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Lettera Orvietana Sommario Quadrimestrale d’informazione culturale dell’Istituto Storico Artistico Orvietano Anno XVI N. 40-41-42 ago. 2015 Gli scavi di S. Ansano pag. 2 L’Opac Vincesco: una conquista per il territorio » 5 Influssi romani nelle pitture orvietane del Duecento » 6 La Famiglia Salesiana » 10 La Rupe ricorda Alberto Lattuada » 14 Il 70° dell’Istituto » 15 Un possibile ritratto di pittore veneto nella Cappella Carafa » 21 Note sulla Famiglia Faina » 24 Il tesoro della Cattedrale » 31 I nostri primi settant’anni Qualche anno fa, invece, un socio dell’Istituto, il dott. Lucio Riccetti, sollevò una questione di lana caprina che ruotava intorno all’adozione di un referee per un parere su ciascun articolo pubbli- cato sul “Bollettino”. A parte il personale fastidio nel- l’uso di anglicismi, alle richieste contenute nella lettera fu risposto esaurientemente, ma il Riccetti, non soddisfatto, ne mandò un’altra, questa volta inviata per conoscenza (il 10 novembre 2012) alla Procura della Repub- blica, dove fu aperto un fascicolo con un procedimento penale che riguardava l’Istituto di cui sono presidente. Le indagini in merito al procedi- mento sono andate per le lunghe, anche per il trasferimento del Tri- bunale da Orvieto a Terni, ed essendo prossima la scadenza del mio mandato ho verificato, per tranquillità di tutti, che a mio carico non risultano iscrizioni sul registro Informatizzato delle Notizie di Reato della Procura della Repubblica di Terni. Non dimenticando questa brutta vicenda e tornando all’auspicata convivenza civile di cui sopra, direi che l’Istituto di tutto ha bisogno meno che di soci che esternano le proprie presunzioni di reati inesistenti a danno degli altri. Alberto Satolli L a vita dell’Istituto scorre tran- quilla ormai da oltre settan- t’anni -come rammentano le quattro pagine centrali di questo numero di “Lettera orvietana” stampate eccezionalmente a colo- ri per memorizzare i festeggia- menti del settantesimo anniversa- rio dalla fondazione- e la formula tacitamente adottata perché l’associazione divenisse l’istituzione culturale orvietana più longeva è stata quella di non alimentare potenziali conflittuali- tà tra i soci che fortunatamente sono di varia formazione cultura- le ed estrazione sociale. Ricordo, per esempio, che negli anni in cui si scatenò l’annosa polemica sulle nuove porte del duomo (1962-1974), nella quale si schierarono su due fronti i favorevoli e i contrari all’installa- zione delle porte di Emilio Greco, tra i soci dell’Istituto e i cittadini, l’Istituto evitò tavole rotonde e conferenze che favorissero lo scontro ideologico, né prese uffi- cialmente posizione sulla capziosa questione, evitando fratture che potevano diventare insanabili. Ma ciò non significò disinteres- sarsi del problema culturale che era emerso, bensì fu da incentivo per ricostruire la storia di molti altri progetti dimenticati per nuove porte del duomo, a partire dalla fine dell’Ottocento, e pub- blicarla su due numeri del “Bol- lettino”, raccolti nel volume Il duomo delle porte, insieme a tutti, indistintamente, gli articoli che Presunzioni dannose La Pazienza (incisione da Cesare Ripa, Iconologia, Venezia 1669) S iamo arrivati ai settanta e… non è poco. Per una città come la Rupe, che un sodalizio culturale si mantenga nel tempo pressoché inalterato, ancora fresco e scattante, d’incorrotta vitalità, tenendo fede agli intenti originari, non restio ai rapidi mutamenti storici e sociali, è un’eccezione che merita attente interpretazioni. In un contesto territoriale piuttosto adagiato, che preferisce di solito non sobbarcarsi i pesi di progettualità definite, con scarsa propensione alla visione costruttiva, sembra un fenomeno isolato quello che ha permesso dal ’44 ai nostri giorni l’organizzazione di cicli di con- ferenze, incontri e ricerche, concerti e mostre, gite e dibattiti, realizzazioni editoriali, coinvolgendo illustri figure, relato- ri italiani e non… Quanti Consigli Direttivi si sono succeduti, tra tante problematicità economiche e gestionali, soltan- to con una ferma determinazione, quella del sostegno incondizionato alle indagini scientifiche nei diversi settori di inte- resse per la conoscenza della città. Un’impresa ardua, per tener alte le finalità dichiarate dallo Statuto, senza che si incor- resse in accademismi che isolano o in semplicismi che vanificano. Come in tutte le buone famiglie, non sono mancati periodi di crisi, scarse risorse economiche, diverse opinioni riguardo agli aspetti gestionali, talvolta purtroppo derivate anche da motivi caratteriali, con processi tormentosi di mediazione, sfuggenti rapporti con le Amministrazioni locali. Invece quanta fresca vitalità con Accademie, Università e Biblioteche di tutto il mondo. L’Istituto ha tenuto, ha retto al tempo che passa, è riuscito a rinnovarsi, interessandosi dell’inserimento dei giovani negli ambiti operativi. Ben si ricorda quando qualcuno diceva: “Ma come fate?” Eppure ce l’abbiamo fatta e continuiamo a farcela, malgrado le tante difficoltà. Siamo entrati nel Terzo Millennio e siamo sempre più decisi nei nostri propositi, solidali nell’impegno culturale anche per i prossimi periodi. fmdc avevano creato un caso nazionale con l’ultima polemica. Ciò per dire che l’Istituto, oltre all’azione culturale, teneva -e tiene- molto alla convivenza civi- le tra i soci, cercando di evitare che si verifichino prevaricazioni di sorta.

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Lettera Orvietana

Sommario

Quadrimestrale d’informazione culturaledell’Istituto Storico Artistico Orvietano

Anno XVI N. 40-41-42 ago. 2015

Gli scavi di S. Ansano pag. 2

L’Opac Vincesco:una conquista per il territorio » 5

Influssi romani nelle pitture orvietanedel Duecento » 6

La Famiglia Salesiana » 10

La Rupe ricorda Alberto Lattuada » 14

Il 70° dell’Istituto » 15

Un possibile ritratto di pittore venetonella Cappella Carafa » 21

Note sulla Famiglia Faina » 24

Il tesoro della Cattedrale » 31

I nostri primi settant’anni

Qualche anno fa, invece, unsocio dell’Istituto, il dott. LucioRiccetti, sollevò una questione dilana caprina che ruotava intornoall’adozione di un referee per unparere su ciascun articolo pubbli-cato sul “Bollettino”.A parte il personale fastidio nel-l’uso di anglicismi, alle richiestecontenute nella lettera fu rispostoesaurientemente, ma il Riccetti,non soddisfatto, ne mandòun’altra, questa volta inviata perconoscenza (il 10 novembre2012) alla Procura della Repub-blica, dove fu aperto un fascicolocon un procedimento penale cheriguardava l’Istituto di cui sonopresidente.Le indagini in merito al procedi-mento sono andate per le lunghe,anche per il trasferimento del Tri-bunale da Orvieto a Terni, edessendo prossima la scadenza delmio mandato ho verificato, pertranquillità di tutti, che a miocarico non risultano iscrizionisul registro Informatizzato delleNotizie di Reato della Procuradella Repubblica di Terni.Non dimenticando questa bruttavicenda e tornando all’auspicataconvivenza civile di cui sopra,direi che l’Istituto di tutto habisogno meno che di soci cheesternano le proprie presunzionidi reati inesistenti a danno deglialtri.

Alberto Satolli

La vita dell’Istituto scorre tran-quilla ormai da oltre settan-

t’anni -come rammentano lequattro pagine centrali di questonumero di “Lettera orvietana”stampate eccezionalmente a colo-ri per memorizzare i festeggia-menti del settantesimo anniversa-rio dalla fondazione- e la formulatacitamente adottata perchél’associazione divenissel’istituzione culturale orvietanapiù longeva è stata quella di nonalimentare potenziali conflittuali-tà tra i soci che fortunatamentesono di varia formazione cultura-le ed estrazione sociale.Ricordo, per esempio, che neglianni in cui si scatenò l’annosapolemica sulle nuove porte delduomo (1962-1974), nella qualesi schierarono su due fronti ifavorevoli e i contrari all’installa-zione delle porte di Emilio Greco,tra i soci dell’Istituto e i cittadini,l’Istituto evitò tavole rotonde econferenze che favorissero loscontro ideologico, né prese uffi-cialmente posizione sulla capziosaquestione, evitando fratture chepotevano diventare insanabili.Ma ciò non significò disinteres-sarsi del problema culturale cheera emerso, bensì fu da incentivoper ricostruire la storia di moltialtri progetti dimenticati pernuove porte del duomo, a partiredalla fine dell’Ottocento, e pub-blicarla su due numeri del “Bol-lettino”, raccolti nel volume Ilduomo delle porte, insieme a tutti,indistintamente, gli articoli che

Presunzioni dannose

La Pazienza (incisione da Cesare Ripa, Iconologia, Venezia 1669)

Siamo arrivati ai settanta e… non è poco. Per una città come la Rupe, che un sodalizio culturale si mantenga nel tempo

pressoché inalterato, ancora fresco e scattante, d’incorrotta vitalità, tenendo fede agli intenti originari, non restio ai

rapidi mutamenti storici e sociali, è un’eccezione che merita attente interpretazioni. In un contesto territoriale piuttosto

adagiato, che preferisce di solito non sobbarcarsi i pesi di progettualità definite, con scarsa propensione alla visione

costruttiva, sembra un fenomeno isolato quello che ha permesso dal ’44 ai nostri giorni l’organizzazione di cicli di con-

ferenze, incontri e ricerche, concerti e mostre, gite e dibattiti, realizzazioni editoriali, coinvolgendo illustri figure, relato-

ri italiani e non… Quanti Consigli Direttivi si sono succeduti, tra tante problematicità economiche e gestionali, soltan-

to con una ferma determinazione, quella del sostegno incondizionato alle indagini scientifiche nei diversi settori di inte-

resse per la conoscenza della città. Un’impresa ardua, per tener alte le finalità dichiarate dallo Statuto, senza che si incor-

resse in accademismi che isolano o in semplicismi che vanificano.

Come in tutte le buone famiglie, non sono mancati periodi di crisi, scarse risorse economiche, diverse opinioni riguardo

agli aspetti gestionali, talvolta purtroppo derivate anche da motivi caratteriali, con processi tormentosi di mediazione,

sfuggenti rapporti con le Amministrazioni locali. Invece quanta fresca vitalità con Accademie, Università e Biblioteche di

tutto il mondo.

L’Istituto ha tenuto, ha retto al tempo che passa, è riuscito a rinnovarsi, interessandosi dell’inserimento dei giovani negli

ambiti operativi.

Ben si ricorda quando qualcuno diceva: “Ma come fate?” Eppure ce l’abbiamo fatta e continuiamo a farcela, malgrado le

tante difficoltà.

Siamo entrati nel Terzo Millennio e siamo sempre più decisi nei nostri propositi, solidali nell’impegno culturale anche

per i prossimi periodi.

fmdc

avevano creato un caso nazionalecon l’ultima polemica.Ciò per dire che l’Istituto, oltreall’azione culturale, teneva -e

tiene- molto alla convivenza civi-le tra i soci, cercando di evitareche si verifichino prevaricazionidi sorta.

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

Supplemento alBISAO LXVII (2011)

Piazza Febei, 2 - 05018 OrvietoTel. e Fax 0763.391025

www.isao.it - [email protected]

Direttore responsabile:Francesco M. Della Ciana

In Redazione:Laura Andreani

Alessandra Cannistrà

Hanno collaborato:Laura Andreani

Maria Antonietta Bacci PolegriSandro BassettiMarta BiagioliClaudio BizzarriCarlo Cagnucci

Alessandra CannistràDaniele Cavaleiro

Francesco De SantisFrancesco M. Della CianaGiuseppe M. Della Fina

Roberto FasciettiMaria Teresa Moretti

Alberto SatolliClaudio Urbani

Autorizzazione del Tribunaledi Orvieto N.13 del 24 agosto 1953

Layout e stampa:Tipografia CeccarelliAcquapendente (VT)

Nei mesi di giugno e luglio siadel 2013 che del 2014 si sono

svolte campagne di scavo a sant’An-sano, Comune di Allerona, TR.Queste sono state rese possibili gra-zie alla collaborazione fra P. A. A.O. (Parco Archeologico ed Ambien-tale dell’Orvietano), Saint AnselmCollege del New Hampshire (U. S.A.) ed il Comune di Allerona, conla direzione scientifica dei professoriDavid B. George e Claudio Bizzarri.Di rilevante importanza sono stati icontributi dei sindaci che si sonoavvicendati negli anni e di ClaudioUrbani.

L’indagine ha preso il via a causadell’individuazione, in un terrenocoltivato a vigneto ed oliveto, di

due strutture absidate, poste ai latidi una carrareccia di servizio. Neiterreni limitrofi alle due strutture inelevato, sia a valle che a monte,sono state individuati resti murarid’epoca romana, in massima partestrutture in opus caementicium. Sitratta quindi dei resti di un com-plesso di più ampio respiro, cheprobabilmente esula dalla mera areaa carattere funerario per identificarsiquale insediamento produttivo alatere di una delle vie di comunica-zione più importanti del territorioorvietano nell’antichità, la via Traia-na Nova. Nel corso del 2013, sonostate scavate delle trincee esplorativeallo scopo di documentare la consi-stenza dei resti e di poterne com-prendere meglio la funzione. Lungo

tiva - di aree di terra in concomi-tanza col posizionamento degliorgani interni dei defunti. Le analisiconsentiranno di valutare le condi-zioni di salute dei soggetti in vita edeventuali patologie che ne hannodeterminato il decesso. Si tratta dianalisi di carattere archeometrico direlativo recente sviluppo, che vannoad aggiungersi a quelle già effettuatesui resti pittorici conservati all’inter-no dell’abside della cappella dellachiesa, analisi condotte con unaparticolare attrezzatura (R. A. M. A.N.) in grado di individuare i com-posti di origine organica, alla basedella manifattura dei pigmentimedesimi; tali procedimenti hannovisto anche la compartecipazione ditecnici provenienti dall’universitàbelga di Ghent.Entrambe le deposizioni sono statescavate completamente ed i restiosteologici recuperati per ulterioristudi specialistici (che verrannoeffettuati nel corso del 2015). Leinumazioni seguivano la medesimatipologia funeraria, senza la presen-za di una bara lignea, con i defuntideposti, supini, in piena terra. Ladeposizione n. 2 presentava elemen-ti in bronzo pertinenti ad una cate-nella, che correvano lungo il petto ela spalla dell’inumato mentre nelladeposizione n. 1 sono state rinvenu-te due monete (Ordinanza di Peru-gia, datate al 1471), elemento utilealla cronologia delle deposizionimedesime che testimoniano quindiuna prolungata frequentazione del-l’area. Lo scheletro della deposizio-ne denominata 2, misurava unmetro e trentanove cm di altezza,con le braccia ripiegate sul busto.Sulla gabbia toracica sono stati rin-venuti i piccoli anelli in bronzosopra menzionati, alcuni dei qualiscivolati al disotto delle ossa. Si trat-tava di un ornamento personale odella decorazione di una stola,indossata dall’inumato. Da unprimo esame sembra infatti che laconformazione delle ossa pelvichepossano indicare il defunto come disesso maschile. Sembra anche dipoter notare una certa usura delleteste dei femori e delle tibie suentrambe gli arti inferiori. Lemodalità di intervento sul campohanno suggerito di disarticolare loscheletro e di conservare le ossa inapposite scatole di cartone atossico,pronte quindi per le analisi di carat-tere osteologico.Nella restante porzione della trinceaA è stata scavata la deposizione 1,collocata in una fossa dispostaparallelamente rispetto al murooccidentale dell’abside. Le monetealle quali s’è fatto cenno vennerorecuperate un,a nel corso della cam-pagna 2013, proprio al disopra del-l’inumazione, mentre, nel corso del2014, una identica è stata ritrovataal disotto dello scheletro. Si tratta diun dato che consente di essere pre-cisi con la cronologia della deposi-zione. Da notare anche che unframmento di ansa a nastro perti-nente ad un vaso in maiolica arcaicaorvietana è stato recuperato in cor-rispondenza delle ossa della gabbiatoracica.All’interno della piccola navata della

cappella, le indagini archeologichenon hanno purtroppo portare all’in-dividuazione di alcun piano pavi-mentale, probabilmente già asporta-to in epoca antica; sembra comun-que di poter ribadire che le partizio-ni interne all’area ancora copertadalla volta in laterizio siano d’epocaromana, forse funzionali ad unimpianto termale, come denunciatodalla presenza di cocciopesto, unasorta di malta di carattere idraulico.La trincea aperta a forma di letteraelle lungo la gemella struttura absi-data posta dal lato opposto dellastrada di servizio ai terreni agricoli,non ha dato elementi utili alla com-prensione del sistema edilizio peral-tro di sicura esistenza. E’ stato pos-sibile individuare altri resti umanima in un chiaro contesto caratteriz-zato da una forte alterazione dellastratigrafia. Nel complesso quindi leindagini condotte presso la chiesa disant’Ansano di Allerona testimonia-no dell’esistenza di un’importantefase d’epoca romana, probabilmented’epoca tardo repubblicana edimperiale, alla quale fa seguito ilriutilizzo, a partire almeno da epocamedievale, di una delle absidi qualecappella per il culto del santo. Dicerto l’area archeologica è più estesadi quella oggi visibile in elevato ed èaltrettanto certo che anche l’areanecropolare d’epoca medievaledoveva estendersi tutt’attorno all’e-dificio religioso. Per il momento leindagini si sono fermate a causa delridotto spazio residuo presenteattorno alla cappella ed all’impossi-bilità di impiantare un cantiere inaltre aree adiacenti, di proprietà dif-ferenti rispetto a quella sulla quales’è fin ora lavorato, per la quale sideve sottolineare la costante e fatti-va collaborazione con la famigliaCecci, in particolare nella personadi Eugenio, senza la quale nonsarebbe stato possibile ottenere ipreziosi dati collazionati per la rico-struzione di una delle fasi storicheche hanno interessato Allerona ed ilsuo territorio.

Claudio Bizzarri

i lati esterni di una delle absidi èstata rinvenuta una serie di sepoltu-re d’epoca medievale, scavate poi,nel corso del 2014. Ci si è interro-gati quindi sia sulla relazione fun-zionale e strutturale esistente fra idue corpi in opera laterizia, che sul-l’eventualità che la cappella di san-t’Ansano fosse o meno il risultato diun riuso di strutture termali d’epocaromana, che sulla natura e cronolo-gia delle deposizioni di inumati. Perqueste ultime si è proceduto alloscavo dei resti scheletrici ed allacampionatura - una tecnica innova-

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Le recenti indagini archeologichea S. Ansano di Allerona

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

nenti alla costruzione originariaantica, come si evince con sicurez-za dai lembi di intonaco con coc-ciopesto ancora conservati. Il tipodei due monumenti sembradoversi ricondurre, secondo laSoprintendenza, ai monumentifunerari cosiddetti ad esedra. «Lastruttura appare tuttavia semplifi-cata rispetto a quest’ultimi inquanto l’esedra non è movimenta-ta da nicchie per la collocazionedi statue. Nel suo complesso lastruttura sembra piuttosto lamonumentalizzazione delle con-suete edicole funerarie di piccoledimensioni completate nella nic-chia centrale dal ritratto deldefunto. La tecnica costruttiva, sepur non sicuramente determinan-te per la cronologia dei duemonumenti, ha orientato tuttaviaa proporne una collocazione nel-l’ambito del II sec. d. C. I duemonumenti rivestono notevoleindicazioni topografiche che nederivano, segnalando l’antichità eil rilievo del percorso stradale aicui lati sono eretti».Oltre alle strutture in questione lalocalità sant’Ansano rivela cospi-cue tracce di altre presenze di etàromana. Resti di una villa romanavicino alla sorgente con piccoloinvaso a lato del podere SantoSano e sotto quello sant’AnsanoNuovo. «Tombe ad inumazionecon protezione di tegole sonosegnalate nell’area intorno ai duemonumenti funerari mentre nel

pianoro sottostante affioranostrutture murarie in opera reticola-ta, pavimenti in “opus spicatum” eopere di canalizzazione della sor-gente d’acqua che ivi scaturisce.L’abbondante presenza di ceramicadi superficie offre utili indicazionicirca l’estensione dell’area archeo-logica qui esistente, da riferireorientativamente al I sec. d. C. inbase al tipo di paramento dellestrutture cementizie».La relazione della Soprintendenzasi chiudeva con la riaffermazionedell’indubbio interesse archeologi-co dell’area, lasciando tuttaviaancora problematicol’inquadramento delle strutture,non potendosi stabilire, in assenzadi indagini di scavo, se si sia inpresenza di una villa (nel significa-to di villaggio aperto, senza muraprotettive) o piuttosto di edificidirettamente connessi all’utilizzopratico e/o culturale dellasorgente15.Le testimonianze storiche piùremote sulla chiesa rurale di san-t’Ansano di Allerona risalgono acirca un millennio dopo il marti-rio del Santo avvenuto nel 313 d.C. nei pressi del fiume Arbia alleporte di Siena. Questo lunghissi-mo intervallo di tempo può spie-garsi con una serie di motivi tracui principalmente i ritardi e ledifficoltà delle comunicazioni edegli spostamenti, la perdita o ladistruzione di documenti a causadell’usura del tempo e della man-

grafico un buon numero di par-rocchiani»9.Per quanto riguarda la chiesa disant’Ansano dell’area archeologicanei pressi di Allerona, nel 1962 lostorico orvietano Aurelio Ficarelliha pubblicato notizie che voglionodi antichissima tradizione la devo-zione al Santo in questo luogo,dove si sarebbe soffermato a dif-fondere il Vangelo e a compieremiracoli10, in presenza evidente-mente di una comunità già inse-diata nei primi esordi del Cristia-nesimo, nelle vicinanze di una sor-gente d’acqua e di una strada, lavia consolare Traiana Nova, chedal II secolo a. C fino al terzosecolo d. C. sostituiva la rovinataVia Cassia nel tratto da Bolsena aChiusi11. Lungo questa “via” per-mangono molti resti architettoniciscoperti e studiati nel corso deltempo12 perché le strade romaneper lunghi secoli hanno costituitose non l’unico (si pensi ai mari e aifiumi navigabili) il più importanteveicolo per il traffico. Come hascritto Radke, le strade romanehanno sopportato fino al tempo diGoethe il traffico europeo; è statol’avvento delle ferrovie, costruiteper lo più sugli stessi tracciati delleantiche “viae”, ad avviare la finedella loro importanza e la loro finemateriale13. Anche se in gran partecostruite dai soldati romani, le“viae” servirono soltanto in misuralimitata alle operazioni militari; ilmotivo più importante fu invece

l’accesso più facile a nuoviterritori14. Lungo le strade romanesono transitati nel corso dei secolii primi cristiani, i guerrieri, i mer-canti, i viandanti e i pellegrini chesi sono stanziati con diversi inse-diamenti.

Studi archeologici eseguiti in pas-sato sull’area oggetto del nostrostudio a cura della SoprintendenzaArcheologica dell’Umbria hannointerpretato i due edifici esistenticome «monumenti funerari erettiai lati di una strada antica. Lastruttura originaria dei due monu-menti è a pianta rettangolare, conil lato sud est aperto da una gran-de esedra voltata. La muratura èin “opus vittatum” misto di pietrae laterizio sul retro e sui lati delmonumento, mentre il paramentodell’esedra è tutto in laterizio conun rifascio a sottolinearel’apertura dell’esedra. Nel casodell’edificio dedicato a sant’Ansa-no l’esedra del monumento è statautilizzata come abside della picco-la chiesa, ottenuta prolungando imuri laterali dell’esedra a formareuna piccola navata, ormai comple-tamente diruta. L’interno dell’ab-side di sant’Ansano mostra unapavimentazione in laterizi e trebanconi, due laterali e uno orto-gonale centrale, anch’essi perti-

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Notizie storiche relative all’area archeologicadi Sant’Ansano in Allerona

Al giorno d’oggi, quando siparla di sant’Ansano si fa

un’associazione immediata con ilterritorio di Allerona dove soprav-vive il culto verso questo Santo,martire romano del II secolo d.C., venerato comel’evangelizzatore di queste terre1.Molte notizie storiche confermanoche in passato la devozione a san-t’Ansano era molto diffusa anchenella città di Orvieto dove unachiesa sotto il suo titolo vieneriportata nel Catasto del 1292come si desume da uno studio diElizabeth Carpentier la qualesostiene però che le chiese cittadi-ne nel Catasto del contado sonorappresentate malissimo, riscon-trandosi 65 menzioni per una doz-zina di chiese, tra le quali figuranoin primo piano quelle di san Gio-vanni e san Giovenale2, ma anchequella di santo Sano3 andatadistrutta alla fine del Quattrocen-to. A Orvieto sono segnalate traccesignificative di questa devozione,attraverso affreschi pittorici due -tre - quattrocenteschi di scuolaumbro senese, nelle nominatechiese di san Giovenale e di santoStefano, in una cappella dei santiMarzio, Ansano e Nicola, situataaccanto alla chiesa di san Lorenzo,ancora nominata nel 13664, in unaltare in duomo dedicato al nostroSanto insieme a sant’Egidio fino alSeicento5 e in una cappella di san-t’Ansano nella chiesa di santo Ste-fano, fatta costruire della famigliaBattaglini e officiata nel 1630 dalcappellano don Cesare Tofielli,giusto quanto annotato nella Visi-ta pastorale eseguita in quell’annodal vescovo di Orvieto PietroPaolo Crescenzi6.Della chiesa citata dalla Carpen-tier non si trovano più notiziedalla fine del Quattrocento, ma adessa potrebbe riferirsi il testamentosotto la data del 3 luglio 1253 concui Ranerio (figlio) del conte Gio-vanni Fumi lasciò molti denari eprodotti in natura a diverse chiesedella diocesi di Orvieto tra cuidieci soldi alla chiesa di santoSano per suffragio dell’anima sua7.E ancora l’atto notarile del 1288,rinvenuto in una raccolta di perga-mene, nel quale il pubblico notaioApollinare Benentendi ha registra-to la rinuncia alla chiesa di san-t’Ansano da parte del chiericoGuidetto di Bernardo (o Bernardi)e l’affidamento di essa al canonicoorvietano Monaldo dall’alloravescovo di Orvieto FrancescoMonaldeschi8. E’ facile che questanomina sia da riferire alla chiesa disant’Ansano di Orvieto la cuiattribuzione meglio si confaceva aun sacerdote rivestito della dignitàcanonicale, rispetto a quella ruralee periferica di Allerona, quasi aimargini del Contado. Un docu-mento coevo del 1288 ci tramandala notizia che la chiesa di sant’An-sano di Orvieto precede la costru-zione del duomo stesso e «chedoveva avere una certa importanzae quindi dal punto di vista demo-

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cata considerazione della loroimportanza. Del resto anche aSiena, nel luogo principe delladevozione ansaniana, il monumen-to più antico è l’oratorio di san-t’Ansano ricordato nell’anno 650in un compromesso tra Mauro,vescovo di Siena e Servando,vescovo di Arezzo16.Le fonti che si citano di seguitovanno interpretate nella loro com-plementarietà perché sebbene lachiesa di cui ci occupiamo noncompaia nel Catasto dei pivieri edei castelli sottoposti al Comunedi Orvieto redatto nel 127817, eneppure in quello del 1292 chepure contempla il piviere di Alle-rona18, è nominata invece nel librodelle Rationes Decimarum già dal1275, epoca in cui pagava le deci-me al vescovo di Orvieto, e perquesto viene riportata come testi-monianza visiva nella carta geogra-fica allegata al libro delle Rationesdei secoli XIII e XIV19.L’area in cui insiste compare inol-tre in alcuni atti di compravenditeche hanno interessato il vescovato,avvenute verso la fine del 1200;infatti dopo che il vescovo diOrvieto Aldobrandino Cavalcanti20

ebbe comprato nel 1273 da Mat-teo Pandolfi di Orvieto, a nomedel vescovato, tutta la tenuta diMeana formata da case, terre,vigne, boschi e due molini la cuiestensione arrivava dirimpetto allazona Santo Sano21, il 12 ottobre1274 Francesco Bonensegne ven-dette al frate Giovanni, vicariodello stesso vescovo, fra gli altrisuoi possedimenti, anche quelliricadenti nella stessa contradaSanto Sano22. Risulta poi che il 1settembre 1282 il vescovo diOrvieto Francesco Monaldeschiconcesse in affitto a Masseo olimVite di Vignarco tutto il podereconnotato oltre che dal nome dellacontrada stessa, anche dalla vici-nanza alla strada che va ad Allero-na e al fossato di Ripuglie23 e che il2 luglio 1288, questo podere,posto al di la del fossato di Ripu-glie, il vescovo lo permutò con unaltro che i monaci Guglielmiti disan Pietro Aquaeortus possedeva-no nei pressi del monastero e dellachiesa di san Giovanni di Meana odi Montepaleario24.In un frammento di statuto delComune di Orvieto del 1313-1315, dopo la descrizione dei restidella cappella di sant’Ansano, nellaparte dell’Indice delle Rubriche incui si fa riferimento all’Ospedaledi Santa Maria e della Carità, allaRubrica 127 si trova annotato “Deponte faciendo in Rivarcari” e allaRubrica 128 è riportata la scritta“De fonte Sancti Sani”25. Anchequeste notizie sono da riferire allachiesa rurale di Allerona per ilrichiamo al torrente Rivarcale, chescorre interamente in questoComune e che all’epoca apparivabisognoso di un ponte nella parteterminale pianeggiante dovel’Ospedale possedeva dei terrenifino ai pressi della località SantoSano. Lo stesso può dirsi dell’attodel 15 settembre 1356 con cui ilvescovo di Orvieto Ponzio Peretticonferì a Corrado, figlio del nobileuomo Benedetto di ErmannoMonaldeschi di Orvieto, in qualitàdi rettore, metà della chiesa “rura-le” di sant’Ansano della diocesiorvietana26.

della Paola30. Più ricca di particola-ri è una nota del 29 settembre1467 ove sono registrate le spesesostenute dal camerlengo Simonedel Ciotto per la festa di Sant’An-sano e cioè 6 baiocchi perl’alloggio del padre predicatore, 20soldi offerti al predicatore stesso,12 fiorini per l’acquisto di lardo, 1lira e 18 baiocchi per l’acquisto divino da offrire alla gente interve-nuta, 3 lire e 10 baiocchi per unasoma di vino «che fu portata aSant’Ansano»31.Notizie storicamente attendibili esicuramente riferite alla chiesarurale di Santo Sano ce le forni-scono, a partire dal Cinquecento,gli atti delle Visite pastorali deivescovi di Orvieto a cominciare daquella eseguita dal vescovo AlfonsoBinarino il 25 settembre 1573,occasione in cui annotò che sitrattava di una chiesa semplice,senza cura di anime, situata fuoridel castello di Allerona che avevaper rettore don Presentino Bisdo-mino di Arezzo. Il vescovo trovòl’altare spogliato, vide che in unafigura dell’icona c’era uno spazionon dipinto e molto incrostato eun’altra sacra immagine da deco-rarsi; trovò anche la porta senzachiave, il tetto mancante di tegolee legni e la chiesa fatiscente nellaparte anteriore, non c’era il pavi-mento né il campanile perciò ordi-nò di pavimentarla ed imbiancarla,di fare il campanile per porvi lacampana rinvenuta in terra e ditenere la porta chiusa a chiave. Aquel tempo era governatore dellachiesa, figura forse da intenderecome patrono, Dom.nus JacobusPhilippus Vaschiensis, tuttavia ilvescovo dette incarico di provvede-re a queste opere al signor AntonioLattanzi, possidente adoperando idue scudi e trentacinque baiocchidi elemosine che la chiesa possede-va32. Di questo periodo abbiamoanche la testimonianza che illuogo era abitato e difatti taleAscanio di Santo Sano il 6 maggio1576 si era aggiudicato qualemiglior offerente l’appalto del saledella comunità di Allerona per unanno a partire dallo stessogiorno33.Nell’anno 1607, come risulta dagliatti della Visita pastorale delvescovo di Orvieto Giacomo San-nesio, nella chiesa di Santa Mariadel Poggio Vecchio, a pochi passida Allerona, andata distrutta allafine dell’Ottocento, esisteva unaltare intitolato alla SS. Concezio-ne, sormontato dalle immaginidella Beata Vergine e dei SantiGiovanni e Ansano34 che nell’inci-pit dello Statuto comunale del1585 sono definiti advocati delCastello. Nel 1616, ai tempi dellaseconda visita Sannesio, quest’alta-re era dedicato solo a Sant’Ansanoe nel 1624 venne restaurato aspese del Comune con materiali diun certo pregio35. Quanto alle atti-vità di culto, c’è da ricordare chenel Cinquecento e nel Seicentonella chiesa del Poggio Vecchio,nel giorno della festa di Sant’Ansa-no erano celebrate Messe sull’alta-re eretto in suo onore e si svolgevauna processione che arrivava finoalla chiesa rurale di Santo Sano36,

