI. – “Finta”, “falso attacco”. SORI. – “Curvatura della lama”. SOROBAN. – “ABACO”. Strumento per eseguire operazioni aritmetiche. SO-SETSU-KON. – Attrezzo agricolo per battere la paglia di riso. È questo strumento, utilizzato come arma da botta, che i contadini di Okinawa traggono il NUNCHAKU. SOSTUZOKU. – “Soldato”. È la nuova classe sociale che emerge dalla semplificazione del sistema, dopo la Restaurazione MEIJI: ne fanno parte quei SAMURAI che non sono SHIZOKU. SOSUICHI RYU. – “Scuola delle Acque Pure”. Antica scuola di JU-JUTSU, fondata da FUGATAMI MISANORI HAN-NO-SUKE nel 1650. SOTAI DOSA. – “Esercizi preparatori, eseguiti a coppie”. SOTAI RENSHU. – Pratica d’allenamento alle Arti Marziali (principalmente JUDO), a coppie, che rientra nel SEIRYOKU ZEN.YO KOKUMIN TAI-IKU NO KATA. Consta in 20 esercizi, in apparenza “dolci”, che richiedono rapidità d’esecuzione e decisione fulminea. SOTO. – “Fuori”, “esterno”. SOTO o SOTO-SHU.– Scuola ZEN, una delle due principali rimaste, l’altra è la RINZAI (RINZAI-SHU). Questa scuola (o setta, che dir si voglia), fondata da DOGEN ZENJI, ritiene la pratica ZAZEN la più utile per raggiungere il SATORI e poca importanza assegna ai KOAN. SOTO KAITEN. – TORI esegue la tecnica restando “esterno” ad UKE. SOTO KAITEN NAGE. – “Proiezione rotatoria esterna”. La caduta di UKE è in avanti. SOTTO. – “Svenimento”, “sincope”. SUBURI. – Movimenti individuali con le armi. SUGAKE. – Tipo di allacciatura dell’armatura ODOSHI. SUIEI-JUTSU. – Tecniche per combattere in acqua con armatura addosso. Fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMU-RAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”] SUIGETSU. – “Bocca dello stomaco”. Punto sotto il plesso solare. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SUIJOHOKO-JUTSU. – Tecniche per attraversare i corsi d’acqua. Fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”] SUISEI-MUSHIN. – Concezione della vita: è un “sogno ad occhi aperti”. Questo concetto filosofico è in con-trasto con l’idea di SATORI e di MUSHIN. SUJI. – “Bordo della piastra” metallica [si veda SUJI-KABUTO].

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SUJI-KABUTO. – Elmo. Ideato nella prima metà del XIV secolo, utilizza rivetti a testa piccola e dalla super-ficie dell’HACI sporgono solo i bordi rialzati delle piastre (SUJI), che formano una sorta di nervatura di rinforzo. Nella gronda (SHIKORO) con risvolti (FUKIGAYESHI), il SUJI-KABUTO assomiglia all’antico HOSHI-KABUTO, ma è re-so robustissimo dalle piastre verticali che compongono il coppo, di larghezza ridotta, sempre unite da rivetti (a testa piccola, però, o addirittura senza) e quasi sovrapposte l’una all’altra. SUKI. – “Apertura” (è composto di KI). Indicando anche l’opportunità, l’occasione da cogliere al volo – com-plementare del “momento di assenza dello spirito”, di mancata concentrazione – è sinonimo di BONNO. Indi-ca quella sensibilità, tipicamente giapponese, relativa allo “spazio vuoto” (suki-ku) ed alla libertà di spirito di occuparlo o meno. Il BUDO è l’arte di vedere i SUKI. SUKI-O MITSUKERU. – “Attendere e vederlo arrivare”. È la capacità di osservare ed attendere l’attacco dell’avversario, per poterlo anticipare o per contrattaccare. SUKIYA. – “Sala da tè”. Può far parte della casa del Giappone feudale o esserne separata. La classica SU-KIYA misura quattro TATAMI e mezzo, con il mezzo TATAMI al centro, dove è posta la teiera; gli ospiti (non più di cinque, normalmente) si dispongono sui lati. Unico arredo, di solito, è un TOKONOMA. SUKUI. – “Cucchiaio”. SUMAI. – Con questo nome viene chiamato il SUMO nella mitologia. Il racconto di come, da uno scontro sul-la spiaggia di Izumo, nel 23 a.C., il SUMAI inizi ad essere uno stile di lotta, si ha nel Nihonji (o Nihon shoki, “Annali – o Cronache – del Giappone”). Il combattimento vede opposti Tajima-no-kohaya e Nomi-no-sukune, di Izumo, con il secondo che, vincitore, è considerato il fondatore del SUMAI; Tajima-no-kohaya muore, a seguito di un calcio che gli frattura le costole. Il SUMAI, infatti, pur sostanzialmente identico al SU-MO nelle prese e nelle proiezioni, contempla anche pugni, calci e colpi d’ogni genere, al fine d’indurre alla re-sa senza condizioni l’avversario, anche al prezzo della sua vita. A combattersi sono dei campioni scelti dai vari Clan, atleti che gareggiano in tornei organizzati dai Governatori, o dall’Imperatore stesso, in onore dei KAMI scintoisti, ma senza alcuna finalità marziale. È con l’affermarsi della classe dei BUSHI che il SUMAI – di-ventato meno cruento e ribattezzato SUMO – è studiato per finalità belliche (lotta sul campo di battaglia, quando, per un motivo qualsiasi, non è possibile usare le armi) anziché religiose, ludiche o sportive. Da questa forma di SUMAI, divenuta SUMO, si sviluppano le tecniche di lotta senz’armi note come KUMI-UCHI o YAWARA (praticate con indosso l’armatura) e, in seguito, lo JU-JUTSU. SUMI. – “Angolo”. SUMI OTOSHI. – “Proiezione angolare”. “Proiezione nell’incavo del braccio”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). SUMIKIRI. – “Chiarezza di mente e di corpo”. È un concetto scintoista, che prevede la purezza per la mente ed una sorta di “stato di grazia” per il corpo. Si raggiunge dopo aver praticato MISOGI, sia esterno che inter-no, che “riallinea” con la “fonte della vita”. È anche l’obiettivo che i BUDOKA dovrebbero prefiggersi di rag-giungere. SUMO. – È la più antica delle Arti Marziali giapponesi e pare certo che da questa derivi lo JU-JUTSU. Per la tradizione, a lottare a mani nude per il dominio del Paese sono, inizialmente, due KAMI, anche se è molto probabile che si tratti della trasposizione mitologica della lotta per la supremazia fra due capi guerrieri, uno coreano e l’altro già “giapponese”, in periodo protostorico [Periodo KOFUN? Di certo già nel Periodo ASUKA, 525-645, sono documentati tornei di SUMO o, meglio, di SUMAI – si veda]. I combattimenti di SUMO, almeno fino all’inizio della Reggenza FUJIWARA (seconda metà del secolo IX), hanno carattere prettamente religioso e apotropaico, per avere raccolti abbondanti: fanno parte dei riti scintoisti, servono ad ingraziarsi i KAMI e si svolgono durante tornei. I tornei, ogni anno, richiamano SUMOTORI da tutte le province del Giappone e l’Imperatore vi assiste [si veda SECHI-E-ZUMO]. Con la progressiva assimilazione di questa forma originale all’Arte militare (iniziata nell’868 e concretizzatasi nel secolo XII, con la creazione dello JORAN-ZUMO, antena-to dello JU-JUTSU), in parallelo si sviluppa uno stile unicamente religioso, lo SHINJI-SUMO. La versione attuale del SUMO risale al secolo XVII, dalla fusione dello stile “marziale” (JORAN-ZUMO) con quello “sacro” (SHINJI-

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SUMO). Il SUMO fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”]. Il SUMO incontra una prima, grande, diffusione nel Periodo EDO (1603-1868): con il Paese “pacificato”, incontri e tornei di lotta acquisiscono quegli aspetti ceri-moniali e marziali che ancora oggi conservano, così come anche oggi il SUMO è un popolarissimo sport na-zionale. L’incontro, il combattimento (TORI-KUMI) è preceduto dalla “presentazione” (DOHYO-IRI), dalle ceri-monie “propiziatoria” (DOHYO-MATSURI) e “iniziale” (SHIKIRI) e seguito dalla “danza con l’arco” (YUMITORI-SHIKI). Il TORI-KUMI si svolge nel DOHYO e, in teoria, ha regole molto semplici: vince – accumulando punti – il lottato-re che spinge l’avversario fuori del “cerchio sacro” o gli fa toccare terra con una qualsiasi parte del corpo, piedi esclusi, ovviamente. È consentito l’uso delle sole 48 prese autorizzate (KIMARITE) – anche alla cintura (MAWASHI), ma non al perizoma (MAE TATE MITSU) – e sono vietati pugni, calci, strangolamenti. Non esistono categorie di peso, per cui capita che un lottatore affronti un avversario pesante il doppio. Nei tornei vige un rigido rituale, che si richiama alle cerimonie feudali ed ai riti SHINTO. SUMOTORI. – Il praticante di SUMO. Il peso dei lottatori, alimentati in modo particolare, può superare i 230 chilogrammi. Nel SUMO non esistono suddivisioni per categorie di peso, ma di esperienza e la gerarchia all’interno delle scuole (HEYA) è rigida e con un’etichetta assai complessa. I lottatori combattono indossando unicamente un perizoma di seta (MAE TATE MITSU) ed una lunga e pesante “cintura” (MAWASHI), da cui pendo-no numerosi cordoncini rigidi di seta (sagari). I capelli sono acconciati all’antica, in modo diverso per le di-verse categorie d’appartenenza dei SUMOTORI. L’acconciatura dei lottatori d’alto rango è la O-ICHO-MAGE: i capelli sono raccolti in una crocchia a forma di ventaglio, che ricorda la foglia dell’albero ginkgo biloba (icho). Tutti gli altri portano i capelli, intrecciati con striscioline di carta, annodati nella CHON-MAGE. SUN. – Misura di lunghezza. Equivale a 10 BU e corrisponde a 303 millimetri. SUNEATE. – “Gambali”, “schinieri”, parastinchi dell’armatura. Prima del 1573, inizio del Periodo MOMOYA-MA, le tre piastre verticali – di cuoio o ferro laccato – che costituiscono il SUNEATE sono allacciate fra loro, senza le cerniere poi introdotte. Adatti al combattimento a cavallo, presentano spesso un’altra piastra, a protezione del ginocchio e della coscia, che sporge in alto. I SUNEATE si modificano, alleggerendosi, quando il combattimento a piedi inizia ad avere maggior rilievo. [si veda KARA-SHINO-SUNEATE e SHINO-SUNEATE] SURI ASHI. – Scivolare sui piedi. SUSA-NO-WO. – Così è anche chiamato TAKE-HAYA-SUSA-NO-WO-MIKOTO, “Sua Altezza il Maschio Violento”, l’uragano. SUTE. – “Abbandono”, “abbandonare”. SUTEMI. – Deriva da SUTE, “abbandono” e MI, “corpo” e significa “Lasciare, abbandonare il corpo”, tanto nel senso di “rischiare la vita” o “sacrificarsi” (per vincere), quanto “abbandonare, dimenticare l’ego”. È dal se-colo VI, attraverso l’accettazione della concezione (religiosa e filosofica) buddista della caducità di tutte le cose, che il BUSHI affronta con animo lieto (KOKORO) il sacrificio estremo della vita, al servizio del proprio Si-gnore. La morte – quando non inutile, involontaria e inattesa – giustifica l’intera vita del guerriero, trascorsa al servizio del Signore o di una causa, e dà origine ad una nuova esistenza, nell’eterno ciclo della rinascita. Oggi SUTEMI è inteso, soprattutto, come sacrificio. SUTEMI WAZA. – “Tecnica di sacrificio”, utilizzata quale espediente per vincere. Oggi si chiamano “tecni-che di sacrificio” quelle in cui un combattente, per sviluppare o potenziare la propria tecnica di proiezione dell’avversario, si getta a terra. SUTRA. – L’insegnamento del Buddha, trascritto dai suoi discepoli. I fedeli li recitano cantilenando. \ SUWARI. – “Seduto” (in ginocchio). “Da seduto” (inginocchiato). SUWARI IKKYO. – “Primo principio di controllo”, praticato in ginocchio. Per il Maestro UESHIBA MORIHEI questa tecnica è importantissima, dato che – come tutte quelle eseguite in SUWARI – non consente alcun ri-

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lassamento. SUWARI IKKYO è uno dei più importanti “fattori esterni” dell’AIKIDO, i movimenti e le tecniche principali, rimaste invariate, unitamente a IRIMI, TENKAN e SHI HO NAGE. SUWARI WAZA. – “Tecniche da seduti”. Tecniche eseguite con TORI e UKE entrambi seduti (inginocchiati). SUWARU. – “Sedersi”. SU-YARI. – Tipo di YARI. La lama è lunga, a facce diritte e parallele.

- T - TABAKO-IRE. – “Borsa per il tabacco”, di stoffa o pelle, che ogni fumatore di pipa (KISERU) porta con sé. TABI. – Parte dell’armatura a protezione del piede. Si portano con i sandali (ZORI, ASHINAKA) e sono fatti di maglia di ferro o piccole piastre (di ferro o cuoio laccato) unite a maglia di ferro. Alcuni esemplari hanno an-che una suola.

– Caratteristiche “calzature” (quasi una sorta di calzettoni), normalmente di cotone: alte fin sopra la caviglia, hanno l’alluce separato dalle altre dita del piede. Indossati in casa, i TABI sostituiscono le pantofole e consentono comunque di infilare i sandali (ZORI). Ne esistono anche in tessuto pesante e muniti di suola di gomma, utilizzati sul lavoro. TACHI. – “In piedi”; “stare in piedi”. DACHI, come suffisso.

– “Tagliare”. – “Spada”. DACHI, come suffisso. Con questo termine s’indica un’arma di tradizione antichissima

(secolo VIII circa), appartenente alla classe DAI-TO: è sia l’antica spada, sempre ad un solo filo [sciabola, nel-la classificazione Occidentale], dalla lama molto curva (usata dai guerrieri che combattono a cavallo ed in genere portata con l’armatura), sia la più recente spada da cerimonia. In tempi successivi la curvatura della lama (lunga 60-70 cm) si riduce, ma l’arma è sempre portata appesa alla cintura, con il taglio verso il basso. Elemento distintivo rispetto alla KATANA – che le subentra come arma da guerra – è la firma del fabbricante, apposta sulla faccia rivolta all’esterno del codolo della lama, quindi sul lato opposto rispetta alla KATANA. Con il passare dei secoli, la lama si riduce ulteriormente, a circa 50-60 cm e la TACHI conserva esclusiva-mente le funzioni di splendida spada per cerimonia, portata a Corte (SHOZOKU-DACHI o SHIN-NO-DACHI, shiri-zaya-dachi) ed in occasioni particolari. I fornimenti della TACHI, per lo più, sono di forma particolare ed han-no nomi loro propri, diversi da quelli usati per i corrispondenti fornimenti d’altre spade: la cappetta dell’impugnatura, ad esempio, non è KASHIRA, ma kabuto-gane; invece dei MENUKI ci sono i tsuka-ai, i “com-pagni dell’impugnatura” e così via. Pure la TSUBA, spesso, è di tipo particolare (shitogi o aoi-tsuba). Il fodero (SAYA) è normalmente di legno laccato e decorato (con MON, figure, motivi floreali ecc.), talvolta rivestito di metallo e, naturalmente, non ha l’aletta KURIGATA: sulla sua lunga cappetta (ishi-zuke) ci sono due occhielli (ichi-no-ashi), ognuno dei quali ha un anello (OBITORI) cui si fissano i due sostegni (kawasaki: cinghie in tes-suto o pelle, catenelle) che reggono la spada alla cintura. La TSUKA, in genere, è rivestita con pelle di pesce (SAMÉ), ma il cordoncino intrecciato raramente è presente. Con la TACHI non si portano né KOZUKA né KOGAI né WAKIZASHI: l’arma ausiliare è il TAN-TO, portato infilato nella cintura (OBI) e con il filo verso l’alto. [si veda anche la voce “lama”, nella seconda parte del Dizionario] TACHI DORI o TACHI TORI. – “Presa della spada”. “Tecniche su attacco di spada”. Tecniche per neutra-lizzare (disarmare) un avversario che attacchi con la spada. TACHI OYOGI. – “Nuoto verticale”. Tecnica di nuoto con armi e armatura: il guerriero, in acqua, si mantiene in verticale, movendo le gambe “a rana” e le braccia “a cane”. Fa parte – secondo la “Storia delle Arti Mar-ziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccel-lere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”] TACHI-REI. – “Saluto rituale in piedi”. È un “saluto secondo le regole” (RITSU-REI). Si esegue dalla posizio-ne eretta normale (SHIZEN HONTAI), con i piedi ravvicinati e le mani aderenti al corpo, piegando testa e busto verso l’oggetto del nostro rispetto. L’inclinazione del busto varia secondo il tipo di saluto: da 5 a 15° se è normale, ad esempio quando scambiato tra compagni, prima e dopo un allenamento o quando si sale e si

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scende dal TATAMI e quando si saluta un SEMPAI o l’Istruttore. Il movimento è più accentuato (30° circa) se è di gentilezza o esprime gratitudine – ad esempio quando si saluta un Maestro – e diventa profondo (fino a 45°), con le mani che scivolano fino alle ginocchia, per esprimere delle scuse od un profondo rispetto – ver-so un grande Maestro od un personaggio importante, per esempio. [si veda REI] TACHI WAZA. – “Tecniche in piedi”. Tecniche eseguite con TORI e UKE entrambi in piedi. TADAKUNI. – Noto armaiolo, attivo tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700. TAE. – “Piede“. TAHITO.– (codici) Insieme di leggi, entrato in vigore nel 702. I codici cercano di riformare il sistema della proprietà terriera, sul modello cinese: tutte le terre appartengono all’Imperatore, che le distribuisce ai sudditi. La distribuzione avviene per nucleo familiare e l’ampiezza è in proporzione al numero dei membri, secondo il sesso e per la terra si pagano tasse in natura: riso, tessuti, corvée, servizio militare a turno (un anno in ser-vizio a NARA, tre anni ai confini). Tutti i maschi, inoltre, dai venti ai cinquantanove anni sono soggetti alla co-scrizione obbligatoria in caso di necessità, con spese d’armamento e mantenimento a carico della famiglia. Il fallimento è totale (sia perché incontra l’ostilità dei guerrieri di professione, sia perché chi già possiede la terra certo non la restituisce affinché sia ridistribuita – e la Corte non ha forze sufficienti ad imporsi). Il pro-getto è abbandonato nell’anno 840. TAI. – “Corpo”. Indica l’attitudine alla corretta postura, unita ad un perfetto stato di lucidità e coscienza. An-che MI.

– “Uomo”, “essere umano”. Indica la “meccanica” del corpo umano: sistemi osseo, sanguigno, nervoso, muscolare.

– “Grande”. Anche DAI. – Indica la forza, il vigore fisico del DANSHA. [si veda SHINGITAI]

TAIBOKU. – “Grande albero”. TAIHEN-JUTSU. – “Arte di muoversi in silenzio, cadere ed utilizzare le SUTEMI WAZA”. È compresa nel TAI-JUTSU. TAIHO-JUTSU. – Metodo di difesa e attacco, studiato per le forze di polizia giapponesi, che amalgama nu-merose tecniche di AIKIDO, JU-JUTSU, JUDO, BO-JUTSU, KARATE e KENDO, ritenute particolarmente efficaci per il controllo dell’ordine pubblico ed il fermo di individui sospetti. Risale al secondo dopoguerra ed è soggetto a continue revisioni. Nel TAIHO-JUTSU si ricorre molto al bastone corto (KEI-BO), oggetto di un’appropriata metodologia d’impiego (KEIBO-SOHO), ed al bastone telescopico (TOKUSHU-KEIBO). TAI-IKU. – “Formazione e sviluppo (IKU) del corpo (TAI)”. Si veda IKU. TAIJU. – “Peso”. È la manifestazione della forza di gravità: se ben controllato, il TAIJU non solo mantiene eretto il combattente, ma gli permette di centralizzare l’equilibrio nell’HARA. TAI-JUTSU. – È una forma di combattimento molto antica, della quale, praticamente, non si conosce quasi nulla. Pare che, ancor prima, si chiamasse KOSHI-NO-MAWARI e molti sostengono che, da questa, siano deri-vate tutte le Arti Marziali a mani nude, in particolare lo JU-JUTSU. È certo, invece, che nel secolo XVI un cer-to Nagao “riscopra” il TAI-JUTSU, codificandone le tecniche che, ancora oggi, sono utilizzate. Il TAI-JUTSU o-dierno – che fa parte del KO-BUDO – comprende: il DOKEN-JUTSU (“Arte di eseguire gli ATEMI”), il JUTAI-JUTSU (“Arte del combattimento a corpo a corpo”), il TAIHEN-JUTSU (“Arte di muoversi in silenzio”). TAIKAI. – “Grande Incontro” (o Torneo o Campionato). Il Governo giapponese, ogni anno, invita 46 RYU – tra il migliaio in attività – al TAIKAI del Budokan (il vecchio KODOKAN) di Tokyo. Le scuole invitate sono quelle che le autorità giudicano appartenere alla “vera” tradizione nipponica in materia di Arti Marziali. TAIKEI. – Stimato armaiolo della prima metà del 1800. TAIKO. – È la posizione nella quale due combattenti si fronteggiano.

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TAI-NO-HENKO. – “Cambio di posizione”. Ne esistono quattro tipi, il più comune è un movimento di rota-zione del corpo (tenkan), al termine del quale TORI si trova di fianco ad UKE e guarda nella sua stessa dire-zione. Serve, innanzitutto, ad assorbire e neutralizzare l’energia dinamica di un attacco. TAI-NO-SEN. – Prendere l’iniziativa sull’attacco dell’avversario. TAIRA o HEIKE. – Clan guerriero. Nel secolo XII, ha il controllo della Corte, ma è poi annientato dai rivali MINAMOTO. TAI SABAKI. – Tecniche di “spostamento del corpo”, comuni a tutte le Arti Marziali, che permettono di a-vanzare, indietreggiare, ruotare, schivare, preparare una tecnica di difesa o d’attacco. Nel momento in cui un avversario attacca, possiamo ristabilire una situazione di vantaggio compiendo il giusto TAI SABAKI, sia con uno spostamento sia con il semplice movimento di una parte del corpo. Ristabilire la situazione non si-gnifica solo mantenere l’equilibrio e difendersi, ma anche mettersi in una opportuna posizione d’attacco [si veda anche SABAKI]. In AIKIDO il corretto TAI SABAKI richiede che l’equilibrio di AITE sia sconvolto nel momento stesso dell’azione, per non essere più ripreso. Concettualmente, taI SABAKI sono i movimenti, diretti e circo-lari, che fanno parte sia degli AIKI TAISO (esercizi fisici specializzati di base), che si praticano da soli (TANDOKU DOSA), sia dei metodi basilari della Disciplina, insieme ai TE-HODOKI (“liberare le mani”). L’apprendimento dei TAI SABAKI passa attraverso lo studio di: KOSHI SABAKI (spostamento di anche e bacino), ASHI SABAKI (sposta-mento di piedi e gambe), TE SABAKI (posizione di mani e braccia). TAISHA RYU. – Scuola di KEN-JUTSU fondata da MARUME KURANDO. TAISHI. – “Grande Maestro”. TAISHO. – “Capitano”, di una squadra impegnata in gara o torneo. TAISO. – “Ginnastica”, “preparazione”. TAKAGI RYU. – Scuola di Arti Marziali (soprattutto BO-JUTSU), rimasta famosa per una particolare tecnica di difesa contro un avversario armato di spada, la RENSA-SANKAKU, “tecnica dei tre bastoni”. Risale al 1656. TAKA-INU. – “Caccia al cane”. [si veda INU OI-MONO] TAKE. – “Bambù”. È il simbolo di flessibilità: forza unita a cedevolezza. Anche CHIKU. TAKECHI ZUIZAN. – (1829-1865) Maestro di KEN-JUTSU. Dopo aver studiato a EDO, fonda una sua scuola nella provincia di Tosa, dov’è nato, ma nel 1861 torna a EDO, per organizzare alcuni sostenitori dell’Imperatore Komei. Rientrato a Tosa, si mette alla guida di un gruppo di SAMURAI fedeli all’Imperatore, formando un piccolo esercito. Arrestato dalla polizia dello SHOGUN, TAKECHI ZUIZAN compie SEPPUKU. TAKEDA. – Celebre Famiglia SAMURAI, discendente in linea retta dal Clan MINAMOTO. È Yoshikiyo, secondo figlio di MINAMOTO-NO YOSHIMITSU, che agli inizi del secolo XII, vivendo a Takeda, nella provincia di Kai, prende questo nome come quello della sua Casata.

– Moderna scuola di AIKIDO. TAKEDA HEIHO. – Nome attribuito alla scuola GENJI-NO-HEIHO nel XV secolo. Da questa scuola, a far tem-po dal secolo XVII, originano altri RYU, tra cui il DAITO RYU AIKI-JUTSU. TAKEDA NOBUMITSU. – (1162-1248) SAMURAI. È noto per aver rielaborato le tecniche della GENJI-NO-HEIHO, la tradizione marziale della Famiglia (che origina dal Clan MINAMOTO). TAKEDA RYU. – Scuola di YABUSAME. Conosciuta anche come HOSAKAWA RYU, è tuttora attiva. Lo YABU-SAME è un metodo d’allenamento al tiro con l’arco da cavallo, di tipo sportivo. TAKEDA SHINGEN. – (1521-1573) È il primo DAIMYO in grado di disciplinare i propri ASHIGARU, inculcando nei suoi contadini armati un principio di fedeltà assai simile a quello dei SAMURAI e trasformandoli in una for-

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za combattente disciplinata e fedele. È anche famoso sia perché il suo nome è associato ad un tipo di TSU-BA [si veda SHINGEN TSUBA], sia perché autore di un codice di leggi provinciali, lo Shingen Hatto. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI. – (1859-1943) Famoso spadaccino. Considerato l’ultimo guerriero dei vecchi tempi, ha fama di schermitore invincibile e pessima moralità. Nasce in AIZU (og-gi Prefettura di Fukushima) – celebre per i suoi temuti guerrieri e chiamata “scrigno del BUGEI” – e preferisce una vita errante, quasi da RONIN, piuttosto che subentrare al padre Sokichi, sacerdote scintoista, nella custo-dia del tempio affidato alla famiglia. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI, nipote di SOEMON, ha natu-ralmente piena conoscenza delle tecniche segrete (OSHIKI-UCHI) di famiglia – l’AIZU-TODOME, erede diretto del DAITO AIKIJUTSU – ed è allievo di TANOMO SAIGO HOSHINA CHIKAMASA, ma frequenta anche le scuole ONO-HA ITTO RYU, HOZO-IN RYU e JIKISHIN KAGE RYU. È anche allievo di Shibuya Toma e, forse, di SAKAKIBARA KENKICHI. Dopo il matrimonio, contratto nel 1912, fonda una scuola d’Arti Marziali, il DAITO RYU AIKI-JUTSU, dove insegna anche JU-JUTSU e KEN-JUTSU. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI è uno dei Maestri di UESHIBA MORIHEI, incontrato nel 1915 nell’isola Hokkaido; O-SENSEI lo frequenta e lo mantiene per lungo tempo, ottenendone il diploma di Maestro di AIKIJUTSU nel 1916. TAKEDA TAKUMI NO KAMI SOEMON. – (1758-1853) Erudito neo-confuciano. Elabora una dottrina dell’armonia dello spirito, basata sui concetti di Yin e Yang, per meglio insegnare le Arti Marziali. TAKEDA TOKIMUNE. – Figlio ed erede di TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI, cui subentra nella conduzione del DAITO RYU AIKI-JUTSU. Fonda la Palestra Centrale (HONBU DOJO) della scuola, il DAITOKAN, ad ABASHIRI, città natale del padre, nell’isola Hokkaido. TAKE GUSOKU. – Armatura per scherma. È messa a punto nel XVIII secolo ed è composta, in origine, da piccoli pezzi di bambù collegati da cinghie (HIMO). Comprende piastra per il petto (DO), protezione a grem-biule (TARE), bracciali e manopole (KOTE) e casco (MEN). Oggi, chiamata DOGU, è usata nel KENDO. TAKE-HAYA-SUSA-NO-WO-MIKOTO. – “Sua Altezza il Maschio Violento”. È l’uragano, figlio di IZANAGI-NO-MIKOTO. È anche chiamato, più semplicemente, SUSA-NO-WO. TAKEMUSU. – “Marziale creativo”: è una delle definizioni date da UESHIBA MORIHEI, negli ultimi anni della sua vita, ad uno dei tanti aspetti dell’AIKIDO. TAKEMUSU AIKI. – È la spontanea esecuzione delle tecniche, nel modo appropriato a ciascuna specifica situazione. Per O-SENSEI, il TAKEMUSU AIKI è la vera Arte Marziale, il “cuore” del BUDO giapponese: libero e capace di illimitate trasformazioni. «Nel vero Budo – egli sostiene – non ci sono nemici. Il vero Budo è una funzione dell’amore. Non è per uccidere o combattere, ma per nutrire tutte le cose e portarle al loro scopo. L’amore protegge e nutre la vita. Senza l’amore niente può essere compiuto. L’Aikido è la manifestazione dell’amore». Take si pronuncia anche BU [si veda] e indica i “valori marziali”, che per UESHIBA MORIHEI sono: il coraggio, la saggezza, la compassione e l’amore, che nutrono e proteggono tutte le cose. Musu deriva da musubu, che indica la forza procreatrice dell’esistenza. Uniti, questi due termini esprimono l’illimitata creati-vità dell’AIKIDO. TAKENOUCHI HISAMORI. – È il fondatore del TAKENOUCHI RYU, databile al 1532. E’ anche conosciuto co-me Toichiro. TAKENOUCHI RYU. – Scuola che insegna a combattere contro i guerrieri in armatura. La forma di lotta è chiamata KOGUSOKU-JUTSU ed anche TORITE-KOGUSOKU: si usano armi corte (MIJIKAI-MONO) contro armati che indossano l’armatura leggera (KOGUSOKU). In seguito la scuola adotta anche tecniche e metodi di combatti-mento a mani nude (JU-JUTSU), di legamento dell’avversario con due corde (NOJO-JUTSU), d’uso della spada corta (WAKIZASHI) e di NAGINATA-JUTSU, arrivando ad insegnare oltre 650 tecniche. Il TAKENOUCHI RYU (cono-sciuto anche come HISAMORI RYU) è ancora attivo, sebbene la maggior parte degli insegnamenti siano andati perduti; oggi si conoscono appena 150 tecniche. TAKE YARI o TAKE HOKO. – È l’arma in asta di tipo più primitivo: un cappio su di un bastone di bambù lungo 2-2,5 metri. In genere è usata dalla “gente comune” (KOOTSUNIN).

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TAKI-SHUGYO. – “Meditazione sotto una cascata”. È una pratica ascetica, assai diffusa un tempo ed ora attuata soprattutto in alcune sette religiose ed esoteriche. L’adepto rimane immobile sotto il getto di una ca-scata (taki), meditando ed eseguendo, spesso, particolari mudra. Il fine ultimo dell’esercizio è acquisire virtù particolari, magiche. NINJA e YAMABUSHI – unitamente ai seguaci d’Arti Marziali esoteriche – sono, da sem-pre, convinti sostenitori di questa pratica. O-SENSEI UESHIBA MORIHEI ha sempre praticato questo tipo di me-ditazione. TAKUAN SOHO. – (1573-1645) Monaco e ROSHI (Maestro ZEN) della scuola RINZAI. È anche pittore, poeta, Maestro di KENDO e KEN-JUTSU, CHADO e SHODO, fondatore del tempio Toka-ji, a Shinagawa e abate del Dai-toku-ji di KYOTO. TAKUAN SOHO – che dicono abbia anche istruito MIYAMOTO MUSASHI – è l’autore del FU-DO SHINMYO ROKU (“Libro Divino sulla Saggezza Imperturbabile” o “Documento Misterioso della Saggezza Im-mobile”, “Segreto Misterioso del non-movimento”), dedicato a YAGYU MUNENORI ed il propugnatore del prin-cipio MUTEKATSU, “schivare con lo spirito” [si veda]. Si racconta che questo incredibile ROSHI, oltre che svi-luppare il concetto di MUSHIN, abbia anche diffuso due trattati di Arti Marziali che trattano di “scienze occulte” (HIDEN), intitolati HONTAI e SEIKO. TAMA NO IREBURI. – Rilassamento di collo e spalle (respirazione). Fa parte degli esercizi fisici specializ-zati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). TAM-BO (o TANBO) e KE-BO. – “Bastone corto”. Indica i bastoni con lunghezza variabile da 69 a 36 cm circa (per la precisione: da 2 SHAKU e 3 SUN – 69,69 cm – ad 1 SHAKU e 1 SUN – 33,33 cm). TAM-BO JUTSU. – “Arte di usare il Bastone corto”. Tecniche di scherma con il bastone corto. TAMESHI-GIRI. – “Prova di taglio”, allenamento di spada. Il TAMESHI-GIRI, nel Periodo TOKUGAWA, consente di saggiare il filo e la tempra di una KATANA, oltre che di mettere alla prova l’abilità tecnica dello spadaccino. Si utilizzano corpi umani – già cadaveri o giustiziando condannati a morte – che devono essere tagliati in modo perfetto, secondo la tipologia prevista da appositi trattati. Tramontata l’epoca feudale, e venuta anche meno la disponibilità di corpi, il TAMESHI-GIRI si pratica tagliando canne di bambù verde o fascine di paglia di riso pressata, sorrette da sostegni infissi nel terreno, sistema più facile e sicuro. Lo scopo dell’allenamento, oltre che certificare l’abilità dello spadaccino (il taglio deve avvenire con un solo colpo), consiste nel verifica-re l’efficacia di tecniche di KEN-JUTSU o IAI-JUTSU. Attualmente il TAMESHI-GIRI non è molto praticato, se non in occasione di esibizioni pubbliche. TAMI. – “Gente comune”, popolo. TAN. – Misura di lunghezza per i tessuti. Vale da 25 a 30 SHAKU.

– Misura di superficie. Vale 10 SE ed equivale a circa 10 are. TANAKA GOSHIN-JUTSU. – Recente (1952) forma di JU-JUTSU, concepita da Tanaka Tatsu a Tokyo. I movimenti-base, che non prevedono tecniche di calcio, sono 150 circa. TANCHU. – “Sterno”. Punto della parte superiore dello sterno. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli A-TEMI. Pure CHUDAN. TANDEN. – “Ventre”, “addome”. È la traduzione dell’espressione cinese tantien (o tan t’ien, secondo la tra-sposizione fonetica utilizzata) “campo di cinabro” [il cinabro è un minerale di colore rosso, come il sangue, e simboleggia la forza vitale]. Per il Buddismo è il centro delle attività psichiche – posto sulla linea mediana dell’addome, della larghezza di un dito, sotto l’ombelico – e s’identifica con l’HARA [si veda]. Il TANDEN (che è anche detto KIKAI, “oceano del KI”, o SEIKA-NO-ITTEN, “punto unico”, ed il cui punto centrale è il SEIKA TANDEN), corrisponde anche al baricentro del corpo umano. È dimostrato che uno sforzo iniziato a questo livello si propaga verso le estremità delle membra, da una parte e dall’altra: è da qui, pertanto, che possiamo coordi-nare ogni azione del nostro corpo. Inoltre, considerando che il TANDEN è il centro motore di tutte le nostre at-tività psicofisiche, convogliando e riunendo tutte le nostre energie nell’HARA siamo in grado di far agire e ge-stire il nostro KI, per esprimerci al meglio non solo nelle Discipline del BUDO, ma anche nel GEIDO (“la Via del-le Arti”) e nel SADO (“la Via della Meditazione”).

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TANDEN-SO-KUATSU. – “Procedimento ventrale”. Tecnica integrale di rianimazione (SO-KUATSU), che si applica al ventre del soggetto, sdraiato supino (sulla schiena). TANDOKU DOSA. – “Esercizi preparatori di base, individuali”. Così come infinite sono le tecniche dell’AIKIDO, moltissimi possono essere i movimenti preparatori. Un corpo equilibrato si costruisce con il me-todo della respirazione (KOKYU HO) e con gli esercizi del corpo. Una volta costruito il corpo, è necessario concentrarsi sui movimenti in avanti, all’indietro, in rotazione, finché tali movimenti – che sono alla base di tutte le tecniche dell’AIKIDO – non hanno “impregnato” il corpo. TANDOKU RENSHU. – “Pratica d’allenamento individuale alle Arti Marziali” (principalmente JUDO), che rien-tra nel SEIRYOKU ZEN.YO KOKUMIN TAI-IKU NO KATA. Consta in 28 movimenti, che servono per allenarsi ad at-taccare i punti vitali (KYUSHO) dell’avversario. TANI CHOJIRO. – Ideatore, nel 1948, di uno stile di KARATE molto coreografico, quasi “danzante”, lo SHU-KOKAI. I movimenti di questo stile, che puntano comunque alla massima efficacia, hanno alla base un accu-rato studio scientifico, ma gli incontri, assai scenografici, assomigliano più a rappresentazioni del teatro giapponese (KABUKI e NOH.) che a combattimenti veri e propri. TANINZU. – “Più persone”. TANINZU-GAKE. – Più UKE attaccano TORI. TANINZU DORI. – “Più persone prendono”. Neutralizzazioni d’attacchi simultanei di più UKE. TANINZU WAZA. – “Tecniche contro più persone”. TANJOBI. – Primo compleanno di un nuovo nato. È occasione di festa per tutti ed ai bimbi sono donati i lo-ro primi giocattoli. Alla nascita, per i Giapponesi, il bambino ha già vissuto un anno (la gestazione) e, all’inizio dell’anno successivo a quello di nascita, al bambino viene attribuito un altro anno. Per assurdo, chi nasce l’ultimo giorno dell’anno, dal giorno dopo ha l’età di due anni! TANKEN. – “Pugnale”. TANKEN DORI. – “Presa del pugnale”. TANKO. – Armatura protostorica, usata nel Periodo KOFUN (IV - VII secolo). L’elmo della TANKO è arroton-dato ed è formato da lamine orizzontali di ferro unite con stringhe di cuoio o ribattini; la gronda è laminata, con piastre legate; il cimiero è un pennacchio di piume. Una sorta di visiera a forma di becco munisce l’elmo e lo spigolo frontale di cui è fornito, accentuato dal becco, è detto SHOKAKUFU-NO-HACHI (“coppo ad ariete”). La corazza è sagomata da un’intelaiatura alla quale, con stringhe o rivetti, sono unite piastre orizzontali, a formare una specie di tunica aderente al corpo. Un’apertura centrale, davanti, consente di divaricare la co-razza, per indossarla; i lembi, che possono anche essere incernierati, si chiudono con lacci di cuoio; altri lacci, di cotone, la fissano sulle spalle. Parte alta del petto e gola sono protette da una goletta (uwa-manchira) in due pezzi, con spallacci di lamina di ferro incurvata. Bracciali tubolari (KOTE) coprono gli avam-bracci e il dorso della mano è protetto piccole lamelle unite da stringhe. Non sono previste protezioni per le gambe e la TANKO si completa con una gonna di strette lamine incurvate – allacciate all’interno, come la gronda e gli spallacci – riunite in due parti, anteriore e posteriore. TANOMO SAIGO HOSHINA CHIKAMASA. – (1829-1905) Funzionario del Clan AIZU e sacerdote SHINTO, è il più celebre tra i Maestri di OSHIKI-UCHI. Tra i sui allievi figura TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI. TANREN. – “Allenamento continuo”; “allenamento dell’energia contro la forza”. È la pratica continua nella Disciplina. Solo così, attraverso la conoscenza ed il progresso fisico, spirituale, psichico e morale, ci si rie-sce ad educare al mutuo rispetto e si può raggiungere la totale coordinazione fra mente e corpo, senza che intervenga il pensiero cosciente (HISHIRYO). Tra i primi a teorizzare la necessità di un allenamento continuo, per giungere alla perfezione dei movimenti ed al completo autocontrollo, è MIYAMOTO MUSASHI.

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TAN-TO; comunemente TANTO. – Classe di spade con lama leggermente ricurva, di lunghezza inferiore ad 1 “piede” (1 SHAKU, 303 mm), dotate di piccolo elso a disco (TSUBA) [si veda TO]. Il TAN-TO è l’arma ausiliare della TACHI, indossando l’armatura. Lama e fornimenti sono simili, nello stile e nella fattura, a quelli di KATA-NA e WAKIZASHI; la TSUKA, rivestita di SAMÉ, ha KASHIRA e MENUKI; la SAYA è di legno laccato ed è munita di tut-ti gli accessori. Il TAN-TO, spesso dotato di KOZUKA e KOGAI, si porta infilato nell’OBI, cui è assicurato median-te un cordoncino attaccato alla TSUBA o infilato nel KURIGATA. Ora, con TANTO, genericamente s’intende “pu-gnale” [anche se, avendo lama leggermente curva a taglio singolo, lunga da 25 a 30 cm, più correttamente si dovrebbe parlare di “coltello”, nella classificazione Occidentale]. Con un’impugnatura di 10 cm ed una la-ma di venti, questa è un’arma tra le più maneggevoli esistenti. [si veda anche la voce “lama”, nella seconda parte del Dizionario] TANTO TORI o TANTO DORI. – “Tecniche su attacco con pugnale”. Neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con il pugnale. TANTO-JUTSU. – “Arte di combattimento con il TANTO”. Il TANTO-JUTSU, che non è praticato come sport, fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BU-GEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”] TAOSU. – “Atterrare”. TARE. – Protezioni a grembiule per il ventre. Si utilizzano con l’equipaggiamento protettivo dei KENDOKA (DOGU), che deriva dall’armatura TAKE GUSOKU. TARE-OBI. – Protezioni aggiuntive per il basso ventre. Si utilizzano con l’equipaggiamento protettivo dei KENDOKA (DOGU), che deriva dall’armatura TAKE GUSOKU. TATAMI. – “Stuoia”. Tradizionalmente è di paglia pressata, ricoperta con una stuoia – sempre di paglia di riso – intrecciata e con i bordi di tessuto cucito. Alta da 6 ad 8 cm, la stuoia misura circa 90 x 180 cm (94 x 188, per la precisione) e dal secolo XVII è usata per coprire i pavimenti di palazzi e case nobiliari, mentre, prima di tale epoca, gli assiti sono nudi e per sedere s’usano cuscini di paglia intrecciata (ZABUTON). Alla fine del secolo XIX risale l’uso generalizzato di queste stuoie – comunque già ampiamente utilizzate per ammor-tizzare, negli allenamenti, le cadute dei praticanti di Arti Marziali – per coprire il pavimento delle stanze in tut-te le case giapponesi. In Giappone il TATAMI è ancora unità di misura per la superficie di un vano abitativo: due stuoie affiancate danno origine ad un quadrato con lato di 188 cm, la cui superficie – che è valida a de-finire le dimensioni di case e giardini – equivale a più di uno TSUBO (vale a dire 1 KEN quadrato, circa 3,35 metri quadri). Sui TATAMI, normalmente, si cammina a piedi nudi oppure indossando calze o TABI; questo sia per non rovinarli o sporcarli, sia in ossequio all’etica giapponese, al suo grande rispetto reciproco ed alla co-stante preoccupazione per la purezza fisica (e spirituale). Oggi il termine TATAMI indica anche la “materas-sina” di materiale sintetico, spesso rivestita di tela, utilizzata per ricoprire il pavimento delle palestre dove si praticano Arti Marziali. TATAMI-DO. – Armatura di tipo DO-MARU. È formata da numerose grandi piastre, con petto e schiena in due parti. Le placche che coprono i fianchi sono sovrapposte e incernierate. TATAMI-GUSOKU. – Armatura di tipo GUSOKU [vedere]. TATE. – “PALVESE”. È utilizzato, nei secoli dal XI al XIX, per formare barriere difensive, non solo a terra, ma anche sulle mura dei castelli e sulle murate delle navi. Il TATE, che è trasportato a spalla dai soldati, nor-malmente è in un pezzo solo (ma esistono anche esemplari piegabili al centro), di legno dipinto a strisce ne-re e, talvolta, con il MON del Clan; per il sostegno ha un puntello, incernierato posteriormente.

– “Tenersi diritto”, “stare in verticale (in piedi)”. Anche TATSU. TATE-GYOJI. – “Giudice-arbitro” nelle gare e tornei di SUMO. È il “Capo degli Arbitri” ed anche il celebrante della DOHYO-MATSURI (“cerimonia propiziatoria”), la funzione scintoista che precede i combattimenti. Inoltre, dà inizio ai combattimenti ed arbitra gli incontri più importanti.

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TATE-HIZA. – Posizione assunta durante la lezione, se l’Istruttore interrompe l’allenamento per ulteriori spiegazioni. Si mette a terra un ginocchio e, seduti sul tallone, l’altra gamba è in avanti, piede al suolo, gi-nocchio sollevato e piegato; gamba e coscia formano un angolo di 90° (oppure ci si siede in SEIZA). In que-sta postura deve attendere l’allievo che l’Istruttore invita ad eseguire un esercizio o una tecnica con lui: ac-corre, saluta, attende (anche con solo un ginocchio a terra).

