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Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2011
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Musicoterapie in ascolto
Archivio 2011
A cura di Giangiuseppe Bonardi
Articoli http://www.musicoterapieinascolto.com/archivio/85-archivio/88-2011-archivio-mia
Gli articoli sono archiviati mensilmente, dal più recente al più datato
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2 Indice
4 Bonardi Giangiuseppe, Il trattamento individuale o di gruppo tra oggettività e... umanità
5 Deodato Rosaria, L’ossevazione musicoterapica di Walter
7 Andrello Roberta, Elaborare il... distacco da Luca
11 Bonardi Giangiuseppe, L’osservazione acustica
12 Deodato Rosaria, Riflessione conclusiva... breve
14 Pasinetti Sandra, Modi di essere o modi di esserci?
19 Deodato Rosaria, L’evoluzione del processo musicoterapico con Walter
24 Pasinetti Sandra, Alla ricerca di una metodica musicoterapica personalmente... autentica
28 Bonardi Giangiuseppe, Ritmi accidentali e incidentali in musicoterapia
30 Pasinetti Sandra, Dalla teoria alla prassi… musicoterapica
32 Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Singolare riflessione schneideriana… attualissima
33 Pasinetti Sandra, L’osservazione di Simona nel contesto musicoterapico
35 Pasinetti Sandra, Alla “ricerca” della dimensione sonoro-musicale di Simona
37 Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona
40 Pasinetti Sandra, Alla ricerca dello spazio di contatto con Simona
42 Bonardi Giangiuseppe, Percepire la dimensione emotiva delle interazioni sonoro-
musicali
42 Pasinetti Sandra, Il contatto sonoro-musicale con Simona
44 Emozioni (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
45 Pasinetti Sandra, Epilogo del processo musicoterapico con Simona
49 Tempo (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi)
49 Pasinetti Sandra, Contatti sonoro-musicali con Simona
52 De Martino Giuseppina, Se fossi il medico dell’anima?
55 Sentimento (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
56 Affetti vitali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)
56 Affetti categoriali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)
57 Affetto, (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)
57 Dimensioni d'ascolto (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
58 Greco Marina, Il recupero dell’ascolto nella psicoanalisi di Freud
61 Ascolto (dizionario di musicoterapia a cura di Bonardi Giangiuseppe)
61 Vissuti (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi)
61 Ritmo (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
62 Musica (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
62 Spazio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
63Tonalità emotiva (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)
63 Sensazione (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
64 Neri Simona, Quando il cuore dirige la ragione perduta…
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65 Streito Bernardino, Esperienza audio-acustica
65 Taverna Maurizio, Percorsi di senso del musicale vissuto in musicoterapia (Letture
consigliate, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
66 Greco Marina, L’ascolto come cura: il senso della relazione
70 Fittipaldi Moira, Beethoven, Marius Schneider e la… musicoterapia (Letture
consigliate, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
72 PRO CIVITATE CHRISTIANA, 30 ANNI DI SCUOLA DI MUSICOTERAPIA,
CONVEGNO DI MUSICOTERAPIA: DIALOGO INTERDISCIPLINARE E
POSSIBILI CONTRIBUTI DELLE NEUROSCIENZE
74 Anapesto (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
74 Onorato Vincenzo, MusicoteRAPia (Letture consigliate, a cura di Giangiuseppe
Bonardi)
75 Pirricchio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
75 Siluri Elisabetta, Così vicini… così lontani… (Letture consigliate, a cura di
Giangiuseppe Bonardi)
76 Peone IV, (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
76 Osservazione, contemplazione, amore (dizionario di musicoterapia, a cura di
Giangiuseppe Bonardi)
77 Casarano Carla, La nota stonata del cancro (Letture consigliate, a cura di Giangiuseppe
Bonardi)
78 Giambo (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
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4 Gennaio
Bonardi Giangiuseppe, Il trattamento individuale o di gruppo tra oggettività e...
umanità
Pubblicato il 24 gennaio 2011
L’ascolto-accoglienza dell’altro (trattamento individuale) o degli altri (trattamento di
gruppo) si realizza nel tempo. Un tempo che cela in sé il proprio indissolubile
dualismo: la dimensione oggettivabile[1]
e, complementare a essa, quella soggettiva...
umana. Pertanto, nel tempo oggettivo evidenzio i parametri del progetto d’intervento:
la metodica musicoterapica adottata, comprensiva del modo interpretativo
(l’orientamento teorico di riferimento) scelto;
la situazione-problema rilevata durante l’osservazione ambientale e acustica;
i mezzi utilizzati per intervenire (gli strumenti musicali, gli ascolti graditi, i
protocolli, le schede di rilevazione, le relazioni di restituzione);
le finalità del progetto;
le fasi del processo (iniziale, intermedia, finale);
l’organizzazione dell’ambiente musicoterapico;
il numero e la durata preventivata degli incontri;
le restituzioni e gli incontri d’équipe.