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12 E. Moretti, La Via Cassia e la Via TraianaNova, Tipografia Marsili, Orvieto 1925, p.13. Per i tracciati della Via Cassia e la ViaTraiana Nova e i relativi rinvenimenti vedianche E. Martinori, Via Cassia (antica emoderna) e sue derivazioni, Roma 1930; W.Harris, The Via Cassia and the Via TraianaNova between Bolsena and Chiusi, in Papersof the British School at Romae, XXXIII(1965); B. Klakowicz, Il Contado Orvietano,II, I terreni a Nord, Ed. L’Erma di Bretscnei-der 1978; G. M. Della Fina, Orvieto roma-na, Scheda n. 18, Tipografia Marsili, Orvieto1988; A. Mosca, Un sistema stradale traRoma e Firenze, Firenze 2002.13 G. Radke, Viae Publicae Romanae, Edito-re Cappelli, Bologna 1981, p. 13.14 Ivi, pp. 19-20.15 Archivio Comunale di Allerona, Letteradel Ministero per i Beni Culturali, Soprin-tendenza Archeologica di Perugia, Prot. n.8213 del 9 agosto 1996 con i risultati delsopralluogo tecnico svolto il 7 febbraio1996, protocollata dal Comune di Alleronan. 3432 del 13 agosto 1996.16 U. Pasqui, Documenti per la storia dellacittà di Arezzo nel medioevo, Firenze, Vieus-seux, Arezzo, Tipografia U. Bellotti 1989.17 Cfr. G. Pardi, Il catasto di Orvieto del1278, in Bollettino della Società Umbra diStoria Patria, Vol. II, Tip. Tosini, Orvieto,1896.18 E. Carpentier, Orvieto a la fin du XIIIsiecle, cit. p. 63.19 P. Sella, Rationes Decimarum Italiae neisecoli XIII e XIV.Umbria, Editrice Città delVaticano, Roma 1962.20 «Aldobrandinus Cavalcanti Ordinis Prae-dicatorum, a B. Gregorio X Ecclesiae Urbe-vetanae invitus praeficitur. Fuit VicariusUrbis absente Pontifice pro Concilio Lugdu-nensi celebrando. Obiit FlorentiaeMCCLXXIX et Beati titulo a scriptoribushonoratur», questo quanto posto ad indicareil suddetto vescovo nella sala dedicata ai pre-suli orvietani, con tanto di loro dipinti, nelvecchio episcopio (si veda C.A. Calistri, Laserie dei Vescovi orvietani già dipinta nelPalazzo Apostolico di Orvieto, estratto dal«Bollettino dell’Istituto Storico ArtisticoOrvietano», XXII (1966), p. 71.21 M. Rossi Caponeri - L. Riccetti (a curadi), Chiese e conventi degli ordini mendicantiin Umbria nei secoli XIII e XIV, CollanaArchivi dell’Umbria, Editrice UmbriaCooperativa, 1987, pp. 174-180.22 L. Riccetti, Chiese e conventi degli ordinimendicanti, cit., p.177; cfr. AVO, Atti dicausa tra la Mensa vescovile e il principeSpada e il conte Negroni, Posizione 31.23 AVO, Codice A, Locatio poderis de con-trada Sancti Ansani, c. 169 (n.n.).24 AVO, Codice C, c. 18.25 L. Andreani, Un frammento di statuto delComune di Orvieto (1313-1315). Note amargine, in “Bollettino dell’Istituto StoricoArtistico Orvietano, XLII-XLIII (1986-87)”,pp. 123-172. Le notizie sono ricavate dal-l’Archivio di Stato di Orvieto, Statuti 27, cc.38r-46v.26 AVO, Codice B, Collatio pro medietateSancti Ansani, c. 12v (n.n.).27 ASO, Statuti 36, c.25r.28 Ivi, c.9r.29 Ivi, c.74r.30 Ivi, c.99r.31 Ivi, c.100v.32 AVO, Visite Pastorali, Visita Binarino, a.1573, cc. 90 e sgg.33 Archivio Comunale di Allerona (inseguito ACA), Registro del Comune dal1538 al 1577, c. 70r.34 R. Santinami, Visita Pastorale di Mons.Giacomo IV Sannesio, Vescovo di Orvieto,Appendice, a. 1607, pp. 408-409.35 ACA, Libro del Consiglio Comunale dal1615 al 1628, n., 3, cc. 112r- 177r.36 ACA, Libro del Consiglio Comunale, n.,3, sub 2.5.1599, c. 84r.37 AVO, Visite Pastorali, Visita Crescenzi, a.1639, carte s.n.38 AVO, Visite Pastorali, Visita Millini, a.1687, c. 59v.39 ACA, Libro del Consiglio Comunale, n.,5, sub 19. 4 1705, c. 78rv.40 AVO, Visite Pastorali, Visita Teroni, a.1720, c. 59r.41 AVO, Visite Pastorali, Visita Elisei, a.1723, c. 219r.42 AVO, Visite Pastorali, Visita Elisei, a.1725, pp.265-266.

chiesa che tuttavia nel 1639, altempo dell’episcopato di PierPaolo Crescenzi, risultava già spo-gliata e lasciata aperta nonostanteavesse il rettore nella persona didon Prospero Conti e un beneficiopertinente alla chiesa cattedrale diS. Maria di Orvieto37. Nel 1687 almomento della Visita eseguita dalcardinale vescovo Savio Millini lastruttura si trovava invece in statomediocre e continuava a mantene-re il beneficio annesso alla catte-drale dell’entità di 17 scudi conl’onere di celebrare quattro Messeogni quattro settimane. Il rettoreeconomo del tempo rispondeva alnome di don Basilio Cavallini38.Dell’altare di sant’Ansano al Pog-gio Vecchio si continuerà a faremenzione anche nel Settecento inoccasione delle Visite pastorali deivescovi Degli Atti39, Teroni40 e Eli-sei41, ma non più della processionea Santo Sano della cui chiesa nel1725 il vescovo Elisei rinnovò lasospensione “et mandavit expedirisequestra contra D. Severinum Mis-sini”, ordinando inoltre che venissechiusa a chiave, per impedirne usiprofani, e che la chiave fosse tenu-ta dal Vicario foraneo42. Dopoquesta data nessuno si è più curatodelle vicende spirituali e materialidi questa cappella di cui perman-gono allo stato attuale solo pochiruderi sui quali si sono appuntatele campagne di scavo condottecongiuntamente nel 2013 e 2014dal Saint Anselm College (Man-chester, New Hampshire, USA) edal Parco Archeologico Ambienta-le dell’Orvietano, sotto la guidarispettivamente del prof. David B.George e dell’archeologo ClaudioBizzarri, per far luce sulla natura esulla forma complessiva dell’inse-diamento.

Claudio Urbani

Note1 Vedi C. Urbani, Sant’Ansano Martire nellastoria e nella tradizione religiosa, Allerona1982.2 E. Carpentier, Orvieto a la fin du XIII sie-cle. Ville et campagne dans le cadastre de1292, Editions du Centre de la RechercheScientifique, Paris 1986, p. 207.3 Ivi, p.277, nota n. 160.4 Archivio Vescovile di Orvieto (in seguitoAVO), Codice B, foglio n.35r.5 AVO, Visite Pastorali, Visita Sannesio, a.1606, c.7. Aveva per cappellano don Pom-peo Rudolfino, Penitenziere della Cattedralee possedeva un reddito di 30 scudi che servi-vano per celebrare sei Messe al mese.6 AVO, Visite Pastorali, Visita Crescenzi, a.1630, c. 38rv.7 L. Riccetti, Chiese e conventi degli ordinimendicanti in Umbria nei secoli XIII e XIV,Ed. Umbria Cooperativa, 1987, p. 72.8 AVO, Codice C, foglio n.15.9 L. Guidi di Bagno, Orvieto tra il IX e ilXII secolo la dinamica dell’area diocesananella ricerca d’archivio e nella ricognizione delterritorio, in “Bollettino dell’Istituto StoricoArtistico Orvietano, XLII-XLIII (1986-87)”,pp. 38 e 39.10 A. Ficarelli, Sancta Urbevetana Legio,Tipografia degli Orfanelli, Orvieto 1962,pp. 367-369. Per le notizie su Sant’Ansanovedi anche C. Urbani, Sant’ Ansano nella sto-ria e nella tradizione religiosa, Allerona 1992.11 La costruzione della via Cassia è stataattribuita a Caio Cassio Longino, consolenel 171 a C. e censore nel 154, oppure aLucio Cassio Longino Rovilla, console nel127 a C. e censore nel 125. Da Roma, attra-verso l’Etruria arrivava a Firenze e quindi aPistoia, Lucca e proseguiva ancora.

Da tutte le notizie riportate sopraappare chiaramente indicata lapresenza della chiesa rurale in untratto del territorio alleronese tra idue fossati Ripuglie e Rivarcale.Delle celebrazioni religiose inonore di questo Santo ad Alleronasi rinvengono notizie che risalgonoindietro fino alla metà del 1400.Infatti in un libro conservato nel-l’Archivio di Stato di Orvieto,sotto il titolo Statuti del Castello diAllerona, sono raccolti una serie diatti e provvedimenti amministrati-vi della comunità che abbraccianotutto il secolo anzidetto e com-prendono anche lo svolgimentodella festa in onore di santo Sano,senza specificare se si svolgesseentro le mura del castello o nell’a-rea che esaminiamo. Un attoriporta la notizia che sotto la datadel 3 agosto 1455 Piero di Tolo-meo, detto Bolognino, vicario delPodestà, ha rivisto il rendiconto ditutte le spese fatte dal camerlengoAntonio detto Rossetto per contodella comunità di Allerona, tra cuicompare la spesa di 2 lire, 7 soldie 6 quattrini per il vino che fuofferto agli uomini per la festa disant’Ansano27. Il 22 giugno 1460si trova registrata la spesa di quat-tro lire per due agnelli dati alComune e consumati nella festa disant’Ansano28. Il 6 maggio 1464 èstata registrata una nota sotto iltitolo La festa di Santo Sano, scrit-ta di propria mano dal Visconte eVicario del Castello di Allerona,Battista di Nicolò di Fagiolo in cuisi spiega nel dettaglio che in quelgiorno fu fatta l’adunanza dei con-siglieri, per discutere «la propostafatta a tutto il Consiglio circa lafesta del devoto e glorioso SantoSano, Santo in Paradiso, e cioè seil Comune voleva pigliarla (orga-nizzarla, ndr) o no». A questa adu-nanza intervennero, tra gli altri, iconsiglieri Nicola di Sano, Anto-nello di Petruzzo, Cataluccio diLorenzo, Pietro di Mariano,Domenico di Giovanni di Teo eGuerrozzo di Pietro che l’avevanoindetta. Durante lo svolgimentodell’assemblea, Antonio, dettoCappuccio , «si alzò e dette il suosaggio consiglio che il Comune ladovesse organizzare e che si doves-se fare onore a questo gloriososanto». La proposta di Cappucciofu ripresa e confermata anche daconsiglieri Giovanni d’Agostino eGuglielmo Cappelletti, fu messa aivoti ed ottenne 47 voti favorevolie nessun contrario «con questoparere che si chiamassero duesignori che comandassero l’armatama non si ponesse alcuna impostae chi non obbedisse paghi quelloche prevede lo statuto per i disob-bedienti quando non avesseroalcuna ragione». Furono nominatisantesi addetti alla preparazione -della festa di quell’anno France-schino di Lorenzo e Pietro Anto-nio di Paolo29. Il 15 settembre1467 il Visconte Eusebio degliAvveduti ha redatto il verbale diun rendiconto contabile presenta-to dal camerlengo Leonardo diGiacomo, e verificato dai revisoriSimone del Ciotto e Antoniodetto Cappuccio, da cui risulta laspesa di 2 lire per due barili divino “per la festa di Santo Sano”dell’anno precedente acquistatirispettivamente uno da Pietro diFrancesco e l’altro da Leonardo

“Lettera Orvietana” è consultabile on line nel sito:

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- prenotazioni, rinnovi prestiti eletture.

Con il decisivo assist della Fonda-zione Cassa di Risparmio, si è riusci-ti a comporre un team di giovanicatalogatori, che in soli due anni hacompiuto l’inimmaginabile. Nel2014 è terminato il primo step pro-gettuale, con le catalogazioni delleBiblioteche dell’Istituto Storico Arti-stico Orvietano, della FondazioneCassa di Risparmio di Orvieto e del-l’Opera del Duomo di Orvieto; unaprima attività di riordino e schedatu-ra ha interessato il Museo “C. Faina”,in attesa di nuove e definitive realiz-zazioni. Le schede informaticheorientano per discipline, titoli edautori, ingressi, collocazioni, infor-mazioni specifiche etc.

Ma siamo soltanto all’inizio: tuttora,gran parte delle Biblioteche dell’Or-vietano non dispone neanche di unacatalogazione tradizionale. Notevoli,tra l’altro, le discrepanze caratteriz-zanti i diversi riferimenti bibliotecari,alcuni dei quali ben organizzati egestiti, dei veri punti di eccellenza,altri completamente al di fuori deglistandard di servizio che il sistemainternazionale delle catalogazioniimpone. Va rilevato inoltre che realtàlimitrofe si sono da tempo dotate diprogrammi informatici per la catalo-gazione bibliotecaria, ottenendorisultati sorprendenti, con efficaciservizi informativi e culturali. Se inmolte parti del Paese la realizzazionedi Opac territoriali è una conquistaormai consolidata, Orvieto ed ilComprensorio Orvietano, chedovrebbero essere all’avanguardianell’offerta culturale, manifestavanoe in parte ancora manifestano ritardiorganizzativi che soltanto attraversoun progetto definitivo ed unitariopotranno trovare degne soluzioni.

Riguardo al programma informatico,il Ministero dell’Istruzione, Universi-tà e Ricerca ha adottato un softwareacquisibile senza alcuna spesa, difacile gestione e soprattutto concapacità di dialogo rispetto al Siste-ma Bibliotecario Nazionale. Per talicaratteristiche risponde pienamenteagli obiettivi stabiliti.

Il piano finanziario prevede interven-ti diretti a sostenere gli oneri del pro-getto, con il coinvolgimento diquanti interessati. Per questo, ilruolo fondamentale della FondazioneCassa di Risparmio di Orvieto saràquello di sostenere i soggetti parteci-panti privi di adeguate risorse, acco-gliendo ed orientando al contempoquanti desidereranno aderire all’ini-ziativa, con propri investimenti spe-cifici.

L’Opac si estenderà tra breve alComprensorio orvietano, un Com-prensorio formato da piccoli Comu-ni, dislocati in un’ampia area geogra-fica di confine dell’Umbria Occiden-tale, inserita tra la Bassa Toscana el’Alto Lazio. Si tratta di un territoriodi particolare interesse paesaggistico,

con attrattive ambientali considere-voli, in cui si evidenziano caratteri-stiche socio-culturali piuttosto omo-genee, legate a trascorsi storici, patri-moni artistico-architettonici, usi etradizioni. In questo contesto, turi-sticamente apprezzato, meta di stu-diosi provenienti da ogni parte delmondo, tuttora mancano opportuneinnovazioni nei settori informativi,che consentano, attraversol’utilizzazione di tecnologie avanzate,il raggiungimento di obiettivi di frui-zione del patrimonio librario consoniai livelli nazionali ed europei.

“Se è vero che la “società conoscitiva”- precisa Francesco M. Della Cianacon determinazione - si avvale delruolo determinante delle Biblioteche,che sono divenute centri informativibasilari, nell’ottica della globalizza-zione, e sistemi integrati al serviziodei cittadini, particolari attenzionisono da rivolgersi agli aspetti relativiai processi di coesione sociale ed airaccordi tra le Istituzioni ammini-strative e culturali locali. La realizza-zione dell’ Opac Vincesco ha piùobiettivi:- lo sviluppo degli interessi nei con-fronti della documentazione, attra-verso i nuovi sistemi e le piùmoderne strumentazioni informa-tiche, multimediali e telematiche;

- la valorizzazione di un patrimonioculturale altrimenti dimenticato oper pochi, in molti casi in avanza-to stato di deterioramento;

- l’incremento di formule democra-tiche di condivisione dei benicomuni, puntando ad un’efficacesperimentazione di dialogo traEnti, Associazioni e Fondazionipresenti in zona ed utenza territo-riale e remota;

- l’offerta di riscontri tecnologica-mente validi alle spesso pressantiistanze di studiosi, europei e non,che per motivi di ricerca si rivolgo-no alle singole Biblioteche speciali-stiche, incorrendo talvolta in inuti-li ritardi, “cattive informazioni”,incerte proposte risolutive rispettoalle esigenze manifestate;

- l’entrata, a buon diritto, in logiche

Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

Dopo anni e anni di attese, anchel’Orvietano ha un Opac territo-

riale. Si chiama Vincesco ed è natoper volontà della Fondazione Cassadi Risparmio di Orvieto. Il Progettorisale agli ultimi anni ’90, inizi 2000.Sul primo numero di Lettera Orvie-tana, quadrimestrale d’informazioneculturale dell’Istituto Storico Artisti-co Orvietano, si evidenziaval’assoluta esigenza di un riferimentodi consultazione informatica, tenutoconto della situazione in cui versava-no i giacimenti librari della zona.

Malgrado continui appelli alle Istitu-zioni comunali, provinciali e regio-nali, Orvieto e l’Orvietano rimaneva-no fermi in un’adagiata quantoincomprensibile arretratezza.Il percorso che ha permesso la realiz-zazione dell’Opac è stato irto di osta-coli, lungaggini burocratiche, insen-sibilità politico-amministrative,superficialismi diffusi. Molti i plausi,quasi nessuno interessamento con-creto.La bozza progettuale, unita all’ester-nata volontà di migliorare i servizi diconsultazione libraria on-line, ormaidiffusi in gran parte della Penisolasembrava inascoltata. Una tipica rap-presentazione all’italiana, con Entilocali in tutt’altre faccende affaccen-date, uffici preposti ipoudenti, unapoliticanza locale lontana e indiffe-rente alle emergenze culturali. Sonostati necessari numerosi e pressantiappelli e confronti di convincimento.La forza delle idee è stata finalmentepremiata.I “diritti d’autore” del Vincesco spet-tano a Francesco M. Della Ciana,

che ha ideato, proposto e concretiz-zato l’Opac territoriale. Da presiden-te dell’Istituto Storico ArtisticoOrvietano prima e da consigliere diamministrazione della FondazioneCassa di Risparmio di Orvieto poiha cercato in tutti i modi che chi didovere comprendesse la rilevanza el’utilità socio-culturale di tali disposi-tivi informativi. Tante le esperienzedeludenti e le promesse non mante-nute. Soltanto la sensibilità dellaFondazione Cassa di Risparmio diOrvieto ha tramutato i sogni in real-

tà. Siamo ai primi passi, ma i risulta-ti sembrano più che incoraggianti.

Il progetto Opac di catalogazioneinformatizzata delle Biblioteche dellacittà e dei centri comprensoriali èun’iniziativa che prevede interventispecifici nelle diverse strutturebibliotecarie della zona appartenentiad Enti, Associazioni e Fondazionilocali. L’inserimento in rete dei daticonsente di offrire informazioni pre-cise ed in tempo reale ai numerosifruitori del patrimonio librario: stu-denti, ricercatori e quanti altri inte-ressati. Anche per il territorio orvie-tano, la realizzazione di un Opaccomprensoriale risulta assai utile peruna serie di istanze avanzate da partedell’utenza, già attiva e potenziale:- accatastamento del patrimoniolibrario presente nelle Bibliotechecittadine e comprensoriali;

- richiesta di informazioni, riprodu-zioni e spedizioni di materiali,anche on line;

- utilizzazione di prestiti interbiblio-tecari;

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informative e gestionali compatibi-li con i livelli nazionali ed euro-pei”, con la certezza che servonoimmediati ampliamenti dell’offertaprovenienti dai centri comprenso-riali.

Tra gli obiettivi futuri: - dialogo conle Amministrazioni comunali, gliEnti, le Associazioni e le Fondazionidella città, del Comprensorio Orvie-tano e dei centri di competenza dellaFondazione Cassa di Risparmio diOrvieto, per accordi riferiti alla realiz-zazione di un Opac territoriale;inoltre, una volta raggiunti gli obietti-vi prioritari, si potrà proseguire, con:- realizzazione di documentid’indagine da distribuire alle Scuo-le Superiori di Orvieto, all’utenzadelle Biblioteche ed ai centri cultu-rali presenti nella zona per acquisi-re dati relativi agli orientamenti,alle esigenze ed alle richieste delterritorio;

- indagini approfondite sulle realtàsociali e culturali dell’Orvietano,in particolar modo riferibili allapopolazione residente, alle fasced’età, ai titoli di studio, alle profes-sioni, etc.;

- analisi della situazione demografi-ca, con ricerche sulle presenze dipopolazione temporaneamenteresidente, di lingua italiana e non,nei diversi centri comprensoriali,per conoscere i bisogni e addiveni-re a possibili soluzioni riguardo aiprocessi di integrazione socio-cul-turale delle comunità insediatesinella zona;

- attivazione di programmi di colla-borazione tra i diversi riferimenticulturali dell’Orvietano per la con-cretizzazione di manifestazioni,eventi e servizi, che tendano allariqualificazione del patrimoniolibrario locale;

- realizzazione di prodotti, ancheinformatici, utili alla divulgazionein ambito scolastico e bibliotecariodei servizi offerti dalle Bibliotecheed in particolare dell’Opac com-prensoriale.”

S’intende che i punti elencati nelprogetto vanno letti in senso dinami-co e quindi modificabile in virtùdelle indagini che il progetto stesso sipone come base di lavoro.”

E’ stata un’impresa ardua, quasi tita-nica. Semplici realizzazioni, trasfor-matesi in difficoltà incomprensibili.Con il contributo decisivo della Fon-dazione siamo però soddisfatti.L’intento è stato raggiunto, almenoper quanto riguarda le prime deli-neazioni concrete.

La strada è ormai aperta. Vedremogli sviluppi.

Per volontà della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

È nato l’Opac VincescoConoscenza del patrimonio librario, consultazioni on-line e “buone prassi” culturali

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

Ariguardo di un pregevole fram-mento di affresco, proveniente

dalla Abbazia dei Santi Severo eMartirio riproducente due santi, inpassato erroneamente ritenuti i Santicodecatari dell’Abbazia (fig.1), varilevato che la figura di destra è sen-z’altro S. Paolo che regge con unamano un libro ed é riconoscibile perla mole massiccia, l’inconfondibilecalvizie e il volto tutt’altro che bello;non c’è certezza invece per la figuraaccanto, forse, da individuare in S.Pietro, sovente posto a fianco di S.Paolo.Sappiamo che il lacerto di affre-sco, che si distingue per le raffinatelumeggiature delle vesti, si trovavanella Chiesa dell’Abbazia della metàdel secolo XII circa, e che sia statostaccato sul finire del Novecento etrasportato nel Museo dell’Opera delDuomo, dove risulta presente in uninventario del 1890 redatto dalFranci¹.Nell’ Ottocento il problema delladatazione venne affrontato in modosommario dal Piccolomini Adamiche propose una datazione genericaal XIV secolo², come fece anche ilPardi (1896) .Più recentemente la Garzelli (1972)è stata la prima a mettere l’affrescoin relazione con la cultura romana

suggerendo una datazione fra il 1270e il 1280³.In seguito la Testa ha ipotizzato chel’opera doveva far parte di un ciclodi affreschi più esteso e l’avvicinavaad un frammento del portico di S.Pietro a Roma, anch’esso resto diuna composizione più ampia, la cuicommittenza rientrava in un pro-gramma di rinnovamento politico eteologico (renovatio Romae) attuatosisotto il papato di Nicola III, dellapotente famiglia romana degli Orsi-ni (1277-1280).Vicini cronologicamente agli affre-schi del portico di S. Pietro - i cuiresti sono depositati nella propriaFabbrica - sono quelli relativi altransetto destro della Basilica supe-riore di S. Francesco in Assisi, nelquale furono attive maestranzeromane o toscane vicino a Cimabuee i notevoli affreschi medievali postinelle pareti e nella volta a crocieradella Cappella papale del SanctaSanctorum in Roma, dove è stataproposta la presenza del giovane Tor-riti.Va sottolineato che gli affreschi deltransetto di Assisi sono tuttoraoggetto di dibattito riguardo allemaestranze che vi presero parteaccanto a Cimabue.Questi ultimi due cicli di affreschi

hanno come argomento l’origine e ilprimato della Chiesa con un intentofermamente celebrativo e furono rea-lizzati sotto il papato di Nicola III,al cui programma si è già fatto riferi-mento e dove il Papa impose il suogusto antichizzante.In entrambi sono raffigurate le storiedi S. Pietro, con la sua Crocifissionee facendo ricorso al Mirabilia UrbisRomae vi vennero rappresentate laMeta Romuli e ad Assisi anche lapiramide di Caio Cestio - entrambimonumenti sepolcrali dell’antichità -per soddisfare una esigenza in chiaverealistica.I due cicli che coincidono nel temasono da scalare cronologicamente -anche se, per quelli di Assisi, la data-zione è ancora molto dibattuta -,entro una data fra il 1277 e il 1280e riconducibili, come detto, a NicolaIII, mentre il nostro affresco recente-mente restaurato (1983) è stato rite-nuto di scuola romana dalla Testache lo ha datato nell’ultimo quartodel XIII secolo e non è da escludereche anch’esso corrispondesse ad unprogramma iconografico relativo alleorigini apostoliche della Chiesa.Questa ipotesi di identità iconografi-ca con le opere di committenzapapale sembrerebbe porre l’affrescodi Orvieto come riflesso immediato,

quasi paritetico e naturalmente con-fermerebbe i rilevanti rapporti fraOrvieto e la Chiesa di Roma.Ora se lo confrontiamo conl’affresco del portico di S. Pietro(fig.2) al quale lo aveva avvicinato laTesta e per il quale, anche qui, èstato fatto il nome di Jacopo Torriti,pittore e mosaicista di primo pianodell’ ultimo quarto del Duecento aRoma e che fu nel 1291 e nel 1295al servizio di papa Nicola IV e attivofino al 1290 nel cantiere di Assisi,notiamo vicinanze evidenti chevanno dai paludamenti pesanti, allelinee di contorno spesse, ad alcunesigle grafiche convenzionali usate neivolti incorniciati da barbe arricciatemolto simili; simili anche le aureoleche non hanno subito incisioni,risultando levigate, con bordo nero estessa dimensione.Anche il Fratini in tempi recenti(2007) ha avvicinato l’affresco del-l’Opera del Duomo ai modi di Jaco-po Torriti, però, al contempo, per laprima volta, ha ritenuto possibileincluderlo nel catalogo del Maestrodella Madonna di S. Brizio: “fine

fleur” della pittura locale, attivo frala fine del Duecento e i primi delTrecento, che in altre occasioni (vedialcuni affreschi di S. Giovenale)mostra anche la conoscenza di PietroCavallini, come già anticipato dalToesca e dal Bologna.Le opere di S. Giovenale eseguite inun successivo momento, rispettoall’affresco dell’Opera del Duomo,con tanto di finto gâble superno econ i dipinti posti in una sorta dinicchia, sono ispirate ad Arnolfo diCambio, il quale, a sua volta, nelmonumento funebre di S. Domeni-co, si era ispirato alla tipologia delletombe ad arcosolio paleocristiane,come aveva supposto Ingo Herklotz,studioso di monumenti funebri¹.Per rafforzare l’attribuzione dell’af-fresco museale al Maestro dellaMadonna di S. Brizio vorrei colla-zionarlo ad un altro, ubicato nellachiesa di S. Giovenale che ha persoggetto “La Conversione di S.Paolo” (fig.3), attribuito da tempoall’anonimo.I due affreschi si legano fra loro perla solennità delle immagini che trag-

Riflessi di cultura romana nella pittura orvietana di fine Duecento,riassumibili nella figura del Maestro della Madonna di S. Brizio

e una breve nota su Lello da Orvieto

Fig. 1. Maestro della Madonna di San Brizio, Due apostoli, Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto

Fig. 2. Jacopo Torriti?, Due apostoli, fabbrica di San Pietro di Roma

Fig. 3. Maestro della Madonna di San Brizio, La Conversione di S. Paolo, chiesa di S. Giovenale di Orvieto

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

gono spunto dalla cultura paleocri-stiana: frutto di relazioni con lamoda antichizzante sponsorizzata daNicola III, dimostrando dipendenzecon la pittura romana e palesandoanche una discreta somiglianza fra lefigure poste a sinistra dei rispettiviaffreschi, quali il Redentore e S. Pie-tro (?).Per quanto concerne la datazione,collocherei le date di questi dueaffreschi fra il 1280 e il 1290 ca.Il dipinto di S. Giovenale, che nellacornice evidenzia un ornato a feuilla-ge ricorrente nella pittura orvietanatardo duecentesca, nella figura delRedentore con la mano destra avvi-luppata da una lunga manica ad aladel chitone, viene a formulare unillusivo “trompe-l’oeil” e la scenaassume, frammista ad una improntadi solennità, la caratteristica di unfumetto grazie alla levità narrativaincentrata su una mimica disinvolta,specie nella selvatica scontrosagginedi S. Paolo.L’autore sembra anche interessato aproporre una sequenza di movimentialternati con ritmo, con il risultatoche l’opera è accostabile per affinitàdi intenti a quelle di un artista a luipoco precedente: il fiorentino Melio-re (1225-1285) che tende, permezzo di bilanciamenti geometrici, acreare una sua personale forma diequilibrio ritmico¹¹.Meliore, insieme a Coppo di Marco-valdo, nella consimile acerbità for-male determinata dall’appartenenzaad una natura coessenzia-le, costituisce una sorta di prolego-meni della cultura fiorentino - cima-buesca, nella quale si attuò una riles-sificazione del linguaggio negli ulti-mi due decenni del Duecento.Le modalità riscontrabili nell’affrescodi S. Giovenale e nelle opere diMeliore possono rimembrare lacadenza ritmica che trovava formanella scuola attica del IV secolo,soprattutto in Prassitele, sebbene laformula prassitelica si attuasse con

modulazioni ritmiche di leggiadraflessuosità volte al raggiungimento diun modello sublime di armonia egrazia.Questo aspetto sembrerebbe suscita-re nel nostro autore reminiscenzedall’antico, legandolo ad un concettodi ritmicità classica.I nostri affreschi, per la scelta chericade sulla raffigurazione di S.Paolo, accentuano un accostamentoalla cultura romana, in quantol’apostolo rappresenta la paganitàdella Chiesa, essendo stato cittadinoromano prima della conversione, cheè sicuramente il più celebre e il piùrappresentativo di tutti gli eventipaolini.S. Paolo, in questo periodo, non soload Orvieto ma anche a Roma, vieneraffigurato quale principe degli apo-stoli in due luoghi celebri della Cri-stianità come la Basilica di S. Pietroe il Sancta Sanctorum, evidenziandol’attualità del suo culto e quindi ilnostro anonimo viene a palesare unaadesione con la pittura romanaanche dal punto di vista iconograficoe, verificate le convergenze stilistichenon appare improbabile che eglipossa aver compiuto più di un viag-gio a Roma, per aggiornarsi suimodelli della pittura romana coeva.Le occasioni potrebbero essersi pre-sentate durante le lunghe permanen-ze ad Orvieto dei papi Martino IV(1281-1285) e Nicola IV (1290-1291), i quali potrebbero aver age-volato i rapporti dell’artista conl’ambiente romano.Alla pittura romana è pure da rite-nersi vicina una figura di Santa rin-venuta di recente in S. Giacomo eprossima alla cultura del Maestrodella Madonna di S. Brizio (fig.4).