– Posizione difensiva assunta nel KENDO. TATSU-JIN. – “Uomo che non cade”, “uomo verticale”. È il titolo che merita un esperto di spada (KENDO o KEN-JUTSU che sia). TAYU-JIAI. – Così è chiamata una gara tra praticanti di stili o RYU differenti. TAWARA. – “Balla” di paglia di riso. TE. – “Mano”. Pure SHU. TEGAKE. – “Manopole artigliate”, usate dai NINJA per scalare, arrampicare e come armi, in caso d’emergenza. Da TE, “mano” e GAKE, “uncino”. Anche SHUKO [si veda]. TE-GATANA o SHUTO. – “Taglio della mano”. “Mano a spada”. È il bordo inferiore della mano, dal lato del mignolo al gomito (solitamente fino al polso): con questo si assesta l’ATEMI o si immobilizza o si effettua la proiezione (NAGE). Quando il KI fluisce attraverso le braccia, le dita, le mani diventano “un’arma senz’arma” TEHEN. – Apertura posta alla sommità dell’elmo. L’elmo può essere un HOSHI-KABUTO, un SUJI-KABUTO, un GOMAI-KABUTO. Circondata da una cornice d’ottone (HACHI-MANZA), vi passa attraverso il codino del SAMURAI, quando è di moda. Pare non serva all’aerazione, ma una mistica interpretazione lo vuole come una “porta” verso l’universo. Negli elmi moderni, in ogni caso, il TEHEN è chiuso dalla fodera interna e resta solo quale elemento estetico tradizionale, non pratico. TE-HODOKI. – “Liberare le mani”. Metodi basilari dell’AIKIDO, unitamente agli “spostamenti del corpo”, TAI SABAKI. Sono movimenti difensivi che hanno lo scopo di liberarsi dalla presa di un avversario. Serie di prese a diverse parti del corpo. Comprendono 7 prese alle mani (o polsi o braccia: TE DORI), 5 alle maniche (SODE DORI), 9 al collo (ERI DORI), 2 ai capelli (KAMI DORI), 4 alla cintura (KUMI TSUKI). Ad ognuna di queste prese si contrappongono numerose tecniche, sia di controllo sia di proiezione. TEISHO. – “Base del palmo” della mano. TEISHO UCHI. – ATEMI sferrato, generalmente al viso dell’avversario, con la base del palmo della mano. TEISOKU. – “Pianta del piede”. Pure ASHI-URA. TEKI. – “Nemico”. Ruolo assunto – negli allenamenti a coppie della scuola KATORI SHINTO RYU – dal più e-sperto dei praticanti. TE-KUATSU. – “Pressione dorsale manuale”; semplice manovra di decontrazione. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU ad azione elettiva: KUATSU con percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU). TEKUBI. – “Polso”. Pure KOTE. TEKUBI JOHO KOSA UNDO. – “Guida in alto dell’energia nei polsi”. Le mani sono unite davanti agli occhi. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). TEKUBI KOSA. – “Polsi incrociati”. TEKUBI KOSA UNDO. – “Guida dell’energia nei polsi, da fermo” (mani unite davanti al TANDEN). Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA).

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TEKUBI OSAE. – “Immobilizzazioni al polso”. Quarta tecnica di controllo con immobilizzazione (KATAME WA-ZA), effettuata sulla parte alta del polso. Normalmente si utilizzano contro attacchi SHO MEN UCHI e prese MU-NE DORI. [si veda YONKYO] TEKUBI SHINDO UNDO. – “Scuotimento dei polsi”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). TEKUBI UNDO. “Esercizi di mobilizzazione e flessibilità dei polsi”. Fanno parte degli esercizi fisici specia-lizzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). TEKUBI WAZA. – “Tecniche di polso”. Chiavi articolari applicate al polso: KOTE HINERI e KOTE GAESHI. Rien-trano nelle KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”). TEMBIN NAGE. – “Proiezione con braccio ad angolo”. Tecniche di difesa utilizzate soprattutto contro fen-denti o prese ali polsi (o mani o braccia). TEMOTO. – Parte rigida di uno SHINAI (nel KENDO) o della lama di una spada. TEMOTO indica anche l’atto di “impugnare con energia”, “stringere in mano” l’impugnatura (TSUKA) di una spada. TEN. – “Cielo”. Anche SHIN. TEN CHI. – “Cielo e terra”; “su e giù”. TEN CHI NAGE. – “Proiezione cielo – terra”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA); la caduta di UKE è indietro. Fa parte delle “tecniche di proiezione” (NAGE WAZA), ed è applicata, solitamente, contro prese a polsi, gomiti o braccia e contro fendenti al capo. TENDAI. – Setta esoterica buddista, fondata da Dengyo Daishi. La base della sua dottrina è l’identità dell’anima individuale con quella del Buddha. TENDO. – “Bregma”, “fontanella anteriore”. Sutura ossea tra i parietali e il frontale. Punto del bregma. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. TENDO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Saito Denkibo. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. TENGU. – Popolari esseri mitologici dell’antico Giappone: abitano e proteggono le montagne ed i luoghi i-naccessibili e sono grandi Maestri d’Arti Marziali. Alcuni di loro sono dotati d’ali (KO-TENGU, “piccoli Tengu”) ed altri hanno forma di corvo (KARASU-TENGU); spesso hanno un lungo naso (KONSHA-TENGU). SOJOBO, il lo-ro sovrano, come emblema ha un ventaglio con sette piume. Per la leggenda sono stati loro i maestri di personaggi famosi, come Izumo no Kanja Yoshiteru e MINAMOTO-NO YOSHITSUNE. Nella realtà, è probabile che alla base delle leggende sui TENGU ci siano gli YAMABUSHI, eremiti delle montagne. TENGU GEI-JUTSU-RON. – “Trattato sulle Arti Marziali dei Tengu”. Celebre opera sulle Arti Marziali, scritta da ITSUSAI CHOZANSHI, che denuncia chiare influenze dello ZEN e della filosofia neoconfuciana. TENJIN SHIN.YO RYU. – Stile di JU-JUTSU. Lo codifica, ad Osaka, ISO MATAEMON, fondendo tecniche dello YOSHIN RYU e dello SHIN-NO SHINDO RYU. Lo stile annovera oltre 120 tecniche di soli ATEMI, ma è celebre anche per l’efficacia degli strangolamenti (SHIME) e delle immobilizzazioni (OSAE) insegnate. TENKAN. – “Circolare”. “Opposto”; “di schiena”.

– “Girare”. Spostamento base (TAI SABAKI) dell’Aikido. È la rotazione sul piede avanzato, di guar-dia, o su quello arretrato (USHIRO TENKAN). Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di ba-se, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). È il cambio di posizione con movimento circolare della gamba posteriore (o anteriore). È il metodo per ruotare esternamente alla linea d’attacco di UKE, guidando il suo KI in una nuova direzione. Tecnica applicata su perno di rotazione, in forma negativa (Yin, URA). Allorquando eseguito con un compagno, che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati che si praticano in coppia, senza caduta. TENKAN è uno dei più importanti “fattori esterni” dell’AIKIDO, i mo-

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vimenti e le tecniche principali, rimaste invariate, unitamente a IRIMI, SHI HO NAGE e SUWARI IKKYO. [si vedano anche “ Considerazioni sul KI”] TENKAN HO. – “Gruppo di movimenti circolari”. Fanno parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano in coppia, senza caduta (SOTAI DOSA). TENNO. – “Re del Cielo”. È il titolo che spetta all’Imperatore. Con lo stesso termine, per estensione, si indi-ca la Nazione e/o lo Stato giapponese, il Trono imperiale, la Casa regnante. TENRI-KYO. – Religione fondata il 26 ottobre 1832. In quella data, a Tenri, Nakayama Miki rivela la volontà del “dio genitore”, creatore del mondo: l’unica via di salvezza è l’impegno nel Servizio. Unica religione fon-data da una donna, il TENRI-KYO conta attualmente quasi 2,4 milioni di fedeli, sparsi tra Giappone, Corea del Sud, Hawaii, Brasile. TEN SHIN NAGE. – “Proiezione netta”. [si veda TEN CHI NAGE] TENSHIN-SHO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Icchu Kagehisa. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU. – “La Divina Tradizione Marziale del Santuario Shinto di Katori” od anche “La Scuola di Katori Shinto ispirata dal Cielo”. È il nome originario e completo della scuola di KEN-JUTSU fondata, agli inizi del secolo XV, da IIZASA CHOISAI IENAO, oggi conosciuta come KATORI SHINTO RYU [si veda]. Originano da questa scuola numerosi altri RYU, tra cui: ARIMA SHINTO RYU; HONMA SHINTO RYU; HO-ZO-IN RYU; IPPA RYU; JIGEN RYU; KASHIMA SHINTO RYU; MIJIN RYU; SHINDEN MUNEN RYU; SHINDO MUSO RYU; TENDO RYU; TENSHIN-SHO RYU. TENTO. – “Fontanella posteriore”. Punto della sommità del cranio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. TENTO RYU. – Antica scuola di NAGINATA-JUTSU, frequentata soprattutto dalle donne delle Famiglie militari. È attiva ancora oggi e vi si pratica il NAGINATA-DO. TENUGUI. – “Salvietta” di cotone. È bianca, leggera, stretta, lunga e d’uso comune. È spesso presente sul KEIKOGI dei BUDOKA, infilata nella cintura: serve per detergere il sudore e, nel caso, come fasciatura d’emergenza. Quando la TENUGUI ha dimensioni maggiori e s’indossa sulla testa, annodata attorno alla fron-te, prende il nome di HACHIMAKI. TEPPO. – Termine indicante le “armi da fuoco” in genere. L’utilizzo d’armi da fuoco portatili – introdotte in Giappone dai Portoghesi nel 1543 – appare in contrasto con il BUSHIDO, pertanto esse non hanno mai avuto vasta popolarità nell’esercizio della guerra; il loro uso, fino ai tempi moderni, è limitato allo sport ed alla cac-cia. Fino alla metà del XIX secolo è utilizzata la piastra a miccia (seppure meccanicamente perfezionata), passando poi a sistemi a percussione. I fucili hanno cassa molto corta e calcio abbassato, ideali per far fuo-co dal fianco, o sono del tipo pesante (fino a 25 kg, con calibro di circa 30 mm), usati in postazione. Le pi-stole sono, in pratica, fucili di ridotte dimensioni. Le canne, generalmente di tipo pesante, a sezione tonda od ottagonale, sono capolavori di metallurgia. Cannoni e mortai, di bronzo, pur d’ottima qualità, sono piccoli – normalmente 1 metro di lunghezza – hanno calibro ridotto e sono utilizzati soprattutto contro fortificazioni. TEPPO YUMI. – Leggera “balestra” destinata a sport e gioco. L’arco è in corno o stecca di balena lungo cir-ca 70 cm, il fusto di legno, a forma di fucile, poco più lungo di 60 cm. TERADA KAN.EMON. – SAMURAI di basso rango. Seguace della scuola KITO RYU di JU-JUTSU, sviluppa una forma di combattimento non mortale e senz’armi, chiamandola JUDO. In seguito fonda lo JIKISHIN RYU, scuo-la di JU-JUTSU dove non vengono usate armi. TERAMA HEIZAEMON. – Fonda, ispirandosi al KITO RYU, la scuola d’Arti Marziali Teishin Ryu.

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TERAO KATSUNOBU. – È uno dei pochissimi (si dice siano solo tre) discepoli di MIYAMOTO MUSASHI e lo aiuta a scrivere il GORIN NO SHO (“Il Libro dei Cinque Anelli”) quando questi, verso il 1643, si ritira in una grot-ta per meditare e seguire una vita contemplativa. TE SABAKI. – Studio della posizione di mani e braccia. Fa parte dei TAI SABAKI. TESSEI-NO-YARI. – Lancia da battaglia, tutta di metallo. [si veda YARI] TESSEN-JUTSU. – “Arte del ventaglio da guerra”. Sono molte le scuole dove – soprattutto con lo stimolo dei diversi Clan – s’ideano, collaudano e migliorano i modi d’uso del TESSEN o del GUNSEN, i cui vari stili di combattimento sono simili a quelli di scherma con la spada, ma non solo. Il ventaglio, infatti, può assolvere una molteplicità di scopi: il BUSHI lo usa per tirare di scherma, per deviare le KAKUSHI o le frecce, per colpire un bersaglio volante e, in ogni caso, per sviluppare la capacità di coordinazione psicofisica. Un episodio, forse inventato, che risale all’epoca di ODA NOBUNAGA, rende bene l’idea dell’uso che un guerriero ben ad-destrato può fare del proprio ventaglio. ODA NOBUNAGA convoca Araki Murashige (o è ARAKI MATAEMON MI-NAMOTO-NO HIDETSUNA? di preciso non si sa), ritenuto responsabile di un complotto. Deposte, come d’obbligo, le armi all’ingresso, al convocato resta unicamente il TESSEN che egli, al momento dell’inchino ri-tuale sulla soglia, pone d’istinto (preveggenza? prudenza?) nella scanalatura dove scorrono i FUSUMA, i pe-santi pannelli della porta che divide l’anticamera dalla sala delle udienze. È fragoroso lo schianto dei pan-nelli, che s’infrangono contro il ventaglio di ferro, come grande è la sorpresa dei gregari di ODA NOBUNAGA: loro intenzione, infatti, è spezzare il collo di Araki! Questi, ad ogni modo, si comporta come nulla sia acca-duto e la sua determinazione, il suo autocontrollo gli valgono la rappacificazione con il potente NOBUNAGA e nuovi favori. TE DORI. – “Presa di mani (o di braccia o di polsi)”. TETSUBISHI. – Sorta di “chiodi a più punte”, da 3 a 6, usati – soprattutto dai NINJA – per interdire passaggi obbligati o proteggersi da inseguitori. Sparsi al suolo, almeno una delle punte resta sempre verticale e può ferire il piede, non protetto, di un nemico. TE-TSUI. – “Pugno chiuso a martello”. Pure KEN-TSUI. TETSU-SEN o TESSEN. – “Ventaglio di ferro”. È del tipo piatto e pieghevole, di forma normale, con le bac-chette esterne (ma a volte tutte e otto o dieci che lo compongono) d’acciaio pesante. La copertura è di per-gamena, decorata con il simbolo del sole su campo di colore diverso (nero, oro, rosso). Lo portano i funzio-nari (SAMURAI) di livello inferiore con l’abbigliamento quotidiano, ma anche i civili, per difesa personale. TE WAZA. – “Tecniche di mano”. “Tecniche eseguite con le mani”. TO. – Termine generico per “spada”. Ha lama leggermente ricurva, ad un solo filo [quindi sciabola, nella classificazione Occidentale] – anche se esistono versioni a doppio taglio – impugnatura (TSUKA) di sezione ovale ed elso (TSUBA) a disco, di diametro variabile e normalmente inciso, decorato e ornato di simboli. Le spade giapponesi si possono dividere in tre classi, secondo la lunghezza della lama misurata al filo: DAI-TO, con lama lunga oltre 606 mm (KATANA, per esempio); SHO-TO, con lama lunga da 303 a 606 mm (per esem-pio WAKIZASHI); TAN-TO, con lama inferiore a 303 mm (vari tipi di daghe corte, pugnali, coltelli). Nel fodero (SAYA) delle spade DAI-TO spesso sono inseriti KOZUKA e KOGAI. SHO-TO e TAN-TO, spesso, sono portate in-sieme al KOZUKA; il KOGAI s’abbina anche alle SHO-TO.

– “Dieci” in giapponese puro. In sino-giapponese è JU, per contare le persone (NIN) si dice JUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa JIPPON.

– “Testa”. Anche MEN, ATAMA, KASHIRA, TSU. – “Cina”, dalla lettura “giapponese”di Tang, Dinastia regnante dal 618 al 907. – “Lontano”.

TOBI. – “Salto”. TOBIAGERU. – “Saltare”.

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TOBI-GERI. – “Calcio eseguito saltando”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. TO-DE o OKINAWA-TE. – “Mano Cinese” o “Mano d’OKINAWA”. È il termine che indica l’insieme delle tecni-che di combattimento a mani nude originarie d’OKINAWA. [si vedano OKINAWA e OKINAWA-TE] TOGAKURE RYU. – Scuola di NINJUTSU. Pare che la sua fondazione, per opera di DAISUKE NISHINA, risalga al secolo XII. Sembra che la scuola sia tuttora attiva, nella provincia d’Iga; ed è pertanto conosciuta, anche, come IGA RYU. TOGO SHIGEKURA BIZEN-NO KAMI. – (1563-1643) SAMURAI dell’isola di Kyushu. Nasce nella provincia di SATSUMA e fonda la scuola JIGEN RYU di KEN-JUTSU. TOHO-SEN. – Arte del combattimento a piedi (a cavallo: KIBA-SEN). TOI. – “Lontano”. Con questo termine si definisce un avversario “fuori portata”. TO-JUTSU. – Altro termine per indicare il KEN-JUTSU. TOKASA-GAKE. – Esercizio d’allenamento al tiro con l’arco, da cavallo. Bersagli sono dei cappelli (KASA) posati su picche che il guerriero, galoppando, deve colpire da lontano (TO, 80-100 metri) con frecce non leta-li (HIKIME) e far cadere. Quando i bersagli sono posti più vicino, si parla di KASA-GAKE. TOKKO. – Così è chiamato il vajra, l’arma d’origine indiana a forma di saetta simbolica buddista, che molti monaci e sacerdoti portano con sé. Le punte, ad entrambe le estremità, variano in numero da una (TOKKO, dakkosho) a tre (sankosho, sanko) a cinque (gokosho, goko). Quest’arma – di bronzo o ferro e che talvolta funge da elso, in spade cerimoniali – è usata per bloccare la lama dell’avversario e per spezzarla, ma serve anche per colpire i KYUSHO, secondo le regole della scherma con il ventaglio (TESSEN-JUTSU). TOKONOMA. – “Panello decorativo” verticale. Può ospitare una composizione floreale oppure un dipinto; solitamente è l’unico arredo della Sala da Tè (SUKIYA).

– Spazio, ritenuto sacro, all’interno della casa giapponese (normalmente semplice, quasi spoglia), dove è posto qualcosa – un’opera d’arte, ma anche, semplicemente, dei fiori… – che per la famiglia è importante. È termine composto di MA (“spazio-tempo”) [si veda]. TOKUGAWA. – Famosa Famiglia di guerrieri, discendente dai MINAMOTO e protagonista della storia giappo-nese. Il capostipite della Clan è TOKUGAWA IEYASU – già comandante militare sotto TOYOTOMI HIDEYOSHI – che l’Imperatore Go-Yozei nomina SHOGUN nel 1603; ed è Yoshinobu (il 15° SHOGUN della dinastia, del ramo collaterale Keiki del Clan) che, dimettendosi nel 1867, restituisce il potere amministrativo al TENNO. Il domi-nio dei TOKUGAWA – distinti in tre rami: Kii, Mito e Owari, tra i quali scegliere lo Shogun, in caso d’estinzione del ramo principale – è di carattere ereditario e dura due secoli e mezzo, nel corso dei quali essi riescono a centralizzare e consolidare il potere, dando al Giappone la pace interna, seppure al prezzo dell’isolamento internazionale e di un rigido conservatorismo socio-culturale. TOKUGAWA IEYASU. – (1542-1616) Nel 1600, appoggiato dai FUDAI-DAIMYO, sconfigge a SEKIGAHARA I-shida Mitsunari che, con i “Signori Occidentali”, difende la casata TOYOTOMI, che egli stesso, in precedenza, ha servito come generale. Nel 1603 riceve la nomina a SHOGUN e gli riesce di renderla ereditaria, in favore dei propri discendenti. Fissata la capitale del BAKUFU a EDO, la moderna Tokyo, inaugura la fase dello “SHO-GUNATO autoritario”. Negli ultimi anni di vita, e di potere, favorisce la setta buddista esoterica TENDAI che, dopo una fusione con lo SHINTO, adora il misterioso dio Sanno (“Signore della Montagna”), protettore e cu-stode della “Porta dei Demoni”. Nel 1615 – stesso anno in cui promulga i BUKE-SHO HATTO (“Leggi delle Ca-se Militari”) – riesce infine a distruggere l’ultima roccaforte del Clan TOYOTOMI, il Castello di Osaka, rime-diando però una ferita che si rivelata fatale. Dopo la morte gli viene attribuito il nome di Tosho Dai-Gongen (“Grande Divina Manifestazione Splendore d’Oriente”) ed è considerato un KAMI, così come è ritenuto il vero iniziatore di quel “culto della spada” instauratosi nell’intero Paese. TOKUGAWA TSUNAYOSHI. – (1680-1709) È ricordato come “lo SHOGUN dei cani”. Non ha un erede ma-schio ed un monaco gli dice che, essendo questo dovuto ad uccisioni commesse in una vita precedente, de-

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ve dedicarsi a proteggere tutte le cose viventi, soprattutto i cani, poiché egli è nato nell’anno del Cane. Nel 1687 sono emanate severissime norme volte alla protezione dei cani, compresa la morte per chi ne ferisce uno. Gli abitanti di EDO devono chiamare i cani con il titolo di O-inu Sama (“Onorevole Signor Cane”) e, nel 1695, sono costruiti enormi canili alla periferia della città, dove sono mantenuti ben 50.000 di tali animali. TOKUI. – “Particolare”, “favorito”. TOKUI WAZA. – È la “tecnica preferita” di un BUDOKA. TOKUSHU-KEIBO. – “Bastone telescopico”. È utilizzato, nell’ambito del TAIHO-JUTSU, dalla polizia, anche in abiti civili. Può essere rigido o avere la parte centrale, sempre telescopica, formata da una sorta di mollone. Normalmente si estende con un brusco movimento del polso. TO-MA. – È la distanza di 4-5 passi tra due avversari. Va bene con le KATANE, le cui punte si sfiorano, ma è troppo ampia se sono disarmati. TOMARI-TE. – “Mano di Tomari”. Si veda OKINAWA. TOMERU. – “Bloccare”, “fermare”. TOMIKI. – Stile di lotta che s’ispira all’AIKIDO. Il combattimento (libero, RAN DORI) si svolge tra avversari – che alternativamente rivestono il ruolo di attaccante – dei quali uno armato di un simulacro di coltello. TOMOE. – “Cerchio”; “tondo”. “Linea curva”.

– “Virgola grande”. – “Tegola a forma di virgola”. – È un’immagine simbolica, a forma di virgola, utilizzata per decorare armi e strumenti vari. Può

rappresentare il segno del Tao (con due virgole, futatsu-tomoe), con la combinazione delle energie Yin e Yang [si vedano le voci “ommyodo” e “Tao”, nella seconda parte del Dizionario] ed anche (con tre virgole, mitsu-tomoe) un segno analogo a quello che caratterizza il TRISMEGISTO greco. In quest’ultimo caso, la di-sposizione delle tre virgole in un cerchio pare rappresenti il simbolo delle Tre Energie, la metafora della Cre-azione nel perenne ciclo di distruzione e rinnovamento subitaneo. TONFA o TUIFA. – Arma da botta, “mazza”. È originaria dell’isola d’OKINAWA e deriva dall’attrezzo agricolo destinato a mondare il riso, schiacciare i semi di soia, praticare piccoli buchi nel terreno, per piantare o se-minare. È formato da un bastone di legno duro, lungo 45-60 cm e pesante circa 1 kg, con un piolo fissato perpendicolarmente a 3/4 della lunghezza: il piolo consente una presa sicura ed il bastone serve a protegge-re l’avambraccio. Il TONFA, che si utilizza sempre in coppia, uno per mano, è usato anche per colpire: il piolo diventa perno per rotazioni veloci e colpi micidiali. Dal secolo XVII, con l’occupazione militare nipponica ad OKINAWA sempre più rigida, lo studio delle tecniche di maneggio del TONFA (spesso usato dai KARATEKI) s’intensifica. Il TONFA classico appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). TONKOTSU. – “Scatola per il tabacco”, che ogni fumatore di pipa (KISERU) porta con sé. TORI. – È chi, attaccato, esegue la tecnica. Si usano anche i termini UCHI, SHITE e NAGE. L’attaccante, che poi subisce la tecnica, è UKE.

– “Presa” (anche DORI), da TORU, “prendere”. TORI FUNE o FUNAKOGI UNDO. – Esercizio del “remare”. Movimento della voga. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Il movimento è simile al remare su una barca con il remo fissato verso poppa: in piedi, fronte alla prua, una gamba avanzata ri-spetto all’altra. La propulsione è data da un movimento dei polsi, a forma di otto. L’esercizio va ripetuto tre volte, con ritmi differenti (lento, veloce, più veloce) e vocalizzando ei…ho, ei…sa, ei…ei. Normalmente a questo esercizio segue FURITAMA, per stabilire il KI. TORII. – “Portale d’entrata” dei santuari scintoisti. TORI-KUMI. – “Incontro”, “combattimento” di SUMO.

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TORI-TE. – Forma antica di JU-JUTSU. TORITE-KOGUSOKU. – Altro nome del KOGUSOKU-JUTSU. TORU. – “Prendere”, “afferrare”. TOSEI-GUSOKU. – Si veda GUSOKU. TOSHIHIDE. – Noto armaiolo attivo nel 1800. TOSHU-KAKUTO. – Metodo militare di allenamento al combattimento ravvicinato. Prende spunto dal TAI-HO-JUTSU e risale al 1955. TOSHUNOBU. – “Attacco a mani nude”. L’attacco a mano armata è BUKINOBU. TOYAMA RYU. – Scuola di IAIDO e IAI-JUTSU. La fonda il Maestro NAKAMURA TAISABURO, già ideatore dello stile NAKAMURA RYU di IAI-JUTSU. Caratteristica di questa scuola – e dello stile di IAI-JUTSU – è la pratica ese-guita solo dalla stazione eretta. Otto sono le posizioni di base (KAMAE) ed altrettante le tecniche di taglio e-seguite (tra cui HAPPO-GIRI, TAMESHI-GIRI, KIRI-TSUKE), con velocità d’esecuzione ed efficacia come scopo principale. TOYOTOMI HIDEYOSHI. – (1536-1598) Successore di ODA NOBUNAGA e Dittatore. La leggenda lo vuole di oscure origini (figlio di un modesto ASHIGARU?), tanto che – prima che l’Imperatore lo doti di un cognome – porta il soprannome di Kinoshita, che significa “(trovato) sotto un albero”. Tra il 1582 ed il 1598 riesce a da-re una certa coerenza politica al Paese, che unifica e disarma (tranne i BUSHI) nel 1588. Affronta il problema della distribuzione delle terre (nasce il catasto) e cerca di conquistare la Cina partendo dalla Corea (invasa nel 1592). Diffida dei Cristiani e li perseguita, poiché sono portatori di un sistema filosofico potenzialmente sovversivo; gli olandesi, inoltre, gli fanno inoltre credere che i missionari preparano il terreno alla conquista da parte dell’Impero spagnolo. A MOMOYAMA, presso KYOTO, TOYOTOMI HIDEYOSHI fa costruire un castello, famoso per le decorazioni, distrutto alla sua morte al pari, nel 1615, della roccaforte del Clan, il Castello di Osaka. Un suo generale, TOKUGAWA IEYASU, nel 1603 riesce a farsi nominare SHOGUN dall’Imperatore Go-Yozei ed inaugura la fase dello “SHOGUNATO autoritario” destinato a durare fino al 1867. TOZAMA-DAIMYO. – “Signori dell’Esterno”. Sono i DAIMYO che, fedeli a TOYOTOMI HIDEYOSHI, s’oppongono ai TOKUGAWA IEYASU, sono da questi sconfitti a SEKIGAHARA nel 1600 e gli sottomettono. Rientrano nei TO-ZAMA-DAIMYO anche tutti quei feudatari rimasti neutrali nella lotta per il potere fra i Clan TOYOTOMI e TOKU-GAWA (alcuni di questi dominano i propri territori da lungo tempo, come gli Shimazu di SATSUMA, che risulta-no investiti nel 1196 da MINAMOTO-NO YORITOMO). La politica di controllo dei TOKUGAWA consiste in un conti-nuo avvicendamento e scambio fra Daimyo, in modo tale che i TOZAMA – sempre potenzialmente ostili – si ri-trovino divisi e lontani, impossibilitati a formare alleanze e durature coalizioni. TSU. – Contrazione fonetica di JUTSU, “tecnica”. [si veda KUATSU]

– “Testa”. Anche MEN, ATAMA, KASHIRA, TO. TSU ATE. – “Colpo dato con la testa”. Deriva da ATERU, “colpire” e TSU, “testa”; si può infliggere in avanti, verso dietro o di lato. TSUBA. – Elso a piastra. Di solito è piatta e di forma circolare, ovale o quadrata. Oltre che accessorio es-senziale – sia per difesa della mano sia, soprattutto, per bilanciare la lama – è straordinaria guarnizione del-le armi bianche da fianco giapponesi. Dalla sua comparsa, nel tardo Periodo YAYOI (II secolo d.C., ritrova-menti in tombe e dolmen), la TSUBA ha subito una costante evoluzione, nella forma e nella decorazione, se-condo un’incalcolabile varietà di stili. Dall’iniziale piastra in un solo pezzo, di ferro (piuttosto che in cuoio laccato, con scheletro di ferro) a foggia d’aquilone, nel corso dei secoli la TSUBA si è trasformata in un ac-cessorio con forme, profili, tecniche di lavorazione e decorazioni molto varie. Ci sono TSUBA rotonde, otta-gonali, o quadrate, tri e quadrilobate, romboidali, rettangolari; sono lavorate in alto, mezzo e bassorilievo, piuttosto che a traforo o incise o scolpite a tutto tondo, laccate, intarsiate... I soggetti variano da sagome fantastiche a soggetti geometrici o astratti, da motivi floreali a profili d’animali, simboli eccetera. Nella TSUBA,

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oltre al foro centrale (HITSU, circondato dalla fascetta SEPPA DAI), oblungo, per il passaggio del codolo (NAKA-GO), possono esserci una o due altre aperture (RIOBITSU), ai lati della SEPPA DAI, per ulteriori inserimenti (normalmente i manici dei coltellini KOZUKA e KOGAI), secondo il tipo d’arma. Il bordo (MIMI) è alzato e rove-sciato e può essere liscio o lavorato. Nei modelli più antichi compaiono, talvolta, altri due piccoli fori: servo-no per farvi passare un cordoncino (udenukiana) destinato a bloccare l’arma. La TSUBA – che è prodotta da artigiani specializzati e, spesso, acquistata separatamente dall’arma cui è destinata – può essere adattata a piacimento, secondo il gusto del proprietario o la moda del momento. Maestri celebri sono MYOCHIN NOBUI-YE, GOTO-YUJO, KANEIYE. Scuole famose sono: NARA, Hamano, Soten, Yokoya.

– Punti dell’agopuntura, situati lungo i “meridiani” [Canali Energetici], utilizzati per lo shiatsu. TSUBAZERI-AI. – È l’espressione che indica due duellanti, impegnati nel combattimento (soprattutto nel KENDO) ed a così stretto contatto che le rispettive TSUBA si toccano. TSUBO o BU. – Unità di misura di superficie. Vale 1 KEN quadrato ed equivale a circa 3,35 metri quadri. TSUCHI. – La terra. TSUGI. – “A seguire”. TSUGI ASHI. – “Passo seguito”. “Spostamento base” (TAI SABAKI). Si esegue, mantenendo la guardia, fa-cendo scivolare in avanti il piede anteriore, mentre il posteriore segue, sino quasi a toccare l’anteriore, ma senza mai toccare l’anteriore e senza mai superarlo. I piedi non si sollevano dal suolo. Può essere in avanti o indietro (USHIRO TSUGI ASHI). Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si pra-ticano da soli (TANDOKU DOSA). TSUGIKANE. – Armaiolo attivo nella seconda metà del 1600. TSUGU. – “Unire”. TSUIJI. – Muro di legno e terra che, spesso, circonda la casa di un BUSHI, soprattutto quando si tratta di SA-MURAI di rango, capi di Famiglie Militari o Clan. TSUJI GETTEN SAKEMOCHI. – (1650-1729) È il fondatore (1695) della scuola MUGAI RYU di KEN-JUTSU. Egli, che non appartiene alle classi alte, propugna una perfetta sintesi tra arti guerriere ed umanistiche, tra meditazione ZEN ed etica civile. Il fine ultimo del principio HYODO è la perfetta vacuità (SHUNYA), l’unificazione dell’essere umano con il nulla cosmico. TSUKA. – “Impugnatura” delle spade classe TO. A sezione ovale, la sua lunghezza è proporzionale alla la-ma; nelle spade classe DAI-TO e SHO-TO la sua lunghezza consente l’impugnatura a due mani: ciò consente di sferrare poderosi fendenti. È normalmente di legno – in due parti, collegate da pioli (MEKUGI) che attraver-sano il codolo (NAKAGO) – e ricoperta con pelle di razza (SAMÉ); di rado si trovano TSUKA d’osso o avorio. È fasciata, quando ricoperta, con cordone (tsukaito), secondo diversi modelli, ma sempre in modo tale da la-sciare visibili la coppia di guarnizioni o piastre ornamentali laterali (MENUKI: in principio servono a coprire i MEKUGI) e zone di SAMÉ a forma di losanga. La TSUKA è chiusa da cappetta (KASHIRA) e ghiera (FUCHI). TSUKAHARA BOKUDEN. – (1489-1571) Leggendario SAMURAI, figlio di un sacerdote SHINTO. Il suo vero nome è URABE TOMOTAKA e fonda la celebre scuola KASHIMA SHINTO RYU. È famoso per l’applicazione dell’”Arte di risolvere i problemi senza usare la Spada” (KEN-NO-SHINZUI), dello “schivare con lo spirito” (MU-TEKATSU) e l’adozione di un animo imperturbabile nel combattimento (FUDO-NO-SEISHIN). Notissima è una sua avventura, che qui ripresentiamo. Una volta, viaggiando su un traghetto, TSUKAHARA BOKUDEN si ad-dormenta mentre un altro SAMURAI, un gradasso, si vanta della propria bravura. Costui, infuriato, lo scuote e pretende di sapere a quale scuola appartenga. BOKUDEN risponde «La scuola che vince senza usare la spada (MUTEKATSU)». L’altro, allora, lo sfida a duello, affinché possa mostrare la sua bravura e BOKUDEN ac-consente, suggerendo di sbarcare a terra, in modo da non ferire gli altri passeggeri. Il traghetto dirige quindi su un’isola vicina e, appena giunti vicino a riva, il gradasso balza a terra, ansioso di battersi e, sguainata la spada, si mette in guardia. TSUKAHARA pare volerlo seguire, invece afferra d’improvviso un remo e sospinge il battello nella corrente del fiume, gridando all’altro: «È questo il modo di vincere senza usare la spada!».

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TSUKERU. – “Fissare”, “aderire”. TSUKI. – “Pugno”, “colpo diretto”. Viene da OTOSU, “abbattere”.

– “Spinta”. “Colpo di punta”, “affondo”, anche con le armi. Viene da TSUKU, “affondare”, “spingere”. ZUKI, come suffisso.

– “Percussione localizzata”. Può essere benefica (KUATSU) o malefica (ATEMI), nel qual caso s’intende indirizzata ad un KYUSHO (“punto vitale”) e rientra nelle KERI-GOHO.

– “Gola”. – “Luna”.

TSUKI-DARE. – Imbottitura, a protezione della gola, del casco (MEN) usato nel KENDO. TSUKI-KUATSU. – Tecniche di rianimazione (KUATSU). Serie di KUATSU ad azione elettiva, con percussioni riflessogene. TSUKI-NO-KOKORO. – “Lo spirito come la luna”. Indica uno stato d’animo rilassato e distaccato – caratte-ristico della conoscenza (e visione) globale dell’ambiente circostante – in grado di percepire tutto. È la con-centrazione dello spirito, in un combattente esperto, prima di un attacco od anche di un singolo movimento. TSUKI-NO-KOKORO si richiama alla luce riflessa dalla luna, che rischiara quello che ha intorno pur restando immobile e distaccata, senza coinvolgimento emotivo. [si veda KOKORO, MIRU-NO-KOKORO, MIZU-NO-KOKORO] TSUKI-YOMI-NO-KAMI. – “Padrone delle Notti di Luna”. È il dio della Luna, figlio di IZANAGI-NO-MIKOTO. TSUKOMI JIME. – “Quinta presa al bavero”. UKE afferra il bavero di TORI per farlo girare; questi arretra, passa con il proprio braccio sopra le braccia di UKE e, con una pressione al suo gomito, lo costringe a terra. TSUKU. – “Affondare”, “spingere”. TSUKUBO. – Arma in asta. È simile all’HINERI. TSUKURI. – “Rottura di posizione”. TSUMA. – “Dita” dei piedi. TSUMASAKI. – “Punta delle dita” dei piedi. TSUMI. – “Peccato”, nella religiosità SHINTO. Il peccato può essere di tre tipi: la cattiva azione, l’offesa; la contaminazione, l’oltraggio alla purezza; la disgrazia, la sventura, che spesso colpisce l’uomo quale divina punizione. È da ricordare che nel Giappone, soprattutto antico, non esiste un vero e proprio senso della mo-ralità, ma solo un elevato rispetto reciproco ed una costante preoccupazione per la purezza. Tutto ciò che è impuro, dal punto di vista fisico, offende gli dei e quindi – per accostarsi ai luoghi sacri, per entrare nei tem-pli, per pregare le divinità – è essenziale purificarsi, sia per far cosa gradita ai KAMI sia per non offenderli ed incorrere nelle loro punizioni. La purificazione si può attuare in tre modi: con l’esorcismo (HARAI o hare), con l’abluzione (MISAGI), con l’astensione (IMI). TSUNA. – “Corda di canapa bianca ritorta”, molto spessa al centro. La indossano solo i grandi campioni di SUMO prima dei tornei. È molto pesante (13-15 kg), ornata con strisce di carta piegate (gohei: simbolizzano le offerte fatte un tempo ai KAMI) e vuole richiamare il cordone SHIMENAWA. TSURERU. – “Affiancare”. TSURI. – “Pescare”, “sollevare”. TSURIGANE. – “Testicoli”. Punto dei testicoli. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure KINTEKI. TSURUGI. – “Spada”. È un termine antichissimo, che indica una spada a lama diritta, di ferro forgiato, ma di scarsa qualità. Cenni a quest’arma si trovano nelle cronache più antiche, mentre esemplari sono stati rinve-nuti in tombe megalitiche protostoriche (KOFUN). Può avere uno o due fili e impugnatura con pomo ad anel-

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lo, nella classica fattura delle spade coreane (e, probabilmente, sono proprio cavalieri coreani che, dal seco-lo III, le introducono in Giappone). Questa è l’arma degli dei che scendono dal cielo (kotsuchi-no-tsurugi) ed Ama-no-Murakumo-no-Tsurugi, uscita dalla coda di un drago, è la Spada Sacra, uno dei Tesori Sacri del Giappone, unitamente allo Specchio Sacro ed alla Collina Sacra. È sinonimo di KEN. [si veda anche la voce “lama”, nella seconda parte del Dizionario] TSUTSUI IOMYO MEISHU. – YAMABUSHI (monaco-guerriero) protagonista di un celebre episodio della Guer-ra GEMPEI. All’inizio delle ostilità, nel 1180, quando le sorti del conflitto paiono volgere al peggio per i MINA-MOTO, questi sono sulla difensiva sul fiume Uji e, insieme a contingenti di YAMABUSHI loro alleati, presidiano un ponte, ben presto assalito dalle truppe TAIRA. TSUTSUI IOMYO MEISHU, dopo aver scoccato venti delle sue ventuno frecce (con le quali ha ucciso dodici SAMURAI, ferendone undici), getta via l’arco, la freccia rimasta, le calzature e corre sul ponte conteso. Uccide sei nemici con la NAGINATA, che si spezza. Otto sono i caduti sotto i suoi colpi di spada, prima che anche la lama di questa s’infranga sull’elmo del nono, caduto comun-que morto. Afferrata a questo punto l’ultima arma rimastagli, il pugnale, se ne serve per riguadagnare le li-nee amiche, al riparo delle quali conta sessantatre frecce conficcate nella sua armatura, trapassata solo da cinque di queste. TSUYOKI. – Indica una persona con un potente KI e, quindi, dal forte carattere. Chi, invece, ha un KI debo-le, è chiamato YOWAKI. [si veda KI] TUKU-IKU. – Formazione e sviluppo (IKU) della saggezza e virtù (TUKU). Si veda IKU. TUIFA. – Si veda TONFA.

- U - U o MIGI. – “Destra”. UBUYU. – Primo bagno di un neonato. Per le classi elevate è quasi un rito, che avviene qualche giorno do-po la nascita. Dopo il bagno, il neonato riceve i suoi primi vestiti. UCHI. – “Chi colpisce”. È chi, attaccato, esegue la tecnica. Si usano anche i termini TORI, SHITE e NAGE.

– “Colpo”, “fendente”. Viene da UTSU, “colpire”. – “Dentro”, “interno”.

UCHI-DACHI. – Sono i praticanti muniti di SHINAI o BOKKEN, contrapposti a quelli armati di NAGINATA (detti SHI-DACHI), nelle competizioni tuttora apprezzate in Giappone. UCHI DESHI. – “Discepolo interno”, “discepolo diretto”. Per essere accettato nel KOBUKAN come studente, ai tempi di UESHIBA MORIHEI, occorre che il candidato sia presentato da due responsabili conosciuti e superi un colloquio con O-SENSEI condizione essenziale per essere accettato è la sincerità totale. Le lezioni non si pagano, ma l’allievo accettato come UCHI DESHI porta una dote (cibo o materiali, denaro o lavoro), serve co-me attendente del Maestro e si occupa di servizi e pulizie. L’allenamento si svolge dalle 6 alle 7, dalle 9 alle 10 e poi dalle 14 alle 16 e dalle 19 alle 20. Gli allievi lavorano sulle tecniche che O-SENSEI sperimenta e svi-luppa ed accade anche che siano svegliati di notte, per provare qualche nuova tecnica sognata dal Maestro. UCHIJO. – Chi attacca e colpisce con il JO. UCHI KAITEN. – TORI esegue la tecnica passando all’“interno” dello spazio dinamico di UKE. UCHI KAITEN NAGE. – “Proiezione rotatoria interna”. La caduta di UKE è in avanti. UCHI-KOMI. – “Allenamento all’attacco”. È un esercizio di studio delle tecniche in movimento, utilizzato in molte Arti e Discipline Marziali, dal KENDO allo JUDO. Nel KENDO, in particolare, consiste in colpi ripetuti diretti al MEN dell’avversario, portati senza sosta e senza esitazione. È detto anche BUTSUKARI [si veda]. UCHI-KOTE o KOTE – Manopole dell’armatura per scherma TAKE GUSOKU, usata nel KENDO. Si definiscono anche ONI-KOTE.

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UCHI-KUROBUSHI. – “Caviglia”, “malleolo interno”. Parte interna della caviglia. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. UCHI-MAJIRI. – “Rissa”. È in rischio che si corre praticando il combattimento libero (RAN DORI): che finisca in una zuffa. UCHI-NE. – “Dardo da combattimento”. Può avere anche un impennaggio di piume. UCHI-TACHI. – Colui il quale attacca e colpisce con la spada (TACHI, KEN). UCHIWA o DANSEN. – “Ventaglio di tipo rigido”, non piegabile. Ha forma aperta e tondeggiante ed è fatto di legno e pelle, laccati, o di ferro sbalzato. Può avere sia un utilizzo funzionale sia una valenza rituale e può essere d’uso personale o “da guerra” (GUMBAI, GUNSEN). Il fusto dell’UCHIWA – normalmente a forma di violino o farfalla o foglia, con guarnizioni di metallo, scritte, insegne – è montato su di un manico; la lunghez-za complessiva varia da 35 a 50 centimetri. Le prime tracce documentate sull’uso di questo tipo di ventaglio risalgono al 763, quando l’Imperatrice Koken ammette alla sua presenza Jozo, un saggio vecchio ed infer-mo, munito sia di bastone sia del proprio UCHIWA. Lo usano i funzionari di grado alto o medio. UDE. – “Avambraccio”. Pure KOTE. UDE FURI. – “Rotazione a perno del braccio”. UDE FURI CHOYAKU UNDO. – Esercizio della giravolta (come una trottola), con l’aggiunta di un movimen-to avanti e indietro. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). UDE FURI UNDO. – “Esercizio della giravolta” (come una trottola): movimento a spirale del corpo, con le braccia distese, a bilanciere. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si pra-ticano da soli (TANDOKU DOSA). UDE GAESHI. – “Chiave articolare di braccio (UDE HISHIGI), eseguita con leva”. È un’UDE GARAMI (“chiave ar-ticolare alle braccia con lussazione dell’articolazione”) e fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomi-ti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME od OSAE WAZA). UDE GARAMI. – “Chiave articolare alle braccia con lussazione dell’articolazione”. È del gruppo delle UDE HISHIGI (“chiavi articolari alle braccia”) e fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME od OSAE WAZA). Comprende sia torsioni (UDE HINERI) sia leve articolari (UDE GAESHI).