Nel tempo vissuto esperisco i contenuti dell’ascolto e dell’espressione mia e
altrui, ossia accolgo le dimensioni:
corporea;
emotiva;
analogica
sottese alla forma sintattica della realtà acustica in cui mi trovo. Il tempo vissuto è
diverso da quello cronologico poiché, in relazione alle qualità di condivisione sonoro-
musicale delle reciproche dimensioni d’ascolto-accoglienza dei partecipanti, seduta
dopo seduta, lo si può percepire (vivere) ora dilatato (interminabile, sospeso…
pesante…), ora ristretto (brevissimo, veloce… leggero…). Entrambe le dimensioni
del tempo hanno paritetica importanza. Il tempo oggettivo è la testimonianza storica
della realizzazione del processo musicoterapico. Se non ci fosse questa dimensione
tangibile e razionale, non potrei testimoniare l’avvenuta esistenza dell’intervento
stesso. D’altro canto la sola testimonianza storica e oggettiva del processo
musicoterapico, non mi permette di comprendere l’evoluzione qualitativa
dell’intervento terapeutico preso in esame. Solamente quando metto in relazione gli
indicatori del tempo oggettivo (ciò che la persona fa) con quelli del tempo soggettivo
(ciò che persona vive) cerco di scoprire il possibile senso sotteso ad una particolare
espressione sonoro-musicale. Se, durante alcune sedute, ascolto una persona che
esegue una particolare figura ritmica, o melodica, o ancora armonica (dimensione
sintattica) m’interrogo sul senso celato in quell’espressività musicale. Che cosa
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significa quell’espressione sonora? Che cosa esprime la fisicità di quell’atto
musicale? Quali vissuti esprime? A quali possibili immagini mnemoniche è
associato? Che cosa suscita in me? Oggettivo e soggettivo sono quindi le due
dimensioni del tempo che caratterizzano l’incontro poiché l’una implica il contributo
dell’altra; solamente dall’interazione delle due realtà del tempo (oggettivo e
soggettivo) scaturisce la feconda dimensione interpretativa di quanto accade durante
l’incontro, orientandomi nella ricerca di percorsi di senso.
Giangiuseppe Bonardi
[1]
Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul
Metauro (PU), pag. 55-82.
Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Deodato Rosaria, L’ossevazione musicoterapica di Walter
Pubblicato il 16 gennaio 2011
La possibilità di potermi relazionare* con Walter (nome di fantasia, in ottemperanza
alla legge della privacy) emersa durante la lettura analitica delle osservazioni
ambientali, mi diede la motivazione a intraprendere l’osservazione musicoterapica. In
sede di programmazione educativa, spiegai quindi il mio intervento, trovando alcune
difficoltà. In primo luogo dovevo inserirmi nell’ambiente educativo, definendo
l’attività che volevo svolgere, il mio ruolo, cercando di non “turbare” il rapporto
“materno” che intercorreva tra l’inseguante di sostegno e Walter. Secondariamente
dovevo creare un ambiente adatto per svolgere l’attività musicoterapica. Dopo
innumerevoli peripezie potevo finalmente utilizzare una stanza, messami a
disposizione dalla Direzione Didattica. Ero preoccupata perché volevo creare un
ambiente accogliente sia per Walter sia per me. Riguardo a quanto ho rilevato durante
i colloqui con la madre e le osservazioni ambientali ho scelto alcuni strumenti
musicali: un tamburo, un piatto, un glockenspiel, un’armonica a bocca, un carillon,
due maracas, un pagliaccio con campanelli, una scatola sonora con il verso della
mucca, due tamburelli siciliani, una tastiera e il registratore. Ho scelto alcuni eventi
musicali da proporre all’ascolto:
Anonimo: “Nastri” (evento etnico brasiliano) [1];
Anonimo: “Palme” (evento etnico israeliano) [2];
Anonimo: “Sascha” (evento etnico russo)[3];
C. D’Avena: “Heidi” (sigla di un programma televisivo).
Gli eventi musicali proposti mi sembravano rassicuranti, poiché Walter, durante
l’attività musicale scolastica, gradiva l’audizione degli stessi, così come accadeva a
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casa mentre ascoltava la canzone di C. D’Avena. Allo stesso modo ho curato con
attenzione la scelta degli elementi d’arredo: due tappetini, una sedia e un tavolino. Ho
quindi disposto in modo circolare gli strumenti musicali, per consentire a Walter di
muoversi liberamente e, a me, avere la possibilità di osservarlo con facilità. Durante
le sedute, mentre osservavo Walter, ascoltavo i miei vissuti. Con mio stupore, la
paura e il disagio, che avevo provato durante l’osservazione ambientale, erano quasi
del tutto assopiti, mentre prevaleva in me un senso di adeguatezza, unitamente alla
normale tensione emotiva, nella conduzione dell’attività. La “relativa” tranquillità
emotiva mi consentiva di osservare, al meglio delle mie possibilità, Walter. Walter
peregrinava continuamente nella stanza, soffermandosi momentaneamente presso il
tamburo, l’armadio, la finestra e l’ingresso. In quelle brevissime soste mi sembrava
che, per qualche secondo, Walter vivesse effimeri attimi di riposo. L’incessante moto
veniva interrotto altresì dall’audizione degli eventi musicali, che risultavano, per
Walter, rassicuranti. L’audizione delle registrazioni audio delle sedute mi permetteva
di analizzare, ulteriormente le espressioni sonore e/o musicali manifestate da Walter.
L’analisi comparata delle relazioni sonore e/o musicali, manifestate da Walter nelle
sedute, mi ha consentito di evidenziare alcune analogie. Walter suonava gli strumenti
scelti (la tastiera, l’armonica a bocca, il tamburo, la scatola sonora), rivolgendo lo
sguardo nei riguardi di sé. Le espressioni strumentali erano brevi, di forte intensità,
formate da giustapposizioni di sonorità (crome o semiminime o minime) eseguite
casualmente nei registri: grave, intermedio e acuto.