Inoltre va ricordato Lello da Orvie-to, la cui figura fu identificata attra-verso la lettura della firma “Lellus deUrbevetere” effettuata da FerdinandoBologna in calce al mosaico con laMadonna in trono fra i SS. Gennaro

e Restituita del Duomo di Napoli edatato 1322, intorno al quale lo stu-dioso ha riunito un gruppo diopere eseguite a Napoli, Roma edAnagni, che non può essere messo indiscussione¹² e oltre a rettificare lalettura fatta dal Morisani che, nelleggere la firma, si era fermato aLello de Urbe¹³, aveva in lui coltoanche elementi proto-giotteschi.L’artista, che però non risulta docu-mentato nella città di Orvieto e dallaquale potrebbe essersi allontanato ingiovane età, sembra costituire uncorollario consimile, la continuazio-ne evolutiva, per motivi stilistici ealcune scelte iconografiche del Mae-stro della Madonna di S. Brizio -morto, forse, intorno al 1320 circa -,per aver Lello da Orvieto anchemanifestato una adesione al Cavalli-ni.A Lello il Bologna ha anche attribui-to un trittico del Museo Correr diVenezia, nel quale aveva colto unraro distillato del misticismo orvieta-no in chiave francescana; difatti inuna parte del trittico è rappresentatoil Lignum Vitae, da ritenere un toposiconografico francescano e lo studio-so ha attribuito anche un affrescocon lo stesso soggetto, posto nellacontrofacciata di S. Giovenale, cheinvece è stato dal Fratini e da chiscrive attribuito al Maestro dellaMadonna di S. Brizio.Quest’ultimo Lignum Vitae, diindubbia complessità iconologica edove traspare una sensibilità goti-ca, si distingue per la presenza di S.Francesco vicino al Cristo crocifis-so¹: scelta rara che prende corpo neiprimi del Trecento modificando lostatus quo precedente che non preve-deva la presenza del santo nella scenadella Crocifissione, in quanto nonattinente con la verità storica.Questo mutamento, credo, sia statosuggerito dalle committenze france-scane, in considerazione della cre-scente devozione di cui ha goduto ilSanto e di un conseguenziale fervorecatechètico sviluppatosi intorno allasua figura e soprattutto per il suoruolo di imitator Christi.Va anche ricordato l’episodio diRamo di Paganello, documentatonel 1314 a reclutare abili mosaicistiad Orvieto per la corte angioina diNapoli¹ ed in questa occasione èpossibile che Lello si sia allontanatodalla sua città per raggiungere Napo-li dove avrebbe eseguito il mosaicodel Duomo.Nel 1314 poteva già aver visto leopere di ispirazione cavalliniana di S.Giovenale eseguite dall’anonimoprima di questa data e quindi, nonsarebbe da scartare una sua forma-zione presso il Maestro della Madon-na di S. Brizio, anche perché leopere di Lello particolarmente deco-rate, come lo stesso mosaico delDuomo di Napoli, potrebberoanch’esse sottendere ad una forma-zione orvietana.Infine, per evidenziare le numerosee mutevoli fonti d’ispirazione fatteproprie dall’anonimo, si sottolineache nella ornatissima opera eponimadella Cappella di S. Brizio nelDuomo di Orvieto (1290 circa), suoautentico capolavoro, venne anchedefinito un cimabuesco geniale¹ adimostrazione di una singolare natu-ra multànime.

Roberto Fascietti

Note1. C. Franci, Inventari (Orvieto) s. d. (1890ca.) p.43 n 18.2. T. Piccolomini Adami, Guida Storico arti-stica della città di Orvieto e suoi contorni, Siena1883, pp. 266-267.3. A. Garzelli, Musei d’Italia. Orvieto Museodell’Opera del Duomo, Bologna, 1972, pag.11.4. G. Testa, R. Davanzo, Dalla Raccolta allaMusealizzazione. Per una rilettura del Museodell’Opera del Duomo di Orvieto, Todi 1984,pp.12-24.5. Per i frammentari affreschi del portico di S.Pietro a Roma cfr. I. Hueck , in “Zeitschriftfur Kunstgeschichte” 41, 1978, pp. 326-334 eJ. T.Wollesen, “Perduto e ritrovato: una riconsi-derazione della pittura romana nell’ambientedel papato di Niccolò III (1277-1280)” inRoma, 1300, Roma 1983, pp.343 - 348.6. S. Romano, Il Sancta Sanctorum: gli affre-schi, in Aa. Vv., Sancta Sanctorum, Milano1995, pp. 38 - 125.7. Riguardo al Torriti si vedano i contributipiù recenti: L. Bellosi, La pecora di Giotto,Torino 1985; Idem, Cimabue, Milano 1998,pp.83 - 87; A. Tomei, Jacobus Torriti pictor:Una vicenda figurativa, del tardo Duecentoromano, Roma 1990, pp. 212 - 221; M.Boskovits, Jacopo Torriti: un tentativo di bilan-cio e qualche proposta, in scritti per l’IstitutoGermanico di Storia dell’Arte di Firenze,Firenze 1997, pp. 5 - 16.8. C. Fratini, Pittura e miniatura ad Orvietodal XII al XIV secolo in Storia di Orvieto. IlMedioevo, a cura di G. Della Fina e C. Frati-ni, 2007, pp. 469-470.9. Per le opere di ispirazione cavalliniana a S.Giovenale cfr. P. Toesca, Il Trecento, Torino1951, pag. 678 e nota 200; F. Bologna, I pit-tori alla corte angioina di Napoli, 1266 -1414, Roma. 1969, pp. 128 - 130;R. Fascietti, L’attività del Maestro di S. Brizionella chiesa di S. Giovenale, in I beni cultura-li,18, 2010, 2, pp. 59 - 66. Riguardo agli altricontributi sul Maestro della Madonna di S.Brizio si confronti almeno: G. Previtali, IlMaestro della Madonna di S. Brizio e le origini

della scuola orvietana di pittura, in scritti diStoria dell’Arte in onore di Ugo Procacci,Milano, 1977, pp. 106 - 110; C. Fratini, IlMaestro della Madonna di S. Brizio e le vicendedella pittura in Orvieto fra Duecento e il primoTrecento in “Paragone”, 401, 1989 , n. 473,pp. 3 - 22.10. J. Herklotz, Sepulcra et monumenti delMedioevo: studi sull’arte sepolcrale in Italia,Roma 1985.11. Riguardo a Meliore cfr. O. Casazza, Cata-logo della Mostra, in l’Arte a Firenze nell’età diDante (1250 - 1300), a cura di A. Tartuferi eM. Scalini, Prima edizione 2004, pp. 94 - 97.12. Cfr. F. Bologna, I pittori alla corte cit., pp.128 - 130; P.L. de Castris, Parte IV. Il capito-lo cavalliniano. 2. Lello da Orvieto fra Napoli eRoma, in Arte di corte nella Napoli angioina,Firenze 1986, pp. 266 - 272. Inoltre vannosegnalati i contributi del Boskovits (1979 e1983) e del Tartuferi (2004) che hannoespunto dal catalogo di Lello le due opere diAnagni, ma che gli vanno restituite per lestringenti analogie con il firmato mosaico delDuomo di Napoli.13. O. Morisani, Pittura del Trecento in Napo-li, Napoli 1947, pp. 48 - 49, p. 132 nota 8.14. Per il Lignum Vitae di Orvieto cfr.A. Diviziani, Il Lignum Vitae diS. Bonaventura e un affresco della chiesa diS. Giovenale in Orvieto, in “Bollettino dell’I-stituto Storico Artistico Orvietano”, A.9(1953), pp. 10 - 27; M. Nerbano, L’affrescodel Lignum Vitae nella chiesa di S. Giovenale inOrvieto, in Il Teatro della Devozione, Perugia2006, pag. 298, nota 68; R. Fascietti,L’attività del Maestro di S. Brizio cit., pp. 616515. l documento è riportato in E. Bertaux,Santa Maria di Donna Regina e l’arte senese aNapoli nel secolo XIV, Napoli 1899, pp.119 -120.16. Cfr. E. Carli, Il Duomo di Orvieto, Roma1965, pag. 79 e nota 3 a pag. 91; F. Bologna,I pittori alla corte cit., pag. 129; G. Previtali,Il Maestro della Madonna di S. Brizio cit., pp.106 - 107

Fig. 4. Anonimo, santa, chiesa di San Giacomo di Orvieto

Monsignor Eraldo Rosatelliè tornato alla casa del Padre

La notizia, appenagiunta in redazione,

della scomparsa di mon-signor Eraldo Rosatelli,suscita comprensibile rin-crescimento. Una figuradi alto profilo umano,culturale e spirituale,dotata di non comuneoratoria, di un’elegantetratto, di placida operosi-tà, ben rappresentativa diquesto territorio. Monsi-gnor Rosatelli era cono-sciuto ed apprezzato,come sacerdote, comedocente, come ammini-stratore, stimato nei Suoidiversi incarichi. Sonomemorabili i Suoi inter-venti letterari, le attività

svolte in ambito ecclesiastico, la partecipazione attiva all’interno di Isti-tuzioni culturali cittadine.Poi viene ricordato per la Sua voce soave, in particolare come speakerufficiale per tante edizioni del Corteo Storico del Corpus Domini, poinell’esecuzione della “Nostra Signora”, al rientro del Simulacro dellaMadonna in Duomo, la sera del 14 agosto, in città.

Monsignor Eraldo Rosatelli era nato a Orvieto il 26 maggio1924, daTommaso e Anna Filippucci. Gli studi al Seminario Minore della Suacittà, poi al Seminario Regionale di Santa Maria della Quercia, a Viter-bo. L’ordinazione sacerdotale il 28 giugno1947, dalle mani di monsi-gnor Francesco Pieri.Tra i primi incarichi, la nomina a parroco di Bagni e vice rettore delSeminario Diocesano. Divenne rettore del Seminario, dal settembre1951, canonico teologo della Cattedrale, dal primo ottobre dell’annosuccessivo, e cameriere segreto di Sua Santità, il 16 marzo 1961.Nel 1976, nominato arcidiacono-presidente del Capitolo della Catte-drale.Il primo maggio 1979, vicario generale della Diocesi. Da qualchetempo, si era ritirato nella residenza di Villanova, seguendo però coninteresse quanto avveniva in città, nel territorio.Tornato alla casa del Padre, il 6 giugno, vigilia della solennità del Cor-pus Domini.Le esequie, presiedute dal Vescovo di Orvieto-Todi, monsignor Bene-detto Tuzia, hanno avuto luogo in Duomo, l’8 giugno scorso.Un saluto grato a monsignor Eraldo Rosatelli, socio dell’Istituto, per lagenerosa collaborazione.

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Sono trascorsi più di cinque annidal crack della banca d’affari ame-

ricana Lehman Brothers, evento cheha segnato l’inizio di uno dei più dif-ficili periodi per l’economia occiden-tale, dopo la grande crisi del 1929.Oggi questa crisi economico-finanzia-ria si sta trasformando in crisi sociale,con tutti i rischi e le conseguenze chequesto comporta. La disoccupazione ègaloppante soprattutto per i giovani emolti tentano la fortuna in altri paesi.Giovani come me e come noi, congrandi paure e dubbi sul proprio futu-ro. Non più tardi di qualche giornofa, una mia carissima amica ed il suocompagno mi hanno contattato -datele mie origini lusitane- per chiedermiun aiuto a trovare una casa in Porto-gallo.Paradossalmente, infatti, costoro vor-rebbero trasferirsi in un Paese segnatogravissimamente dalla crisi europea(crisi di governance politica razionalee democraticamente fondata, oltre checrisi sociale ed economica), per lasemplice e contingente ragione cheuno di loro due ha quantomeno tro-vato li una precaria opportunità dilavoro.Lavoro…questa parola che sembraormai riferirsi ad un privilegio perpochi fortunati, in Italia e altrove.Quello che mi ha colpito maggior-mente, nel parlare con questi mieiamici, è la scarsissima fiducia e spe-ranza di poter realizzare i propri pro-getti di vita qui in Italia. Tutto ciò èveramente molto triste e ingiusto.Senza giovani, senza il loro coraggio, illoro dinamismo e la loro creatività, èmolto difficile che una comunità con-tinui a crescere e ad evolversi. Siamonoi, siete voi giovani il futuro di que-sta nazione e dell’Europa intera. Capi-sco perfettamente le difficoltà che noigiovani quotidianamente dobbiamoaffrontare, anche perché le provo sullamia pelle tutti i giorni, ma vorreicogliere l’occasione per dire, prima ditutto a me stesso e poi a tutti voi, dinon mollare proprio adesso.Adesso più che mai bisogna impe-gnarsi strenuamente per fare in modoche chi verrà dopo di noi non siacostretto ad affrontare le nostre stessedifficoltà. Per fare in modo che chiverrà dopo di noi trovi una situazionemigliore e possa abitare una societàitaliana ed europea che dia a tutti lapossibilità di vedere realizzati i proprisogni e progetti di vita. Quotidiana-mente, ci sentiamo dire da vari mass-media che il periodo più difficile èpassato, che la ripresa c’è, anche selenta, che dobbiamo seguire le indica-zioni dell’Unione Europea, dellaBanca Centrale Europea e magarianche del Fondo Monetario Interna-zionale. Paul Krugman, premio nobelper l’economia nel 2008, ha dichiara-to: “adottando l’Euro, l’Italia si èridotta allo stato di una nazione delterzo mondo che deve prendere inprestito una moneta straniera, contutti i danni che ciò implica”.Non voglio dilungarmi troppo su per-centuali e numeri che dimostrino ildeclino dell’economia e la dilagantedisoccupazione, soprattutto giovanile,che imperversano nel Vecchio Conti-nente.Non mi dilungherò su questo, perchépenso che si tratti di dati evidentissimia chiunque faccia impresa o sia incerca di lavoro.Dati evidentissimi e assai funesti perl’avvenire, checché ne ciancino alcunicorifei del main-stream mass-mediati-

co, gli stessi che ci hanno propinatol’idea bislacca dell’ “austerità espansi-va”, del rigore tecnocratico a ognicosto, di una crescita subordinata alfeticismo aprioristico dei “conti inordine” e al mito falsamente salvificodel pareggio di bilancio. In questaoccasione, vorrei dapprima cercare dicapire se le terapie economiche degliattuali vertici di UE, BCE e FMI (lafamigerata “Troika” che ha devastatosenza pudore la società greca) stianofunzionando e in secondo luogo cosastiano facendo i vari governi nazionaliper arginare questo declino economi-co-sociale pan-europeo e per ridare unfuturo di prosperità a tutti noi.

LE RESPONSABILITÀDELLA CRISIA mio modesto ma ragionato parere-confortato dalle analisi di autorevolieconomisti di fama internazionale(Krugman, Stiglitz, Sen su tutti) edalla pietosa situazione della nostraeconomia reale- le politiche di rigoreed austerità imposte senza soluzionedi continuità dalla BCE di Jean-Claude Trichet prima e di Mario Dra-ghi poi, aventi come denominatorecomune una forte riduzione dellaspesa pubblica e una damnatiomemoriae di qualunque prospettivakeynesiana, hanno prodotto e conti-nuano a produrre solamente un crollodei consumi e della capacità di spesa,con una seria recessione passibile ditrasformarsi in depressione ed un forteindebolimento dello stato sociale.Questo tema, molto complesso edarticolato, potrebbe essere maggior-mente approfondito in un altro speci-fico dibattito, dove si dovrebbe mette-re meglio a fuoco l’ideologia cheguida la politica monetaria ed econo-mica della Banca Centrale Europea,con l’assenso sostanziale della stessaUE. Per quanto concerne il ruolo e leazioni dei vari governi europei -quelliitaliani in primis-, da europeista con-vinto credo che essi siano i principaliresponsabili dell’ involuzione econo-mica e sociale in corso, per non parla-re della complessiva deriva tecnocrati-ca della governance politica dell’Unione Europea nel suo insieme.Rispetto a tale deriva, nessuna cancel-leria continentale ha sinora invocatola primazia del momento politico suquello economico, dei meccanicismidemocratici sostanziali su qualunqueistanza meramente finanziaria, conta-bile o burocratica.In effetti, tali cancellerie non sonostate in grado di promuovere e realiz-zare un vero governo federale euro-peo, con una Banca Centrale Europeasubordinata e non sovraordinata airappresentanti politici del popolo con-tinentale; una BCE insomma che sioccupi non solo della lotta all’inflazio-ne- e al momento siamo in una con-

dizione di clamorosa deflazione!-, nonsoltanto di cambiare indirizzo allestrategie monetarie sin qui perseguite,ma anche e soprattutto del finanzia-mento diretto di una serie di investi-menti strategici in infrastrutture egrandi, medie e piccole opere in gradodi rilanciare il sistema economicoeuropeo nel suo complesso.

LA BASE DI UNA VERAEUROPA FEDERALEIl progetto degli Stati Uniti d’Europaè per me l’unico e grande obiettivoche dobbiamo porci, un obiettivo chenon è più rinviabile. Questo progetto,a mio modesto parere, non può essereconseguito mediante una mera unionemonetaria e bancaria, ma deve essereperseguito tramite una approfonditariflessione sul tipo di identità politico-culturale e ideologica che lo deve fon-dare e rendere concreto.Un’Europa Federale deve avere dellebasi culturali ed ideologiche universa-listiche, laiche, libertarie, radicalmentedemocratiche. Storicamente, gli idealialla base della Rivoluzione Francese-“Libertè, Égalité e Fraternité”,- chiara-mente risonanti anche nella Costitu-zione americana del 1787 e nei 10emendamenti che costituiscono il Billof Rights statunitense (1789-91), vei-colati potentemente tramite la pubbli-cazione della Dichiarazione dei Dirittidell’uomo e del cittadino (26 agosto1789), hanno trovato un perfeziona-mento e una definitiva consacrazionecon la Dichiarazione Universale deiDiritti Umani approvata all’ONU il10 dicembre del 1948.Queste sono le forti radici culturali edideologiche che possono e devonounire il popolo europeo e sulle qualidobbiamo lavorare per una vera inte-grazione.Ma cosa possiamo fare allora?IL NEW DEAL FOR EUROPEIl Movimento Federalista Europeo staproponendo alla Commissione Euro-pea un piano straordinario per lo svi-luppo sostenibile e l’occupazione;qualcosa in grado di rilanciarel’economia continentale e creare nuoviposti di lavoro.Tale progetto è stato denominatoNew Deal for Europe Questa è unaproposta messa in piedi da cittadinieuropei a favore del bene comune.Tale piano è il frutto dello sforzo pro-positivo del MFE di concerto convarie altre organizzazioni della societàcivile, con sindacati e associazioniambientaliste.Che cosa è una ICE - Iniziativa diCittadini Europei? È il principalestrumento di democrazia partecipati-va, così come previsto dal trattato diLisbona all’articolo 11 “Cittadini del-l’Unione, in numero di almeno unmilione, che abbiano la cittadinanzadi un numero significativo di Stati

membri, possono prendere l’iniziativad’invitare la Commissione europea,nell’ambito delle sue attribuzioni, apresentare una proposta appropriatasu materie in merito alle quali tali cit-tadini ritengono necessario un attogiuridico dell’Unione ai fini dell’attua-zione dei trattati”.I trattati dell’Unione Europea stabili-scono che gli obiettivi dell’unione sono:- Lo sviluppo sostenibile- La crescita economica equilibrata- La Piena occupazione- La tutela e miglioramento dellaqualità dell’ambiente

- Il progresso scientifico e tecnologicoConsiderato che dopo anni ancoranon riusciamo ad uscire da questacrisi, viste anche le premesse giuridi-che, pensiamo che sia il momentogiusto per chiedere alla CommissioneEuropea la predisposizione di unpiano di sviluppo in grado di far usci-re l’Europa dalla crisi.Bisogna assolutamente far cessare letuttora perduranti politiche di austeri-tà, ed è soltanto attraverso un serio epoderoso piano di sviluppo chel’Europa potrà risollevarsi.Un piano di sviluppo sostenibile, siasocialmente che ecologicamente, masoprattutto in grado di creare nuoviposti di lavoro fra i giovani.Quali sono gli obiettivi della propostadei cittadini europei:- Programma straordinario di investi-menti pubblici dell’UE per la pro-duzione e il finanziamento di benipubblici europei (energie rinnovabi-li, ricerca, innovazione, reti infra-strutturali, agricoltura ecologica,protezione dell’ambiente e del patri-monio culturale ecc.);

- Fondo europeo straordinario disolidarietà per creare nuovi posti dilavoro, specie per i giovani;

- Incremento delle risorse del bilancioeuropeo tramite una tassa sulle trans-azioni finanziarie e una carbon tax.

Sulla base di accurati studi, l’Europapotrebbe investire, in tre anni, 400MLD di Euro in ricerca ed innovazio-ne, nelle energie rinnovabili, nelleinfrastrutture di trasporto, nella prote-zione dell’ambiente e del patrimonioculturale, nell’agricoltura ecologica.Informazioni più dettagliate su dove ecome reperire queste risorse si posso-no trovare al seguente indirizzo inter-net http://www.newdeal4europe.eu/Il “New Deal for Europe” è un pro-getto di cittadini europei per imple-mentare un serio piano di sviluppoeconomico-sociale in Europa. Qualco-sa di simile a ciò che fece la presidenzadi Franklin Delano Roosevelt neglianni ‘30, negli Stati Uniti d’America.

LE CONCLUSIONIFin dagli anni quaranta dell’Ottocen-to, in Europa si parla di pace e difederalismo.

Nell’ottobre del 1860, nel pieno dellaSpedizione dei Mille, Giuseppe Gari-baldi inviò un “Memorandum” ai capidi stato europei, dove chiedeva che ivari governi nazionali si facessero pala-dini dell’unificazione politica del con-tinente, nella prospettiva di dar vita aun grande stato federale.

Quelle che seguono sono le parole delgrande generale e politico:Memorandum“È alla portata di tutte le intelligenze,che l’Europa è ben lungi di trovarsi inuno stato normale e convenevole allesue popolazioni.Tutti parlano di civiltà e di progresso… a me sembra invece che, eccet-tuandone il lusso, non differiamomolto dai tempi primitivi, quando gliuomini si sbranavano fra loro perstrapparsi una preda.Noi passiamo la nostra vita a minac-ciarci continuamente e reciprocamen-te, mentre in Europa la grande mag-gioranza, non solo delle intelligenze,ma degli uomini di buon senso, com-prende perfettamente che potremmopur passare la povera nostra vita senzaquesto perpetuo stato di minaccia e diostilità degli uni contro gli altri, esenza questa necessità, che sembrafatalmente imposta ai popoli da qual-che nemico segreto ed invisibile del-l’umanità di ucciderci con tanta scien-za e raffinatezza. Per esempio, suppo-niamo una cosa: Supponiamo chel’Europa formasse un solo Stato. Chimai penserebbe a disturbarlo in casasua? Chi mai si oserebbe, io ve lodomando, turbare il riposo di questasovrana del mondo? Ed in tale suppo-sizione, non più eserciti, non più flot-te, e gli immensi capitali strappatiquasi sempre ai bisogni ed alla miseriadei popoli per essere prodigati in ser-vizio di sterminio, sarebbero convertitiinvece a vantaggio del popolo.Ebbene! L’attuazione delle riformesociali che accenno, dipende soltantoda una potente e generosa iniziativa.Una transazione tra le due grandinazioni dell’Europa, transazione cheavrebbe per scopo il bene dell’umani-tà, non può più essere posta tra isogni e le utopie degli uomini dicuore.Dunque la base di una Confederazio-ne Europea è naturalmente tracciatadalla Francia e dall’Inghilterra. Che laFrancia e l’Inghilterra si stendanofrancamente, lealmente la mano, etutte le nazionalità diverse ed oppres-se, la gigantesca Russia compresa, nonvorranno restar fuori di questa rigene-razione politica. Io so bene che unaobiezione si affaccia naturalmente alprogetto che precede. Che cosa fare diquesta innumerevole massa di uominiimpiegati ora nelle armate e nellamarina militare? La risposta è facile.La quantità incalcolabile di lavoricreati dalla pace, dall’associazione,dalla sicurezza, ingoierebbe tutta que-sta popolazione armata, fosse anche ildoppio di quello che è oggi.La guerra non essendo quasi più pos-sibile, gli eserciti diverrebbero inutili.Desidero ardentemente che le mieparole pervengano a conoscenza dicoloro, a cui Dio confidò la santa mis-sione di fare il bene, ed essi lo farannocertamente preferendo ad una gran-dezza falsa ed effimera la vera gran-dezza, quella che ha la sua base nell’a-more e nella riconoscenza dei popoli”.(Giuseppe Garibaldi - 1860)

Daniele Cavaleiro

“Cosa fare per l’Europa? Appello ai giovani (e ai meno giovani)”La questione della crisi economica: cause e possibili rimedi

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

La nomina dell’architetto Terracinaa presidente onorario della Fonda-

zione Cassa di Risparmio di Orvieto èun doveroso tributo verso una personache ha dato tantissimo a questo Ente,creando dal nulla, con la Sua esperien-za, la Sua lungimiranza, un solidoriferimento istituzionale, valido soste-gno alla vita sociale, economica e cul-turale della città e di un vasto territo-rio. La decisione è stata assunta dalConsiglio di Amministrazione, dalConsiglio di Indirizzo e dai Soci, comemanifestazione di riconoscenza ad unafigura di sicuro spessore, che ha saputoe voluto mettere al servizio dellacomunità le Sue conoscenza, la Suaabilità progettuale, per costruire qual-

cosa di veramente interessante, unincipit formidabile per il futuro citta-dino. L’architetto Terracina, coadiuva-to dai vari consiglieri che si sono succe-duti, ha saputo creare un clima coesodi operatività, volto a stimolare la rea-lizzazione dei vari progetti. Col Suocarattere determinato, non incline afacili mediazioni dettate da particola-rismi o interessi personali, è riuscito aprodurre moltissimo, con efficaci risul-tati.Come successore alla carica di presi-dente della Fondazione Cassa diRisparmio di Orvieto, ho cercato dimantenere inalterate le linee guidatracciate rispetto all’attività editoriale,alla manutenzione del Duomo, alle

attenzioni rivolte alle diverse realtàterritoriali. Come successore alla caricadi presidente della Consulta delle Fon-dazioni Cassa di Risparmio dell’Um-bria, posso affermare che particolariimpegni vengono rivolti allo sviluppolocale, alla condivisa gestione di inter-venti di valorizzazione regionale, allapromozione di programmi innovativi.In conclusione, rivolgendomi all’Archi-tetto, per tutte le Sue qualità, espressenell’ambito degli incarichi ricoperti, egli sforzi profusi ai vertici della Fon-dazione, desidero ringraziarLo sentita-mente, con la certezza che sarannorispettati i principi fondamentali, chene hanno caratterizzato l’attivitàamministrativa in recenti passati.

In occasione della nomina dell’arch.Torquato Terracina alla carica di

presidente onorario della FondazioneCassa di Risparmio di Orvieto misono sentito in dovere di dedicare aquesta persona così speciale questebrevi note per celebrare l’evento, chespero possano essere utili anche pertratteggiare il personaggio.Ho avuto l’onore ed il piacere di colla-borare in Fondazione con l’arch. Ter-racina dal 2000 al 2009, negli anniin cui è stata creata la struttura del-l’Ente e sono state poste delle solidebasi per gli sviluppi futuri di questaimportante Istituzione cittadina.Le doti dell’Architetto sono molteplici,mi limiterò a ricordare le principali:innanzitutto una solida e profondacultura innestata su una grande prag-maticità.Tutto ciò si è sempre tradotto nellacapacità di esprimere concetti profondicarichi di grande cultura in discorsisemplici e stringati che non lascianomai spazio a frasi altisonanti che neitempi odierni sono molto spesso vuotedi contenuto.Poi una grande onestà, sia materialeche intellettuale, che è un’altra dote invia di estinzione.Il tutto condito da una buona dose dicoraggio nell’assumere le decisioni esopportarne le relative responsabilità,che ha avuto come effetto la creazionedi un’Istituzione forte, ben patrimo-nializzata ed effettivamente al serviziodel territorio.Voglio solo ricordare che nel 2000,quando ho assunto la carica di segreta-rio della Fondazione, l’Ente non avevaneppure uffici propri, ma si appoggia-va - nel vero senso della parola - pressogli uffici di Segreteria della Cassa diRisparmio di Orvieto.Io personalmente dividevo la scrivaniacon Marco Brunelli e il Presidente siappoggiava sul tavolo del Consigliodella Banca, che veniva anche usatoper le riunioni degli organi della Fon-dazione.La Fondazione non aveva dipendentied utilizzava in service le strutturedella Banca per la contabilità e leattività di Segreteria.Di strada da allora ne è stata fattatanta: la nuova sede acquistata nel2000 ed inaugurata nel 2004 dopoun complesso lavoro di ristrutturazio-ne, superando - con coraggio e deter-minazione - tante critiche e tanti osta-coli che in una cittadina come Orvietofioriscono copiosi ad ogni piè sospinto.Ha completato l’investimento la nuova

sala convegni inaugurata nel 2008,che ha arricchito la sede ed è stata rea-lizzata superando tutte le difficoltàinsite in un progetto da attuare nelpieno centro di Orvieto.Si tratta di una grande realizzazioneche ha consentito di rendere autonomala Fondazione dalla Banca, ponendonel contempo le basi per la creazionedi una nuova ed efficiente strutturaoperativa dell’Ente.Anche sotto il profilo patrimoniale si ètrattato di un investimento oculato,che ha rafforzato il patrimonio, con-sentendo alla Fondazione di avere unasede di grande prestigio a disposizioneanche della collettività per eventi diinteresse generale.All’arch. Terracina si deve anche laconclusione dell’operazione di cessionedella maggioranza della partecipazio-ne bancaria alla Cassa di Risparmiodi Firenze, che ha consentito di accre-scere il patrimonio e di diversificarlo.Voglio solo ricordare che il patrimoniodella Fondazione, sotto la PresidenzaTerracina, è cresciuto da circa 22miliardi di lire (circa 11 milioni e400 mila Euro) ad oltre 65 milioni diEuro e la CRO Spa è passata da 38 a53 sportelli.Tra l’altro si è trattato di anni moltodifficili, in cui si sono verificati eventigravi, quali l’attentato alle Torrigemelle del 2001 e la crisi economicamondiale iniziata nel 2007, che havisto molte Fondazioni bancarie per-dere consistenti patrimoni a causa diinvestimenti non corretti e delle crisibancarie susseguitesi in questo periodo.A tale proposito è utile ricordare alcu-ni dati relativi ai casi più eclatanti: laFondazione Monte dei Paschi di Sienaè passata da un patrimonio di circa5,5 miliardi di Euro nel 2008 a circa532 milioni di Euro nel 2014, laFondazione Cassa di Risparmio diGenova è passata da un patrimonio dioltre un miliardo di Euro nel 2012 a126 milioni di Euro circa nel 2014,la Fondazione Cassa di Risparmio diTeramo è passata da un patrimonio dioltre 162 milioni di Euro nel 2012 acirca 91,6 milioni di Euro nel 2013,la Fondazione Cassa di Risparmio diFerrara è passata da un patrimonio dicirca 182 milioni di Euro nel 2012 acirca 72,5 milioni di Euro nel 2013.A lui si deve anche la creazione nel2004 della Consulta delle Fondazionidelle Casse di Risparmio Umbre, nataper collaborare a livello regionale nel-l’interesse generale, della quale è stato

il primo Presidente sino al 2006.Ma, tornando alle doti dell’arch. Ter-racina, non tralascerei la grande argu-zia ed il senso dello humour che locontraddistinguono, che mantieneancora oggi alla soglia dei 95 anni,dopo una vita che certo non gli harisparmiato dispiaceri ed avversità.Voglio solo ricordare un piccolo episo-dio avvenuto anni or sono, durante ilCongresso dell’ACRI a Firenze, mentreera in corso un concerto di ZubinMetha nella sala dei 500 a PalazzoVecchio.Nella sala, alle 5 del pomeriggio,c’erano circa 35 gradi con un’umiditàsoffocante.Ad un certo punto uno spettatore crol-la a terra per il caldo e lo portano viain barella; dopo poco il presidente del-l’ACRI, avv. Guzzetti, si alza dallaprima fila e stramazza al suolo,costringendo il maestro Metha adinterrompere il concerto.L’Architetto a quel punto, fresco comeuna rosa, fa: “Ora suoneranno la mar-cia funebre”.Certo accanto a tante doti non poteva-no mancare i difetti, di cui dovrò par-lare per non essere tacciato di essere diparte.Alludo ad una scarsa capacità dimediazione e all’assoluta incapacità didissimulare contrasti o antipatie che lohanno sempre portato a spiattellare infaccia senza perifrasi o mezzi terminigiudizi negativi o posizioni avverse.A corollario di questo atteggiamento c’èsempre stata l’insofferenza per la parte-cipazione ad eventi mondani, che nonavessero una effettiva necessità o solidicontenuti culturali.Ma si tratta di veri difetti?Certo una dose maggiore di diploma-zia avrebbe potuto essergli utile, mafrancamente credo che sia stato meglioper lui non scendere mai a compromes-si, difendendo la propria libertà edautonomia, a costo di farsi qualcheinimicizia tra coloro che certo nonmeritavano maggiore considerazione.Concludo dicendo: grazie Torquato pertutto quello che hai fatto per la Fon-dazione e per Orvieto, grazie per lafiducia e la stima che hai riposto inme, grazie per l’affetto da padre chemi dimostri ogni giorno, grazie pertutto quello che ancora potrai fare pertutti noi, forte della tua grande saggez-za ed esperienza, nel tuo nuovo ruolodi presidente onorario.