– “Proiezione circolare del gomito”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). UDE HINERI. – “Chiave articolare di braccio (UDE HISHIGI), eseguita con torsione”. È un’UDE GARAMI (“chiave articolare alle braccia con lussazione dell’articolazione”) e fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai go-miti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME od OSAE WAZA). UDE HISHIGI. – “Chiave articolare alle braccia”. Fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a lo-ro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle KATAME od OSAE WA-ZA (“tecniche di controllo”), di cui UDE HISHIGI rappresenta la sesta tecnica. Normalmente si utilizza contro at-tacchi SHO MEN TSUKI (“colpo frontale al viso, con pugno”) ed USHIRO ERI DORI (presa al bavero/collo, da die-tro). L’UDE HISHIGI è anche chiamata HIJI SHIME, “strangolamento con il gomito”. UDE KIME NAGE. – “Proiezione su leva sotto il braccio”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). La caduta di UKE è in avanti. UDE NOBASHI. – “Immobilizzazione con leva sul braccio”. Quinta tecnica di controllo con immobilizzazione (KATAME WAZA), effettuata con trazione del braccio. [si veda GOKYO]

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UDE OSAE. – “Immobilizzazione del braccio a terra”. Prima tecnica di controllo con immobilizzazione (KA-TAME WAZA), effettuata sul gomito. [si veda IKKYO] UE. – “Alto”. UECHI RYU. – Scuola di KARATE, ad OKINAWA. La fonda, nel 1897, Uechi Kambun, un contadino che in Ci-na ha imparato il Wu-shu. I KATA, da combattimento, insegnati dalla scuola sono otto. UEDA KISABURO. – È il vero nome del predicatore DEGUCHI ONISABURO. UESHIBA KISSHOMARU. – (27.6.1921-4.1.1999) Quarto figlio del Fondatore. Dalla fine degli anni ’30 del secolo XX accompagna il padre ed appare come suo UKE in manifestazioni e pubblicazioni tecniche. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale ha la responsabilità dell’HONBU DOJO, a Tokyo. È incessante la sua opera di diffusione dell’AIKIDO: nell’immediato dopoguerra in Giappone, negli anni ’60 in tutto il mondo, con l’invio dei migliori allievi dell’AIKIKAI quali rappresentanti ufficiali dell’HONBU DOJO. Grazie a loro sono fondati i vari AIKIKAI nazionali. Alla morte di O-SENSEI, nell’aprile del 1969, UESHIBA KISSHOMARU diviene la prima Guida (DOSHU) del movimento aikidoistico mondiale, ereditando il compito di diffondere sempre più la cono-scenza e la pratica dell’AIKIDO, anche attraverso la pubblicazione di numerose opere tecniche, filosofiche, morali. UESHIBA MORIHEI. – (1883-1969) È l’AIKI KAISO, il “Fondatore”. Nasce, prematuro, a Tanabe, vicino Kii (oggi nella Prefettura di Wakayama) il 14 dicembre 1883, da Yoroku e Yuki (lui prospero agricoltore d’origine SAMURAI ed impegnato nella politica locale, lei donna colta e religiosa, imparentata al Clan TAKEDA), unico maschio di quattro figli. Dapprima impiegato e poi piccolo commerciante a Tokyo, presta servizio militare dal 1904 (inizio della guerra contro la Russia) al 1907, partecipando alla spedizione in Manciuria. La moglie Ha-tsu Itokawa (1881-1969), sua lontana parente, sposata nel 1903, gli dà quattro figli: Matsuko (1911), Take-mori (1917-1921), Kuniharu (1920-1921) e KISSHOMARU (1921-1999). Dal 1911 al 1919 è a capo d’un grup-po di famiglie del suo villaggio natale che tentano, con successo, di colonizzare l’estremo nord dell’isola di Hokkaido, stabilendosi a Shirataki. È in questo periodo che conosce, frequenta e contribuisce a mantenere – studiando con lui l’AIKI-JUTSU – TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI, leggenda vivente del BUSHIDO. Stabilitosi ad Ayabe nel 1920, apre il suo primo DOJO, di 20 TATAMI, chiamato Ueshiba-juku, nel recinto del tempio OMOTO-KYO (religione di cui è ormai fervente seguace) dove insegna un suo metodo di combattimen-to – conosciuto all’epoca come con il nome di Daito Ryu Ju-jutsu – solo ai membri della setta. Dal 1922 al 1924-25 la Disciplina è chiamata Ueshiba Ryu Ju-jutsu ed anche Ueshiba Ryu Aiki-jujutsu, con l’abbandono del riferimento al DAITO RYU. Nel 1924 UESHIBA MORIHEI partecipa, con il predicatore DEGUCHI ONISABURO ed altri, ad una spedizione in Mongolia, sembra per trovare un luogo dove instaurare un nuovo Stato, di tipo te-ocratico (altri dicono per spiare la Manciuria, obiettivo dell’espansionismo giapponese). Rientrato il Giappo-ne, si occupa di agricoltura ed insegnamento della sua Arte Marziale, divenuta molto nota, che chiama dap-prima Ueshiba Ryu Aiki Bu-jutsu e quindi AIKI BUDO. È in questi anni, mentre è chiamato più volte a dimo-strazioni nella Corte imperiale ed insegna in alcune Accademie militari, che UESHIBA MORIHEI perfeziona il suo metodo, anche grazie all’applicazione delle tecniche KOTODAMA ed all’esperienza mistica vissuta nel 1925. Nel 1927 UESHIBA MORIHEI si trasferisce definitivamente nella capitale, per insegnare sia in alcuni DO-JO di Tokyo (comprese due stanze di casa sua) ed Osaka, sia, ancora, in Accademie militari. Nel 1931, a Wakamatsu-cho, è completato il nuovo DOJO, la “Palestra del Valore Marziale Imperiale”, il KOBUKAN. Gli Anni ’30 sono quelli della fama e del successo, per UESHIBA MORIHEI: innumerevoli sono gli allievi, spesso al-tolocati, spessissimo già esperti d’altre Discipline, che si sottopongono ad un durissimo lavoro per imparare questa nuova forma di BUDO, che vuole unificare corpo, mente e spirito. Gli anni della Seconda Guerra Mondiale vedono UESHIBA MORIHEI trarsi in disparte, a Iwama, dove coltiva la terra e perfeziona la sua Disci-plina, che continua ad insegnare anche dopo la capitolazione, ma in segreto, dato il bando imposto dai vinci-tori. Riaperti i RYU marziali nel 1948, nasce in quest’anno anche la prima Scuola ufficiale dell’AIKIDO (che ha questo nome dal 1942), l’AIKIKAI, a Wakamatsu-cho, Tokyo, dove ancora oggi si trova la “Palestra Centrale” (HONBU DOJO). Fino al 1969, anno della morte, l’AIKI KAISO continua ad insegnare ed imparare dai suoi allie-vi. Nel corso della sua vita, il Fondatore, come accade spesso in Giappone, cambia nome più volte. Dopo la spedizione in Mongolia, da Morihei (“Pace Doviziosa” o “Abbondante”) diventa Moritaka, dalla pronuncia giapponese di un appellativo cinese che significa “Guardiano dell’Alto”. All’apertura del KOBUKAN il suo so-

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prannome è Seigan (“Vera Visione”), poi Tsunemori (“Eterna Abbondanza”), sotto l’influenza del KOTODAMA, per tornare, infine, al natio Morihei [si veda anche la voce “nomi”, nella seconda parte del Dizionario]. Nato in un distretto (Kumano) conosciuto come “la porta verso il divino”, ricco di santuari e importante centro della religiosità SHINTO, UESHIBA MORIHEI è immerso da subito in un’atmosfera esoterica e misteriosa, mistica e di-vina. Alla devozione ai KAMI unisce presto l’adesione alla setta buddista esoterica SHINGON per poi avvici-narsi, trentacinquenne, alla religione OMOTO-KYO, ed al suo fondatore, il predicatore DEGUCHI ONISABURO. A questa religione – ed anche setta politica, in cui ricopre anche ruoli di tutto rilievo – UESHIBA MORIHEI rimane sempre fedele. È dall’età di quindici anni che O-SENSEI – anche per sopperire alla debole ed inferma costi-tuzione fisica – studia e pratica lo JU-JUTSU con il Maestro Tozawa Tokusaburo del KITO RYU. I successivi venticinque anni li trascorre a studiare, in diverse scuole [DAI-TO AIKIDO, KITO RYU (1901), YAGYU SHIN-KAGE RYU, YAGYU SHINGAN RYU (1903), DAITO RYU AIKI-JUTSU (1911), SHIN KAGE RYU (1922), HOZO-IN RYU (1924)], numerose Arti Marziali giapponesi tradizionali, oltre allo JU-JUTSU. Tra queste: TAI-JUTSU, AIKI-JUTSU, JO-JUTSU, KEN-JUTSU, JU-JUTSU, SO-JUTSU e JUDO. Presto, però, ben sviluppato il fisico, egli s’accorge che lo spirito guerriero delle varie discipline praticate e dei molti Maestri incontrati è troppo (e inutilmente) forte. Concepisce quindi, nel corso dei primi quarant’anni della sua vita, un metodo assolutamente difensivo, sep-pur ispirato soprattutto alle tecniche di combattimento con la spada. È attraverso un’esperienza mistica [si veda SATORI], nel 1925, che O-SENSEI percepisce la propria unità con l’Universo e comprende appieno che l’origine del BUDO e nell’amore di Dio. In concreto, egli unisce allo spirito di decisione (KIME) la capacità di sfruttare i movimenti del corpo (TAI SABAKI) per schivare gli assalti ed alla rapidità d’esecuzione delle tecniche fonde la conoscenza dell’anatomia umana, che anche gli consente la puntuale applicazione d’efficaci leve articolare. Contro uno o più avversari, armati o meno, egli ritorce la forza che questi usano nell’attacco, po-tenziata dal proprio KI. Muore la mattina del 26 aprile 1969, per un tumore al fegato. UESHIBA MORIHIRO. – (1910) Questo è il nome assunto da Nakakura Kiyoshi per il tempo in cui rimane – dal 1932 al 1938– nella famiglia UESHIBA. Nakakura Kiyoshi è adottato da O-SENSEI, che pensa di farne il suo erede, dopo il matrimonio con la figlia Matsuko. Il nuovo nome, assunto con l’adozione, è abbandonato con il divorzio da Matsuko e Nakakura Kiyoshi torna a praticare KENDO e IAIDO, di cui è affermato Maestro. UESHIBA MORITERU. – (2.4.1951) Secondo figlio di UESHIBA KISSHOMARU. Dal 18.1.1999 è il nuovo DO-SHU, al posto del defunto genitore. UESHIBA SAKUKO. – (1926) Moglie di UESHIBA KISSHOMARU. UESHIBA YOSHITERU. – (1948) Primo figlio di UESHIBA KISSHOMARU. Non è attivo nell’AIKIDO. UJI. – “Tribù”, “Clan”, “Famiglia”. Sono grandi gruppi di famiglie imparentate fra loro, che si considerano tut-te discendenti da un unico, antico, talvolta mitologico Capo Famiglia, spesso venerato come una divinità (KAMI). Rappresentano la dominante élite aristocratica del tempo, il Periodo preistorico YAYOI (dal 300 a.C. circa al 300 d.C. circa), appunto l’età mitica dei primi Clan ereditari. Il capo dello UJI è, al tempo stesso, re e sacerdote, rappresentando l’autorità civile e militare ereditaria e quella religiosa. Sotto l’aristocratico UJI si collocano i BE, i lavoratori e gli artigiani, raggruppati non per ereditarietà, ma occupazione e per luogo di re-sidenza. Gli UJI si alleano con i confinanti (come, dopo di loro, accade ai SAMURAI), formano coalizioni che assorbono i vicini più deboli e sconfiggono i gruppi rivali, estendendo le proprietà terriere. Da questo pro-cesso d’aggregazione ed espansione emerge un UJI dominante, che si proclama discendente della dea del sole, AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI, attraverso JIMMU TENNO. È il modo per legittimare, religiosamente ed etica-mente, il predominio militare e politico già raggiunto: lo UJI dominante, il Clan Mikoto, della “Stirpe del Sole”, si trova in una posizione inattaccabile e, nel 200 d.C. circa, la discendenza della Famiglia imperiale da AMA-TERASU è un dogma della religione SHINTO. UJIGAMI. – Sono le “divinità protettrici” del Clan. UKE. – Chi attacca e, nell’esecuzione di una tecnica, è guidato o lanciato o immobilizzato. Chi riceve. Nello studio dell’AIKIDO, di volta in volta, si è UKE (l’attaccante) e TORI (chi esegue la tecnica). Pure AITE.

– “Parata”. UKEJO. – Colui che riceve l’attacco sferrato con il JO e si difende.

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UKEMI. – “Rottura di caduta”. “Caduta controllata”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). È un metodo per proteggere il corpo (cadendo al suolo e rotolando, si attutisce il colpo ricevuto), ma non solo: una UKEMI al momento giusto consente di ripri-stinare la distanza di sicurezza. Le cadute si distinguono in MAE UKEMI (avanti), USHIRO UKEMI (indietro, an-che MA-UKEMI), YOKO UKEMI (laterale), JUJI UKEMI (incrociata). Tutte o quasi le Arti e Discipline Marziali preve-dono l’apprendimento delle UKEMI. Non è facile vincere la paura di cadere, perciò occorre imparare progres-sivamente, un poco alla volta; la capacità di padroneggiare UKEMI, normalmente, si acquisisce non prima di tre anni di pratica. UKERU. – “Ricevere”. UKETACHI. – Chi riceve l’attacco sferrato con la spada (TACHI, KEN) e si difende. UKE-WAZA. – “Tecniche di difesa”: ad un attacco si risponde con un ATEMI, diretto ad un “punto vitale” (KYUSHO), piuttosto che con uno squilibrio e susseguente proiezione. UKI. – “Fluttuante”. UKIYO. – “Il Mondo Galleggiante”. Rappresenta una forma di cultura cittadina, basata sul teatro KABUKI e su quello delle marionette (JORURI), sulle GEISHE e sulle prostitute, sui cantastorie ed i funamboli, sugli incontri di SUMO e sulle rivendite di SAKÈ e pasta. Il tutto è ben rappresentato dai dipinti di genere popolare UKIYO-E ("pittura del mondo mutevole" o “del mondo galleggiante”), di soggetto mondano, volti ad esaltare la vita ter-rena. Il punto più alto della cultura UKIYO si ha tra il 1688 ed il 1705, con KYOTO (400.000 abitanti), Osaka (350.000 abitanti) ed EDO (500.000 residenti fissi, cui s’aggiungono gli ostaggi permanenti – mogli e figli – dei DAIMYO e gli stessi Signori con relative scorte, quando obbligati a risiedervi) come centri principali. Un altro periodo fortunato della cultura UKIYO è quello compreso tra il 1804 ed il 1829, con EDO quale città lette-raria per eccellenza. UKIYO-E. – Forma d’arte associata alla cultura UKIYO. Si tratta di incisioni su legno, facilmente duplicabili, al tempo considerate di scarso valore artistico. UMABARI. – “Ago di cavallo”. Pugnale lungo da 15 a 25 cm, con lama – forgiata in un solo pezzo con l’impugnatura, spesso intarsiata, talvolta a forma di saetta simbolica buddista (vajra) – a sezione triangolare o quadrangolare appiattita, a due fili. Si porta con la KATANA, al posto del KOGAI, ed è usato anche come sprone per il cavallo. UMA-SHIRUSHI. – “Insegna del cavallo”. Ventaglio da cerimonia, stendardo di rappresentanza; deriva dal ventaglio SASHIBA. Gli SHOGUN TOKUGAWA si fanno precedere da un UMA-SHIRUSHI “da processione” a forma di ventaglio – fatto in modo da girare con il vento – di carta (18 fogli incollati), ricoperto di seta e da una la-mina d’oro, montato su un’asta di 4,5 metri. Gli UMA-SHIRUSHI degli altri principi e dei capi Clan sono di seta, non così grandi come il vessillo dello SHOGUN, ma raggiungono dimensioni comunque ragguardevoli e sono montati su aste lunghe 150 centimetri; decorati con ciuffi di fibra o crine di cavallo (in omaggio alla tradizione marziale dei Bushi, nobili cavalieri), sono portati in battaglia al di sopra degli stendardi personali. UMAYA. – “Scuderia”. È quella che non manca mai nell’abitazione di un BUSHI, sia che si tratti di un samu-rai-contadino (JI-SAMURAI) che di un DAIMYO. UMETADA MIOJU. – Armaiolo del 1600. UMI. – “Mare”. UNDO. – “Esercizio”. UNDO KOTE GAESHI. – Torsione interna e compressione del polso. Fa parte degli esercizi fisici specializ-zati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA).

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UNDO NIKYO. – 2° gruppo di esercizi: torsione esterna e compressione del polso. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). UNDO SANKYO. – 3° gruppo di esercizi: torsione e stiramento del polso. Fa parte degli esercizi fisici spe-cializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). URA. – “Retro”; “di dietro” (rispetto all’avversario). “Opposto”, “contrario”, “negativo”. Tecnica eseguita in “assorbimento”. È un metodo d’esecuzione delle tecniche che, in AIKIDO, quasi sempre, si possono eseguire sia in URA WAZA [da dietro, entrando dietro l’avversario; circolare] sia in OMOTE WAZA [di fronte, entrando da-vanti all’avversario; diretta]. URA rappresenta principalmente l’aspetto nascosto delle cose, il retro, il loro ro-vescio.

– “Esterno”; “rovescio”, “rovesciato”, “rovesciato sul dorso”. – “Sotto”. Anche SHITA.

URABE TOMOTAKA. – Vero nome di TSUKAHARA BOKUDEN, il leggendario SAMURAI. URA-GERI o USHIRO-GERI. – “Calcio eseguito all’indietro”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rien-tra nelle KERI-GOHO. URAKEN. – “Rovesciato”. URAKEN UCHI. – “Pugno rovesciato, di dorso”. URA-KUATSU. – Tecniche di rianimazione (KUATSU) praticate a livello dorsale. URUSHI. – “Laccatore”. Dal Periodo JOMON (circa 7500-300 a.C.) in poi, la lacca è usata sia per decorare gli oggetti sia per impermeabilizzarli (quelli di vimini, soprattutto). La corporazione dei laccatori (urushi-be) è una delle più antiche ed importanti tanto che, nel Periodo NARA (645-794), il governo incoraggia la coltiva-zione dell’albero urushi-no-ki (Rhus vernicifera), la cui linfa serva a produrre la base della lacca. Lo stile dei decori, d’impronta cinese e coreana fino al Periodo HEIAN (794-1156), acquisisce uno spiccato carattere giapponese ed i prodotti degli artigiani laccatori diventano vere e proprie opere d’arte. USHIN. – “Pensiero fisso”. Indica un atteggiamento mentale superficiale, di fissità. MUSHIN è il suo opposto. USHIRO. – “Indietro”. “Dietro”, “retro”; “dorsale”. USHIRO DORI ZENGO o USHIRO UWATE DORI. – “Cinturamento”, da dietro, all’altezza del plesso solare. USHIRO ERI KATA SODE DORI. – “Quarta presa alle maniche, da dietro”. USHIRO ERI OBI DORI. – “Ottava presa al bavero, da dietro”. UKE, da dietro, blocca TORI afferrandogli il collo. L’azione difensiva di TORI comprende un passo in avanti, un abbassamento del busto, con rotazione, in modo da ritrovarsi con l’aggressore di fronte; un ATEMI al costato di UKE contribuisce a distrarlo, prima del-la definitiva proiezione a terra. USHIRO ERI DORI o USHIRO ERI KUBI DORI. – “Presa al bavero/collo, da dietro”. Presa al bavero/collo con una mano, da dietro. UKE afferra TORI al bavero (o al collo), standogli alle spalle. USHIRO ERI DORI MEN UCHI. – “Presa al bavero, con colpo, da dietro”. Presa al bavero con una mano, più fendente al capo, da dietro. UKE afferra TORI al bavero e lo colpisce al capo con un MEN TSUKI, standogli alle spalle. USHIRO GERI o URA-GERI. – “Calcio all’indietro”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. USHIRO HIJI-ATE. – “Percossa di gomito, all’indietro”. USHIRO HIJI DORI. – “Presa al gomito, da dietro”. Presa ad un gomito con una mano, da dietro. UKE affer-ra l’esterno del gomito di TORI, standogli alle spalle.

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USHIRO KAMI DORI. – “Presa per i capelli, da dietro”. USHIRO KATA TE KATA. – “Presa a spalla e polso, da dietro”. UKE afferra contemporaneamente polso e spalla di TORI, standogli dietro. USHIRO KATA TE MUNE DORI. – “Presa ad un polso ed al petto, da dietro”. UKE afferra un polso di TORI e, contemporaneamente, anche il suo petto, standogli alle spalle. USHIRO KATA TE RYO TE DORI. – “Presa con entrambe le mani ad un polso, da dietro”. UKE afferra con le due mani un polso di TORI, standogli alle spalle. USHIRO KATA TE DORI. – “Presa al polso, da dietro” generica. Presa ad una mano con una mano, da die-tro. UKE afferra il polso o l’avambraccio di TORI, standogli alle spalle. USHIRO KATA TE DORI ERI JIME. – “Nona presa al bavero, da dietro”. UKE, oltre alla presa al polso, da dietro, blocca TORI afferrandogli il collo. L’azione difensiva di TORI comprende un colpo al piede di UKE, con il tallone, un abbassamento del busto, con rotazione, in modo da ritrovarsi con l’aggressore di fronte; un ATEMI al suo viso contribuisce a distrarlo, prima della definitiva proiezione a terra. USHIRO KATA TE DORI KUBI SHIME. – “Presa al polso con strangolamento, da dietro”. Presa ad una mano con una mano, da dietro, più strangolamento. UKE, afferra il polso di TORI e stringe il suo collo, per strangolarlo, standogli alle spalle. USHIRO KATA DORI. – “Presa alla spalla, da dietro”. Presa ad una spalla con una mano, da dietro. UKE afferra TORI ad una spalla, standogli dietro. USHIRO KATA DORI MEN UCHI. – “Presa alla spalla con colpo, da dietro”. UKE afferra TORI ad una spalla e lo colpisce al capo con un MEN TSUKI, standogli dietro. USHIRO KIRI OTOSHI. – “Proiezione che rovescia UKE sul dorso”. “Caduta in diagonale da dietro”. Tecni-ca-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). USHIRO KUBI SHIME. – “Strangolamento stando alle spalle”. UKE stringe il collo di TORI, standogli alle spalle, per strangolarlo. USHIRO MUNE DORI. – “Presa al petto, da dietro”. UKE afferra TORI al petto, standogli alle spalle. USHIRO OSHI-AGE TE DORI. – “Settima presa di polso (o di braccio), da dietro”. USHIRO RYO ERI JIME. – “Presa al petto con le due mani incrociate, da dietro”. UKE afferra i baveri di TORI incrociando le braccia, standogli alle spalle. USHIRO RYO ERI DORI. – “Presa al bavero/collo, da dietro, con entrambe le mani”. Presa al bavero/collo con due mani, da dietro. UKE afferra con due mani TORI al bavero (o al collo), standogli alle spalle. USHIRO RYO HIJI DORI. – “Presa ad entrambi i gomiti, da dietro”. Presa ai due gomiti con due mani, da dietro. UKE afferra i gomiti i TORI, standogli alle spalle. USHIRO RYO KATA SODE DORI. – “Quinta presa alle maniche, da dietro”. USHIRO RYO KATA DORI. – “Presa ad entrambe le spalle, da dietro”. Presa alle due spalle con due mani, da dietro. UKE afferra le spalle di TORI, standogli dietro. USHIRO RYO TE DORI. – “Sesta presa di polso (o di braccio), da dietro”. “Presa ad entrambi i polsi, da die-tro”. Presa alle due mani con due mani, da dietro. UKE afferra con le mani entrambi i polsi di TORI, standogli alle spalle. USHIRO RYO UDE DORI. – “Cinturamento”, da dietro, che blocca le braccia.

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USHIRO-SHAKUTAKU. – Parte superiore interna del polso. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. USHIRO SHITATE DORI. – “Cinturamento”, da dietro, al disotto delle braccia. USHIRO SHITATE KUMI TSUKI. – “Quarta presa alla cintura, da dietro”. L’azione difensiva di TORI preve-de, normalmente, una tecnica di lussazione o chiave articolare (ROFUSE). USHIRO UTATE KUMI TSUKI. – “Terza presa alla cintura, da dietro”. L’azione difensiva di TORI prevede, normalmente, una tecnica di lussazione o chiave articolare (ROFUSE). USHIRO SODE DORI. – “Presa alla manica, da dietro”. UKE afferra la manica o l’interno del gomito di TORI, standogli alle spalle. USHIRO-SO-KUATSU. – “Procedimento dorsale”. Tecnica integrale di rianimazione (SO-KUATSU), che si applica al dorso del soggetto, sdraiato bocconi (sulla pancia). USHIRO TEKUBI DORI KOTAI UNDO. – Estensione rovesciata dei polsi in basso. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). USHIRO TENKAN. – “Spostamento base” (TAI SABAKI) dell’AIKIDO. Rotazione sul piede arretrato. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Allor-quando eseguito con un compagno, che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici spe-cializzati che si praticano in coppia, senza caduta. USHIRO DORI. – “Prendere da dietro, immobilizzando”. UKE attacca circondando, da dietro, le spalle. USHIRO DORI UNDO. – Estensione frontale (semicaduta). Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). USHIRO TSUGI ASHI. – Movimento TSUGI ASHI fatto all’indietro. USHIRO UKEMI o MA-UKEMI. – “Caduta all’indietro”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). USHIRO WAZA. – Tecniche in cui UKE attacca TORI alle spalle. Uke è convinto di credersi fuori pericolo, ma da dietro è pericoloso tanto essere presi quanto afferrare. È necessario che TORI tenga costantemente aper-te le “finestre dello spirito”, come avesse occhi dietro la testa: solo così può allenarsi ad acuire la sensazione che, poi, gli consente di prevedere ciò che accade dietro di lui. UTE. – “Colpite!” UTO. – “Radice del naso”. Punto naso-frontale. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure CHU-TO. UTSU. – “Colpire”. UTSUBO. – Tipo di faretra. È di legno laccato o vimini, rivestita di pelle, di forma particolare e con coper-chio. Si porta appesa al fianco. UTSUI. – “Spostamento”. UTSURU. – “Spostare”. UWAGI. – “Casacca” del KEIKOGI (anche GI). UWATE. – “La mano migliore”.

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- W - WA. – ”Pace”, “accordo”, “armonia”. È considerato, così come il Tao, il principio essenziale dell’universo: l’eterno equilibrio di Yin e Yang, attivo e passivo, positivo e negativo, che crea e che distrugge. WA è anche “il” DO, la “Via suprema” che gli esseri umani debbono seguire per giungere alla perfetta unione con l’universo ed è quindi espressione di Dio, dell’Essere Supremo, dell’Energia cosmica. È il “Principio divino”, l’armonica serenità dello spirito unito con l’universo. WADO RYU. – “Scuola della Via dell’Armonia”. E’ una scuola di KARATE fondata, nel 1939, da OTSUKA HI-DENORI, discepolo di FUNAKOSHI GICHIN. Lo stile insegnato è meno violento di quello SHOTOKAN, usa poche tecniche di calcio, ha movimenti naturali e prende i movimenti di base dal JU-JUTSU. Il KARATE di questa scuola predilige la “Via dell’Armonia” (WA-NO-MICHI) e le schivate. WAGAKUSHA. – Movimento politico, classicista e nazionalista. Attivo dal secolo XVIII, si oppone violente-mente ai KANGAKUSHA, mirando ad esaltare integralmente l’anima, la cultura, la storia giapponese; grazie a questo movimento può rinascere lo SHINTO. WA-JUTSU. – “Arte della Concordia”; “Arte della Pace”. È una recente (1983) Disciplina, sintesi – operata dal francese Jaques Quero – d’altre Arti Marziali del BUDO moderno, tra cui AIKIDO, JUDO, KARATE, alle cui terminologie fa riferimento. Alle tecniche proprie di queste Discipline, si aggiungono caratteristiche espe-rienziali, filosofiche, mistico-esoteriche proprie di Yoga, ZEN e Tao. Non esistono gare, spettacoli o competi-zioni: fine dell’allenamento è l’armonico sviluppo fisico-spirituale dei praticanti, che cercano di realizzare il WA (l’”armonia universale”) in sé e nella propria vita, privata e pubblica. Gli allenamenti sono concentrati so-prattutto nello studio dei KATA e nel RAN DORI e si svolgono normalmente, sul TATAMI del DOJO. Al tipico KEI-KOGI si può sostituire una giacca (UWAGI) con HAKAMA; titoli e gradi (rilasciati dalla Federazione Francese di WA-JUTSU) differiscono dai corrispondenti riconosciuti dagli altri BUDO, così come i colori delle cinture sono diversi. WAKARU. – “Tagliare in due”, “separare”, “comprendere”. È in riferimento al fatto che ci sentiamo separati dal Tutto finché non comprendiamo che il Tutto siamo noi stessi. WAKA SENSEI. – “Giovane Maestro”. Di norma è titolo che compete al giovane successore – quasi sem-pre il figlio – del fondatore di un DOJO o di un’Arte Marziale. WAKATO. – “Ufficiale istruttore”. WAKI. – “Difesa di lato”. WAKI KAMAE. – “Guardia laterale”, con la spada. L’arma è tenuta orizzontalmente, di lato. WAKI GATAME. – Chiave articolare di braccio, eseguita lateralmente (al suolo). WAKIZASHI. – “Compagno di cintura”: spada corta classe SHO-TO. Per legge, unicamente i SAMURAI posso-no portare le due spade, questa e la KATANA, a formare il DAI-SHO. La lama, di circa 45 cm, ha tutte le carat-teristiche tecniche della spada più lunga che accompagna, così come gli accessori della WAKIZASHI – spesso accompagnato da KOZUKA e KOGAI – sono elaborati quanto quelli della KATANA. Questa spada, che non è mai abbandonata, essendo motivo d’orgoglio per il proprietario, è anche chiamata “guardiana del suo ono-re”: serve, infatti, per il suicidio rituale, il SEPPUKU. E’ consentito, in determinate circostanze, che non appar-tenenti alla classe SAMURAI portino la sola WAKIZASHI. WAKO. – “Ladri nani”: così i cinesi chiamano i pirati giapponesi. Le scorrerie dei pirati contro le coste core-ane e cinesi – tra la fine del 1300 e l’inizio del 1400 – si trasformano, spesso, in vere e proprie spedizioni, talvolta condotte da SAMURAI, con WAKO a cavallo che razziano anche l’interno di quei Paesi. WAN. – “Braccio”. GAI-WAN è il “bordo esterno” dell’avambraccio, NEI-WAN quello “interno”. La “parte supe-riore” dell’avambraccio è HAI-WAN, quella “inferiore”, il “palmo della mano” è SHU-WAN o SHOTEI. WANJU. – Parte interna del braccio, verso l’ascella. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

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WA-NO-MICHI. – “La Via dell’Armonia”. WASA DAIICHIRO. – (1663-1713) Celeberrimo – e tuttora imbattuto – arciere, nativo della provincia di Kii. La tradizione vuole che dall’alba al tramonto di un giorno dell’aprile 1686, nel santuario Sanjusangendo (KYOTO), WASA DAIICHIRO riesca a scoccare 13.053 frecce, delle quali 8.133 colpiscono il bersaglio, lontano 63 metri. Ancora oggi, ogni anno, nella stessa località e nelle medesime condizioni di gara si svolge un tor-neo tra i migliori arcieri: nessuno, ancora, è riuscito a far meglio di WASA DAIICHIRO. WASURERU. – ”Dimenticare”. WASHIDE. – “Dita a becco d’aquila”. WAZA. – “Tecnica”. Può anche intendersi come la pratica applicazione dei KATA, sia in attacco sia in difesa. Indica, anche, una “tecnica superiore”, trasmessa direttamente dal Maestro al discepolo, per elevarlo sopra gli altri uomini e dargli una forza al di là della sua forza.

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- Y - YA. – “Freccia”. L’asta è di legno leggero o, più spesso, bambù, di norma lunga da 90 a100 cm, ma anche più lunga. Ha triplice impennaggio di penne d’aquila, falco o avvoltoio ed è molto adatta al tiro teso, che la rende micidiale sulle brevi distanze. La freccia può avere cuspidi (YANO-NE) di numerosissime fogge e di-mensioni; normalmente, per la guerra, sono d’acciaio e con lungo codolo. In combattimento, in caso di ne-cessità, le frecce possono anche essere scagliate a mano od utilizzate, nel combattimento a corpo a corpo, come piccole lance. YABURI-DOJO o DOJO-YABURI. – È un’antica usanza, in vigore dal secolo XV in poi: la sfida tra RYU che praticano la medesima Arte, magari con stili differenti. Il Maestro di un RYU, accompagnato o meno dai suoi allievi, talvolta sfida pubblicamente quello di un’altra scuola, sia per metterne alla prova il valore e la compe-tenza tecnica, sia per ragioni di “concorrenza” (non si dimentichi l’imponente diffusione di scuole marziali, sparse in tutto il Paese). Lo sconfitto, oltre a “perdere la faccia” (il prestigio), se non addirittura la vita, è spesso abbandonato dai propri allievi che, non è raro, seguono il vincitore. Al giorno d’oggi lo YABURI-DOJO – chiamato anche DOJO-ARASHI, “tempesta nel Dojo” – esiste ancora, ma solo come amichevole competizione fra palestre. YABUSAME. – Metodo d’allenamento al tiro con l’arco, da cavallo. Lo YABUSAME, inizialmente, è pensato, alla Corte di Heian-kyo (KYOTO), come forma di intrattenimento spettacolare, basato sull’abilità degli arcieri a cavallo (Periodi HEIAN e ROKUHARA, dal 794 al 1185). Del metodo, durante il successivo Periodo KAMAKURA (1185-1333), si servono poi i BUSHI che seguono lo KYUBA-NO-MICHI (la “Via dell’arco e del cavallo”), per l’addestramento. Questo stile “classico” di YABUSAME è ideato dal primo SHOGUN del Giappone prefeudale, MINAMOTO-NO YORITOMO, e prevede che numerosi cavalieri (da 7 a 36), indossando un abito da caccia, men-tre cavalcano al galoppo entro una corsia lunga 220 metri, delimitata da due staccionate, colpiscano piccoli bersagli, posti ogni 3 metri lungo il percorso. I bersagli sono dei quadrati di legno, collocati su paletti alti 150 cm infissi nel terreno, oppure posati sulla testa di coraggiosi assistenti. TOKUGAWA Yoshimune – SHOGUN dal 1716 al 1745 ed ottimo arciere egli stesso – fonda lo stile e la scuola KISHA HASAMI MONO e lo YABUSAME di-venta rito ufficiale della Corte shogunale. Ancora oggi lo YABUSAME è popolare ed è praticato – nella forma “classica”: più che attività sportiva è una cerimonia religiosa tradizionale, con la presenza di sacerdoti Scin-toisti – da due scuole, l’OGASAWARA RYU e quella di EDO. Naturalmente sono utilizzate frecce non letali (HI-KIME). Varianti di questa Disciplina sono il KASA-GAKE ed il TOKASA-GAKE. YADZUTSU. – Tipo di faretra. È adatta per proteggere le frecce da pioggia e umidità: infatti, è una lunga cassetta, di legno laccato, con piccolo coperchio laterale. Per trasportare la YADZUTSU si usa un’intelaiatura.

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YAGURA. – Torretta di difesa. È posta a fianco o sopra il portone d’ingresso al recinto in cui sorge la casa del BUSHI. Serve a riparare gli arcieri. YAGYU. – Villaggio natale dell’omonima Famiglia di SAMURAI, nei pressi di NARA. YAGYU MITSUYOSHI. – (1607-1650) Celebre spadaccino monocolo, conosciuto come JUBEI. È figlio di YAGYU MUNENORI e nipote di YAGYU MUNEYOSHI TAJIMA NO KAMI. È seguace, naturalmente, dello YAGYU SHINGAN RYU e dello YAGYU SHIN-KAGE RYU. YAGYU MUNENORI. – (1571-1646) SAMURAI, ROSHI (Maestro ZEN) e di KEN-JUTSU. È figlio di YAGYU MUNE-YOSHI TAJIMA NO KAMI e padre di YAGYU JUBEI. Istruttore di spada nella Famiglia TOKUGAWA, acquisisce il rango nobiliare nel 1636, grazie allo SHOGUN TOKUGAWA Iemitsu, di cui è consigliere. YAGYU MUNENORI è tra i fondatori dello YAGYU RYU – cui nel 1603 attribuisce il nome di YAGYU SHINGAN RYU – ed è anche autore di alcune opere sul KEN-JUTSU, tra cui l’Heiho Kadensho (“Tradizione familiare sull’Arte dei Guerrieri”) ed il Gyokusei-shu. Ecco un paio delle sue riflessioni. «Con la mente fissa da nessuna parte, non c’è posto dove il male possa attaccarsi. Diventare ciò che si ha imparato ad essere, andare oltre alla memorizzazione e al-la conoscenza, è il segreto di padroneggiare ogni arte». «L’arte della guerra consiste nel riconoscere la gra-vità di determinati eventi prima che questi accadano. L’arte della guerra nel tempo di pace consiste nel non chiudere gli occhi… nel prevedere certe situazioni prima che si manifestino». YAGYU MUNEYOSHI TAJIMA NO KAMI. – (1527-1606) SAMURAI e Maestro di KEN-JUTSU, nasce a Yagyu, villaggio presso NARA. È il propugnatore della dottrina spirituale di combattimento MUTO (“senza spada”), in accordo con il principio MUTEKATSU (“schivare con lo spirito”) del monaco ZEN e Maestro d’Arti Marziali TA-KUAN SOHO, e con il KEN-NO-SHINZUI, l’”Arte di risolvere i problemi senza usare la spada”. Padre di YAGYU MUNENORI, è anche uno dei fondatori dello YAGYU RYU di KEN-JUTSU – che s’ispira all’AIZU KAGE RYU di AIZU IKO – e innova la scuola SHIN KAGE RYU, conosciuta poi anche come YAGYU SHIN-KAGE RYU. YAGYU RYU. – Scuola di JU-JUTSU, TESSEN-JUTSU e KEN-JUTSU. I fondatori sono YAGYU MUNEYOSHI TAJIMA NO KAMI e suo figlio YAGYU MUNENORI, che nel 1603 le attribuisce il nome di YAGYU SHINGAN RYU. YAGYU SHINGAN RYU. – È il nome assunto nel 1603 dalla scuola YAGYU RYU. In questa scuola le Disci-pline (JU-JUTSU e KEN-JUTSU, tra le altre) si praticano con indosso l’armatura classica da SAMURAI, la YOROI. UESHIBA MORIHEI, nel 1903, studia KEN-JUTSU e JU-JUTSU allo YAGYU SHINGAN RYU con il Maestro Nakai Ma-sakatsu. YAGYU SHIN-KAGE RYU. – È l’altro nome della scuola SHIN KAGE RYU, così conosciuta dopo l’opera d’innovamento condotta da YAGYU MUNEYOSHI TAJIMA NO KAMI. YA-HAKI. – “Fabbricante di frecce”. Spesso è un vero artista, talvolta geniale nelle sue creazioni ed offre un assortimento vastissimo di frecce (YA) e, soprattutto, di punte (YANO-NE, “cuspidi”) al BUSHI. YAKIBA. – “Taglio indurito, temprato, di una lama”. L’aspetto è quello di una striscia screziata, perlacea, larga da 8 a 13 mm, che corre lungo il taglio della lama. La perfetta preparazione della YAKIBA (considerata una delle più importanti operazioni nella fabbricazione di una spada, se quella fondamentale) dipende da numerosi fattori: dalla composizione della miscela d’argilla, sabbia e polvere di carbone con cui si ricopre la lama alla temperatura del fuoco che serve a riscaldarla, dalla temperatura dell’acqua di raffreddamento alla sua qualità. L’unione di un taglio temprato abbinato ad un corpo di lama relativamente tenero, dolce, è quel-la che rende le lame giapponesi giustamente famose e tecnicamente insuperabili. È il profilo della YAKIBA, che può seguire linee differenti, a distinguere scuole e maestri diversi: si contano oltre trenta tipi principali ri-conosciuti, alcuni con suddivisioni aggiuntive; tale forma è sufficiente, agli esperti, per dedurre scuola e data di fabbricazione. La YAKIBA della parte terminale della lama (BOSHI) è particolarmente importante e lì i con-torni hanno nomi particolari. Sul codolo della lama, talvolta, oltre che firma del Maestro ed anno di fabbrica-zione, è impresso il numero corrispondente al mese il cui è stata temprata la lama: garantisce che l’acqua ha la temperatura ottimale (il migliore, pare, è l’ottavo). YAKO. – “Cordoni testicolari”. Parte superiore interna della coscia, in corrispondenza della spina pubica. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

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YAKU. – “Rovesciato”; “inverso”. YAKÙ. – “Bruciare”. YÀKU. – “Traduzione”. YAKU YOKO MEN UCHI. – “Fendente rovesciato diagonale al capo”. YAMA. – “Montagna”. YAMABUSHI. – “Coloro che dormono sulla Montagna”. “Guerrieri dei Monti” (a volte sottintende “Eremiti delle Montagne”). Sono i monaci-guerrieri, appartenenti principalmente ai grandi monasteri buddisti delle montagne – soprattutto a Kumano, Omine, Kimbusan – legati specialmente alle scuole esoteriche SHINGON e TENDAI o seguaci dello SHUGENDO. Chiamati a volte Yamabushi-no-gyoja oppure shugenja, spesso vivono in romitaggio, praticando ascesi ed Arti Marziali, per fortificarsi nello spirito e nel corpo. Gli YAMABUSHI – che di norma hanno i capelli totalmente rasati, oppure incolti – in pratica non montano mai a cavallo, tranne quando sono capi di guerra. Come tutti i guerrieri usano l’arco e la spada, ma la loro arma preferita è la NA-GINATA, cui talvolta s’accompagna la mazza di ferro. Il popolo li reputa dotati di poteri magici e, probabilmen-te, a loro si deve la nascita della figura mitologica dei TENGU. Al secolo X risalgono le menzioni, in opere di letteratura epica, delle prime confraternite YAMABUSHI, contrapposte ai NOBUSHI, “Coloro che dormono in pianura”. I monaci-guerrieri sono bellicosi al pari – se non di più (e quindi ben lontani dagli ideali buddisti!) – degli altri combattenti e non esitano a difendersi contro chiunque accampi pretese sui loro territori. Come qualsiasi altro guerriero, gli YAMABUSHI indossano armature (con sopra, a volte, lunghe tuniche dai caratteri-stici colori) e seguono un codice di comportamento che prevede il SEPPUKU. La ricerca di poteri magici, so-prannaturali, li spinge alla pratica assidua nelle Arti Marziali, con l’uso di IN e MANTRA [si veda KUJI-KIRI]. Nel secolo XV, ormai invasi i templi da impostori e imbroglioni, falsi monaci e fattucchieri, i veri YAMABUSHI si raggruppano in speciali congregazioni e cercano di mettere ordine nelle varie comunità del Paese. La fine delle confraternite YAMABUSHI si ha, in pratica, con la Restaurazione MEIJI e, soprattutto, l’abolizione ufficiale dello SHUGENDO, nel 1872. Gli YAMABUSHI, comunque, restano tra i maggiori protagonisti della storia giap-ponese dal secolo X al XVI, unitamente ai monaci-samurai SOHEI ed agli “uomini dei templi” (shinjin). Il loro ruolo militare ha termine solo nel 1571, quando ODA NOBUNAGA, per porre fine alle rivolte nelle campagne che caratterizzano l’intero secolo XVI, distrugge i monasteri del monte Hiei ed uccide tutti quelli che si trova-no sulla “montagna”. YAMADA HEIZAEMON. – (...-1578) Famoso spadaccino. Fonda lo JIKISHIN KAGE RYU, scuola di KEN-JUTSU. Gli allievi, per l’allenamento, usano la spada di legno (BOKKEN). YAMADA JIROKICHI. – (1863-1931) SAMURAI, e 15° Caposcuola dello JIKISHIN KAGE RYU, scuola di KENDO e NAGINATA-DO. È conosciuto soprattutto per le sue opere divulgative sul KENDO, inteso più come disciplina fisico-spirituale che attività sportiva o Arte Marziale: lo SHUYO SHOSEI-RON (“Trattato sull’insegnamento dello Spirito e della Vita”) e BUDO: KENDO RON (“Trattato di Kendo”). In questi libri YAMADA JIROKICHI – che tiene in gran conto la moralità individuale e sociale – ribadisce un concetto caro a molti altri Maestri: la spada, come lo ZEN, ha lo scopo di uccidere l’ego. YAMAGA RYU. – Scuola d’Arti Marziali fondata da YAMAGA SOKO. YAMAGA SOKO. – (1622-1685) Erudito confuciano, filosofo e SAMURAI. Appartiene al Clan AIZU ed è di-scepolo del filosofo confuciano Hayashi Razan. È autore di numerose opere – tra cui Seikyo Yoroku, Buke-jiri, Chucho Ju-jutsu – che gli valgono notorietà e prigionia (dieci anni circa, per aver criticato il comporta-mento dei funzionari dello SHOGUN). Negli scritti di YAMAGA SOKO – che non sono una guida pratica per i BUSHI – il termine BUSHIDO non compare mai, pur essendo le sue opere alla base di questa filosofia nel tem-po di pace. Egli considera i SAMURAI responsabili morali della società e, nelle sue opere, li sollecita a propu-gnare e realizzare i principi confuciani nella società del tempo. Allo scopo di meglio insegnare le sue teorie filosofiche, applicate praticamente, YAMAGA SOKO fonda una scuola di Arti Marziali, la YAMAGA RYU. Ancora oggi la sua tomba, nel tempio di Sosan-ji a Shinjuku (Tokyo), è visitata e venerata. [si veda BUSHIDO]

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YAMAGUCHI GOGEN. – (1909-1989) Maestro di KARATE, detto “il Gatto”. Già caposcuola del GOJU RYU fonda, nel 1955, lo stile KARATE-SHINTO. Al pari di altri, prima e dopo di lui, YAMAGUCHI GOGEN tenta di infon-dere alla pratica del KARATE una carica spirituale, mistica, per farne una specie di religione, amalgamando i principi di KARATE-DO, ZEN, Yoga e SHINTO. YAMAMOTO TSUNETOMO. – Autore dell’HAGAKURE. Anziano gregario del DAIMYO Nabeshima Mitsushige, della provincia di Hizen (Nagasaki), nell’isola di Kyushu, alla morte del suo Signore, vorrebbe seguirlo, ma, poiché i TOKUGAWA hanno proibito lo JUNSHI, è costretto a ritirarsi in un eremo, dove, tra il 1700 ed il 1716, compila l’HAGAKURE. YAMAOKA TESSHU. – (1836-1888) Leggendaria figura dell’ultimo Giappone feudale. Maestro ZEN e di KEN-JUTSU, fondatore del MUTO RYU (il “Sistema della non-spada”) e Consigliere dell’Imperatore, è anche tra i più grandi e prolifici (si dice abbia composto oltre un milione di opere!) calligrafi giapponesi mai esistiti. È ritenuto tra i migliori seguaci di tre DO: KENDO, la Via della Spada, SHODO, la Via della Calligrafia e ZEN. Da Asari Gimei riceve (1881) il certificato formale che lo designa 13° Caposcuola della NAKANISHI-HA ITTO RYU. Designato (1885) 10° Caposcuola dell’ONO-HA ITTO RYU da Ono Nario, YAMAOKA TESSHU chiama la propria scuola ITTO SHODEN MUTO RYU, “il Sistema della Non-Spada secondo la Corretta Trasmissione di ITO ITTO-SAI”, continuando ad insegnare nel DOJO denominato Shumpukan, la “Sala (KAN) del Vento di Primavera” (Shumpu, con riferimento alla poesia di un monaco buddista cinese del secolo XIII). Il concetto della “non-spada” non è nuovo [si veda MUTO e YAGYU MUNEYOSHI TAJIMA NO KAMI], e YAMAOKA TESSHU, fedele al princi-pio confuciano «Non creare un tuo insegnamento, ma mantieni le strade degli antichi», si considera più re-stauratore che innovatore. YAMAOKA TESSHU enfatizza, come UESHIBA MORIHEI, lo spirito piuttosto che la tecnica, consapevoli entrambi che “se la mente è corretta, la tecnica sarà corretta”. YAMATO. – Antica regione del Giappone, a sud di Nara. È qui che, per la tradizione, JIMMU TENNO fonda l’Impero giapponese, l’undici febbraio 660 avanti Cristo, dando origine alla Dinastia ancora oggi sul trono giapponese.

