Newsletter "In other Words" n.5/marzo 2012

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NEWSLETTER MENSILE DI ARTICOLO 3- OSSERVATORIO SULLE DISCRIMINAZIONI Marzo 2012 nº5 In Other Words NEWS Tutti i cittadini hanno pari dignit sociale e sono eguali davanti alla legge, senza di- stinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizio- ni personali e sociali. Costituzione della Re- pubblica Italiana, Principi Fondamentali, Articolo 3 Indice: Editoriale 1 Lo specchio 3 Glossario 6 Approfondimento 7 ―In Other Words ― è un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea—DG Justice Editoriale Cogliamo il pretesto della ricorrenza dell‘8 marzo per dedicare il quinto numero della nostra newsletter mensile a un tema che ha sì a che fare con il mondo femminile, ma che ha un sapore del tutto diverso da quello dei cioccolatini e delle frasi d‘occasione di cui si fa tanto sfoggio in questo giorno. Scegliamo di parlare di violenza maschile sulle donne, un tema che la stampa affronta poco e male. Quello di femicidi e femminicidi è ancora un argomento bistrattato, il cui racconto risente di un discorso comune intriso di sessismo più o meno latente. Mentre fonti autorevoli nazionali e non dimostrano che la violenza maschile contro le donne in Italia è un problema sempre più grave e diffuso, che miete innumerevoli vittime ogni anno, la narrazione mediatica di questo fenomeno è troppo spesso parziale, quando non del tutto fuorviante. La inquinano, tra le altre cose: l‘assunto che quello della violenza di genere sia un problema sostanzialmente femminile, del quale sono le donne a doversi preoccupare, sul quale sono loro a dover fare informazione e prevenzione; la forte normatività che ancora regola, nell‘immaginario comune, i rapporti tra i generi, rapporti di forza e dalla gerarchia ben definita; sentimenti mai sopiti di nostalgia patriarcale, orgoglio maschile offeso, gelosia e possesso, che in molti casi paiono attenuare le responsabilità di chi perpetra le violenze; l‘assunto della ―colpa originale‖ del genere femminile. Di queste consuetudini del discorso e della rappresentazione parlano le pagine che seguono. C‘è un‘analisi della ricostruzione mediatica dell‘omicidio di Gabriella Falzoni da parte del marito, a confronto con la narrazione di un episodio di violenza ai danni di una giovane pakistana un confronto che mette in luce il diverso approccio che la stampa spesso utilizza, a seconda che gli uomini che agiscono le violenze siano italiani o migranti. C‘è la consueta pagina dedicata al glossario, in cui si propongono espressioni alternative e più corrette di quelle che molti giornali utilizzano per descrivere gli episodi di violenza maschile sulle donne; e c‘è, in chiusura, una lunga intervista di Elena Cesari a due operatrici della Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna. Elena Borghi

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Newsletter mensile dell'Osservatorio sulle Discriminazioni "Articolo 3" di Mantova, redatta nell'ambito del progetto europeo "In Other WORDS"

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Page 1: Newsletter "In other Words" n.5/marzo 2012

N E W S L E T T E R M E N S I L E D I A R T I C O L O 3 - O S S E R V A T O R I O S U L L E D I S C R I M I N A Z I O N I

Marzo 2012 nº5

In Other Words NEWS

Tutti i cittadini hanno

pari dignita sociale e

sono eguali davanti

alla legge, senza di-

stinzione di sesso, di

razza, di lingua, di

religione, di opinioni

politiche, di condizio-

ni personali e sociali.

Costituzione della Re-

pubblica Italiana,

Principi Fondamentali,

Articolo 3

Indice:

Editoriale 1

Lo specchio 3

Glossario 6

Approfondimento 7

―In Other Words ― è un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea—DG Justice

Editoriale

Cogliamo il pretesto della ricorrenza dell‘8 marzo per dedicare il quinto numero

della nostra newsletter mensile a un tema che ha sì a che fare con il mondo

femminile, ma che ha un sapore del tutto diverso da quello dei cioccolatini e

delle frasi d‘occasione di cui si fa tanto sfoggio in questo giorno.

Scegliamo di parlare di violenza maschile sulle donne, un tema che la stampa

affronta poco e male. Quello di femicidi e femminicidi è ancora un argomento

bistrattato, il cui racconto risente di un discorso comune intriso di sessismo più

o meno latente. Mentre fonti autorevoli — nazionali e non — dimostrano che la

violenza maschile contro le donne in Italia è un problema sempre più grave e

diffuso, che miete innumerevoli vittime ogni anno, la narrazione mediatica di

questo fenomeno è troppo spesso parziale, quando non del tutto fuorviante.