Analisi della situazione
Le rilevazioni raccolte al termine dell’osservazione musicoterapica confermavano le
considerazioni evidenziate durante l’osservazione ambientale. L’esigua durata di
permanenza (10’) e l’assunzione di numerose posizioni e posture erette
evidenziavano, verosimilmente, le costanti tensioni emotive vissute da Walter. In
questa prospettiva, il tempo e lo spazio, vissuti da Walter, erano probabilmente
carichi di emozioni alquanto spiacevoli. L’orientamento delle espressioni musicali
rivolto a sé evidenziava una palese difficoltà relazionale.
In ragione di ciò Walter viveva difficoltà:
a) d’adattamento temporale;
b) d’adattamento spaziale;
c) relazionali.
Potevo intervenire con Walter poiché i miei vissuti, provati durante le sedute
d’osservazione, erano relativamente piacevoli e avevo individuato i mediatori
(strumenti musicali e/o eventi musicali) idonei a intraprendere un ciclo di incontri di
musicoterapia relazionale.
Il progetto d’intervento
In relazione al limitato numero di incontri concesso dall’Ente, alle difficoltà
logistiche e organizzative, e, in particolare, alle riflessioni emerse dopo le
osservazioni, la prassi musicoterapica individuale è stata quindi orientata a ridurre i
verosimili stati di forte disagio emotivo espressi da Walter mediante fughe, fugaci
durate di permanenza e peregrinazioni. In questa prospettiva l’intervento
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musicoterapico è stato articolato in tre fasi: iniziale, intermedia e finale. Ogni fase era
formata da sei sedute. Ciascuna fase rappresentava l’evoluzione del processo
d’intervento, poiché ero ben consapevole che le finalità musicoterapiche prese in
esame potevano essere raggiunte o disattese. In questa prospettiva, in sede di
supervisione, sono stati individuati gli indicatori del processo, ossia gli indici che
volevo rilevare e valutare durante il ciclo dei trattamenti. Gli indicatori mi
consentivano di calibrare le scelte di ogni incontro e al contempo potevo esporre, in
sede di programmazione, l’evoluzione dei trattamenti.
Deodato Rosaria
*Deodato Rosaria, *Dialogo di emozioni in musicoterapia (11/01/2009) pubblicato
in: Musicoterapia e autismo
Deodato Rosaria, Io, Walter e il mondo dell’autismo
( 3/12/2010) pubblicato in: Musicoterapia e autismo
[1] Tischler Björn, Moroder-Tischler Ruth, (1992), Einfach tanzen..., Kiel, Rolf
Dieter Balsies, traduzione italiana: Semplicemente danzare...
[2] Tischler Björn, Moroder-Tischler Ruth, (1992), Einfach tanzen..., Kiel, Rolf
Dieter Balsies, traduzione italiana: Semplicemente danzare...
[3] Tischler Björn, Moroder-Tischler Ruth, (1992), Einfach tanzen..., Kiel, Rolf
Dieter Balsies,traduzione italiana: Semplicemente danzare...
Con tag Musicoterapia e autismo, Deodato Rosaria
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Andrello Roberta, Elaborare il... distacco da Luca
Pubblicato il 8 gennaio 2011
“La musica
è stato il mio primo amore
e sarà anche l’ultimo.
Sia la musica del futuro
che quella del passato.
Vivere senza la musica
sarebbe davvero impossibile.
In questo mondo di problemi
la mia musica mi guarisce…”
John Miles - “MUSIC”
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Sulla base di questi risultati[1] mi sono posta il problema relativo alla chiusura del
trattamento musicoterapico. Inizialmente pensavo che, nonostante fossero terminate
le sedute previste dalla metodica, potesse essere utile continuare a vedere Luca (nome
di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy) per qualche settimana, allo scopo
di consolidare maggiormente i progressi avvenuti e soprattutto col timore che una
separazione in questa fase potesse essere causa di possibili regressioni. In realtà mi
sono anche chiesta se la mia non fosse una stategia difensiva, perché ero io stessa a
non essere in grado di affrontare la separazione. In questo caso la condivisione dei
dati raccolti con la terapeuta che segue Luca e la discussione delle problematiche in
supervisione mi hanno portata ad optare a favore di una chiusura graduale, preparata
durante le ultime sedute, motivata dalla constatazione del raggiungimento
dell’obiettivo proposto e rafforzata dalla considerazione della presenza di un
ambiente favorevole a sostenere e a facilitare i futuri, possibili, piccoli progressi di
Luca. A fronte dei cambiamenti positivi realizzatisi, è doveroso sottolineare le
difficoltà ancora presenti e per le quali sarebbero auspicabili opportuni interventi. In
primo luogo Luca ha difficoltà di inserimento nel gruppo classe, dovute soprattutto al
fatto che i compagni lo hanno “etichettato”, considerandolo il bambino “strano”,
quello che non sa fare le cose che fanno loro, il “più piccolo”, quello che ogni tanto
quando inizia a parlare va avanti da solo raccontando storie non sempre vere, quello
che in una squadra non è tanto forte e non aiuterà a vincere. Inoltre permane la scarsa
considerazione che Luca ha di sé, come bambino che “non sa fare niente”, “stupido”.
