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Vela la Periodico d’informazione della Parrocchia SS.Pietro e Paolo di Ospedaletto Lodigiano Pro Manuscripto Santo Natale 2019 N. 22 dicembre 2019

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Velala

Periodico d’informazione della Parrocchia SS. Pietro e Paolo di Ospedaletto Lodigiano

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Santo Natale 2019

N. 22 dicembre 2019

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auguri

Il Natale con Gesù

auguri

L’evangelista Matteo nella pri-ma pagina del suo vangelo co-mincia a raccontare un lungo elenco di nomi, dietro i nomi

una storia, tante storie, l’infinita storia, storia vera dell’umanità, nomi e storie, nostre storie vere. È dentro questa vicenda nostra, fatta di nomi e di storie, che Gesù, il Figlio di Dio, la luce che illumina ogni cosa, è stato semi-nato nella nostra terra. Nella no-stra terra così com’è: si è mesco-lato a questa terra, non ha fatto lo schizzinoso, non ha tenuto la distanza. Matteo con una genealogia ci ricorda gli ascendenti di Gesù, tutt’altro che immacolati. Che differenza con le genealogie pagane, i cui personaggi, miti-ci, sono generati da dei! Matteo ricorda nomi e nomi, e tu vai a leggere nella Bibbia la loro sto-ria, storia di luci, ma anche di ambiguità. E Matteo li ricorda senza rosso-ri: il sangue di Gesù viene da lì. Sono ricordate, in una genealo-gia composta di padri e madri, uomini e donne tutt’altro che stinchi di santo. Milleottocento anni di storia, quanti nomi. Ed ecco un nome, quello di Gesù, depositato nella terra nera, nella terra di luce e di ombre, al cuore di questa terra di luce e di om-bre. E poi... duemila anni di storia! La storia è continuata. Dopo che Gesù è stato generato e deposto in una mangiatoia, è continuata con le sue luci e le sue ombre. E lui, Gesù, dentro come seme buono, seme nascosto nella

nostra terra. Il seme ha germo-gliato, ha dato frutto nella no-stra terra, nella nostra terra così com’è, che è quella che è. Anche lui dentro una storia di famiglie come ognuno di noi. E ogni famiglia porta lo splendore, ma anche il peso delle famiglie che l’hanno preceduta. Così anche Gesù di Nazaret, vero uomo, cioè uno che nella sua carne è fatto anche da chi lo ha preceduto; in quel sangue pulsava, vera, l’eredità dei padri, l’eredità di quei nomi, di uomi-ni e donne, sorpresi anche nelle loro “irregolarità”. Come a dire che Dio sa scrivere dritto anche sulle nostre righe storte. Come a dire che non c’è niente di così irregolare che non possa aver dentro un germe di novità. Come a dire che a Dio nulla è im-possibile. Gesù il Messia è dentro in una storia di luci e d’ombre. Questa è una verità che ci prende il cuo-re. «Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti sal-verà il suo popolo dai suoi pec-cati». Un nome, il suo, connesso ai nostri nomi. Natale, ovvero la connessione dei nomi, la mirabi-le connessione dei nomi, del suo e dei nostri. Che fa paura oggi è la sconnes-sione, e cioè un Natale senza più Gesù. Il suo nome tra i nostri nomi. Leggevo di un’indagine fatta in Inghilterra tra i ragazzi dagli otto ai sedici anni: solo il

9% dei ragazzi connettevano il Natale col nome di Gesù, per gli altri non esiste. Non c’è più con-nessione. Non più il suo nome, in mezzo ai nostri nomi. Come se non esistesse più. Impallidito, scomparso. E non accusiamo di questa scon-nessione solo gli altri. Ma chie-diamoci: che cosa c’è di Gesù, del Gesù della nascita, del Gesù povero, umile, mite, in quello che diciamo, in quello che cele-briamo, in quello che facciamo? Diciamo ancora lui o diciamo qualcos’altro? Ed è un peccato, un’estrema di-sgrazia che non ci sia più il suo nome, perché il suo nome è il nome che illumina tutti i nostri nomi! Perché questo è da dire - anche questo il Natale ci dice - che Gesù non è venuto ad im-pallidire i nostri nomi o a togliere senso alla nostra terra, alla nostra umanità. Al contrario è venuto a illuminare i nomi, a ridare amore alla terra, a dire, facendosi vero uomo, la sua fedeltà alla nostra umanità. E ci vuole appassionati alla terra nella quale è disceso, ci vuole fedeli alla nostra umanità di cui ha voluto rivestirsi, vero uomo, come uno di noi. Il Natale è proprio la connessio-ne del cielo e della terra. E più il cielo e la terra sono connessi, le-gati come uno sposo e una spo-sa, più c’è da sperare, da sperare per il futuro di questa umanità. Possa la memoria di Gesù, la me-moria della sua nascita, toccare in questi giorni il nostro cuore e la nostra vita, perché questo Natale di Gesù sia una rinascita anche per ciascuno di noi. Auguri!

don Luca

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Admirabile Signumdel santo padre Francesco sul significato e il valore del presepe

lettera apostolicalettera apostolica

1. Il mirabile se-gno del pre-

sepe, così caro al popolo cristiano,

suscita sempre stu-pore e meraviglia.

Rappresentare l’even-to della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incar-nazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infat-ti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dal-le pagine della Sacra Scrittura. Mentre con-templiamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui.Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre fami-glie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare. Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata.

2. L’origine del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evange-lici della nascita di Gesù a Betlemme. L’Evangelista Luca dice semplice-

mente che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). Gesù viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium, da cui presepe.Entrando in questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a mangiare. Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come «il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41). Una simbologia che già Sant’Agostino, insieme ad altri Padri, aveva colto quando scriveva: «Adagiato in una man-giatoia, divenne nostro cibo» (Serm. 189,4). In realtà, il presepe contiene di-versi misteri della vita di Gesù e li fa sentire vicini alla nostra vita quotidiana.Ma veniamo subito all’origine del presepe come noi lo intendiamo. Ci rechia-mo con la mente a Greccio, nella Valle Reatina, dove San Francesco si fermò venendo probabilmente da Roma, dove il 29 novembre 1223 aveva ricevuto

dal Papa Onorio III la conferma della sua Regola. Dopo il suo viaggio in Terra Santa, quelle grotte gli ricordavano in modo particolare il paesaggio di Bet-lemme. Ed è possibile che il Poverello fosse rimasto colpito, a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dai mosaici con la rappresentazione della nascita di Gesù, proprio accanto al luogo dove si conservavano, secondo un’antica tradizione, le tavole della mangiatoia.Le Fonti Francescane raccontano nei particolari cosa avvenne a Greccio. Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello».[1] Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.[2]È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero.Il primo biografo di San Francesco, Tommaso da Celano, ricorda che quella notte, alla scena semplice e toccante s’aggiunse anche il dono di una visione meravigliosa: uno dei presenti vide giacere nella mangiatoia Gesù Bambino stesso. Da quel presepe del Natale 1223, «ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia».[3]

3. San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il

suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con sempli-cità. D’altronde, il luogo stesso dove si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roc-cia per lasciarsi avvolgere nel silenzio.Perché il presepe suscita tanto stupore e ci commuo-ve? Anzitutto perché manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra picco-lezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato.Comporre il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivive-re la storia che si è vissuta a Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la

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sua rappresentazione nel presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali.In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sen-tire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’u-miltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).

4. Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto

del cielo stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per risponde-re alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79).Una parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa Famiglia. Queste rovine sembra che si ispirino alla Legenda Aurea del do-menicano Jacopo da Varazze (secolo XIII), dove si legge di una credenza pagana secondo cui il tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una Vergine avesse partorito. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario.

5. Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo

ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato parte-cipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.«Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15): così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. È un insegnamento molto bello che ci proviene nella semplicità della descrizione. A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pa-stori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe.

6. Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzi-tutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondan-

za se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno

titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente rie-scono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita sem-plice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato.

Spesso i bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mon-do inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni crea-tura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quan-do Gesù condivide con noi la sua vita divina.

7. Poco alla volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le sta-tuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo

bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato

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alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale. Le sue parole: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), sono per tutti noi la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio. Con quel “sì” Maria diventava madre del Figlio di Dio senza perdere, anzi consacrando grazie a Lui la sua verginità. Vediamo in lei la Madre di Dio che non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola e metterla in pratica (cfr Gv 2,5).Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mam-ma, c’è San Giuseppe. In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e ado-lescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.

8. Il cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponia-mo la statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per

farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua poten-za che tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è stato bam-bino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore, che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque.La nascita di un bambino susci-ta gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, compren-diamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita.«La vita infatti si manifestò» (1 Gv 1,2): così l’apostolo Giovan-ni riassume il mistero dell’Incar-

nazione. Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo evento unico e straor-dinario che ha cambiato il corso della storia, e a partire dal quale anche si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di Cristo.Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sem-pre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi.

Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita.

9. Quando si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori

dell’Oriente si erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significa-to allegorico: l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura.Guardando questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla respon-sabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testi-moniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.I Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cri-sto. Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scan-dalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viag-gio del Vangelo tra le genti.

10. Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi

ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperien-za. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Do-vunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi.Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e cre-dere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una pre-ghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.

Dato a Greccio, nel Santuario Del PreSePe, 1° Dicembre 2019,

Settimo Del Pontificato.

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verso il sinodo verso il sinodo

Verso il Sinodo Diocesano

Nel corso dell’Omelia della Messa crismale, il giovedì santo 2019, il nostro Vesco-vo Maurizio ha confidato ai

sacerdoti, che con lui conce-lebravano, ai diaconi, alle reli-

giose, ai religiosi e ai fedeli pre-senti, il desiderio di convocare il Sinodo diocesano. Che cosa è il Sinodo Diocesano? È l’assemblea di sacerdoti, dia-coni, religiosi e fedeli laici di una diocesi scelti per prestare aiuto al Vescovo in ordine al bene di tutta la comunità diocesana. Quando si celebra il Sinodo? Il Sinodo si celebra quando, a giudizio del Vescovo, che deve sentire prima il Consiglio presbi-terale (un organismo composto da sacerdoti eletti dagli altri sa-cerdoti e da alcuni scelti diretta-mente dal Vescovo), è ritenuto necessario per il bene della dio-cesi. Perché il nostro Vescovo intende celebrare il Sinodo? Ce lo spiega lui stesso nella let-tera pre-sinodale “Insieme sulla via” laddove dice: «Il Convegno ecclesiale di Firenze ha affidato l’importante discorso del Papa alla Chiesa italiana e la nostra Conferenza Episcopale traduce attentamente il magistero pon-tificio nella attuale situazione del Paese. Matura così la convinzio-ne che una più cosciente sinoda-lità che si esprime nella celebra-zione dì un Sinodo diocesano, costituisca la via da percorrere. Non per desiderio di originalità o

emulazione tra Chiese. Piuttosto per il fatto che l’appello sinodale è molto autorevole: l’ho sottoli-neato ai componenti dei Consigli presbiterale e pastorale riuniti il 15 giugno 2019 a Villa Barni di Roncadello. È papa Francesco infatti, a spronare le Chiese dio-cesane e nazionali ad accogliere questo dono» (pag. 26-27). Ma che cosa è la “sinodalità”? È sempre il nostro Vescovo che risponde nella stessa lettera so-praindicata: «La sinodalità, ossia il confronto e il discernimento che coinvolgano tutte le com-ponenti ecclesiali a servizio della missione, sembra imporsi come via maestra». (pg.27) Quali sono le tappe del cammino sinodale intrapreso? «Anzitutto un itinerario “pre” sinodale, volto alla sua prepara-zione e alla designazione dei de-legati che ne prenderanno parte. È la fase già avviata. (…) Le comunità parrocchiali e le espressioni associativa, le più varie, saranno richieste di ogni possibile collaborazione nella raccolta di istanze e suggerimen-ti per arricchire la preparazione e il lavoro del Sinodo. Ma la defi-nizione di chi compone l’insieme

col quale dialogare, come pure il contenuto specifico su cui riflet-tere e decidere, nonché il per-corso prima del sinodo spetterà alla Commissione prosinodale che sollecitamente offrirà gli in-dispensabili elementi program-matici».La Commissione presinodale, nominata l’8 Settembre dal Ve-scovo, è composta da sacerdoti, religiosi e fedeli laici presenti in qualità di rappresentati dei vica-riati diocesani, degli organismi diocesani, mentre alcuni sono stati scelti direttamente dal Ve-scovo. Tale Commissione ha il compito di individuare i contenuti e temi che dovranno essere oggetto di particolare attenzione al prossi-mo Sinodo, discuterne ed elabo-rare una “traccia” (Instrumentum laboris) che servirà per il Sinodo. Le tre piste di lavoro, nonché i temi che sono emersi dall’ulti-mo incontro della Commissione, sono: • La rilettura del Sinodo XIII

della diocesi di Lodi. • La lettura approfondita e

comparata delle relazioni di tutte le Parrocchie della dio-cesi, in ordine alla Visita pa-storale.