La inquinano, tra le altre cose: l‘assunto che quello della violenza di genere sia

un problema sostanzialmente femminile, del quale sono le donne a doversi

preoccupare, sul quale sono loro a dover fare informazione e prevenzione; la

forte normatività che ancora regola, nell‘immaginario comune, i rapporti tra i

generi, rapporti di forza e dalla gerarchia ben definita; sentimenti mai sopiti di

nostalgia patriarcale, orgoglio maschile offeso, gelosia e possesso, che in molti

casi paiono attenuare le responsabilità di chi perpetra le violenze; l‘assunto della

―colpa originale‖ del genere femminile.

Di queste consuetudini del discorso e della rappresentazione parlano le pagine

che seguono. C‘è un‘analisi della ricostruzione mediatica dell‘omicidio di

Gabriella Falzoni da parte del marito, a confronto con la narrazione di un

episodio di violenza ai danni di una giovane pakistana — un confronto che mette

in luce il diverso approccio che la stampa spesso utilizza, a seconda che gli

uomini che agiscono le violenze siano italiani o migranti. C‘è la consueta pagina

dedicata al glossario, in cui si propongono espressioni alternative e più corrette

di quelle che molti giornali utilizzano per descrivere gli episodi di violenza

maschile sulle donne; e c‘è, in chiusura, una lunga intervista di Elena Cesari a

due operatrici della Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna.

Elena Borghi

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I l progetto mira a formulare una risposta nei confronti della situazione attuale, in cui i media sono spesso veicoli per la diffusione degli stereotipi, e a contribuire al migliora-

mento del messaggio mediatico, in particolare rispetto alla rappresentazione che esso for-nisce delle minoranze etniche e religiose, delle persone con disabilità e degli appartenenti alla comunità Lesbica-Gay-Bisex-Trans.

Capofila del progetto: Provincia di Mantova Partner: Articolo 3, Intercultural Institute of Timisoara (Romania), Eurocircle (Francia), Diputaciòn Provincial de Jaen (Spagna), IEBA (Portogallo), Fundaciòn Almeria Social y Laboral (Spagna), Tallin University (Estonia). Il progetto prevede la creazione di una redazione locale in ogni Paese, dedita al monitorag-gio dei media, ad attività di ricerca e decostruzione degli stereotipi e ad un lavoro di rete con giornalisti e professionisti dei media, scuole e università, organizzazioni della società civile.

Per saperne di più: www.inotherwords-project.eu

“In Other Words”: un progetto europeo

contro la discriminazione nei media

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“La violenza svela lo squilibrio di potere

nella relazione. La cultura dà un via libera.

È chiaro che l’unica motivazione di qualsiasi

tipo di violenza è la volontà di agirla”.

Dall‘intervista di E.Cesari a C.Karadole e A. Romanin — Casa delle donne di Bologna.

A p. 7

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In Other Words NEWS

In Other Words NEWS

La newsletter si pubblica ogni mese a Mantova (Italia), Jaen (Spagna),

Almeria (Spagna), Mortagua (Portogallo),

Marsiglia (Francia), Timisoara (Romania) e Tallín (Estonia) con il

sostegno della Direzione Generale Giustizia della Commissione Europea.

L‘edizione di Mantova è coordinata da Articolo 3,

Osservatorio sulle discriminazioni

VO

CA

BO

LA

RIO

Il progetto

Le parole sono importanti!

Molti sono i termini che si possono utilizzare per descrivere gli

episodi di violenza contro le donne e il contesto in cui essi

avvengono.

Non si tratta mai di una scelta neutrale e priva di conseguenze:

basta poco perché un omicidio diventi un ―delitto passionale‖,

perché le responsabilità del colpevole vengano diluite con

allusioni più o meno velate alle ‗colpe‘ della vittima, perché il

quadro si ribalti e una narrazione sessista prevalga sulla realtà dei

fatti. In questo numero parliamo di: delitto passionale e d’onore,

uxoricidio, raptus, femicidio, femminicidio e violenza di genere

A p. 6

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Marzo 2012 nº5

Il meglio e/o il peggio della stampa lombarda, in materia di violenza maschile sulle donne

Lo specchio

Manca un giorno all‟8 marzo, ma

in fondo questa non è che una

coincidenza.

I giornali lombardi riportano la

notizia del trentaseiesimo

(36esimo, sì) femicidio di questo

2012, accaduto il 5 marzo a Moz-

zecane, un paese sul confine tra

Veronese e Mantovano. Giovanni

Lucchese ha ucciso, strangolando-

la, sua moglie Gabriella Falzoni.