Fondazione CRO: l’architetto Terracina presidente onorario

L’architetto Torquato Terracina è stato nominato presidente ono-rario della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. Dopo

aver presieduto l’Istituzione cittadina e la Consulta delle Fondazioniumbre, sembrava un doveroso tributo questa carica rivolta ad unpersonaggio di spicco delle vicende storiche e culturali orvietane.Per l’occasione, Vincenzo Fumi, presidente della Fondazione Cro,illustra le motivazioni della nomina, che ha coinvolto tutti gli orga-ni istituzionali dell’Ente, Adolfo Ciardiello, segretario generale,traccia un profilo dell’Architetto, non trascurando aneddoti che nerisaltano doti e caratteristiche umane e professionali. Le più vivecongratulazioni all’Architetto da parte della nostra Redazione.

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

Una riflessione sulla famiglia, inquest’anno che segna la ricorren-

za del bicentenario della nascita e delbattesimo di S. Giovanni Bosco, nonpuò che partire dall’esperienza cheGiovannino fa nella sua famigliad’origine.Giovanni Bosco, fondatore dei salesia-ni e cofondatore delle Figlie di MariaAusoliatrice, insieme a S. MariaDomenica Mazzarello, nasce a Castel-nuovo Don Bosco, allora Castelnuovod’Asti, il 16 agosto 1815, in una fami-glia modesta e laboriosa.Il padre, Francesco, sposa in secondenozze Margherita Occhiena e dalla lorounione nascono Giovanni e Giuseppe.Margherita diventa madre anche diAntonio, che Francesco aveva avuto daun precedente matrimonio.

PAPÀ FRANCESCO E MAMMAMARGHERITAGiovannino rimane orfano di padremolto presto, all’età di due anni, eMargherita resta pressoché sola nel-l’accompagnare il cammino di crescitadi Antonio, Giuseppe e Giovanni. Incasa con loro vivrà ancora per alcunianni la nonna. La famiglia di lei, spe-cialmente la sorella Giovanna Mariaed il fratello Michele, la aiuta comepuò.Margherita è stata un’educatrice cheha saputo coniugare in sé la fermezzae la tenerezza necessarie per un sanoprocesso educativo dei figli; la sapien-za di vita contadina che sa attendere itempi delle stagioni e sacrificarsi nelladurezza del lavoro è diventata in Mar-gherita pedagogia sapiente e concreta.La vocazione di Giovanni inizia a deli-nearsi a partire da un sogno fatto all’e-tà di nove anni, che poi si ripeterànella vita di Giovanni Bosco a sedici ea diciannove anni ed altre volte consempre maggiori particolari. CosìGiovannino vede un campo conragazzi che si picchiano e si insultano;quella visione lo spinge a buttarsinella mischia con le maniere fori alfine di farli smettere, ma alla compar-sa di Gesù e Maria si ferma e viene daloro invitato a rendersi forte, umile erobusto per conquistare con amorevo-lezza. I ragazzi, nel sogno, primadiventano animali selvatici di diversaspecie e poi si trasformano in agnelli:un richiamo alla futura missione didon Bosco sacerdote che, con i cuoreamorevole del buon Pastore, caratteri-

stica della spiritualità salesiana, porte-rà a salvezza tanti giovani smarriti edisorientati.La famiglia di Giovannino è unafamiglia in cui si può sognare, adessosi direbbe scoprire con l’aiuto deigenitori il progetto di Dio per la pro-pria vita. Quando Giovannino rac-conta in famiglia il suo sogno, lamamma gli suggerisce che potrebbeessere chiamato dal Signore a diventa-re sacerdote, mentre la nonna, conconcretezza piemontese, gli dice chenon bisogna badare ai sogni.Numerose sono le raccomandazioniche, in varie occasioni della vita,mamma Margherita ha fatto a donBosco sulla necessità di mantenersifedele alla vocazione sacerdotale che èdi servizio a Dio e ciò non lascia ilbenché minimo dubbio sul fatto chela madre non vedeva nel sacerdoziouna carriera, rischio possibile sempre,ma soprattutto per una donna del suotempo e della sua condizione. Il gior-no della sia prima Santa Messa solen-ne a Castelnuovo glielo ribadirà conforza: “Dio è prima di tutto. Da te ionon voglio niente, non mi aspetto nien-te. Io sono nata povera, sono vissutapovera e voglio morire povera. Anzi, telo voglio dire subito: se ti facessi prete eper disgrazia diventassi ricco, non met-terò mai piede in casa tua. Ricordalobene”.La famiglia è chiamata anche oggi adessere il luogo in cui si può sognare,ma non per illudersi di un futuro chenon potrà mai realizzarsi,, ma piutto-sto per iniziare a porre le basi concreteche permettono di costruire un futurosecondo la volontà di Dio. Nell’am-biente della famiglia, dove si imparaad amare per quello che si è e non perquello che si ha o si produce, i genito-ri sono chiamati ad aiutare i figli aprendere conoscenza dei propri talentie a farli crescere… e poco per volta adindirizzarli anche a comprendere che italenti ricevuti sono per il bene ditutti e non per l’egoismo personale.Non togliamo i sogni ai nostri giova-ni, non illudiamoli, ma neppureimpediamo loro di sognare, anzi aiu-tiamoli a sognare e progettare inmaniera positiva.Se pensiamo alla categoria NEET, ter-mine con cui si definiscono quei giova-ni dai sedici ai ventuno anni in Euro-pa, che non studiano, non si formano,non lavorano, che hanno perso la capa-cità di sognare, di sperare e disillusi silasciano vivere giorno dopo giorno,quali risposte possiamo dare loro?

Uno dei segnali di salute psicologicadi un giovane è la capacità di proget-tare. Forse mai come mai come inquesto momento della storia i giovanihanno bisogno di essere aiutati a farlo.Abbiamo una grande sfida, comegenitori, ma comunque come adultigeneratori di vita, impegnati neidiversi compiti educativi e culturali direstituire ai nostri giovani la speranza.

DON CALOSSOAltro momento significativo nella vitadi Giovanni è l’incontro con donCalosso; Giovanni incontra in donCalosso una figura paterna, una guidaspirituale che lo accompagna nellacrescita vocazionale e nel muovere iprimi passi alla vita sacerdotale, pro-prio nel momento in cui la vita infamiglia si era fatta più dura.Antonio, il fratello grande, si oppone-va al desiderio di Giovanni di studia-re. Il dolore per le vicende difficilidella sua giovane vita avevano induri-to il cuore di questo giovane a talpunto da amareggiare la vita del fra-tello, della famiglia, ostacolando il suosogno. Mamma Margherita si trovacostretta ad allontanare proprio Gio-vanni, chiede proprio a lui di distac-carsi dalla famiglia, con dolore capisceche solo così potrà mettere ali al suofuturo.

Una mano provvidente pone donCalosso sulla via di Giovanni, ma conla morte dell’anziano sacerdote la fededi Giovanni viene messa alla prova, ilsentirsi perduto lo porta a sperimenta-re un secondo abbandono, quello delpadre biologico prima e ora del padrespiritual. Il dolore assunto el’abbandono al volere di Dio nellanotte della fede lo condurranno a for-tificarsi e continuare a perseguire confermezza la realizzazione del sogno cheil Signore gli ha messo in cuore. DonCalosso apre la mente ed il cuore diGiovannino al dialogo affettuoso conDio. Dio prima dell’incontro con donCalosso era per Giovanni Colui a cuiobbedire, il suo rapporto con Lui eraconnotato al dovere, non era una rela-zione di fiducia. Con don CalossoDio diviene un interlocutore nella suavita, che gli domanda e propone didiventare suo collaboratore. Dall’esse-re che prima bisognava “pregare”all’essere che lo interpella e lo trattacome un figlio. La presenza di MariaAusiliatrice parla al suo cuore e gliinsegna a sentirsi “figlio”.Don Bosco diventerà padre di tanti

giovani, soprattutto dei più vulnerabi-li, abbandonati, in pericolo e lo faràcreando in Valdocco, a Torino, unagrande casa, in cui vive una “famiglia”raccolta nell’Oratorio.Don Bosco ha voluto che le Operesalesiane non si chiamassero conventi,ma “case” proprio per questo, perchésiano per i giovani che le abitano, lefrequentano, case dove si respira lo“spirito di famiglia”, dove ci si possasentire amati e si possa crescere inumanità e spiritualità, dove sia facileperdonare perché non si deve dimo-strare nulla a nessuno, dove si possanoripetere fino alla noia gli avvertimenti,i consigli, sapendo che presto o tardi atardi verranno assimilati. Un ambien-te dove chi ha un compito educativo èuna madre,, che sa soffrire, ma chenon ha paura di correggere, affinchéavvenga un cambiamento verso ilbene.Nel 1859, con un gruppo di giovani,inizia a concretizzarsi il sogno dellaCongregazione Salesiana, essere padridi tanti giovani, portare l’amore diDio a tanti giovani in cerca di fami-glia; molti di loro l’avevano persa.

MARIA DOMENICAMAZZARELLOL’incontro tra don Bosco e MariaDomenica avviene a Mornese, nel1864. Madre Mazzarello aveva già ini-ziato un’esperienza di preghiera e apo-stolato a favore delle giovani. DonBosco comprende che lo Spirito Santoora gliela faceva incontrare, perché loaiutasse a portare a compimento ilsuo, anzi il loro progetto. L’incontrodei due Santi porterà alla nascita del-l’Istituto delle Figlie di Maria Ausilia-trice, il 5 agosto 1872. Che si prefiggedi esser famiglia per le giovani biso-gnose di educazione e crescita nellafede.

SALESIANI NELMONDO:SE PENSIAMOAQUESTOUOMOLa Famiglia Salesiana conta gruppi,sia religiosi che laicali, che fanno rife-rimento alla spiritualità di don Boscoe considerano il rettor maggiore deiSalesiani, successore di don Bosco,loro guida spirituale. Don Boscofonda, oltre alla Società di S. France-sco di Sales e alle Figlie di Maria Ausi-liatrice, i Salesiani Cooperratori, laiciche si impegnano con una promessanell’educazione per la salvezza dei gio-vani. SE pensiamo a questo umodell’’800, che promuove il laicatonella Chiesa, comprendiamo la forzaprofetica della fondazione dei Salesia-ni Cooperatori. Un Concilio, moltianni dopo, promuoverà la vocazionelaicale nella vita della Chiesa.I membri della Famiglia Salesiana nelladiversità delle vocazioni, sacerdotali,religiose o laicali, continuano nell’oggidella storia il sogno di don Bosco: esserepadri e madri di giovani che chiedonodi realizzare appieno la loro vocazionenella Chiesa e nella società.Operiamo in diversi contesti culturali enei cinque continenti, incontrando gio-vani che hanno perso la loro famiglia ecercano in noi una famiglia, così comeai tempi di don Bosco oppure in realtàdove siamo chiamati a collaborare conle famiglie nel promuovere un cammi-

La famiglia nella tradizione salesianaNel bicentenario della nascita e del battesimo di S. Giovanni Bosco

Ricorre, quest’anno, il bicentenario della nascita e del battesimo di Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani. Èuno dei Santi più conosciuti e amati, un riferimento privilegiato per coloro i quali si interessano di giovani,

educazione e formazione. Un Santo moderno, del nostro tempo, vissuto in un periodo dalle forti tensioni politi-che e culturali, in cui l’industrializzazione dominava, che non sopportava le ingiustizie sociali, le povertà econo-miche ed umane, rovina delle giovani generazioni. Per un ricordo grato, considerata la grandezza delle opere rea-lizzate, dell’insegnamento trasmesso, abbiamo interpellato suor Paola della Ciana, figlia di Maria Ausiliatrice, mis-sionaria salesiana, che ha inquadrato, in brevi e precise note, le posizione della Congregazione rispetto alle pro-blematiche della famiglia. Un sentito ringraziamento per la preziosa collaborazione.

no di crescita umana e cristiana.La nostra opera è efficace quando fac-ciamo sì che un bambino, un ragazzo,un giovane ci dice che sente a “casa”,quando un giovane o una giovanescopre che la vita è bella, che Dio haun sogno su di lui o su di lei per ilbene di tutta l’umanità, quando cichiede di essere aiutato o aiutata ascoprire la sua vocazione e, se sente insé la chiamata alla vita religiosa osacerdotale, ci chiede di essre accom-pagnato o accompagnata per verificaretale chiamata.La casa salesiana si prende cura, manon trattiene, è capace di far cresceree inviare, è una casa che permette aigiovani di mettere le ali per esserenella società buoni cristiani e quindionesti cittadini.Lo scorso 21 giugno, in occasionedella visita del Santo Padre a Torino,prima dell’incontro con i membridella Famiglia Salesiana, il rettor mag-giore, don Ángel Fernández Artime,nel suo saluto ha ringraziato papaFrancesco per la sua visita a rinnovatol’impegno da parte di tutti coloro ches’ispirano a don Bosco a seguire gliinsegnamenti del Papa, specie nellacura particolare dei giovani poveri”.Ha ricordato come don Bosco avesse“iniziato tutto con un’Ave Maria”nella certezza che “Dio vuole la salvez-za di ogni giovane, a partire dai piùesposti al disagio umano e religioso”.Il Santo Padre ha subito abbandonatoil discorso ufficiale per parlare conmaggiore spontaneità, con la semplici-tà di sentirsi in famiglia, e ha raccon-tato la sua esperienza personale con iSalesiani e la Famiglia Salesiana, lacreatività e la concretezza di donBosco e dei suoi figli spirituali.Parlando di mamma Margherita(“senza la quale non si può capire donBosco”), il Santo Padre è intervenutosul tema del ruolo della donna e deimodelli educativi femminili da pro-porre alle giovani ragazze, alle allievedei Salesiani e delle Figlie di MariaAusiliatrice.Il Papa ha esclamato, che “il vostrocarisma è di un’attualità grandissima”e ha invocato scelte coraggiose daparte dei Salesiani, affinché come donBosco sappiano rischiare e sappianoessere concreti: “Il salesiano è concre-to: vede il problema, pensa a cosa faree prende in mano la situazione”.Ha poi richiamato l’attenzione allaformazione professionale, specie oggi,di fronte alla piaga della disoccupazio-ne giovanile,che porta a richiedere“un’educazione a misura di crisi”, e “lamissionarietà”, testimoniata da tantiuomini e donne che hanno speso laloro vita per l’evangelizzazione dellegenti, comprese quelle della Patago-nia, terra dal Papa amata con amoredi predilezione.Come non sentirsi grati di condivide-re con gli altri membri della FamigliaSalesiana e il dono grande del carismadi don Bosco e di Maria DomenicaMazzarello.La gioia, che non è euforia, ma pro-fonda pace, che nasce dal sentirsiamati da Dio e dalla consapevolezzache, rispondendo positivamente allaproposta di collaborazione che Dio cifa per realizzare il suo progetto, noirendiamo il mondo migliore. Anchequando la vita è solcata dal dolore, lapersona abituata ad essere gioiosa hauna serenità interiore che non permet-te di disperare.L’amore a Maria Ausiliatrice, donnasolidale con i fratelli e le sorelle, che

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

Don Bosco1815 - 16 agosto: Nasce alColle dei Becchi, presso Castel-nuovo d’Asti, ora CastelnuovoDon Bosco, figlio di FrancescoBosco (1784-1817) e Marghe-rita Occhiena (1788-1856). Ilpadre, da un primo matrimo-nio con Margherita Cagliero,aveva avuto due figli. La secon-da era scomparsa pochi giornidopo la nascita. Il figlio rima-sto si chiamava Antonio (1808-1849). Francesco rimane vedo-vo nel 1811. L’anno successivo,a Capriglio, si unisce a Mar-gherita Occhiena, da cui haGiuseppe, nato nel 1813, eGiovanni. Scomparso nel1817, lascia la moglie vedovacon tre figli.

1825 - Il sogno profetico.1829 - Il sacerdote settantenne don Giovani Calosso, cappellano a Morialdo,comprende le doti del giovane Giovanni, che esprime sapienza e spiritualità. Cosìlo accoglie nella sua abitazione, per insegnargli grammatica latina e istruirlo allavita religiosa.1830 - 21 novembre: Don Giovanni Calosso affida a Giovanni i suoi averi, sei-mila lire, cifra destinata ai suoi studi in Seminario. Il ragazzo rifiuta la somma,che consegna ai parenti del Maestro.1831 - 3 novembre: Iniziano gli studi di latinità nel Collegio di Chieri.1834 - Ormai diciannovenne, Giovanni Bosco desidera di esser accettato daiFrancescani ma, su consiglio di don Calosso e a seguito di un sogno premonito-re, cambia idea e non entra in convento. Si stabilisce presso la casa Lucia Matta.Non esita ad impegnarsi nelle più umili attività, pur di mantenersi agli studi,lavorando come garzone, cameriere, ragazzo di fatica nelle stalle. Fonda la Societàdell’Allegria, stringendo forte amicizia con Luigi Comollo. Il motto del giovanestudente si ispira al Vangelo, Gn 14,21, richiama ai suoi obiettivi di vita: “Damihi animas, coetera tolle” (Dammi le anime, prenditi tutto il resto), e casmpeg-gia su un cartello, appeso nella sua stanza.1841 - 29 marzo: Riceve l’Ordine del Diaconato. 5 giugno: Nella Cappella del-l’Arcivescovado di Torino, è ordinato sacerdote. Incontra fanciulli poveri per lestrade di Torino, i carcerati, i bisognosi, gli “ultimi”, a cui dà e da cui ricevesostegno fondamentale.8 dicembre: Nella Chiesa di S. Francesco d’Assisi, incontra il primo dei moltissi-mi ragazzi che l’avrebbero conosciuto e seguito: Bartolomeo Garelli. La sera diquello stesso giorno, Giovanni entra in contatto anche con i tre fratelli Buzzetti,provenienti da Caronno Varesino, che si erano addormentati durante la sua pre-dica. Quattro giorni dopo, alla Messa domenicale, erano presenti BartolomeoGarelli, insieme ad alcuni amici e ai fratelli Buzzetti, e una folta schiera di fedeli.È questa la formazione originaria, da cui sarebbe scaturito l’Oratorio di donBosco. Dopo poco tempo, le presenze diventano talmente consistenti che ilsacerdote chiede l’assistenza di tre giovani preti: don Carpano, don Ponte, donTrivero.È l’avvio dell’oratorio migrante, che dà ospitalità ai poveri ragazzi.1842 - Al ritorno dal paese, i fratelli Buzzetti portano con loro anche Giuseppe,il più piccolo della famiglia, che tanto si affeziona a don Bosco. Sarà lui che,divenuto adulto, da sacerdote, gestirà il futuro Ordine Salesiano.1846 - 12 aprile: Il giorno di Pasqua, apre a Valdocco, nella “casa Pinardi”, unoratorio. Don Bosco ha trovato un posto per i suoi ragazzi, una sistemazionepovera, ma sicura. La madre, Margherita, sarà la prima bebefattrice.1842 - Al ritorno dal paese, i fratelli Buzzetti portano con loro anche Giuseppe,il più piccolo della famiglia, che tanto si affezionerà a don Bosco. Sarà lui che,una volta divenuto adulto, da sacerdote, gestirà il futuro Ordine Salesiano.1846 - 12 aprile: È il giorno di Pasqua: si apre a Valdocco, nella “casa Pinardi”,un oratorio. Don Bosco ha trovato un posto per i suoi ragazzi, una sistemazioneumile, di completa povertà, ma sicura. La madre, Margherita, sarà la prima bene-fattrice.1851 - 20 luglio: Ha inizio la costruzione della Chiesa di S. Francesco di Sales.1854 - Don Bosco fonda la Società Salesiana. 29 ottobre: Un giovane, Domeni-co Savio, entra in Oratorio.1859 - 18 dicembre: Si forma il primo nucleo della Società Salesiana.1865 - 27 aprile: Alla cerimonia per la posa della prima pietra della Chiesa diMaria Ausiliatrice è presente il principe Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, secon-dogenito del re Vittorio Emanuele II.1868 - 9 giugno: Viene inaugurato il nuovo sacro edificio.1869 - 5 maggio: Viene ristrutturato l’Oratorio di S. Luigi.1872 - Viene fondato l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), che saràpresente in vari Paesi del mondo. Cofondatrice e prima superiore è la piemonteseMaria Domenica Mazzarello. Sarà proclamata Santa da Pio XII nel 1951.1875 - 29 gennaio: Entra in Oratorio don Luigi Guanella.14 novembre: Parte la prima spedizione missionaria in Argentina; a guidarla èdon Giovanni Cagliero.1876 - 12 luglio: Vengono istituiti i Cooperatori Salesiani, laici o sacerdoti ester-ni. 14 novembre: Ha inizio la seconda spedizione missionaria in Argentina, gui-data da don Francesco Bodrato, e in Uruguay, con don Luigi Lasagna. Vieneaperta a Buenos Aires una scuola di arti e mestieri, che formerà futuri sarti, fale-gnami e legatori.1877 - Alla terza spedizione missionaria, insieme ai Salesiani, prendono parteanche le Figlie di Maria Ausiliatrice, sotto la guida di suor Angela Vallese. Vienefondato il Bollettino Salesiano. 5 settembre: Si apre il primo Capitolo Generale.1878 - 14 agosto: Viene collocata la prima pietra della Chiesa di S. GiovanniEvangelista.1880 - 15 gennaio: Partono i Salesiani per la Patagonia. 5 aprile: Leone XIII affi-da a don Bosco la costruzione della Ciesa del Sacro Cuore a Roma.1882 - 28 ottobre: Viene consacrata la Chiesa di S. Giovanni Evangelista.1884 - 7 dicembre: È Giovanni Cagliero il primo vescovo salesiano.1929 - 2 giugno: Don Bosco è proclamato Beato da Pio XI.1934 - 1° aprile: Don Bosco è proclamato Santo.

Rotary Club di San Marino“Solidarietà Rotariana”. Il presi-dente del Club, dott. JohnMazza, consegna a suor PaolaDella Ciana il premio Paul HarrisFellow, prestigioso riconoscimen-to del Rotary International, perl’attività missionaria svolta dareligiosa e da sanitaria a TimorEst, presso il Centro Salesiano.

PAOLA DELLA CIANA

medico - psicoterapeuta sistemicorelazionale e counselorspecializzata presso il CentroCospes di Bologna.E’ responsabile del Centro, in cuisvolge attività di amministrazio-ne, coordinamento degli operato-ri e delle attività, counseling epsicoterapia familiare, di coppia eindividuale.Ha ricoperto l’incarico di medicodi base presso l’Istituto di Sicu-rezza Sociale della Repubblica diSan Marino negli anni ’90 e diresponsabile della Clinica mater-no-infantile e Centro antituber-colare di Venilale-Baucau, coordi-natrice del personale infermieri-stico e degli Health promotersdei villaggi a Timor Est dal 2000al 2003; in Italia si occupa dadiversi anni di educazione socio-affettiva e sessuale, rivolta adallievi delle scuole primaria,secondaria e della formazioneprofessionale e di attività formati-va per gli insegnanti.Fa parte della Famiglia Salesiana,è figlia di Maria Ausiliatrice.

La Famiglia SalesianaDon Bosco fondò due Congregazioni religiose:

- un Istituto religioso maschile, la Società di S. Francesco di Sales (SocietàSalesiana di S. Giovanni Bosco, SDB), presente in 130 Paesi, con 7.610Opere;

- un Istituto religioso femmi-nile, le Figlie di Maria Ausi-liatrice /FMA), in oltre 90Paesi, con 1.600 Opere.

Inoltre creò i Cooperatori Sale-siani, ora Salesiani Cooperato-ri, laici che vivono nel mondo,attivi nelle diverse missioni ocon proprie Opere.I Salesiani di don Bosco sonopiù di 15.000, compresi vesco-vi e novizi. Sono presenti neicinque continenti, in 132Paesi. Le loro Opere dipendo-no sul territorio da Regioni,Ispettorie e Presenze Locali.Esistono 7 Regioni RMG -UPS:Africa Madagascar - AmericaCono Sud - Asia Est - Oceania- Asia Sud - Europa Centro-Nord - Interamerica - Mediter-ranea - Le Ispettorie sono 86.La Famiglia Salesiana contacirca 400.000 membri.Tra i gruppi formati da laici,spiccano gli Ex Allievi ed ExAllieve di don Bosco ed il Movimento Giovanile Salesiano.A questi tre gruppi, si aggiungono altre Associazioni, fondate dai Salesiani intutti i continenti.

Tra le più note, si ricordano:

- le Salesiane Oblate del Sacro Cuore di Gesù, fondate da Giuseppe Cogna-ta (1885-1972):

- la Congregazione di San Michele Arcangelo, fondata dal polacco Bronis-lao Markiewicz nel 1021;

- le Suore di S. Michele Arcangelo, fondate da Bronislao Markiewicz eAnna Kaworek;

- le Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, fondate da Luigi Variara(1875-1923) in Colombia;

- le Suore Missionarie di Maria Aiuto dei Cristiani, fondate da Stefano Fer-rando (1895-1978) in India;

- le Suore della Carità di Gesù, dette di Miyazaki, fondate da AntonioCavoli (1888-1972) in Giappone.

Il rettor maggiore è a capo della Famiglia Salesiana.

Il trinomio educativo:ragione-religione-amorevolezzaLo diceva don BoscoOccupare rigorosamente il tempo. Patire, fare, umiliarsi in tutto e sempre quando sitratta di salvare le anime. La carità e la dolcezza di San Francesco di Sales mi guide-ranno in ogni cosa.La prima felicità di un fanciullo è sapersi amato.Guai a chi lavora aspettando le lodi del mondo: il mondo è un cattivo pagatore epaga sempre con l’ingratitudine.Fare il bene senza comparire. La violetta sta nascosta ma si conosce e si trova grazie alsuo profumo.Chi sa di essere amato, ama e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani.Noi facciamo consistere la Santità nello stare sempre allegri e fare sempre e bene ilnostro dovere.Dalla buona o cattiva educazione della gioventù dipende un buon o triste avveniredella società.

Basta che voi siate giovani perché io vi ami assai.La gioia è la più bella creatura uscita dalle mani di Dio dopo l’amore.Amate ciò che amano i giovani, affinché essi amino ciò che amate voi.Tu non devi essere un predicatore, ma hai una maniera efficacissima per predicare: ilbuon esempio.Se vuoi farti buono, pratica queste tre cose e tutto andrà bene: allegria, studio, pre-ghiera.Quando si tratta di qualche cosa che riguarda la grande causa del bene, don Boscovuol essere sempre all’avanguardia del progresso.L’essere buono non consiste nel non commettere mancanza alcuna, ma nello averevolontà di emendarsi.Aspetto tutti i miei giovani in Paradiso.

tiene il passo con l’umanità in cammi-no, che è accanto ad ogni uomo edonna che soffre perché profugo,rifiutato, non accolto, non accettatocosì come è lo è stata ai piedi di Gesùcrocefisso.L’Eucaristia, pane che alimenta il cam-mino cristiano, rendendoci sempre unpo’ più simili a Cristo e ai fratelli chepartecipano all’unica mensa del Panee della Parola;La riconciliazione, che ci dona il per-dono e la vita di Grazia nell’incontrocon un Padre misericordioso e,destandoci il dolore per gli sbagli fatti,ci dona la forza di non commetterlipiù.L’amore alla Chiesa, che si esprimenell’amore al Papa come segno diunità della cristianità nella carità, suc-cessore di Pietro e custode della tradi-zione apostolica.Ognuno può esserci con quello che è,sacerdote, religioso o religiosa, laico olaica, per essere un elemento checostruisce un movimento di personeche è la “Famiglia Salesiana” con lapropria testimonianza, per essere padrie madri nella fede e nella concretezzadella vita di tanti giovani.

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

Dal mese di aprile al mese di giu-gno 1944, nel turbine della

seconda guerra mondiale, le truppedel Terzo Reich in ritirata e le forzealleate che le inseguono si avvicina-no ad Orvieto, che gli anglo-ameri-cani chiamano “German Fortress”ovvero la fortezza germanica per lasua posizione e per gli apprestamentidifensivi, che dallo scorso mese digennaio il Luftwaffe oberstleutnantovvero il tenente colonnello dell’a-viazione da guerra germanica AlfredLersen ha fatto eseguire. Postazionidi artiglieria sia contro aerea checontro carri con i tristemente famosicannoni Krupp da 88 mm di calibroda Castiglione in Teverina lungo ilTevere e poi il Paglia fino ad Acqua-pendente, trincee con postazioni dimitragliatrici MG 34 e MG 42lungo tutte le strade che portano aOrvieto e in modo particolare epotenziato ad ogni incrocio con pan-zerfaust contro carro. Numerosi efitti campi minati per bonificare iquali occorrono due anni dopo iltermine del conflitto. Le postazionidifensive più munite sono quelleinstallate sulle mura dietro al vecchioospedale, nel giardino del Monasterodi San Paolo, nella rocca, nellaCaserma avieri, nell’Istituto di riedu-cazione, nel giardino di San Giove-nale, dentro e fuori Porta Maggiore.La mattina del 14 giugno 1944, allabase della rupe di Orvieto, vi sonoingenti forze germaniche apparte-nenti al I.Fallschirmjäger Armee-Korp, dipendente direttamente daHermann Göring: la 356a Divisionedi fanteria, la 29a Divisione grana-tieri corazzati, la 26a Divisionecorazzata, la 4a Divisione paracadu-tisti, la Hermann Göring panzerDivision oltre alla 20a LuftwaffeFeld Division di riserva. Cento-cen-toventimila soldati veterani del NordAfrica, di Cassino e di Anzio, dadove risalgono seguendo gli sviluppidel fronte. Il nemico avanzante èmeno numeroso, conta circa sessan-tamila uomini, con molte giovanireclute al fronte solo da dieci giorni,ha una potenza di fuoco dei carriarmati inferiore dovuta ai cannonida 75 mm di calibro che poco pos-sono contro di quelli da 88 mm ger-manici, e una corazzatura minore.Le forze alleate dirette a Orvietosono la 6a Armata corazzata sudafri-cana, la 78a Divisione di fanteriabritannica e la 2a Divisione corazza-ta neozelandese. Il rapporto di forze,

quindi, è nettamente a favore deiGermanici e ciò rende ancora piùincomprensibile militarmente chel’oberstleutnant Alfred Lersen abbiarinunciato al combattimento. Alleore 10:00 i comandanti delle Divi-sioni germaniche salgono al coman-do militare nella Caserma avieri, lafliegerkaserne, per ricevere disposi-zioni dall’oberstleutnant Alfred Ler-sen: non si hanno documenti, ma èipotizzabile che Lersen comunichiloro di essere in attesa di ricevere iltrattato controfirmato dal comandobritannico e che, quindi, Orvietopotrebbe diventare una città aperta.Probabilmente Lersen chiede ai seicomandanti di non entrare in città,ma di tenersi pronti a fronteggiare leconseguenze che il rifiuto del tratta-to avrebbe comportato. Vediamo oracome mai non si ha lo scontro pre-parato da tempo e del quale tuttisono coscienti. I “giocatori della par-tita” sono quattro: Papa Pio XII, conla sua Segreteria di Stato, FrancescoPieri, vescovo di Orvieto, Alfred Ler-sen, comandante germanico di piaz-za, Richard Heseltine, comandantele avanguardie britanniche. (TheNational Archive, Kew Richmond,Surrey, U.K.. Dossier HW 1/2955).