– Nome delle tribù che, invadendo e conquistando sempre maggiori porzioni di territorio metropo-litano, nel secolo I d.C. si evolvono in regno. YAMATO-DAMASHII. – Lo “Spirito Giapponese”, che impregna l’intera cultura del Giappone feudale. YAMATO RYU. – Scuola di Arti Marziali tradizionali, risalente al secolo XVII. Nel 1644 il Maestro MORIKAWA KOZAN riadatta e rimaneggia le tecniche di KYU-JUTSU insegnate, dando vita al moderno KYUDO.

– Nome inizialmente attribuito al sistema di combattimento formalizzato da TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO MASAYOSHI. Egli, in seguito, chiama tale stile DAITO RYU AIKI-JUTSU, alla ricerca di una patente di “nobiltà” (Daito è il nome della casata di MINAMOTO-NO YOSHIMITSU, che codifica uno stile AIKI-JUTSU, il DAI-TO AIKIJUTSU,alla fine del secolo XI). YAMÈ. – “Interrompete”; “basta”. Stop!”, “fermi”. È il comando per fermare l’allenamento e procedere nella lezione. Espressione arbitrale, è utilizzata per interrompere un combattimento e far tornare i contendenti nelle loro posizioni iniziali. YANAGI RYU. – Altro nome dello YOSHIN RYU. YANO-NE. – “Cuspide” (di freccia). Il fabbricante di frecce (YA-HAKI) offre al BUSHI un enorme assortimento di dardi, con aste di varia lunghezza e, soprattutto, cuspidi d’ogni materiale, di tutte le forme immaginabili, adatte a qualsivoglia scopo. Ci sono punte per la guerra e per l’allenamento, per tiro al bersaglio fisso ed al cane, per gli assedi o cerimoniali. Fischianti, a due o tre punte, ad arpione; a foglia di salice, normale o stretta, od a lingua di drago; incendiarie o “strazia carne”, a scalpello o “trapassa tende”, a punta segata o a punta di spada... Naturalmente, ogni tipo di cuspide ha un suo nome particolare (KURIMATA, HIKIME, wataku-shi, ryokai, yanagi-ha, sankaku, togari-ya, kira-ha-hirane, tsubeki-ne, KABURA-YA, maku-nuki, kompaku-gata, eccetera) ed ancora non esiste una classificazione organica di tutti i tipi di YANO-NE. Spesso le punte di frec-cia giapponesi sono delle vere e proprie opere d’arte.

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YARI. – Termine generico per “lancia”. Identifica, soprattutto, la lancia con ferro a lama diritta, dotato di lun-go codolo, raramente di gorbia. La YARI – i cui primi esemplari, con ferro di bronzo, risalgono alla preistoria – è molto usata sia dai monaci-samurai SOHEI, abilissimi nel suo uso, sia dai guerrieri a piedi e a cavallo nel Periodo KAMAKURA (1185-1333). Durante la Guerre di Onin (1467-1477) va di moda la YARI normale, mentre il modello a lama lunga è molto richiesto alla fine del secolo XVI, nel tardo Periodo MUROMACHI (1392-1573). Dei modelli prodotti prima del 1573, cioè prima del Periodo MOMOYAMA (1573-1603), due sono i tipi fonda-mentali: con lama a sezione triangolare (SANKAKU-YARI) e con lama a sezione romboidale (RYO-SHINOGI-YARI), ma, naturalmente, esistono numerose varianti. Il triangolo può avere un lato più lungo degli altri e sgusciato, o i lati scanalati; la sezione romboidale può essere con facce lisce o romboide con due lati sgusciati e due li-sci; gli SGUSCI possono essere larghi o stretti, profondi o superficiali, singoli o doppi, con estremità squadrate o tonde e così via. Alcune incisioni (HORIMONO) presenti sulla YARI hanno valore decorativo o simbolico: soggetti floreali, draghi, BONJI, fiamme, brevi poesie; spesso il fabbricante della lama appone la sua firma. L’asta di legno di quest’arma (NAGAYE), che può raggiungere i 4 metri, è di sezione normalmente rotonda, talvolta poligonale o a pera, è preferibilmente di quercia sempreverde (kashi bianca: è compatta, forte, resi-stente, elastica), ma si usa anche il bambù e la kashi rossa. La lama (la cui lunghezza varia dai 10-12 cm della YARI per i cavalieri ai 50 cm della SU-YARI) è montata sull’asta con estrema precisione; il lungo codolo inserito è legato con corda e rinforzato con una fascetta di metallo (HABAKI). Quando la lama è dotata di gorbia, questa è sistemata sull’estremità aguzza dell’asta e inchiodata di lato. Un manicotto di metallo (FU-CHI) è infilato sulla cima dell’asta; il FUCHI può essere di materiale diverso rispetto all’HABAKI ed entrambi so-no spesso decorati con il MON del Clan o con incisioni a motivi floreali. Talvolta è presente, sull’asta, un fer-mamano di corda, mentre all’estremità inferiore è posto una sorta di calzuolo, una ghiera (HIRUMAKI o ISHIZU-KI) che funge sia da contrappeso sia (in certi modelli) da sostegno per una lanterna notturna ed anche da corpo contundente. Una sbarra d’acciaio o d’ottone (HADOME), con bracci irregolari, è spesso applicata sotto il ferro: serve a parare i colpi dell’avversario ed anche a spezzarne la lama. Il fodero della YARI, nelle sue va-rie forme, può essere di semplice legno (SHIRAZAYA) o lacca decorata (SAYA). La scherma con la lancia (SO-JUTSU o YARI-JUTSU) ha sempre avuto larga diffusione ed è insegnata – già dalla fine del secolo VIII – all’Accademia di Scienza Militare di Kyoto, unitamente all’uso della spada; gli allenamenti sono condotti uti-lizzando lance con cuspidi a palla di cuoio (KEIKO-YARI). YARI-ATE. – “Portalancia”. È in cuoio, ferro o rame e si assicura alla staffa (ABUMI), alla sella o alla gamba, sempre a destra. Talvolta la funzione di YARI-ATE è svolta da un foro nell’ABUMI. YARIDO. – Addestramento nella pratica dello YARI. YARI-KAKE. – “Rastrelliera” per lance. È in legno ed è verticale quando usata nei posti di guardia o altre installazioni militari, mentre se utilizzata nelle case – data anche la limitata altezza dei locali – è orizzontale: le aste sono sorrette da file di pioli, il che consente anche un rapido uso delle lance in caso di necessità. YARI-JUTSU o SO-JUTSU. – Scherma con la lancia. Fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti Marziali” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (ol-tre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”] YASUKUNI-JINJA. – “Il Santuario del Paese Pacifico”. È il tempio scintoista, in legno nero, che sorge ac-canto al KITANOMARU-KOEN, il parco di Tokyo consacrato ai caduti nella Seconda Guerra Mondiale. Si rac-conta che, all’interno del tempio, siano conservati – scritti su foglietti di carta di riso – i nomi di tutti i due mi-lioni e mezzo di morti, militari e civili, giapponesi del conflitto. I foglietti, a rotazione, vengono esposti in un cortile interno, appesi ad un pannello: il vento muove i leggeri fogli ed i nomi “continuano a vivere”. YASUMI. – “Riposo”. Normalmente indica l’intervallo tra due combattimenti d’allenamento o gara. YASURI. – È la serie di caratteristiche linee sgraffiate, con varie direzioni, ma sempre parallele, presenti sul codolo (NAKAGO) delle lame con lo scopo, rendendo scabrosa la superficie, di migliorare l’aderenza della TSUKA. Queste linee sono praticate utilizzando una lima apposita (yasuri-me), con tecnica particolare, nelle fasi iniziali di fabbricazione della lama, quando il fabbro modella il codolo. Un esperto, esaminando le YASU-RI, può identificare sia l’epoca di fabbricazione della lama sia il fabbro.

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YASUTSUNA. – Mitico spadaio della provincia di Hoki, morto, pare, nell’anno 806. La tradizione vuole che abbia dato alla KATANA la forma che ancora conserva. YATTSU. – “Otto” in giapponese puro. In sino-giapponese è HACHI, per contare le persone (NIN) si dice HA-CHININ, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa HICHIHON. YAWARA. – Altro nome della lotta senz’armi KUMI-UCHI. È da questa forma di combattimento, risalente al Periodo KAMAKURA (1185-1333) e praticata con indosso l’armatura, che si sviluppa lo JU-JUTSU, tanto che, nel Periodo EDO (1603-1868), i due vocaboli sono sinonimi. Pare che sia SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINAMOTO-NO SONECHIKA ad utilizzare per primo il termine YAWARA nella sua scuola, il SEKIGUCHI RYU. YAYOI. – Epoca protostorica del Giappone. Va dal 300 circa a.C. al 300 d.C. circa. È l’età mitica degli anti-chi Clan (UJI), dove si trasmettono i primi titoli ereditari. L’economia è sempre a base agricola e predomina la coltivazione del riso. Si hanno lavorazioni di bronzo e ferro, con la fusione di grandi campane. La lavora-zione della ceramica vede l’introduzione della tecnica della ruota. YEFU-NO-DACHI. – Spada riservata unicamente a nobili di rango elevato, i “Nobili di Corte” o “Famiglie No-bili” (Honke, KUGE) ed alle guardie del Palazzo imperiale. [si veda TACHI] YEN. – Unità monetaria giapponese. YO. – È la traduzione del cinese Yang e identifica anche il principio OMOTE. [si veda la voce “ommyodo”, nella seconda parte del Dizionario] YOBI-DASHI. – “Araldo”. È il “presentatore” nei tornei e combattimenti di SUMO. È compito dello YOBI-DASHI fare l’appello dei SUMOTORI, controllarne la corretta disposizione sul DOHYO (mantenendovi l’ordine), distribui-re loro acqua e sale, dare il segnale d’inizio del combattimento e, infine, annunciare le gare del giorno suc-cessivo. Il sale, in particolare, viene sparso in abbondanza dai combattenti sul DOHYO, poiché la tradizione gli attribuisce la facoltà di scacciare spiriti maligni, combattere le cattive influenze, proteggere i SUMOTORI dai traumi e guarirli rapidamente. YOFUKU. – Con questo termine sono indicati gli abiti di foggia europea. YOI. – “Pronti!”. Tanto in BO-JUTSU quanto in altre Arti e Discipline Marziali, è il comando che fa assumere agli allievi la posizione iniziale – con l’arma sotto il braccio destro, la punta volta al suolo – e che precede il saluto rituale (REI) nei KATA. YOI-IBUKI. – “Respirazione ventrale profonda”. È simile al KOKYU (o FUKUSHIRI KOKYU), ma senza movimen-to. Come il KOKYU, serve a concentrare nell’HARA l’energia, il KI. YOKI. – “Coltivare l’energia (termine composto di KI)”. YOKO. – “Lato”, “laterale”. YOKO-ARUKI. – “Marcia di lato”. È un modo di spostarsi, rasentando i muri, tipico dei NINJA. YOKO-GERI. – “Calcio laterale”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. YOKO MEN. – “Parte laterale”; “lato”. YOKO MEN UCHI. – “Fendente diagonale al capo”. “Colpo laterale a viso/collo/tempia, con taglio dall’alto al basso”. Si dice anche KESA-GIRI, da KESA, “stola del monaco” e GIRI, “taglio”: tagliare lungo la linea tracciata dalla fascia: da una spalla all’anca opposta. Normalmente l’attacco YOKO MEN UCHI va dalla spalla sinistra all’anca destra e – se eseguito con la spada – a questo primo colpo, dovrebbe seguirne un secondo, al con-trario (GYAKU KESA, dall’anca alla spalla), dopo aver girato l’arma, ed ancora un terzo, per tagliare l’avversario da dietro. Di solito a YOKO MEN UCHI si oppone SHO MEN UCHI. YOKOTE. – Parte di una lama.

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YOKO UKEMI. – “Caduta laterale”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). YOKO WAZA. – Tecniche eseguite di lato. YOKOZUNA. – “Grande Campione”. Cintura del campione di SUMO. È il massimo titolo conseguibile da un SUMOTORI. YOMI. – “Lettura”. “Divinazione”. È l’arte di prevedere il futuro attraverso la divinazione, ma anche la facoltà di “leggere il pensiero” di un avversario, ancor prima che questi lo completi. Nelle Arti Marziali è intimamen-te legato ai concetti di MA-AI (“distanza”) e HYOSHI (“ritmo”), ma non solo. Dato che YOMI consente di intuire (prevedere?) l’embrione di un attacco, si ricollega ad una profonda consapevolezza della cultura nipponica: nei rapporti interpersonali le parole sono spesso insufficienti, occorre valersi dell’ishin-den shin, “da uno spi-rito all’altro”. YON. – “Quattro”. Anche SHI che però, avendo la medesima espressione fonetica di “morte”, è meno usato. YONHON. – “Quattro”, per contare oggetti particolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è SHI o YON, in giapponese puro si dice YOTSU, per le persone (NIN) s’usa YONNIN. YONHON NUKITE. – “Quattro dita tese, a ferro di lancia”. YONNIN. – “Quattro”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è SHI o YON, in giapponese puro si dice YOTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa YONHON. YONNIN-GAKE. – Quattro UKE attaccano TORI. YONNIN DORI. – “Quattro persone prendono”. YONKYO. – “Tecnica numero quattro”. “Quarto principio [si veda TEKUBI OSAE]. Immobilizzazione del brac-cio di UKE, con pressione della parte alta del polso (il tendine contro l’osso) del polso. Il punto di pressione è uno TSUBA di agopuntura e shiatsu, sul meridiano detto “mastro del cuore”. YONKYO OSAE. – “Quarta immobilizzazione”. YONKYU o SHIKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di quarta classe”. [si veda KYUDAN] YOROI. – È l’armatura giapponese classica, che si formata dopo l’anno 858 (medio e tardo Periodo HEIAN, 794-1156). È usata dai BUSHI e dai SAMURAI (che, fino al secolo XV, sono soprattutto arcieri a cavallo) ed e-videnzia caratteristiche determinate dalle tattiche di cavalleria, tanto è vero che questo tipo d’armatura cade in disuso quando i SAMURAI adottano, per lo più, tattiche da fanteria. La O-YOROI (il termine significa “la Grande Armatura” e, in effetti, tutti i suoi elementi sono di notevoli dimensioni) è indossata dai guerrieri di rango elevato e dai comandanti. L’armatura comprende: elmo (KABUTO, termine generico), spesso con ci-miero di foggia, materiale e dimensioni diverse; maschera d’arme (il nome varia secondo il tipo di protezione fornito: HAPPURI, HOATE, HAMBO, MEMPO, SOMEN), per meglio assicurare l’elmo alla testa e rendere più sinistro l’aspetto del guerriero; corazza (DO); spallacci (SODE); falde (KUSAZURI) e protezione a grembiule aggiuntiva (HAIDATE); maniche corazzate (KOTE); gambali (SUNEATE). La YOROI è anche detta KACHU. YOROI DOSHI. – Corto e robusto coltello-pugnale. È utilizzato per perforare le armature (YOROI) nei com-battimenti a corpo a corpo e talvolta, pare, per infliggere il colpo di grazia. YOROI-KUMIUCHI o KUMIUCHI. – È l’insieme delle tecniche sviluppate dallo YAGYU SHINGAN RYU. Lo YO-ROI-KUMIUCHI appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). YO RYU. – Scuola che insegna l’uso delle armi da fuoco (HO-JUTSU, KA-JUTSU). Risale al secolo XVII. YOSEIKAN. – Scuola d’AIKIDO, fondata da MOCHIZUKI MINORU, uno degli allievi di O-SENSEI.

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YOSEIKAN BUDO. – Moderno sistema di combattimento, ideato da MOCHIZUKI HIRO, figlio di MOCHIZUKI MI-NORU. Raggruppa le tecniche ritenute più efficaci di moltissime Arti Marziali. YOSHI. – “Buono”. YOSHIN AIKIDO. – Stile d’AIKIDO, messo a punto da SHIODA Gozo, UCHI DESHI di O-SENSEI, ed insegnato nella scuola da lui fondata, la Yoshinkan Aikido. Lo YOSHIN AIKIDO si rifà all’antico stile “duro” dell’AIKIDO, quello dei primi tempi. Questo stile “indipendente”, è orientato verso la tecnica pura. YOSHIN RYU o YANAGI RYU. – “Scuola del Cuore di Salice”. Scuola di JU-JUTSU e KEN-JUTSU; è fondata, secondo alcuni, dal medico di Nagasaki AKIYAMA SHINOBU, nel 1732, di ritorno da un viaggio in Cina. Per al-tri, invece, il fondatore è un discepolo di un altro medico, sempre di Nagasaki, MIURA YOSHIN, un cui secondo allievo fonda il MIURA RYU. Lo stile di questa scuola si basa sul principio della non-resistenza, raffigurato dai rami dal salice: sotto il peso della neve si curvano, lasciandola cadere a terra, ma poi riprendono la propria posizione, con tanto maggior vigore quanto più sono piegati inizialmente. La stessa immagine deve aver avuto in mente KANO JIGORO, il fondatore del moderno JUDO, quando sintetizza diverse tecniche di JU-JUTSU, dopo aver frequentato lo YOSHIN RYU, prima del 1882. Nel secolo XVIII il Maestro MINAMOTO-NO YANAGI ra-zionalizza insegnamento e tecniche di combattimento, riducendo queste ultime a 124, dalle oltre 500 che la scuola conta alla fine del secolo XVII. Oggi la scuola è anche conosciuta anche come Ten.yo Kai. YOTSU. – “Quattro” in giapponese puro. In sino-giapponese è SHI o YON, per contare le persone (NIN) si di-ce YONNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa YONHON. YOWAKI. – Indica una persona con un KI debole e, quindi, con poca personalità, carattere umile. Chi, inve-ce, ha un KI forte, è chiamato TSUYOKI. [si veda KI] YOYO-SHONIN. – “Mercanti muniti di patente”. Sono mercanti – molti d’origine SAMURAI – che godono di al-cuni privilegi, come una certa esenzione dalle tasse e la possibilità di vivere molto vicino al castello del Si-gnore. La loro attività maggiore è la fornitura di equipaggiamenti militari. YU. – “Esistere”; “essere”.

– “La bravura tinta d’eroismo”. Uno dei sette punti del BUSHIDO. [si veda] YUBI. – “Dito” (anche SHI). YUBI-JUTSU. – Particolare metodo, utilizzato dai NINJA del Gyokku Ryu, per sferrare colpi mortali utilizzan-do le dita delle mani. YUBISAKI. – “Punta delle dita”. YUDANSHA o DANSHA. – È il praticante d’Arti Marziali che ha ottenuto uno o più DAN ed è quindi cintura nera. In alcune scuole e Discipline è dal 3° DAN in su, in altre dal 1° in poi. YU-GAKE. – “Guanti da arciere”. Sono di tessuto e cuoio, assicurati al polso da lunghe cinghie. Il guanto per la mano sinistra, che regge lo YUMI, è di pelle o tessuto, ricoperto con maglia di ferro. Quello per la ma-no destra, di cuoio, ha pelle più morbida per indice e medio e doppio spessore per il pollice, al fine di com-pensare l’usura (si tira “alla mongola”). Alcuni modelli di YU-GAKE coprono solo pollice, indice e medio, con una larga fascia attorno al polso; altri hanno un foro, a forma di cuore, sul palmo, per la traspirazione. YUKEN. – Posizione (tipicamente del KENDO) con la spada: le lame (o gli SHINAI) sono a contatto, s’incrociano. Questa posizione è opposta a MUKEN, con le lame che non si toccano. YUKI. – “Coraggio” (termine composto di KI). YUMI. – “Arco”. L’arco giapponese, di antichissima concezione – rinvenimenti archeologici di archi laccati fanno risalire la comparsa di quest’arma almeno al secolo V a.C. – appartiene all’ampia famiglia degli archi asiatici a struttura mista, ma è diverso dagli altri in dimensioni (è lungo da 180 a 240 cm, per uno spessore di circa 5 cm) e fabbricazione. Poiché gli antichi arcieri tirano con un ginocchio a terra (solo in un secondo

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tempo, dal secolo XII circa, lo fanno cavalcando – e nasce, appunto, il KYUBA-NO-MICHI, la “Via dell’arco e del cavallo”), la parte superiore dell’arco è quasi doppia rispetto all’inferiore, con l’impugnatura molto sotto il centro. Se una forma siffatta consente l’uso di frecce lunghe, il tendere l’arco “alla mongola” [la corda si prende nella piega del pollice e la cocca si trova molto dietro l’orecchio; si usano guanti speciali, gli YU-GAKE] va a scapito della precisione, nonostante quello che raccontano le leggende [si veda WASA DAIICHIRO]. Lo YUMI è piegato alle estremità in due curve costanti, che si rovesciano quando, molto sopra l’orecchio, si ten-de l’arco. Dapprima in legno di bosso, lo YUMI in seguito è fabbricato in bambù con aggiunta di legno Rhus succedanea, malacca, colla di pesce, lacca, cuoio. Il tipo shige-to-yumi (legno laminato, legato con malacca e laccato) è considerato arma da nobili, mentre il tipo maru-ki è di tipo semplice. Le tipiche frecce (YA), di canna colorata con tre impennaggi, lunghe da 90 a 100 cm, pesanti, distruttive, sono adatte alle brevi di-stanze [la gittata dell’arco tipico si aggira sui 100 metri] e lanciate normalmente, quindi, con traiettoria tesa. Le cuspidi da guerra sono di innumerevoli forme, con dimensioni variabili (da 1 a 15 cm) e con lungo codolo. Esistono anche archi più piccoli, come quello alto circa 90 cm, utile per tirare dalla lettiga, o quello ancora più corto (circa 75 cm), di tipo mongolo simmetrico, a doppia curvatura, usato soprattutto dai NINJA nel Pe-riodo EDO. L’arco giapponese per eccellenza, comunque, rimane quello lungo e asimmetrico, ancora pre-sente come arma d’ordinanza delle truppe imperiali fino al 1868, anche se dal secolo XVI numerosi contin-genti sono dotati di armi da fuoco. L’arco e la spada sono sempre stati le venerate armi del nobile militare, il BUSHI, rappresentandone ed incarnandone qualità e prerogative, fin dai tempi eroici dei KUGE (Periodo HEIAN, 794-1156). L’arciere (ITE), anche chiamato YUMI-TORI, “colui che impugna l’arco”, è da sempre un guerriero di rango, tanto è vero che “guerra” e “arco e frecce” (yumi-ya), per il BUSHI, sono sinonimi. Per qualche esperto, lo YUMI è l’arma da getto più bella dell’Estremo Oriente. Ci sono anche gli YUMI sacri e ce-rimoniali, anch’essi di legno, in due pezzi, normalmente uniti all’impugnatura da un manicotto metallico ed arricchiti con decorazioni in lacca. Da sempre guaritori e preti scintoisti usano gli archi quali strumenti magi-ci: il suono, caratteristico, della corda vibrante, è considerato in sintonia con le vibrazioni divine dell’Universo. Anche i tornei di SUMO vedono – almeno dal secolo XVI – la presenza di un arco cerimoniale, brandito da un SUMOTORI di rango basso che esegue, appunto, la “danza con l’arco”, la YUMITORI-SHIKI. YUMI-TORI. – “Chi impugna l’arco”. È sinonimo di arciere (ITE) e, quindi, del guerriero di rango elevato. YUMITORI-SHIKI. – “Danza con l’arco”. È la cerimonia conclusiva d’ogni torneo di SUMO e serve a com-memorare un fatto del 1575: la danza di ringraziamento eseguita da MIYAI GANZAEMON, il SUMOTORI vincitore di un torneo organizzato da ODA NOBUNAGA. Come ricompensa per il valore e la bravura dimostrati, MIYAI GANZAEMON riceve 500 KOKU di riso ed un arco, impugnando il quale improvvisa una danza in onore di ODA NOBUNAGA. Oggi è un SUMOTORI di rango basso ad eseguire la YUMITORI-SHIKI sul DOHYO. È probabile che questa danza richiami il KEN-BU, l’antico ballo rituale dei SAMURAI, eseguito prima (come forma propiziatoria) e dopo (per celebrare le gesta guerresche) ogni battaglia.

- Z - ZA. – “Sedile”, “seggio”.

– Posizione seduta. – “Rione” di una città, normalmente circondato da canali, mura o recinzioni, con porte che si chiudono

di notte ed in caso di disordini. Di solito, nel Periodo EDO (1603-1868), uno ZA è un’area ampia più di due strade ed è sorvegliato da numerosi funzionari locali: l’addetto ai registri familiari, delle tasse e della residen-za; il capo dei vigili del fuoco; i custodi alle porte. Ogni strada o tratto di strada, inoltre, è sorvegliata da un pubblico ufficiale, che abita nella via da lui controllata; un ufficiale della comunità, con l’ausilio di vari assi-stenti, controlla i sorveglianti.

– “Gilda”, associazione di mercanti. ZABUTON. – “Cuscino di paglia intrecciata”. È utilizzato, prima della diffusione dei TATAMI (secolo XVII), per sedere sui nudi assiti di legno levigato che costituiscono i pavimenti delle case nobiliari e dei palazzi. ZAFU. – “Cuscino rotondo e rigido”. È utilizzato per la pratica di ZAZEN (la meditazione ZEN).

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ZA-HO. – Modo di sedere sui talloni. Corrisponde anche alla pratica spirituale (meditazione, concentrazio-ne) effettuata in questa postura. ZANSHIN. – “Lo spirito che permane”. “Estensione dell’energia”. È la giusta attenzione, che non si affievo-lisce durante e dopo l’azione. Stato di allerta del combattente. Prima e dopo aver eseguito la tecnica, si re-sta sul chi vive, mantenendo la “consapevolezza” dell’avversario (per evitarne la reazione eventuale), dell’ambiente e della situazione circostante. ZAN-TOTSU. – “Avvicinarsi e colpire”. ZA-REI. – “Saluto rituale in ginocchio”. È un “saluto secondo le regole” (RITSU-REI). Si esegue seduti (sulle ginocchia), con le mani posate al suolo e la fronte che le sfiora. Così come per il saluto in piedi (TACHI-REI), anche in questa posizione l’inclinazione del busto varia secondo l’interlocutore e le circostanze: da leggero movimento del busto, a capo diritto (HAI-REI), fino, appunto, a toccare il TATAMI con la testa. [si veda REI] ZAZEN. – “Postura di risveglio”. La posizione è quella formale (SEIZA): in ginocchio, la schiena eretta, i glutei appoggiati sui talloni, sul TATAMI o su di un particolare cuscino (ZAFU), le mani posate una sull’altra (dorso della sinistra sul palmo della destra), i pollici a contatto, l’uno contro l’altro. Nella pratica ZEN è sedere alla ricerca dell’illuminazione: occorre raggiungere lo stato mentale HISHIRYO (“oltre il pensiero”, “pensiero senza pensiero”), con il vuoto totale nello spirito, che così è totalmente ricettivo. Solo allora si giunge al pensiero MUSHOTOKU, lo stadio finale di chi vive in perfetta armonia con sé, con la natura e con l’Universo, indifferente a ricompense, profitti, scopi, obiettivi. Non tutte le scuole ZEN danno la medesima importanza alla pratica ZAZEN, come questa nota, e antica storiella, dimostra. «Un Maestro si rivolge ad un suo discepolo, molto ze-lante nella meditazione, e gli dice: “O virtuoso, che scopo hai nel praticare zazen?”. Il discepolo risponde: “Il mio scopo è diventare un Buddha”. Il Maestro allora prende una tegola e comincia a strofinarla con una pie-tra. Il discepolo chiede: “O Maestro, cosa stai facendo?”. Lui risponde: “Strofino questa tegola per farla di-ventare uno specchio”. Il discepolo dice: “Come puoi fare uno specchio strofinando una tegola?”. Il Maestro ribatte: “Come puoi fare un Buddha praticando zazen?”». Il BUSHI, con la pratica costante dello ZAZEN – la cui corretta applicazione equivale al SATORI, la libertà dello spirito – riesce a raggiungere la perfezione nella propria Arte Marziale. ZAZEN FUSETSU. – Malattie causate da disordini respiratori. Si possono produrre durante l’esercizio per raggiungere l’estasi. ZEMPO. – “Cadere in avanti, rialzarsi e proiettare il KI” (avanti o indietro). ZEMPO KAITEN. – “Caduta in avanti”. ZEMPO UKEMI UNDO o ZEMPO KAITEN UNDO. – “Rotolamento continuato e controllato in avanti”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). ZEN. – “Totalità”, “tutto”.

– “Vero e profondo silenzio”. Tradotto spesso anche con “concentrazione” e “meditazione senza ogget-to”. È una filosofia buddista (i primi contatti dei Giapponesi con il Buddismo risalgono al 538 d.C.) che indica il ritorno allo spirito originario, puro, dell’essere umano; per la tradizione è introdotta in Giappone dal monaco EISAI nel secolo X. Gli insegnamenti ZEN derivano dal Buddismo meditativo indiano mahâyâna e dal TAOI-SMO cinese e, “contaminati” dall’influenza SHINTO, influenzano profondamente cultura e politica giapponese, trovando vasto seguito in tutte le classi sociali, soprattutto le più elevate (e BUSHI in modo particolare: qual-cuno sostiene che senza lo ZEN non sarebbe sorto il BUSHIDO). Sono cinque le scuole principali ai tempi del monaco Eno (638-713, 6° Patriarca dopo Bodhidharma; Houei Neng in cinese) e tutte praticano ZAZEN. Ora ne restano solo due: RINZAI-SHU, fondata proprio da EISAI – da cui prende in nome – verso il 1191, e SOTO-SHU, fondata da DOGEN ZENJI nel 1227 circa. Lo ZEN è più filosofia di vita che religione: non si preoccupa di avere molti contenuti metafisici, ma ha come aspirazione la conoscenza completa della realtà – raggiungibile attraverso il SATORI (KENSHO) – ed afferma che la trasmissione della saggezza tra Maestro e discepolo può avvenire solo mediante un rapporto intimo e diretto (come lo SHISODEN degli antichi RYU marziali), senza il ri-corso alle scritture buddiste. Lo ZEN poco si presta all’analisi logica occidentale: celebri sono i suoi KOAN

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[paradossi e proposizioni apparentemente assurde, che non possiamo inquadrare, se non riguardo alla “consapevolezza” indefinita e indefinibile propria di questa filosofia] ed i suoi MONDO [dialoghi, con domande e risposte, tra discepoli e Maestro]. Lo ZEN persegue la liberazione da quella che è o può essere la sogge-zione ai sistemi di pensiero, alla tecnica, all’esercizio, a programmi sociali dogmatici e ristretti, a forme speci-fiche d’affermazione della spiritualità individuale; tale obiettivo è perseguito con metodi diversi, secondo le differenti scuole esistenti. La pratica ZEN mira soprattutto ad approfondire, a purificare, a trasformare la co-scienza e, come affermato dal celebre studioso giapponese D.T. Suzuki, «… lo ZEN aspira sempre a far sì che noi vediamo direttamente dentro la realtà, cioè siamo la realtà stessa…». La parola cinese Chan o Ch’an, secondo la trasposizione fonetica utilizzata, da cui deriva il termine giapponese ZEN, è il riflesso fone-tico del sanscrito “dhyâna” (“pura meditazione” o “illuminazione interiore”) ed è il nome della scuola fondata in Cina dal primo Patriarca ZEN, il monaco indiano Bodhidharma. Egli rifiuta sia ogni formalismo nella tra-smissione della conoscenza, sia l’esperienza d’illuminazione di un Buddha; la sua scuola, in pratica, nasce dal sincretismo [fusione di teorie filosofiche o dottrine religiose diverse] tra il Buddismo mistico indiano ed il pragmatico Taoismo cinese. Per gli adepti, lo ZEN è shoden-no-buppo, “il DHARMA ininterrottamente, corret-tamente tramandato”, attraverso una successione, senza soluzione di continuità, che dal Buddha giunge ai Maestri (ROSHI) attraverso i Patriarchi. In sintesi: quattro sono i punti dottrinali ZEN: 1- trasmissione diretta della dottrina, da Maestro a discepolo; 2- indipendenza dello spirito verso le scritture buddiste; 3- realizza-zione della natura di Buddha in ciascun essere umano (DAIGO TETTEI); 4- comunicazione diretta fra essere umano ed “Entità suprema”. Un breve aneddoto, forse, riesce a (non)spiegare meglio lo spirito ZEN. Un professore universitario si reca a trovare Nan-in (1868-1912), Maestro ZEN, per interrogarlo sulla sua disci-plina. Prima di cominciare a discorrere, Nan-in serve il tè e, versando la bevanda nella tazza del suo ospite, la colma e continua a versare. Il professore, vedendo che il tè trabocca, avverte Nan-in: «La tazza è piena, non ce ne sta più!». Nan-in ribatte: «Tu sei come questa tazza, colmo delle tue opinioni e delle tue supposi-zioni. Se prima non vuoti la tua tazza, come posso spiegarti lo Zen?». ZENDO. – “Sala della meditazione” (anche SODO). Luogo di pratica dei monaci buddisti, quindi DOJO. ZENGO. – Indica movimenti in avanti e indietro. ZENGO UNDO. – IKKYO UNDO e rotazione in due o quattro direzioni. Fa parte degli esercizi fisici specializza-ti (AIKI TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). ZENSHO MASATSUGU. – Maestro di KYU-JUTSU. Fonda la scuola HOKI RYU di tiro con l’arco; a lui si devo-no le prime codificazioni (secolo X) di tecniche e posizioni di tiro. ZOMIN. – Suddivisione interna della classe sociale dei contadini, nel Giappone feudale. Fanno parte, al li-vello più basso, degli abitanti delle campagne e sono equiparabili a servi della gleba, quasi schiavi. Non so-no specializzati e svolgono mansioni di poco conto o lavori agricoli, come braccianti. ZORI. – “Sandali”. Fissati al piede con una striscia di cuoio infradito, tradizionalmente sono fatti di paglia in-trecciata, mentre oggi sono, normalmente, di plastica o gomma. ZUBON. – “Pantaloni” del KEIKOGI. ZUKI. – Suffisso per “gola” (TSUKI). ZUSA. – “Fante”. Guerriero a piedi, di basso livello. Proviene dalla classe contadina ed utilizza una gran varietà d’armi, talvolta di fortuna; tra quelle in asta le preferite sono JITE e NAGINATA. A protezione del capo pone un elmo aperto (JINGASA o KASA) – dalla caratteristica forma a cappello di paglia – ed indossa un’armatura leggera (KOGUSOKU), quando può permetterselo. In realtà, almeno nei primi tempi, più che veri e propri combattenti gli ZUSA sono aiutanti o serventi. Gli ZUSA sono tra i primi, unitamente agli ASHIGARU, ad utilizzare le armi da fuoco (TEPPO) sul campo di battaglia.

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PPEERR AAPPPPRROOFFOONNDDIIRREE UUNN PPOOCCOO DDII PPIIÙÙ ABACO. – Strumento per l’esecuzione di calcoli, d’antichissima origine. Un tempo costituito da una tavolet-ta suddivisa in colonne intagliate corrispondenti ai vari ordini delle grandezze, in cui sono poste delle pie-truzze, diventa poi un telaio, corredato da bacchette in cui sono infilate palline o dischetti. La forma più per-fezionata, ancor oggi diffusa in Cina e Giappone, è suddivisa in due sezioni: la maggiore per le unità, la mi-nore per un suo multiplo, in genere cinque. La rapidità con cui un buon contabile giapponese usa il suo SO-ROBAN è stupefacente. ACCIAIO. – Composto del ferro, contenente carbonio per circo lo 0,005%. L’acciaio, arroventato e raffred-dato più o meno bruscamente (procedimento detto tempra o tempera), acquista durezza ed elasticità, men-tre il ferro, che fonde solo a temperature molto alte, è tenace, duro, duttile, malleabile e, con il calore ram-mollisce e può essere piegato, lavorato, saldato. Anticamente il ferro contiene carbonio in percentuali assai più alte (fino al 3%), ma anche altri elementi chimici (zolfo, manganese, fosforo ecc.) e impurità; è chiamato ferraccio (oggi ghisa) e, pur difficilissimo da lavorare a martello o saldare, è molto usato per costruire pezzi in stampi, grazie alla sua fusibilità. È il colore assunto nel processo di riscaldamento dall’acciaio che con-sente all’occhio allenato dell’esperto fabbro/armaiolo di riconoscere il momento giusto per raffreddare il pez-zo in lavorazione, per ottenere una tempera, e quindi una durezza, adatta all’uso. Segreto ed accurato è il “bagno” adatto ai vari tipi d’acciaio ed ai pezzi destinati ai diversi usi: acqua pura, acqua con aggiunta di sa-le, acqua con acidi, grasso animale, petrolio, olio ecc.; diffusa anche la tempera ad aria: il pezzo si raffredda agitandolo in aria più o meno fredda e umida. Per ottenere una durezza maggiore, poiché l’acciaio temprato può essere fragile, si può ricorrere alla “ricottura”: il riscaldamento ad una temperatura adeguata alla durez-za desiderata. L’acciaio può essere lavorato solo se non è temprato; in questo caso il raffreddamento deve avvenire lentamente e senza contatto con l’aria, magari sotto sabbia calda o cenere. AGOPUNTURA. – (HARI-RYOJI, in giapponese) Metodo di trattamento (curativo e preventivo) d’origine cine-se. Utilizza stimoli puntuali con aghi o ventose o passaggi, sempre puntuali. ALIMENTAZIONE. – Nutrimento è ogni cosa, non solo cibo. Ma come dobbiamo nutrirci? Nella nostra so-cietà occidentale, spesso, si evidenziano due aspetti antitetici: obesità e magrezza eccessiva. L’obesità, molte volte, deriva da impossibili compensazioni alimentari: insoddisfatti della nostra realtà quotidiana, cer-chiamo un bilanciamento riempiendoci senza tregua, e senza misericordia, bocca e stomaco. Per contro, accade che si rifiuti la realtà, rifiutando la nostra immagine, avendone in mente una che è irreale, ma che prendiamo per vera: non accettiamo più il cibo, scegliendo il deperimento piuttosto che provare a vivere; ed ecco la magrezza eccessiva. Ancora oggi, in società per noi arretrate, essere grassi significa esibire la pro-pria influenza sociale: avere più di ciò che serve, ostentare potere, ricchezza ed anche buona salute. L’obesità come ostentazione, da noi, non funziona più: quanto mai dovrebbero ingrassare, ricchi e potenti, per dimostrare di esserlo? Per assurdo, l’espressione sociale di potere, ricchezza, possesso, può trasfor-marsi nella magrezza eccessiva: superato l’irrazionale timore della mancanza di cibo, si supera anche la ne-cessità di cibo quale compensazione, surrogato d’altre carenze. Quando non si soffre più la fame, quando il rischio è di avere troppo e non troppo poco, ci si diletta in diete più o meno detestate, di tutti i tipi. Ipocalori-che o dissociate, elastiche o strette, monofasiche o bilanciate; e poi i cibi complementari e gli incompatibili, il calcolo calorico e quant’altro. In pratica, non esiste più equilibrio e noi facciamo i conti solo con gli eccessi. La tradizione orientale, cinese in particolare, considera anche il nutrimento come il compimento dell’eterno equilibrio fra Xing, la Forma, la massa corporea (lo Yin) ed il Qi (KI), il Soffio Vitale, l’energia che sostiene l’organismo (lo Yang). Una forma corporea essenziale, non gravata da peso eccessivo (e quindi, nella logi-ca orientale, non appesantita da ristagni d’energia) è non solo salutare, ma garantisce un metabolismo effi-ciente. Per questo motivo lo Yin, il peso del corpo, non deve eccedere lo Yang, l’energia vitale. All’estremo opposto, anche lo Yin insufficiente, che non riesce a sostenere lo Yang (da cui l’eccessiva magrezza), è uno squilibrio cui occorre rimediare. Da queste considerazioni nasce sia la scelta di un’alimentazione sobria, tal-volta frugale, mai eccessiva, ma sempre varia, nutriente ed attenta al contributo ed al contenuto energetico di ogni singolo alimento, sia l’esercizio del digiuno, periodico e abituale (già pratica alimentare tipica della tradizione antica d’ogni popolo, compreso il nostro). In Oriente, ad ogni modo, il nutrimento non è solo il ci-bo, ma anche il respiro. Noi respiriamo in automatico, senza pensarci, per necessità; loro lo fanno consape-volmente, adeguando ritmo e profondità del respiro all’attività compiuta. Un esempio? Chuang Tzu, antico

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Maestro taoista, ha lasciato scritto: «Chi, soffiando ora con forza, ora con dolcezza, espira ed inspira, espel-le l’aria viziata ed assorbe l’aria pura, e si appende come l’orso, e si stira come l’uccello, ricerca la longevi-tà». Lo stesso ideogramma cinese che rappresenta il Qi (KI), il Soffio Vitale, ritrae, stilizzato, un pugno di ri-so in cottura, col vapore che sale: cibo, il riso, e respiro, il vapore. Non è tutto. Per la tradizione orientale, tutto ciò che entra in contatto con un individuo, entra in lui, attraverso gli organi di senso; ed entrando in lui, ogni cosa è nutrimento. Tutti gli organi sensoriali (vere e proprie “porte” del nostro organi-smo verso l’esterno) sono collega-ti, attraverso i Canali Energetici, ad Organi e Visceri profondi ed in rapporto ai CINQUE ELEMENTI [si veda].

Organo/senso Elemento Organo/Viscere Orecchio/udito Acqua Rene/Vescica

Occhio/vista Legno Fegato/Vescica biliare Polpastrelli/tatto Fuoco Pericardio/Triplice Riscaldatore

Bocca/gusto Terra Milza/Stomaco Naso/olfatto Metallo Polmone/Grosso Intestino

AMIDISMO. – È una forma semplificata di Buddismo, diffusasi fin dal secolo X. Consiste nella pietistica cre-denza in Amida, il Buddha della salvezza, che, nell’ultimo istante di vita, accoglie l’anima pia del fedele nel suo Paradiso dell’Ovest, “la Terra di Purezza” (JODO). È una credenza che rende più accettabile il Buddismo al popolo, slegando la religione da difficili studi e basando la teoria della salvezza sulla pura fede. Tra i primi a diffondere questa fede è Kuya, un principe imperiale fattosi monaco itinerante, che canta il nome di Amida nel-le campagne e nelle città. Dopo di lui altri monaci tentano di sfrondare le sette esoteriche TENDAI e SHINGON dagli eccessi di mistico ritualismo, da sostituire con l’immediata fede salvifica in Amida. ANIMISMO. – È una concezione filosofica in base alla quale l´anima rappresenta il fondamento sia delle fun-zioni vegetative sia di quelle intellettuali. L’animismo, per gli evoluzionisti, è la prima forma religiosa umana, caratterizzata dal considerare ogni cosa come sede di un principio vitale (anima, spirito, divinità), da onorare, venerare, adorare e, spesso, temere. ANTALGICO. – “Opposto al dolore”, che lo distrugge. APPRENDIMENTO. – Si veda INSEGNAMENTO. ARMA. – Termine generico che indica: a) qualsiasi arnese più o meno complicato e/o ingegnoso, costruito con lo scopo di offendere o di difendere (dalla fionda al missile, dallo scudo alla fortezza); b) qualunque sostanza, oggetto o strumento, impiegabile all’occorrenza quale mezzo di offesa o difesa (dal coltello al sasso, dall’olio bollente al bastone); c) qualsiasi sostanza chimica o mistura di sostanze, quando usata per scopi bellici (dagli esplosivi agli ag-gressivi chimici); d) tutte le parti del corpo umano utilizzate, soprattutto nelle Arti Marziali, per percuotere (ATEMI WAZA) nel combattimento a mani nude. Normalmente, i bersagli sono i cosiddetti “punti vitali” o “deboli” (KYUSHO) e le “armi” utilizzate sono: dita, mani (aperte o chiuse a pugno), polsi, avambracci, gomiti, ginocchia, piedi e testa. Gli ATEMI, se portati da un esperto, possono scalfire, paralizzare dal dolore, ferire seriamente od uccidere. Ogni Arte Marziale individua con precisione la parte del corpo utilizzata per colpire l’avversario, assegnandole uno specifico nome. Numerose e diverse sono le classificazioni adottate per ordinare la materia. Nell’uso militare si suddividono in offensive o d’offesa, e difensive o di difesa e sono normalmente ripartite in terrestri, marittime e aerospaziali. Armi difensive sono quelle da riparo o protettive: qualunque oggetto usato a difesa del proprio corpo o della cavalcatura, quindi tutti i tipi di scudo e le varie parti d’armature, corazze, BARDE. Per estensione, ma in modo improprio, è così chiamata qualunque arma o attrezzatura difensiva mobile o fissa. Pure le armi offensive, all’occorrenza, possono essere usate a scopo difensivo. Armi offensive sono quegli oggetti o strumenti, di qualsiasi natura, usati per arrecare danno agli avversari. Si dividono in armi da colpo, per il combattimento ravvicinato, e armi da getto (o lanciatoie) per quello da lontano. Le armi da colpo sono normalmente bianche; quelle da getto possono essere bianche, da corda, pneumatiche o da fuoco, a reazione.