Come sempre accade, i giornali

non perdono l‟occasione per evo-

care lo spettro sempreverde del

“delitto passionale”, strettamente

imparentato con il delitto d‟onore.

I titoli traboccano della parola

gelosia e di allusioni ad un presun-

to raptus di follia del marito, a

rimarcare la consueta abitudine a

descrivere i casi di violenza ma-

schile su mogli, compagne o ex

come episodi dal carattere impre-

visto, di follia momentanea e im-

provvisa, tanto potente quanto

distante dalla sfera del raziocinio e

della decisione consapevole.

Sono molte le sfumature che con-

tribuiscono a veicolare l‟idea che il

lui della situazione sia un po‟ „meno assassino‟ di altri, che uccidono sen-

za moventi „passionali‟. Lui uccide perché in preda ad un raptus — e già

è un po‟ meno responsabile. Ma lo è ancora meno perché il raptus che lo

coglie è “di gelosia”: ossia, lui un motivo ce l‟aveva (e pure valido), e lei

in qualche modo „se l‟è cercata‟.

Non fosse stato per alcuni sms sospetti, lui mai avrebbe attentato alla

vita di quella moglie tanto amata, suggeriscono tutti gli articoli sulla

vicenda. E, perché nessun dubbio attraversi le menti dei lettori, delinea-

no bene il quadro — anzi, il quadretto. Recita il sottotiolo dell‟articolo

on-line de L‟Arena: “Morte nel pomeriggio. Lui impiegato in concessio-

naria, lei in una ditta di abbigliamento, erano appena stati in Kenya.

Giovanni Lucchese ha ucciso con un foulard Gabriella Falzoni, poi s‟è

costituito ai carabinieri. Aveva scoperto degli sms che per lui erano la

conferma del tradimento”. C‟è l‟assoluta normalità, fatta di vacanze in-

sieme, di vita in una “villetta quadrifamiliare colorata di giallo e aran-

cione”, all‟interno di “quel quartiere elegante”, “una bella casetta ordi-

Finché morte non ci separi

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nata, perché Giovanni era una persona ordinata, puli-

ta, disponibile”; c‟è Gabriella, che “teneva tanto alla

sua casa, la teneva a posto e anche per due volte alla

settimana aveva un‟amica che andava a riassettare, a

pulire sul pulito”. L‟Arena riporta i commenti dei vi-

cini, che riferiscono di “una famiglia perfetta” in cui

“non c‟era niente che non quadrasse”, persone che

stavano “economicamente benissimo”. La Gazzetta di

Mantova, nel costruire a sua volta un quadretto inso-

spettabile, racconta che i due “erano reduci da una

vacanza in Kenya e solo qualche ora prima erano an-

dati a messa con il figlio diciottenne” (Strangolata dal

marito con un foulard, 6/3).

Tutto meraviglioso, insomma, fino a che il “tarlo del-

la gelosia” non si impossessa della mente di lui, acce-

candola. “A rendere tesi i rapporti tra i due — sostie-

ne l‟articolo della Gazzetta — […] è il troppo amore.

La paura di un marito di perdere la propria compa-

gna”. “L‟ha uccisa perché non voleva perderla”, fa

eco l‟Arena. “L‟ha uccisa perché era geloso e perché

lui non voleva che il loro matrimonio finisse o che ci

fosse qualcuno tra loro”.

Non solo: l‟ha uccisa “nella loro camera, sopra quel

letto in cui per anni si sono accoccolati, raccontati le

loro paure, i loro segreti”.

A fine lettura, quasi quasi si finisce per commuoversi,

per provare compassione per il povero marito, vittima

della moglie (sospetta) fedifraga nonostante il cuore

grande di lui. Lei è la colpevole: di aver infranto il

quadretto stile Mulino Bianco e le regole della perfet-

ta vita di coppia, di aver travalicato i confini della

morale paesana, di aver messo alla prova la pazienza

e l‟amore di lui, di averlo costretto a quel gesto orribi-

le. Non si dice quasi nulla di Gabriella, negli articoli in

esame: di lei il lettore sa solo che forse aveva un a-

mante, e questo è tutto quel che importa. Di Giovan-

ni, invece, sappiamo dalla Gazzetta che è ora “un uo-

mo senza più anima”; un uomo “distrutto dalla gelosi-

a”, come La Voce di Mantova si premura di titolare.