Tale opinione è rafforzata dal messaggio implicito nella scarsa considerazione dei
suoi compagni e dal fatto che spesso resta isolato. Ora che Luca ha posto le basi per
riuscire ad entrare in relazione con l’altro da sé, sarebbe a mio avviso utile proporre
un intervento musicoterapico con un piccolo gruppo, che fornisca il contesto
all’interno del quale esercitare e affinare queste abilità nascenti. Gli obiettivi
potrebbero essere quelli dell’ulteriore rafforzamento e miglioramento
dell’integrazione sociale, il miglioramento dell’autostima, il superamento delle
difficoltà di accettazione e di inserimento nel gruppo classe e in generale nel gruppo
dei pari. Luca potrebbe trarne dei vantaggi anche sul piano dell’apprendimento e ciò
potrebbe avere ricadute positive sia ancora sulla sua autostima, sia sulla
rappresentazione mentale e quindi il grado di accettazione che i genitori, già ben
disposti di fronte al cambiamento positivo di Luca, manifestano nei suoi confronti.
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Roberta Andrello
[1]Andrello Roberta, “Io sono una casa senza pareti” (22/12/2010 pubblicato in :
Musicoterapia e ritardo mentale )
Andrello Roberta, La lotta dei fantasmi di Luca (26/11/2010 pubblicato in :
Musicoterapia e ritardo mentale )
Andrello Roberta, I dolorosi vissuti di Luca ( 8/11/2010 pubblicato in : Musicoterapia
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Andrello Roberta, Dall’osservazione di Luca al progetto d’intervento musicoterapico
(14/10/2010 pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale )
Andrello Roberta, L’osservazione musicoterapica di... Luca (24/08/2010 pubblicato
in : Musicoterapia e ritardo mentale )
Andrello Roberta, Alla ricerca degli “elementi” appartenenti alla dimensione sonoro
musicale di Luca ( 9/08/2010 pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale )
Andrello Roberta, Mentre osservo Luca, imparo ad ascoltare me stessa (28/06/2010
pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale )
Andrello Roberta, Dalla teoria alla prassi: l’intervento musicoterapico con Luca (
7/06/2010 pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale )
Andrello Roberta, Uomo, musica e terapia. (17/05/2010 pubblicato in : Musicoterapia
e ritardo mentale )
Andrello Roberta, *Lo sguardo ritrovato... emozioni condivise ( 7/09/2008 pubblicato
in : Musicoterapia e ritardo mentale )
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Bonardi Giangiuseppe, L’osservazione acustica
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Pubblicato il 1 gennaio 2011
La conoscenza dell’essenza, della parte acustica e spirituale di una persona, e di noi
stessi, è strettamente legata alla capacità di ascoltare. L’ascolto non è quindi un atto
superficiale e tantomeno facile da realizzarsi ma è, di fatto, un’intenzione: un atto di
volontà. Ascolto me stesso o l’altro solo se sono in grado e ho voglia di accogliere ciò
che provo o ciò che l’altro vive, esprimendosi... acusticamente. In questa prospettiva
l’osservazione acustica è intesa come atto intenzionale d’accoglienza di sé o dell’altro
da sé volta ad accogliere la propria o l’altrui dimensione sonoro-musicale, ossia
l’essenza della persona stessa e di noi stessi. Sospinto da un sincero spirito di ricerca
della realtà, riservo all’osservazione, in particolare a quella musicoterapica, una
peculiare e adeguata attenzione poiché sono mosso dal desiderio di dimostrare che
detta prassi sia affidabile al pari di altri interventi clinici. Ispirato da un genuino
spirito di ricerca... 'scientifica', la fase iniziale e cruciale del processo musicoterapico
è per me tuttora legata al momento osservativo volto a cogliere le problematiche
vissute dalla persona[1] e ai mezzi (gli strumenti musicali e le musiche) ritenuti
maggiormente idonei ad affrontarle. Le personali osservazioni, riportate con dovizia
di precisione nelle schede di rilevazione, delineano uno scenario osservativo
essenzialmente chiaro, obiettivo... 'scientifico'. Da qualche tempo, la fisica
quantistica, e in particolare Heisenberg[2], ha dimostrato, studiando la posizione e la
velocità di una particella elementare, che l’unico modo per conoscerle era quello di
entrare nello scenario osservativo, alterando, di fatto, la situazione presa in esame.
Anche in musicoterapia osservo, accolgo l’altro in sua presenza e, parafrasando
Heisenberg, altero, di fatto, lo scenario osservativo. Le mie osservazioni non sono
quindi così oggettive come possono apparire, ma hanno anche una dimensione
soggettiva… umana. Osservando, ascoltando, accogliendo l’altro vivo un contrasto
apparente che oscilla tra il desiderio di oggettività e quello di umanità: un monismo
dinamico in cui coesistono dinamicamente sia l’aspetto oggettivo, sia quello non
oggettivabile della realtà che, di fatto, esperisco quotidianamente. Il mio atto
osservativo quindi, per essere completo, deve essere anche acustico poiché il dato
rilevato con oggettiva (osservazione) precisione, per avere significato, si confronta
necessariamente con la sua irrinunciabile dimensione sonora (intersoggettiva). Non
posso limitarmi, ad esempio, a rilevare quale o quali strumenti suona la persona senza
chiedermi il senso acustico sotteso a quella scelta. Che cosa significa quell’atto
'musicale'? Quali dimensioni permeano l’espressività sonora della persona? Quali
sensazioni corporee prova? Quali emozioni, vissuti, esprime? Quali pensieri sta
vivendo in quel momento? La vera difficoltà da affrontare è quella di lasciarmi
guidare dall’antica capacità d’ascolto che, sebbene sopita, riaffiora qualora compia il
difficile viaggio che, partendo dal dato oggettivo rilevato, ossia dalla dimensione
sintattica, si addentra ad accogliere, per quanto sia possibile, le dimensioni (corporea,
emotiva, analogica) sottese nell’altrui misteriosa espressività musicale. Sì, facendo
appello alla sopita attitudine osservativa intuisco con fatica il potenziale acustico
dell’osservazione così ben descritto da Marius Schneider[3] quando lo rintraccia
nell’uomo primitivo, il nostro antenato che viveva nell’epoca megalitica, indicandolo
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come l’antesignano dell’osservatore capace di percepire i fenomeni come realtà
dinamiche, cogliendo in essi l’essenza ‘musicale’ degli stessi, intuendo
pazientemente la loro insita natura ritmica. L’essenza ritmica ci caratterizza;
solamente intuendola scopro la natura duplice dell’atto osservativo poiché mentre
osservo acusticamente, ossia accolgo l’altro, contemporaneamente, ascolto me stesso:
la mia musica interiore che s’incarna, trasudando emozioni... Pertanto la fase iniziale
di conoscenza dell’altro non è altro che ascolto, accoglienza di sé e,
contemporaneamente, dell’altro da sé.