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Armi bianche da colpo sono quelle offensive, sia manesche sia in asta o d’asta (con manico più o meno lungo, per colpire l’avversario a distanza): da botta o immanicate (destinate a ferire per ammaccatura; mazze, martelli d’arme, azze, scuri); da punta e da taglio (atte a colpire solo o prevalentemente di punta e di taglio; spade, col-telli, pugnali, daghe; sciabole e scimitarre; lance, giavellotti, tridenti, alabarde). Per comodità di catalogazio-ne, nelle armi bianche si comprendono anche quelle difensive: corazza, scudo, elmo ecc. Armi da getto o lanciatoie sono quelle armi (e relativi strumenti di lancio) utilizzati per colpire l’avversario con oggetti o proiettili, mantenendosi a distanza di sicurezza. Dal braccio umano si è passati ai meccanismi basati sull’elasticità di flessione o di torsione o sistemi a gravità, dai sistemi che sfruttano l’energia del vapore o quel-la degli esplosivi si è giunti alle bombe nucleari ed ai laser. Armi da corda sono la fionda, l’arco, la balestra e tutte le antiche macchine d’assedio (catapulte, baliste, mangani, trabocchi. Armi pneumatiche sono quelle (a soffio, a gas, a vapore) che, per lanciare proiettili (palline, dardi, piombini) a distanza, utilizzano la forza pro-pulsiva di un qualche gas (dal fiato al vapore acqueo, dall’aria compressa all’anidride carbonica) anziché di un esplosivo. Esse vanno dalla cerbottana al fucile ad aria compressa o a gas, allo “arcitronito” [macchina pro-pulsiva inventata da Archimede: consente il lancio di pietre attraverso un tubo, grazie al vapore prodotto da acqua calda]. Armi da fuoco, indipendentemente da forma e dimensioni; sono quelle che lanciano proiettili uti-lizzando l’energia sviluppata dalla combustione di sostanze esplosive; vanno dalla pistola al fucile alla mitra-gliatrice ed a tutta l’artiglieria. La armi a reazione sono quelle in cui il proiettile ha in sé la carica di lancio: raz-zi, missili. In aggiunta, possiamo elencare le armi elettriche ed elettroniche (funzionano in base al movimento degli elet-troni nel vuoto, nei gas o in circuiti conduttori), le armi insidiose (tutti quegli oggetti che celano o mascherano armi, sia bianche sia da fuoco, come il bastone animato, il brandistocco), le armi illecite (tutte quelle messe al bando dalle Convenzioni internazionali perché arrecano sofferenze inutili o sproporzionate) ed infine le armi per distruzione di massa: quelle per la guerra nucleare, chimica e batteriologica. ARMATURA. – È termine generico. Indica il nome collettivo di tutte le pezze d’armi difensive che ricoprono uomini e cavalli (per questi, il termine più appropriato è BARDA). Dai primitivi modelli di pelle (poi cuoio) fino al-le versioni sofisticate dei giubbotti antiproiettile in ceramica di oggi, passando attraverso le complesse realiz-zazioni della tecnica metallurgica medioevale, l’armatura ha accompagnato l’evoluzione dell’arte bellica dell’uomo. ARTE MARZIALE. – «Attività che si riferisce alla guerra, compiuta con l’ingegno e nel rispetto di regole detta-te da studio ed esperienza». Questo recita un qualsiasi dizionario. L’appellativo Arti Marziali compete a tutte le attività, fisiche e mentali, che hanno lo scopo di addestrare alle tecniche ed alle arti della guerra, sia con le armi sia senza. Tutte le culture hanno una propria tradizione marziale, molto spesso collegata allo sforzo spiri-tuale, tant’è vero che i Greci includono da subito la lotta nei giochi olimpici. Inoltre, l’eroe che combatte e sconfigge il demone, il mostro o il tiranno, rappresenta un importante ed universale archetipo mitologico. Pare che le Arti Marziali abbiano origine in India – anche se poco sappiamo di questa prima fase – diffondendosi poi, come il Buddismo, in Cina. Qui, l’orientamento alla natura ed al corpo della filosofia taoista ed il suo misti-cismo, unitamente all’atteggiamento pratico della cultura cinese, favoriscono lo sviluppo di una quantità di tec-niche di combattimento strettamente connesse con le scuole di esercizio spirituale. Dal “Celeste Impero” le ar-ti marziali si diffondono verso la Mongolia e l’Indonesia, Java e l’Indocina, la Corea, Okinawa ed il Giappone, dove si integrano con i sistemi marziali e religiosi locali, dando vita a nuove ed autonome entità. È in Oriente, dunque, che le Arti Marziali raggiungono le vette più alte e le più ampie elaborazioni: nella sola Cina si stima l’esistenza di circa 1500 stili di combattimento, 850 sono quelli giapponesi. Comunque, dall’avvento delle armi da fuoco in poi, la capacità fisica e le conoscenze tecniche per un reale combattimento ravvicinato, a corpo a corpo, non hanno quasi più ragione d’essere. Fanno eccezione, è ovvio, i casi specifici, che vanno dai militari dei contingenti d’élite alle forze dell’ordine, da chi ha necessità di praticare la difesa a mani nude o ne trae soddisfazione (o guadagno). Esiste comunque una differenza importante fra quello che può essere combatti-mento, difesa personale o lotta per la vita ed una vera Arte Marziale. La distinzione non riguarda tanto la tec-nica o la competenza, quanto la specificità delle Arti Marziali: tutte nascono come parte di un sistema globale di educazione, il cui scopo finale è una radicale trasformazione dell’intero essere del praticante. Spesso que-ste radici sono trascurate o sottovalutate, talvolta abbandonate del tutto. Nonostante ciò, la dimensione spiri-tuale è il cuore di ogni arte marziale. In altre parole, l’arte del combattimento si è trasformata da tecnica per uccidere il nemico in un sistema (codificato) di progresso fisico, mentale e spirituale oppure è virata verso ap-

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prodi sportivi, dando luogo a Discipline agonistiche. È fuor di dubbio che gran parte del fascino esercitato dal-le Arti Marziali sia dovuto al fatto che esse rappresentano una reale possibilità di difesa ed eventualmente, a fronte di un pericolo o grave provocazione, un’efficace arma d’attacco. Inoltre, il successo di parecchie Disci-pline Marziali, soprattutto orientali, si basa su fatti certi: sono accessibili a tutti, uomini e donne, bambini, adulti e anziani; si praticano facilmente nelle palestre, a costi contenuti, durante tutto il giorno e di sera e con margini di rischio limitati, equiparabili a quelli di altri sport; sono state collaudate in pratica, sul campo, talvolta per mil-lenni. Tra tutte le Arti Marziali dell’Oriente, è innegabile la maggior diffusione di quelle tradizionali giapponesi, le prime non solo ad essere conosciute in Occidente, ma anche a modificare un addestramento specificata-mente destinato alla guerra in esercizi sia fisici sia spirituali. Molte delle Arti Marziali giapponesi oggi praticate, nate come BUGEI secoli fa e sviluppate attraverso il BUJUTSU d’innumerevoli RYU, si possono ascrivere al BU-DO, che le ha arricchite di una connotazione etica e filosofica, talvolta marcatamente spirituale. La pratica del BUDO consente di acquisire tecniche marziali (anche d’autodifesa) che però sviluppano anche mente e co-scienza del BUDOKA, al fine di consentirgli la vittoria contro l’avversario più temibile in assoluto: se stesso. L’essenza del BUDO, attraverso l’allenamento costante nelle Arti Marziali, è quella di consentire al praticante un perenne (e non-cosciente) stato d’attenzione psicofisica, utile nel DOJO, indispensabile nel quotidiano, non per respingere aggressori armati, ma per fronteggiare le difficoltà della vita. Sicuramente una buona capacità corporea (coordinazione muscolare, flessibilità, elasticità, rapidità, potenza, equilibrio e concentrazione) aiuta, ma non serve senza il supporto dello spirito e un adeguato ed equilibrato controllo della mente: essere un bra-vo atleta non garantisce di essere un bravo praticante di Arti Marziali. Rischi del BUDO possono essere la forte spinta allo sport, all’agonismo ed al miglior risultato da un lato, dall’altro la spettacolarizzazione, il fanatismo, la scissione totale dall’essenza originale. Il vero campione, il Maestro d’Arti Marziali, in ogni caso, non è quello che vince tutti gli avversari, ma chi riesce a dominare se stesso. ARTIGIANO. – Si veda CLASSI SOCIALI. BAIONETTA. – Arma bianca da punta, corta, con lama d´acciaio di varia forma, lunga da 20 ad oltre 60 cm, da innestare all’estremità del fucile negli scontri ravvicinati. Il nome viene da bayonnette e deriva dalla città francese di Bayonne, in cui – pare – sono prodotti i primi esemplari, nel secolo XVII. L’importanza di quest’arma – essenziale ai tempi dell’avancarica, quando, esploso il colpo, il fucile con baionetta inastata di-venta una sorta di lancia (lunga fino a 240 cm), che consente di fronteggiare il nemico – si attenua con il pas-sare dei secoli; oggi, spesso, ha valore simbolico o cerimoniale. BARDA. – Armatura protettiva completa per il cavallo, adottata in Giappone nel Periodo EDO (1603-1868) ed usata solo per parata, non in battaglia. Le protezioni sono di cartapesta, cuoio laccato e dorato, sottile lamina di ferro. BLOCCAGGIO. – Per “bloccaggio”, in AIKIDO, si intende lo stadio finale di una tecnica che, attraverso una “immobilizzazione” [si veda più avanti], blocca totalmente UKE e lo rende incapace di compiere qualsiasi mo-vimento aggressivo. BODHIDHARMA. – (460-534?) Monaco buddista indiano. Nativo di Ceylon (Sri Lanka dal 1972), è il 28° Pa-triarca della setta buddista dhyâna (“pura meditazione”, in sanscrito), che pratica un più diretto approccio al Buddismo, un nuovo modo di culto che impone anche lunghi periodi di stasi meditativa. Nella seconda metà del V secolo d.C. soggiorna nel tempio e monastero cinese di Shao Lin-si, dove fonda una vera e propria scuola di filosofia buddista, diventando il primo Patriarca del Buddismo Chan (ZEN in giapponese). Bodhi-dharma, a Shao Lin-si, non solo definisce le sue tesi, ma insegna anche tecniche di respirazione ed esercizi destinati a fortificare spirito e corpo dei monaci; secondo la tradizione, inoltre, pare che metta a punto un me-todo di lotta a mani nude – derivato dai principi del Kalari Payat, il sistema di combattimento indiano disarmato – per consentire ai religiosi di difendersi dai banditi da strada, pur senza spargere sangue: è la base delle tec-niche del Kung-fu cinese. Bodhidharma si traduce DARUMA in giapponese e Damo in cinese. BODHISATTVA. – “Buddha vivente”. Chi pratica la “Via del Buddha“, ma rimanda la propria Illuminazione, ri-nuncia temporaneamente al nirvana per aiutare gli altri esseri senzienti a liberarsi e partecipa, quindi, alla real-tà sociale. Non si distingue dagli altri esseri umani, ma la sua anima è Buddha. È l’ideale di santità per il Buddismo mahâyâna, dove la compassione per gli altri, per chi soffre, prevale sul proprio desiderio di SATORI.

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BONSAI. – Antica pratica di coltivare e mantenere in dimensioni ridotte (dai 30 ai 40 centimetri) alberi che soli-tamente possono raggiungere i 20 o 30 metri (pini, cipressi, faggi, ciliegi, aceri). Per riuscire nell’impresa, oltre ad una pazienza certosina, sono indispensabili potature adeguate e contenimenti con fili metallici. BRANDISTOCCO. – Arma bianca. Nascosta all’interno di un robusto bastone cavo, una lama esce quando l’asta è “brandita” (cioè le viene impresso un movimento brusco). La lama – che si blocca in posizione grazie ad un dente d’arresto, con scatto a molla – può essere di tipo e dimensione diversa. Il brandistocco, databile al XIV secolo ed antenato del bastone animato, è l’evoluzione del vecchio bordone, il “bastone del pellegrino”. BUDDHA. – (sanscrito) “Il Risvegliato”, “l´Illuminato”. Così è chiamato il Buddha storico, Siddharta Gautama (Kapilavastu, Nepal, 565 a.C. circa – Kusinagara 486 a.C. circa), principe della stirpe dei Sekaya e fondatore del Buddismo. Nel 535 a.C. circa, all’età di trent’anni, decide di cercare una via di salvezza tramite l´ascesi e la meditazione ed abbandona il mondo. Ad Uruvela raggiunge l´”Illuminazione” e inizia a predicare la sua dot-trina nella valle del medio Gange. Alla sua morte sono già presenti e attive in tutta l’India numerose comunità, sia monacali sia di LAICI. Tutti quelli che raggiungono la verità più alta, la vera libertà, sono Buddha ed una via (facile, per il Maestro ZEN Taisen Deshimaru) per diventarlo è questa: - non pensare al male, non fare il male; - non causare dispiacere, non disturbare gli altri; - non detestare, non scegliere, non fare categorie tra la vita e la morte; - abbi compassione per l’umanità, rispetto per gli anziani, simpatia per i giovani; - non avere repul-sione o preferenza verso alcuno; - non avere desideri, di qualsiasi natura; - non pensare con la tua coscienza; - non avere paura. BUDDISMO. – È la dottrina etica e filosofica predicata dal Buddha ed anche la forma religiosa che, nel corso dei secoli, essa ha assunto in molti paesi, soprattutto orientali. Fondamentalmente, l’insegnamento del Bud-dha si basa sulle cosiddette quattro “Nobili Verità": 1) la vita è dolore (dukkha); 2) il dolore ha una causa; 3) e-siste il modo per sopprimere la causa del dolore; 4) tale modo è l”Ottuplice Sentiero”. La prima delle “Nobili Verità” insegnate dal Buddha è la sofferenza, causata dal desiderio: nasce dall’attaccamento al mondo mate-riale, ma indica anche l’insoddisfazione strisciante che ciascuno, nella vita, sente e prova. L’”Ottuplice Sentie-ro” indica le otto regole che conducono alla salvezza, lungo il cammino che porta alla liberazione, al nirvana: retta fede, retta decisione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto pensiero, retta concentrazio-ne; alla rettitudine delle idee, però, si deve unire quella del costume. Non si tratta, ancora, di una religione, ma di una via di guarigione dal dolore, avente come obiettivo la salvezza del singolo, per raggiungere la quale culti e devozione non servono: l´unico mezzo è la ricerca individuale. Questo, in sostanza, è il Buddismo hi-nayâna (“Piccolo Veicolo”), quello più antico, detto anche theravada (“Dottrina degli Anziani”). Alla fine del II secolo d.C. si diffondono le tesi di Nagarjuna, l’apostolo del mahâyâna (“Grande Veicolo”). Secondo queste teorie, la ricerca della salvezza individuale è frutto d’egoismo: poiché ogni uomo è un essere destinato alla “Il-luminazione” (vale a dire è un Bodhisattva), alla ricerca della salvezza individuale occorre sostituire la pratica della carità. Il Buddismo TANTRICO o vajrayâna (“Veicolo di Diamante”) si afferma dopo il VII secolo: assorbe elementi culturali e rituali, anche iniziatici, originariamente estranei al Buddismo, come la recitazione di MAN-TRA, la devozione a varie forme divine, anche femminili, pratiche Yoga. Il Buddismo scompare, quasi, dall’India a causa dell’invasione islamica, verso la fine del XII secolo, sopravvivendo nello Sri Lanka e nell’Indocina (forma hinayâna) ed in Tibet, Cina, Corea, Giappone (mahâyâna, tantrico, ZEN). In Giappone il Buddismo (chiamato BUTSUDO “La Via del Buddha”) è noto dal 538. In quell’anno il re coreano Syongmyong invia all’Imperatore Senka Tenno i “Tre Tesori” del Buddismo: una statua di Sakyamuni, una selezione di scritti dottrinali (sutra), monaci, a simboleggiare Buddha, DHARMA (la legge buddista), Sangha (la comunità dei cre-denti). La diffusione di questa religione è favorita dal Clan Soga, ma contrastata dai Clan rivali dei Mononobe e dei Nakatomi ed il culto – per i gravi disordini scoppiati nel 585 all’inaugurazione della pagoda di Toyoura – può essere praticato solo privatamente. Nel 594, dopo la sconfitta degli antibuddisti (587), il Buddismo è pro-clamato religione di stato. Sono il carattere – più spirituale, rispetto allo SHINTO – e l’evoluta dottrina che per-mettono al Buddismo di penetrare e permeare la società giapponese: lo Scintoismo è in crisi, perde seguaci e potere tanto che, nel X secolo, è ormai vivo solo in pochi templi e piccole comunità. Numerosi sono i tentativi per ridare vigore al vecchio culto: Buddha, dapprima, è considerato un nuovo KAMI; poi si afferma che lui non lo è, ma che i KAMI sono manifestazioni del Buddha e dei Bodhisattva, nel tentativo di assorbire il culto dei KA-MI in quello del Buddha, ma non funziona. La progressiva perdita di prestigio ed influenza dello Scintoismo (nonostante la elaborazione di nuove teorie che, pur estranee al Buddismo ed al Confucianesimo, nel XVIII

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secolo gli consentono una certa ripresa) culmina con il riconoscimento ufficiale del Buddismo, nel 1872: è di-chiarato di pari importanza rispetto allo SHINTO. Le maggiori sette buddiste, dal Periodo KAMAKURA (1185-1333) in poi, sono la Nichire, la Jodo, la RINZAI-SHU (e, quindi, ZEN), la Shinsu, la SHINGON, la SOTO-SHU, la TENDAI, ma nessuna ha più seguaci della filosofia ZEN. CALZUOLO. – Fornimento delle armi in asta. È la parte che protegge l’estremità inferiore, quella che si ap-poggia al suolo. Il calzuolo serve a piantare l’asta nel terreno ed anche a bilanciare l’arma, quando il ferro è pesante. CAPPETTA. – Fornimento d’arma bianca. È una piastrina metallica o falda di cuoio, sagomata, che copre la bocca del fodero; spesso un analogo elemento, anch’esso definito cappetta, copre la CROCIERA dell’arma. CASTELLO – I castelli giapponesi dell’era dei SAMURAI sono un esempio illuminante di qual è la vita al tempo dei baroni feudali, i DAIMYO. Oggi, di tali edifici, ne restano appena una ventina, alcuni dei quali splendidamen-te restaurati: la gran parte dei castelli giapponesi d’epoca feudale è stata distrutta nel corso delle numerosis-sime guerre intestine o per ordine degli Shogun, è stata devastata da incendi disastrosi od abbattuta dagli al-trettanto disastrosi bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale. I castelli, nei secoli XIII e XIV, altro non sono che semplici luoghi fortificati, spesso trinceramenti provvisori, sorti a protezione di punti obbligati di passaggio, confluenze di fiumi e guadi, sommità di colline, valichi montani (yamajiro). Dalle primitive palizzate di legno (HATAITO) o mura di legno e terra (TSUIJI), rafforzate da pietre, che circondano l’abitazione – anch’essa di legno – del feudatario del luogo, presto si passa ad un edificio in muratura, ubicato in pianura (hirajo), sulla più importante via commerciale che attraversa la Provincia. Le dimensioni dei fabbricati sono tali da poter contenere l’intero esercito del Signore e le difese sono incrementate con alte, possenti mura, munite torri di guardia ed un mastio, un torrione centrale – spesso edificato su una sopraelevazione del terreno, protetta da enormi blocchi di pietra – su vari piani, ciascuno arretrato rispetto all’inferiore ed ognuno munito di un tetto in-dipendente. Tutte le costruzioni – di legno, tranne le fondamenta di pietra e le mura – adottano uno stile quasi da fiaba: tetti ricurvi di tegole colorate, ornamenti di bronzo a forma di delfino od animali marini (shibi, “mostri del mare”), larghe gronde spioventi di un cupo nero o di un abbagliante bianco. Dalla fine del secolo XVI il ca-stello del DAIMYO – sempre più poderoso, anche per resistere alle armi da fuoco, alle artiglierie – domina la cit-tà-castello che lo circonda ed è il centro economico dell’HAN: grande, bello, decorato, di un’opulenza ostentata che deve intimorire i nemici. Il castello centrale, l’abitazione del Signore, che diventa piazzaforte in caso di conflitto, è spesso difeso da bastioni, cinte murarie talvolta estese, forti e fortezze in quantità. Molti castelli, che derivano da ben più semplici fortificazioni campali, sono all’origine di città come Osaka o addirittura Tokyo, il cui nucleo originario (EDO) sorge laddove Ota Dokan, SAMURAI al servizio del Clan Uesugi, nel 1457 costrui-sce una fortezza provvisoria, un campo trincerato. CHOC. – (stato di) È una sindrome [insieme di segni e sintomi patologici] clinica e cronica, provocato da una brusca aggressione, in particolare un trauma. CIMIERO. – Elemento decorativo, ornamento dell’elmo. Spesso assolve anche funzioni araldiche e può esse-re sia parte integrante dell’elmo, sia elemento aggiunto. CINQUE ELEMENTI. – Non potendo né volendo qui proporre un trattato di Medicina Tradizionale Cinese (co-nosciuta e diffusa, come noto, in tutto l’Oriente), sarà sufficiente ricordare solo alcuni aspetti riguardanti i co-siddetti Cinque Elementi: Legno, Fuoco, Terra, Metallo, Acqua. Gli Organi e Visceri profondi sono connessi, attraverso i Canali Energetici, agli Organi di Senso, secondo precise relazioni legate ai Cinque Elementi, la cui funzione è il risultato di complementari e opposti influssi. I Cinque Elementi sottostanno a reciproci legami, che costituiscono rigorosi Cicli Fisiologici: ogni Elemento genera e nutre l’Elemento che lo segue nel Ciclo Sheng (“generazione Madre-Figlio”), mentre limita l’esuberanza dell’Elemento Figlio del Figlio nel Ciclo Ke (“moderazione Nonno-Nipote”), secondo le successioni che seguono. Ciclo Sheng: Fuoco → Terra → Metal-lo → Acqua → Legno, per tornare al Fuoco. Ciclo Ke: Fuoco → Metallo → Legno → Terra → Acqua, per tornare al Fuoco. L’esatta funzione d’ogni Elemento, quindi, dipende tanto da una sua corretta generazione da parte dell’Elemento precedente (Madre), quanto dalla puntuale limitazione dei suoi eccessi da parte dell’Elemento che precede la Madre (Nonno). Un’alterazione dei Cicli Fisiologici porterà all’insorgere di Cicli Patologici: un Elemento Nonno squilibrato può inibire l’Elemento Nipote anziché moderarlo (Ciclo Cheng, “re-

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pressione Nonno-Nipote”). Se l’Elemento Nipote è iperattivo, invece, può rivoltarsi al Nonno, impedendogli di ben funzionare (Ciclo Wu, “ribellione Nipote-Nonno”, nella successione: Fuoco → Acqua → Terra → Legno → Metallo, per tornare al Fuoco). In realtà, l’ideogramma che esprime il concetto dei Cinque Elementi è com-posto da due caratteri: Wu, cinque, e Xing. Xing indica due piedi che procedono, passo a passo. L’esatto e più profondo significato dell’ideogramma, quindi, è: “I Cinque Modi di Camminare”, normalmente tradotto con “I Cinque Movimenti” oppure “I Cinque Elementi” che, però, non rende il concetto di movimento, azione, dinami-smo. È rilevante che la tradizione cinese abbia scelto, per indicare un elemento fondamentale, un concetto basilare, la camminata, un archetipo del movimento. I Cinque Elementi, in effetti, rappresentano altrettanti modi dinamici della realtà, il cui reciproco equilibrio dà forma e sostanza alle cose. Queste sono perciò cinque categorie fondamentali, cinque principi che inquadrano l’intera realtà, dal macrocosmo al microcosmo, colle-gandola con i Cinque Elementi. CLASSI SOCIALI. – È soprattutto sotto i TOKUGAWA, nel Periodo EDO (1603-1868), che la popolazione giap-ponese si trova vincolata – e soffocata – in un ferreo, teoricamente insuperabile sistema di classi sociali. Tutta la vita di una persona, nel Giappone del tempo, dalla nascita alla morte, è definita secondo il rango: ciascuno conosce la propria posizione e, di conseguenza, il suo ruolo nella società, la funzione, addirittura il modo in cui deve vestire (ed anche se e quando può portare un ombrello!). Anche la collocazione geografica non deve mutare e, se non basta l’autodisciplina, si scoraggiano i contatti tra i feudi e si rendono difficili sia i viaggi tra Province diverse (posti di blocco, necessità di passaporti, ponti resi inagibili…) sia gli spostamenti immotivati all’interno delle stesse città (coprifuoco notturno, porte interne, sentinelle…). Ai funzionari addetti al controllo è ordinato di sorvegliare in particolare de onna, iri deppo (“le donne che escono, le armi che entrano). La so-cietà è divisa in quattro classi sociali principali: SAMURAI, CONTADINI, ARTIGIANI e MERCANTI; inoltre ci sono preti, monaci, dottori e, senza alcun diritto e senza garanzie, mendicanti (HININ), attori e “non umani” (ETA). Ogni fat-to della vita quotidiana evidenzia la differenza di classe, ciascuna addirittura con proprie leggi, che sono diver-se per i SAMURAI o per i contadini, per i mercanti o gli artigiani (esiste perfino il diritto del KIRISUTE-GOMEN: chi offende un appartenente alla classe militare può essere ucciso sul posto). Il sistema di classe dura anche do-po la Restaurazione MEIJI, con una semplificazione: cortigiani e DAIMYO sono classificati KAZOKU (“nobile”), i SAMURAI diventano SHIZOKU (“gentiluomo di campagna”) o SOSTUZOKU (“soldato”), tutti gli altri sono HEIMIN, la “gente comune”. SAMURAI. [si veda anche la specifica voce nella prima parte del Dizionario] Anche all’interno di ogni classe sono previste suddivisioni: tra i SAMURAI, ad esempio, primi vengono i DAIMYO – e, primi fra tutti, i FUDAI-DAIMYO (“Signori dell’Interno), che occupano i gradi più alti del BAKUFU, servendo direttamente la Famiglia TO-KUGAWA – cui seguono i KARO (“anziani”), che tendono a sposarsi nella Famiglia del DAIMYO, mantenendo una posizione ereditaria. A questi seguono gli HATAMOTO (“sotto la bandiera”), che servono nell’esercito, presidia-no i castelli più importanti, formano corpi di guardia e occupano posizioni di comando nell’amministrazione TOKUGAWA; a loro sono attribuite terre o salari, con extra per la carica ricoperta. Vengono quindi i GO-KENIN (“onorabili uomini di casa”), i famigli, che occupano i gradi più bassi dell’amministrazione centrale o locale. Un modello illuminante è dato dal Clan Yamauchi di Tosa dove, per i SAMURAI, sono previsti dieci gradi, cinque “superiori” e cinque “inferiori”. Ai ranghi superiori (che godono di una certa mobilità al loro interno) sono attri-buite terre; quelli inferiori (che molto difficilmente possono aspirare a salire la gerarchia) sono remunerati in natura, con riso. Subito sotto il DAIMYO ci sono i KARO: amministratori nel tempo di pace e generali in guerra, hanno terre che valgono dai 10.000 ai 1.500 KOKU e possono usare il nome della Famiglia Yamauchi, da loro servita in totale fedeltà. Gli altri quattro gradi costituiscono gli ufficiali comandanti in guerra e possiedono terre da 1.500 a 50 KOKU. I cinque gradi “inferiori” scendono fino agli ASHIGARU e ricevono un salario che va da 7 a 3 KOKU (finché non è introdotto il pagamento in contanti, al valore di mercato del riso): in tempo di pace svol-gono servizi di manovalanza. Non deve stupire più di tanto una separazione così rigida, talvolta spietata, an-che all’interno di una stessa classe sociale (SANKIN-KOTAI, “Presenza Alternata”, con ostaggi; METSUKE; passa-porti…): il codice etico confuciano (e poi neo-confuciano) è attuale ed accettato, nel Giappone dell’epoca, ba-sti pensare al BUNJI-SEIJI, il “Governo attraverso la persuasione morale”. I principi confuciani, basati sull’utopia di una società ideale – dove ognuno occupa il proprio posto particolare, in base ad un ordine naturale delle cose – forniscono anche la legittimazione morale all’autorità, dapprima paterna (l’amore ed il rispetto filiale), poi di chi governa. Alla base della società umana ci sono l’ordine morale e la ragione: compito di chi governa è realizzare e mantenere questo equilibrio tra il popolo. Dall’amore filiale, che si trasforma in rispetto per gli anziani ed i “superiori” in genere, si passa rapidamente al principio di fedeltà assoluta verso il Signore, al “do-

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vere morale” del SAMURAI, che è alla base del BUSHIDO. Bene si adattano i principi confuciani allo scopo dello SHOGUNATO: mantenere un ordine sociale e politico stabile. CONTADINI. Si deve partire da un presupposto fondamentale: nel Giappone antico le condizioni economiche si fondano sulla distribuzione della terra e il potere si basa sul suo possesso. Chi ha i diritti sulla terra, possiede gli elementi del potere, ma dovendo far coltivare e rendere la terra, deve appoggiarsi ai contadini, dai quali di-pende pur dominandoli. Ed i contadini sono la parte più consistente della popolazione giapponese, arrivando al 99% del totale. Il regime della piccola proprietà terriera – la scarsissima superficie coltivabile del territorio [Si veda “Giappone – Attività primarie attuali”] non permette coltivazioni estensive – inizia nel secolo VII, conti-nuando durante tutta la storia del Giappone. Il contadino considera legittimamente sua la terra che coltiva – per la quale lui paga l’imposta al Signore, cui deve anche le corvée – anche se essa appartiene al latifondista SHOEN, al nobile KUGE che risiede nella lontana KYOTO oppure ad un SAMURAI di qualsiasi grado. Durissima è la vita dei contadini, il cui lavoro è soggetto ad un clima capriccioso ed a ricorrenti disastri (gelate, siccità e i-nondazioni, terremoti, maremoti, tifoni ed altre catastrofi naturali), tanto che, normalmente, solo 1/3 o 1/4 dei terreni sono coltivati in permanenza, con rendimenti comunque molto bassi. Oltre a ciò, le comunicazioni – e quindi gli scambi – tra le sessantasei (in teoria) Province dell’Impero sono molto difficili: natura impervia, stra-de impraticabili, lotte tra feudatari, pesanti dazi su merci e persone alle barriere erette ai confini dei diversi HAN. Gli abitanti delle campagne sono comunemente chiamati BONGE o KOOTSUNIN (“gente qualunque”) e, co-me per le altre classi sociali giapponesi, si suddividono in ulteriori classi: in basso ci sono gli ZOMIN ed i GENIN (“gente inferiore”). I primi non hanno specializzazione, svolgono mansioni umili, da operaio agricolo o brac-ciante, sono quasi schiavi o servi della gleba; gli altri, chiamati anche NUHI, possono essere sia stranieri e loro discendenti, sia contadini di classe più alta ridotti in miseria o, addirittura, agricoltori vendutisi per fame. I NUHI abbandonano abbastanza presto la terra per mettersi al servizio di Signori e BUSHI, diventando essi stessi guerrieri, piuttosto che artigiani. All’inizio secolo XIV (Periodo ASHIKAGA) quasi tutti i GENIN sono ormai diventa-ti o guerrieri al seguito di un SAMURAI (SHOJU) o uomini liberi. Seguono, a salire, i GESAKUNIN, piccoli coltivatori: molto spesso sono guerrieri senza titoli né proprietà che, per sopravvivere in tempo di pace, coltivano la terra. I GESAKUNIN affittano terre (sulle quali si stabiliscono con la famiglia), spesso con contratti a termine, da RYOKE o da contadini proprietari comuni o da SAMURAI che vogliono valorizzare i propri terreni. In cima alla “piramide” troviamo i RYOKE (proprietari di alto rango), gli agricoltori ed i proprietari di terre sfruttate personalmente (anche se affittate: nel caso, la metà del raccolto spetta al proprietario). ARTIGIANI. L’evoluzione della società, nel Giappone feudale come dappertutto, si basa sulla specializzazione in un’arte, una scienza, una professione. È normale che, nella società civile, uomini con talenti affini si asso-cino per dar vita a corporazioni, all’interno delle quali i segreti dell’arte o del mestiere sono tramandati. È que-sto il terreno dal quale sorgono, nel Giappone storico, i raggruppamenti di artigiani, BE, spesso familiari, altret-tanto spesso uniti da vincoli non di sangue, ma d’occupazione e di residenza. I lavoratori specializzati – dai carpentieri ai fabbricanti di carta, di ventagli e d’oggetti in bambù, dai laccatori (URUSHI) ai fabbricanti di cera-miche e d’ombrelli, ai conciatori a tutti gli artigiani impegnati nella lavorazione dei metalli – costituiscono corpo-razioni talvolta molto potenti e ricche. MERCANTI. L’attività mercantile, soprattutto nel Periodo Edo (1603-1868), è assolutamente indispensabile per assicurare sia la sopravvivenza degli HAN (soprattutto considerando le difficoltà di movimento di merci e per-sone e l’intento di rendere ogni sistema BAKU-HAN economicamente indipendente) sia per garantire i riforni-menti all’interno del feudo (tutto il commercio di un HAN si svolge nella città-castello sede del DAIMYO, mentre nei villaggi si pratica solo l’agricoltura e l’artigianato). La funzione dei mercanti, formalmente disprezzata dalle classi elevate, è tuttavia preminente nella nuova realtà economica emersa nel Periodo TOKUGAWA, e costringe spesso SAMURAI e mercanti ad essere soci, sia pure riottosi. È il mercante, infatti, che non solo assume il ruolo di trasformare il riso nel più stabile denaro, ma anche funge da mediatore tra il SAMURAI TOKUGAWA ed il BAKU-FU: ritira dai magazzini della Capitale il riso e poi lo distribuisce ai SAMURAI, oppure paga loro l’equivalente in moneta (pratica ovunque diffusa), talvolta anticipandolo, a titolo di prestito. È sul riso (misurato in KOKU), ma-teria base dell’economia giapponese del tempo, che si valuta la ricchezza di un HAN, ma il riso è merce depe-ribile, la cui produzione dipende dai fattori climatici e la cui conservazione può essere influenzata da fattori e-sterni, climatici e non. Il SAMURAI del Periodo TOKUGAWA è ancora retribuito in riso e pagato tre volte l’anno: ¼ del dovuto nel 2° mese, ¼ nel 5° e l’ultima metà nel 10°. Enormi, talvolta, sono i prestiti concessi dai mercanti ai SAMURAI di tutti i ranghi, anche ai DAIMYO, e se ciò consente agli uni d’avere disponibilità di contanti, da de-stinare alle spese di un mantenimento consono al rango, per gli altri rappresenta una fonte di guadagno, an-

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che se talora effimero. Confische dei beni e cancellazione dei debiti per decreto shogunale, prestiti forzosi: queste alcune delle misure utilizzate, più volte, dalla classe dei BUSHI per togliersi d’impiccio: si racconta che, nel 1705, TOKUGAWA Ienobu ordina la confisca della proprietà di Yodoya Saburoemon nel momento in cui il credito da questi vantato verso i DAIMYO giunge a 100 milioni di RYO (monete d’oro), vale a dire più dell’intero reddito nazionale dell’epoca. Altra notevole fonte di guadagno, per i mercanti, è rappresentata dal cambio di denaro. Quasi tutto il commercio al dettaglio si fa con monete di rame, mentre all’ingrosso si usano monete d’argento e d’oro. Il tasso di cambio è variabile, anche a breve termine, ed il sistema di coniazione non facilita certo la stabilità del mercato; in tutte le città-castello è possibile trovare agenti di cambio, muniti dei loro abachi (SOROBAN), che utilizzano a velocità sorprendente. Sempre nelle città-castello, sono mercanti di fiducia del DAIMYO a controllare i depositi di riso dell’HAN, anche se presto gli stessi Signori trovano più conveniente ac-centrare i propri depositi nei magazzini di EDO o di Osaka, città che così diventano i centri di un’economia na-zionale che unifica quelle dei diversi HAN. Anche i mercanti, come i SAMURAI, devono obbedire a severi codici familiari, che dettano le regole di vita: frugalità, lavoro diligente, obbedienza all’autorità, protezione del buon nome del negozio o dell’emporio. Queste regole non impediscono di certo ai mercanti di arricchirsi, anzi! E la ricchezza rappresenta, spesso, una via di fuga dalla prigionia della classe sociale di nascita: il figlio di un ricco mercante può essere adottato da una famiglia SAMURAI, così come un SAMURAI decaduto o indebitato può ven-dere il proprio titolo. La tariffa di queste pratiche, fortemente e inutilmente contestate dall’ottavo SHOGUN TO-KUGAWA, Yoshimune (1716-1745), si aggira sui 50 RYO – che diventano 100 in caso d’urgenza – per ogni 100 KOKU di rendita tassabile. Oltre al denaro, l’attrattiva esercitata dalla classe mercantile sui SAMURAI dipende anche da altri fattori: i divertimenti della cultura UKIYO, tipica della borghesia cittadina. I mercanti, terminato il lavoro, sanno divertirsi e con loro i CHONIN – che con i mercanti spartiscono la ricchezza – e, quando possono, anche i SAMURAI assaporano piaceri – per loro in teoria proibiti – come il teatro KABUKI o la compagnia di GEI-SHE o prostitute (la prostituzione, proprio come il teatro KABUKI, è considerata un male necessario, destinato a mantenere tranquille le classi inferiori). CODOLO. – È la parte della lama avvolta dall’impugnatura ed opposta alla punta. È di varia forma, secondo il sistema di fissaggio del manico. CONFUCIANESIMO. – Scuola di pensiero cinese. Tradizionalmente si ritiene fondata da Kung Tzu (il Mae-stro Kung, o CONFUCIO), tramandata e ampliata da Meng Tzu (il Maestro Meng o Mencio, secolo IV a.C.), Zhu Xi (secolo XII) e Wang Yanming (XV - XVI secolo). È una dottrina morale e politica, con alcune valenze reli-giose; per la Cina rappresenta il razionalismo, il giudizio, il senso etico ed anche il rigido ritualismo. Il Confu-cianesimo, pur non avendo alcuna valenza metafisica, diventa la dottrina-base dello Stato cinese fin dalla Di-nastia Han, proprio per il forte senso etico espresso, assumendo addirittura connotazioni religiose. Il principio ordinatore dell’universo è l’armonia (li), che rappresenta anche il fine ultimo cui deve tendere l´uomo, sia attra-verso il culto del divino e degli antenati, sia con il rispetto degli altri uomini e dei superiori, sia con la cultura, l´altruismo e la pratica assidua della virtù. Alla base della struttura sociale vi è il nucleo familiare e anche lo Stato è considerato un´unica, grande, famiglia. È l´Imperatore che, per mandato celeste, assicura l´armonico accordo fra ordine sociale e universale. “I Cinque Classici” (Wu Jing o Wu Ching) e “I Quattro Libri” (Sishu) sono i testi che racchiudono l´insieme delle dottrine confuciane. I primi, attribuiti a Confucio e raccolti dai suoi discepoli – ma egli, in verità, non ha lasciato alcuno scritto – risalgono al II e I secolo a.C. e compongono il canone etico, filosofico, morale e politico del Confucianesimo. Sono: Yi Jing (“Libro dei Mutamenti”), Shu Jing (“Libro della Storia”), Shi Jing (“Libro delle Odi”), Chung Quiu (“Annali della Primavera e dell’Autunno”) e Li Ji (“Canone dei Riti”). I secondi comprendono i seguenti testi: “I Dialoghi di Kung Tzu” (risale al secolo IV a.C. e raccoglie l’insegnamento di Confucio), “Il Mezzo”, “La grande scienza”, “Il Libro di Meng Tzu”. Il Confuciane-simo sostiene il principio gerarchico e, di fatto, garantisce il perpetuarsi di uno Stato burocratico: per questo motivo ottiene sempre l´appoggio ufficiale dell’apparato statale, per tutta la durata dell’Impero cinese. Il mas-simo esempio dell’etica confuciana si trova nell’Hsiao Ching (“Classico dell’amore filiale”). In questo testo – che, più che contrapporsi al taoismo, può ben rappresentare un tipo confuciano di taoismo – sono elencate le cinque relazioni basilari che, se apprese e praticate, rendono l’uomo un buon cittadino. Le cinque relazioni sono: da padre a figlio, caratterizzata dalla giustizia; da madre a figlio, contrassegnata dalla compassione (o amore pietoso); dal figlio ai genitori, contraddistinta dall’amore filiale; dal fratello maggiore al minore, caratte-rizzata dall’amicizia; dal fratello minore al maggiore, segnata dal rispetto. Un primo divieto ufficiale del culto confuciano si ha dopo la rivoluzione nazionalista (1912), ma è l´avvento della Repubblica Popolare, comunista

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(1949), a scatenare violente, reiterate campagne repressive contro questa dottrina, così come contro tutte le ideologie non comuniste. Ciò nonostante, il Confucianesimo è tuttora radicato in Cina. CONFUCIO. – (551-479 a.C.) Pensatore e filosofo cinese. È la forma latinizzata di Kung Tzu, “il Maestro Kung”. Dopo aver ricoperto varie cariche pubbliche, trascorre quattordici anni della sua vita come letterato iti-nerante attraverso le Corti dei diversi Regni. Stabilitosi infine a Lu, insieme con alcuni discepoli attua quella verifica e sistemazione degli antichi testi classici che, arricchita e riproposta come sistematica dottrina etico-sociale (Wu Jing, “I Cinque Classici”), diventa la base del Confucianesimo. CONTADINO. – Si veda CLASSI SOCIALI. COPPO. – È la parte dell’elmo che protegge direttamente il cranio. CORPO. – La conoscenza del corpo (TAI, MI) è essenziale in tutte le Arti Marziali, tra l’altro, sia per la corretta localizzazione dei KYUSHO (“punti vitali”) da colpire, sia per individuare il più efficace mezzo di percussione. Nella prima delle tabelle che seguono si riportano i termini anatomici giapponesi che si riferiscono al corpo umano; nelle successive, iniziando dalla testa, sono indicati anche – in carattere CORSIVO – i “punti vitali”, i KYUSHO.

anche - KOSHI, GOSHI braccio - WAN

clavicola - SAKOTSU coccige - BITEI

gamba - ASHI mano - TE piede - ASHI

plesso solare - KYOSEN

reni - HIZO spalla - KATA sterno - KYOTOTSU, TANCHU

testicoli - KINTEKI

bocca dello stomaco - SUIGETSU schiena, tra 4^ e 5^ costola - KYOEI

schiena: 7^ vertebra cervicale - SODA schiena: 7^ vertebra dorsale - CHELANG

schiena: vertebre lombari - KODENKO testa - TO, TSU, ATAMA (livello alto: JODAN)

torace - MUNE (livello medio: CHUDAN) ventre - HARA (livello basso: GEDAN)

La testa umana (ATAMA, TO, TSU), nelle Arti Marziali, è, con tutta evidenza, obiettivo privilegiato per i colpi (ATEMI), sede com’è di numerosi “punti vitali”, ma non solo. Spostare dal proprio asse la testa dell’avversario, ad esempio, significa sbilanciarlo, squilibrarlo e renderlo incapace di pronta reazione (come numerose tecni-che d’AIKIDO insegnano).

apofisi mastoidea - DOKKO base del cranio - KOCHU base del naso - JINCHU

capelli - KAMI collo - KUBI

globo oculare - GANSEI mento - GEKON

nuca - KEICHU orecchie - MIMI

punta del mento - KACHIKAKE

radice del naso - CHUTO, UTO tempie - KASUMI

viso, volto - MEN, KAO

bregma, fontanella ant. - TENDO carotidi, dx e sx - MURASAME e MATSUKAZE

massetere (angolo mascella) - MIKAZUKI

pomo d’Adamo, trachea - HICHU sommità cranio, fontanella post. - TENTO

zigomi, orbite oculari - SEIDON

Oltre che la testa, bersaglio immediato è quello cosiddetto “grosso”: tronco, busto, schiena.

coccige - BITEI ombelico - MYOJO

plesso cardiaco - GANCHU reni - HIZO

spina pubica - YAKO testicoli - KINTEKI, TSURIGANE

apofisi xifoide sternale - KYOSEN base del collo, tra clavicole - SONU

base della colonna - KODENKO base delle scapole - SODA

bocca dello stomaco - SUIGETSU fianchi, costole fluttuanti - DENKO, INAZUMA

pettorali, tra 4^ e 5^ costola - GANKA sterno: parte inferiore - KYOTOTSU

sterno: parte superiore - TANCHU tra 5^ e 6^ costola - KYOEI

tra le scapole - KATSUSATSU

Nelle Arti Marziali le mani sono indispensabili, sia per afferrare sia per colpire.

a due mani - RYO TE, MORO TE a una sola mano - KATA TE

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base del palmo - TEISHO dita - YUBI, SHI

dorso - HAISHU palmo - SHU-WAN, SHOTEI polso - TEKUBI

bordo esterno, sopra il pollice - HAITO bordo esterno - TE-GATANA, SHUTO

dita a “becco d’aquila” - WASHIDE, KEIKO dita a forcella - NIHON NUKITE

palmo, a sx tendine del 2° radiale - SHUKO palmo, con dita ripiegate - KUMADE

palmo, sul 1° interosseo palmare - KAIAKU

polso, parte superiore esterna - SHAKUTAKU polso, parte superiore interna - USHIRO-SHAKUTAKO

polso, parte superiore - KAKUTO pugno chiuso a martello - TE-TSUI, KEN-TSUI

pugno chiuso e nocca spor-gente

- IPPON-KEN, NAKA-YUBI

pugno semichiuso - HIRA-KEN pugno, parte anteriore - SEI-KEN, KEN-TO

punta del dito teso - IPPON NUKITE punta delle dita - YUBISAKI

quattro dita tese, a lancia - YONHON NUKITE

In tutte le Arti Marziali, le tecniche eseguite con le braccia sono essenziali.

articolazione interna del gomito - CHUKITSU articolazione, giuntura - KANSETSU

avambraccio - KOTE, UDE avambraccio, bordo esterno - GAI-WAN avambraccio, bordo interno - NEI-WAN

avambraccio, parte sup. esterna - SANTCHI

avambraccio, parte superiore - HAI-WAN avambraccio, parte inferiore - SHU-WAN

braccio, interno, verso l’ascella - WANJU braccio - WAN

gomito - HIJI, EMPI polso - TEKUBI spalla - KATA

Il buon equilibrio e la mobilità – assicurati dalle gambe e dai piedi – sono fattori essenziali nel combattimen-to; inoltre, nelle Discipline in cui le ATEMI WAZA hanno maggior peso, le tecniche eseguite con i piedi sono molto usate.

base del tricipite - SOBI cavità poplitea - SHITSU-

KANSETSU gamba - ASHI

ginocchio - HITSUI, HIZA interno coscia - MATA

polpaccio - SOBI sotto i glutei - KO- INAZUMA

rotula - HIZA-GASHIRA; HI-ZA-KANSETSU

tibia - KOBORE tibia, parte interna - KOKOTSU

dita - TSUMA dorso - HAISOKU, ASHI-ZOKU pianta - TEISOKU, ASHI-URA

caviglia - ASHI-KUBI tallone - KAKATO, KAGATO, EN-

SHO

bordo esterno - SOKUTO, ASHI-GATANA

base dita (tubercolo 5° metatarso) - SO-IN caviglia, malleolo int. - UCHI-KUROBUSHI

collo del piede - KORI

punta delle dita - TSUMASAKI tendine d’Achille - AKIRESUKEN

zona carnosa sotto le dita - KOSHI, CHUSOKU COSMOGONIA. – Dottrina mitologico-religiosa: spiega l´origine dell’universo. La maggior parte dei miti delle origini, presenti in ogni cultura, si rifà al concetto di una divinità che crea dal nulla o di un demiurgo [l’Ordinatore, il costruttore dell’Universo] che trae gli elementi costitutivi da materiali amorfi o dal caos preesi-stente. La speculazione filosofica e scientifica sulla natura e l´origine dell’universo rientra propriamente nel campo della cosmologia, la scienza che studia la nascita, l´evoluzione e la struttura del cosmo considerato nel suo insieme. COSTA. – Parte d’arma bianca. È la parte dorsale (e chiamata pertanto anche dorso), opposta al taglio, che – talvolta anche ingrossata – conferisce rigidità alla lama. CROCIERA. – Parte del fornimento d’arma bianca manesca. È posta di traverso alla lama, ed è attraversata dal codolo, che poi s’incastra nell’impugnatura. Il nome deriva dalla forma, a croce, dei suoi elementi (il “brac-cio di guardia” e il “braccio di parata”). In armi con difese nel piano dell’elso (anelli o altri elementi), questo, più propriamente, si definisce MASSELLO, poiché è più spesso dei bracci.