E‟ con articoli come questi che, giorno dopo giorno,

femicidio dopo femicidio, stupro dopo stupro, botte

dopo botte, si rende sempre più salda una narrazione

maschilista e misogina della realtà. Si tace la piaga

diffusa della violenza maschile sulle donne, si ribalta-

no le responsabilità, si assolvono (almeno in parte) i

carnefici, si colpevolizzano le vittime, si rinsalda

l‟idea che ci siano regole precise a normare i rapporti

tra i generi: regole che valgono più della vita di una

donna.

E‟ interessante notare come cambino le descrizioni di

episodi di violenza maschile sulle donne, quando i

protagonisti coinvolti non sono italiani ma migranti.

Il 24 febbraio le edizioni milanesi di Repubblica, Il

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Marzo 2012 nº5

Giornale e Libero raccontano la vicenda di una ra-

gazza pakistana, fuggita dalla casa in cui padre e

marito la tenevano segregata, costringendola ad un

matrimonio combinato che non aveva voluto e al

quale continuava a non rassegnarsi. La vicenda ha

un lieto fine, che negli articoli che analizziamo di-

venta fiabesco, e fornisce lo spunto per una lettura

in cui al sessismo di fondo si aggiunge una buona

dose di sentimento xenofobo. Vediamo come.

L‟articolo del Giornale, Un sos lanciato dalla finestra:

“Aiuto, mio marito mi violenta” apre con le dichiara-

zioni del vicequestore aggiunto di Milano:

“Impossibile sradicare una simile mentalità. E […]

stiamo parlando di immigrati formalmente ben inte-

grati in Italia. Ma che non esitano ad arrogarsi il

diritto di obbligare in ogni modo — e con modalità

anche molto violente — la propria figlia a sposare

qualcuno di cui lei non vuole proprio saperne”. I

protagonisti maschili di questa vicenda, fa notare Il

Giornale, sono “uomini dei nostri tempi, ma che

sembrano appartenere a un mondo lontanissimo e

incomprensibile”.

Insomma, quando a compiere violenza fisica e psico-

logica su una donna della famiglia sono uomini di

origini non italiane, ecco che il mondo del loro modo

di fare diventa “lontanissimo e incomprensibile”,

estraneo al nostro mondo, che improvvisamente vie-

ne depurato di tutta la mentalità e le pratiche ma-

schiliste e violente. Noi non siamo così.

Dopo il racconto angosciato delle tappe che hanno

portato la ragazza a sposare l‟uomo che la famiglia

aveva scelto per lei, Il Giornale Milano descrive i

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soprusi che ella è costretta a subire: l‟alleanza del neo

sposo con il padre di lei, gli stupri da parte del primo,

le botte per mano del secondo. Repubblica Milano

parla di “punizioni per aver violato il codice patriar-

cale”. Libero Milano si indigna di fronte alle “assurde

tradizioni della famiglia di lei”, e ne approfitta per

posizionare, subito sotto il titolo, “i precedenti”: Ja-

mila, pakistana 19enne “tolta da scuola dai familiari

perché troppo bella”; Sanaa, uccisa a coltellate dal

padre, che “non condivide la relazione che la giovane

ha con un italiano”; Hina, pakistana 20enne, uccisa

dal padre e dai cognati “perché colpevole di vivere

all‟occidentale”.

A differenza di queste tre coetanee, però, la ragazza

pakistana protagonista di quest‟ultima vicenda non

viene uccisa. Perché, come titola Libero, “la salva il

fidanzato italiano”. Lei lancia un biglietto-sos in stra-

da, dove lui la aspetta da giorni: lui lo trova, la con-

vince a fuggire dalla finestra e a denunciare

l‟accaduto. Libero chiude l‟articolo con l‟happy ending

perfetto: “Il marito e il padre della ragazza sono finiti

a San Vittore e i due innamorati, come nelle migliori

favole d‟amore, sono tornati finalmente insieme”.

“Per fortuna, a dare una mano a K. è arrivato un

principe azzurro italiano”, sospira Il Giornale. Che

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Marzo 2012 nº5

chiude con la frase di Majorino, assessore alle Politi-

che sociali del Comune: “Milano deve essere la città

del rispetto del valore della persona e della dignità

della donna”.

Il sessismo sotteso che ha costruito le narrazioni

dell‟omicidio di Gabriella, dunque, si allea con un

fondo di razzismo, nel caso della giovane pakistana.