• La distribuzione delle parroc-chie e dei sacerdoti, in questa particolare fase storica della vita della nostra Chiesa, e l’at-tenzione ai beni della Chiesa, nel senso di come gestirli vi-sto i cambiamenti: in atto.

Le tre piste di lavoro sono state affidate a tre sottogruppi della Commissione Sinodale. «La preparazione, comunque, si intensificherà una volta com-pletata nella prossima domenica “Gaudete” (il 15 dicembre 2019) la Visita Pastorale alle parrocchie della città di Lodi. Il Sinodo verrà ufficialmente e solennemente in-

detto dal nostro Vescovo Mauri-zio il prossimo 18 Gennaio 2020, nella Veglia diocesana di San Bassiano. Il 2020 sarà tutto con-centrato sulla preparazione e nel 2021 avrà luogo la celebrazione. Non potrà certo mancare la fase post-sinodale nella quale sintetiz-zare quanto sembrerà giusto allo Spirito Santo di “dire” alla Chie-sa di Lodi per la gloria di Dio e il nostro bene terreno ed eterno» (p. 51-54).

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unità pastorale unità pastorale

Incontro Consigli Pastorali RiunitiUNITÀ PASTORALE LIVRAGA - ORIO LITTA - OSPEDALETTO

La nostra unità pastorale dopo l’elezione dei nuovi Consigli Pastorali parrocchiali si è ritrovata per riflettere insieme sui primi passi verso una pastorale d’insieme.

Nella serata di venerdì 7 giugno don Pierluigi Leva ci ha aiutato a cercare la strada giusta.

Parliamo di UP da una ventina d’anni e sono state messe in campo alcune sperimenta-zioni, eppure il tema risulta ancora acerbo e dai tratti inesplorato. Su quale punto si

arenano le nostre comunità parrocchiali? Quello di considerare le UP una sempli-

ce questione amministrativa: come gestire le parrocchie di fronte alla secolarizzazione, alla mancanza dei sacerdoti e alla gestione del-le strutture. Le questioni sono semplicemente indicate, ma meriterebbero un’attenta analisi. Occorre mettere a tema “il cambiamento” al quale la chiesa non può sottrarsi: il passaggio sapiente da una visione rigida e territoriale del-la parrocchia - ereditata dal Concilio di Trento 1545 - 1563 - ad una appartenenza ecclesiale più elastica e selettiva propria del nostro tem-po, anche se non sempre positiva.

Ci poniamo allora alcune domande che po-trebbero essere riprese nel vostro cammi-no di UP: 1. Dove andiamo? Ovvero quale potrebbe es-

sere lo scenario prossimo?

2. Che cosa speriamo? Come pensiamo il futu-ro? Cosa prevediamo?

3. Che cosa facciamo? Cosa fare e cosa evita-re?

DOVE ANDIAMO? Dalla moltiplicazione delle parrocchie a una presenza articolata della chiesa sul territo-rio. La fondazione delle parrocchie ha iniziato la sua crescita dal Concilio di Trento fino al secolo scorso - in diocesi di Lodi ultime due fondazioni nel 1988 - sulla spinta del bisogno della gente di avere la chiesa vicino al proprio domicilio. Con-sideriamo però che il territorio è in continua evoluzione: il venir meno della popolazione in alcunicentri di città; la richiesta di altri “servizi religiosi”; la necessità di convergere pastoral-mente ed essere più efficaci; il camminare insie-me quando ci si trova nelle medesime situazioni territoriali e sociali. Se questa riflessione è chia-ra, una diversa articolazione delle parrocchie sul territorio sarebbe necessaria anche in un tem-po di abbondanza di clero. Allora ci chiediamo: quali sono le dimensioni e le condizioni giuste per la comunità cristiana? Si intendono sia le di-mensioni realistiche perché il vangelo si accolto e annunciato; quali i tratti minimi di una comuni-tà per dirsi cristiana? Quali requisiti? Oggi dunque si impone una conversione di mentalità: la sfida da privi-legiare è la pastorale d’insieme: un metodo e un progetto. Cosa si intende per pastorale d’insieme? La pastorale è l’azione con la quale la chiesa edifica se stessa accogliendo e vivendo il Vangelo, ma non più come un’azione “di fronte” alla comunità, ma come l’agire di tutto il popolo di Dio guidato dai pastori. Un esempio sempli-ce: la pastorale verso le figure anziane e malate. Siamo abituati a vedere il sacerdote che porta l’Eucaristia, visita i suoi fedeli più fragili, si rende disponibile per rispondere ad alcune necessità, ecc... Altro è: attivare una rete di informazioni nel quartiere o la via, promuovere una rete di animatori Caritas e rispondere ai problemi, pro-

muovere i ministri straordinari della Comunione Eucaristica, promuovere dibattiti affinché la co-munità rifletta circa il “fine vita”, le cure palliati-ve e creare una cultura adeguata, ecc.Ecco la differenza! Analizziamo la differenza: concentrarsi su un comune progetto, signifi-ca lavorare insieme, scegliere mete comuni, obiettivi condivisi e praticabili esponendoli al confronto e alla verifica.... così si delinea il nuovo stile pastorale. In questa luce i pastori si realizzano insieme ai laici e i laici tra di loro. Il progetto pastorale è il risultato di questo me-todo di lavoro. Il luogo primario per impostare questo tipo di lavoro è il vicariato, il paradiso perduto di una promessa mancata. Perché non ha funzionato? L’appello è stato generico e dai tratti moralistico, eppure a livello vicariale si po-trebbero affrontare diversi problemi di attualità straordinaria - vedi commissione circa il lavoro con il vicariato di Codogno oppure l’accompa-gnamento dei fidanzati e giovani sposi. Quale ricaduta sui soggetti pastorali? Attenti ad un difetto ottico che annebbia la realtà: cosa possiamo fare? È la domanda che tutti naturalmente ci poniamo di fronte al cam-biamento, poi però lavoriamo sul nuovo con le precompressioni legate al passato. La questio-ne più esplosiva è il ruolo e la figura del pre-sbitero. I preti diminuiscono numericamente, ma sono richiesti ovunque e insostituibili nei campi della pastorale, quelli tradizionali e nuo-vi. Non penso che il laicato sia così sciocco da non accorgersi che il numero dei presbiteri sia in calo costante - nella diocesi di Lodi su 170 preti 57 sono oltre i 75 anni - ma sembra bloccato e soprattutto poco disponibile a lasciarsi coinvol-gere, almeno nella fase di riflessione e proget-tazione. Rimane piuttosto molto attento nella fase critica e distruttiva. Dunque un dato che si impone già adesso: la minore presenza del ministro ordina-to (celibe) apre ad una vera e propria mutazione ministeriale. Accanto a questo, l’arruolamento dei religiosi e religiose con mansioni pastorali sempre più dirette fino allo sfilacciamento della loro stessa dimensione religiosa. Così parlare di UP non è un capitolo accanto agli altri ma è la chiave di lettura per comprendere e progettare il futuro ecclesiale. I sintomi silen-ziosi: la caduta delle vocazioni, la stagnazione della pratica adulta, la richiesta ambigua del religioso. Intanto che si discute sulle questioni di scarsa rilevanza ... non ci accorgiamo dei sintomi terri-bili che stanno colpendo la chiesa. Il calo a picco