* * *Dai documenti di archivio emergeche il cardinale Luigi Maglione,segretario di Stato di Sua Santità PioXII, scrive a monsignor FrancescoPieri, vescovo di Orvieto, il 26 aprile1944: «Eccellenza Reverendissima,sono già noti all’Eccellenza VostraReverendissima i passi fatti da questaSegreteria di Stato presso le Potenzebelligeranti, a fine che sia evitataogni azione di guerra, che possacompromettere l’incolumità di code-sta città e degli inestimabili tesorid’arte che essa racchiude. Per ciò cheriguarda i risultati di tale interventomi pregio informare la medesimaEccellenza Vostra che i rappresentan-ti Anglo-Americani hanno fattosapere che la raccomandazione dellaSanta Sede è stata immediatamentetrasmessa ai Comandi Alleati (omis-sis)» (cfr. Archivio di Stato di Orvie-to, Busta 215, Cartella 8-6-1, Docu-mento 4). Questa azione, o serie diazioni, fa in modo di evitare allacittà di Orvieto i bombardamentiaerei anglo-americani effettuati inve-ce alla sua periferia e alla stazione.

* * *

La sopravvivenza della città diOrvieto è nelle mani del destino e inquelle dell’oberstleutnant Alfred Ler-sen: questo spinge monsignor Fran-cesco Pieri a frequentare assidua-mente l’oberstleutnant Alfred Lersenper trovare, insieme, soluzioni per lasalvezza di Orvieto. La sua moralesuperiorità, la sua dialettica efficace,la sua prontezza di spirito, la suavivacità discorsiva, pur con la diffi-coltà dell’interprete o la fatica dipotersi intendere con un latino nor-dico, quale quello parlato dall’ober-stleutnant Alfred Lersen, che l’haappreso molti anni prima al PetriRealgymnasium di Leipzig, Lipsia,hanno ragione del successo fino agliultimi giorni dell’occupazione ger-manica, quando l’oberstleutnant,che dirige le azioni di retroguardiaper la copertura della ritirata, dinan-zi al suo ardore d’implorazione, glidichiara testualmente: «Eccellenza, leassicuro che, per rispetto a questotesoro di arte e di fede (alludendo alduomo) e per un riguardo alla vostrapersona, (accompagnando il gestocon un benevolo sorriso) se combat-teremo, lo faremo a non meno di 20km dalla città». (cfr. Francesco Troili,Ricordo di Mons. Francesco Pieri,vescovo di Orvieto 1941 - 1961,Orvieto 1962). La promessa è man-tenuta, perché, in verità, solo lungole sponde del fiume Paglia, sottoMonte Rubiaglio, avviene il primoscontro di carri armati, preceduto dacombattimenti di fanteria, il 15 giu-gno, seguito da un altro nei pressi diMonte Nibbio, in quel di Ficulle, ilgiorno 16. Il giorno 10 giugno1944i l’oberstleutnant Alfred Lersennomina monsignor Francesco Pieri

«comandante civile della città diOrvieto con pieni poteri e obblighi».Riconoscimento di grande onore esignificato per il vescovo e ulterioremanifestazione di stima.

* * *Forse non si saprà mai perché unaperfetta macchina da guerra, vetera-no della prima guerra mondiale edella campagna di Russia, uno deiprimi 10.000 aderenti al partitonazista, come l’oberstleutnant AlfredLersen, asserragliato in un luogomolto munito che ha provvedutoper sei mesi a fortificare e affiancatoda forze superiori, decida di salvarela città di Orvieto, come, di fatto, fa.Va fortemente evidenziato che iltrattato è teso a salvare la sola cittàdi Orvieto sopra la rupe: infatti, icombattimenti sono sospesi al pontedel Sole, in vicinanza di PortaRomana, e ripresi al Crocefisso deltufo, vicino a Porta Cassia, attuandoquasi un taglio chirurgico nel terri-torio soggetto a operazioni belliche.(cfr. Richard Heseltine, Pippin’s Pro-gress, pagina 204, Centuries Assing-ton Suffolk (U.K.), Silver HorsePress, 2001: The National Archive,Kew Richmond, Surrey, U.K.. Dos-sier HW 1/2955; Monsignor Fran-cesco Troili, Ricordo di Mons. Fran-cesco Pieri, vescovo di Orvieto 1941 -1961, pagina 12, Orvieto, GiuntaDiocesana di A. C. 1962). Circa alleore 08:30 del 14 giugno 1944, dopotre giorni che infuria la battaglia asud di Orvieto, sia lungo la stradaproveniente da Baschi che alla locali-tà Tamburino, l’oberstleutnantAlfred Lersen invia un’ambasceriacon un suo tenente con ottimaconoscenza della lingua inglese alcomandante delle truppe alleate perproporre il trattato di Orvieto cittàaperta.

* * *L’oberleutnant è intercettato dall’a-vanguardia britannica guidata dalmaggiore Richard Heseltine che poilo invia, scortato dal suo aiutantecaptain Geoff McDiarmid, al suosuperiore colonel Sir Peter Farquhar,che lo trasmette al generale sirRichard McCreery, che, probabil-mente, lo consegna al comandantein capo, generale sir Harold Alexan-der. Dopo tre ore l’oberleutnant è diritorno a Orvieto con l’approvazioneda parte del comando alleato, forsedel generale Harold R. L. G. Alexan-der accampato a mezza strada traBolsena e Montefiascone, della pro-posta dell’oberstleutnant Alfred Ler-sen. Ecco la testimonianza del mag-giore Richard Heseltine riportata apagina 204 del suo libro di memoriePippin’s Progress, Centuries Assing-

Orvieto, città della paceton Suffolk, 2001, Silver HorsePress, e in una sua lettera al sindacodi Orvieto: «Cinquant’anni fa, il 14giugno 1944, ero al comando dellosquadrone avanzato di carri armatibritannici che si avvicinava a Orvie-to venendo da Viterbo. Quella cittàera stata devastata ed i vostri cittadi-ni devono aver temuto di subire lostesso trattamento. Ma quando poteivedere Orvieto da lontano, in altosulla sua isola di roccia. La miaavanguardia mi notificò che unaVolkswagen (Kübelwagen, n.d.A.)germanica si stava avvicinando, sven-tolando una bandiera bianca. Ordi-nai perciò all’ufficiale di squadronedi intercettarli e di portarli da me.Erano un oberleutnant (tenente,n.d.A.) germanico e l’autista cheportavano un messaggio del lorocomandante (oberstleutnant AlfredLersen, n.d.A.). Non ricordo esatta-mente le parole, ma, più o meno,dicevano che per via della bellezzastorica di Orvieto, il comandantegermanico di zona proponeva che,d’accordo con il comando alleato, sidichiarasse congiuntamente Orvietocittà aperta. Perciò mandai l’inviatosotto scorta alle autorità superiori,dove trovarono un accordo. Tre orepiù tardi l’oberleutnant fu di ritornocon la proposta approvata (e tornòall’orstkommandantur di Orvieto,n.d.A.). Circa a mezzogiorno (la fan-teria divisionale entra in città e) ilmio squadrone era in riserva e siriposava sotto le rocce, vicino allastrada che portava in città. Con ilmio secondo in comando (capitanoHoward G. Riley, n.d.A.) entrammonella città in jeep (attraverso PortaRomana, n.d.A.)».

* * *Aerei assenti nel cielo della città, ger-manici che escono e britannici cheentrano senza che sia sparato uncolpo di arma da fuoco in pienoperiodo di guerra e prima del bloccosulla Linea Gotica. C’è anche chiparla di miracolo.L’episodio del trattato di Orvietocittà aperta, unico dopo quello diRoma, è tentato nuovamente aGenova, ma a guerra ormai pratica-mente conclusa. Il 23 aprile 1945,«alle tre del pomeriggio, il consolevon Etzdort chiamò con urgenza ilvescovo ausiliare ... e gli mostrò untelegramma dell’ambasciatore germa-nico presso la R.S.I., Rudolf Rahn,che ordinava: consegnate Genova alvescovo Siri» (cfr. Giuseppe Siri,Memoria delle vicende genovesi1944-1945, Genova, Rivista diocesa-na, maggio-giugno 1975).

Sandro Bassetti

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

Gli Alleati, precisamente gli ingle-si della VIII Armata, entrarono

ad Orvieto il 14 giugno 1944 senzasparare un colpo. Il motivo della for-tuna che ebbe Orvieto è stato sco-perto solo pochi anni fa, grazie aduna lettera che il sindaco di Orvietoricevette nella primavera del 1994dall’Inghilterra; ne era autore ilsignor Richard Heseltine, coman-dante dello Squadrone di carri arma-ti inglesi che entrò per primo adOrvieto. Nella lettera, il maggioreHeseltine raccontava come, la matti-na del 14 giugno, le truppe inglesiprovenienti da Viterbo, già in vistadi Orvieto, avvistarono una Volkwa-gen tedesca che, sventolando bandie-ra bianca, si stava avvicinando.Erano un oberleutenant e l’autista,che portavano un messaggio del lorocomandante. Il messaggio diceva chei tedeschi se ne erano andati tuttidalla città e che “per via della bellez-za storica di Orvieto il comandante dizona tedesco proponeva che, d’accordocon il comando alleato, dichiarasseroinsieme Orvieto Città Aperta”. Gliinglesi accettarono. Orvieto fu salva.Solo qualche anno dopo l’arrivo diquella lettera, è stato possibile cono-scere il nome del comandante tede-sco, Alfred Lesner, e questo grazieagli studi che l’ingegner Sandro Bas-setti effettuò mentre ricercava la sto-ria dell’aeroporto dell’Alfina.Durante il suo breve soggiorno adOrvieto, il comandante Lesner avevastretto amicizia con il vescovo Pieri equesto grazie alla sua ottima cono-scenza della lingua latina. Il Vescovoera riuscito a farsi promettere cheavrebbe fatto del tutto per salvare lacittà. “Eccellenza, le assicuro che perrispetto a questi tesori d’arte e di fede eper riguardo alla vostra persona, secombatteremo, lo faremo a non menodi 20 km dalla città” fu la risposta. Ecosì fu.Il 10 giugno, Lesner nomina ilvescovo “Comandante civile di Orvie-to con pieni poteri e obblighi”, casounico in Europa. Lo scontro fra idue eserciti avvenne a Ficulle, a circa20 km da Orvieto.Inspiegabile come il comandanteLesner, convinto seguace di Hitler,pluridecorato nelle due guerre mon-diali, pur disponendo di una notevo-le superiorità numerica di uomini (5Divisioni tedesche contro 3 inglesi)

abbia rinunciato a bloccare il nemicodall’alto della rupe.

……………………………………………………..Da Orvieto, gli inglesi scesero finoalla Stazione di Baschi e nella pianu-ra, sulla riva destra del Tevere, issaro-no gli accampamenti. Da lì, unaquarantina di soldati si spinseroverso il paese, seguendo il fiume (ilponte non c’era più, era stato fattosaltare dai tedeschi in ritirata). Giun-ti in direzione delle Coste del muli-no, furono avvistati. La notizia sidiffuse in un baleno, tanto che siradunò una certa folla, che decisespontaneamente di andare ad incon-trarli. Partì il corteo con in testaAugusto Burione (detto “il Bion-do”), che portava la bandiera italianacon lo stemma sabaudo; bandieratutta bruciacchiata: questo perché,avendo i tedeschi tentato di bruciar-la, un anziano signore, soprannomi-nato “il Governo” l’aveva salvata enascosta. Il Biondo ad un certopunto cominciò a cantare “bandierarossa”, qualcuno lo fermò dicendo:“Ma questi sono americani micarussi…”Il gruppo si diresse verso il Tevere,partendo dalle Coste del mulino. Ilprimo ad arrivare presso il fiume fuSante Balestrazzi, che, munito dimitra, in segno di evviva cominciò asparare in aria. Gli inglesi si acquat-tarono immediatamente dietro icespugli, credendo che ci fosseroancora i tedeschi, ma subito arrivò ilgruppo festante e rumoroso con labandiera italiana. I soldati capirono.Attraversarono a guado il fiume,tenendo alto il fucile, e poi si uniro-no alla folla e giunsero in piazza,dove furono accolti con tanto vinoed evviva.La sera erano tutti “cotti” e, nellacasa della Famiglia Polegri, lasciaro-no un mucchio di fucili. Tornaronola mattina seguente, molto presto ariprenderli. Chissà come si sarannogiustificati al rientro negli accampa-menti. Un soldato non deve maiabbandonare le armi.Come già detto, non esistendo più ilponte, gli alleati provvidero alla riat-tivazione delle comunicazioni conOrvieto, facendo una strada chedalla zona di Pantanelli arrivava alfiume. Costruirono un ponte, che

poggiava su due grosse travi di ferro,ed era ad uso esclusivo delle truppe.Tutto questo in una settimana. Sisparse subito la notizia di quellaimpresa quasi miracolosa, compiutacon ruspe e motopale. Da noi, all’e-poca, non si erano nemmeno sentitinominare simili attrezzi. Tutti anda-rono a vedere l’opera compiuta.Quando gli Alleati se ne furonoandati verso il Nord, alcuni cittadi-ni, sullo stesso luogo, utilizzandodue chiatte lasciate dai tedeschi,

La guerra finisce - Arrivano gli Alleaticostruirono un barcone che potevatraghettare carri, macchine e perso-ne. Il barcone fu usato fino a quan-do fu ricostruito il ponte. Durante lepiene del fiume, però, era pericoloso.I campi che costeggiano il Tevere,nei pressi della Stazione, eranocosparsi di crateri formati dallebombe sganciate dagli aerei alleati:sembrava la superficie della luna.

Non sembrava vero poter di nuovodormire spogliati e senza l’incubodel ricognitore che ronzava sopra ilpaese.Conoscemmo, tuttavia, paure dialtro tipo: una sera, tardi, ci pren-demmo un grosso spavento. Sullostesso nostro pianerottolo, all’ultimopiano della palazzina Gorini, abitavala Famiglia Zambrotta di Salerno, ilcui capofamiglia aveva lavorato nelginestrificio di Baschi; la giovanesignora, veramente molto carina,nonostante i consigli di mia madre“di non farsi notare e di essere pru-dente”, era stata per lungo tempoalla finestra, mentre sotto alcuni sol-dati inglesi gironzolavano. La sera,verso le 11 (noi eravamo già a letto),sentiamo bussare alla porta degliZambrotta, prima in maniera nor-male, poi sempre più forte; infinesentimmo che la porta veniva presa aspallate. Le due donne (la signoraaveva una sorella cieca) cercavano diopporre resistenza dall’interno.Improvvisamente, dalla finestra, lacieca gridò: “Aiutoooo…. Chiamateil comando inglese, aiutooo!!!”. Aquel punto tutto finì.————————————————————————————-Una delle prime operazioni degliAlleati fu quella di ripristinareun’amministrazione che garantisse

l’ordine e che si assumesse la respon-sabilità di governare il Comune.Venne un colonnello e chiese infor-mazioni per individuare le personepiù affidabili e capaci. Gli fu indica-to il perito agrario Bernardino Pole-gri, che aveva già ricoperto la caricadi podestà qualche anno prima.Detto fatto, fu nominato presidentedel Comitato di liberazione nazionalecon l’incarico di ricostruire i partiti(in numero dispari).I partiti ricostruiti furono: Democra-zia Cristiana, con Adamo Pini, Parti-to d’Azione, con Enrico Caravaggi(direttore didattico) e MenottiAlborghetti, Partito Comunista, conGiuseppe Vaccari prima, poi conGiuseppe Piastrelloni, Partito Socia-lista, con Girolamo Rotili.Il C.L.N. Cominciò a lavorare apieno ritmo. A esso tutti si rivolge-vano per le problematiche più diver-se: il mercato nero, il reperimentodegli alloggi per gli sfollati che sierano fermati in zona, il rilasciodelle licenze di commercio. Si formòanche il Comitato Provinciale deiprezzi per tutelare i consumatori esegnalare le infrazioni commesse daicommercianti per quel che riguarda-va i generi di vasto consumo; tutta-via continuavano ad esistere ancora igeneri razionati e l’ammasso delbestiame.Vennero formati altri enti: la Sezioneprovinciale dell’alimentazione, ilComitato Comunale dell’agricoltura,il Consiglio tributario, il Comitatoprovinciale assistenza reduci; perquest’ultimo fu organizzato unospettacolo di un illusionista, il rica-vato fu di 3.200 lire, di cui 600 perl’artista.

M. A. Bacci Polegri

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

In occasione del centenario dellanascita di Alberto Lattuada (1914-

2005), Orvieto, la città che egli scelsecome rifugio e dove trascorse gli ulti-mi anni della sua vita, ha dedicato algrande maestro del cinema unamostra fotografica e una rassegnaorganizzata dal Gruppo FAI diOrvieto, con il sostegno della Presi-denza Regionale FAI Umbria, il con-tributo della Fondazione Cassa diRisparmio di Orvieto e il riconosci-mento della Direzione Generale peril Cinema del Ministero dei Beni edelle Attività Culturali e del Turismo.

La mostra, allestita presso PalazzoCoelli, ha restituito aspetti emomenti particolari della vita e del-l’attività del famoso regista. Oltresettanta fotografie in bianco e nero,tratte dal suo archivio, hanno con-sentito di riconoscerlo sul ‘set’ dellasua esistenza pubblica e privata: nelcontesto intimo della famiglia e alfianco dell’attrice Carla Del Poggio,la “moglie bambina”, che sposò nel1945; nella gestualità istantaneadelle riprese, lui stesso instancabileprotagonista della regia; nel mosaicodegli incontri straordinari, dellamondanità dei festival e dei premicinematografici, della tensione risol-ta delle prime. Molte anche le foto-grafie di scena, alcune delle quali sidevono a grandi fotografi suoi colla-boratori e amici, come Paola FoàFranci e Federico Patellani. Uno spa-

Riservato A. Lattuadauna mostra e una rassegna a Orvietonel centenario della nascita. 1914-2014

Gruppo FAI di Orvieto

zio speciale è stato poi riservato allaricostruzione d’ambiente dello stu-dio del maestro con immagini,documenti, libri e altri oggetti chegli erano cari, scelti dal figlio Ales-sandro.

La rassegna cinematografica in seiserate si è svolta durante il periododi apertura della mostra e ha regi-strato l’intervento di ospiti illustri,testimoni e personaggi che con Lat-tuada hanno lavorato o lo hannoconosciuto. Sono state proiettatealcune tra le più significative pellico-le selezionate da Guido Barlozzetti,giornalista ed esperto di cinema, pre-cedute da straordinari filmati-docu-mento tratti dalle Teche RAI.

L’evento è stato anche una impor-tante occasione per riflettere sullaparticolare vocazione della città diOrvieto e delle colline orvietanecome luogo di attrazione, elezione eispirazione per intellettuali e artistiche, nel corso del Novecento,l’hanno scelta come patria di adozio-ne, ponendola al centro di un circui-to internazionale, erede del grandtour. La bellezza del paesaggio e delpatrimonio culturale di questo terri-torio rappresentano valori da tutelaree promuovere, anche in ragione deilegami profondi avvertiti e interpre-tati da grandi personalità comeAlberto Lattuada, appassionato diquesta terra.

ALBERTO LATTUADA nasce a Milano il 13novembre 1914 da Lina Bramati e da Felice,musicista e compositore (attivo anche nelcinema, scriverà fino al 1952 le colonne sono-re dei film del figlio). Dopo il liceo conAlberto Mondadori, si laurea in architettura.A soli 28 anni ha già molto in attivo: ha con-tribuito a fondare la Cineteca Italiana con ilprimo nucleo milanese e due importanti rivi-ste di cultura, “Camminare” e “Corrente”; hapubblicato il libro di fotografie “Occhio qua-drato” ed è stato aiuto di Mario Soldati nellaregia di Piccolo mondo antico. Il vero e impe-gnativo esordio lo segna Giacomo l’idealista(1943, prodotto dal trentaduenne CarloPonti), una rilettura cinematografica della let-teratura (Emilio De Marchi, 1887), secondola moda dell’epoca ma che diventa per luioccasione di stile personale. Profonda culturafigurativa e letteraria e grande talento visivosono caratteri che emergono precocemente e acui Lattuada dovrà la sua affermazione:riuscendo a formulare la ‘buona scrittura’ delcosiddetto “calligrafismo” attraverso l’obiettivoneorealista. I suoi film, spesso ancora trasposi-zioni letterarie, si susseguono in rapida succes-sione: “Il bandito” (1946, con Amedeo Nazza-ri e Anna Magnani)); “Il delitto di GiovanniEpiscopo” (1947, con Aldo Fabrizi), “Senzapietà” (1948, interpretato da Carla Del Pog-gio, sua moglie dal 1945); “Il mulino del Po”(1949); “Luci del varietà” (1951 co-direttocon Federico Fellini); “Anna” (1952, con Sil-vana Mangano); “Il cappotto” (1952, conRenato Rascel); “La lupa” (1953); “La spiag-gia” (1954); “Guendalina” (1957); “I dolciinganni” (1960, con Catherine Spaak); “Lette-re di una novizia” (1960), “Mafioso” (1962,con Alberto Sordi), “Don Giovanni in Sicilia”(1967), “L’amica” (1969), “Venga a prendereil caffè da noi” (1970, con Ugo Tognazzi);“Sono stato io!” (1973), “Le farò da padre”(1974), “Cuore di cane” (1976), “Oh, Serafi-na!” (1976), “Così come sei” (1978), “La cica-la” (1980), “Una spina nel cuore” (1986). Perla televisione realizzò, tra l’altro, il kolossal“Cristoforo Colombo” (1985). La sua sensibi-lità per il fascino della bellezza femminile hadato il successo a: Marina Berti, Carla DelPoggio (divenuta poi sua moglie),ValeriaMoriconi, Jacqueline Sassard, CatherineSpaak, Dalila Di Lazzaro, Therese Ann Savoy,Nastassja Kinski, Clio Goldsmith, Barbara DeRossi.Alberto Lattuada ha trascorso l’ultimo periododella sua vita nella sua casa nella campagna diOrvieto, che aveva scoperto e iniziato adamare alla fine degli anni ‘60 grazie allo scrit-tore Luigi Malerba, amico e sceneggiatore dialcuni suoi film (“Anna”, “Il Cappotto”, “LaLupa”, “La Spiaggia”, “Sono stato io!”). Qui èscomparso, il 3 luglio 2005. Il suo cinema,colto ed elegante, ma in grado di interpretare igusti del pubblico e i codici dello spettacolo

di grande diffusione, rappresenta una originale ed esemplare “sintesi tra la perizia colta e artigianale del modo digirare all’italiana e lo stile hollywoodiano”, ed è un importante lascito per la cultura contemporanea.

RISERVATO A. LATTUADAmostra fotografica e rassegna nel centenario della nascita. 1914-201414 dicembre 2014 - 10 gennaio 2015Palazzo Coelli - piazza Febei 3 - Orvieto

Calendario della rassegna:

domenica 14 dicembreore 17.00 - “SENZA PIETÀ”

sabato 20 dicembreore 21.00 - “ANNA”

domenica 21 dicembreore 18.00 - “IL CAPPOTTO”

domenica 4 gennaioore 18.00 - “DOLCI INGANNI”

giovedì 8 gennaioore 18.00 - OH, SERAFINA!(presso sede UNI Tre Orvieto)

sabato 10 gennaioore 18.00 - “VENGA A PRENDERE IL CAFFÈ DA NOI”

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Come i compleanni, così sifesteggiano i decennali cercandodi ricordarli con un regalo sim-bolico e per i settanta anni del-l’ISAO proposi al Consigliod’Istituto e al Sindaco un even-to che evidenziasse il ruolo civi-co che la nostra istituzione cul-turale ha rivestito e riveste perla città di Orvieto.

Mi era tornato in mente unquadro che avevo visto anni fadimenticato nella sacrestia di S.Francesco e rimasto ancora sco-nosciuto, mentre la sua impor-tanza mi era sembrata evidenteperché, sotto uno strato di pol-vere e di fumo, s’intravedeva larappresentazione della città diOrvieto in mezzo alle figure chevi comparivano.

Rispolverando studi fatti a suotempo diventava palese chesulla tela era raffigurata la dedi-cazione della città alla Madon-na, con San Giuseppe e SantaLucia intercessori come compa-troni e che l’immagine sacra eradestinata ad una cappella di S.Lucia nel palazzo comunale cheda un secolo e mezzo non c’èpiù: tutte storie dimenticate,compreso il culto della santa,pur vivo nel medioevo.

E pensare che l’immagine di S.Lucia troneggia al centro dellacorte delle vergini sulla velasopra l’ingresso della cappella diSan Brizio in duomo, ma anchetra i numerosi studiosi degliaffreschi di Signorelli soltantoDugald McLellan -se non vadoerrato- aveva individuato inquella figura centrale « … unaprotettrice della città di grandeimportanza per il Comune»1.

Se, come prevede lo Statuto, tragli scopi fondanti dell’Istitutoc’è sia l’attivazione della memo-ria storica sia la promozione

Gli occhidi Santa Lucia

Luca Signorelli, Santa Lucia (Cappella di SanBrizio nel Duomo di Orvieto, © Opera delDuomo)

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

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UNA TELA RISCOPERTALA DEDICAZIONE DELLA CITTÀ DI ORVIETO

ALLA MADONNACON SAN GIUSEPPE E SANTA LUCIA

INTERCESSORI

ISTITUTOSTORICO ARTISTICO

ORVIETANO 7 ANNICOMUNE DI ORVIETO

ORVIETO PULITA

Sabato 13 Dicembre ore 17,00Sala Consiliare del Palazzo Comunale

Nel giorno della festa di Santa Lucia,la cittadinanza è invitata

alla presentazione della tela seicentesca,che rappresenta la

DEDICAZIONE DELLA CITTÀ DI ORVIETOALLA MADONNA

CON SAN GIUSEPPE E SANTA LUCIAINTERCESSORI.

L’intervento conservativo è stato curato dallaCOOperativa BEni Culturali di Spoleto

per questa occasione

Il Sindaco Il Presidente ISAOGiuseppe Germani Alberto Satolli

ISTITUTOSTORICO ARTISTICO

ORVIETANO 7 ANNICOMUNE DI ORVIETO

ASD

ESIG

N

culturale in funzione della con-servazione e della valorizzazionedel patrimonio storico-artistico,allora non si poteva immaginareniente di più calzante dellariabilitazione di Santa Luciacome patrona, pur se parziale,della città e dell’avvio al restau-ro di una tela seicentesca che neaveva bisogno, per dimostrarealla cittadinanza la fedeltàsostanziale dell’Istutito ai suoiprincipi informatori.

Trovti gli sponsor per una primapulitura della tela (la “CooBeC”di Spoleto) e per stampare unopuscolo informativo (la“Argos” di Orvieto) -necessariin un periodo in cui capita chela crisi economica diventi tal-volta un alibi perl’immobilismo - l’evento auspi-cato ha avuto luogo nella salaconsiliare del Palazzo comunaleil 13 dicembre 2014, festa diSanta Lucia.

Nella manifestazione, dopo gliinterventi delle autorità, ilrestauratore ha dato ampiainformazione sul lavoro fatto (esu quello da fare) e lo storicodell’arte Bruno Toscano haaffrontato in prima istanza laproblematica, particolarmentecomplessa per un quadro deltutto sconosciuto, della suaattribuzione ad un autore.

Dopo aver considerato che,anche se rinvenuta altrove, «...la nostra tela non avrebbe solle-citato una definizione menoconcisa di “opera di scuolaromana della metà del Seicen-to”... che se non coglieva nelsegno, sarebbe tuttavia andatanella giusta direzione», BrunoToscano individua i «... modellidi immediato riferimento perl’autore della pala [che] si rive-lano infatti quelli in auge nellametropoli pontificia a partiredagli anni Trenta di quel secolo,più precisamente fra i più dota-ti seguaci di Pietro da Cortona.Uno dei migliori tra loro, Gio-van Francesco Romanelli, fuabilissimo nell’interpretare l’artedel maestro offrendone una ver-sione tenera e quasi smaltata, dicui si avverte un’eco assai vicinanella pala orvietana», indicandoinfine il possibile autore: «Ora,di questo cortonismo in vesteromanelliana gli studi recentihanno individuato proprio adOrvieto un esponente notevolenel pittore Giovanni MariaColombi, di cui hanno identifi-cato un significativo gruppo diopere, più che sufficiente a fissa-re la sua collocazione culturale».

Citati gli studi su Colombi, contutte le opere che gli sono stateattribuite ad Orvieto, e sottoli-neati i suoi rapporti col Roma-

nelli e con il card. Fausto Poli,poi vescovo di Orvieto, tra idipinti riconosciuti al Colombie la tela in questione sonoemerse «numerose collimazioni... tali da non permettere alcundubbio che la pala sia opera del“romanelliano” di stanza aOrvieto».

Come esempio Toscano scopre«un dettaglio che è davvero laspia rivelatrice della identità dimano, e cioè la caratteristicaresa del “profilo perduto” che sinota nell’angelo col modellinourbico e che puntualmente siriaffaccia nel catalogo delColombi» e dopo aver indicatoprecisi riscontri, aggiunge con-cludendo: «Anche in questo“artificio” il Colombi è vicino almodello romanelliano; ma forseper eccesso di fedeltà i suoi pro-fili sono così “perduti” da farquasi scomparire nasi e bocche.Anche questo è un segno iden-titario»2.

Naturalmente si tratta di unaprima motivata attribuzione cheintanto orienta la ricerca didocumenti per confermarla estimola altri studiosi ad occu-parsi della tela, anche per con-testarne il presunto autore, setroveranno argomenti più con-vincenti.

resta il fatto che il testo diBruno Toscano - che invito aleggere per intero - è una magi-strale lezione di rigore metodo-logico e l’averlo diffuso mentresi metteva in mostra la tela -chesi spera di vedere al più prestocompletamente restaurata- rien-tra perfettamente nei compitidell’Istituto.

Alberto Satolli

Note1. Dugald McLellan, Tra culto e ruolo civico.Una lettura degli affreschi di Luca Signorelli nelDuomo di Orvieto, in “Bollettino dell’IstitutoStorico Artistico Orvietano”, L-LVII (1994-2001) 2002, (pp. 357-373), p. 358.2. Tutti i brani virgolettati sono tratti da:Bruno Toscano, Parere in forma epistiolaresulla tela orvietana, in Una tela riscoperta, acura di A. Satolli, Ceccarelli, Acquapendente2014, pp. 21-26

Giovan Maria Colombi, Autoritratto (?) (Chie-sa di S. Paolo, Orvieto, 1647).

Nelle foto in questa pagina il manifesto dell’evento edun particolare della copertina della brochure relativa.Nella pagina successiva la tela parzialmente restaura-ta attribuita a Giovan Maria Colombi con la dedi-cazione della città di Orvieto alla Madonna.