Un processo purtroppo molto comune, quando si

viene a parlare di femicidi e femminicidi: nei casi

simili al primo, di solito il messaggio implicito è che

la responsabilità è della lei della situazione; in quelli

più vicini al secondo, i responsabili sono loro, gli al-

tri: non in quanto uomini, bensì in quanto non-

italiani. Un modo come un altro per lavarsi la co-

scienza, e allontanare la consapevolezza del fatto

che, come recitava uno striscione durante la manife-

stazione contro la violenza sulle donne nel 2007, “la

violenza contro le donne non dipende dal passapor-

to: la fanno gli uomini”.

L‟unico a uscire pulito da queste rappresentazioni

faziose e parziali è, guarda caso, l‟establishment so-

cio-culturale dominante, maschio e bianco: lo stesso

che ha la parte più grande di potere nella costruzione

di discorsi e immaginari.

Elena Borghi

Sfruttavano le lucciole, anche minorenni: il

Pm chiede 12 anni (Voce di Mantova,

10/2). Minorenni o no, il giornalista

sceglie di chiamare le donne costrette a

prostituirsi ―lucciole‖. Avrebbe potuto

scrivere ―sfruttavano le donne‖ e nel

testo avrebbe potuto evitare di fornire

un particolare sulla ragazza minoren-

ne. ―Le ragazze vivevano in gruppetti, e

in gruppetti erano dislocate: ad esem-

pio Boccuccia, come veniva chiamata la

minorenne, veniva fatta battere lontano dalle colleghe più anziane perché le avrebbe fatte sfigurare‖. Un particolare

forse interessante per quegli uomini che vedono nelle donne sulla strada solo corpi, o parti di corpi: bocche, mani,

fianchi. Una frase che rafforza nell‘immaginario collettivo lo sguardo oggettivante di uomini sulle donne, che stabi-

liscono il valore delle donne in base alle prestazioni sessuali.

E se avessimo dei dubbi, ecco che l‘immagine accostata all‘articolo conferma questa lettura. Una donna in minigon-

na attillata appoggiata allo sportello di un‘auto.

Elena Cesari

Sguardo violento sulla violenza

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Il progetto In Other Words NEWS

come è più corretto definirla

Femicidio: il termine si riferisce agli omicidi delle don-

ne, per svelarne la dimensione non neutra, includendo

anche le situazioni in cui, secondo la definizione di Rus-

sell, ―la morte della donna rappresenta l‘esito/la conse-

guenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine‖. Il

femicidio si riferisce quindi a ―tutte le uccisioni di don-

ne in quanto donne‖.

In italiano è tradotto a volte con il termine

―femmicidio‖, scritto con la doppia consonante.

Femminicidio. secondo l‘antropologa messicana Marce-

la Lagarde, è ―la forma estrema di violenza di genere con-

tro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti

umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie con-

dotte misogine […] che comportano l‘impunità delle con-

dotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo

Stato‖. Il termine include l‘eliminazione fisica della don-

na, ma non si esaurisce in essa, comprendendo tutte le

D elitto passionale: l‘omicidio viene

ricondotto alla sfera affettiva, del

privato e della coppia. L‘espressione

sottintende una motivazione/giustificazione

legata alla passione sentimentale.

Delitto d’onore: definisce una tipologia di

omicidio contemplata nel Codice penale italia-

no fino al 1981. L‘onore macchiato del partner

o ex partner della donna, o della famiglia, era

usato come giustificazione e circostanza attenu-

ante della violenza di genere.

Glossario in materia di violenza maschile sulle donne:

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come la definiscono molti giornali

Dina Goldstein, ―Fallen Princesses‖ Raptus: termine ancora molto usato dai media, per spiegare l’assassinio di una donna da parte del partner o ex par-

tner. L‘evento è descritto come improvviso ed inspiegabile, dovuto quindi alla perdita di senno repentina dell‘uomo.

Uxoricidio: letteralmente, “uccisione della moglie”. Il termine è parziale, in quanto non comprende un’indicazione

della violenza di genere come causa dell‘assassinio.

Elena Cesari

violenze e le discriminazioni che le donne subiscono in

quanto appartenenti al genere femminile: violenza sessu-

ale, violenza psicologica, stalking.

Violenza contro le donne (o violenza di genere): defi-

nizione Onu

“Ogni atto di violenza fondato sul genere che comporti

o possa comportare per la donna danno o sofferenza fisi-

ca, psicologica o sessuale, includendo la minaccia di que-

sti atti, coercizione o privazioni arbitrarie della libertà, che

avvengano nel corso della vita pubblica o privata…”.

Casa delle donne per non subire violenza di Bologna

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Marzo 2012 nº5

Approfondimento La volontà di sapere

I ntervista a Cristina Karadole, curatrice di Femicidio. Dati e riflessioni intorno ai delitti per violenza di genere e Angela Romanin, ope-

ratrici della Casa delle donne per non subire violen-za (Bologna).