delle vocazioni sacerdotali e di speciale consa-crazione pone la questione sulla nostra capacità di formare ad una scelta di vita cristiana stabile e duratura. Quale vita cristiana adulta posso-no scoprire i nostri ragazzi? Qual è il progetto stabile di vita negli adulti? Spesso la vita adulta segna l’abbandono della pratica religiosa e della vita di fede - si vive di ricordi - e l’esperienza cristiana è saltuaria. Spesso l’adulto vive una fede ad intermittenza, secondo le occasioni “in-teressanti” della vita. Ultimo dato che fatica ad entrare nelle nostre assemblee e dunque rifles-sioni: la ricerca ambigua del “sacro”, la ricerca dello “star bene” con se stessi, disincarnati dal mondo e dalle responsabilità che il vangelo ci chiede di assumere.

COSA SPERIAMO? Le UP mettono in evidenza un’immagine di chie-sa molto diversa. Spesso le UP sono comprese come “l’intervento tampone” dettato dalle ne-cessità. È di grande utilità leggere attentamente

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unità pastorale il giampietrino

EG come papa Francesco a Firenze ha voluto raccomandare. Allora alcune domande molto semplici: • quali sono le condizioni giuste per una co-

munità? • quali le dimensioni storiche perché una co-

munità possa recepire il vangelo e faccia esperienza di vangelo? Una comunità chiusa e indifferente non è evangelica, una comuni-tà che cerca di sopravvivere nella fedeltà alla tradizione non è evangelica.

• quale dev’essere la misura di questa comu-nità: minimo e massimo che non si deve ol-trepassare?

• quali presenze essenziali? Quali figure e ca-rismi è bene valorizzare? Solo quello orga-nizzativo? Solo l’aggregazione?

• quando una comunità è veramente cri-stiana? L’interrogativo non è solamente organizzativo, ma di sostanza. Certo non riguarda la Chiesa nella sua essenza, ma nel suo darsi nella storia: quale immagine offre la nostra comunità a chi non è cre-dente ma osserva da lontano? Le UP non possono crescere senza una pastorale d’insieme: questa è la condizione minimale. Senza la pastorale d’insieme le UP sono de-stinate al fallimento. Cosa significa pastorale d’insieme?

• Conoscere i livelli di una comunità e del ter-ritorio: quali sostenere, quali integrare op-pure abbandonare: sviluppare una mentalità comune - pensate alla pastorale giovanile (?)

• Occorre una progettualità d’insieme: il pro-getto non è una finezza pastorale ma una necessità: tutto quel che si fa ...perché? Pensate alle stanchezze depressive che col-piscono preti e operatori pastorali.

• Noi siamo cresciuti con l’idea del pastore “in cura d’anime” dove si sottolineava la cura del singolo e della salvezza personale. Ora è necessario intensificare la dimensione fra-terna della comunità - Atti 2 e 4 mostrano la forza della comunità grazie alla fraternità visibile e attrattiva.

• La comunità va intesa come parte del tutto e il presbitero come parte del presbiterio e il laico non come “l’impiegato della parroc-chia”. Abbandonare una visione “nomade” della parrocchia.

• Oggi è necessario scegliere con pacatezza quello che domani, frettolosamente do-vremmo scegliere per necessità.

COSA FACCIAMO? COME DECIDIAMO? Che fare? La prospettiva deve sempre essere quella di ampio respiro. Un primo intervento potrebbe essere quello di promuovere nelle UP una pastorale d’insieme con piccoli obiettivi, chiari e facilmente verificabili. Quando si inizia è bene rispettare le sensibilità, le specificità e le tradizioni delle parrocchie coin-volte. Guai se il criterio rimane: “la grande ma-gia la piccola” oppure “quella più sonnacchiosa subisce l’esuberanza dell’altra”.

Esempi: Poli sportive, Cateche-si, esperienze particolari. Sempre attenti al territorio: dove vanno a scuola i ragazzi? Dove si orienta la gente? Un secondo passaggio è: “pensiamo al futuro”. Quali prospettive? Terzo passag-gio: coinvolgere il più possibile le persone: collaborazioni, attenzioni, sensibilità, competenze. Quarto passaggio: farsi “sponsorizzare dall’autorità”. La novità non è il capriccio del par-roco e dei suoi quattro amici, ma una nuova esperienza di Chiesa dove il vescovo, il vicario non sono assenti.

don Pierluigi

Pittore milanese, Giampietrino si deve considerare un allievo di Leonardo forse già a partire dal primo soggiorno milanese del

maestro. Leonardo, infatti, all'i-nizio degli anni novanta del Quat-

trocento lascia alcuni appunti riferiti ai suoi più stretti collaboratori, ovve-ro allievi che "stavano" presso di lui per imparare le tecniche disegnative e pittoriche del maestro. È noto, a questo proposito, l'episodio, collo-cabile nel 1490 poiché annotato su uno dei suoi codici, ovvero dei suoi quaderni di appunti, del furto di un "graffio" d'argento incorso ai danni del povero Marco d'Oggiono prima e di Boltraffio poi: scrive Leonardo riferendosi alle malefatte del tremendo Salaì (Gian Giacomo Caprotti): "7 di settembre rubò uno graffio di valuta di 22 sol-di a Marco, che stava con meco; il quale era d’argento e tolseglielo dal

La Chiesa AbbazialeGiovan Pietro Rizzoli, detto Giampietrino, allievo di Leonardo da Vinci

suo studiolo; e poi che detto Marco n’ebbe assai cer[cat]o, lo tro[vò] na-scosto in nella cassa di detto Iaco-mo". E ancora, l'anno successivo, nel 1491: "lasciando Gian Antonio uno graffio d’argento sopra uno suo di-segno, esso Iacomo gliele rubò" sia-mo negli anni 1490-91 [Manoscritto C, f. 15v]La bottega di Leonardo infatti era una vera e propria fucina di talenti e gli allievi lavoravano diretto contatto con i materiali del maestro, derivan-do idee e insegnamenti.In questo senso la critica ha prova-to a riconoscere nel nostro pittore il ‘Gianpetro’ citato in una nota del Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana (c. 713r) insieme ancora al Salaì, questo appunto tuttavia è stato datato da Carlo Pedretti, illu-stre studioso di Leonardo e recente-mente scomparso, intorno al 1497-

In occasione del concerto tenutosi Domenica 24 novembre la prof.ssa Rosalba Antonelli ha presentato il dipinto “Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Paolo Apostoli” collocato sopra l’altare maggiore della nostra bella chiesa e ha illustrato il legame di Giovan Pietro Rizzoli, detto Giampietrino con Leonardo da Vinci. Ne pubblichiamo un sunto.