Giangiuseppe Bonardi
[1] Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello
sul Metauro (PU), pag. 27.
[2] Nicola U., (1999), Atlante illustrato di filosofia,pag. 488.
[3] Scheneider M., (1946), Gli animali simbolici e laloro origine musicale nella
mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 25-30.
Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Febbraio Deodato Rosaria, Riflessione conclusiva... breve
Pubblicato il 24 febbraio 2011
L’esperienza musicoterapica[1], fortemente caratterizzata dal “gioco relazionale”
(coinvolgimento emotivo-affettivo), ha migliorato l’attenzione del bambino e
l’intenzionalità comunicativa. Nell’arco delle tre fasi d’incontri musicoterapici, il
tempo in cui il bambino “giocava” (comunicava) “con me” è maggiormente
aumentato, rispetto a quando se ne stava isolato o peregrinava nella stanza. Gli
incontri di verifica, con gli insegnanti e i genitori, hanno evidenziato un maggior
coinvolgimento di Walter (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy)
nelle attività scolastiche e/o nei rapporti familiari. Al termine dell’attività ho
raggiunto quindi: un quantomeno verosimile maggiore livello d’integrazione sociale
rispetto all’inizio dei trattamenti. Personalmente l’esperienza musicoterapica mi ha
permesso altresì di vivere, e di rielaborare, i contenuti appresi durante il mio percorso
musicoterapico.
Approfondimenti bibliografici
Bonardi Giangiuseppe (1998): “Handicap e musicoterapia”, in: <<Scuola
Materna>>, n. 14 – Inserto – 10 Aprile, Editrice La Scuola, Brescia. Ora in:
Bonardi G., (2007), “Dall’ascolto alla musicoterapia”, Progetti Sonori, Mercatello sul
Metauro (PU).
Bonardi Giangiuseppe (1999): “La prassi musicoterapica “relazionale individuale”
” in: <<Scuola Materna>>, n. 14 - Inserto – 10 Aprile, Editrice La Scuola,
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2011
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Brescia. Ora in: Bonardi G., (2007), “Dall’ascolto alla musicoterapia”, Progetti
Sonori, Mercatello sul Metauro (PU).
Bonardi Giangiuseppe, (2001), Osservazione e prassi in musicoterapia, dispensa
laboratorio, Assisi, PCC. Ora in: Bonardi G., (2007), “Dall’ascolto alla
musicoterapia”, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU).
Bowlby John, (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Raffaello
Cortina.
D’Ulisse M. Emerenziana, Polcaro Federica, a cura di, (2000), Musicoterapia e
autismo, Roma, Phoenix.
Cremaschi Trovesi Giulia, (1996), Musicoterapia, arte della comunicazione, Roma,
Edizioni Scientifiche Magi.
Jordan Rita, Powell Stuart, (1997), Autismo e intervento educativo. Comunicazione,
emotività e pensiero, Trento, Erickson.
Rogers Carl R., (1993), Un modo di essere, Firenze, Martinelli.
Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli.
Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati
Boringhieri.
Tischler Björn, Moroder-Tischler Ruth, (1992), Einfach tanzen..., Kiel,
Rolf Dieter Balsies, traduzione italiana: Semplicemente danzare...
Watzlawick P., Beavin J., Jackson D., (1971), Pragmatica della comunicazione
umana, Roma, Astrolabio.
Wing Lorna, (2000), I bambini autistici, Roma, Armando Editore.
Deodato Rosaria
[1] Deodato Rosaria, *Dialogo di emozioni in musicoterapia (11/01/2009) pubblicato
in: Musicoterapia e autismo
Deodato Rosaria, Io, Walter e il mondo dell’autismo (3/12/2010) pubblicato in:
Musicoterapia e autismo
http://musicoterapie.over-blog.com/article-deodato-rosaria-l-evoluzione-del-
processo-musicoterapico-con-walter-64022106.html
Con tag Musicoterapia e autismo, Deodato Rosaria
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Pasinetti Sandra, Modi di essere o modi di esserci?