Elena Cesari: Potete parlarci del Rapporto Ombra, questo importante documento, redatto ‗dal basso‘ e cioè dalle organizzazioni delle donne? E più nello specifico del capitolo sul femicidio, dove vengono presentati gli unici dati disponibili in Italia sugli omicidi delle donne adottando un‘ottica di genere? Cristina Karadole: Il Rapporto Ombra è stato presentato l‘estate scorsa a New York, nel corso del-la commissione del Comitato CEDAW. È un rapporto che è stato messo assieme da una piat-taforma che racchiude molte as-sociazioni, fra cui Differenze Donna, la rete dei Centri antivio-lenza e tante ong, che hanno la-vorato molto per ricostruire sia la situazione legislativa, che dei ser-vizi per le donne nel nostro Pae-se e per capire il livello di attuazione della CEDAW in Italia. Recentemente (dal 15 al 26 gennaio 2012, ndr) ha fatto visita al nostro Paese la Special Rapporteur on violence against women O.N.U Rashida Manjoo, allo scopo di verificare la situazione delle donne nel lavoro, nei CIE, nei centri di detenzione… Ha visita-to inoltre molti Centri antiviolenza. Sulla base di quanto osservato a giugno la Relatrice speciale pre-senterà un rapporto alla 20esima sessione del Consi-glio sui diritti umani, ma già nella sua conferenza stampa ha rilevato parecchi punti critici, come la minimizzazione della violenza, l‘estrema pervasività della violenza sulle donne in tutto il Paese; la que-stione della cultura del condono della violenza, ov-vero la scarsa consapevolezza della gravità del feno-meno, che coinvolge anche le donne. Esistono poi il problema della scarsa fiducia nell‘ordinamento giu-diziario e il problema culturale di stigmatizzazione di chi denuncia le violenze, e la mentalità che i feno-meni di violenza si possano contenere e debbano rimanere ―in famiglia‖. Sono moltissime le ragioni

per cui il sommerso rimane ancora un dato fondamen-tale nel nostro Paese. Un'altra criticità evidenziata da Rashida Manjoo è la frammentarietà del quadro giuridico. Ci sono tante misure, però in settori diversi: non esiste una legge or-ganica sulla violenza, come è per esempio in Spagna, e poi mancano fondi per i Centri antiviolenza. A novem-bre 2010 è stato approvato un piano antiviolenza, che non è una legge, ma un piano d‘azione che prevede che i Centri siano una struttura fondamentale per la prote-zione della donna ma senza disporne il finanziamento. Altro problema è la mancanza totale di dati. L‘ultima ricerca epidemiologica è del 2006 pubblicata nel 2007

dall‘ISTAT ed è la ricerca più ampia. È stata fatta in seguito a un‘indagine sulla sicurezza, che però non riguarda la violenza. Esiste poi una ricerca EU-RES del 2007 (pubblicata nel 2008) sugli omicidi volontari. Noi la citiamo perché l‘indagine Istat non dava infor-mazioni sulle donne che vengono ucci-se, dal momento che si basava su inter-viste delle sopravissute. Inoltre, a partire secondo governo Ber-lusconi, il Ministro degli Interni non ha più diffuso il rapporto annuale sul-

la criminalità in Italia. L‘ultimo rapporto era stato pub-blicato nel 2008 e conteneva i dati Istat. Quindi noi non possiamo sapere l‘andamento dei crimini, ci sono molti dati legati alla droga, i reati finanziari, ma per quello che riguarda i delitti di genere non c‘è niente. Angela Romanin: La famiglia è uno degli ambiti che il Rapporto Eures prende in considerazione, però non c‘è neanche una differenziazione di genere: manca un‘ottica di genere, per cui non abbiamo un‘idea preci-sa del fenomeno. Quello che manca in Italia è proprio l‘ottica di genere da parte delle istituzioni, l‘unico caso di buona prassi è stato quello della ricerca dell‘Istat. C‘è una mole enorme di dati criminologici che non vengono messi a disposizione dei ricercatori, e che quindi non sono analizzabili; per esempio nel caso de-gli omicidi in base al rapporto fra vittima e assassino, non si può sapere quali sono i delitti delle donne fatti per motivi di genere. Anche la ex Ministra Carfagna l‘ottobre scorso ha detto che gli omicidi di donne sono in calo, perché lei ha contato le donne morte, anno per anno, però le donne possono essere morte per vari mo-

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Approfondimento Marzo 2012 nº5

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Spesso arrivano donne che dicono: ―Ah, mi è successa una cosa molto brutta‖. Questa è violenza, sei stata stu-prata, è successo che ti ha picchiato… Dare questo no-me serve poi anche in prospettiva a poterne venire fuo-ri. Se si guarda all‘indagine Istat molte donne non pen-sano neanche che la violenza sia un reato, non credono nemmeno che sia violenza.