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16 17la Vela - n. 22 dicembre 2019 n. 22 dicembre 2019 - la Vela

il giampietrino il giampietrino

1500, mentre Pietro Marani anticipa la datazione del foglio al 1490-92 e orienta la prima attività di Giampie-trino a contatto con Marco d'Oggio-no alla fine del Quattrocento.Tuttavia si deve attendere il 1508 per ritrovare il pittore documen-tato a Milano a partire dal 24 feb-braio 1508, successivamente dopo aver acquistato dal monastero di San Pietro in Gessate una proprietà nella parrocchia di San Protaso ad Monacos. Ancora si trova citato in un documento del 1511 insieme a un altro famoso lodigiano, Giovanni Agostino da Lodi, oltre che Marco d’Oggiono, Giovanni Antonio Bol-traffio pittori questi ultimi che hanno lasciato le loro opere nel territorio lodigiano. La maniera stilistica di Giampietri-no non pone alcun dubbio sulla sua scelta dei valori più espressamente leonardeschi. Anzi alcuni elementi vengono spesso replicati e rimodu-lati con lievi cambiamenti, ma sem-pre all'insegna di una matrice distin-guibile e chiaramente leonardesca, come dimostrano le molte sue "Ma-donne con Bambino".La sua produzione è anche rappre-sentata da una serie di opere a sog-getto profano, ma il vero punto fer-mo si deve riconoscere nella tavola con Madonna con il Bambino e i ss. Gerolamo e Giovanni Battista di San Marino a Pavia (altra chiesa geroni-mita), datata sulla cornice 21 dicem-bre 1521, un soggetto pittorico che si troverà anche a Ospedaletto. (…)Se possibile vorrei quindi passare al diretto esame di questa straordina-ria opera che le vicende storiche, so-prattutto quelle di età napoleonica, hanno voluto conservare nel luogo d'origine.Collegamenti evidenti alle opere di Leonardo si devono cogliere nell'im-pianto generale: il Cenacolo diventa una palestra visiva per molti artisti e soprattutto per i leonardeschi così come la Vergine delle rocce, le sole

due opere di Leonardo visibili a Mi-lano a partire dalla fine del Quattro-cento.La Madonna, vero e proprio punto focale, siede su un grosso blocco grigio che guida lo spettatore at-traverso uno sguardo prospettico e la innalza a vertice della piramide compositiva. Le accentuate diagona-li mettono in evidenza chiare cono-scenze matematiche magari matura-te proprio accanto a Leonardo nella predisposizione della parete del Ce-nacolo. Il suo volto trova precisi ri-ferimenti alle pitture di Leonardo, ad esempio nel volto della Madonna della Vergine delle rocce, la stessa inclinazione del volto con i capelli sciolti e pettinati con una scrimina-tura centrale, motivo che sembra essere una vera e propria cifra stili-stica leonardesca. (…)I due personaggi che per importanza costruiscono la scena: la Madonna e san Girolamo sono entrambi rivolti al Bambino e propongono così un'e-spressione caratteristica dei modi leonardeschi, lo sguardo abbassato che richiama palesemente la mite rassegnazione del Cristo del Cena-colo. (…) Un gioco cromatico è quel-lo che si legge tra l'alternato uso del rosso, mentre una larga zona dello sfondo è immerso nel buio dove si distingue chiaramente una scala, ele-mento connotativo dell'opera che alcuni non a caso hanno denomina-to Madonna della scala, e dal letto della Madonna.I dettagli pittorici, un peccato non poterne scorgere il vero valore este-tico, ma che trovano nel libro Le Chiavi e il Leone ottime riprese fo-tografiche, sono di altissima qualità e non possono che evidenziare una maturità artistica del pittore, dove le scelte leonardesche sono interpreta-te in maniera autonoma e originale. (…)Diverso invece è il discorso per i due pannelli con Pietro e Paolo che sembrano riferirsi e dipendere dagli

insegnamenti e dai modelli di Marco d'Oggiono, che intorno al 1518 aveva realizzato un mo-numentale polittico per la chie-sa conventuale francescana di Maleo. È molto probabile che le tre tavole costituissero un trittico come sembra chiarire la loro carpenteria e alcuni richiami compositivi della scena, come la porzione di letto che appare nel pannello con San Paolo e la comune pavimentazione con la pala centrale.Inserita verso il 1681 nella imponente cornice barocca, la pala del Giampietrino non vene sottratta alla chiesa ab-baziale nel corso delle requi-sizioni napoleoniche, per ra-gioni che sono ancora tutte da chiarire e che al momento non hanno trovato corrispondenze nella ricerca d'archivio.Invece un furto vero e proprio è quello subito dalla tavo-la centrale il 5 novembre del 1975 per poi essere ritrovata l'anno successivo e ricollocata sull'altare della chiesa dopo un necessario restauro a causa dei danni subiti. Per concludere, mi piace lega-re la fortuna dell'opera ad un evento dedicato a Leonardo settant'anni fa, ovvero la mo-stra milanese del 1939, quando la pala centrale venne richiesta per la rassegna milanese e la sua paternità, sino a quel mo-mento indicata come opera vi-cina a Bernardino Luini, venne definitivamente ricondotta alla mano di Giampietrino, il solo allievo di Leonardo ancora pre-sente nel territorio lodigiano.

oSPeDaletto loDiGiano, 24 novembre 2019

Rosalba Antonelli

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vita di oratorio vita di oratorio

Solitamente quando si parte per un viag-gio si cerca sempre di avere tutto il ne-cessario, i vestiti, la borraccia, qualcosa da mangiare! La domanda “Ho dimenti-

cato qualcosa?” è la prima che ci viene in mente appena quando si sale sul bus.