Pubblicato il 16 febbraio 2011
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La manifestazione dei “modi di essere” e delle “risposte rivolte a sé”, nell’intervento
musicoterapico cui mi riferisco[1], divengono modalità musicoterapiche. Questi modi
e queste risposte determinano “modalità di espressione” se riguardano segnali non
verbali della persona (espressione non verbale), “modalità di espressione sonoro-
musicale” se si riferiscono alla sua sonorità-musicalità, infine, “modalità di
percezione sonoro-musicali” se sono manifestazioni della sua personale disposizione
attentiva alla percezione. Dai “modi di esserci” e dalle “risposte rivolte all’altro”
nascono dinamiche di contatto musicoterapiche. Le situazioni che si riferiscono alla
manifestazione di segnali non verbali rivolti all’altro (atteggiamenti interpersonali)
determinano “dinamiche di produzione” (comunicazione non verbale); quelle che,
invece, sono in relazione con gli aspetti sonoro-musicali resi comuni tra sonorità-
musicalità della persona e del musicoterapista (“aspetti sonoro-musicali congrui”)
riguardano le “dinamiche di produzione sonoro-musicali”; infine, quelle che
avvengono sulla base della personale disposizione attentiva alla ricezione finalizzata
diventano “dinamiche di ascolto sonoro-musicali”. Queste dinamiche riguardano
anche le “risposte rivolte a sé” e ciò significa che il soggetto si trova in una situazione
dove manifesta una disposizione attentiva alla ricezione per ascoltarsi in presenza
dell’altro; questo però non implica necessariamente che sia disposta ad accettare
anche quanto l’altro ha da dirgli. Quindi questa “risposta rivolta a sé” costituisce un
punto d’incertezza dato dal fatto che la persona, se ascolta unicamente sé stessa, si
orienta nella realizzazione di “modalità auto-centrate”, mentre, se ascoltandosi prende
in considerazione anche quanto è proposto dall’altro, crea i presupposti per mettere in
atto “dinamiche di contatto musicoterapico”. Dalle dinamiche di produzione sonoro-
musicale hanno origine “contatti sonoro-musicali musicoterapici” che possono essere
proposti dalla persona o dal musicoterapista e che, in questo senso, riguardano
situazioni caratterizzate dal fatto che la manifestazione dei “modi di esserci” e delle
“risposte rivolte all’altro” avvengono all’interno di un punto di contatto del contesto
musicoterapico. Questo “contatto sonoro-musicale musicoterapico” è un incontro o
uno scambio sonoro-musicale in base alla presenza parziale o totale delle seguenti
componenti che lo distinguono:
occupazione di un punto di contatto nello spazio comune di contatto;
posizione frontale preferibilmente seduta;
presenza del contatto/orientamento oculare.
Il contatto è uno “scambio sonoro-musicale” se riguarda una situazione di reciprocità
tra la persona e il musicoterapista che utilizzano gli strumenti musicali per esprimersi
in contemporaneità o in successione cogliendo anche quanto l’altro propone in
presenza di almeno due delle tre componenti descritte; mentre è un “incontro sonoro
musicale” se si riferisce a una situazione caratterizzata dalla presenza di tutte le tre
componenti.
Modi di essere o di esserci: emozioni vissute
“Modi di essere e/o esserci, risposte rivolte a sé e/o all’altro” vengono presi in
considerazione nel corpo-mente emozionale. L’attribuzione della componente
“emozionale” nasce da una riflessione in cui si tiene in considerazione il fatto che
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l’emozione, secondo Bonardi, è un elemento dinamico della “personale dimensione
sonora musicale” del soggetto ed entra a far parte di un “insieme interrelato” che
comprende anche le sensazioni, le immagini sinestesiche, il grado di competenze
musicali (percezione, comprensione, conoscenze, produzione) e culturali.
L’intervento musicoterapico esperito è stato articolato in conformità a quanto
elaborato sul termine “contatto” inteso come “situazione” caratterizzata dalla
manifestazione dei personali “modi di esserci” e delle personali “risposte rivolte
all’altro”, che avvengono a livello intenzionale, in una dimensione bidirezionale,
considerando l’altro come presenza attiva nello spazio comune di contatto del
contesto musicoterapico in cui si esplicano e si amplificano i “vissuti senso-emotivi”
esperiti dal musicoterapista, le “sensazioni/emozioni e gli atteggiamenti
interpersonali” manifestate dalla persona all’interno di una “direzione emozionale” di
tensione/distensione emotiva. Nel contesto musicoterapico le senso-emozioni sono
colte a livello non verbale. Al riguardo Argyle definisce la comunicazione non
verbale come un “linguaggio del corpo” costituito da “segnali non verbali […]:
segni-gesto, movimenti del capo, direzione dello sguardo, vicinanza e posizione
spaziale, contatto corporeo, orientazione, tono di voce e altri aspetti non verbali del
discorso, abiti e ornamenti del corpo”[2]. Quanto riportato giustifica la scelta di
considerare, nella persona cui era diretto l’intervento musicoterapico, i parametri
tramite cui elaborare un “bilancio psicomotorio globale”[3] del soggetto integrandoli
con i segnali non verbali individuati da Argyle. Da questa integrazione è stato
possibile rilevare l’espressività globale e differenziale del soggetto sulla base della
manifestazione dei seguenti aspetti non verbali provenienti da determinate “aree
corporee”.
Mimica facciale-espressioni del volto
Bocca (rivolta in basso/in alto, con diversi gradi di apertura, che mostra i denti o la
lingua). Sopracciglia (sollevate/aggrottate). Pelle (di colore pallido/acceso, che
traspira o no). Naso (beffardo, narici dilatate). Mimica facciale (mobile/fissa,
tesa/distesa, dolce/severa, autoritaria).