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CRONOLOGIA. – Dinastie cinesi.

Xia: ~ XXI - XVI sec. a.C. Shang: ~ XVI – XI sec. a.C. Zhou oc-cidentale: ~ XI sec. – 771 a.C. Zhou orientale:

Periodo delle Pri-mavere e degli Au-tunni:

770 - 476 a.C.

Periodo dei Regni Combattenti:

475 - 221 a.C.

Qin: 221 - 207 a.C. Han occidentale: 206 a.C. – 25

d.C. Han orientale: 25 - 220 Tre Regni (Wei, Shu, Wu): 220 - 265 Jin occidentale: 254 - 316 Jin orientale: 317 - 420 Dinastie del nord e del sud: 420 - 589

Sui: 581 – 618 Tang: 618 - 907 5 Dinastie e 10 Regni: 907 - 960 Song settentrionale: 960 - 1127 Song meridionale: 1127 - 1279 Yuan: 1260 - 1368 Ming: 1368 - 1644 Qing: 1644 - 1911

– Imperatori e Imperatrici (f) Giapponesi.

Jimmu (660) – 585 a.C. Suizei (581) – 549 a.C. Annei 549 - 511 a.C. Itoku (510) – 477 a.C. Kosho (475) – 393 a.C. Koan (392) – 291 a.C. Korei (290) – 215 a.C. Kogen (214) – 158 a.C. Kaika 158 - 98 a.C. Sujin (97) - 30 a.C. Suinin (29) - 70 d.C. Keiko (71) – 130 Seimu (131) – 190 Chuai (192) – 200 Jingu Kogo 201 – 269 Ojin (270) – 310 Nintoku (313) – 399 Richu (400) – 405 Hanzei (406) – 410 Ingyo (412) – 453 Anko 453 – 456 Yuryaku 456 – 479 Seinei (480) – 484 Kenzo (485) – 487 Ninken (488) – 498 Buretsu 498 – 506 Keitai (507) - 531 Ankan 531 (534) - 535 Senka 535 - 539 Kimmei 539 - 571 Bidatsu (572) - 585 Yomei 585 - 587 Sushun 587 - 592 Suiko (f) 593 - 628 Jomei (629) - 641 Kogyoku (f) (642) - 645 Kotoku 645 - 654 Saimei (f) (655) - 661 Tenji 661 (668) - 672

Kobun 672 Temmu 672 (673) - 686 Jito (f) 686 (690) - 697 Mommu 697 - 707 Gemmei (f) 707 - 715 Gensho (f) 715 - 724 Shomu 724 - 749 Koken (f) 749 - 758 Junnin 758 - 764 Shotoku (f) 764 (765) - 770 Konin 770 - 781 Kammu 781 - 806 Heizei 806 - 809 Saga 809 - 823 Junna 823 - 833 Nimmyo 833 - 850 Montoku 850 - 858 Seiwa 858 - 876 Yozei 876 (877) - 884 Koko 884 - 887 Uda 887 - 897 Daigo 897 - 930 Suzaku 930 - 946 Murakami 946 - 967 Reizei 967 - 969 En’yu 969 - 984 Kazan 984 – 986 Ichijo 986 - 1011 Sanjo 1011 - 1016 Go-Ichijo 1016 - 1036 Go-Suzaku 1036 - 1045 Go-Reizei 1045 - 1068 Go-Sanjo 1068 - 1072 Shirakawa 1072 - 1086 Horikawa 1086 - 1107 Toba 1107 - 1123 Sutoku 1123 - 1141 Konoe 1141 - 1155 Go-Shirakawa 1155 - 1158

Nijo 1158 - 1165 Rokujo 1165 - 1168 Takakura 1168 - 1180 Antoku 1180 - 1185 Go-Toba 1183 (1184) - 1198 Tsuchimikado 1198 - 1210 Juntoku 1210 (1211) - 1221 Chukyo 1221 Goshira-kawa 1221 (1222) - 1232 Shijo 1232 (1233) - 1242 Go-Saga 1242 - 1246 Go-Fukakusa 1246 - 1259/60 Kameyama 1259/60 - 1274 Gouda 1274 - 1287 Fushimi 1287 (1288) - 1298 Go-Fushimi 1298 - 1301 Go-Nijo 1301 - 1308 Hanazono 1308 - 1318 Go-Daigo 1318 - 1339 Go-Murakami 1339 - 1368 Chokei 1368 - 1383 Go-Kameyama 1383 - 1392 La Corte del Nord Kogon 1331 (1332) - 1333 Komyo 1336 (1337/38) - 1348 Suko 1348 (1349/50) - 1351 Go-Kogon 1351 (1353/54) - 1371 Go-Enyu 1371 (1374/75) - 1382 Go-Komatsu 1382 – 1392 Go-Komatsu 1392 - 1412 Shoko 1412 (1414) - 1428 Go-Hanazono

1428 (1429/30) - 1464

Go-Tsuchimikado

1464 (1465/66) - 1500

Go- 1500 (1521) -

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Kashiwabara 1526 Go-Nara 1526 (1536) - 1557 Ogimachi 1557 (1560) - 1586 Go-Yozei 1586 (1587) - 1611 Go-Mizunoo 1611 - 1629 Meisho 1629 (1630) - 1643 Go-Komyo 1643 - 1654

Go-Sai 1654/55 (1656) - 1663 Reigen 1663 - 1687 Higashiyama 1687 - 1709 Nakami-kado 1709 (1710) - 1735 Sakuramachi 1735 - 1747 Momozono 1747 - 1762

Go-Sakuramachi

1762 (1763) - 1771

Go-Momozono 1771 - 1779 Kokaku 1780 - 1817 Ninko 1817 - 1846 Komei 1846 (1847) - 1866

Mutsuhito (Era Meiji) 1867 (1868) - 1912 Yoshihito (Era Taisho) 1912 (1915) - 1926

Hirohito (Era Showa) 1926 (1928) - 1989 Akihito (Era Heisei) 1989 - oggi

– Shogun. Periodo Kamakura

Minamoto Yoritomo 1192–1199 Minamoto Yoriie 1202–1203 Minamoto Sanetomo 1203–1219

Fujiwara Yoritsune 1226–1244 Fujiwara Yoritsugu 1244–1252 Shinno Munetaka 1252-1266

Shinno Koreyasu 1266-1289 Shinno Hisaaki 1289-1308 Shinno Morikuni 1308-1333

Periodo Ashikaga (o Muromachi)

Takauji 1338 - 1358 Yoshiakira 1358 - 1367 Yoshimitsu 1368 - 1394 Yoshimochi 1394 - 1423 Yoshikazu 1423 - 1425 Yoshinori 1429 - 1441

Yoshikatsu 1442 - 1443 Yoshimasa 1449 - 1473 Yoshihisa 1473 - 1489 Yoshitane 1490 – 1493 (1^) Yoshizumi 1494 - 1508 Yoshitane 1508 - 1521 (2^)

Yoshiharu 1521 - 1546 Yoshiteru 1546 - 6155 Yoshihide 1568 Yoshiaki 1568 - 1573

Periodo Tokugawa

Ieyasu 1603 - 1605 Hidetada 1605 - 1623 Iemitsu 1623 - 1651 Ietsuna 1651 - 1680 Tsunayoshi 1680 - 1709

Ienobu 1709 - 1712 Ietsugu 1712 - 1716 Yoshimune 1716 - 1745 Ieshige 1745 - 1760 Ieharu 1760 - 1786

Ienari 1786 - 1837 Ieyoshi 1837 - 1853 Iesada 1853 - 1858 Iemochi 1858 - 1866 Yoshinobu 1866 - 1867

Gli UCHI DESHI di Ueshiba Morihei (l’anno è quello d’inizio della pratica).

PRIMA GENERAZIONE 1921-1935

Inoue N. 1921 Tekeshita I. 1925 Tomini K. 1925 Kamata H. 1929 Iwata I. 1930 Funahashi K. 1930 Mochizuki M. 1930 Hashimoto H. 1931 Murashige A. 1931 Shirata R. 1931 Yukawa T. 1931 Yonekawa S. 1931 Shioda G. 1932

Akazawa Z. 1933 Hisa T. 1935

SECONDA GENERAZIONE 1936-1945

Tanaka B. 1936 Tohei K. 1939 Tenryu 1939 Hirai M. 1939 Osawa K. 1940 Sunadomari K. 1942 Abe T. 1942

TERZA GENERAZIONE 1946-1955

Saito M. 1946

Tada H. 1947 Arikawa S. 1947 Nishio S. 1951 Yamaguchi S. 1951 Hikitsuchi M. 1951 Noro M. 1951 Abe S. 1952 Tamura N. 1953 Kuroiwa Y. 1954 Kobayashi Y. 1955 Nocquet A. 1955

QUARTA GENERAZIONE 1956-1969

Tohei A. 1956 Yamada Y. 1957

Asai K. 1958 Chiba K. 1958 Sugano S. 1959 Kanai M. 1959 Sagome M. 1959 Maruyama S. 1959 Dobson T. 1960 Ichinashi N. 1960 Masuda S. 1960 Suganuma M. 1962 Imaizumi S. 1962 Maruyama K. 1962 Endo S. 1962 Shimizu K. 1963

ELSO. – Parte del fornimento d’arma bianca manesca. Nella sua forma più semplice è una barretta – dritta o curva, posta a difesa della mano – attraversata nel centro dal codolo della lama. Nel corso dei secoli ha as-sunto le forme più diverse, assolvendo sempre lo scopo di fermare la lama dell’avversario.

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FERRO. – Parte metallica della punta di qualsiasi arma bianca, sia manesca sia d’asta. FILO. – Indica il taglio della lama nelle armi bianche. Si dicono ad un filo (o taglio singolo) le lame che hanno il taglio da una sola parte (per tutta la lunghezza); ad un filo e mezzo quelle che hanno il taglio da una parte per tutta la lunghezza e dall’altra per metà lunghezza; a due fili (o doppio taglio) le lame che hanno il taglio su en-trambi i margini per tutta la lunghezza. FORNIMENTO. – Termine generico: è tutto ciò che serve a completare, proteggere o guarnire una qualsiasi arma. In quelle bianche manesche, in particolare, indica tutto ciò che, guarnendo il codolo di una lama, ne consente l’utilizzo. GIAINISMO o JAINISMO. – Religione indiana. Il nome deriva da Jina, titolo onorifico conferito ai suoi venti-quattro antichi Maestri. L´ultimo (e l´unico di cui si abbia qualche notizia biografica storicamente accertata) è Vardhamana o Mahavira, vissuto tra il 540 e il 468 a.C. (oppure, secondo la tradizione giainista tra il 599 e il 527 a.C.), praticando un rigido ascetismo. Il Giainismo (che eredita dal Bramanesimo la nozione della trasmi-grazione delle anime per l´influsso negativo del karma) considera essenziale, per la liberazione dell’uomo da questo ciclo, il rispetto delle “Tre Gemme”: retta fede, retta conoscenza, retta condotta. I cinque voti cui i membri della comunità monastica devono attenersi sono: 1) rispetto assoluto per qualsiasi essere vivente; 2) sincerità; 3) rispetto della proprietà altrui; 4) castità; 5) non attaccamento ai beni materiali. Il Giainismo, che annovera qualche milione di seguaci, è oggi diffuso soprattutto nel Nord-Ovest dell’India. GIAPPONE. – È costituito dall’omonimo arcipelago, compreso tra l’Oceano Pacifico ad Est e Sud, le isole Curili a Nord-Est, lo stretto di La Pérouse e l’isola di Sakhalin a Nord, il Mar del Giappone, lo Stretto di Corea e il Mar Cinese Orientale ad Ovest. È formato da circa 3.000 isole (per complessivi 372.824 km2) allineate in tre grup-pi: il principale, un arco concavo a Nord-Ovest, si estende per circa 2.500 km tra la Siberia orientale e la peni-sola di Corea, comprendendo le isole Hokkaido, Honshu, Kyushu e Shikoku, che assieme costituiscono il 97% del territorio. Il secondo arco, formato dalle isole Ryukyu e orientato come il primo, si estende per circa 1.200 km tra le isole Kyushu e Taiwan. Il terzo, formato dalle isole Izu, Bonin (Ogasawara) e Volcano (Kazan), si estende per circa 1.300 km, dall’isola Honshu in direzione Sud. I tre archi sono bordati, a Est, da profonde depressioni del fondale oceanico: Fossa del Giappone, Fossa delle Ryukyu e Fossa delle Bonin. Morfologia. Il territorio giapponese, in prevalenza montuoso, è caratterizzato dall’intreccio di complessi siste-mi orografici, le cui spinte generatrici, iniziate nell’archeozoico e riprese nelle ere geologiche successive, sono ancora in atto. L’arcipelago, infatti, è un segmento della cosiddetta “cintura circumpacifica”, dove il fondale o-ceanico, lungo le fosse, è subdottosotto al continente asiatico. L’instabilità della situazione tettonica si manife-sta con frequenti terremoti e TSUNAMI, spesso di forte intensità e con una notevole attività magmatica, provoca-ta dai quasi 200 vulcani – il Monte Fuji, alto 3776 m è il più famoso – di cui oltre 50 attivi. I massicci vulcanici e parte delle catene montuose sono allineati in fasce parallele ai contorni dell’arco, mentre altri sistemi li interse-cano bruscamente seguendo diverse direttrici tettoniche o zone di frattura; ne consegue che le pianure sono meno del 20% del territorio, e si concentrano nelle zone costiere delle isole Honshu e Hokkaido. Dai ripidi ver-santi montuosi scendono numerosi fiumi, generalmente larghi e brevi, caratterizzati da un regime irregolare; numerosi anche i laghi, d’origine lagunare o, sui rilievi, vulcanica, glaciale e tettonica. Le coste dell’arcipelago si sviluppano per circa 27.000 km: ad Est e Sud, in prevalenza, sono alte e assai articolate, quelle bagnate dal Mar del Giappone sono generalmente più basse e uniformi. Fittissime sono le isole minori nel Mare Interno, compreso tra l’ampia insenatura meridionale dell’isola Honshu e l’isola Shikoku. Clima e vegetazione. Notevole è la varietà climatica, dovuta sia all’ampia estensione in latitudine sia ai vari influssi, talvolta contrastanti, delle correnti aeree e marine cui l’arcipelago è soggetto. Le zone settentrionali, esposte ai gelidi venti siberiani, hanno inverni rigidi e assai nevosi, mentre il mare ghiaccia lungo le coste nord di Hokkaido, lambite dalla corrente fredda Oya Scivo. Il clima è più temperato nelle zone centrali fino ad as-sumere caratteri tropicali in quelle meridionali, specie lungo le coste, lambite dalle correnti calde di Tsushima e Kuro Scivo; le coste orientali, in ogni caso, sono più ventilate e asciutte che quelle occidentali. Le precipitazio-ni, distribuite lungo tutto l’anno, sono più abbondanti nelle regioni meridionali, interessate dal monsone estivo. Al cambio di stagione, specie in autunno, sono frequenti i tifoni, talvolta disastrosi. Foreste (168 specie arbo-ree) coprono il 67% circa del territorio; al Nord prevale la selva boreale (conifere), al centro il bosco misto (pini, cipressi, aceri, betulle, querce), che passa verso Sud alla foresta tropicale (palme, bambù, lecci, canfori, loto).

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Storia. [si vedano anche: “ Cronologia, periodi storici del Giappone, fatti importanti”, e la voce “cronologia – Imperatori e Imperatrici giapponesi; shogun”]. I reperti archeologici testimoniano la presenza d’insediamenti ri-salenti al paleolitico inferiore nell’isola Honshu, presso Tokyo. Ad una primitiva cultura mesolitica, diffusa in tut-to l’arcipelago, si sostituisce quella JOMON (7500-300 a.C. circa), probabilmente importata dagli antenati dei giapponesi attuali, sovrappostisi agli autoctoni AINU. L’agricoltura si diffonde con la cultura YAYOI (dal III secolo a.C. al II secolo d.C., circa), poi evolutasi in quella KOFUN (dal IV al VII secolo, circa), che dà origine ad una fe-derazione di nuclei tribali coordinata da un’autorità religiosa. La mitologia scintoista attribuisce la fondazione dell’Impero giapponese a JIMMU TENNO (discendente della dea del sole, AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI) facendola ri-salire al 660 a.C. circa. Dati cronologici attendibili si hanno dal secolo VI in poi: l’intensificarsi dei contatti con la Cina porta all’introduzione del Buddismo (538) e alla lotta tra le famiglie aristocratiche dei Soga, suoi sosteni-tori, e dei Mononobe, difensori della religione tradizionale (SHINTO). La preminenza dei Soga (587) porta (rifor-ma Taika, 645) alla costituzione di uno stato accentrato, sul modello cinese, con capitale prima a NARA (710) poi a Heian-kyo (794), l’odierna KYOTO. Il Clan FUJIWARA inizia l’ascesa al potere nell’anno 858, esautorando, di fatto, la Dinastia imperiale ("Imperatori in ritiro", 1086). Ai FUJIWARA si sostituisce prima il Clan TAIRA (1159), poi il Clan MINAMOTO (1185), una Famiglia appartenente all’aristocrazia guerriera provinciale, che stabilisce il proprio governo (“Governo della Tenda”, BAKUFU) a KAMAKURA, assumendo, con il titolo di SEI-I-TAISHOGUN (SHOGUN per brevità), poteri civili e militari (1192). Si apre così quello che può definirsi il “medioevo giappone-se” (1185-1615), caratterizzato dal frazionamento del potere politico-amministrativo, dall’instaurarsi di rapporti feudali e da continue guerre civili. I pur falliti tentativi d’invasione da parte dei mongoli (1274 e 1281), aggrava-no la crisi politica interna e provocano l’ulteriore indebolimento dello SHOGUNATO, che si vede costretto a cedere terre alla classe dei guerrieri (BUSHI), composta dalla nobiltà provinciale (DAIMYO) e da milizie mercenarie (SA-MURAI). Dopo una fase (1336-1392) di bipolarismo politico (Corte del Nord a KYOTO, Corte del Sud a Yoshino), inizia il Periodo MUROMACHI (1392-1573), caratterizzato dall’intensificarsi dei traffici internazionali e dall’ascesa economica della borghesia (CHONIN), fattori di nuovo indebolimento del potere shogunale, detenuto dal Clan ASHIKAGA. L’arrivo di commercianti portoghesi (1543) e di missionari gesuiti (1545; l’apostolato di S. Francesco Saverio va dal 1549 al 1551) coincide con i tentativi di riaffermazione del potere imperiale per opera di ODA NOBUNAGA (1534-82; incoraggia i missionari perché utili al suo tentativo di controllare il clero buddista ed i suoi YAMABUSHI, i temibili monaci-guerrieri: basta la conversione di un DAIMYO perché l’intero HAN diventi cristiano). TOYOTOMI HIDEYOSHI prima (1536-98; inizia le persecuzioni contro i Cristiani, dei cattolici in particolare, perché ne diffida: sono portatori di un sistema filosofico potenzialmente sovversivo; gli olandesi, Protestanti, gli fanno inoltre credere che i missionari spagnoli preparano il terreno alla conquista da parte dell’Impero spagnolo) e TOKUGAWA IEYASU poi (1542-1616), riportano nelle mani dello SHOGUN il potere. TOKUGAWA IEYASU, in partico-lare, inaugura la fase dello "SHOGUNATO autoritario" (Periodo TOKUGAWA, 1603-1868, con capitale a EDO, To-kyo), con obiettivi – tra gli altri – di monopolizzare il commercio estero e garantire la sicurezza interna. Dap-prima sono espulsi tutti i missionari (ed è proibita la religione cristiana, 1614), poi sono scacciati gli Spagnoli (1624) ed i Portoghesi (1639), mentre dal 1633 i porti sono chiusi al commercio d’oltremare. Soprattutto, oltre che a regolare strettamente il controllo delle classi sociali, dal 1636 i TOKUGAWA chiudono il Paese al resto del mondo: tutti gli stranieri sono espulsi (1640). Unica eccezione è una rappresentanza della Compagnia Olan-dese delle Indie, confinata sulla piccola isola artificiale di Deshima, a Nagasaki (1641), dove operano, in con-cessione, anche mercanti cinesi. Nonostante tutto questo, è notevole l’incremento economico, sotto la spinta della nuova classe borghese, attiva soprattutto a EDO, KYOTO, Osaka. La popolazione triplica, si eseguono la-vori di sistemazione idraulica per recuperare nuovi terreni all’agricoltura (che, tra il 1600 ed il 1730, raddoppia la produzione di cereali, anche grazie all’uso di fertilizzanti), si allentano le strutture feudali. I SAMURAI diventa-no amministratori di terre e burocrati, perdendo un po’ i caratteri di casta guerriera – anche se non l’arroganza del ruolo – pur mantenendo la specifica funzione di guerrieri, con l’obbligo di praticare le Arti Marziali (in questo periodo, come non mai, perfezionate, codificate, classificate). La stagnazione e la crisi nella seconda metà del secolo XVIII, provocano tensioni che sfociano in rivolte rurali e urbane, mentre si intensificano le pressioni in-ternazionali per la riapertura dei porti. Il 1853 è un anno importante nella storia del Giappone moderno: gli HAN del Nord-Ovest sono ormai fuori del controllo centrale, il ministro Mizuno Tadakuni ha fallito il tentativo di vara-re un consistente programma di riforme ed arrivano gli americani. Una squadra di quattro navi statunitensi, al comando del commodoro M. C. Perry, penetra nella baia di EDO: allo SHOGUN è imposta la fine dell’isolamento e l’apertura di relazioni commerciali a Shimoda e Hakodate. Il potere shogunale è incapace di guidare il Giap-pone verso l’inevitabile modernizzazione e, nella sua rapida disgregazione, passa dalla netta contrapposizione

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alle pretese occidentali a compromettenti accordi economici (“Trattati Commerciali Ineguali”, 1858), percepiti come un tradimento della fedeltà dovuta all’Imperatore: giovani SAMURAI degli HAN occidentali gettano il Paese di un quindicennio di caos e disordini violenti. Sotto l’Imperatore Mutsuhito, salito al trono all’età di quindici an-ni, nel 1867 (inizio dell’Era MEIJI) – e con la fattiva collaborazione dell’alta classe dirigente (di provenienza SA-MURAI) e della grande borghesia (le vecchie Famiglie nobili, trasformate in zaibatsu) – è restaurato il potere im-periale, con la conseguente abolizione sia della carica di SHOGUN sia delle istituzioni feudali (1868). Oltre a ciò, è formato un esercito di leva, e si favoriscono l’alfabetizzazione e l’introduzione delle tecniche occidentali. Re-presse le resistenze dei SAMURAI (1874 e 1877, rivolte a Kagoshima), ma anche soffocate le richieste democra-tiche, nel 1889 è promulgata una costituzione simile a quella tedesca: l’Imperatore è capo supremo del Paese ed il Parlamento si compone di due rami, la Camera dei Pari (nominati dall’Imperatore) e la Camera dei Depu-tati (le elezioni sono in base al censo). Il rapido decollo dell’industria sostiene l’espansione politica internazio-nale del Giappone, che si sostanzia nell’azione colonialista sul continente asiatico: il Giappone modernizzato si afferma e vince. Batte la Cina (guerra del 1894-95): occupa Taiwan; conquista la base strategica e commer-ciale di Lüshun o Port Arthur, affittata poi alla Russia nel 1898. Sconfigge la Russia (guerra del 1904-5): occu-pa la Manciuria meridionale; riconquista Port Arthur e la battaglia di Tsushima – con la distruzione della flotta russa che arriva dal Mar Baltico, 28/5/1905 – è la prima vittoria navale contro uno Stato europeo. La Corea è invasa nel 1905; dal 1910 è colonia. Durante la Prima Guerra Mondiale, il Giappone, è alleato della Gran Bre-tagna e della “Triplice Intesa” (Gran Bretagna, Francia, Russia) contro gli “Imperi Centrali” (Germania e Austria-Ungheria). Uscito dal conflitto come potenza vincitrice – dopo aver occupato le colonie tedesche del Pacifico, conquistato il protettorato germanico in Cina ed aver ottenuto da questa anche notevoli concessioni commer-ciali e politiche – il Giappone si ritrova con un apparato industriale di tutto rispetto ed una potente forza militare. La Corte Imperiale, i militari, la burocrazia, le grandi concentrazioni monopolistiche industriali (zaibatsu), dopo il 1929, sono corresponsabili di una politica d’espansione imperialistica e realizzano un’originale forma di con-servatorismo nazionalista estremo che presto trova naturale l’alleanza con i Governi totalitari di Berlino e Ro-ma, già fuori – come ormai anche il TENNO – dalla Società delle Nazioni di Ginevra. La Manciuria è tutta occu-pata nel 1931 e l’anno successivo nasce lo Stato satellite del Manciukuo; nel 1934 è ufficialmente adottato il nome di NIHON (o NIPPON), lettura giapponese del termine cinese Jihpûn, abbreviazione di Jihpûnkuo: paese (kuo) del sole (jin) levante (pûn). Firmato nel 1936 il “Patto anti-Comintern” con la Germania (contro l’espansionismo ideologico comunista), il Giappone pretende dal Governo nazionalista cinese (Kuomintang) non solo facilitazioni per lo sfruttamento delle risorse naturali nella parte settentrionale del paese e nella Mon-golia interna, ma anche impegni politici in funzione anticomunista. La successiva guerra d’invasione (1937: presa la capitale di allora, Nanchino) porta le armate imperiali ad occupare territori dalla Corea al Sud-Est Asia-tico – compresa l’Indocina francese, luglio 1941 – con la parola d’ordine "l’Asia agli asiatici". In reazione all’embargo commerciale anglo-americano, il Giappone attacca di sorpresa le Hawaii (Pearl Harbor, 7/12/1941) e, di conquista in conquista (Tailandia, Filippine, Hong Kong, Malesia, Indonesia, Singapore, Birmania, Nuova Guinea, isole della Micronesia), entro la prima metà del 1942 giunge a controllare gran parte dell’Asia sud-orientale e quasi tutto il Pacifico, avendo il nord dell’Australia a portata di mano. La superiorità economica e, di conseguenza, bellica degli USA, ed il suo sostanziale isolamento, determinano però un ribaltamento degli equi-libri e, dalla seconda metà del ’42, il Giappone è costretto a ripiegare su tutti i fronti, subendo dure sconfitte, soprattutto aereonavali (Mar dei Coralli, Midway) e subendo perdite spaventose. Il 7 luglio gli americani inizia-no la riconquista del Pacifico con lo sbarco a Guadalcanal e proseguono per tutto l’anno successivo a liberare isole: Gilbert, Marshall, Marianne, Filippine (dove, per la prima volta, entrano in azione i KAMIKAZE). Lo stesso territorio metropolitano giapponese è ormai obiettivo di sistematiche e distruttive incursioni aeree, soprattutto dopo la conquista di Iwo Jima (isole Bonin, febbraio ‘45) e Okinawa (aprile ‘45), ed è proprio la determinazione fanatica dei difensori che induce gli USA – per evitare eccessive perdite americane e per sperimentare “sul campo” – al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, 6 e 9 agosto 1945. L’8 agosto 1945 l’URSS i-nizia l’invasione di Manciuria e Corea e dichiara guerra al Giappone, che firma l’armistizio il 15 agosto e accet-ta la capitolazione senza condizioni il 2 settembre 1945, dopo aver perso tre milioni di cittadini. Prostrato de-mograficamente ed economicamente, sottoposto al regime d’occupazione militare statunitense (fino al 1952), il Giappone deve ratificare una nuova costituzione (1946) di stampo occidentale, che impone un drastico taglio alle spese militari (al massimo l’1% del P.I.L.), assegna la sovranità al popolo e, soprattutto, umanizza l’Imperatore, attribuendogli solo un ruolo simbolico. Il trattato di pace è firmato l’8/9/1951, tranne che con Cina e India. Meriti del Partito liberal-democratico, lungamente al governo (anche se periodicamente coinvolto in

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scandali finanziari) sono tanto la ricostruzione industriale (completata entro il 1958) quanto l’imponente svilup-po economico dei decenni successivi. Netta la scelta filo-occidentale in politica estera, che, in ogni modo, non ha impedito la ratifica del trattato di pace (1978) e la collaborazione economica con la Cina, mentre è ancora aperta una vertenza con la Federazione Russa sulla sovranità sulle isole Curili meridionali. Dal 1989 è Impera-tore Akihito, succeduto al padre Hirohito (1901-1989), sul trono dal 1926, a sua volta succeduto al genitore Yo-shihito. Popolazione. Pare che l’attuale gruppo etnico dominante, fra gli oltre 126 milioni di giapponesi, derivi dall’incrocio di successive ondate migratorie, provenienti da opposte direzioni: popoli di ceppo mongolo giun-gono dal continente, attraverso la Corea, mentre gruppi indonesiani arrivano dal Sud, attraverso Taiwan e le isole Ryukyu. Tracce di queste migrazioni si trovano nei miti che narrano della fondazione dell’Impero giappo-nese, raggruppati in due cicli, l’uno collegato alla migrazione da Sud, l’altro a quella da Nord [si veda la voce “Scintoismo, L’origine del Giappone nella mitologia scintoista”]. Dopo aver lottato contro gli indigeni AINU, di ti-po paleoeuropide (che sopravvivono, come minoranza, nell’isola Hokkaido), questi gruppi si fondono tra loro. La densità per km quadro è tra le maggiori del mondo (quasi 340 abitanti/Km2) e rilevante è la disomogeneità nella distribuzione: oltre la metà della popolazione è concentrata in una stretta fascia, che si estende lungo la costa Sud-Est dell’isola Honshu, allungandosi fino alla parte Nord-Ovest di Kyushu. Il tasso annuo di crescita, un tempo assai elevato, si è ridotto per effetto della rapida evoluzione economica, col risultato di un marcato invecchiamento della popolazione. Il tasso d’urbanizzazione è altissimo: molte città superano il milione di abi-tanti e l’espansione dei centri maggiori ha ormai saldato le conurbazioni di Tokyo/Yokohama/Kawasaki (KAN-TO), Nagoya/Gifu, Osaka/Kobe/KYOTO (Kinki) e Kitakyushu/Fukuoka in un’unica megalopoli. Nella metropoli di Tokyo la densità è superiore a 5.000 abitanti per km quadrato. Lo Stato, oggi. Il Giappone, dal 1946, è una monarchia costituzionale. Organo supremo dello Stato è la Dieta – composta dalla Camere dei Consiglieri (252 membri) e da quella dei Rappresentanti (500), eletti con suffra-gio diretto – che detiene il potere legislativo. Al governo spetta il potere esecutivo; il Primo Ministro, scelto dal-la Dieta, riceve l’investitura formale dall’Imperatore. L’economia, oggi. Dalla metà del secolo XX il Giappone ha conosciuto un ritmo di crescita economica supe-riore a quello d’ogni altro paese sviluppato e una straordinaria espansione commerciale e finanziaria sui mer-cati internazionali. Lo sviluppo economico ha potuto contare su un’ampia disponibilità di manodopera e su uno stretto rapporto tra il potere politico e le imprese, nonostante fattori strutturalmente sfavorevoli (le caratteristi-che del territorio, la generale scarsità di materie prime, la pesante sconfitta subita nella Seconda Guerra Mon-diale). La debolezza sindacale ha consentito di mantenere bassi i livelli salariali e quindi i prezzi delle esporta-zioni. Solo negli anni ‘60 i salari hanno cominciato ad aumentare, permettendo lo sviluppo di un mercato inter-no e una crescente partecipazione del risparmio privato agli investimenti. Gli stretti legami esistenti tra uomini politici, alti funzionari statali e imprenditori privati sono particolarmente evidenti nel caso degli zaibatsu, le po-tenti concentrazioni finanziarie sorte nel XIX secolo e solo temporaneamente smantellate dopo il 1945, durante l’occupazione militare statunitense. Non si può dimenticare che, dopo la Restaurazione MEIJI, l’Imperatore concede alle potenti famiglie dell’alta borghesia – d’origine SAMURAI o KUGE – i privilegi della conquista econo-mica. Ogni zaibatsu (oggi zaikai), da cui dipende una moltitudine d’imprese, che sono attive nei più svariati settori, fa capo ad una grande Famiglia (Mitsubishi, Mitsui, Sumitomo, Sanwa ecc.). L´intervento dello Stato (sovvenzioni, prestiti, protezioni doganali, pianificazione regionale, allacciamento di relazioni commerciali e fi-nanziarie con paesi stranieri), è stato puntuale, efficace, flessibile, consentendo alla programmazione econo-mica di privilegiare i settori più vantaggiosi pur mantenendo la capacità di operare rapide riconversioni. Un medesimo dinamismo ha caratterizzato la struttura commerciale, orientata alla conquista dei mercati esteri. Tale integrazione ha iniziato a mostrare i suoi limiti negli anni ´90, quando si sono sommati gli effetti del raffor-zamento dello yen (che ha penalizzato le esportazioni), e la riduzione della produzione industriale, dovuta all’affacciarsi sul mercato di nuove potenze regionali, come la Cina. La crisi finanziaria che ha colpito l’Asia o-rientale negli anni 1997-98, ha coinvolto profondamente il Giappone, mettendo in luce la fragilità del sistema bancario e gli effetti negativi della tradizionale chiusura del mercato interno. La crisi non è ancora superata. Attività primarie attuali. La superficie coltivabile è di poco superiore al 10% del territorio. Tra le colture do-minano quelle a carattere intensivo e la proprietà della terra, generalmente, è molto frazionata; solo sull’isola Hokkaido prevalgono le grandi aziende e le colture estensive. La fertilità dei suoli d’origine vulcanica, l’uso di fertilizzanti, l’elevata meccanizzazione e accurate selezioni genetiche sulle varietà coltivate permettono rendi-menti tra i più alti del mondo, mentre il reddito dei coltivatori supera quello degli addetti agli altri settori, grazie

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anche alle forti barriere protezionistiche; tuttavia, circa 1/5 del fabbisogno alimentare deve essere importato, mentre solo il riso, che occupa oltre il 50% della superficie coltivata, è prodotto in quantità sufficiente. Si colti-vano: frumento e orzo; patate e batate; soia, arachidi, colza; legumi, ortaggi e frutta (specialmente agrumi); barbabietola e canna da zucchero; luppolo; TABACCO; canapa, lino; gelso. È abbastanza sviluppato l’allevamento di suini, bovini, pollame e diffusa la bachicoltura, pur considerando l’esiguità degli spazi disponibi-li. Lo sfruttamento forestale fornisce sia cellulosa sia legno pregiato. Di fondamentale importanza è la pesca, praticata in tutti i mari del mondo con una moderna flotta (e tuttora, purtroppo, è esercitata la caccia alla bale-na, cibo di cui i Giapponesi sono ghiotti). Lungo le coste meridionali dell’arcipelago si raccolgono perle (natura-li e coltivate) e coralli. Dal sottosuolo si estraggono carbone (la metà circa del fabbisogno nazionale) e quantità più modeste di petrolio, gas naturale, lignite, ferro, rame, zolfo, piombo, zinco, mercurio, stagno, arsenico, oro, argento. Industria moderna. Il Giappone ha prodotto – fino alla recente crisi – circa il 10% del prodotto lordo mondiale, primeggiando nella cantieristica e nella fabbricazione di veicoli industriali e civili, elettronica di consumo, mac-chine fotografiche, nella produzione d’acciaio, ghisa e ferroleghe, fibre artificiali, seta greggia, carta. La produ-zione copre ampiamente tutti i settori: metallurgia, meccanica (macchine utensili, tessili, per cucire, cuscinetti a sfere, strumenti ottici e di precisione, biciclette), chimica (di base, fosfati, coloranti, fertilizzanti, materie plasti-che, resine e gomma sintetiche), petrolchimica, elettronica (semiconduttori, calcolatori, sistemi per telecomuni-cazioni, orologi, strumenti di misura), tessile (cotone, fibre sintetiche, fibre cellulosiche), dell’abbigliamento, del legno e pasta di legno, alimentare (pesce conservato, birra, zucchero), del tabacco, del vetro, della porcellana. Gli impianti maggiori sono insediati lungo le coste meridionali dell’isola Honshu e nella parte nord-occidentale dell’isola di Kyushu, dove l’afflusso delle materie prime è favorito dalla presenza di porti e di bacini carboniferi. Lo sviluppo delle industrie e dei porti è avanzato di pari passo con l’accentramento della popolazione e con l’espansione urbana; nella fascia più popolata si concentrano le industrie manifatturiere e una miriade di picco-le imprese e laboratori artigianali. Terziario. È il settore produttivo più importante del paese, sia come lavoratori occupati sia come reddito pro-dotto. Accanto alle banche, società finanziarie e assicurative, di marketing, eccetera, operano numerosi e qua-lificati istituti di ricerca, in cui lavora un numero di addetti simile a quello statunitense. La penetrazione econo-mica è evidente soprattutto nell’Asia sud-orientale, dove molti paesi hanno nel Giappone il principale partner commerciale. Gli investimenti all’estero sono destinati soprattutto alla costituzione di joint-venture per il mon-taggio di prodotti industriali. La rete di comunicazioni è moderna ed efficiente. Importantissima è la navigazio-ne commerciale; assai attivo il cabotaggio, che assorbe il 40% dei trasporti interni. La rete ferroviaria è ben svi-luppata (oltre 20.000 km) e consente collegamenti efficienti grazie alle linee ad alta velocità, soprattutto lungo l’asse della megalopoli; meno efficiente la rete stradale (oltre 1.128.000 km). L’isola Honshu è collegata a Kyushu tramite una galleria sottomarina ferroviaria e stradale, e all’isola Hokkaido attraverso il tunnel sottoma-rino più lungo del mondo (53 km). Lingua e letteratura. [si veda anche la voce “Giapponese”] Lingua ufficiale è il giapponese, che trova codifi-cazione scritta dal secolo V, con l’adozione degli ideogrammi cinesi. Le prime opere della letteratura giappo-nese consistono nella trascrizione in ideogrammi cinesi di materiali precedentemente tramandati per via orale; al Periodo NARA risalgono la “Memoria di antichi fatti” (KOJIKI, 712) e i trenta volumi degli “Annali del Giappone” (Nihongi, 720), testi che fondono materiali mitologici con descrizioni analitiche di eventi storici. Notevoli sono pure i “Libri dei luoghi e dei costumi” (Fudoki, inizio VIII secolo), che descrivono le caratteristiche geografiche e culturali delle varie Province del paese. La “Raccolta delle diecimila foglie” (Manyoshu, 2^ metà del secolo VIII) è un’antologia di più di 4.500 poesie, in parte risalenti al IV secolo e testimonia l’autonomia della tradizione poetica giapponese rispetto a quella cinese: testi brevi, caratterizzati dall’alternanza di versi di cinque e sette sillabe, solo apparentemente semplici. Nel Periodo HEIAN (794-1156) i ceti dirigenti assumono il cinese come lingua ufficiale e, in ambito letterario, si determina una dicotomia tra le poesie redatte in cinese e la prosa in giapponese, tipica delle dame di Corte. Il genere narrativo (monogatari), probabilmente sviluppatosi sulla tra-dizione dei diari (Nikki), ha come argomenti privilegiati la Corte, le Famiglie aristocratiche, gli eroi e raggiunge un vertice notevole con la “Storia di Genji” di Shikibu Murasaki (secolo X o XI), mentre gli “Appunti del Guancia-le” di Shonagon Sei (secolo X o XI) sono un esempio di produzione saggistica. In ambito poetico, Ki-no-Tsurayuki, curatore della “Raccolta di poesie antiche e moderne” (Kokin-waka-shu, 905), antologia di liriche brevi di trentuno sillabe (tanka), sostiene la necessità di tornare all’uso della lingua giapponese come rimedio all’eccessivo formalismo, artificiosità e uniformità delle produzioni in cinese. Durante il "Medioevo Giapponese"