Poi durante un’esperienza come un campo scuola scopri che l’unica cosa necessaria è l’entusiasmo e la voglia di divertirsi, di cono-scere nuove persone, per tornare a casa con la valigia più piena di prima, ricca di ricordi, emozioni e soprattutto amici. Anche quest’anno un folto numero di bam-bini di Livraga, Ospedaletto Lodigiano, Ca-stiglione e Orio Litta hanno condiviso questa mitica esperienza.È il terzo anno che accompagniamo i nostri bambini a Torgnon, è il terzo anno che torna-no a casa tutti con il sorriso, già “pronti per l’anno prossimo!”.Quest’anno le orme che abbiamo seguito sono state quelle del profeta Elia. La sua sto-ria è narrata tra il primo e il secondo libro dei Re.Elia è, anzitutto, un discepolo, destinatario della Parola, e ne diviene l’eco per tutto il popolo. Egli è colui che, mettendosi al servi-zio del Signore, ha riletto la realtà con sguar-do critico, fino ad entrare in una lotta aperta contro gli idoli.

Elia è colui che non si stanca di attendere e di cercare il passaggio di Dio nella sua vita, riuscendo a coglierne i linguaggi discreti e originali. Elia è un profeta conosciuto non tanto per i suoi scritti, come potrebbe essere per Isaia, quanto per le sue vicende e gli eventi che de-termina con la sua parola. Attraversando i luoghi percorsi dal profeta abbiamo accompagnato i bambini a rileg-gere il loro rapporto con il Signore e la sua Parola, a interrogarsi sulla loro disponibilità a mettersi in gioco, sulla capacità di restare in ascolto, sulla possibilità di vivere il mandato battesimale a essere ogni giorno sacerdote, re e profeta, Confrontandosi con la vita e le scelte del pro-feta, abbiamo cercato di far scoprire loro il proprio cammino di discepoli-missionari nella quotidianità.

Il gruppo degli educatori con l’aiuto di Don Luca hanno potuto far conoscere la figura di questo grande profeta attraverso le attività, la preghiera e la messa quotidiana.

Le passeggiate e gli altri momenti di svago ci hanno dato l’opportunità di unire sempre più il gruppo. La penultima sera, seduti tutt’in-torno al falò, abbiamo contemplato il mistero del creato sotto un cielo pieno di stelle, “nel-la voce di un tenue silenzio” abbiamo vissuto un momento di preghiera unico ed emozio-nante, che sicuramente nessuno dimentiche-rà più. Durante la settimana, ai bambini è stata pro-posta un’attività molto particolare: la realiz-zazione del loro libro tattile della fede. Que-sto libro li ha fatti molto riflettere! La scrittura attraverso varie tecniche che coinvolgevano tutti i sensi li ha aiutati a dar nome alle sensa-zioni che ci trasmette Gesù ed ha cambiato il loro modo di pensarlo.Tramite queste attività abbiamo cercato di trasmettere ai ragazzi l’importanza di vivere la propria fede da protagonisti e senza smet-tere mai di conoscere Gesù e di mettere in pratica i suoi insegnamenti, primo fra tutti: amatevi gli uni e gli altri.Senza educatori e responsabili è certamen-te difficile, quasi impossibile, organizzare un campo scuola, ma credo che in primo luogo sia giusto ringraziare tutti i bambini che ogni anno partecipano a questa bella esperienza, perché, nonostante tutte le difficoltà e le fati-che da affrontare, permettono anche a noi di crescere e di vivere qualcosa di unico e spe-ciale ogni anno.

Campo Scuola 2019 Torgnon, Val d’Aosta

Il fuoco e la brezza: sui passi di Elia

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vita di oratorio vita di oratorio

Montagne, vallate, alberi, cascate, prati fioriti, amicizia, condivi-sione, divertimento, crescere insieme, stare con Gesù: queste sono le parole che possono riassumere l’esperienza estiva del gruppo delle medie.

Anche quest’anno la nostra parrocchia ha partecipato con gli amici di Castiglione d’Adda, Livraga e Orio Litta al campo estivo,

il gruppo delle medie è partito alla scoperta della vicenda del Re Davide; infatti il titolo dato al campo di questo anno è stato: “Con Davide affronta i tuoi giganti”. Durante le varie giornate di campo, attraverso attività e giochi i ra-gazzi hanno potuto ascoltare e vedere la storia del re Davide, infatti gli educatori hanno realizzato una drammatizzazione della sua vita, riassumendo i momenti salienti della storia di questo re: dalla sua unzione a Re d’Israele, passando alla scena dello scontro con il gi-

Campo Scuola Medie 2019

“Con Davide affrontai tuoi giganti”

gante Golia, all’amicizia nata con Gionata, il figlio del re; al peccato commesso con Betsabea, per poi arrivare al pentimento e al perdono che Dio aveva riservato per lui. Guidati sull’esempio di Davide, i ragazzi hanno capito l’immenso amore che Dio ha verso di loro, l’importanza del fidarsi di lui sapendo che lui mai ci abbandona, soprattutto nei momenti difficili. Non sono mancate, inoltre, le passeggiate: la cor-nice delle vette dolomitiche della val Rendena ha fatto da scenario a queste: la visita alle cascate Nardis, la passeggiata panoramica al Rifugio Tu-ckett. Tanti sono stati gli sguardi, i sorrisi, le sbucciature durante le passeggiate, le fatiche, il divertimento, le amicizie che sono nate. Un Grazie doveroso alle due ragazze di Ospe, Giulia e Marianna, che hanno partecipato, e a chi ha dedicato tempo e lavoro per organizzare un così buon campo.

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educazione-oratorio educazione-oratorio

DARE CASA AL FUtURO: LE LINEE PROGEttUALI Per due anni abbondanti, la parola “giovani” è risuonata in mille discorsi, pensieri, progetti, lettere pastorali, studi, articoli… E nello stesso tempo Roma, con i lavori dei vescovi, l’incontro

dei giovani con il Papa, il Sinodo a ottobre 2019, è stata il centro dove si sono svolti diversi appuntamenti di rilievo.