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

ISTITUTOSTORICO ARTISTICO

ORVIETANO7 ANNI

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

Presso la Sezione dell’ Archivio diStato di Orvieto è conservato

l’Archivio del Teatro Mancinelli, unfondo che ripercorre passo dopopasso la storia di un monumentofortemente voluto da un gruppo diillustri cittadini per celebrare la bel-lezza dell’arte e della cultura. Questofondo, originariamente ubicato nellesoffitte di questa costruzione, abban-donato, dimenticato ed usato comecarta per accendere il fuoco e fortu-natamente sottratto al pericolo diulteriori dispersioni nel 19451, rivelainvece i grandi sforzi che questogruppo di “azionisti,” componenti ilcosiddetto consorzio teatrale, hannofatto per far si che quest’opera sicompisse ad onorare la nostra città.Nel mio lavoro di collaboratricevolontaria presso la Sezione, mi sonooccupata della inventariazione anali-tica della Terza parte dell’Archiviodel Teatro, costituita dalla Corri-spondenza e mi sono resa conto diquanto potesse esserne svariato ilcontenuto: si va da normali verbaliredatti dopo una riunione a ricevutedi pagamenti effettuati per i materia-li richiesti o per i trasporti, alle lette-re che testimoniano i rapporti tra lacommittenza e gli artisti. Proprioquest’ultima è la parte più interes-sante, con lettere autografe dei variartisti che hanno reso possibile larealizzazione del nuovo teatro, comeAnnibale Angelini, Cesare Fracassini,Giovanni Santini e Virginio Vespi-gnani. Quest’ultimo, fra l’altro fra-tello del vescovo di Orvieto Giusep-pe, soprattutto dopo che l’esimioprofessore architetto Santini di Peru-gia, primo progettista del nuovo Tea-tro, mai effettivamente realizzato,verrà liquidato dal Consorzio Teatra-le con centottanta scudi, farà la partedel leone, non solo come architettoed insegnante accademico, ma anchecome procuratore di giovani mentiartistiche in prevalenza di ambienteromano, che in accordo con il suomodo di pensare mandavano avantiun progetto, quello del nuovo teatro,che si era bruscamente fermato peranni, riuscendo infine a portarlo acompimento nel maggio 1866.All’interno delle corrispondenze hoeffettuato un ritrovamento che

riguarda la cantante lirica orvietanaErminia Frezzolini (Orvieto 1818-Parigi 1884), personalità di granderilievo, famosa in Italia e all’estero,apprezzata interprete nelle più gran-di corti Europee, come quella russa espagnola, fino a Cuba. In questepoche righe, conservate all’internodella b. 5 fascicolo 19-29, scritte daParigi il 16-02-1863, dopo la mortedel padre Giuseppe Frezzolini,anch’egli cantante lirico affermatissi-mo come basso comico ed orvietanoillustre, emerge tutto il carattererisoluto di questa donna, pronto arivendicare i suoi diritti sull’ereditàpaterna per se stessa e i suoi fratelli.La Frezzolini scrive direttamente alpresidente dell’allora Consorzio Tea-trale, esprimendo con chiarezzaquello che è il suo volere in memoriadel genitore. Giuseppe Frezzolini,infatti, grazie al prestigio guadagna-to, era diventato un membro delConsorzio Teatrale ed aveva contri-buito, assieme agli altri esponentidell’Istituzione, alle spese per realiz-zare questo nuovo tempio dell’arte,ricevendo così un “carato” , cioèun’azione, che consisteva in un palcodestinato alla sua persona. Per que-sto motivo, Erminia pur non entran-do all’interno degli affari del padre,difende però questa piccola eredità,cercando di impedire a chiunque di“togliere a lei e alla sua famiglia unsolo obolo della sua fortuna”. Con-cludo dicendo che dai carteggi priva-ti possono rilevarsi molte sfumature,sia della società dell’epoca, che deisingoli personaggi che vi vivevano edoperavano, e a loro è affidato il com-pito di raccontare la vera storia delpassato. Questo documento ineditodi Erminia Frezzolini va ad arricchi-re così, come la tessera mancante diun puzzle, alcune corrispondenzerelative al periodo della sua infanziapresenti all’interno dell’ArchivioCozza, oltre ad un’ampia raccoltadocumentaria su di lei e sulla suafamiglia conservate, assieme a que-st’ultime, presso l’Archivio di Statodi Orvieto. In particolare, all’internodella raccolta documentaria dellafamiglia Frezzolini, donata allo Statonel 2008 da Aldo Bianconi, nipotedi Giuseppe Bianconi, maestro di

cappella del Duomo di Orvieto,sono presenti molti e vari elementiche testimoniano la storia di questacantante, che ha viaggiato, come giàdetto, sulla strada del successo edella fama grazie alla sua voce, perpoi miseramente finire in completadisgrazia, sola e abbandonata. Conquesta raccolta abbiamo anche lafortuna di vedere emergere l’aspettoumano di questa grande artista ed isuoi complessi rapporti con i com-ponenti della famiglia, in particolarmodo con il padre Giuseppe, che laaccompagnerà e la seguirà nella suacarriera, ma che non approverà maiil suo tenore di vita, una volta con-quistata l’indipendenza, assieme allegrandi spese che faceva, poichéandavano contro l’umiltà e la mitez-za da lui tanto ricercate per Erminiae le altre figlie. Nelle poche righescritte in questa lettera inedita, silegge però di un’Erminia ormaimatura, piena e consapevole di quel-lo che vuole e richiede, non più ten-sioni e contrasti, ma protezione ecura per la propria famiglia, suaunica grande fonte di sostegno.

Marta Biagioli

Note1 C. Ferri “L’Archivio del Teatro Mancinelli”In Bollettino ISAO Anno III- Fascicolo I-Gennaio-Giugno 1947. “Nel 1945 il fondoveniva provvisoriamente depositato presso laBiblioteca Fumi e l’anno seguente era aggre-gato all’Archivio Storico Comunale”.

Una lettera inedita di Erminia Frezzoliniscoperta nell’Archivio di Stato di Orvieto

Trascrizione della lettera ineditaArchivio Teatro Mancinelli serie III carteggio, b 5 , fascicolo 19.29

Parigi 16-02-1863.

Pregiatissimo Signore.

Posso assicurarla che non è pervenuto in mie mani che la seconda sua let-tera del 31 scorso. Di già il signor Onori mi fece menzione del suddettopalco al teatro di Orvieto, ed io gli risposi in proposito sperando che lagiustezza della mia osservazione finirebbe ogni altra questione. Sonocostretta dunque a ripeterle a lei signor presidente che io non entro affat-to sugli affari del mio povero padre e che io non sono che una sempliceeritiera(sic.) della piccola fortuna del mio povero padre come tutti glialtri miei fratelli. Non concederò mai al signor Onori di togliere unobolo dalla piccola fortuna a lui affidata perché è roba mia ed il solopane che resta ai miei fratelli ed orfani che mio padre ha lasciati in terra.I sacrifizi(sic.) che il mio povero padre ha creduto fare per quel teatronon appartiene a me criticare lo sbaglio; solo ho deritto(sic.) a nonseguirne la via e con mio grandissimo dispiacere rinunzio e sacrifico ildenaro che di già è stato sborsato per il suddetto palco. Tanto ho l’onoredi scriverle e mi segno

Sua devotissimaErminia Frezzolini

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Foto tratte dalla raccoltaDocumentaria Della FamigliaFrezzolini.Conservate presso L’Archiviodi Stato di Orvieto.

1. Ritratto di Giuseppe Frezzolini padre diErminia. (09-11-1789/10/03/1861)

2. Frontespizio della raccolta della famigliaFrezzolini.

3. Erminia Frezzolini in un’incisione

4. Omaggio poetico con decorazione florealedonato da ammiratori ad Erminia Frezzolini.

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

La mostra Voci ritrovate. Archeologiitaliani del Novecento (Orvieto,

23 aprile - 8 novembre 2015) nasceda uno scavo, ma non nel terreno.Scaturisce infatti da un’indaginecondotta nell’Archivio della Fonda-zione per il Museo “Claudio Faina”che ha consentito la “scoperta” diuna serie di nastri registrati che ave-vano raccolto e conservato la voce dialcuni dei maggiori archeologi e sto-rici italiani del secolo scorso.Ascoltando i nastri - appositamenterecuperati e trasferiti su un suppor-

to digitale - si è potuto risalire alleoccasioni nelle quali le voci eranostate registrate. Alcune relazioni,seguite dai relativi dibattiti, si riferi-vano al I Simposio Internazionaledi Protostoria Italiana, che si tennead Orvieto dal 21 al 24 settembre1967. Vi parteciparono personaggiquali - per limitarsi a qualche esem-pio - Luisa Banti, Giacomo Caputo,Giacomo Devoto, Silvio Ferri, Giu-lia Fogolari, Filippo Magi, GuidoAchille Mansuelli, Mario Moretti,Massimo Pallottino, Renato Peroni,Giovanni Pugliese Carratelli, Ferran-te Rittatore Vonwiller.Altre registrazioni testimoniavanodue conferenze tenute da Michelan-gelo Cagiano de Azevedo (Notiziesugli scavi nei sotterranei della chiesadi Sant’Andrea in Orvieto) e Mario

Bizzarri (Le campagne di scavo nellanecropoli di Crocifisso del Tufo e altririnvenimenti in Orvieto e nel territo-rio) nell’ambito delle Giornate inricordo del centenario della mortedi Mauro Faina (14 - 18 settembre1968). A qualche anno dopo risali-vano altre registrazioni che si riferi-vano a diversi interventi e al dibatti-to del convegno Orvieto etrusca (9- 11 novembre 1975).La ricerca di voci è proseguita e si èriusciti a ritrovare e quindi a ripro-porre il nastro con la registrazionedella conferenza (Chiusi ed il suo ter-ritorio in età etrusca) che RanuccioBianchi Bandinelli tenne a Chiusinel pomeriggio del 29 settembre1966 nell’ambito del VI Ciclo bien-nale di conferenze promosso dallaCommissione Archeologica di Chiu-si. L’intervento fu anche l’occasioneper il grande storico dell’arte anticadi ricordare l’inizio delle sue ricerche.Dalla teche della RAI provengono,invece, alcune registrazioni radiofo-

Vociritrovate

La Grande Guerra: il ricordo della città

Numerose e interessanti sono le iniziative commemorative in occasione del centenariodella I Guerra Mondiale. Siamo soltanto all’inizio, perché le manifestazione si protrar-

ranno fino al 2018. Con “Orvieto e la Grande Guerra”, la città ha ricordato momenti tragi-ci del suo ormai non più tanto recente passato, chiarendo aspetti e vicende del conflitto chel’ha direttamente coinvolta. Un valido contributo per la conoscenza storica di questo territo-rio. Dopo laproiezione delvideo “Orvie-to e la GrandeGuerra”, sisono succedu-ti gli inter-venti di stu-diosi del set-tore, chehanno presen-tato i risultatidelle propriericerche, toc-cando ambitidiversi diun’unica,vasta tratta-zione.

L’ipogeo che piace

Il Dipartimento diArchitettura eProgetto dell’Uni-versità “La Sapien-za” di Roma hainserito il Pozzodella Cava tra le bestpractices in tema diriuso di aree e giaci-menti ipogei, al ter-mine di una ricercainiziata nel 2013che ha preso inesame per un interoanno numerosi casiitaliani e internazio-nali, dagli scavi prei-

storici alle moderne metropolitane.La pubblicazione dei risultati è stata fatta in questi giorni nel volume «Sottosuoli urbani - Laprogettazione della città che scende», edito da Quodlibet e curato dai professori Paola Veroni-ca Dell’Aria, Andrea Grimaldi, Paola Guarini e Filippo Lambertucci, con interventi di numerosiricercatori, dottorandi e consulenti.Tra gli elementi esaminati hanno avuto particolare rilievo la fruibilità dello spazio ipogeo, la cura ela vivibilità dell’ambiente, l’economia, l’uso dei linguaggi degli “iperluoghi” e dei “monumentirovesciati”, le metodologie di scavo, la vivibilità e perfino i risvolti psicologici della fruizione.

niche degli anni Sessanta e Settantadel Novecento. In particolare siripropone il colloquio tra GirolamoArnaldi e Giorgio Levi Della Vida,uno dei maggiori orientalisti del suosecolo, sul libro Fantasmi ritrovati diquest’ultimo che, allora, era statoappena pubblicato (Radio Uno, 12settembre 1966).La conversazione tra GiovanniPugliese Carratelli e Franca Rovigattiintorno alla ristampa del libro Lacittà antica [La cité antique, primaedizione 1864] di Fustel de Coulan-ges (Radio Uno, 18 settembre1972). Il dialogo intorno al volumeL’alba della civiltà europea di GordonChilde tra Giovanni Pugliese Carra-telli e Sabatino Moscati (Radio Uno,20 novembre 1972). Di quest’ultimoviene riproposta anche un’intervistasulla mostra I Fenici, di cui fu cura-tore (Venezia, Palazzo Grassi, marzo- novembre 1988), tratta dal docu-mentario ufficiale dell’esposizione.Dagli archivi della Rai provengono

inoltre tre puntate del programmaIncontri con la scienza che ebberocome protagonista Paolo Graziosi (Imonumenti megalitici, Radio Uno,30 marzo 1968; I templi preistorici diMalta, Radio Uno, 24 agosto 1968;Le palafitte, Radio Uno, 9 novembre1968).Una selezione delle voci ritrovate,appartenenti ai maggiori antichistidel secolo scorso, sarà possibile ascol-tarla nelle sale del museo grazie ad unimpianto di diffusione del suono.Il loro insieme potrà invece esserescaricato, in sede di mostra, attraver-so il QR-Code presente sui pannelliinformativi dell’esposizione posizio-nati nelle sale del museo. Come purepotrà essere ascoltato in due posta-zioni appositamente predisposte.Visitata la mostra, le testimonianzeaudio recuperate potranno essereascoltate sul sito Internet:www.vociritrovate.it

Giuseppe M. Della Fina

XXIII Convegno Internazionale

Il XXIII Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria, organizzato dalla Fondazione per il Museo“Claudio Faina”, avrà per tema Dalla casa al palazzo. L’edilizia abitativa nell’Italia preromana e si terrà in Orvieto dall’11 al 13

dicembre 2015.Il programma è in corso di definizione, ma è assicurata già la partecipazione di alcuni dei maggiori archeologi italiani: ci si limi-ta a menzionare Giovannangelo Camporeale e Giovanni Colonna. Quest’ultimo, tra l’altro, è il presidente del Comitato Scien-tifico della Fondazione Faina. G. M. D. F.

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Giulio Campagnola, raffinatoincisore nato a Padova tra il

1480 e il 1482, fin dai primissimianni della sua giovinezza plasmava,incoraggiato da suo padre Girolamo,notaio ed erudito, una formazioneculturale di matrice spiccatamenteumanistica, mostrando ben prestouna naturale ed eccezionalmenteprecoce inclinazione allo studio dellatino e soprattutto, particolare nontrascurabile, del greco e dell’ebraico,ed uno straordinario talento neldisegno, che gli permetteva di copia-re alla perfezione le opere dei piùaffermati artisti contemporanei, Gio-vanni Bellini e Mantegna special-mente, e di lì a poco, di realizzareeleganti incisioni informate ad unospirito autenticamente giorgionesco.Un percorso intellettuale a carattereitinerante il suo, poiché lo troviamoa Verona, allievo dell’umanista Mat-teo Bosso già nel 1494, mentre treanni più tardi veniva segnalato dasuo cognato Michele da Placiola adErmolao Bardelino, fidato consiglie-re del duca Francesco Gonzaga affin-ché questi lo accogliesse presso la suacorte mantovana per un apprendista-to artistico sotto la guida del grandeMantegna, con una lettera densa dielogi per la sua preparazione artisticae per la ricchezza del suo paniere let-terario1.In questa ottica va inquadratal’ipotesi, caldeggiata da Enrico Gui-doni2, di un presunto soggiorno del-l’adolescente Giulio Campagnola aRoma3 probabilmente in compagniadel di poco più grande e più celebreGiorgione, suo amico e sodale, inoccasione dell’elezione al soglio pon-tificio di Alessandro VI, in una datacompresa tra il 1492 e il 1493, cir-costanza che avrebbe portato i due acontatto con la cultura romana difine Quattrocento e con la tradizio-ne figurativa capitolina, modello diriferimento senza dubbio ineludibileper qualsiasi giovane che desiderassearricchire il proprio profilo artistico.L’idea di una permanenza a Roma

Fig. 1. Filippino Lippi, Disputa di san Tommaso d’Aquino, 1492-1493; affresco; Roma, Basilica di S. Maria sopra Minerva, Cappella Carafa

Fig. 2. Filippino Lippi, Disputa di san Tommaso d’Aquino, particolare dei pre-sunti ritratti di Giulio Campagnola (a sinistra) e di Giorgione (a destra), 1492-93; affresco; Roma, Basilica di S. Maria sopra Minerva, Cappella Carafa

Ipotesi per un soggiorno a Roma di Giulio Campagnolae il suo presunto ritratto nella Cappella Carafa

Fig. 3. Vittore Carpaccio, Commiato degli ambasciatori inglesi, episodiodal ciclo delle Storie di Sant’Orsola, particolare; olio su tela; Venezia, Gal-lerie dell’ Accademia, n. 573

del Campagnola insieme a Zorzi daCastelfranco negli anni della consa-crazione di papa Borgia, sarebbetestimoniata secondo lo stesso Gui-doni da due ritratti di fanciulli nellascena della Disputa di san Tommasod’Aquino (fig. 1), affrescata in epocacoeva, nello stesso biennio 1492-1493, da Filippino Lippi su unaparete della Cappella Carafa nellaBasilica di S. Maria sopra Minerva,nei pressi del Pantheon, che lo stu-

dioso identifica proprio con i duegiovani artisti ed amici veneti; in talsenso assume un valore assolutamen-te centrale la scoperta da parte diPaolo Sambin4 di un documento incui si cita che Giulio Campagnolarisultava essere già nel 1495, anno incui ricevette la tonsura, “familiare”del cardinal Raffaele Riario, perso-naggio colto e molto sensibile allearti, che si era stabilito a Roma daldicembre 14775 e la contingenza di

questa importante nomina del pata-vino nel ‘95 potrebbe ragionevol-mente presupporre che contatti colRiario fossero già in essere qualcheanno prima, forse proprio all’epocadell’affresco del Lippi o addiritturain tempi anteriori.I due giovani ritratti nella scena dellaCappella Carafa colpiscono imme-diatamente per la particolarità dellaloro posa, con le teste rivolte specu-larmente l’una verso l’altra (fig. 2), avoler forse esprimere una sorta didistacco emotivo e certo intellettualenei confronti degli altri personaggiraffigurati nell’affresco; il medesimoatteggiamento che si coglie nei duefanciulli ritratti in discreto e silen-zioso colloquio nel Commiato degliambasciatori inglesi di Vittore Car-paccio (fig. 3), molto somigliantianche fisionomicamente ai due per-sonaggi della Cappella Carafa, eindividuati ancora da Guidoni inGiulio Campagnola e Giorgione,idea rafforzata dalla supposizionedello studioso6 di un loro probabilecomune discepolato presso la botte-ga del maestro veneziano all’epocadella realizzazione del ciclo delle Sto-rie di Sant’Orsola, di cui il telero delCommiato, uno degli ultimi in ter-mini cronologici, databile non oltreil 14987, è parte.Ulteriore indizio di un possibile sog-giorno romano dei due è ancora aparere dello studioso8, una tavola,conservata presso i Musei Civici diPadova, raffigurante la Madonna conil Bambino e san Giovannino (fig. 4),che sarebbe stata eseguita insieme daGiorgione e Campagnola9 dopo laloro visita capitolina del 1492-1493e perciò direttamente ispirata all’af-fresco del Lippi - del quale sarebberostati dunque non solo protagonistieffigiati, ma anche, evidentemente,attenti osservatori - specialmente per

il particolare della quinta architetto-nica, identificata dalla critica comeuna veduta del Laterano prima deirifacimenti rinascimentali e con lastatua equestre di Marco Aurelio,che è letteralmente identica neldipinto padovano (cfr. figg. 5-6), masoprattutto per l’elemento più signi-ficativo, la figura del san Giovanninoche palesa una somiglianza assoluta-mente straordinaria con l’ipotizzatoritratto del Campagnola nella scenaromana (cfr. figg. 7-8). Inoltre, pro-prio in riferimento all’affresco di S.Maria sopra Minerva, Guidoni ritie-ne non casuale la collocazione deipresunti Giulio Campagnola e Gior-gione davanti al gruppo degli ereticidove figura Mani (Manicheo) in attodi invitare al silenzio con l’indicesulla bocca, poiché rileva come indiverse creazioni giorgionesche tra-pelerebbe un particolare interesse perla rappresentazione di singolari posi-zioni delle “mani” dei protagonisti,veicolanti ermetici riferimenti alculto solare, diffuso sin da tempiremotissimi in terra indiana e recepi-to con un significativo interesse incerta cultura artistica e letteraria ita-liana nel Quattrocento e sulla basedi ciò egli formula la suggestiva ipo-tesi dell’appartenenza dei due artistiad una sorta di setta dedita al cultodel Sole, gravitante in area veneta emolto vicina alla corte della reginaCornaro e alla famiglia Costanzo10,che secondo l’idea dello studiosoavrebbero prescelto i due amici comeinterpreti di un rinnovamento cultu-rale dialettico rispetto all’ufficialitàdella Chiesa Romana, da diffondersi,anche se forse solo esclusivamenteall’interno di riservati cenacoli patri-zi, attraverso i criptici significati tra-smessi dalle loro creazioni artistiche.Tuttavia, questa idea intrigante malsi concilierebbe, in prima istanza,

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con la probabilità che un personag-gio come il cardinal Oliviero Carafa,committente ed ideatore dell’affrescoe certamente incline, in virtù del suoruolo ecclesiastico a ribadire la cen-tralità dottrinale della religione cri-stiana, avesse scelto di omaggiaredue personalità forse afferenti ad unaspecie di gruppo spirituale segreto epseudoeretico, come appunto GiulioCampagnola e Zorzi da Castelfran-co, commissionandone a FilippinoLippi i ritratti all’interno di unascena dal complesso valore intellet-tuale e teologico. Una spiegazionemolto superficiale porterebbe a giu-stificare questa eccezionalità con laconvinzione che il Carafa, forse con-sapevole dell’appartenenza dei duead una setta dedita al culto solare,avesse voluto biasimare le loro posi-zioni spirituali indicando espressa-mente di raffigurarli insieme al grup-po dei grandi eretici condannati dal-l’Aquinate, dove la presenza diManicheo avrebbe assunto una certavalenza indicativa, poiché il Mani-cheismo, permeato di elementi reli-giosi prossimi al Zoroastrismo e alBuddismo era per alcuni aspettiriconducibile, in termini neppuretroppo vaghi, a particolari riti divenerazione del dio Sole.A mio avviso invece, la questione èpiù sottile e complessa perché inprimo luogo i due fanciulli nonappaiono totalmente integrati allacompagnia dei grandi eresiarchi dellastoria raffigurati ai piedi della catte-dra di san Tommaso d’Aquino, edanzi, leggermente avanzati verso ilprimo piano, costituiscono davveroun gruppo a sé stante, separato dalresto anche dal punto di vista com-positivo, perché le teste convergentidisegnano una forma leggermentepiramidale che esprime bene il sensodi conversazione intima e privilegia-ta tra i due fanciulli e che vale adisolarli dagli altri personaggi e dun-que a segnare le distanze la loro alivello intellettuale più che fisico. Eancora, se è verosimile ritenere che laloro particolare posa sia da intender-si come sintomo del loro distaccorispetto alle personalità stimabili, nel

meccanismo significante dell’episo-dio, in termini “negativi”, ossia glieretici, è inoltre vero che la scenadella Disputa non può ritengo, essereinterpretata sul piano compositivo inmodo troppo semplicistico, poichénon è questo il caso, sovente diffusoin altre testimonianze della storiadell’arte, in cui l’elementare contrap-posizione tra le figure poste in alto,nel brano lippesco l’Aquinate e learti liberali, e quelle situate in basso,sia da valutare in termini netti ecategorici, poiché la presenza tra gliastanti ai piedi della cattedra e dun-que sullo stesso piano degli eretici,di due personalità contemporaneelegate alla Chiesa di quel tempo eperciò apprezzabili positivamente,

credibile pensare che il dotto cardi-nal Oliviero Carafa, che perciò pro-babilmente conosceva Giulio Cam-pagnola, abbia voluto onorarlo rite-nendo la sua formazione culturale,sebbene sensibilmente distante dalledotte speculazioni teologiche delDoctor Angelicus, evidentementedegna di ammirazione come lo era lagrande sapienza dell’Aquinate, il sog-getto centrale dell’affresco.Inoltre è opportuno ricordare che glianni del pontificato di AlessandroVI furono caratterizzati, in particola-re in ambito romano, da un profon-do interesse intellettuale verso cultu-re e filosofie molto lontane dalla reli-gione cristiana e talvolta in apertacontraddizione con essa, basti solopensare alla clamorosa celebrazionedel mito del dio egizio Osiride,identificato con lo stesso pontefice,negli affreschi realizzati tra il 1492 eil ‘94 dal Pinturicchio nella Sala deiSanti nell’Appartamento Borgia inVaticano (fig. 11) ed è ammissibileche lo stesso Carafa, estremamentecolto e patrono dell’arte12, fosse par-tecipe di quel particolare clima cul-turale capitolino di fine Quattrocen-to e d’altronde gli stessi geroglificidei fregi dipinti13 che inquadrano lescene della sua omonima cappella inS. Maria sopra Minerva, testimonia-no il gusto dell’ecclesiastico parteno-peo per l’ermetismo e dunque percerta cultura eterodossa.Ritengo perciò in virtù di queste

quali Niccolò III Orsini, conte diPitigliano e capo dell’esercito papalenel gruppo di sinistra e GioacchinoTorriani, Maestro Generale dell’Or-dine Domenicano in quello didestra, è appunto la prova che nellastessa zona dell’affresco, che in ter-mini concettuali, potremmo definire“avversa”, quella degli eretici comedetto, potevano essere raffigurati,come in questo brano pittorico,anche personaggi che nella visioneufficiale della Chiesa Romana eranoassolutamente lodevoli, in quantodifensori della stessa sul piano mili-tare, l’Orsini, e su quello spirituale,il Torriani11 appunto.E tra le personalità degne di ammi-razione, Giulio Campagnola e Gior-gione evidentemente. Proprio inriferimento al primo, credo che ilparticolare del voluminoso libro chel’elegante fanciullo biondo, interpre-tabile come un suo ritratto, stringetra le mani, è segno inequivocabiledella sua strepitosa cultura masoprattutto tratto distintivo che deli-nea la sua unicità nella scena, poi-ché, dal momento in cui è il solo trai personaggi ritratti nell’affresco,insieme all’Aquinate (fig. 9) e allafigura femminile che personifica laFilosofia (fig. 10), che detenga ildiritto di esibire un libro, laddove glialtri numerosi volumi presenti nell’e-pisodio giacciono a terra disprezzatie malridotti poiché contenenti ledegeneri dottrine eretiche sconfitteal cospetto della vera Sapienza, è

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osservazioni, che il presunto ritrattodel Campagnola nell’episodio dellaDisputa debba intendersi come unautentico omaggio alla sua personali-tà.C’è da chiedersi tuttavia come siastato possibile che un Giulio Cam-pagnola, che all’epoca dell’affrescodel Lippi poteva essere al massimotredicenne, essendo egli nato in unadata tra il 1480 e il 1482, abbiapotuto trovare “diritto di cittadinan-za” in questa scena dal ricercato con-tenuto teologico e filosofico, poichéè ragionevole supporre che, perquanto la sua cultura fosse stata tal-mente fuori dalla norma, è comun-que difficile che egli potesse esseregià all’epoca così intellettualmentematuro da venire ritratto in qualitàdi erudito ed umanista già piena-mente affermato, né tantomeno investe di artista la cui posizione sullascena italiana era già fortementeconsolidata, poiché il Campagnolaavrebbe acquisito, come noto, lafama di incisore solo a partire dagliultimissimi anni del secolo14, o piùcompiutamente dai primissimi annidel Cinquecento, quelli della defini-tiva svolta giorgionesca.La spiegazione a questa apparentesingolarità potrebbe risiedere nelfatto che il giovane Campagnolapossedeva all’epoca potenzialitàintellettuali certo ancora in nuce, magià ben intuite dal Carafa, tali darendere lecite notevoli aspettativesulla maturazione del suo profiloculturale e dunque congrue a giusti-ficare il suo ritratto in un brano pit-torico dove la figura dell’Aquinatedisputante tra le arti liberali, rendevaesplicito il carattere sapienziale ecerto esclusivo dell’episodio e perciòin questo senso la presunta figura delfanciullo padovano non deve esserevalutata come l’encomio ad una per-sonalità già pienamente formata dalpunto di vista culturale ed artistico,ma piuttosto come il vaticinio peruna sua immediatamente prossimainvestitura negli ambienti più coltidel tempo, specificamente quelliromani.Questa ipotesi acquisterebbe natural-mente un valore decisamente piùprobativo qualora si riuscisse a verifi-care l’esistenza di un legame certotra Giulio Campagnola ed OlivieroCarafa, ma sebbene al momento nonsiano ancora stati rinvenuti docu-menti in grado di certificare questaidea, la prossimità dell’enfant prodigepatavino col cardinal Riario, cuiabbiamo accennato in apertura, èsenza alcun dubbio un indizio diestrema importanza poiché proprioquest’ultimo al tempo degli affreschilippeschi già si trovava molto proba-bilmente in rapporti col Carafa15: ilfatto che i due furono incaricatidalla Curia romana di intavolare letrattative di pace con la Repubblicadi Venezia dopo la tragica sconfittadi Agnadello del 1509, che peraltrosarebbe, secondo una convincentelinea interpretativa l’autentico sog-getto dell’incisione campagnolescanota come l’Astrologo16, presuppone-va sicuramente una certa intesa stra-tegica tra i due, verosimilmente con-solidatasi solo dopo anni di vicende-vole frequentazione, che magaripoteva essere iniziata subito dopol’arrivo del Riario a Roma nel 1477,e perciò già piuttosto significativaquando fu decorata la CappellaCarafa. Inoltre la successione dellostesso Raffaele Riario ad OlivieroCarafa nella carica di cardinalevescovo di Ostia e Velletri il 20 gen-naio 1511 in seguito alla morte diquest’ultimo, può implicare la possi-bilità che il Carafa avesse lasciatoprecise indicazioni quando era anco-

Figg. 7-8. A sinistra, Pittore veneziano (Giorgione e Giulio Campagnola ?), Madonna con il Bam-bino e san Giovannino, particolare del presunto ritratto di Giulio Campagnola; tavola; Padova,Musei Civici, Museo d’Arte Medioevale e Moderna, inv. 456.A destra, Filippino Lippi, Disputa di san Tommaso d’Aquino, particolare del presunto ritratto di Giu-lio Campagnola; 1492-1493; affresco; Roma, Basilica di S. Maria sopra Minerva, Cappella Carafa

Figg. 5-6. A sinistra, Pittore veneziano (Giorgione e Giulio Campagnola?), Madonna con il Bambino e san Giovannino, particolare; tavola; 52 × 42 cm;Padova, Musei Civici, Museo d’Arte Medioevale e Moderna, inv. 456. A destra, Filippino Lippi, Disputa di san Tommaso d’Aquino, particolare, 1492-1493; affresco; Roma, Basilica di S. Maria sopra Minerva, Cappella Carafa

Fig. 4. Pittore veneziano (Giorgione e Giulio Campagnola?), Madonna con il Bambino e san Gio-vannino; tavola; 52 × 42 cm; Padova, Musei Civici, Museo d’Arte Medioevale e Moderna, inv. 456

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ra in vita per orientare la scelta delsuo successore proprio sul Riario, colquale aveva sicuramente un rapportodi longeva amicizia.D’altronde mi pare tuttavia innega-bile l’esistenza di un vincolo del gio-vane padovano con specifici contestiintellettuali ed ecclesiastici romani ein questo senso è di grande ausiliouna testimonianza recentementevenuta alla luce. Mi riferisco precisa-mente ad una lettera, scoperta intempi recenti da Stefano Colonna17,scritta dal frate agostiniano ed insi-gne erudito Egidio da Viterbo eindirizzata da Roma il 29 agosto1517 al suo confratello GabrieleDella Volta dove il mittente citaespressamente “El mio Chariss[im]omisser Hierony[m]o Campagnola” e“misser Julio suo & mio”: nonostan-te l’evidente lontananza cronologicadell’epistola con gli affreschi dellaCappella Carafa, l’uso da parte diEgidio, strettamente legato alla cul-tura romana di quel tempo, di ter-mini come “mio” e “Chariss[im]o”nei confronti dei Campagnola, dove-va naturalmente sottendere un dure-vole rapporto del viterbese con Giro-lamo e con suo figlio Giulio, certoiniziato prima del 1517.Tuttavia l’incontro dell’agostinianocon il giovane Giulio non potevaessersi materializzato in occasionedel supposto soggiorno romano diquest’ultimo nel 1492-’93 perchéall’epoca Egidio ancora non si era

Fig. 11. Pinturicchio, Manifestazione del bue Api, 1492-1494; affresco; Città del Vaticano, Palazzo Apostolico, Appartamento Borgia, Seconda volta della Sala dei Santi

padovano e ci restituisce, unitamenteagli altri dati circa gli intrecci concerti ambienti intellettuali romani,l’immagine di un artista ed umanistaassolutamente rilevante nella storiadel Rinascimento italiano.