Sguardo
Qualità dello sguardo (vivace, fisso/mobile, sfuggente, dolce/severo, autoritario). A
chi è diretto lo sguardo (al terapista, agli strumenti musicali, allo spazio-ambiente).
Voce
Qualità della voce da un punto di vista acustico (tono alto/basso/neutro
ascendente/discendente), altezza (acuto/grave/medio), ritmo (veloce/lento/con pause
frequenti), intensità (forte/debole/variabile), timbro (gutturale/nasale/rauco). La voce
rispetto alle emozioni può variare in base a: sonorità, velocità, altezza, tono, disturbi
del discorso (o non fluente). Qualità della voce (tono modulato, occasionale, assente,
diretto all’altro, diffuso, diretto a sé). Qualità della emissione vocale/verbale
(frequente/assente, espressiva, non finalizzata alla comunicazione, comunicativa e
rivolta all’esterno, funzionale, usata in modo specifico alla situazione).
Postura
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Aperta/chiusa, prona/supina, verticale/orizzontale, in equilibrio/in disequilibrio, in
tensione/distensione.
Tono muscolare
Alto/basso, chiuso/aperto. Le variazioni toniche possono essere continue, in
crescita/in diminuzione rispetto alla tensione/ distensione.
Respiro
Superficiale/profondo, regolare/irregolare, lento/veloce, con iperventilazione/apnea.
Movimento
Qualità del movimento (ampio/raccolto, lento/veloce, circolare/direzionato,
regolare/irregolare. Movimenti più frequenti (camminare, correre, strisciare,
gattonare, rotolare, cadere). Presenza dei movimenti stereotipati (da rilevare).
Gestualità
Le mani sono usate prevalentemente per manifestare i propri stati d’animo, svolgere
attività sostitutive (da rilevare), additare indicando la direzione dell’attenzione. I gesti
sono usati prevalentemente per illustrare (collegarsi ai discorsi), esprimere stati
d’animo o la propria personalità, mettere in atto dei rituali particolari.
Contatto fisico
Il contatto fisico può essere operato con mani, braccia, bocca, piedi e quindi:
accarezzare, pizzicare, lisciare, stringere, baciare, leccare, toccare, tenere,
abbracciare, calciare, solleticare ecc… L’espressività globale e differenziale è stata
presa in considerazione in un contesto più ampio che possa cogliere il livello di
integrazione del soggetto nel contesto musicoterapico esperito. Argyle afferma che:
“Differenti aree del corpo possono trasmettere diversi aspetti dell’emozione...” e
ritiene, inoltre, le “aree corporee” come parti del corpo tramite le quali i “segnali non
verbali” comunicano le emozioni. In seguito a questa precisazione, gli aspetti non
verbali provenienti da determinate aree corporee sono diventati quindi anche “mezzi-
modi” per rilevare l’espressività per gli atteggiamenti interpersonali manifestati dalla
persona all’interno del contesto musicoterapico. In riferimento alla comunicazione
degli atteggiamenti interpersonali
l’autore individua due “dimensioni
generali”...
“Queste sono le dimensioni
generali degli atteggiamenti
interpersonali […]. Si possono
realizzare combinazioni di
atteggiamento, per esempio una
dominanza esercitata
amichevolmente”[4]. Queste due
dimensioni sono state prese in
considerazione nelle loro singole componenti (“componente emozionale”) rispetto
alla persona cui era rivolto l’intervento musicoterapico tenendo però presente che, in
conseguenza alla loro possibilità di combinarsi, si potevano realizzare situazioni
caratterizzate da ostilità o amichevolezza in presenza anche di
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dominanza/sottomissione. Queste due situazioni sono, inoltre, state rilevate e valutate
in riferimento a una “dimensione emozionale” data da “tensione/distensione
emotiva”. L’ostilità in presenza anche di dominanza o sottomissione è stata
considerata come una situazione di “tensione emotiva”; mentre l’amichevolezza in
presenza anche di dominanza o sottomissione caratterizzava una situazione di
“distensione emotiva”. Nell’intervento musicoterapico ritengo opportuno effettuare
anche una rilevazione-valutazione delle emozioni e delle sensazioni manifestate dalla
persona poiché, trovandosi nel contesto musicoterapico, esperisce una condizione di
ricezione totale: uditiva (orecchio-cervello) e corporeo-sensoriale (somato-fisica). In
questa condizione il sonoro e/o il musicale può essere recepito sia a livello cosciente
(intellettivo, razio-mentale) sia non cosciente (neurovegetativo). In quest’ultimo caso
il suono, colto tramite gli analizzatori sensoriali sparsi sulla pelle, va a influenzare le
funzioni vitali-viscerali riattivando nell’ascoltatore sensazioni (tensione,
rilassamento) ed emozioni (piacere, dispiacere, ecc) che, se rilevate e valutate in
modo adeguato, diventano importanti indicatori dell’evoluzione (in senso positivo o
negativo) del contatto musicoterapico. A mio parere il musicoterapista ha l’obbligo e
il dovere di articolare l’intervento non solo nella massima considerazione delle senso-
emozioni che la persona manifesta ma anche nella consapevolezza di quelle che lui
stesso esperisce (“Autovalutazione musicoterapica”[5]) al fine di riuscire a
comprendere, accettare ed elaborare in modo produttivo e funzionale determinati
vissuti personali che, altrimenti, potrebbero ostacolare e rendere impossibile qualsiasi
tentativo di contatto. Le sensazioni e le emozioni individuate da Bonardi sono state