Due parole sono risuonate più di altre: discernimento e sinodalità.L’esperienza fatta chiede di essere ripresa ovunque vi sia la presenza di una comunità cristiana, fosse anche la più piccola e sperduta.Occuparsi di come consegnare ai giovani la speranza cristiana, signi-

fica anche interrogarsi sul fat-to di come dobbiamo conver-tire il nostro essere cristiani e dunque anche le nostre azioni.Per fare questo non c’era bi-sogno di scrivere un altro do-cumento. Per questo motivo il Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI ha pen-sato che un lavoro di sintesi potesse essere utile: a que-ste pagine hanno contribuito direttamente almeno una cin-quantina di persone prove-nienti dai diversi territori ed esperienze ecclesiali, e dalle diverse latitudini italiane. Non è mancato un confronto con alcuni altri uffici della Se-

Linee progettuali per la pastorale giovani italiana

Dare casa al futuroLe linee progettuali,

uno strumento per sostenere il lavoro nei territori e tradurre nella pratica le indicazioni dei vescovi e del Papa

emerse dal Sinodo dei Vescovi sui giovani.

greteria generale.Come scrive don Michele Falabret-ti, reponsabile del Servizio Naziona-le per la Pastora-le Giovanile della

CEI, «in questo testo nessuno troverà ricette facili o norme da ap-plicare. Ci siamo accontentati di far emergere quelle parole che, nel cam-mino degli ultimi anni, si sono rivelate efficaci per poter rispondere all’urgenza di una semplice domanda: “e ora, cosa dobbiamo fare?”. Accettare la complessità di questo tempo, non significa rassegnarsi all’impossibilità e tantomeno cedere alle lusinghe di certa banale superficialità.È possibile assolvere al compito di annunciare il Vangelo oggi: con questa convinzione, allo stesso tempo umile e sincera, voglia-mo offrire uno strumento di lavoro che renda possibile collocarsi in questo tempo preparandosi ad accogliere l’umanità di Dio che si è manifestata in Gesù e che viene ancora nella vita di ciascuno. Le linee progettuali ruotano attorno a nove parole suddivise in tre aree, perché vanno riferite ai tre soggetti pastorali fondamentali: gli educatori, i giovani e la comunità cristiana: «tutte e tre le aree rivelano soggetti che sono chiamati a entrare in una dinamica siner-gica».

Esserci: accompagnamento, ascolto, prossimitàComunicare: il mondo digitale e social tra opportunità e limitiAprire luoghi: spazi educativi di incontro e di ascolto, l’oratorioChiamati: il rapporto tra vita-fede-vocazioneResponsabili: la coscienza e il saper fare discernimentoUnici: corpo-sessualità-spiritualitàComunione: sinodalità, pensare e agire insiemeAnnuncio: liturgia, spiritualità incarnataDiaconia: cura, servizio, sussidiarietà

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giovani giovani

Si può essere santi su un cam-po da calcio, si può raggiun-gere la perfezione interiore suonando un violino, si può

seguire le tracce di Dio attra-verso i bit dei linguaggi digita-

li, si può far esplodere di colori la propria vita anche mentre si lotta contro un tumore. Si può. Ed è ciò che tanti giovani han-no fatto, lasciandosi coinvolgere nell’abbraccio infinito dell’amo-re di Dio senza timore di perde-re se stessi, credendo, fidandosi e affidandosi. Stiamo parlando delle tante storie di millennials che hanno scelto di fare del Van-gelo il loro punto di riferimento, soprattutto nei momenti più dif-ficili, ad esempio quando hanno dovuto affrontare malattie terri-

bili. Le loro storie – alcune delle quali appaiono questa settimana nella pa-gina Giovani all’in-terno del giornale – sono raccontate in libri, siti Web, pagine social, e di-mostrano una cosa fondamentale: la santità è un oriz-zonte di vita che sa ancora affasci-nare, che continua

a parlare alle nuove generazioni e che muove verso ideali di vita controcorrente.

Ma come? Perché mai una pro-messa di ‘vita eterna’ dovrebbe attirare i ragazzi del nuovo mil-

Millennials verie santi senza paura

lennio, che si trovano immersi in un mondo in cui tutto è let-teralmente a portata di tasca, appena al di là di uno schermo oppure all’arrivo di un viaggio low cost? La risposta forse sta nella bellezza e nell’autenticità della proposta cristiana: il Cro-cifisso, simbolo della vittoria della vita sulla morte, chiama a un’esistenza piena, a una cor-sa senza fine verso l’infinito. Le sue braccia aperte sono il segno di un amore che riempie e che non ha secondi fini. Sì, perché con i giovani non ci sono storie, o meglio, le uniche storie che sono disposti ad ascoltare sono quelle dei testimoni autentici, di coloro che si sono messi in gioco in prima persona. I ragazzi han-no dentro di sé un sesto senso che li predispone ad accogliere solo ciò che comunica loro vita-lità, allontanandoli dagli angusti percorsi che li soffocano o dalle parole di coloro che ‘predicano bene’ ma si dimenticano del tut-to di ‘razzolare’.

Nel brusìo del mondo contem-poraneo, invece, i giovani di-mostrano spesso di saper indi-viduare le voci autentiche, e so-prattutto dimostrano di sapersi mettere in ascolto di quel silen-zio in cui parla Dio. Facendo così ciò che papa Francesco descrive

nell’esortazione apostolica sulla santità nel mondo contempora-neo Gaudete et exsultate: «Le continue novità degli strumenti tecnologici, l’attrattiva dei viag-gi, le innumerevoli offerte di consumo a volte non lasciano spazi vuoti in cui risuoni la voce di Dio. Tutto si riempie di parole, di piaceri epidermici e di rumori a una velocità sempre crescente. Lì non regna la gioia, ma l’insod-disfazione di chi non sa per che cosa vive.

Come dunque non riconoscere che abbiamo bisogno di fermare questa corsa febbrile per recu-perare uno spazio personale, a volte doloroso ma sempre fe-condo, in cui si intavola il dialo-go sincero con Dio?». Questa è la santità: saper riconoscere la voce di Dio in mezzo alle miglia-ia di voci che affollano il nostro spazio vitale. E i giovani, se inco-raggiati da testimoni autentici, dimostrano di saperlo fare nella propria quotidianità, mettendosi con entusiasmo alla ricerca del-la ‘perfezione’. Si tratta di una perfezione, però, ben diversa da quell’asfissiante concetto di ‘eccellenza’ che oggi rischia di annientare gli orizzonti di vita dei ragazzi. Essere santi non si-gnifica eccellere, non significa prevalere sugli altri, non significa infilarsi in modelli preconfezio-nati per rispondere alle richieste del mercato.

La santità è esattamente l’op-posto: è il compiersi della pro-pria essenza più autentica, è la capacità di tracciare una strada propria, è la voglia di offrire al mondo i talenti ricevuti in dono. Le storie di tanti giovani testimo-ni – alcuni dei quali scelti come ‘fari’ per la riflessione del Sinodo

dei giovani dell’anno scorso – di-mostrano che questo è possibile a prescindere dall’età anagrafi-ca e che chi vive in questo oriz-zonte lascia un segno concreto, smuove le coscienze e cambia il mondo. Spesso, infatti, attorno alla loro memoria nascono veri e propri movimenti, che forse non assumeranno le dimensioni delle masse ma che aiuteranno molti a seguire l’invito di papa France-sco: «Non avere paura di punta-re più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incon-tro della tua debolezza con la forza della grazia».