Francesco De Santis

Questo articolo è una sintesi del contributo pub-blicato dall’autore nella rivista online BTA - Bol-lettino Telematico dell’Arte, 21 gennaio 2015, n.751, sito internet: www.bta.it.

CREDITI FOTOGRAFICI

Figg. 1, 2, 6, 8, 9 e 10 foto cortesia diNando Lelii su autorizzazione della Soprin-tendenza per il Patrimonio Storico, Artisticoed Etnoantropologico per il Polo Musealedella Città di RomaFig. 3 foto cortesia di Wikimedia CommonsFigg. 4-5-7 foto cortesia di Giuliano Ghiral-dini, Gabinetto fotografico - Musei Civici diPadova su gentile concessione dell’Assessora-to Cultura, Turismo e Innovazione tecnologi-ca del Comune di PadovaFig. 11 foto cortesia di Wikimedia Com-mons

Si precisa che le opere riprodotte nelle figg.1, 2, 6, 8, 9 e 10 rientrano nel patrimoniodel Fondo Edifici di Culto, amministratodalla Direzione Centrale perl’Amministrazione del Fondo Edifici diCulto del Ministero dell’Interno e sono stateriprodotte su concessione dello stesso.

Note1 L’epistola, datata 10 settembre 1497, è riportatainteramente in un articolo di Alessandro Luzio,Giulio Campagnola fanciullo prodigio, in “Archiviostorico dell’Arte”, I, Roma, 1888, pp. 184-185.L’ipotesi se Giulio Campagnola si sia poi recatoeffettivamente a Mantova, è controversa.2 Enrico Guidoni, Giorgione. Opere e significati,Roma, Editalia, 1999, p. 86.3 Lo stesso Guidoni ipotizza un secondo soggiornoromano di Giulio Campagnola e Giorgione inoccasione del Giubileo del 1500, E. Guidoni1999, p. 86.4 Paolo Sambin, Spigolature d’archivio 1. La tonsu-ra di Giulio Campagnola, ragazzo prodigio e unnuovo documento per Domenico Campagnola, inAtti e memorie dell’Accademia Patavina di Scienze,Lettere ed Arti, Parte III: Classe di Scienze Morali,Lettere ed Arti LXXXVI (1973-1974), pp. 381-388.5 Raffaele Riario, nato a Savona nel 1460, fu crea-to cardinale di S. Giorgio al Velabro il 10 dicembre1477 e nel 1483 fu nominato camerlengo. Legò ilsuo nome alla costruzione della chiesa di S. Loren-zo in Damaso e del circostante palazzo, detto poidella Cancelleria e fu in rapporti con Michelangeloe Raffaello.6 Enrico Guidoni, Ricerche su Giorgione e sulla pit-tura del Rinascimento, vol. I, Roma, Kappa, 1998-2000, p. 112.7 Se accettiamo l’ipotesi di una datazione del Com-miato degli ambasciatori inglesi entro il 1498, non èda escludersi la possibilità che il presunto discepo-lato di Giorgione e Giulio Campagnola pressoCarpaccio possa essersi concluso anche prima diquell’anno e quindi possiamo interpretare i lororitratti come un omaggio del maestro lagunare adue dei più valenti allievi transitati per la sua bot-tega.8 E. Guidoni 1999, pp. 88, 201.9 Guidoni assegna la tavola padovana all’interven-to congiunto di Giorgione e Giulio Campagnola,ma la sua paternità è comunque dibattuta. Alcuni(Selvatico 1868, Gloria 1880, Bernardini 1902,Venturi 1902 e Moschetti 1935) la attribuisconoalla maniera di Francesco Verla, mentre il Valcano-ver ritiene che possa trattarsi di opera di Francescoda Milano. Mauro Lucco (1983) la ascrive al cor-pus pittorico di un artista di formazione mantegne-sco-belliniana, gravitante nell’area orientale a caval-lo tra XV e XVI secolo, ricostruito da Spiazzi(1979) e Zeri (1980) sotto l’appellativo di “Mae-

stro del Trittico di San Nicolò”, dall’opera eseguitaper l’omonima chiesa padovana. Per una rassegnadelle attribuzioni di questo dipinto, si veda la sche-da di Francesca Meneghetti, in Giorgione a Padova.L’enigma del carro, a cura di Davide Banzato, Fran-ca Pellegrini, Ugo Soragni, Milano, Skira, 2010,cat. III.1, pp. 193-194.10 Si ricordi la celebre Pala di Castelfranco (1503circa, Castelfranco Veneto, Duomo) eseguita daGiorgione per il condottiero Tuzio Costanzo.11 La contrapposizione tra i personaggi collocatinella zona “nobile” della composizione dove si tro-vano il podio con la cattedra e quelli posti inbasso, è ulteriormente valutabile come distaccodialettico tra le personalità universali ed in un certosenso metafisiche, di Tommaso d’Aquino e dellearti liberali e quelle decisamente più terrene etranseunti degli altri protagonisti, tra cui possiamodistinguere individui interpretabili in termini nega-tivi ed altri invece positivamente.12 Si ricordi tra le altre iniziative, la commissione aBramante del Chiostro di S. Maria della Pace aRoma, realizzato tra il 1500 e il 1504.13 A proposito dei geroglifici della Cappella Cara-fa si segnala il fondamentale contributo di Mauri-zio Calvesi, Fonti dei geroglifici del Polifilo. Un con-fronto con la Cappella Carafa, in Roma nella svoltatra Quattro e Cinquecento, Atti del ConvegnoInternazionale di Studi, a cura di Stefano Colonna,Roma, De Luca Editori d’Arte, 2004, pp. 481-498.14 L’incisione che raffigura Tobiolo e l’angelo, rite-nuta in termini pressoché unanimi una delle proved’esordio o forse addirittura la sua prima creazioneoriginale in assoluto è databile con certezza a dopoil 1496, vista la palese ripresa di alcuni particolaridall’incisione del Piccolo corriere di Dürer, realizzataproprio in quell’anno.15 Il Carafa si trasferì a Roma a partire dal 1467,quando fu nominato cardinale col titolo dei SS.Pietro e Marcellino.16 Sull’interpretazione del significato dell’ Astrologodi Giulio Campagnola in relazione alla sconfittaveneziana di Agnadello del 1509 si veda il contri-buto di Augusto Gentili e Claudia Cieri Via, Mitoe allegoria nelle immagini del primo Cinquecento aVenezia, in I tempi di Giorgione, a cura di RuggeroMaschio, Roma, Gangemi, 1994, pp. 259-269.17 Stefano Colonna, Hypnerotomachia Poliphili eRoma. Metodologie euristiche per lo studio del Rina-scimento, Roma, Gangemi Editore, 2012, p. 312.La lettera, conservata presso la Biblioteca Casana-tense di Roma, MS. 688, foll. 62 r. - 63 v., ripro-pone anche il discusso problema della data dimorte di Giulio Campagnola e potrebbe essereindividuata come termine post quem.18 Tra l’altro, Girolamo Campagnola dedicò aNiccolò Leonico Tomeo una lettera in latino, oggiperduta, sulla tradizione artistica della città diPadova.19 Raffaele Riario era protettore dell’Ordine degliAgostiniani, cui apparteneva Egidio ed i due eranolegati da vincoli di stima ed amicizia e quando nelluglio del 1521 il cardinal Riario morì, il viterbesegli subentrò come protettore a vita dell’Ordine.Personalmente non escludo, sebbene l’ipotesidebba essere presa con le dovute cautele, stante almomento l’assenza di riferimenti diretti, che lasopra citata lettera indirizzata da Egidio a GabrieleDella Volta il 29 agosto 1517, possa essere inqua-drata nella vicenda delle trattative per la scarcera-zione, andata a buon fine, del cardinal Riario inseguito alla fallita congiura ordita contro papaLeone X su iniziativa del cardinal Alfonso Petruccinei primi mesi del 1517 ed in seguito alla quale fuaccusato lo stesso Riario, soprattutto in virtù dellastrettissima contiguità cronologica dell’epistola (29agosto 1517) con gli eventi (il Riario, scagionato,fu reintegrato nella sua carica di cardinale il 24agosto di quello stesso anno). Per il testo completodell’epistola si veda S. Colonna, op. cit., p. 312,mentre per la ricostruzione dell’ipotesi di un even-tuale relazione della lettera con le vicende dellacongiura antipapale si rimanda alla nt. 24 dellaversione più ampia dell’articolo pubblicata in BTA- Bollettino Telematico dell’Arte.20 L’amicizia tra Egidio e Giulio Campagnoladovette consolidarsi negli anni successivi al sog-giorno padovano dell’agostiniano viterbese e fuverosimilmente caratterizzata da un comune inte-resse per il neoplatonismo, come dimostra la tan-genza concettuale tra certe composizioni letterariedi Egidio e alcune incisioni del Campagnola, comead esempio il Ratto di Ganimede, interpretabili inchiave neoplatonica.

Fig. 9. Filippino Lippi, Disputa di san Tommaso d’Aquino, particolare delritratto di san Tommaso d’Aquino; 1492-1493; affresco; Roma, Basilica di S.Maria sopra Minerva, Cappella Carafa

Fig. 10. Filippino Lippi, Disputa di san Tommaso d’Aquino, partico-lare della Filosofia, 1492-1493; affresco; Roma, Basilica di S. Mariasopra Minerva, Cappella Carafa

stabilito con una certa continuità aRoma, circostanza che si verificheràa partire dal 1496-’97, ma fu verosi-milmente proprio a Padova che que-sti conobbe Girolamo Campagnola,il padre di Giulio. Egidio si erainfatti recato nella città di Antenoreper studiare teologia intorno al 1490e qui aveva maturato una profondaavversione per la filosofia aristotelica,la cui tradizione era egemone nelcontesto universitario padovano, percui si era avvicinato al platonismo edin merito appare significativo il fattoche all’epoca teneva lezioni pressol’ateneo veneto quel Niccolò Leoni-co Tomeo, fautore di un originalesincretismo tra i princìpi aristotelicie quelli platonici e dunque non è daescludere l’evenienza che Egidioseguisse personalmente i suoi inse-gnamenti e che questi si rivelasserodeterminanti per il suo approccioalla filosofia platonica, riformulatapoi dal viterbese in chiave cristiana.Il fatto che il Tomeo fosse inoltreamico intimo di Girolamo Campa-gnola18 rende plausibile l’ipotesi chefu proprio attraverso il filosofo epi-rota - Tomeo era infatti originario diDurazzo - che forse Egidio conobbeGirolamo Campagnola.In virtù delle circostanze esaminatepossiamo dunque congetturare laseguente successione di eventi: intor-no al 1490-’91 il viterbese conosceGirolamo a Padova ed apprezza par-ticolarmente la formazione, sebbene

ancora ai primissimi passi, che il pic-colo Giulio ha in quel tempo appenaintrapreso e dunque, molto proba-bilmente su iniziativa di Girolamo,Egidio segnala il precoce talento delfanciullo al cardinal Raffaele Riario,suo amico19, che ammirandone a suavolta le notevoli doti, lo introduce,prima di nominarlo suo “familiare”nel 1495, nell’orbita del dotto cardi-nal Carafa, il quale avrebbe com-missionato a Filippino Lippi il suoritratto vicino a quello di Giorgionenella scena della Disputa di san Tom-maso d’Aquino, proprio in occasionedi un loro ipotetico soggiorno roma-no nel 1492-’9320.In conclusione dunque, sulla scortadelle osservazioni proposte, pareassolutamente verosimile l’idea di untrascorso a Roma di Giulio Campa-gnola, comprovato dal suo ritrattolippesco, e comunque, sempre auspi-cando il rinvenimento di fonti coeveche certificherebbero la veridicità diquesta affascinante ipotesi e ricor-dando che il presente è da ritenersiargomento di ricerca in fieri, sem-brano innegabili i rapporti del pado-vano con l’Urbe, come prova, tra lealtre testimonianze, un interessanteaffresco datato 1514, nel CastelloSavelli di Palombara Sabina, raffigu-rante un astrologo assolutamenteidentico a quello della già citata cele-bre incisione di Giulio del 1509, cir-costanza di rilievo che amplia note-volmente la sfera d’influenza del

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

La Famiglia Faina - Nobili lavoratori

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Eugenio Faina Isabella - Danzetta Mauro Faina

agricoltori; mentre la quasi totalitàdei nobili dell’epoca vive di renditadei terreni condotti a mezzadria odati in affitto. I Faina, invece, pren-dono in affitto i terreni e se ne occu-pano personalmente. Sono a strettocontatto con la base, cioè con i con-tadini e gli operai e quasi regolar-mente riescono ad acquistare, poi, leterre prese in affitto. Arrivano così apossedere oltre 4000 ettari di terra,con splendide ville. Hanno palazzi aPerugia, a Orvieto, a Roma, a Colle-lungo di Marsciano, a S. Venanzo (lasede attuale del Comune è nella lorovilla), a Spante (monte Peglia), doveè conservato l’Archivio di famiglia.C’era un detto popolare che cosìrecitava:“Da Perugia a Bolsena è tutto deFaena”.La loro intraprendenza si concretizzaanche nell’industria: a Perugia, nelconvento di S. Francesco, apronouna filanda, che arriva ad occupare200 operai. E’ una filanda per laseta, dotata dei macchinari piùmoderni. Il re Umberto I, con il

La Famiglia Faina è stata impor-tante in Umbria e non solo, ed

ha avuto un grande peso per levicende economiche, culturali e poli-tiche, soprattutto nei secoli XIX eXX.Uno dei suoi membri, Zeffirino, fra-tello di Claudio (il conte ucciso dalbrigante Sassara nei pressi di Monte-fiascone, mentre era di ritorno dauna fiera di bestiame) e di Mauro (alquale Orvieto deve gratitudine, per-ché è grazie alla sua passione per laricerca archeologica che la città deltufo possiede oggi quel gioiello che èil Museo Etrusco) è uno dei perso-naggi protagonisti del Risorgimentoitaliano. Egli rifiuta la fedeltà alloStato pontificio (contro il volere delpadre) e parte volontario (comefaranno il figlio Eugenio e il nipoteCarlo, nella Prima guerra mondiale).I Faina sono una famiglia nobile “suigeneris”, una nobiltà borghese. Tuttii suoi membri lavorano in diversisettori: sono costruttori (realizzano ilponte sul Paglia ad Orvieto), com-mercianti di bestiame, banchieri,

figlio Vittorio Emanuele III, si recòa visitarla e si complimentò con iproprietari.Il grande patrimonio familiare vienegestito ed ereditato non necessaria-mente dal primogenito, ma dal figliopiù adatto ed abile, che, affiancatoper anni dal padre, è così ben prepa-rato. Gli altri figli sono mandatiall’università per poter svolgere una

professione.I Faina si rendono conto che senzaun titolo nobiliare non possonoaccedere alle cariche pubbliche,quindi cercano di entrare nel nume-ro delle grandi famiglie aristocrati-che: ci riescono, nel 1842, conVenanzo, che acquista “Civitella deiConti” e si fa iscrivere nel libro dellanobiltà di Amelia, città molto piùaperta di Orvieto su questo argo-mento (i nobili orvietani sarannosoliti snobbare i nuovi aristocratici).Con il titolo, le loro relazioni siallargano ed entrano nel circuitodelle relazioni nazionali ed europee,soprattutto quando Zeffirino sposa,in seconde nozze, Luciana Bonapar-te, la nipote dell’Imperatore. (I loromatrimoni sono sempre stati bencalcolati, in vista dell’ampliamentodel patrimonio).Comincia la vita politica in Senato ealla Camera dei deputati. Ma il lorointeresse per la terra non viene menoe, oltre alle varie cariche politiche,non trascurano quelle relative all’am-ministrazione dei loro paesi, cercan-do così di migliorare le condizionidei loro concittadini.Hanno amici importanti, comeRicasoli, Zanardelli, Minghetti, DePretis.Grande attenzione dedicano all’istru-zione: fino ad alcuni decenni fa, esi-stevano le scuole serali dell’EnteFaina, un lascito, grazie al quale sicercava di migliorare la preparazionedi base dei contadini e di aggiornarlinelle conoscenze in materia di agri-coltura. Scopo dell’Ente era “formaredei bravi agricoltori”.Ai Faina è legata l’origine dellaFacoltà di Agraria all’Università diPerugia. E’ una storia che merita diessere raccontata, anche se moltosuccintamente. Inizia nel 1859,quando il 20 giugno (a Perugiaancora si celebra sentitamente questagiornata) la città viene invasa daimercenari svizzeri, inviati dal Papa,al comando del terribile Schmit, cheprende possesso della Rocca Paolina(allora integra, oggi non ne resta cheuna quinta parte: fu distrutta conrabbia per 15 anni dai perugini). La

città è sprovvista di difese: ben 800giovani sono partiti volontari perarruolarsi nell’esercito piemontese. Iperugini si organizzano alla meglio.Diversi cittadini appartenenti afamiglie aristocratiche, tra cui i Dan-zetta e i Faina, partecipano alla lotta.Durante un inseguimento, questiultimi trovano scampo all’internodel monastero di S. Pietro: i fratibenedettini li nascondono nella stan-za dell’organo. Poi, di notte, si cala-no con una corda e si salvano.Proclamato il nuovo Stato unitario,quando i beni della Chiesa vengonoindemaniati, il commissario Pepoliha un occhio di riguardo per imonaci e decide di lasciarli in pos-sesso dei loro beni, fino a quandofossero rimasti un numero minore ditre. Intanto i frati creano una scuoladi agricoltura, che funziona bene e,nel 1892, quando i monaci eranorimasti solo in due, Zeffirino edEugenio Faina fanno approvare inParlamento la costituzione dell’EnteMorale autonomo con la denomina-zione di “Fondazione per l’istruzioneagraria”. E’ un Istituto che rilasciaun diploma dopo un corso di 4anni. L’Istituto ha dei beni cheammontano a 2341 ettari di terra.Eugenio Faina è il primo presidentedell’Istituto. Nel 1902, l’Istitutodiventa “Facoltà di Agraria diPerugia”.L’ultimo dei Faina è Claudio, non hafigli e lascia per testamento il palazzoe i reperti etruschi ereditati dal padreEugenio al Comune di Orvieto, conl’obbligo di creare un museo. Siamonel 1957.A Collelungo di Marsciano, unavilla, con terreno agricolo, è statadonata, qualche anno fa, dall’attualecontessa Faina, per accogliere perso-ne in gravi difficoltà, si chiama “Vil-laggio Faina”.

Maria Antonietta Bacci Polegri

Fonti

“La Famiglia Faina: tre secoli di storia” diFabio Facchini - ed. Publimedia - Todi

“Perugia della Bella Epoca” - Conte Sorbello

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dam de Simplicitate Dei cum suis coro-lariis et pertinentibus erudite quidemdisputavit et ex hac disputatione Religionostra non nimiam commendationemconsequuta est”2.Nell’ambito dello stesso Capitolo Gene-rale si riunirono, in assemblee distinte, ifrati presenti di ciascuna Provincia del-l’Ordine per eleggere il rispettivo prioreprovinciale; i frati della Provincia Roma-na elessero il p. Giovanni da Orvieto.“In die lune (24 maggio) que fuit diessecunda Pentecostes, ... Rev.di PatresProvinciales infrascriptarum Provincia-rum electi fuerunt per deffinitores,patres et fratres Provinciarum suarum eteadem die per R.mum Patrem Genera-lem et Reverendos Patres DiffinitoresCapituli Generalis confirmati fuerunt,qui tales sunt ... pro Provincia Patrimo-nii Reverendus Magister Iohannes deUrbevetere”3.

Attività culturaleTerminato il triennio nel suo ufficio dipriore provinciale, il p. Giovanni daOrvieto tornò al suo ruolo di reggentedegli studi. Durante il Capitolo Genera-le, che si svolse Bologna nel maggio1494, il giorno 17, fu destinato allaReggenza dello Studio del Conventodella SS. Annunziata di Firenze.“Isti sunt Regentes: in conventu Floren-tie Rev.dus Magister Iohannes de Urbe-vetere”4.

PredicazioneNel 1501 fra Giovanni si ritrova nel suoConvento di Orvieto. Sembra che nonsia più impegnato nell’insegnamento; sidedica più largamente alla predicazione,da cui ricava anche denaro che utilizza,d’accordo con i frati della comunità, abeneficio del Convento, investendolo inattività produttive.

Attività finanziarieAllora erano consentiti i prestiti didenaro, ma senza interesse; al terminedell’attività si restituiva il denaro presta-to; era consentito dividere il ricavato chesuperava il capitale investito.Questo fece fra Giovanni investendocento fiorini nel commercio del bestia-me esercitato dal fabbro orvietanoAntonio Antonelli. Il contratto fu stipu-lato il 7 maggio 1501e sarebbe termina-to al Carnevale dell’anno successivo;allora mastro Antonio avrebbe restituitoa fra Giovanni il capitale investito e unterzo del guadagno5.Alle stesse condizioni e alla stessa data èregistrato un altro prestito di dieci duca-ti d’oro a Paolo di Costanzo6.Il padre maestro Giovanni aveva presta-to al mastro fabbro Antonio Antonelliin una prima rata cinquanta ducatid’oro e argento, a ragione di due fioriniper ducato, come risulta nell’atto pub-blico rogato da ser Antonio di Giacomode Capita in data 7 maggio 15017.In un’altra rata prestò una somma nonprecisata, senza contratto scritto, masulla parola, sulla buona fede. Mortomastro Antonio fabbro, il figlio Giovan-ni Francesco, anche se ancora minore di25 anni, ma maggiore di 15, aveva giàrestituito al p. Giovanni 30 ducatid’oro. Allora il p. Giovanni, per chiarez-za, desiderò fare un calcolo di quantoera ancora creditore, e questa volta conatto pubblico, che fu stipulato il 30 set-tembre 1503, al quale furono presenti ilp. Giovanni Giacomo Giacomini daAlessandria, priore del convento, e il p.Bonaventura di Alemagna (un fratetedesco che visse per molti anni nelConvento orvietano, per il quale si

rimanda alla breve nota a suo nome);Pietro Paolo di mastro Domenico assi-stette Giovanni Francesco come padrinoe curatore testamentario, Angelo di Pie-tro Lello, cognato del defunto mastroAntonio, rappresentò la sorella Fiorita,vedova dello stesso mastro Antonio.Fatti i calcoli risultò che Giovanni Fran-cesco doveva ancora restituire 25 ducatie mezzo. Fu concluso un accordo neiseguenti termini: Giovanni Francesconon sarebbe più considerato debitore,ma depositario di quella somma, che siimpegnò a restituire dentro il mese diottobre seguente; passato il mese, se nonavesse potuto restituire l’intera somma,sarebbe stato obbligato a richiesta del p.Giovanni8. Lo stesso giorno la vedovaFiorita ratifica l’operato del figlio Gio-vanni Francesco e del fratello AngeloPietro9.Il 28 novembre 1503 il padre MaestroGiovanni, insieme agli altri frati, decisedi investire in beni stabili, a favore delconvento, la somma che stava per rice-vere da Giovanni Francesco di mastroAntonio; contrattò con Paolo diCostanzo l’acquisto di una vigna ubicatanella contrada detta ‘La strada todina’per 30 fiorini, che vennero pagati diret-tamente da Giovanni Francesco al ven-ditore. I frati che in questo atto delibe-rarono insieme al p. Giovanni furono

Giovanni Giacomo Giacobini da Ales-sandria e il p. Mariano da Arezzo10 (èinteressante notare l’eterogeneità dellaprovenienza dei frati, per la quale sirimanda alla postilla su fra Bonaventuradi Alemagna).

Fra Giovanni e la sua cittàIl notaio ser Tommaso di Silvestro, nelsuo Diario, trasmette vari episodi di vitalocale nei quali è coinvolto fra Giovannicon la sua predicazione o con la solapresenza.Agosto 1501“[lo] figluolo del conte Ranuccio daMarsciano, haviva circa ad quattro anniet mezo, morì qui in Orvieto, et in casaloro la giù nella piazza de Sancto Angu-stino. Morì mercordì 25 a dì xj d’agostoMccccc primo, et lo jovedì a dì xijpocho nanti vespero, fu portato nellocatalecto con grande onore con tucto loclero comitato da molte ciptadine; et loconte Lamberto suo zio fu al funerale etportato ad Sancta Maria maiure, fufacto lo telaio comitato da le donne luc-tuose; et mastro Giuhanni dell’ordinede’ Serve fece la predica et predicò deimmortalitate anime a proposito delmammolo”11.L’anno successivo, 1502, fra Giovannifu incaricato della predicazione dellaQuaresima in Duomo. Il diarista ricor-da in particolare gli ultimi giorni dellaSettimana Santa:“La quintadecima della luna fu mercor-dì ad mactina a di 23 de marzo: fu tri-sto tempo; e lo jovedì, che fu lo jovedìsancto, similmente fu tristo tempo:tucto lo dì piovecte et la nocte che fujovedì, ad nocte, che fu lo jovedi Santo,se levò una ventana terribile, et duròtucta la nocte una tempesta de ventoche mectiva spavento et timore, adeo

che durò più de septe hore et quellatempesta de vento, che fu de nocte,spezzò et sdiradicò molte arbore dentroin Orvieto, et intra l’altre cose levò unatectora lì alla pontica, ciò è spetiaria deGiorgio de Jaco de Giorgio, in terra, laquale octo o diece persone con grandefatiga la remectettora su ad remectorla.Et questa tempesta durò insino ad lenove hore de nocte, in quale ora seincomenzò la predica della Passione; etpredicò quella quatragesima MastroGiuhanni da Orvieto dell’ordine deSancta Maria de Serve, valentissimohomo in filosofia et teologia”.Per la festa dell’Ascensione dello stessoanno 1502, maestro Giovanni fu chia-mato a predicare, ma non sul misteroche si celebrava, bensì per le esequie diun illustre cittadino orvietano:“Monaldo de Fasciolo, ciptadinod’Orvieto, cavaliere aureato, quale erastato in offitio per Potestà overo Capita-neo ad Fiorenza, entrò del mese d’aprilepassato et tornò del mese d’octobre pas-sato del 1501 dall’offitio de Fiorenza’con grande honore, con veste de inbroc-cato d’oro et de seta de varii colore etbene in ordene. Et doviva entrare inoffitio per Potestà in Peroscia a dì dui dequesto presente mese de magio 1502.Haviva expedita la bolla et pagata latassa de 75 ducati, et in Roma se infer-

mò alle dì passati per expedire le dectebolle dello decto offitio de Perosia, adeoche venne qui a dì 25 de aprile 1502,cioè tornò da Roma infermo et morìogie che fu la vigilia dell’Asciensione,cioè mercordì a dì quattro de maio1502 de pò vespero immediate; perochèad hora de vespero se comunicò et pocovisse da puoi. Et lo jovedì, cioè lo dìdell’Ascensione, a dì cinque de maio, fusepellito in San Francesco de pò pranso;et durò tanto lo suo funerale, che erasonato ad vespero, perochè con grandehonore fu portato alla sepoltura; primomolto bene adornato lo catalecto etcomitato quasi da tucti li ciptadini; duicavalli armati, uno de veste lugubre conuno a cavallo colla banderola de negrocoll’arme sua strascinandola per terra, etun altro ad piede pure con un’altra ban-derola negra pure strascinandola perterra; un altro cavallo colla sopra vestede seta bianca con uno a cavallo, qualeportava lo stendardo o vero vexillo,quale ebbe in offitio ad Fiorenza; etderieto venivano una grande comitivade 10 donne triste resolutis criuibus (coicapelli sciolti), et erano circa ad sei horequando giunse alla chiesia; se cantò lamessa et predicosse: et predicò mastroGiuhanni de Sancta Maria de’ Serve, etfu facto lo mortorio lì finita la predicaet da puoi sepellito”12.Nelle due feste seguenti, particolarmen-te suggestive a Orvieto, della Pentecoste(comunemente detta la Palombella) edel Corpus Domini (il Sacro Corpora-le), non predicò maestro Giovanni deiServi, ma fra Giovanni da Pontremolidel Terz’ Ordine Regolare di S. France-sco, molto giovane e forse un po’ gonfia-to dal suo priore generale, che lo seguivacome una guardia del corpo; sia i mem-bri del Comune che i canonici dettero

al maestro Giovanni il delicato incaricodi sorvegliare discretamente il giovanepredicatore e di riferire fedelmente lesue impressioni.

La morte di fra GiovanniFra Giovanni morì a Roma, il 26 feb-braio 1504; non è dato sapere se desti-natovi di residenza, o se vi si trovasse invia transitoria.Il diarista lo ricorda nel modo chesegue:“Maestro Giuhanni de Sancte, Maestriin sacra theologia, ciptadino de Orvietoet dell’Ordene de Sancta Maria deServe, valentissimo homo in disputatio-ne. Venne la novella ogie, questo dì,cioè mercordì sera a dì penultimo defebraro1504, come lo detto frate Mae-stro Giuhanni era morto ad Roma , etmorì lunedì passato a dì 28 defebraro”13.

La morte della madre di Fra GiovanniSer Tommaso di Silvestro, nel suo Dia-rio, scrive in data 6 aprile 1505: “LaBartolomea, moglie che fu già de Fran-cesco de Maltempo et matre della bonamemoria de Maestro giuhanni dell’Or-dene de Sancta Maria de Serve, morì depontura. Morì dabato ad nocte et ogieche fu domeneca a dì 6 aprile 1505 fusepelita in Sancta Maria de Serve”14.Non meravigli la discordanza tra l’inizio

e la fine; maestro Giovanni è figlio diSante; la madre, Bartolomea, quandomuore, è vedova di Francesco di Mal-tempo; dunque prima era stata vedovadi Domenico di Sante. Allora era fre-quente il caso che, alla morte di uno deiconiugi in giovane età, il superstite pas-sasse facilmente a seconde nozze.

Un confratello ed amico, Fra Bona-ventura di AlemagnaFra Bonaventura di Alemagna, cheaffiancò il p. Giovanni da Orvieto nel-l’atto soprascritto del 30 settembre1503, visse nel Convento dei Servi inOrvieto gli ultimi vent’anni della suavita. Non si hanno, per ora, alte notiziedi questo frate. Si può ricordare che nel-l’ultimo ventennio del ‘400 i superioridell’Ordine dei Servi operarono larghispostamenti di frati, anche in Regionidistanti l’una dall’altra. Il diarista orvie-tano dell’epoca non ha tralasciato didare notizia della morte di questo frate:“Frate Bonaventura tedescho, frate deSancta Maria de Serve, homo vecchio,quale era stato qui nel convento deSancta Maria de Serve d’Orvieto anniventi continui, o quasi, morì ogie che fudomeneca a dì 27 del mese de agosto1508; et dicta die de po’ vespero fusepellito in Sancta Maria de Serve”15.

Note1 Studi Storici OSM.14(1964), p.337.2 Ivi, p.338.3 Ivi, p.339.4 Studi Storici OSM,12 (1966), p.103.5 ASO, AN, Antonio de Capita, n.131, cc.38-40.6 Ivi, c.41.7 Ibidem.8 ASO, AN, n.292, cc.123-125.9 Ivi, cc.148-149.10 ASO, Not. Tommaso di Silvestro, n.282 c.148.11 ASO, SerTommaso di Silvestro,Diario, c.167r.12 Ivi, cc.176-177.13 ASO, SerTommaso di Silvestro,Diario, c.270r.14 Ivi, c.316v.15 Ivi, c.430v.