Quando qualcuno dice: ―No, la violenza sulle donne sta diminuendo, tra un po‘ scompare‖, oppure: ― No, la

parità di genere in Italia è già raggiunta‖, ecco, quel qualcuno sta facendo violenza, perché collabora a livel-lo culturale a nascondere la gravità, l‘estensione, la per-vasività della violenza. E questa è la violenza culturale. Se guardiamo a come è cambiato il linguaggio sulla vio-lenza in questi ultimi vent‘anni, ci accorgiamo che alcu-ni termini nel tempo sono caduti in disuso ed altri si sono acquisiti per definire precisamente alcune forme di violenza, migliorando la definizione, precisando l‘ambito, precisando il significato. Per esempio, in Italia una volta si parlava di abuso, per quella che adesso vie-ne definita violenza sessuale sui bambini e le bambine. Oppure si parlava di uxoricidio, adesso si parla di femi-cidio (partner che ammazza la compagna o la ex compa-gna), e così via: mobbing, stalking… Allora, finché non c‘era qualcuno a dirlo, era come se non esistesse. Ades-so si fa un gran parlare di stalking, però lo stalking è sempre esistito da parte degli ex partner delle donne. Moltissime donne che abbiamo ricevuto da quando abbiamo aperto riferiscono episodi di stalking: abbia-mo le case a indirizzo segreto, perché le donne si possa-no nascondere proprio per sfuggire alle persecuzioni. L‘evoluzione del linguaggio è molto interessante per chi studia la comunicazione. Da un linguaggio impreciso, un po‘ oscuro, si sta passando via via a termini più spe-cifici e corretti. Ad esempio, dall‘espressione ―violenza

tivi: perché un rapinatore si è messo a sparare all‘impazzata, per essere state investite… È vero che gli omicidi nel complesso sono in calo, ma secondo i nostri dati i delitti di genere sono invece in aumen-to. Gli omicidi sono diminuiti a partire dagli anni ‗90, ma se all‘interno di questi si va a vedere il numero delle donne uccise nell‘ambito di genere, in base alla nostra indagine sui dati che emergono dalla stampa, allora non c‘è un calo. I dati riferiti agli omicidi in famiglia sono quelli del-la ricerca Eures, perché l‘indagine Istat non tratta di omicidi. E.C.: Come Osservatorio sulle discriminazioni a mezzo stampa ci interessa moltissimo il lavoro che fate sulla stampa, anche perché è il lavoro di moni-toraggio sulle discriminazioni e la violenza di genere più ampio e documentato che abbiamo a livello na-zionale.

C.K.: Il nostro lavoro sulla stampa è essenzialmente quantitativo. Noi intanto vogliamo avere il dato complessivo di quanti casi ci sono all‘anno. Poi, all‘interno del dato complessivo cerchiamo di ricava-re informazioni: l‘età e la nazionalità della donna, l‘età e la nazionalità dell‘uomo, il luogo del delitto. E poi cerchiamo anche di capire se ci sono state pre-cedenti violenze, un genere di informazioni che spesso manca negli articoli, perché il giornalista pen-sa di poter liquidare le violenze precedenti ai delitti denominati ―delitti passionali‖ o ―raptus‖. E poi indaghiamo in parte il movente.

E.C.: Quanti quotidiani monitorate?

C.K.: Noi partiamo dagli archivi Ansa, poi utilizzia-mo il sito di La Repubblica/L‘Espresso, che ha an-che le pagine locali ed integriamo con alcuni siti (come www.delittiimperfetti.it, che non fa un lavoro rispetto al genere però raccoglie tutti i dati di conte-sto). È un metodo un po‘ empirico.

A.R.: E pensare che tutti questi dati giacciono da qualche parte ma nessuno li vuole tirare fuori e met-tere a disposizione dell‘opinione pubblica, per cui c‘è una precisa volontà di non sapere, perché se tu non sai non nomini e se non nomini è come se non ci fosse. Infatti il lavoro dei Centri antiviolenza è stato tantissimo in questo senso, nell‘aiutare le don-ne a dire quello che capita loro, a dare un nome.