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(1185-1615), la decadenza del potere imperiale è accompagnata dal declino della letteratura di Corte, affianca-ta da nuovi generi: il dramma NOH ed il racconto epico. Nell’epopea, che viene generalmente cantata con l´accompagnamento del liuto (biwa), prevalgono i temi cavallereschi e i racconti delle vicende dei principali Clan familiari (“Storia della Guerra degli Heiji”, Heike Monogatari, secolo XIII). A Zeami Motokiyo (1363-1444) si deve la definitiva formalizzazione dei canoni estetici del teatro NOH, un genere colto, destinato ad un pubbli-co aristocratico, di cui rimangono circa 500 testi, più di 200 dei quali tuttora rappresentati (notevole è il Kageki-yo, probabilmente dello stesso Zeami). Caratteristiche essenziali del NOH sono i testi, sia in prosa che in poe-sia, l’uso di maschere, un ristretto numero di attori (2 o 3) affiancati dal coro, l’accompagnamento musicale con tamburi e flauto. Gli argomenti sono simili a quelli dell’epopea, ma la narrazione è semplificata per la brevità delle rappresentazioni (un’ora circa). Nel Periodo TOKUGAWA (1603-1868) si ha l’elaborazione di un nuovo ge-nere di poesia, molto sintetico, di contenuto apparentemente naturalistico, ma denso di valenze psicologiche: l’haikai. Carattere essenziale di questo ciclo storico è la progressiva democratizzazione della produzione lette-raria, sia per quanto concerne gli autori che il pubblico, costituito in buona parte dalla nuova classe mercantile: poesie haiku sono composte anche da contadini e artigiani, mentre si diffondono sia i romanzi erotici e di co-stume (ukiyo-soshi), per opera di Ihara Saikaku (1642-1693), sia nuovi generi teatrali come il dramma popolare (KABUKI), che è composto dagli stessi attori, e il teatro delle marionette (JORURI), elaborato da Chikamatsu Monzaemon (1653-1725). Con l’avvento del MEIJI (1868), in seguito all’intensificarsi dei contatti con l’Occidente, gli intellettuali giapponesi devono affrontare il problema di una possibile integrazione di temi e tec-niche nuove entro un patrimonio di tradizioni e valori culturali che si ritiene non deve andare perduto. L’opera di modernizzazione si deve principalmente a tre personaggi: Fukuzawa Yukichi (1834-1901) che, attraverso il proprio lavoro di giornalista (“Cronache”, 1882), introduce la riflessione sulle filosofie occidentali; Natsume So-seki (1867-1916), che si interessa di letteratura inglese e produce romanzi sia a carattere satirico (“Io sono un gatto”, 1905) che psicologico (“Papavero”, 1908); Mori Ogai (1862-1922), che adatta alla sensibilità giapponese lo stile narrativo occidentale, scrivendo racconti (“Anitra selvatica”, 1913) e romanzi biografici (Heihachiro O-shio, 1914). In ambito teatrale si realizzano traduzioni e adattamenti di testi europei, ma non hanno fortuna i tentativi di rappresentare sulle scene i caratteri del Giappone moderno. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’interesse dei letterati giapponesi si è diretto essenzialmente verso il genere narrativo, sviluppato secondo tre linee di tendenza. Al primo filone, radicato nella tradizione religiosa e culturale del paese, appartengono gli au-tori più conosciuti in occidente: Kawabata Yasunari, fautore del "neosensualismo", Mishima Yukio, rappresen-tante della "scuola della letteratura moderna", e Tanizaki Junichiro. Vi è poi una narrativa sociale, proletaria, talvolta anarchica, rappresentata da Hayashi Fumiko, Inoue Yasushi, Ooka Shohei, Fukazawa Shichiro. Le ul-time tendenze sono costituite dai romanzi storici popolari (Shiba Ryotaro, Osaragi Jiro) che hanno gran suc-cesso di pubblico, come pure da aperture alle impostazioni delle avanguardie occidentali (Abe Kobo, Oe Ken-zaburo). Arte. Le prime manifestazioni artistiche giapponesi, risalenti al neolitico e costituite da vasellame in ceramica e da statuette fittili decorate a "corda ritorta", testimoniano una cultura fortemente impregnata dai temi magici e vitali dello Scintoismo. A questo primo Periodo, detto JOMON, segue quello YAYOI (300 a.C. circa - 300 d.C. cir-ca), caratterizzato da figure e vasellame in ceramica e da bronzi a forma di campana (dohoko o dotaku) con decorazioni sottili e lineari, particolarmente raffinate. Il successivo Periodo KOFUN (o "delle antiche sepolture"), protrattosi fino alla prima introduzione del Buddismo (538), vede un notevole sviluppo dell’arte funeraria: sono edificate grandi tombe a tumulo, con sarcofagi in terracotta o in pietra, arricchite da statuette fittili, oggetti d’oreficeria e armi di ferro. Nell’architettura si abbozzano gli elementi essenziali dei templi scintoisti, concepiti come abitazioni degli antenati e quindi mutuati dalle capanne dell’epoca YAYOI: edifici lignei semplici e austeri, poggianti su una piattaforma sopraelevata e con tetti spioventi. Dal secolo VI (Periodo ASUKA, 525-645), il Buddismo diffonde le forme proprie della contemporanea ’arte cinese: i tetti dei templi assumono forma incur-vata, sono sovrapposti e sostenuti da capitelli ad incastro (kumimono), le pareti si arricchiscono di decorazioni policrome; gli edifici religiosi si caratterizzano secondo differenti tipologie (templi, pagode, refettori, sale). Il più antico monastero Buddista giapponese è l’Horyu-ji (607), presso NARA, comprendente la “Sala d’oro” (Kondo), il chiostro e una pagoda a cinque piani, racchiusi da un recinto quadrangolare in cui si apre il portale principale (Chumon). La “Triade di Sakyamuni” (623), gruppo bronzeo conservato nel Kondo, testimonia lo sviluppo delle arti figurative, secondo i modelli ieratici dell’arte Tang cinese. Importanti sono anche le statue lignee (Kwan-non, Kondo: secolo VII) e le prime raffigurazioni pittoriche, solitamente lacche in stile cinese (“Tabernacolo di Tamamushi”). Il Periodo NARA (645-794) è caratterizzato da profondi influssi culturali e artistici continentali (ci-

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nesi in primo luogo, ma anche indiani e iraniani), che introducono il gusto per la grandiosità e la monumentalità: esempi sono sia la struttura urbanistica della capitale NARA sia il tempio Todai-ji, il maggior edificio ligneo esi-stente. La statuaria, oltre ad assumere dimensioni colossali, si fa più plastica e naturalistica, pur restando di soggetto religioso (“Buddha Roshana”, statua bronzea conservata nel Todai-ji, risalente al 749, ma restaurata più volte; “Triade di Yakushi” in bronzo dorato, fine secolo VII). Sono introdotti nuovi materiali, come la creta dipinta (sozo; Shikkongoshin, 733) e la lacca secca (kanshitsu; Fukukensaku Kwannon, 746; statue-ritratto dei monaci Gyoshin e Ganjin, 763). La pittura si arricchisce di particolari realistici (Horyu-ji di NARA, affreschi del Kondo, secolo VIII) e narrativi (“Illustrazione del sutra delle cause e degli effetti”, 735, primo esempio di ema-kimono, pittura su rotolo di carta). Durante l’epoca HEIAN (794-1156), con la diffusione del Buddismo mahâyâ-na, diminuisce l´importanza dei modelli cinesi. Le statue, prevalentemente lignee, assumono tratti mistici ed enigmatici: degne di nota sono quella di Yakushi Nyorai (fine secolo VIII) e quella, aristocraticamente raffinata, d’Amida Nyorai (1053) dovuta a Jocho. A fianco della pittura religiosa si sviluppa lo stile yamayo-e, decorativo, prospettico, delicato nei colori (“Storia di Genji” su rotolo di seta, secolo XII). I modelli architettonici tendono ad un’armonica fusione con il paesaggio naturale: i templi assumono pianta asimmetrica, adattandosi alle caratte-ristiche del suolo (Enryaku-ji, presso KYOTO; Kongobu-ji, sul monte Koya), il giardino integra le abitazioni ari-stocratiche. L’aumentata importanza dell’aristocrazia guerriera, che caratterizza il Periodo KAMAKURA (1185-1392), sul piano artistico si traduce in forme d’austero realismo, poco inclini alla raffinatezza. Nella statuaria li-gnea si presta attenzione alla caratterizzazione espressiva dei volti (ritratti dei monaci Muchaku e Seshin; “Sta-tue dei Guardiani” del Todai-ji di NARA, 1203, di Unkei). La pittura si arricchisce di nuovi soggetti, traendo spunto dall’agiografia, dall’aneddotica e dai racconti popolari; ampio sviluppo ha il genere ritrattistico nise-e (MINAMOTO-NO YORITOMO e Taira-no Shigemori, di Takanobu, secolo XIII). Con l’introduzione dell’uso del tè e lo sviluppo del rituale connesso (“Cerimonia del Tè” CHA-NO-YU), assume particolare rilievo l’arte ceramica: la regione di Seto diventa centro produttivo di ceramiche invetriate color giallo ocra, derivate da modelli cinesi. Il Periodo MUROMACHI (o ASHIKAGA finale, 1392-1573), caratterizzato dalla diffusione del Buddismo ZEN (introdot-to verso il 1215), segna il recupero di valori essenzialmente interiori e spirituali. La scultura decade, mentre nella pittura prevalgono le rappresentazioni paesaggistiche monocromatiche a china (suiboku-ga), opera di monaci (gaso), quali Sesshu (“Paesaggio invernale”, fine secolo XV), Josetsu e Shubun, che traggono spunto dai dipinti cinesi delle dinastie Song e Yuan. Col tempo prevalgono i motivi decorativi, sviluppati dalla scuola laica di Kano, che detta i modelli della pittura ufficiale. Anche l’architettura tende alla realizzazione di edifici e templi austeri e disadorni (“Padiglione d´Oro”, nei pressi di KYOTO); nei giardini sono utilizzati elementi naturali, con funzione simbolica (“Giardino di sola ghiaia e roccia” del Ryoan-ji di KYOTO, secolo XVI). Durante il Perio-do MOMOYAMA (1573-1615) nell’architettura torna a prevalere lo stile monumentale: l’uso della pietra si fonde con quello del legno (Castello Himeji a Hyogo, 1608) e gli interni si arricchiscono di decorazioni policrome e pa-raventi (nanban byobu), testimonianti l´avvenuto contatto con l’Occidente (ritratti di missionari e mercanti). Il Periodo TOKUGAWA (o EDO, 1603-1868), vede costanti infiltrazioni di tecniche occidentali – nonostante la chiu-sura formale del paese agli stranieri – che portano al formarsi di correnti contrapposte alla pittura ufficiale di Kano. Emerge la scuola decorativa Rimpa, con i Maestri Sotatsu (“Racconto di Genji”, secolo XVII) e Ogata Korin (“Susini rossi e bianchi”), e la Maruyama (XVIII-XIX secolo), di tendenza realistica. Si diffonde rapida-mente anche il genere popolare UKIYO-E ("pittura del mondo mutevole" o “del mondo galleggiante”, XVIII-XIX secolo), di soggetto mondano, volto ad esaltare la vita terrena; l’espressione preferita è costituita da quelle xi-lografie stilizzate, monocrome e policrome (Harunobu, Sharaku, Utamaro, Hokusai), che tanto influenzano, poi, l’impressionismo francese. L’architettura esprime santuari-mausolei in forme shinto-buddiste (complesso di Nikko); nell’arte plastica, alle tradizionali maschere teatrali si affiancano sculture di piccole dimensioni e sog-getto profano. La ripresa dei contatti con l’Occidente (Era MEIJI, 1868-1912) ha significativi influssi, soprattutto sulla produzione architettonica, che si muove tra la salvaguardia dei modelli tradizionali e l´introduzione di ma-teriali e stili tipici dell’800 europeo (rinascimentale, gotico, neoclassico). Dopo la Prima Guerra Mondiale, si af-fermano movimenti d’avanguardia, come il gruppo Bunriha (“Secessione”) e l’Associazione giapponese per il disegno industriale. Nel Secondo dopoguerra è particolarmente forte l’influsso del funzionalismo americano, adattato alle esigenze locali, cui segue l’attività del gruppo “Metabolism” (Kikutake, città galleggianti; Kurokawa, cellule abitative) e della cosiddetta New Wave giapponese. In pittura si distinguono il gruppo Gutaj di Osaka ed il movimento Mono-ha, che propugna un ritorno all’arte povera e che ha innescato, come reazione, ricerche figurative in direzione più intellettualistica.

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GIAPPONESE. – Lingua parlata in Giappone, forse appartenente alla famiglia uralo-altaica. Presenta attinen-ze sia con le lingue dell’area polinesiana sia con il coreano. Agglutinante e polisillabico, è privo di pronomi re-lativi, articoli, genere e numero dei nomi, ma presenta posposizioni (teniwoha) aventi valore logico. La struttura sintattica del periodo antepone l’elemento qualificante al qualificato e situa il verbo alla fine della frase. La scrittura è uno dei sistemi più complicati esistenti e si avvale di circa 2.000 ideogrammi cinesi (KANJI), introdotti verso il V secolo. I segni ideografici cinesi sono stati usati, di volta in volta, come ideogrammi (se esprimono un’idea vicina all’oggetto rappresentato dal carattere) o come fonemi (assumendo il suono della parola cinese equivalente). In aggiunta a ciò, a causa del variare nel tempo della pronuncia della lingua cinese, ai medesimi segni sono stati attribuiti nuovi valori fonetici in giapponese. Verso il secolo IX una serie di caratteri prende un valore puramente fonetico: ogni segno rappresenta il suono di una sillaba e più segni collegati rappresentano il suono di una parola. Nel X secolo è codificata la differenza tra lingua parlata e scritta e dal XX la lingua parlata è utilizzata anche per le comunicazioni ufficiali e letterarie. Oggi i caratteri formano due alfabeti sillabici, distinti e paralleli: il katakana, di quarantasette segni e l’hiragana, di trecento, non tutti d’uso frequente, ma si conti-nuano pure ad utilizzare i caratteri ideografici d’origine cinese (e può accadere che, in una frase, sostantivi, verbi e aggettivi siano espressi con segni ideografici, mentre desinenze, proposizioni e particelle siano rappre-sentati foneticamente). GORBIA. – Parte della testa delle armi in asta. Di forma conica, normalmente, vi s’incastra l’estremità superio-re dell’asta. Il ferro della gorbia si prolunga in due bande, per aumentare la resistenza, quando le armi sono destinate a colpire di taglio. GORGIERA. – Parte dell’armatura posta a protezione della gola. GRONDA. – Parte posteriore dell’elmo, che protegge nuca e collo. Formata da una o più lamine, talvolta arti-colate fra loro, in senso stretto è un’appendice distinta dal coppo, cui è fissata. In alcuni modelli la gronda non è altro che la parte terminale, a falda, del coppo. GUARDIA. – Parte d’arma bianca manesca. Accomuna tutto ciò che serve a difendere la mano: elso, coccia, guardamano. Più esattamente, nelle armi occidentali, è quella difesa che, dal massello della crociera, si pro-tende verso il pomo, con un andamento ad arco più o meno accentuato. IMMOBILIZZAZIONE. – Per “immobilizzazione”, in AIKIDO, si intende una presa o un movimento di leva artico-lare, che diventa efficace quando comincia a causare dolore. In altre parole: TORI costringe UKE, attraverso la leva o la presa, in una posizione tale per cui, se tenta di uscirne, si provoca da sé un intenso dolore. Il movi-mento di immobilizzazione porta, normalmente, allo stadio finale del “bloccaggio”. IMPUGNATURA. – È quella parte dell’arma che consente di utilizzarla. Nelle armi bianche può essere di sva-riati materiali, diverse dimensioni e numerosissime fogge; la forma e le protezioni sono condizionate dal modo di impugnare l’arma e portare il colpo. Al fine di migliorare la presa, l’impugnatura presenta di solito un anda-mento fusiforme, tondeggiante, a tortiglione o scanalato. INSEGNAMENTO e APPRENDIMENTO. – L’insegnamento delle Arti Marziali, in origine, può essere impartito solo direttamente, dal Maestro al discepolo (accettato ed accolto) e l’allievo deve meritare questa “rivelazione”. I segreti dell’Arte (s’intendono, in questo caso, tutte le Arti, dalle guerresche a quelle artistiche alle artigianali) si tramandano unicamente a coloro il cui comportamento si confà alle regole del gruppo. Ed il gruppo assume la valenza di società segreta, chiusa, in cui l’autorità appartiene al “capo” (della scuola, del Clan o della Famiglia, della corporazione…) e della società segreta mantiene il principio dell’iniziazione cui deve sottoporsi l’adepto, l’allievo, l’apprendista. È una norma, una regola, che ritroviamo in tutta la cultura asiatica, ma che in un Paese come il Giappone, dove il modo di pensare filosofico e religioso proprio della casta degli “Uomini della Guerra”, i BUSHI, è punto di riferimento per l’intera società, assume caratteristiche assolutamente peculiari. Oltre all’i-niziazione c’è l’apprendistato che, normalmente e tradizionalmente, è di tipo pragmatico: si apprende, cioè, praticando, operando, applicando; quello che davvero importa è l’efficacia, senza soverchia preoccupazione per i concetti, sottaciuti, che diventano palesi solo in un secondo tempo. Questo modo di intendere il rapporto Maestro/discepolo, comunque, non ha quasi più senso al giorno d’oggi, quando troppi hanno dimenticato cosa significa “Maestro”, titolo con cui spesso vengono chiamati Allenatori ed Istruttori, ben inseriti nella società con-sumistica, dove l’aspetto che più conta è quello commerciale e la “merce” che si offre, l’Arte Marziale, prescin-

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de dai contenuti e dai valori etici e morali di una tradizione talvolta intesa come sterile ed antiquata. Per l’AIKIDO, in particolare, ricordiamo l’opinione di UESHIBA MORIHEI: «Un Istruttore mostra soltanto una piccole par-te dell’Aikido. È attraverso un allenamento continuo e diligente che l’allievo ricerca pazientemente il legame che unisce le tecniche, piuttosto che accontentarsi di accumularne in quantità». Ed ancora: «Impara e dimenti-ca, impara e dimentica! Rendi le tecniche parte del tuo essere». Il metodo d’apprendimento, in AIKIDO, è costi-tuito da quattro passaggi: 1- s’impara con gli occhi (MA-AI, la distanza che unisce); 2- s’impara con il respiro (TORI ed UKE respirano all’unisono); 3- s’impara con il ritmo (nasce l’unione); 4- s’impara con l’intuizione (il KI di TORI è unito a quello di UKE). KARMA o KARMAN. – (sanscrito) “Azione”. Concatenazione di cause ed effetti. È l’effetto, in questa o in altre vite, delle azioni passate. Nella mistica del Buddismo, dell’Induismo e del Giainismo, indica l´effetto ineluttabile conseguente ad ogni azione. Il KARMA è determinato dalla qualità delle azioni che ciascuno compie durante la o le vite, quindi ognuno, con pensieri e azioni, determina il proprio destino e la qualità della vita successiva, all’interno del perenne ciclo della rinascita. LAMA. – È la parte di un’arma bianca, sia da mano sia in asta, destinata a ferire. Da sempre testimonia il gra-do d’evoluzione tecnica dell’arma intera. Nella classificazione Occidentale, si distinguono tre parti, procedendo dall’impugnatura verso la punta: primo terzo (o superiore o forte), secondo terzo (o medio o centro), ultimo ter-zo (o inferiore o debole). Nel Giappone antico, più che in qualsiasi altro ambito geografico ed epoca storica, le lame delle armi bianche sono il prodotto di una scienza metallurgica sviluppatasi e progredita ininterrottamente nel corso dei secoli. Si va dai primi, mediocri, esemplari del III secolo d.C. alle lame forgiate con raffinate tecniche, nel secolo VIII, per giungere – attraverso l’opera dei Maestri forgiatori dei Periodi HEIAN (794-1156) e KAMAKURA (1185-1333) – ai manufatti del Periodo MUROMACHI (1392-1573), veri capolavori, espressione di una tecnica metallurgica, mai più superata nei secoli seguenti, al culmine della perfezione. Durante tutta l’epoca prefeudale e feudale ed an-che dopo, nell’Era MEIJI, la produzione di lame – spade, soprattutto, nell’ultimo scorcio di tempo – è proseguita ininterrotta, ultimamente destinata ad armare gli ufficiali delle Armate imperiali e della polizia. La qualità dei prodotti finiti, come detto, è calata, dopo l’apice del secolo XVI, ma non per questo le lame giapponesi risultano mediocri: ancora oggi un logo nipponico impresso sul tallone di una lama è sinonimo di eccellenza. Solo e-sperti veramente capaci sono in grado di riconoscere, comprendere e descrivere i particolari che fanno della scienza metallurgica del Giappone feudale una vera e propria arte, unica ed assolutamente complicata. Di se-guito sono fornite alcune tracce, per iniziare ad apprezzare questo specialissimo settore. Innanzi tutto, un’osservazione. I fabbricanti di spade, i fabbri forgiatori (soprattutto, ma non solo: alla realizza-zione di una spada completa concorrono numerosi e diversi artigiani, ognuno specializzato nelle diverse fasi, dalla battitura, forgiatura e tempra alla lucidatura, dalla preparazione delle leghe utilizzate nelle decorazioni all’esecuzione delle stesse alla realizzazione del fodero), nel Giappone antico, non sono semplicemente degli artigiani, ma personaggi pubblici importanti, che possiedono uno “status” sociale molto elevato. La loro attività si colloca nel pieno di quei fenomeni cosmogonici che vedono la presenza e l’influenza dei KAMI in ogni ogget-to, evento, luogo, manifestazione. Essi, nell’ambito della propria attività, sono quasi ministri di un culto antico e solenne (non a caso, spesso, fanno parte di santuari SHINTO e talvolta sono anche sacerdoti di quella religio-ne), tanto che ogni loro operazione (dalla preparazione degli utensili alla scelta dell’acciaio all’esecuzione delle diverse fasi produttive) è preceduta da rituali di purificazione. Numerose sono le Famiglie di maestri forgiatori – che solitamente appartengono a ben determinate “scuole” regionali – nelle quali, come in molti altri casi, i se-greti delle tecniche di forgiatura e tempra si trasmettono di padre in figlio (naturale o adottivo). Fino al secolo XV, il minerale di ferro necessario alla produzione delle lame [ma non solo: anche altre armi, pezzi d’armature e di bardature e altri accessori; attrezzi agricoli ed utensili vari; specchi (EKAGAMI) e aghi; ancore e ami; serratu-re e chiodi; eccetera] è fornito da miniere a cielo aperto o pozzi poco profondi: la tecnologia necessaria all’escavazione di gallerie è assolutamente primitiva, contrariamente a quella necessaria ai lavori di purificazio-ne, raffinatura, forgiatura, decorazione del metallo. Solo dalla fine del secolo XVI s’inizia ad utilizzare il KODO-BORI (sfruttamento delle miniere per mezzo di pozzi e gallerie orizzontali), nel quale sono impiegati uomini delle classi inferiori, i reietti HININ ed ETA. Piccoli altiforni, fondendo magnetite impura, producono acciaio, con massa molto dura o molto morbida; secondo la destinazione, l’acciaio è scelto e, saldando tra loro acciai con massa diversa, si ottiene una sbarra che rappresenta un capolavoro metallurgico: la KATAHA. Diversi (ed ognuno con uno specifico nome) sono i metodi per saldare, fucinare, piegare, scorticare la sbarra, ma alla fine si ottiene

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una stanga che da un lato è dura, tenera dall’altro. Ripiegata la KATAHA su se stessa e compattata (per un mi-nimo di quindici volte), si ottiene una sbarra omogenea, con strati variabili da 32.000 a quattro milioni e più, se-condo lavorazione. Una prima forgiatura dà forma e curvatura iniziale alla lama, che raggiunge il profilo defini-tivo solo con i successivi riscaldamenti. È in queste fasi iniziali che il fabbricante modella il codolo (NAKAGO) che, limato con tecnica particolare, assume una serie di caratteristiche linee sgraffiate con varie direzioni (YA-SURI), ma sempre parallele, ed anche tagli irregolari e punti (è dall’esame delle YASURI che un esperto può iden-tificare sia l’epoca di fabbricazione sia il fabbro). Nel codolo è sempre presente il foro MEKUGIANA che, attraver-sato dal piolo MEKUGI, consente di fissare l’impugnatura (TSUKA). Quando la lama – che può avere sezione di tipo diverso, con dorso piatto o arrotondato [si veda KATANA] – è di qualità elevata, si aumenta il contenuto di carbonio sul taglio, mediante stuccatura, così da rendere possibile l’indurimento e la tempera (YAKIBA). La pre-parazione di una lama si avvia a conclusione con molatura, lucidatura, decorazione (dorature, incisioni, intarsi, intagli); spesso l’incisione (HORIMONO) serve ad eliminare difetti superficiali. Per la decorazione si utilizzano soggetti tratti dalla mitologia oppure caratteri in sanscrito (BONJI), ma anche motivi delle antiche spade KEN o draghi. L’ultima operazione compiuta dal forgiatore (KAJI) è l’incisione, sul NAKAGO, della propria firma (MEI), con l’aggiunta, talvolta, d’informazioni integrative. Non sempre, però, compare la firma dell’autore: gli esempla-ri meglio riusciti, i capolavori dei Maestri, non hanno bisogno di essere identificati attraverso un nome. Una la-ma eccellente – oltre al TAMESHI-GIRI, tipico per la KATANA – deve superare altre due prove di taglio: recidere, stando immersa nell’acqua corrente, lo stelo di una ninfea che, galleggiando, la urti e tranciare di netto una la-ma normale, senza che il filo subisca danni. Le lame, quando non usate, sono dotate d’impugnature di sempli-ce legno e riposte in foderi dello stesso materiale, avendo come unica guarnizione l’HABAKI, anch’esso, spesso, di legno [si veda anche KATANA]. Le parti fondamentali di una lama (di spada, soprattutto) sono: il corpo princi-pale (JIGANE), con il dorso (SHINOGI) ed il taglio temperato (YAKIBA); la punta (BOSHI) con l’apice appuntita (KIS-SAKI); la nervatura (YOKOTE) che separa l’estremità dal corpo principale ed il codolo (NAKAGO). Altro elemento importante è la curvatura (SORI) della lama: si misura sulla massima distanza tra il dorso della lama (MUNE) stessa e la linea retta immaginaria che congiunge la punta con l’elso, NAKAGO escluso. Per finire, un paio d’osservazioni. Non è pensabile che tutte le lame delle armi giapponesi siano il prodotto dell’accurata opera di un insigne artigiano o di un Maestro affermato. Ci sono periodi, nella storia giapponese (per esempio nel Periodo Muromachi, 1392-1573), in cui la domanda è altissima, sia per uso interno sia per l’esportazione in tutta l’Asia (30.000 spade in una sola ordinazione dalla Cina). Si può allora ipotizzare una produzione “a catena”, con gli apprendisti che si occupano delle operazioni minori ed il Maestro che interviene per i lavori che richiedono particolare abilità, come la tempera, ma senza nemmeno avere il tempo per trasmet-tere ai discepoli tutti i segreti dell’arte. Solo per ordinazioni particolari, in numero limitato, la lama di una spada subisce il lungo – talvolta un intero anno, addirittura – procedimento rituale, che la porta ad essere, anche, un’opera d’arte. Non si dimentichi, infine, che già nel 1600 i segreti degli antichi fabbricanti di spade sono per-duti. Per sempre, purtroppo. Tant’è vero che le lame sono classificate in base al periodo di fabbricazione, con quelle più antiche considerate veri e propri “tesori nazionali”. La classificazione è la seguente: KO-TO, “spade antiche” o “vecchie lame”: forgiate dal 900 circa fino al 1530 (oppure al 1603, secondo fonti

diverse). Il Governo giapponese fa di tutto per reperirle, ovunque, e conservarle nei musei del Paese. SHIN-TO, “spade nuove”; “nuove lame”: forgiate dopo il 1530 (o 1603), fino al 1867. SHIN-SHIN-TO, “spade nuovissime”; “nuovissime lame”: forgiate dopo il 1867.

Per finire, ecco l’opinione sulle spade di valore eccessivo, contenuto nelle “Leggi familiari” del Daimyo Asakura, 1480 circa: «Non desiderate eccessivamente pugnali e spade di maestri famosi. Se anche possedete una spada che vale 10.000 MON, tale valore può essere sconfitto da cento lance del valore di 100 MON l’una. Usate quindi i 10.000 MON per ottenere 100 lame, e con queste armate 100 uomini. Così potrete difendervi in guer-ra». MAESTRO. – Come sostantivo, per il dizionario – tra numerosi altri – ha significato di persona che conosce profondamente qualche cosa, qualche disciplina, ed è tanto preparata e abile da poterla insegnare ad altri. È anche chi, con l’insegnamento, l’esempio, le opere, gli scritti, riesce a fondare una scuola, a costituire nuove correnti di pensiero, filosofie o movimenti religiosi, a proporsi come modello agli altri, diventando un capo, una guida; è un qualcuno che dà prova di grande accortezza, che possiede abilità, destrezza e altre simili qualità. L’origine della parola è latina: magistrum, derivato di magis, “più”, “che vale di più”. Chi è “maestro” – e il di-scorso, in questo caso, si limita alle Arti Marziali – pertanto, non solo ha l’obbligo di “saperne di più”, ma deve

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anche essere capace di trasmettere la sua conoscenza agli allievi, spronandoli, motivandoli, consolandoli e condividendo, senza riserve, sia ciò che già conosce sia tutto quello che ancora ha da imparare. MANTRA. – (sanscrito) “Strumento del pensiero”. È una formula rituale, mistica, cui si attribuisce un valore evocativo, quasi magico. Nel Buddismo ed altre pratiche orientali, come Yoga, TANTRISMO eccetera, la recita-zione dei MANTRA è associata alla meditazione. Nel Buddismo esoterico e nella pratica d’alcune Arti Marziali, i MANTRA (recitati contemporaneamente all’esecuzione di gesti delle mani, mudra) contribuiscono alla concentra-zione. MASSELLO. – Parte del fornimento d’arma bianca manesca. È formato da un blocchetto di metallo, trapassa-to dal codolo della lama, il cui tallone vi s’appoggia, spesso inserito in una sede apposita. Inizialmente è solo un elemento intermedio, posto tra lama e impugnatura, ma poi, con la comparsa dell’elso, si caratterizza: dal massello si estendono i bracci dell’elso e tutti gli altri elementi destinati alla difesa della mano. MERCANTE. – Si veda la voce “Classi sociali”. MUDRA. – (sanscrito; giapponese: IN) Gesti mistici delle mani. Derivano dal Buddismo esoterico, secondo il quale la posizione delle dita e delle mani (ed anche i gesti con le mani compiuti) simboleggiano tanto i poteri occulti e le virtù di una divinità quanto la divinità stessa. Non solo: la corretta esecuzione dei mudra consente di acquisire ed esercitare i poteri e le virtù di cui sopra. L’esecuzione dei mudra deve essere accompagnata da apposite vocalizzazioni o dalla recitazione di MANTRA, a voce alta o bassa. È notevole lo sforzo di concentra-zione richiesto per praticare alla perfezione questi esercizi, patrimonio, una volta, di YAMABUSHI, iniziati di sette esoteriche (come TENDAI e SHINGON) e mistici. Alcune scuole d’Arti Marziali adottano la recitazione di MANTRA e l’esecuzione di mudra (soprattutto KUJI-KIRI) come pratica per il controllo della paura e dell’emotività degli al-lievi (oltre che per far loro acquisire virtù particolari, magiche). NIRVANA. – (sanscrito) “Estinzione”. È lo stato di beatitudine, di perfetta tranquillità: l’ultimo stadio della per-fezione cui tende l’essere umano nelle tre grandi religioni indiane (Buddismo, Giainismo, Induismo), pur con at-tributi trascendenti e descrittivi in parte differenti. NOMI. – La regola anagrafica giapponese prevede che il cognome (nome della famiglia) preceda sempre il nome proprio. Anticamente, solo i SAMURAI d’alto rango ed i nobili che appartengono ad un Clan importante o ad una grande Famiglia o che rivestono cariche ufficiali hanno diritto al cognome ereditario. Tutti gli altri devo-no accontentarsi di nomignoli o soprannomi di fantasia [si, veda, per esempio, BONGE], cui si accompagna un nome proprio che, spesso, cambia in relazione all’età, alle eventuali “imprese” compiute, all’occupazione. Ac-cade spesso, in campagna, che tutti gli abitanti di un villaggio siano designati con nome della località: il topo-nimo diventa così un vero e proprio cognome, che accomuna gli individui per luogo di nascita e non per vincolo di parentela. Il nome completo di un nobile è composto dalla denominazione del Clan, dal ruolo o carica all’interno del Clan stesso, dal nome della Famiglia ed infine dal nome proprio (ma anche i nobili cambiano il nome proprio durante il corso della vita). Oggi, dopo il cognome ufficiale (di solito uno solo, per fortuna) od il nome proprio, in segno di rispetto si usa – indifferentemente per uomini o donne – il suffisso SAN o SAMA. Un caso particolare ed ancora attuale è quello dei SUMOTORI (i lottatori di SUMO) d’alto rango: ognuno di loro – cui ci si rivolge con il suffisso seki o zeki, in luogo dell’ordinario SAN – possiede, oltre al proprio, un nome poetico “di battaglia” (shikona, che generalmente termina con il suffisso HAMA, spiaggia; RYU, drago; KAWA, fiume; YAMA, montagna; eccetera) ed un altro, che usa da quando, ritiratosi dall’attività agonistica, ha diritto al titolo di toshi-yori. OMMYODO. – È la “dottrina dei contrari”, tipica della cosmogonia orientale. Il concetto espresso (come quasi tutto ciò che riguarda le teorie orientali) è semplice e complesso nello stesso tempo: nulla esiste se non in virtù dell’incessante azione reciproca dei due principi fondamentali, Yin e Yang, le categorie antitetiche e comple-mentari che polarizzano tutta la realtà. Yang e Yin si esprimono rispettivamente nell’opposizione (che è pure integrazione) maschile/femminile, luce/oscurità, sole/luna, positivo/negativo, attivo/passivo, caldo/freddo e così via. Yang (giapponese YO) è il principio maschile, l’inizio delle cose, l’attività. Yin (giapponese IN) è il principio femminile, la fine delle cose, la passività. Yin e Yang regolano il ritmo vitale dell’universo, dell’uomo e d’ogni cosa e si esprimono nel simbolo del Tao cinese. Il simbolo del Tao è un cerchio, in cui una linea sinuosa sepa-ra due parti, una bianca e una nera, ciascuna contenente entro di sé il germe del proprio opposto: la bianca un

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punto nero, la nera un punto bianco. Ciò significa che nulla può essere totalmente Yang, nulla del tutto Yin, ma ogni cosa contiene una parte, sia pur piccola, del proprio contrario. Nelle due tabelle che seguono sono esem-plificate due classificazioni – nelle categorie Yang/Principio maschile e Yin/Principio femminile – sia di co-se/concetti sia dell’AIKIDO.

PRINCIPIO MASCHILE PRINCIPIO FEMMINILE Emissivo - Ricettivo

Attivo - Passivo Positivo - Negativo

Dare - Prendere Padre - Madre Cielo - Terra

Punto - Circonferenza Verticale - Orizzontale

Luce - Buio Elettricità - Magnetismo

Freddo - Caldo Esterno - Interno

Duro - Soffice Analisi - Sintesi

Numero 1 - Numero 0 Coltello - Cucchiaio

Naso - Mento Fronte - Occhi

Dita - Palmo Emisfero cerebrale sx - Emisfero cerebrale dx

PRINCIPIO MASCHILE PRINCIPIO FEMMINILE Attivo - Passivo

Maestro - Allievi TACHI WAZA - USHIRO WAZA

OMOTE - URA IRIMI - TENKAN TORI - UKE

MAE UKEMI - USHIRO UKEMI Esperto - Principiante Tecnica - Saluto

SHO MEN UCHI - YOKO MEN UCHI KATA TE DORI AI HANMI - KATA TE DORI GYAKU HANMI

BOKKEN - JO Linea - Cerchio

Apertura - Chiusura Lato destro - Lato sinistro

Testa - Ventre Tensione - Rilassamento

Espirazione - Inspirazione … - …

PALVESE o PAVESE. – È un grande scudo rettangolare, inizialmente di legno e poi di metallo, destinato alla protezione d’arcieri e balestrieri. Al centro, all’interno, è presente una scanalatura verticale (“canala”) – cui, di solito, corrisponde un rigonfiamento esterno – entro cui scorre un’asta che, infissa nel terreno, sostiene lo scudo. Il bordo superiore (talvolta anche l’inferiore) è arrotondato, i lati sono dritti o s’allargano un po’ in bas-so. Il palvese, detto anche targone o tavolaccio, è trasportato poggiandolo sul dorso e reggendolo con un paio di catene o corregge attorno alle spalle. PIATTO. – Parte d’arma bianca. È la superficie – spesso piana, altrettanto spesso con sguscio o scanalatura – che completa la lama, unitamente alla costa e al taglio. POMO. – Parte d’arma bianca. È la parte terminale dell’impugnatura, che svolge funzione di bilanciamento o equilibratura o di più salda presa. Può essere a disco, lenticolare, cilindrico, ad anello (chiuso o trapassato), a pera; piatto, rigonfio; a forma di testa d’animale o di cappetta e così via. PREISTORIA. – Periodo che, convenzionalmente, abbraccia circa 2 milioni di anni, dalla comparsa dell’uomo sulla Terra ai secoli della civiltà numerica. Convenzionalmente precede l’invenzione della scrittura e l’affermazione della civiltà urbana ed è documentata solo da reperti paleontologici e paletnologici. Secondo uno schema proposto nel secolo XIX, la preistoria è suddivisa in “età”: della pietra (in seguito ancora ripartita in paleolitico, mesolitico, neolitico, calcolitico), del bronzo, del ferro. Lo schema è molto “eurocentrico” ed è stato adattato poi, con difficoltà, a tutte le aree della Terra, nonostante in vaste zone del mondo manchino al-cune fasi (in America manca sia un´età del bronzo sia un´età del ferro, per esempio, mentre nell’Africa subsa-hariana non c’è l´età del bronzo, eccetera) e queste non si siano sviluppate in contemporanea. Diverge poi, di molto, l’epoca del passaggio dalla preistoria alla storia – attraverso la protostoria – nelle varie regioni (IV mil-lennio a.C. per Mesopotamia ed Egitto, VIII-VII secolo a.C. per l’Italia, ecc.). Le età paleolitica e mesolitica si distinguono per un’economia basata su caccia e raccolta (nomade), mentre agricoltura, allevamento (stanziali) e, conseguentemente, primi agglomerati urbani, datano dal neolitico, che normalmente si fa coincidere con l’inizio della fase storica. L’epoca preistorica, da quanto ne sappiamo, si caratterizza dalla mancanza (oltre che della scrittura) sia di una precisa suddivisione sociale del lavoro sia di vere e proprie classi sociali; sono

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assenti, anche, organismi politici superiori al piccolo villaggio autosufficiente. Dal punto di vista artistico, tipica manifestazione della preistoria sono le incisioni rupestri, i cui reperti più antichi finora scoperti datano a partire dal IX millennio a.C. PROTOSTORIA. – Periodo di tempo intermedio tra la preistoria e la storia. Il termine, la cui definizione scien-tifica non è univoca, è generalmente impiegato per indicare i secoli immediatamente precedenti la comparsa delle prime testimonianze della scrittura (in Egitto, Mesopotamia e Cina, tra il IV ed il II millennio a.C.). A cau-sa delle profonde divisioni cronologiche esistenti tra le varie zone della terra nel passaggio dall’età preistorica a quella storica, la protostoria ha datazione e ampiezza differente a seconda della regione cui si riferisce. PUNTALE. – Fornimento metallico d’arma bianca. Spesso appuntito, protegge il fondo di un fodero o di una guaina. Nelle armi lunghe, quando c’è il rischio che striscino per terra, è spesso munito di bottoncino o anello oppure di un segmento modellato (detto cresta). Nelle armi in asta è una punta di ferro, ottusa, unita al cal-zuolo quale riparo aggiuntivo per la parte appoggiata a terra; talvolta è ben aguzzo, in modo da fungere da punta supplementare, quando necessario. QUARANTASETTE RONIN. – Gregari del DAIMYO Asano Naganori (1667-1701). La vendetta da loro portata a termine per vendicare la morte del padrone scuote il Giappone (dove è conosciuta come AKO-GISHI, “Storia dei Valorosi di Ako”) dell’epoca, facendo ben intendere come i SAMURAI interpretano il BUSHIDO. Asano Naga-nori, di un ramo cadetto degli Asano, possiede un feudo (HAN) da 55.000 KOKU ad Ako, provincia di Harima. Nel 1700 è incaricato d’occuparsi delle spedizioni alla Corte di TOKUGAWA TSUNAYOSHI, a EDO, assieme al “Maestro delle Cerimonie” Kira Yoshinaka. L’uso prevede che al “Maestro” siano fatti doni in cambio di consi-gli per evitare errori d’Etichetta, ma Asano non fa alcun regalo e Kira non perde occasione per farsi beffe di lui. All’ennesimo rimbrotto, fatto addirittura in pubblico, Asano perde la pazienza, estrae il WAKIZASHI e ferisce Kira alla fronte. Estrarre un’arma alla presenza dello SHOGUN è considerato gesto gravissimo, tanto che ad Asano, bandito dalla Corte, è confiscato l’HAN e lui è “invitato” a compiere SEPPUKU. I suoi gregari, quarantasette in tutto, ridotti alla condizione di RONIN, complottano sotto la guida del loro capo OISHI YOSHIO, ma, per non desta-re sospetti, si disperdono ed apparentemente si dedicano a tutt’altre attività (OISHI, addirittura, si finge alcoliz-zato). Dopo due anni di simulazione, nella notte del 14 dicembre 1702, i quarantasette si riuniscono ed assal-gono la residenza di Kira Yoshinaka; OISHI YOSHIO, mozzato il capo di Kira, lo depone sulla tomba di Asano, a riprova del dovere compiuto e poi si costituisce assieme ai quarantacinque compagni sopravvissuti. Le autori-tà sono in grande imbarazzo: OISHI YOSHIO è stato allievo di YAMAGA SOKO, la cui opera [si veda BUSHIDO] è considerata essenziale nell’interpretazione della vera “Via del Guerriero”, soprattutto dove richiama al GIRI; come conciliare la missione assolta “per dovere”, da veri SAMURAI e che merita un premio, e l’omicidio com-messo, che deve essere punito? Il BAKUFU decide di applicare la legge, per non correre rischi dando approva-zione ad una vendetta: ai “Quarantasette RONIN” è ordinato il SEPPUKU, che essi compiono, il 4 febbraio 1703, sulla tomba di Asano. Ancora oggi la memoria dei “Quarantasette RONIN” è viva, la loro fine esaltata come impresa guerriera tipica del BUSHIDO e la loro tomba, nel giardino del tempio Sangaku-ji a Tokyo, onorata con fiori e sacrifici. Un particolare, forse, spiega ancor meglio i motivi della vendetta. Asano Naganori, come molti altri DAIMYO, ha emesso biglietti di banca (è assai costosa, la vita a EDO), garantiti in oro; quando la sentenza contro il suo Signore è pronunciata, OISHI YOSHIO ne esamina il tesoro e scopre che l’oro a garanzia copre so-lo il 60% dei biglietti di banca. Rientrato a precipizio al Castello di Ako (400 miglia in cinque giorni), riesce a cambiare le banconote a quel tasso, permettendo di salvare il salvabile, prima che l’ordine di confisca sia ese-guito. RAZZA o RAJA – Genere di pesce cartilagineo, delle specie Rhinobatus, dal corpo piatto, lungo fino a 2,5 metri, di forma romboidale o discoidale per il notevole sviluppo delle pinne pettorali, aderenti al capo e al tron-co. Occhi e spiracoli si trovano nella parte dorsale, più scura e spesso mimetica; bocca e fessure branchiali sono in quella ventrale, liscia e chiara. La pelle di questi pesci è ricoperta da fitti tubercoli calcarei levigati; ciò la rende non solo resistente, ma anche ben aderente al contatto e le conferisce un bell’aspetto. La qualità del SAMÉ dipende sia dal colore sia dalle dimensioni delle protuberanze e dalla loro distribuzione SCIABOLA. – È un’arma bianca, da taglio e da punta, con lunga lama più o meno curva, affilata nella parte convessa. [si veda la voce “spada”]

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SCIAMANESIMO. – Insieme di pratiche magico-religiose, ancora oggi tipico di popolazioni – cosiddette primi-tive – in Asia centrale, Siberia, Australia, Africa, Americhe. La figura centrale è lo sciamano [dal sanscrito sra-mana], sorta di tramite, intermediario, tra gli esseri umani e l’Universo (ed i mondi “al di là”), che spesso svolge le proprie funzioni oracolari e divinatorie in stato di trance. Lo sciamano – che è anche erborista e mago, psi-cologo e sacerdote – è dotato di poteri eccezionali ed è in grado di controllare e utilizzare energie solo a lui note, che egli mette al servizio della comunità: guarisce le malattie, scaccia gli spiriti maligni, aiuta a ritrovare oggetti smarriti, accompagna le anime nel mondo dei morti, interpreta i sogni. SGUSCIO. – Scanalatura, solco incavato per un tratto della lunghezza di una lama. Serve non solo per alleg-gerire la lama e renderla più elastica, ma anche per far entrare aria nella ferita inflitta, rendendone più agevole il ritiro. Può anche avere scopo decorativo, in aggiunta ai precedenti. SHAO LIN-SI. – “Piccola Foresta”. Tempio e monastero buddista cinese. Secondo la tradizione è Xiaowen, re di Wei, che nel 495, per onorare il monaco buddista indiano Batuo (Fo Tuo in cinese), fa erigere un tempio alle pendici dei modesti rilievi di Song Shan (“Montagne Centrali”), nella provincia di Henan. Nella stessa zona già esistono templi taoisti, risalenti all’età dei “Regni combattenti” (475-221 a.C.), dove gli uomini di guerra spesso si ritirano per meditare, insegnare le Arti Marziali e praticare esercizi destinati alla ricerca della longevi-tà. Laggiù, al centro della circonferenza formata da quattro delle maggiori catene montuose cinesi, sorge il monastero della “Piccola (o Giovane) Foresta”, Shao Lin-si. È formato da una stupa, una struttura rotonda, che funge da santuario e da una terrazza, sopra la quale i monaci indiani traducono in cinese la letteratura buddista ed i SUTRA. In questo tempio soggiorna, nella seconda metà del V secolo, Bodhidharma e, oltre che insegnare tecniche di respirazione ed esercizi destinati a fortificare spirito e corpo dei monaci, vi fonda la pro-pria scuola di filosofia, il Buddismo ZEN (Chan in cinese).