Così scrive l’autore nella premessa:“Sono passati alcuni anni da quan-

do, attingendo a notizie tratte dai libridi amministrazione del Convento diSanta Maria dei Servi in Orvieto, poteicomporre un discreto profilo biograficodi qualche frate vissuto nello stessoConvento.Tornato, in data recente, ad operare inquesta stessa comunità, il tempo mi haconsentito di riprendere la lettura diquei libri ed ho scoperto altri frati per iquali sono consegnate alla memoriatante notizie, che mi è sembrato oppor-tuno e utile rendere pubbliche, perchéfosse noto oggi che la presenza dei fratidei Servi di Maria in Orvieto, anche neisecoli passati ha lasciato una traccia cheè degna di essere ricordata.Due frati sono vissuti nel secolo decimoquinto, il secolo che vide la cristianitàriunita sotto una unica guida dopo ilritorno dei papi da Avignone a Roma,ma in cui si andava preparando di quel-la profonda scissione della stessa cristia-nità nota come Riforma Protestante,che ancora oggi non è stata risanata.”

FRA GIOVANNIDA ORVIETOQuesto personaggio, finora sconosciutoalla storiografia dei Servi, è cominciatoad emergere proprio nella sua città nata-le, in forma abbastanza rilevante. Anchese non si trovassero altri documenti,quelli che qui si scrivono lo presentanocome un personaggio degno di tuttorispetto.In primo luogo ci danno i nomi deigenitori: fra Giovanni nacque da Dome-nico di Sante e da Bartolomea in Orvie-to. Entrò tra i frati Servi di Maria. Daglistessi documenti si conosce il grado rag-giunto negli studi: maestro in SacraTeologia. documentata parte dellasua attività in campo culturale, nell’apo-stolato ed anche nel campo economicofinanziario a beneficio del suo convento.Si vengono a conoscere anche la data eil luogo della sua morte e la data e illuogo di sepoltura della madre.Rimane incerta la data della sua nascitae il tempo del suo ingresso nell’Ordinedi Santa Maria dei Servi, che si realizzònel Convento di Orvieto, secondo leregole di allora; seguì il corso ordinariodegli studi nel suo convento, proseguen-doli in qualcuno degli Studi Generalidell’Ordine.Fu elevato al grado di Maestro in SacraTeologia durante il Capitolo Generalecelebrato a Bologna nel 1488 nei giornidi Pentecoste.

Attività e primi incarichiNel 1491 partecipò al Capitolo Genera-le del suo Ordine, iniziato a Verona il22 maggio, vigilia della festa di Penteco-ste. Era secondo definitore (consigliere)della Provincia Romana dell’Ordine.“Magister Iohannes urbevetanus proProvincia Patrimonii secundus diffini-tor”1.Era già reggente (preside) in qualcheStudio Generale, forse in quello di Peru-gia; infatti il giorno della festa della Pen-tecoste, 23 maggio, presiedette, comemoderatore, ad una pubblica disputateologica sulla “Semplicità di Dio”, svol-ta nella piazza centrale di Verona, da unsuo allievo, fra Nicola da Perugia.“Die sequenti (23 maii) que fuit diesPentecostes... in publico foro urbis, postprandium, venerabilis frater Nicolausperusinus, R.do Magistro Iohanne urbe-vetano cathedrante, positionem quam-

Fra Giovanni, servita orvietanoPadre Roberto Fagioli, il frate di origine nepesina che è stato presente adOrvieto nell’ex Convento dei frati dell’Ordine dei Servi di Maria per oltre50 anni, anche se ha ricoperto incarichi in altre sedi, è noto ai lettori diquesta rivista, che ne ha ospitato vari suoi articoli. Quello che segue è untesto inedito, tratto da una Miscellanea dattiloscritta, stesa, a futuramemoria, nel 2005; vi si tratta della vita di un frate servita orvietano poconoto, ma non poco significativo, fra Giovanni, ricostruita seguendo il filodelle testimonianze in cui è accertata la sua presenza. L’interesse docu-mentario da cui nasce, e che offre, è volto a tutto tondo, alle vicende bio-grafiche, agli aspetti della vita comune, al suo Ordine, al contesto storicoculturale.

M. T. Moretti

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Pozzo della Cava

Dal 23 dicembre 2014 all’11 gennaio 2015, si è svolta la 26a edizio-ne del Presepe nel Pozzo, nel quartiere medievale cittadino. Dopo

il grande apprezzamento dell’allestimento dello scorso anno, che hainaugurato il filone delle “narrazioni”, stavolta ad accompagnare il visi-tatore lungo le grotte del complesso archeologico del Pozzo della Cava èstata la storia del primo presepio, realizzato da Giovanni di Bernardo-ne, meglio noto come Francesco di Assisi, nelle campagne di Greccio,nel Natale 1223.È stata questa narrazione, condita di qualche flashback della Palestinadell’anno zero, a condurci alla Natività, nell’ultima grande grotta delpercorso archeologico del Pozzo della Cava, alta ben 14 metri, dove lospettatore ha potuto ammirare la scena salendo lungo una scala che siavvolge dalla base alla cima della cavità.Abbiamo seguito il Santo frate nella sua avventura di misticismo epovertà, abbiamo scoperto il suo desiderio di rendere tangibile l’umiltàdi una nascita in una stalla, lo abbiamo seguito nella ricerca di aiuti daparte di alcuni nobili del posto, per finire catapultati della Betlemme dioltre duemila anni fa.Non importa se quella del Santo frate sia stata una scelta piena di buonisentimenti o il gesto polemico di chi stava lottando col Papa per far rico-noscere la propria scelta di povertà, quello che conta è che quella notte,una grotta sperduta degli Appennini divenne Betlemme.

Pur nella singolarità della scelta stilistica di raccontare una vicendaambientata nel Medioevo, sono state comunque garantite sia la precisaricostruzione storica di usi e costumi del tempo di Gesù, sia la presen-za di personaggi meccanici a grandezza naturale, che hanno resofamoso l’evento natalizio. A partire dallo scorso anno, poi, hanno fattoil loro ingresso anche alcuni veri e propri movimenti, comandati da sofi-sticati microprocessori, che hanno aumentato il realismo dell’allesti-mento.Come consuetudine di questi ultimi cicli di presepi, le grotte del Pozzodella Cava, ricche di ritrovamenti archeologi etruschi, medievali e rina-scimentali, hanno ospitato anche diversi diorami a grandezza natura-le e installazioni che hanno fatto da cornice alla narrazione.Oltre ai patrocini non onerosi della Regione dell’Umbria e delComune di Orvieto, quest’anno, data la tematica del primo presepe diSan Francesco d’Assisi, è stato richiesto e ottenuto anche il patrociniodel Comune di Greccio, luogo del primo presepio, e della Pro Loco diGreccio, che ogni anno organizza una suggestiva rievocazione storica diquella mirabile notte della vigilia di Natale di 791 anni fa. Con la cittàreatina, poi, è stato anche previsto uno scambio reciproco di materia-le promozionale.Ad accrescere il valore del Presepe nel Pozzo edizione 2014 anche ilpatrocinio della Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli in Por-ziuncola, punto di riferimento per i presepi francescani, in Umbria enel mondo (nei locali del Convento è allestita la ricostruzione a gran-dezza naturale della Messa di Greccio nel primo presepio, ad opera dipadre Massimo Lelli). I frati della Porziuncola, tra l’altro, si sonoanche impegnati nella supervisione dei testi che hanno accompagnatole scene del 26° Presepe orvietano.

Il ciclo di tavolerotonde che il Cen-tro Studi Culturali edi Storia Patria diOrvieto ha predi-sposto per meglioricordare la GrandeGuerra è giunto aViterbo dove, nella

prestigiosa Sala Coro-nas, concessa dal prefetto

di Viterbo, dott.ssa Antonel-la Scolamiero, ha avuto luogo la conferenza “LaGuerra che cambiò l’Europa”. Al tavolo dei relatori,il gen. C.A. Rocco Panunzi, il gen. C.A. GiuseppeRichero, il prof. avv. Antonello Blasi, la dott.ssaAnna Maria Menotti, la sig.ra Costanza RavizzaGaribaldi, l’avv. Alfonso Licata, la prof.ssa Ippolitadegli Oddi, il ten. col. Silvio Manglaviti e gli autoridel libro “Dagli Stati Preunitari, a Caporetto, allaVittoria” , magg. Mario Laurini e ins. Anna MariaBarbaglia.Era presente, nella veste di moderatore, il dott.Guido Palamenghi Crispi, pronipote dello statistaFrancesco Crispi.Nell’ambito della stessa conferenza, è stato presenta-to il libro di Laurini e Barbaglia, suddiviso in duevolumi. Il primo tratta della storia italiana dal Con-gresso di Vienna a Roma Capitale, il secondo dellaGrande Guerra attraverso mappe, immagini, bollet-tini ufficiali etc.Il testo si avvale delle presentazioni del prof. Roma-no Ugolini, presidente dell’Istituto Nazionale perla Storia del Risorgimento, del gen. C.A. RoccoPanunzi, presidente nazionale Ufficiali in Congedod’Italia, del gen. C.A. Giuseppe Richero, presiden-te dell’Università dei Saggi “Franco Romano” pres-so l’Associazione Nazionale Carabinieri, dell’amm.Sq. Paolo Pagnottella, presidente dell’AssociazioneNazionale Marinai d’Italia, del prof. Mario Tosti,direttore di Dipartimento di Scienze Umane edella Formazione dell’Università di Perugia; delprof. avv. Antonello Blasi, presidente dell’Associa-zione Culturale “Testimonianza Viva”, docente diDiritto Ecclesiastico presso la Pontificia UniversitàLateranense; dell’avv. Alfonso Licata, magistratoonorario e presidente del Comitato

Internazionale LanzarottoMalocello, scopritore delleIsole Canarie; della prof.ssaIppolita degli Oddi, ricer-catrice counseling filosoficodell’Università per Stranieridi Perugia; del ten. col. Sil-vio Manglaviti, cultore digeografia storica dei terri-tori, e della dott.ssa Anto-nella Meatta, dirigente sco-lastica; “Dagli Stati Preu-nitari, a Caporetto, allaVittoria” è stato già pre-sentato presso la prestigio-sa Sala Igea dell’Istitutodella Enciclopedia Italianafondata da Giovanni Trec-cani, alla cui presentazio-ne è intervenuto il senato-re Franco Marini, nellaveste di presidente delComitato storico-scienti-fico per gli anniversari diinteresse nazionale.Il Centro Studi Culturalie di Storia Patria diOrvieto ha ottenuto dallaPresidenza del Consigliodei Ministri, attraverso laStruttura di Missione pergli anniversari di interes-se nazionale, il logo uffi-ciale delle commemora-zioni.

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Conferenza a Viterbo sulla I Guerra MondialePromossa e organizzata dal Centro Studi Culturali e di Storia Patria - Orvieto

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

I M A G O U R B I S

Luca Signorelli Ritratto di Virgilio e scene della Divi-na Commedia, Cappella di San Brizio nel Duomodi Orvieto (Foto Anderson, Roma, primo Nove-cento)

Riverito Velluti, Copia da Luca Signorelli Ritrattodi Dante e scene della Divina Commedia, Cappelladi San Brizio nel Duomo di Orvieto (Acquerello,firmato R. Velluti copiò, primi Novecento)

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Lettera OrvietanaN. 40-41-42 ago. 2015

Il Comune di Allerona è proprieta-rio di un Museo denominato

Museo dei Cicli Geologici Evolutivi,sito in Via Roma, nelle immediatevicinanze del centro storico.Il Museo-laboratorio è stato realizza-to in collaborazione con la Soprin-tendenza per i Beni Archeologicidell’Umbria e con il C. A. M. S.(Centro Ateneo per Musei Scientificidi Perugia), per esporvi e far cono-scere, attraverso i reperti fossili, lostato del territorio nel periodo plio-cenico.Il Museo-laboratorio è una strutturaeducativa unica nel suo genere, dovesi mostra in modo inconsueto quan-to è successo nel periodo del plioce-ne nel territorio dell’Italia centrale,svelando i misteriosi percorsi chehanno portato dalla progressivascomparsa delle acque alle terreemerse. E’ un percorso alla portatadi tutti, compresi i bambini e iragazzi delle scuole, dove diversi set-tori richiedono che la scoperta el’acquisizione delle conoscenze passi-no attraverso l’intervento manuale,con macchinari, strumenti e modellia disposizione degli stessi visitatori.Non manca una vasta e sistematica

raccolta dei fossili presenti nelle stra-tificazioni sedimentarie del territoriodi Allerona.Una sezione del Museo-laboratoriodescrive le vicende degli antichi ani-mali che hanno popolato la zonanell’ultima e penultima glaciazione,per scoprire che fra essi c’eranoanche dei grandi cetacei come lebalene i cui resti sono emersi direcente.Reperti, immagini, foto, ricostruzio-ni paleogeografiche, descrizioni,

rilievi topografici costituiscono uninsieme significativo di dati sullapaleontologia di questo settoreumbro-tosco-laziale.

Una Cooperativa cura la promozionedei molti servizi didattico-culturalidel Museo per ogni tipo di utenza,in modo particolare per le scuole diogni ordine e grado, avvalendosi, perlo svolgimento delle unità didattichedei docenti dell’Istituto Comprensi-vo “Muzio Cappelletti” di Allerona.

Museo dei Cicli Geologici Evolutivi

(a cura del Comune di Allerona)Per informazioni: 0763/628312 - www.comune.allerona.tr.it

STRUTTURA DEL MUSEONel Museo sono sistemate apposite vetrine che contengonol’illustrazione della lunga storia del territorio:1. Presenza del mare pliocenico2. La nascita delle zone emerse3. Foraminiferi, resti dell’antico mare4. Invertebrati5. Vertebrati pesci squalo6. Vertebrati mammiferi (balene)7. Calanchi8. Paesaggio di pregio e suggestioni9. Conoscenza, tutela e valorizzazione

10. Istituzione del Parco Interregionale

Si possono inoltre osservare e toccare sui tavoli di lavoro i seguentimateriali:- fossili gasteropodi e bivalvi della linea di costa del mare (San Lazzaro

- Ficulle)- fossili molluschi, coralli, denti di squali (dalla “Vecchia fornace” di

Allerona)- microfossili da tre luoghi diversi: Allerona, Castel Viscardo, Ficulle- le rocce del territorio (argilla, arenaria, calcare, travertino, tufo,

basalto,lapilli, venanzite)- foglie fossili (da Alviano)- ammaniti da Montecchio- lignite (da Allerona, da Dunarobba, da Pietrafitta)- piante particolari del territorio (orchidea, santolina, ginestra, querce,

lecci ecc)

ATTIVITÀ INTERNENel laboratorio nel Museo si possono svolgere le seguenti attività:- setacciare l’argilla utilizzando i passini e l’acqua nei lavandini (8

postazioni)- osservazione dei microfossili, cibo delle balene, per riferimento al

paleo ambiente- lavoro personale da portare con sé con microfossili- campionario di rocce da portare con sé

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Verrà un giornoRiflessioni sul Giudizio Universale

La scrittrice Susanna Tamaro ha organizzato un primo ciclo di incontri sull’affasci-nante tematica del Giudizio Universale, coinvolgendo studiosi e musicisti nel

meraviglioso scenario della Cattedrale orvietana. Si è iniziato con l’intervento del prof.Luigino Bruni, docente di Economia politica alla Lumsa, “Vogliamo un cielo più altodel tetto di casa: l’eclissi del tempo e il desiderio di Paradiso”, è stata poi la volta delprof. Andrea Segré, docente di Politica agraria del Dipartimento di Scienze e Tecnolo-gie agroalimentari all’Università degli Studi di Bologna, “Primo, non sprecare: Dieciingredienti per uscire dalla crisi”, e di padre José G. Funes, direttore della SpecolaVaticana, “La fine dell’universo”. Concerto del Trio Magritte in Duomo, con Emanue-la Piemonti, Yulia Berinskaya, Relja Lukic e Fabrizio Meloni, che ha eseguito Quatuor

pour la fin du temps, di Olivier Messiaen. Il prof. Angelo Vescovi, direttore scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza e docente di Biologia Cellulare del Dipartimento di Biotecnolo-gia e Bioscienza all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha relazionato su: “Dal Caos verso la la complessità dell’uomo e una nuova medicina”, con le conclusioni del prof. Giusep-pe M. Della Fina, direttore scientifico della Fondazione per il Museo “C. Faina” e docente di Etruscologia all’Università degli Studi de L’Aquila, “Come l’erba del campo: ci sono stati isecoli degli Etruschi”. E’ stata una tre giorni di originale scoperta culturale, interessante percorso di conoscenza e interpretazione.

“Dal Museo al Castello. Sulle ali della mitologia”

Visite guidate al Museo “Claudio Faina” di Orvietoe a Castel Rubello presso Porano.

Alla ricerca dei temi della mitologia classicapresenti sia nelle opere dell’arte greca ed etrusca,

conservate nel museo orvietano,che negli affreschi, attribuiti a Cesare Nebbia,

visibili a Castel Rubello.

La Fondazione per il Museo “Claudio Faina”, l’Associazione ACQUA e la Cooperativa Sociale I SEMI, promuovonoun’iniziativa incentrata sulla mitologia. I visitatori, accompagnati da una Guida specializzata, potranno ammirare opere

dell’arte greca ed etrusca impreziosite da immagini tratte dal mito, conservate nel museo orvietano, ed esaminare gli affre-schi, sempre ispirati alla mitologia classica, presenti all’interno di Castel Rubello.Le visite, programmate nella mattinata delle domeniche comprese tra il 22 marzo e il 28 giugno 2015, potranno essereseguite dalla partecipazione a una degustazione di prodotti tipici che si terrà nei suggestivi spazi del complesso monumenta-le sito nel Comune di Porano.

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P A G I N E L E T T E

Ilaria Borletti Buitoni, Cammino Controcorrente, collana Madeleines -Mondadori Electa, 2014

Matteo Bruno, Dodici città, Collana Orme - Leone Editore, 2014

La chiesa di San Giovenale in Orvieto Un percorso tra arte e fede, a cura diFerruccio Della Fina, Itaca Edizioni, 2014

Micaela Marziantonio, Rima di tutto, Teseo Editore, 2015

Ulisse Mariani, Liliana Gheorghe, Il sorriso triste dei girasoli, EdizioniArpeggio Libero, 2014

Storia di Orvieto vol. IV, Soc. Oacs Srl, Fondazione Cassa di Risparmio diOrvieto, 2015

Una nuova guidaper la chiesadi S. Giovenalerestaurata

Interessante realizzazione sulla più anticaChiesa della città. Una nuova operazione

editoriale, dopo i recenti restauri chehanno interessato gli interni di S. Giovena-le, nel quartiere medioevale di Orvieto,, chepropone un percorso conoscitivo di sicuravalidità. Molte informazioni che riguardanol’insigne monumento religioso orvietanodell’XI sec. Trattati gli aspetti storici e arti-stici, iconografici e devozionali, con sapien-te ed esaustiva concretezza. Un garantitosupporto per turisti, appassionati e cultori

del settore, per visite sempre più consapevoli del patrimonio culturale cittadi-no.

Le memorie di Ilaria Borletti

L’ambiente è quello milanese. La Milano bene della borghesia facoltosa eanche colta di un’Italia che non c’è più. La villa Borletti di Via Rovani.

I vicini strafamosi e straricchi, i Falck, i Recordati. Siamo in zona Magenta.Gli industriali che contano. Sono questi gli ambienti di Ilaria Borletti. Unafamiglia di rango, attiva e illuminata, visionaria e concreta. Personalità dispicco, quelle di Romualdo, che nel 1875 fonda il Linificio e canapificionazionale, del figlio Senatore, di nome e di fatto, che si impone nel settoremeccanico, con l’industria di orologi e strumenti di misura, in quello edito-riale, con la nascita della Mondadori, nei commerci, con i grandi magazzi-ni, menzionando poi macchine per cucire, spolette militari, produzioni tes-sili, quanto di più avanzato per un Paese in continuo sviluppo. Poi arrivaRomualdo, che si chiama come il nonno e lo zio, detto “Micio”, che con-durrà gli impegni imprenditoriali familiari sino a metà degli Anni ’60, inun periodo di espansione economica e burocrazie di certo poco liberiste. Inquesto clima politico, sociale e culturale, si staglia la figura di Ilaria, unadonna forte e anticonformista, determinata e dagli ideali ben definiti. Unainteressante delineazione autobiografia di Ilaria Borletti Buitoni, past presi-dent del Fai, sottosegretario al Ministero per i Beni Culturali, politica

d’ultima generazione. Dal Governo Monti in poi. Una gradevole offerta letteraria, questa di Ilaria Borletti, cheaccompagna il lettore in un piacevole percorso costituito da memorie storiche e personali d’indiscusso fascino econsistenza.

Nell’Etruria del VI secolo,tra Etruschi e Romani

Siamo al termine del VI secolo a.C. nelladodecapoli etrusca. Il grande re dell’E-

truria, il leggendario Porsenna, è riuscitocon prodigiosa scaltrezza nella coalizionedelle più importanti città del suo popolo.Si va alla conquista di Roma. Un artigianodi origini etrusche, Dardano da Perusna,ma culturalmente legato ai Romani, coneroiche imprese, dimostra coraggiosaappartenenza nel corso dell’assedio, traculti religiosi e frammenti di socialitàurbana. Non mancano riferimenti mitolo-gici, vicende avvincenti, scorci di una cittàfantastica.L’autore, Matteo Bruno, perugino dasette lustri, laureato in Scienze Politiche,collabora con l’Università degli Studi di

Perugia, in particolare interessandosi della progettualità riguardantel’integrazione europea. Il romanzo sugli Etruschi Dodici città è la sua terzafatica letteraria d’argomento storico, dopo Oro, sole e sangue, pubblicato nel2013 sempre con Leone Editore, e Le ali del falco, di un anno precedente, perle Edizioni Sabinae, opere che hanno riscosso diffusi apprezzamenti.

Vicende da meditazione

Il sorriso triste dei girasoli

Come trovare l’incipit di una recensione a questo libro...? o meglio unadeguato incipit perché finito di leggerlo invita a prendere di petto il

mondo... non è un romanzo, è una storia che più vera non si può, roboantescarnificante. Storia di una vita, anzi no di due vite o di due personalità.Da una parte l’immagine vera di una donna con le sue ancore, le sue pesan-ti catene e dall’altra il lavoro di uno psicologo che ha il vizio di tagliarecorde... quelle corde che rappresentano tutto quel che ci lega ai nostriaffanni, alle nostre ansie e di più: quanto ci lega ai nostri traumi e trage-die... Queste due immagini, ovviamente non speculari, insieme compionol’impossibile, poiché leggendo veniamo coinvolti da un incedere possente dieventi descritti con una chiarezza brutale e attraente; e così lo psicologo chetaglia corde ci ammalia con un insospettabile romanticismo e brusche rive-lazioni spingenti verso una sorta di piacevole follia estatica; l’altra, la donnavenuta dalla Romania, come un bulldozer scava nel suo passato emischiando e rimischiando zolle dure di una vita e soprattutto diun’adolescenza ingenerosa ci incanta con la sua forza d’animo. Il padremalato, la fine tragica di un fratello, tutti traumi che però vengono pene-

trati e che il bravo terapeuta contrasta con profonde riflessioni e deduzioni. Non è la storia di una seduta terapeu-tica... è la verità di due universi nudi che si confrontano narrati “a due, quattro, dodici mani...” e che operanociascuno sull’altro, con le competenze del caso. Par di vederli, gli autori, tra le righe del libro, mentre osservanoimpassibili il lettore costretto a misurarsi, a penetrare un universo strano... la centrifuga di una lavatrice cosmicaimpazzita nella quale lui è l’ultimo calzino spaiato... A quel punto ecco i girasoli, la corda è tagliata e direi di sì,Van Gogh sarebbe stato troppo scontato e non c’entra nulla...

Carlo Cagnucci

Le poesie di Micaela Marziantonio

Una valida e suggestiva carrellata diemozioni, immagini e ricordi, sotto

forma di versi poetici, questa di MicaelaMarziantonio, in cui si intravedono pro-fonde meditazioni sull’esistenza e sui com-portamenti umani. Non mancano attenteosservazioni e meditazioni argute, graffian-ti notazioni riguardo al nostro tempo, con-fronti con recenti passati, trasformazionisociali e comportamentali, vizi e virtùdella società odierna. Si passa senza esita-zioni alle delicate decifrazioni introspetti-ve, mai malvagie, cariche di disincantateconsiderazioni. Un interessante percorsointerpretativo, degno di particolari rifles-sioni.

La città nei secoli XVII e XVIII:il volume della Fondazione Cro

Prosegue senza requie l’attività editoriale della Fondazione Cassa di Rispar-mio di Orvieto finalizzata alla conoscenza dei trascorsi storici della città.

Il volume uscito di recente tratta dei diversi aspetti socio-culturali dei secoliXVII e XVIII, precisando caratteristiche e questioni fondamentali.Si va da finanze, fiscalità, prezzi e catasti al patriziato e agli ordini cavallere-schi. Un’incantevole panoramica architettonica e urbanistica, i testi letterari,cabrei e catasto. Seguono minuziosi indagini riguardo alla pittura e alla scul-tura, alla musica e all’arte orafa. Il tessile, il Barocco e il Rococò, l’erudizionee tavole sinottiche chiudono l’interessante e valida realizzazione, che hariscosso diffusi consensi. In cantiere altre ricerche per i periodi successivi.

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S E G N A L A N O i L E T T O R I

I N C I T T À

Chiuso per turnoGentile Redazione,troppi sono i luoghi del centro storico orvietano chiusi al turismo, ai cittadini. Sono chiese, palaz-zi, posti importanti della città. Tanti turisti passano per le vie e chiedono i motivi di questeinspiegabili chiusure. Per quanto riguarda le chiese, non sono visitabili: S. Francesco, S. Rocco, iSanti Apostoli, la chiesa degli Scalzi, la chiesa dei Servi di Maria e tante altre.Sarebbero riferimenti artistici e culturali di notevole interesse che non vengono utilizzati. Nonsono più luoghi di culto, neanche visitabili per scopi turistici, a danno del turismo.Oltre ad essersi allontanati gli Uffici pubblici, come Tribunale e Procura, teniamo serrati anche inostri gioielli cittadini senza comprensibili ragioni.

V. R.

Una crescita spontanea…Cari Amici,non vogliamo che si dica che la città non sia pulita, ma tra erbacce e piccioni, alcuni punti sonoproprio, bisogna dirlo, poco piacevoli: è una questione irrisolta. Stiamo parlando sia per gli orvie-tani che per i visitatori. Su edifici religiosi e palazzi si vedono piante che crescono senza che qual-cuno si interessi del decoro di facciate o cortili, vegetazione spontanea non controllata. Sono pic-cole lamentele che riguardano l’aspetto esteriore delle costruzioni orvietane, ma sono importantinegligenze che fanno capire come manchi l’interesse e la fermezza per una decorosa immagine diuna delle località più visitate della Regione. Non tanta, ma un pochino di buona volontà permigliorare la situazione non pensiamo che costi tanto. Dovranno intervenire i privati o chi dipubblica autorità, però è un servizio decisivo, in vista degli afflussi turistici ormai prossimi.

F. V.

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OPERA DEL DUOMO DI ORVIETO

Un grande Convegno internazionale dedicato al Corpus Domini

Il 13 novembre, festa di san Brizio e anniversario della dedicazione della Cattedrale, è statal’occasione per aprire un grande Convegno internazionale, che ha inteso celebrare il Giubi-

leo Eucaristico con un contributo di conoscenza e aggiornamento alla tradizione di studimaturata intorno all’istituzione liturgica del Corpus Domini.Organizzato dall’Opera del Duomo, in collaborazione con la Società Internazionale per lo Stu-dio del Medioevo Latino di Firenze (S.I.S.M.E.L.), il Convegno ha visto la partecipazione diillustri relatori ed è stato articolato in quattro sezioni: I. L’esperienza e la teologia; II. Liturgiadel Corpus Domini; III. I confini del Corpus Domini; IV. La società del Corpus Domini.Di valenza simbolica oltre che storica è il fatto che l’iniziativa è caduta a cinquant’anni dalla“Settimana Internazionale di alti studi teologici e storici”, che si svolse quando ancora era vivoil ricordo del “Messaggio di Orvieto”, diffuso da papa Paolo VI nella sua visita alla città inoccasione del VII anniversario della bolla Transiturus.Questa coincidenza ribadisce il significato di un Convegno dedicato a una delle più impor-tanti solennità religiose che - come affermò papa Montini - volle “rompere il silenzio miste-rioso, che circonda l’Eucaristia” e “tributarle un trionfo, che trabocca dalle pareti delle chiese,per riversarsi nelle vie delle città”.Nelle tre giornate, sono stati trattati i temi relativi al culto dell’eucaristia, alla sua diffusione ericezione e alle profonde implicazioni nella vita religiosa, sociale, politica e culturale, conattenzione anche alle produzioni artistiche.

All’arte si è ricollegato l’evento che ha concluso la matti-nata presso la Libreria Albèri.Alle ore 11.00, alla presenza dell’on. Ilaria Borletti Bui-toni, sottosegretario al Ministero per i Beni e le AttivitàCulturali e il Turismo è stato inaugurato il Tesoro dellaCattedrale, nuovo allestimento della Libreria Albèri,dedicato al prezioso corredo sacro del Duomo di Orvie-to, che l’Operacustodisce econserva findalle origini.

Convegno storico internazionale:Il Corpus Domini. Teologia, antropologia e politicaOrvieto, Palazzo Coelli - Auditorium FondazioneCRO13-15 novembre 2014 Inaugurazione dell’esposizio-ne:Il Tesoro della CattedraleLibreria Albèri - sabato 15 novembre ore 11.00

La Rupe 2015: fermenti culturaliSono iniziate ad aprile le numerose iniziative culturali e turistiche cittadine.

Il Concerto di Pasqua, trasmesso da Rai1 ha salutato il gradito ritorno del maestro Zubin Metha, con l’Orchestra sinfonicade I Cameristi del Maggio Musicale Fiorentino, che hanno eseguito la Sinfonia n. 6 op. 74 “Patetica” di Piotr j. Thaikowskje il Preludio e Morte di Isotta di Richard Wagner. L’iniziativa è organizzata dal Progetto Omaggio all’Umbria, in collabora-zione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto e l’Opera del Duomo di Orvieto, e sostenuta dal Ministero per iBeni Culturali, dalla Regione dell’Umbria e dall’Amministrazione comunale, con il patrocinio del Comitato organizzatoredelle celebrazioni della I Guerra mondiale.

Dal 9 maggio, in occasione della solennità del Corpus Domini, si apre il Festival della spiritualità “Orvieto 2015: miracolodi bellezza”, incentrato quest’anno sulla dualità cielo e terra, sacro e profano, in una miscela suggestiva di riferimenti artisti-ci, religiosi e urbanistici, nelle stupende cornici medievali del centro umbro. Si segnalano: lo spettacolo “Un castello nelcuore - Teresa d’Avila”, con Pamela Villoresi, per l’organizzazione di Argot Produzioni, Movimento Ecclesiale Carmelitano eProvincia Veneta dell’Ordine Carmelitano, nel V cenenario della nascita della mistica spagnola; poi Evelina Meghnagi, coninteressanti musicalità ebraiche, nel concerto “Di voce in voce”; Amanda Sandrelli in “Oscar e la dama in rosa”, tratto dallibro di Eric Emmanuelle Schmitt, per la regia di Lorenzo Gioielli; in chiusura Paola Gassma, Evelinan, Luigi Diberti, Eve-lina Meghnagi e Sergio Basile protagonisti de “I quattro quartetti” da Thomas Stearns Eliot, simpatico concertato vocalecon musiche eseguite dal maestro Paolo Vivaldi.

La tre giorni di festa popolare dal 12-13-14 giugno, con la Partita a Scacchi a personaggi viventi tra la città di Marostica e lacittà di Orvieto conclude il programma delle manifestazioni.

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Piazza Febei, 205018 ORVIETO (TR)Tel. e Fax 0763.391025www.isao.it - [email protected]

ISTITUTO STORICO ARTISTICO ORVIETANO

via Luigi Galvani, snc - Loc. Campomorino01021 Acquapendente (Viterbo)0763.796029 798177 fax [email protected]

T I P O G R A F I A C E C C A R E L L I

TIPOGRAFIA CECCARELLIprestampastampaallestimento