“ Occorre partire dal nominare le cose. No-minandole le fai esistere. E se esistono,

allora ci puoi fare qualcosa. Foucault parlava di ―volontà di sapere‖. Il nostro Stato ha la

volontà di non sapere. E lo dimostra: le auto-rità, i politici, per la maggior parte uomini,

collaborano tra loro perché le donne rimanga-no ai margini.

Lo si evince dal fatto che i dati non vengono raccolti, vengono nascosti; dal fatto di non

nominare e di negare…

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Approfondimento Marzo 2012 nº5

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volontà di agirla. Ci sono uomini che hanno avuto una vita terribile, con traumi di tutti i tipi, che però non picchiano la compa-gna; e ci sono uomini nati nel velluto che lo fanno. Il fatto però di potere agire la violenza più o meno impu-nemente è il via libera. Le motivazioni degli autori pure cambiano storicamen-te. Fino al 1981, quando ancora erano previste le atte-nuanti per il delitto d‘onore, tutti gli assassini della compagna, della figlia, della sorella si giustificavano dicendo: ―Perché lei ha macchiato il mio onore, l‘onore della mia famiglia‖. Appena hanno abolito questa atte-nuante, improvvisamente, ma in maniera netta e preci-sa, la motivazione è diventata: ―Perché lei mi ha lascia-to, perché lei voleva andarsene‖. E.C.: Quali sono le considerazioni sulla violenza agita dagli uomini nelle comunità straniere?

C.K.: Nei fenomeni migratori molto spesso il fatto di appartenere ad una comunità viene molto enfatizzato e rinsaldato, quando si abita in un Paese straniero. Quin-di, molto spesso gli aspetti più deleteri della tradizione culturale vengono enfatizzati. Le donne migranti spesso hanno il permesso di soggiorno legato a quello del ma-rito, quindi se decidono di denunciare situazioni di un certo tipo rischiano di finire in un centro di detenzione oppure di essere spedite a casa. Ci sono delle specificità molto forti da considerare, dopodiché i discorsi che spiegano i rapporti fra i generi in base alla cultura sono da prendere con le molle, perché la violenza riguarda tutte le culture.

Elena Cesari

domestica‖ ora si è passati a ―violenza nelle relazioni di intimità‖ o ―violenza da (ex) partner intimo‖. C.K.: Nei mass media non è comune che si parli di ―violenza maschile‖. Il termine ―femicidio‖ è stato introdotto da noi.

E.C.: Cosa si intende con questo termine?

C.K.: Con questo termine si intende ogni forma di discriminazione e violenza commessa ai danni di una donna in quanto tale. Il termine è stato propo-sto da Diana Russell nel 1992, nel libro Femicide: the politics of woman killing: “il concetto di femicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassi-nio, ed include quelle situazioni in cui la morte del-la donna rappresenta l‘esito/la conseguenza di atteg-giamenti o pratiche sociali misogine‖. Nei media i femicidi vengono chiamati spesso ―delitti passiona-li‖, mai si parla di violenza di genere. Il fenomeno viene ricondotto alla sfera affettiva, alla sfera del privato, della coppia. Allora automaticamente anche il livello di condanna sociale scema: si allude a qual-che responsabilità della donna, al colpo di pazzia dovuto alla gelosia dell‘uomo. Se un uomo è geloso, allora è meno grave quello che fa. A.R.: Vengono cercate delle “motivazioni” per spie-gare e giustificare la violenza. Queste motivazioni servono a noi tutti per allontanare un evento trau-matico: è un meccanismo anche psichico molto stu-diato, per cui di fronte ai traumi la vittima, l‘autore e anche il testimone (noi dei Centri antiviolenza, o chi assiste a un episodio) condividono alcune reazio-ni in comune. Due di queste sono la negazione e la minimizzazione. Gli eventi traumatici sono talmente pesanti anche da avvicinare – non solo da subire o da fare – che la nostra psiche cerca di attribuire loro delle spiegazioni, per allontanarli da noi e fare in modo che ci feriscano di meno. Fa troppo male ac-cettare il fatto per quello che è: un delitto, lui voleva annientare la vittima. Questo genere di crimini si scoprono subito, sono le investigazioni più semplici da fare; eppure c‘è una certa impunità. Per esempio, nessuno va mai a chiedersi che motivazioni aveva, quali erano le difficoltà psicologiche dell‘omicida di mafia. Siccome i femicidi attengono agli affetti e alle donne, allora si minimizza, si nega. Non si tratta di un altro casuale, non è un tuo pari quello che si uc-cide. La violenza svela lo squilibrio di potere nella relazione. La cultura dà un via libera. È chiaro che l‘unica motivazione di qualsiasi tipo di violenza è la