SHIATSU. – “Tecnica della punta del dito”. Tecnica digitopressoria, da SHI (dito) e ATSU (premere). È un mas-saggio eseguito premendo, con dita, palmi, gomiti sia i “meridiani” [Canali Energetici] sia particolari punti corri-spondenti ai TSUBA dell’agopuntura. Le pressioni possono essere puntuali o lineari e servono – come in ago-puntura, ma senza aghi – a tonificare l’energia circolante (KI) piuttosto che a disperderla, se in eccesso. L’effetto può essere antalgico, rinvigorente (per azione nervosa riflessa) o terapeutico. SHINTOISMO o SCINTOISMO. – Religione nazionale del Giappone, anteriore al Buddismo, fondata sul culto delle forze naturali e sull’origine divina dell’Imperatore. L’origine del Giappone nella mitologia scintoista. Spiriti e divinità, nella mitologia scintoista, abitano sia il Cielo sia la Terra, mondi collegati fra loro da un fantastico ponte, la “Gradinata del Cielo”. Il Cielo o, per me-glio dire, “gli Altipiani del Cielo” (Taka-ama-hara), sono pensati come uno spazio immenso, attraversato dal fiume della Via Lattea, sulle cui sponde conversano e si consultano i KAMI. Le divinità della Terra possono sa-lire al Cielo percorrendo la “Gradinata”. In principio, Cielo e Terra sono uniti in una massa caotica, a forma d’uovo, con i margini incerti. Il Cielo deriva dalla parte più chiara, e pura, di questo “uovo cosmico”, mentre quella più pesante, più massiccia, che si consolida lentamente, diventa la Terra. Le divinità più antiche sono concepite come “single”, le coppie arrivano più tardi. All’inizio si conoscono appena cinque dei ed i primi tre hanno origine dalla divisione dell’”uovo cosmico”. La prima divinità che si forma è quella del centro del Cielo [riflette il concetto cinese del Cielo, T’ien, che influenza la cosmogonia giapponese ed è forse all’origine del termine nipponico TENNO per Imperatore], mentre le altre due rappresentano l’Energia ed il Potere Generativo (o Evoluzione Creativa) che, nell’oceano di fango originario, attraverso una sostanza simile al giunco – simbo-lo della vita germogliante – dà la vita a tutte le cose. Il gruppo di questi cinque dei (che costituiscono le “Divi-nità Celesti Separate”) è d’una categoria speciale, quella degli “Dei Celestiali”. Seguono sette generazioni di divinità celesti (con nomi diversi secondo le fonti): due singole, cinque a coppie. L’ultima coppia, quella tem-poralmente più vicina a noi, ha un nome uguale per tutti, IZANAGI-NO-MIKOTO (il principio maschile) e IZANAMI-NO-MIKOTO (quello femminile): i creatori dell’arcipelago giapponese, nato grazie alla “Lancia Gioiello del Cielo” (NU-BOKO) scagliata nell’oceano. IZANAMI, partorendo il fuoco, si brucia, muore e si ritrova nel “Luogo delle Radici”, oscuro e profondo. IZANAGI non riesce a vivere senza di lei e può salvarla, con la forza del suo amore, a patto che non la osservi nel “Luogo delle Radici”; perciò la segue, per riportarla alla vita. Con un dente del suo pettine magico, però, si fa luce e vede il corpo corrotto della compagna IZANAMI. Sconvolto e atterrito, fugge, incontrando ostacoli ed affrontando lotte, tutte vinte. Giunto nell’isola di Kyushu, IZANAMI si bagna nel fiume Otto, per purificarsi. È in questo momento che nascono altre divinità: quando si lava l’occhio sinistro,

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scaturisce il Sole, la “Grande Augusta Dea che Illumina il Cielo” (AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI); quando si lava l’occhio destro, genera la Luna, il dio “Padrone delle Notti di Luna” (TSUKI-YOMI-NO-KAMI); quando si soffia il na-so, infine, nasce “Sua Altezza il Maschio Violento”, l’uragano (TAKE-HAYA-SUSA-NO-WO-MIKOTO o, semplicemen-te, SUSA-NO-WO). Secondo il volere d’IZANAMI, AMA-TERASU deve governare il cielo, TSUKI-YOMI il regno della notte, mentre spetta a SUSA-NO-WO il dominio dei mari e di tutte le cose profonde. Scontento, quest’ultimo si accorda con la sorella Ama-terasu e, insieme, fanno nascere otto principi (per la tradizione, gli antenati delle Famiglie aristocratiche), tre divinità femminili dalla spada di SUSA-NO-WO e cinque divinità maschili dai gioielli di AMA-TERASU. Ancora non soddisfatto, SUSA-NO-WO compie azioni riprovevoli (peccati “celesti”) contro AMA-TERASU, arrivando a gettare un cavallo scorticato nella sala dove lei, con altre divinità, tesse abiti per gli dei. AMA-TERASU, indignata, si rinchiude in una grotta e lascia il mondo al buio; vani tutti gli altri tentativi per farla uscire, la dea Izume inizia a danzare in modo così goffo da far ridere tutti gli dei. Incuriosita, AMA-TERASU s’affaccia dalla grotta: il dio Taji-kara-wo “dalla mano forte” l’afferra e la luce ritorna. Naturalmente SUSA-NO-WO è punito: strappatigli le unghie di mani e piedi, è per sempre bandito dal Cielo. Disceso sulla Terra ad I-zumo, di fronte alla Corea, SUSA-NO-WO si riscatta dal male commesso aiutando due vecchi, dai quali un ser-pente ad otto teste pretende, ogni anno, una figlia. Ubriacato il mostro col SAKÈ, lo uccide, lo squarta e all’interno, verso coda, trova una spada, una delle insegne del potere imperiale. Sposata la sopravvissuta ul-tima figlia dei vecchi, la non bella Kushinada, ha da lei un figlio; si risposa poi con la figlia di una divinità, a-vendone altri due rampolli. Di generazione in generazione, da SUSA-NO-WO s’arriva al “Signore del Gran Pae-se”, O-kuni-nushi (chiamato anche O-na-muji, “Colui che ha un Gran Nome”), Signore di Izumo. AMA-TERASU, nel frattempo, ha deciso di affidare il governo del Giappone ad Ama-no-oshi-ho-mimi-no-mi-koto (“Sua Altezza dalle Grandi Orecchie Celesti”), uno dei cinque figli, generati dai suoi gioielli grazie a SUSA-NO-WO. In quel pe-riodo, il Giappone è in preda di lotte, rivolte, disordini; per riportare la pace, scendono sulla Terra il dio del tuo-no (Take-mika-zuki) e quello del fuoco (Futsu-nushi), che “convincono” il Signore di Izumo e suo figlio a cede-re il trono ad Ama-no eccetera. Ama-no eccetera, però, rinuncia al trono a favore del figlio Ninigi, il quale scende dal Cielo portando le tre insegne del potere imperiale, avute dalla nonna AMA-TERASU: i gioielli curvi, lunghi otto piedi; lo specchio lungo otto ata (vale a dire otto volte la distanza tra la punta di medio e indice, al-largati al massimo); la “Spada che Taglia l’Erba”, la stessa estratta da SUSA-NO-WO (lo zio) dal corpo del ser-pente con otto teste [ancora oggi le tre sacre insegne sono conservate nel Tesoro imperiale e nei templi di Ise e di Atsuta]. Ninigi sposa Sakuya-hime, figlia di un KAMI locale, ma questa, la prima notte di nozze, già gli par-torisce un figlio! Dubitando della paternità, Ninigi ricorre alla prova del fuoco, ma tra le fiamme la moglie mette al mondo altri tre figli, cui sono imposti i nomi di Ho-deri (“Splendore del fuoco”), Ho-suseri (“Fuoco vivo”) e Ho-wori (“Fuoco morente”). Ho-suseri e Ho-wori, diventano l’uno pescatore e l’altro cacciatore, ma pensano bene di scambiarsi gli attrezzi del mestiere. Ho-wori perde l’amo e, cercandolo, giunge al palazzo del dio del mare, della cui figlia s’innamora, tornando con lei sulla terra. Al momento di partorirgli un figlio, la sposa chie-de a Ho-wori di costruirle una capanna e di allontanarsi. Lui, curioso, sbircia dentro e s’accorge che la moglie si trasforma in mostro marino; lei, per la vergogna, fugge. Del bambino si prende cura la sorella di lei, che poi finisce per sposare Ho-wori, dandogli altri quattro figli. L’ultimo di questi è JIMMU TENNO, il “Divino Imperatore Guerriero” che, nello YAMATO, l’11 febbraio 660 a.C., fonda la Dinastia imperiale ancora oggi sul trono. In effetti, la complicata storia sopra riportata, nasce dalla fusione di due distinti cicli epici. I cicli appaiono chia-ramente legati all’invasione dell’arcipelago giapponese da parte di flussi migratori provenienti da opposte dire-zioni: popoli di ceppo mongolo giungono dal continente attraverso la Corea, mentre gruppi indonesiani arriva-no dal Sud, attraverso Taiwan e le isole Ryukyu. Dobbiamo al flusso “settentrionale” la leggenda – chiaramen-te improntata a modelli cinesi – dell’”uovo cosmico”, della divinità al centro del Cielo, d’IZANAGI-NO-MIKOTO (il principio maschile) e IZANAMI-NO-MIKOTO (il principio femminile), fino ad arrivare ad AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI. Il flusso “meridionale” si lega al precedente attraverso la narrazione delle vicende d’AMA-TERASU e dei suoi di-scendenti, fino a giungere al “Divino Imperatore Guerriero” JIMMU TENNO che fonda la Dinastia imperiale. Il tempio scintoista. Anticamente non si avverte l’esigenza di erigere templi alle divinità. Lo Scintoismo ha una base naturalistica, considera la natura come ambiente adatto allo svolgimento dei riti, quindi è sufficiente delimitare, con pietre, zone sacre all’interno dei boschi. In seguito sorgono recinzioni di legno, con al centro un albero sacro, il sakaki, mentre si stendono corde decorate con bandierine di carta colorata (shide). Più tar-di, i templi sono concepiti come abitazioni degli antenati e quindi mutuati dalle capanne dell’epoca YAYOI: edi-fici lignei semplici e austeri, poggianti su una piattaforma sopraelevata e con tetti spioventi, che contengono e proteggono l’oggetto del culto; soltanto in seguito viene aggiunta una sala per i visitatori; anche il portale (TO-

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RII) è semplice e lineare. Una gerarchia esiste anche fra i templi: ve ne sono di nazionali (come Ise), provin-ciali, distrettuali e locali. Caratteristica essenziale del tempio SHINTO, oltre alla struttura lignea, è che ogni vent’anni è demolito e ricostruito; il legno vecchio è utilizzato per fabbricare oggetti sacri destinati ai fedeli. Il clero scintoista. I KANNUSHI, i sacerdoti scintoisti, vivono appartati (quasi evitati dalla gente dei villaggi), mangiano cibo puro ed evitano contatti con i malati, il sangue, i cadaveri, tanto che, generalmente, sono i reli-giosi buddisti a prendersi cura dei defunti. I KANNUSHI non costituiscono una casta, ma sono semplicemente dei funzionari, non tenuti al celibato, che esercitano la funzione (ereditaria) di custodire un tempio. Durante i riti indossano gli abiti dell’antica Corte imperiale. Otto sono i livelli della gerarchia, in rapporto all’importanza del tempio amministrato. Lo Scintoismo non ha organizzazioni monastiche. Le funzioni scintoiste. Le pratiche pubbliche di culto – invero assai limitate – consistono soprattutto nelle pu-rificazioni rituali [si veda HARAI, MISAGI, IMI] e nel tentativo di richiamare (con inchini, battito di mani, danze sa-cre) l’attenzione degli spiriti, elevando anche preghiere (alcune anche d’influenza buddista). I KAMI sono vene-rati – e non adorati – nei templi e santuari a loro dedicati. Nella casa giapponese, oltre all’altare per gli ante-nati, molto spesso esiste anche una piccola ara (KAMI-DANA), dedicata ad un KAMI particolare, protettore della famiglia – spesso è proprio un avo divinizzato – e collocato in un luogo peculiare. È davanti a questi altari che la famiglia celebra le cerimonie religiose private, comunemente evocazioni mitologiche della vita dei KAMI, ac-compagnate da offerte rituali. Altrettanto spesso, accanto a questi due si trova anche un altare buddista (non si sa mai…). Lo Scintoismo non richiede una fedeltà assoluta e riconosce una larga libertà di culto. Non c’è alcun servizio religioso a cadenza fissa, tranne l’HARAI collettivo, il 30 giugno ed il 31 dicembre, ed il quotidiano MISAGI (ma questo è più abitudine che rito.). Il fedele visita il tempio SHINTO secondo desiderio o necessità, ma altrettanto liberamente può frequentare i luoghi di culto d’altre fedi. Normalmente i Giapponesi si recano al tempio scintoista per le nascite e lieti eventi in genere (attribuiti ai KAMI), mentre per i decessi e altre circostan-ze tristi vanno in quello buddista. SINCOPE. – Arresto delle funzioni vitali (cardiaca, respiratoria). In generale, si parla di sincope alla presenza di una grave diminuzione delle funzioni vitali; tale riduzione porta ad uno stato di morte apparente, spesso ra-pidamente irreversibile in mancanza di rianimazione. Si riconoscono, secondo la gravità, diversi tipi di sinco-pe: stato sub-sincopale preliminare: la perdita di coscienza non è totale, ma il paziente è prostrato, suda, si la-

menta e – se la causa è un colpo a testicoli o plesso solare – è concentrato sul dolore e gli manca l’aria; sincope primaria con spasmi: perdita di coscienza; scosse di tipo epilettico, movimenti disordinati e sobbal-

zi, normalmente circoscritti alle gambe; muscoli contratti, respiro bloccato in inspirazione forzata (torace gon-fio); sincope secondaria con rilassamento: muscoli atonici, sfinteri rilassati, labbra e palpebre aperte, con pupille

dilatate; pelle da fredda a livida, polso e battito non percettibili; mancano movimenti respiratori; torace bloccato in espirazione. SNAPHANCE. – Sistema d’accensione delle armi da fuoco. Il cane stringe tra due ganasce un pezzo di selce o pirite che, quando il cane colpisce la martellina (lamina d’acciaio imperniata sopra lo scodellino, contenente la polvere d’innesco), provocano scintille. Il sistema, in Europa, risale alla prima metà del ‘500; in Giappone non è stato mai utilizzato. SPADA. – È un’arma bianca, da punta e da taglio, costituita da una lama d’acciaio rettilinea, appuntita e con uno o due fili.

– Il riferimento che, in AIKIDO, spesso si fa alla spada (quella giapponese, DAI-TO, da impugnare a due mani), deriva dal fatto che molte delle sue tecniche s’ispirano a metodi propri della scherma con quest’arma. Alcuni movimenti richiesti per eseguire diverse tecniche sono gli stessi che fanno i praticanti di Kendo; ad esempio, sollevare un braccio (o entrambe le braccia), sull’asse del corpo: il movimento parte sem-pre dall’HARA, attraverso le anche, che è come se spingessero verso i gomiti, facendoli sollevare. SPALLACCIO. – Parte dell’armatura: protegge spalla e braccio, fin sopra il gomito. SVASTICA. – Antico simbolo religioso e magico, composto da una croce con quattro bracci uncinati (ciascuno con un prolungamento ad angolo retto, orientato in direzione antioraria), di uguale lunghezza. È una metafora di vita, rappresentando sia il movimento solare (la ruota del sole) sia le quattro direzioni cosmiche (simbolo

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spaziale) che le quattro stagioni (simbolo temporale). La svastica – che è propria di numerose culture di cep-po linguistico indoeuropeo ed è diffusa dall’Asia centrale al Mar Egeo – è stata assunta quale simbolo di “aria-nità”, all’inizio del secolo XX, da alcuni gruppi antisemiti tedeschi, per diventare poi l’emblema del Partito Na-zional-Socialista germanico. I nazisti, però, hanno orientato in senso orario i bracci uncinati, esprimendo un simbolo di morte, non di vita! TABACCO. – In Giappone compare alla fine del secolo XV, accompagnato da tipiche pipe (KISERU) a cannello lungo (rao; il nome forse deriva dal Laos, luogo di supposta provenienza), con piccolo fornello di metallo (gan-kubi) e bocchino (suikochi). Il BAKUFU di EDO proibisce il fumo nel 1609, sia perché è un’attività antieconomica – e troppi sono gli incendi provocati da fumatori distratti – sia per il disinvolto uso che i fumatori di pipa fanno dei loro lunghissimi arnesi, spesso vere e proprie armi da botta. Nel 1610 è proibita produzione e vendita del tabacco da fumo, che però, da allora in poi chiamato “tè di lunga vita”, continua ad essere coltivato e venduto. TAGLIO. – Parte d’arma bianca. È la parte, assottigliata e tagliente, di uno o entrambi i margini laterali della lama di un’arma bianca manesca e del ferro di una in asta. TALLONE. – È la parte della lama che sporge dal codolo, verso la punta. Non è affilato, si presenta compatto e massiccio; in Occidente, spesso, vi trova posto la firma dello spadaio. TANTRISMO. – Dottrina eterodossa del Bramanesimo. Si tratta, più esattamente, di un insieme di dottrine fondate su testi (Tantra) delle tre correnti dell’Induismo (Shivaismo, Vishnuismo, Shaktismo). Si diffonde dal secolo V ed influenza anche settori del Buddismo, ma perde presto ogni seguito: troppi sono gli elementi con-trari alla morale tradizionale Indù (apertura alle caste inferiori, liceità di determinate pratiche sessuali, assun-zione di carne e vino eccetera). Alcuni aspetti della dottrina, però, sono acquisiti nella religione ufficiale, come la recitazione dei mantra. - Brahma: dio del pantheon Indù. È la personificazione del brahman (l’entità pura, immutabile ed eterna, prin-cipio e fine di tutto ciò che esiste) ed è associato a Shiva e Vishnu nella Trimurti. Non è molto in voga nel cul-to popolare, per il suo carattere astratto. - Bramanesimo (o Brahmanesimo): è un complesso di dottrine filosofico-religiose ed ordinamenti politici e so-ciali, elaborati nei secoli X-VI a.C. dalla casta dei bramini, in India. Si fonda principalmente sulla gerarchia del-le caste (bramini; ksatrya, guerrieri con potere politico; vaisya, contadini e artigiani; sudra, gli impuri), sulla legge della reincarnazione e sulla dottrina del sacrificio. - Bramino (o brahmano): membro della una casta sacerdotale indiana. I bramini (che anticamente hanno il monopolio dell’istruzione) sono da sempre i detentori della scienza sacrificale, ovvero della facoltà di piegare gli dei ai voleri dell’uomo. Si affermano come casta dominante in India nel secolo X a.C. e la loro supremazia è contrastata (tra i secoli. VI e V a.C.) dal diffondersi di Buddismo e Giainismo. - Shiva: divinità suprema dell’Induismo. È associata a Brahma e Vishnu nella Trimurti. Figura ambivalente e misteriosa, è la potenza cosmica che ora crea il mondo con la sua danza sfrenata, ora lo distrugge per ricrear-lo. Sua rappresentazione simbolica è il lingam (“fallo”). - Shivaismo: è una delle tre correnti dell’Induismo, assieme a Vishnuismo e Shaktismo; i suoi seguaci adora-no Shiva come dio supremo. Si diffonde in tutta l’India nei primi secoli d.C. ed è già documentato nel Maha-bharata. - Vishnu: divinità vedica, associata a Brahma e Shiva nella Trimurti. Collegata ad antiche divinità (preariane) di tipo solare, ha assunto la funzione di conservare e armonizzare il cosmo. Tra le sue numerose reincarna-zioni (avatara), Rama e Krishna sono le più popolari e venerate. Generalmente è rappresentato con quattro mani che reggono una conchiglia, un disco, una mazza e un fiore di loto. - Vishnuismo: è una delle tre correnti dell’Induismo, assieme a Shivaismo e Shaktismo. Diverse sette convi-vono al suo interno, e tutte venerano Vishnu come dio supremo. Risale a prima del secolo XIII. - Shakti: è termine sanscrito che indica la divina energia creatrice, spesso impersonata dalla divinità madre, in particolare dallo Shaktismo. - Shaktismo: è una delle tre correnti dell’Induismo, assieme Vishnuismo e Shivaismo; i suoi seguaci conside-rano la Shakti quale principio assoluto, identificandola con la sposa di Shiva. TAO o DAO. – (cinese) "Via”, “sentiero"; “scopo”, “mezzo”. È il principio ultimo, al di là della discriminazione tra l’“io” ed il “non-io”. È concetto basilare della filosofia cinese: indica il processo del divenire di tutte le cose –

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esseri viventi compresi – in un´alternanza di Yin e Yang, di forze opposte ma complementari e inseparabili. Il concetto del Tao – che in realtà è indefinibile – si può intendere come un flusso, l’infinito divenire che allo stes-so tempo è “unicità”, immutabile e incondizionata. L’essere umano non è in grado di intendere questa con-traddizione apparente, ma può adattarsi al suo flusso e, con l´aiuto dell’intuizione, comprendere d’essere lui stesso in sintonia con il Tao. Lao Tzu (il Maestro Lao, V secolo a.C.), nel suo sistema filosofico-religioso, lo considera l’indefinibile principio vitale che ha dato origine al cosmo e lo regge, e distingue un Tao noto da un Tao ignoto, innominato e inconoscibile, mistico e soprannaturale: «Lo guardate, ma non riuscite a vederlo! Il suo nome è Senza forma. Lo ascoltate, ma non riuscite a sentirlo! Il suo nome è Senza suono. Lo prendete, ma non riuscite ad afferrarlo! Il suo nome è Incorporeo» [Dio, per caso?]. Il segreto della vita è tutto qui, nella scoperta di questo Tao – allo stesso tempo perfetta attività e riposo perfetto – che mai sarà scoperto, perché noi possiamo solo “raggiungere” il Tao e lo raggiungiamo se “diventiamo come” il Tao: «Chi coltiva il Tao è col Tao; chi pratica la Virtù è con la Virtù e chi va incontro alla Rovina è con la Rovina». La via della rovina è quella dell’ambizione, della condotta sconsiderata, dell’accumulo di “ricchezze estranee”, dell’aggressione, del successo. La via del Tao, invece, è quella della suprema spontaneità, virtuosa in senso trascendente poiché senza sforzo. Il “saggio” è chi ha scoperto il segreto del Tao, ma non per questo acquisisce una conoscenza esoterica che lo rende “più importante” degli altri, anzi. Egli appare, esteriormente, meno notevole, poco visi-bile: «Chi ha trovato il Tao (…) non ha abitazione, e non ha nome sulla terra (…) è dolce come l’oceano, sen-za scopo come la brezza errante». La via del saggio è quella di non affannarsi troppo per raggiungere i propri scopi, dal momento che egli realizza molto, poiché il Tao agisce in lui e per mezzo di lui; il saggio non agisce da sé ed ancor meno per sé solo. TAOISMO. – Scuola filosofica cinese, incentrata sul concetto del Tao. Il Taoismo, a differenza del Confucia-nesimo [si veda], è anche una forma religiosa (perfino magico-esoterica, fondata sulle norme della “non-azione”) e parte dalla natura, non dall’uomo, per sostenere l´aspetto della mente immaginativa e intuitiva, l´introspezione e la spontaneità. Uno dei più importanti libri del Taoismo è il classico Tao Te Ching (o Daode-jing), il “Libro della Via e del suo (nascosto) potere”, conosciuto come “Il Libro del Tao”. È un testo poetico e fi-losofico – ed anche un trattato sull’arte di governare – attribuito al mistico Lao Tzu (il Maestro Lao). Nel libro ritroviamo una saggezza che conduce allo ZEN ed alla sua trasmissione senza “Ching” [parola cinese che tra-duce non solo il termine “classico”, inteso come libro, opera classica, ma anche “i libri”, ad indicare un “veicolo” della tradizione, spesso complementare, talvolta in contrasto con altri “veicoli”, come l’antica tradizione orale]: l’insegnamento passa da Maestro a discepolo non per mezzo di parole scritte, ma attraverso KOAN apparen-temente assurdi, come questo: «L’alta virtù è non-virtuosa; perciò ha virtù. La bassa virtù non si libera mai dal virtuosismo, perciò non ha virtù». Nel Tao Te Ching molto si parla di guerra e di pace ed una delle osserva-zioni più sagaci è che, in un conflitto, sarà vincitore chi va a combattere con il dolore più grande: «Gioire di una vittoria è gioire del massacro degli uomini. Chi quindi gioisce del massacro degli uomini, non può sperare di aver fortuna nel mondo degli uomini. (…) ogni vittoria è un funerale». TESA. – Parte dell’elmo. È destinata a proteggere il viso dai colpi dall’alto e gli occhi dal sole. TESTA. – Parte terminale delle armi da botta. Inizialmente è solo l’ingrossamento dell’estremità, poi si passa a rinforzi di vario tipo (ghiere, anelli) ed iniziano a comparire creste, punte, brocchi, lame. TRAUMA. – Stato risultante da un’aggressione violenta. È anche il fattore che provoca, per esteso, questo stato. TRISMEGISTO. – “Tre volte grandissimo”. È l’attributo del dio egizio Thot (Ermete o Ermes per i Greci), raffi-gurato come un uomo con testa di ibis. Thot è una divinità lunare, legata all’arte, alla scrittura, alla scienza, al conto del tempo. È questo dio che, alla presenza di altre divinità (Anubi, Iside, Osiride, Nephtis) esegue la “pesatura dell’anima” (psicostasia, in greco), il giudizio cui ogni defunto deve sottostare appena giunto nell’aldilà. La figura di Thot – ritenuto l’autore di numerose opere letterarie e filosofiche – è presente anche nel Mazdeismo [o Zoroastrismo, religione della Persia preislamica che risale a tempi precedenti la predicazio-ne di Zarathustra (o Zoroastro, secolo VI a.C.), ancora presente in India] e nel Lamaismo [Buddismo tibetano]. TSUNAMI. – Maremoto, caratterizzato da onde di superficie di grande altezza, lungo fronte e notevole veloci-tà; causa distruzioni catastrofiche. Lo tsunami si forma, solitamente, in seguito ad un terremoto sottomarino,

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soprattutto nell’Oceano Pacifico. Si è calcolato che, in alcuni casi, le onde di superficie possono avere veloci-tà prossima ai 1.000 km/h, ma anche una velocità decisamente più bassa, 50 km/h, corrisponde – dato che l’acqua ha densità circa 1.000 volte superiore a quella dell’aria – ad un vento di 50.000 chilometri orari! Nei primi anni ’90 del 1900 le coste giapponesi sono state investite da uno tsunami con onde alte più di trenta me-tri.

VENTAGLIO. – Accessorio ed anche arma. In Giappone – che alcuni considerano luogo d’origine dei ventagli in genere, di quelli pieghevoli in particolare – l’uso di questo accessorio è generalizzato, da sempre, in tutte le classi sociali. Il ventaglio – d’ogni forma, materiale (poco usati i materiali organici) e dimensione – fa parte dell’abbigliamento (quotidiano, di Corte, da cerimonia…) ed è usato nelle rappresentazioni (sportive; spettaco-li, danza; poesia…). È utilizzato nei rapporti sociali ed anche in guerra (simbolo di rango, mezzo di saluto e segnalazione…) e pure – in forme particolari – come un’arma vera e propria. I ventagli possono essere di tipo rigido, come l’UCHIWA (o DANSEN) o pieghevoli, come l’OGI (o SENSU). Ancora oggi il ventaglio accompagna l’abito tradizionale ed è un ambito e gradito riconoscimento, che – gesto arcaico e simbolico – premia i cam-pioni di lotta vincitori. YANG. – “Luce”, in cinese. Si veda la voce “ommyodo”. YI JING. – (cinese) “Libro dei Mutamenti”. È uno dei “Cinque Classici” (Wu Jing o Wu Ching) cinesi, che rac-chiudono l´insieme delle dottrine confuciane e compongono il canone etico, filosofico, morale e politico del Confucianesimo. Questa, in particolare, è un’opera (molto conosciuta – ma troppo spesso travisata – in Occi-dente, dove è nota anche come I Ching) che, attraverso la divinazione, aspira a rendere comprensibile il mon-do. Sessantaquattro esagrammi – gruppi di sei lineette intere (che rappresentano lo Yang) o spezzate (che rappresentano lo Yin), sovrapposte – rappresentano tutte le “possibilità”, materiali e spirituali. Ogni “carattere”, fisico e psichico, può essere quindi rappresentato da un numero caratteristico di componenti Yang o Yin [si veda la voce “ommyodo”]. Lo Yi Jing, per alcuni, è un trattato di matematica a base binaria; secondo altri la versione originaria dell’opera risale alla Dinastia Zhou (che, nei suoi elementi “occidentale” e “orientale”, regna in Cina dal XI secolo a.C. al 221 a.C.). YIN. – “Ombra”, in cinese. Si veda la voce “ommyodo”. YOGA. – (sanscrito) “Unione”. È un sistema filosofico indiano, quasi religioso, che, attraverso una serie di pratiche, anche terapeutiche (esercizi fisici, posture particolari – asana –, controllo del respiro e dei pensieri, riduzione delle attività sensoriali eccetera), tende alla completa padronanza del corpo, per favorire la concen-trazione e la meditazione. Il fine ultimo è l’unione mistica con l’”Essere Supremo”. Lo Yoga è inserito negli in-segnamenti di Giainismo, Induismo e Buddismo. L’origine di questa disciplina filosofica è antichissima e la sua formulazione compiuta si trova nello Yogasutra, "Regole dello Yoga", attribuito al filosofo Patanjali (V se-colo?). Precise sono anche le prescrizioni di carattere morale di questa dottrina – per altro assolutamente pragmatica – il rispetto delle quali è vincolante per raggiungere la “salvezza”: non violenza, astensione da par-ticolari cibi e bevande, rifiuto di tutto ciò che possa danneggiare gli altri.

Mostra il tuo cuore, non la tua spada. Ueshiba Morihei

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La Vita Noi entriamo nel mondo in forma circolare. E siamo uno con l’Universo.

Iniziamo a crescere e, progressivamente, ci stacchiamo dal bambino che è in noi. Problemi e distrazioni, gioie e dolori sono i nostri compagni di viaggio, in un procedere d’alti e bassi. Il nostro inizio è solo un ricordo.

Arriva il tramonto della vita e percepiamo, nel profondo, d’aver bisogno di quel bimbo che era (è) in noi. Ritro-viamo, dopo il lungo percorso dell’esistenza, la forma circolare più completa, perché ricca del vissuto. E siamo uno con l’Universo.

L’Artista Una sensazione, un’intuizione.

La capacità tecnica, che serve a far nascere in modo concreto e visibile la forma, non è fine a se stessa, ma è la Via per trasmettere il cuore dell’idea.

Il visibile ci trasmette le sensazioni interne e la luce dell’anima, che possiamo sentire e rivivere attraverso l’intuizione, che ci fa uno con l’opera dell’artista.

L’Aikido È un modo di essere, al di là del dualismo: essere uno con l’Universo. Da qui nasce in noi il desiderio di per-correre la Via tracciata da O-Sensei.

Attraverso le tecniche impariamo a conoscere la mente ed i sensi, che proiettano su noi, di continuo, gioie e dolori, egoismo, presunzione ed ogni genere di attaccamento. Il percorso della tecnica altro non è che il per-corso della vita e, come uno strumento, serve a superare il nostro io/egoismo, che c’impedisce d’essere uno. La tecnica, quindi, non è fine a se stessa, ma serve come strumento di evoluzione della nostra coscienza.

In nostro vivere cambia, noi non siamo più attori, ma testimoni della capacità della mente/cuore di vivere nel presente e di condividere con gli altri l’esperienza da cuore a cuore. Siamo uno con l’Universo.

Sandro, aikidoka

L’Aikido è come un compasso. In un compasso un’asta fa da perno, immobi-

le al centro, mentre l’altra, ruotando, descrive un cerchio. Così, ognuno che realizzi in sé l’Aikido, sarà incrollabile nel proprio centro, punto di forza della sua personalità, ma saprà anche descrivere intorno a sé

un cerchio d’unione e amore. Ueshiba Morihei

Io sono l’universo. Io non sono niente.

Ueshiba Morihei

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Bibliografia, per approfondire Sono indicati, in ordine alfabetico per Autore, testi in lingua italiana la cui lettura e/o consultazione può rivelarsi utile a chi intende approfondire gli argomenti trattati. Non sono elencati libri riguardanti specificatamente altre Arti o Discipline Marziali. E’ riportata, quando verificata o nota, la data di edizione della pubblicazione.

Testi consultati durante la stesura di quest’opera:

• A. Alabisio – I SAMURAI – Tascabili Economici Newton, Roma, 1997. • Autori Vari – ATLANTE STORICO – Il Giornale Multimedia, Milano, 2001. • Autori Vari – ENCICLOPEDIA ZANICHELLI 2001 – Opera Multimedia, Milano, 2001. • C. Belliti e S. Vinci (a cura di) – ARTI MARZIALI – Adnkronos Libri, Roma, 1998. • S. Benedetti – AIKIDO, IL LIBRO DEL PRINCIPIANTE – Edizioni Mediterranee, Roma, 1998. • C. Blair (a cura di) – ENCICLOPEDIA RAGIONATA DELLE ARMI – Mondadori, Milano, 1979. • G.L. Buffo – L’AIKIDO, UNA TRADIZIONE DI BELLEZZA – Xenia Edizioni, Milano, 1997. • A. G. Cimarelli – ARMI BIANCHE – Rizzoli, Milano, 1969. • P. N. Corallini – IWAMA RYU AIKIDO – Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1999. • T. Deshimaru – LO ZEN E LE ARTI MARZIALI – SE SRL, Milano, 1995. • E. De Winter – KUATSU DI RIANIMAZIONE – Edizioni Mediterranee, Roma, 1976. • E. De Winter – KUATSU ANTALGICI – Edizioni Mediterranee, Roma, 1976. • Diagram Group (a cura del) – ENCICLOPEDIA-ATLANTE DELLE ARMI, Dal 5000 a.C. ai nostri giorni –

Fratelli Melita Editori, La Spezia, 1995. • D. F. Draeger – LE ARTI MARZIALI GIAPPONESI COME DISCIPLINE SPIRITUALI (in 3 volumi: Bujutsu

Classico; Budo Classico; Bujutsu & Budo Moderno) – Edizioni Mediterranee, Roma, 1998. • Z. Faktor – COLTELLI & PUGNALI – Fratelli Melita Editori, La Spezia, 1993. • L. Frederic – LE ARTI MARZIALI DALL’A ALLA Z – Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1990. • L. Frederic – IN GIAPPONE AL TEMPO DEI SAMURAI, 1185-1603 – Fabbri Editori, Milano, 1998. • M. Hatsumi; Q. Chambers – STICK FIGHTING – Edizioni Mediterranee, Roma, 1999. • P. Lewis – TECNICHE DELLE ARTI MARZIALI – Rizzoli, Milano, 1990. • C. Mantovani – CORSO DI AIKIDO – De Vecchi Editore, Milano, 1991. • K. Maruyama – AIKIDO CON KI – Erga Edizioni, Genova, 1997. • T. Merton – MISTICI E MAESTRI ZEN – Garzanti, Milano, 1991. • L. Musciarelli – DIZIONARIO DELLE ARMI – Mondadori, Milano, 1970. • N. Tamura – AIKIDO, ETICHETTA E DISCIPLINA – Edizioni Mediterranee, Roma, 1993. • L. Paterna – IL MAESTRO DI AIKDO – Edizioni Mediterranee, Roma, 1996. • O. Ratti; A. Westbrook – I SEGRETI DEI SAMURAI – Edizioni Mediterranee, Roma, 1984. • O. Ratti; A. Westbrook – AIKIDO E LA SFERA DINAMICA – Edizioni Mediterranee, Roma, 1983. • H. Reid; M. Croucher – LA VIA DELLE ARTI MARZIALI – Red Edizioni, Como, 1996. • G. Shioda – AIKIDO DINAMICO – Edizioni Mediterranee, Roma, 1998. • G. Shioda, Y. Shioda – AIKIDO, AIKIDO TOTALE – Edizioni Mediterranee, Roma, 2001. • J. Stevens – I MAESTRI DEL BUDO – Edizioni Mediterranee, Roma, 1997. • J. Stevens – LO ZEN E LA SPADA – Luni Editrice, Milano, 1999. • A. Trevisan – IL LIBRO COMPLETO DELL’AIKIDO – Edizioni Mediterranee, Roma, 1997. • S. Turnbull – SAMURAI – Rizzoli, Milano, 1988. • K. Ueshiba – LO SPIRITO DELL’AIKIDO – Edizioni Mediterranee, Roma, 1992.

Altri testi suggeriti – tra gli innumerevoli – attinenti agli argomenti trattati:

o R. Benedict – IL CRISANTEMO E LA SPADA – Dedalo Libri, Bari, 1954. o G. Filippini – MAKOTO, LO SPIRITO PURO DELLE ARTI MARZIALI – Edizioni AMP – Milano. o W. Lind – BUDO, LA VIA SPIRITUALE DELLE ARTI MARZIALI – Edizioni Mediterranee, Roma. o G. Ruglioni – UNIFICAZIONE MENTE-CORPO E KI AIKIDO - Erga Edizioni, Genova. o L. Sadler – IL CODICE DEI SAMURAI – Edizioni Mediterranee, Roma.

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o F. Saiko, H. Plée – L’ARTE SUBLIMA ED ESTREMA DEI PUNTI VITALI – Edizioni Mediterranee, Roma. o M. Saotome – LA VIA DEL BUDO, I PRINCIPI DELL’AIKIDO – Edizioni Mediterranee, Roma. o J. Stevens – AIKIDO, LA VIA DELL’ARMONIA – Edizioni Mediterranee, Roma. o K. Tohei – IL KI NELLA VITA QUOTIDIANA – Erga Edizioni, Genova. o K. Tohei – LA COORDINAZIONE MENTE-CORPO – Erga Edizioni, Genova. o K. Tohei – DETTI DI KI – Erga Edizioni, Genova. o K. Tohei – KIATSU – Erga Edizioni, Genova. o K. Ueshiba – AIKIDO, LA PRATICA – Edizioni Mediterranee, Roma. o M. Ueshiba – AIKIDO, BUDO – Edizioni Mediterranee, Roma. o M. Ueshiba (a cura di J. Stevens) – L’ESSENZA DELL’AIKIDO – Edizioni Mediterranee, Roma.

Testi utili – nella sterminata letteratura esistente – sulle civiltà Giapponese e Cinese:

• Anonimo – OCHIKUBO MONOGATARI, La Storia di Ochikubo – Marsilio, Venezia, 1992. • A. Nakejima – CRONOCA DELLA LUNA SUL MONTE E ALTRI RACCONTI – Marsilio, Venezia, 1992. • I. Barocci (a cura di) – MEMORIE DELLA LUNA, Storie e Leggende dell’antico Giappone – Ugo Guanda

Editore, Parma, 1991. • Confucio – MASSIME – Tascabili Economici Newton, Roma, 1995. • Dong Yue – IL SOGNO DELLO SCIMMIOTTO (XIYOUBU) – Marsilio, Venezia, 1992. • Lao-tzu – TAO TE CHING (il Libro del Tao) – Tascabili Economici Newton, Roma, 1995. • Lu Hsün – FUGA SULLA LUNA – Garzanti, Milano, 1973. • M. Musashi – IL LIBRO DEI CINQUE ANELLI – Armenia, 1996. • D. Scott e T. Doubleday – LO ZEN – Xenia Edizioni, Milano, 1994. • An Shi Wang– IL MEMORIALE DELLE 10000 PAROLE, Ovvero dell’Arte del Governo – Mondadori,Milano,

1994. • E. Yoshikawa – MUSASHI – Rizzoli, Milano, 1985 (romanzo).

Ed anche: o P. Beonio Brocchieri e A. Boscaro – STORIA DEL GIAPPONE E DELLA COREA – Marzorati, Milano,

1972. o R. Bersihaud – STORIA DEL GIAPPONE DALLE ORIGINI AI NOSTRI GIORNI – Cappelli, Firenze, 1961. o J. Chesneaux. – L’ASIA ORIENTALE NELL’ETÀ DELL’IMPERIALISMO – Einaudi, Torino, 1969. o T. Cleary – L’ARTE GIAPPONESE DELLA GUERRA – Mondadori, Milano, 1994. o P. Corradini. – CONFUCIO E IL CONFUCIANESIMO – Esperienze, Fossano, 1972. o P. Corradini. – INTRODUZIONE ALLA STORIA DEL GIAPPONE – Bulzoni, Roma, 192. o W. Craig – LA CADUTA DEL GIAPPONE – Rizzoli, Milano, 1970. o F. Gatti – IL GIAPPONE CONTEMPORANEO, 1850-1970 – Loescher, Torino, 1976. o T. Gummerson – SCUOLA DI ARTI MARZIALI – Edizioni Mediterranee, Roma. o S. H. Hoseki – LA PIENEZZA DEL NULLA. SULL’ESSENZA DEL BUDDISMO ZEN – Il Melangolo, Geno-

va, 1985. o S. Kato – STORIA DELLA LETTERATURA GIAPPONESE. DALLE ORIGINI AL XVI SECOLO - Marsilio,

Venezia, 1987. o V. La Bella (a cura di) – LI XIAO MING, METODO PRATICO DI AUTOELEVAZIONE COL QI GONG TRA-

DIZIONALE CINESE – Erga Edizioni, Genova. o B. Lee – JEET KUNE DO – Edizioni Mediterranee, Roma. o H. Long – IL TOCCO DEL DRAGO – Edizioni Mediterranee, Roma. o A. Migi (a cura di) – LE DIECI ICONE DEL BUE – Erga Edizioni, Genova (racconti). o L. Morris – IL MONDO DEL PRINCIPE SPLENDENTE – Adelphi, Milano, 1964. o M. Muccioli – IL GIAPPONE – UTET, Torino, 1970. o E. H. Norman – LA NASCITA DEL GIAPPONE MODERNO – Einaudi, Torino, 1975. o H. Puech – STORIA DELLE RELIGIONI: CINA E GIAPPONE – Laterza, Bari, 1978. o E. O. Reischauer – STORIA DEL GIAPPONE MODERNO – Rizzoli, Milano, 1974.

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o P. Santangelo – CONFUCIO E LE SCUOLE CONFUCIANE. LA VIA DELLA SAGGEZZA – Newton Com-pton, Roma, 1986.

o R. Storry – STORIA DEL GIAPPONE MODERNO – Sansoni, Firenze, 1962. o R. Strippoli (a cura di) – LA MONACA TUTTOFARE, LA DONNA SERPENTE, IL DEMONE BEONE (rac-

conti) – Marsilio, Venezia, 2001. o K. A. Wittfogel – IL DISPOTISMO ORIENTALE – Vallecchi, Firenze, 1968. o M. Yuorcenar – MISHIMA O LA VISIONE DEL VUOTO – Bompiani, Milano, 1982. o o F. Maraini – ORE GIAPPONESI – 1988. o A. Tamburello – IL GIAPPONE – 1969

Non interessarti di ciò che gli altri fanno di giusto o sbagliato. Tieni la mente luminosa e pulita come il cielo senza fine, l’oceano profondo

e le montagne più alte. Non calcolare o agire innaturalmente.

Mantieni la mente nell’Aikido e non criticare altri Maestri o le Tradizioni. L’Aikido non reprime, non restringe, non ostacola.

L’Aikido abbraccia tutto e purifica ogni cosa. Ueshiba Morihei

Non guardare l’avversario negli occhi, altrimenti la tua mente sarà afferrata. Non guardare la spada del tuo avversario, o questa ti ucciderà.

Non guardare la persona del tuo avversario, o sarai distratto. Il Budo è il potere di attrarre l’avversario e nell’Aikido controlliamo la mente

dell’avversario prima di vederlo. Ciò significa che lo attiriamo a noi. È questa capacità di attrazione dello spirito che

porta ad una visione completa del mondo. Ueshiba Kisshomaru

L’essenza dell’Aikido è zero. Ueshiba Morihei

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O-Sensei ci ha insegnato:

Poggia sull’Aiki per attivare i tuoi

multiformi poteri; pacifica tutte le cose

e crea un mondo meraviglioso. Noi vogliamo chiudere quest’opera con il suggerimento di un saggio, nemmeno troppo antico:

Per oggi, non ti arrabbiare. Per oggi, non ti preoccupare.

Guadagnati da vivere onestamente, onora sempre i tuoi genitori, gli Anziani, i Maestri

ed esprimi la tua gratitudine a tutti gli esseri viventi. E ancora, con le parole del Fondatore:

Mettete il cuore a posto ogni mattina, dedicandolo al Creatore e offrendolo agli esseri che incontrerete. Riprendetelo alla sera, coperto delle lacrime, della collera e dei sorrisi

che vi sono rimasti attaccati.

Un ringraziamento è dovuto agli Allievi del Corso d’Aikido, al Centro Sportivo “La Co-mune”, per la pazienza dimostrata nell’attesa di quest’opera, troppo presto – ed im-

prudentemente! – annunciata come pronta.

Un grazie particolare all’amico Sandro Peduzzi, Maestro.

La presente opera, in forma scritta od informatizzata, può essere riprodotta e diffu-sa tra i praticanti di Aikido senza autorizzazione alcuna, sia in maniera integrale sia in

modo parziale purché gratuitamente. In caso di riproduzione parziale, è gradita la menzione della fonte. L’Autore sarà riconoscente a chi, riscontrando errori, impreci-

sioni od omissioni, vorrà segnalarglieli, attraverso il Centro Sportivo “La Comune” - Via Novara, 97 – 20153 Milano.

Grazie.

Non imitatemi. Ueshiba Morihei