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27n.22 dicembre 2019 - la Vela26 la Vela - n. 22 dicembre 2019

10 anni• Giannelli Riccardo e Granelli Benedetta

20 anni• Malusardi Alessandro e Pellegrini Micaela

25 anni• Galli Enrico e Danelli Giovanna

30 anni• Maccalli Mario e Sfondrini Stefania

40 anni• Moglia Sergio e Sari Carla

Anniversari di Matrimonio

45 anni• Bravi Andrea e Massimini Miralda• Brambati Mario e Grazioli Nives

50 anni• Betti Antonio e Vitali Annamaria• Sari Giuseppe e Marinoni Ardelia

55 anni• Ascade Angelo e Bacciocchi Ines• De Carli Giovanni e Medaglia Caterina• Gobbi Angelo e Abbiati Pina

13.04.2019 Palladini Davide

21.04.2019Fratello Scarlet Maria,Corbellini Elettra Benedetta,

21.07.2019Menozzi Elena

battesimianniversari

Battesimi

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29n.22 dicembre 2019 - la Vela28 la Vela - n. 22 dicembre 2019

08.09.2019 Carboni Marika

20.10.2019 Rossi Lorenzo

24.04.2019Montrone Silvia e

Zivaljic Ante

08.12.2019Di Vita Aurora

battesimi Sacramenti 2019

Matrimoni

- Bruschi Giuseppe il 13.12.2018- Raggi Benito il 13.01.2019- Dosio Carlo il 20.04.2019- Guazzi Maria Teresa il 22.04.2019- Merli Noemi il 15.05.2019- Sari Luigia il 04.06.2019- Polastri Stefano il 07.06.2019- Casali Giulio il 26.06.2019- Massimini Pietro Antonio il 27.06.2019- Dossena Pietro Mario il 14.07.2019- Cerati Antonio il 18.07.2019- Rossetti Italo il 01.09.2019- Gobbi Francesca il 07.11.2019- Uggetti Maria il 30.11.2019

Sono tornati alla casa del Padre

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31n.22 dicembre 2019 - la Vela30 la Vela - n. 22 dicembre 2019

Velala

oratorio e dintorni

“La Vela” - n. 22 dicembre 2019. Parrocchia SS. Pietro e Paolo OSPEDALETTO LODIGIANO.Direttore responsabile: Mario Borra - Direttore editoriale: Don Luca Pomati.Hanno collaborato: Danelli Giovanna,Tomasi Cinzia, Scaramuccia Antonietta.Fotografie: Tomasi Simona.Progetto grafico: Giografica - Impaginazione e stampa: Sollicitudo (Lodi)

oratorio e dintorniSacramenti 2019 Sacramenti 2019

14.04.2019

Tommaso Anelli, Paolo Bonzio,Simone Brasia, Martina Cerati,

Gabriele Chiapin, Irene Forlano,Alice Giacobbe, Pietro Giannelli,

Anna Massimini, Mattia Monticelli,Nicole Pipolo, Chiara Puglisi,

Michele Puglisi, Alessia Saleh,Davide Valenti

Catechiste: Simona, Katia e Anna

Prima Confessione Professione di fede 14enni e 18enni

CresimaPrima Comunione

19 Maggio 2019 Leonardo Cornalba, Paolo Esposito, Samuele Ferrara, Nicolò Giannelli, Edoardo Pasini, Chiara Puglisi,Andrea Salvia, Isabella Emily Vera Cisneros, Giacomo Zinzalini Catechisti: Chiara e Diego

12 Maggio 2019 Vicario generale

Mons.Bassano Uggé

Costantino AbateSofia Cerati

Federica FerraraEleonora ForcellaMatteo GravagnoRiccardo GrazianoChristian MartelloAndrea Massimini

Greta PaceAndrea Pani

Gabriele PasiniArianna Segalini

Giulia Tiengo

Catechiste: Teresa e Silvia

14 ENNIArianna Bassi, Alice Berselli Laura Cabalar, Sabrina CelestialiBenedetta Cornalba, Elena Occhiato,Marianna Pighi

I catechisti: Giovanna, Mina, Ilaria, Lorenzo e Luca

18 ENNILorenzo Cattabriga,Ilaria Galli, Diego MalusardiErica Sterza, Luca Valenti

La catechista: Giusi

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32 la Vela - n. 22 dicembre 2019

prossimi appuntamenti

In questo numero natalizio de “La Vela” trovate una busta per l’offerta a sostegno delle spese della Par-rocchia. In prossimità del Natale ci appelliamo alla Vostra generosità, sapendo di non chiedere per noi stessi, ma per sostenere le attività e le iniziative di servizio, di carità, di promozione umana e di educazione cristiana dell’oratorio e della parrocchia. Le necessità sono molte, talvolta anche poco visibili, ma reali ed è per questo che anche quest’anno ci affidiamo alla Vostra generosità. L’offerta potrà essere consegnata al Parroco oppure offrirla nella raccolta durante le Messe o mettendola nella bussola in Chiesa.

Un’offerta per la Chiesa

GIORNATA MONDIALE DELLE PACE• MERCOLEDì 01 GENNAIO ore 17.30 Santa Messa Solenne con la presenza di gruppi e associazioni impegnati nel sociale

EPIFANIA DEL SIGNORE• LUNEDì 6 GENNAIO ore 8.00 Santa Messa ore 10.00 Santa Messa ore 15.00 Benedizione dei ragazzi e dei loro

genitori

IN PREPARAZIONE DEL S. NAtALECONFESSIONI CON PIÙ CONFESSORI• LUNEDì 16 DICEMBRE - Orio Litta ore 21,00

• MARtEDì 17 DICEMBRE - Ospedaletto Ore 14.30 Adulti Ore 16.15 Elementari, medie e giovanissimi Ore 21.00 Adulti, Giovani e Giovanissimi

• MERCOLEDì 18 DICEMBRE - Livraga ore 21.00

CONFESSIONI IN CHIESA PARROCCHIALE ad Ospedaletto• SABAtO 21 DICEMBRE dalle ore 15.30 alle 17.00 • DOMENICA 22 DICEMBRE dalle ore 15.00 alle 17.00• MARtEDì 24 DICEMBRE dalle ore 15.30 alle 17.00

Festa di San Giovanni

Bosco

Domenica 26 gennaio

il pomeriggio, per i ragazzi

delle elementari e medie