integrate con altre esperite da me e dalla persona diventando così gli indici di due
schede di rilevazione e valutazione. È possibile ipotizzare che la proposta sonoro-
musicale, nel contesto musicoterapico” esperito con l’esperienza condotta, è stata
accettata o rifiutata dalla persona in base a quanto manifestava nelle sue modalità-
dinamiche di contatto. Il punto d’incertezza individuato nella “risposta rivolte a sé”
come punto in comune tra “modalità musicoterapiche” e “dinamiche di contatto
musicoterapiche” costituisce la possibilità di intervenire come presenza attiva,
effettuando delle proposte o stimolazioni compartecipi con ciò che la persona
manifesta. Se la persona accetta quanto proviene dall’altro (musicoterapista) significa
che lo coinvolge nei suoi personali “modi di esserci e di risposta rivolta all’altro”, se
invece lo rifiuta continua a rimanere nei suoi personali “modi di essere e di risposta
rivolta a sé” escludendo l’altro come presenza in ciò che manifesta. L’accettazione
delle proposte del musicoterapista costituisce dunque il presupposto per la
realizzazione di “contatti musicoterapici”. Può essere caratterizzata da situazioni di
amichevolezza in presenza anche di dominanza o sottomissione che denotano una
certa distensione emotiva data dalla presenza di: espressione a livello motorio verso il
musicoterapista/gli strumenti musicali/la fonte di emissione sonoro-musicale,
avvicinamento, contatto fisico, abbraccio nei confronti del musicoterapista. Al
contrario, il rifiuto di quanto proviene dal musicoterapista denota una situazione di
“distacco (non contatto) ” in cui la persona manifesta i personali “modi di essere e di
risposta rivolta a sé”. Può essere caratterizzato da situazioni di ostilità in presenza
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anche di dominanza e/o sottomissione che denotano una certa tensione emotiva in
presenza di aggressività autodiretta, opposizione rivolta all’ambiente o agli strumenti
musicali, espressività rivolta verso sé, isolamento. “Tensione/distensione emotiva”
devono, quindi, essere considerate due “direzioni emozionali” verso le quali
indirizzare le modalità con cui la persona si esprime in base alle sensazioni/emozioni
che manifesta e agli atteggiamenti che rivolge all’altro (interpersonali). Solo
attraverso l’ “ascolto compartecipe” della sonorità-musicalità-corporeità che
caratterizza la persona, io sarò in grado di cogliere in essa gli “aspetti sonoro-
musicali congrui” alla sua personale sonorità-musicalità-corporeità. Questi “aspetti
sonoro-musicali congrui” diventano mezzi alternativi di comunicazione non verbale
perché sono utilizzati dal musicoterapista al fine di poter dare delle “risposte
compartecipi” basate, in parte, su un suo atteggiamento di autenticità e, in parte, sulla
sua riproduzione per imitazione di quanto viene manifestato-espresso dalla persona in
riferimento anche alla tensione/distensione emotiva che manifesta. Eseguire un
“ascolto/risposta compartecipe” significa porsi in una disposizione attentiva di
ricezione intenzionale e in una condizione di proposta in accettazione della persona
cui è rivolto l’intervento, ossia accogliendo con il massimo rispetto tutto ciò che
manifesta a livello non verbale ed emozionale. L’aspetto relazionale ed emotivo
nell’intervento musicoterapico esperito è stato valutato altresì tenendo presente che le
“metodiche (riabilitative) veicolano tutte le proposte tecniche attraverso le
motivazioni e il coinvolgimento affettivo del paziente al progetto (Perfetti 1986),
coinvolgimento che è in larga parte frutto dell’intesa con il riabilitatore, il quale, in
questo caso, è molto attento alle risposte emotive del paziente ed è a sua volta
portatore all’interno del rapporto di sentimenti ed emozioni proprie […]. Il
riabilitatore non cerca di lavorare sui contenuti interiori del paziente, non accede
alla dimensione simbolica, ma veicola l’affettività attraverso la praticità dei gesti e
azioni”[6].
Sandra Pasinetti
[1]Pasinetti Sandra, Alla ricerca di una metodica musicoterapica personalmente…
autentica, 2011, http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia
e ritardo mentale
[2]Argyle M., Il corpo e il suo linguaggio – Studio sulla comunicazione non verbale,
Zanichelli, Bologna 1978, p. 2.
[3]Cenerini G., Cartacci F., Uno strumento operativo: griglia di osservazione
psicomotoria, tratto dal materiale di studio del corso triennale di formazione per
psicomotricisti, C.P.M., Brescia
[4]Argyle, Il corpo e il suo linguaggio, p. 89.
[5]Bonardi G., L’osservazione musicoterapica con adolescenti e adulti oligofrenici in
ambito socioeducativo, PCC, Assisi 1995, p. VI.
[6] Postacchini, Ricciotti, Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, pp. 59-63
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Deodato Rosaria, L’evoluzione del processo musicoterapico con Walter
Pubblicato il 9 febbraio 2011
In ascolto
Al fine di favorire il massimo adattamento di Walter (nome di fantasia, in
ottemperanza alla legge della privacy) all’ambiente, durante le sedute iniziali ho
mantenuto un’organizzazione dell’habitat musicoterapico pressoché stabile. La
piccola aula era gradevole, ma sovraccarica di stimoli: disegni dei bambini appesi alle
pareti, giochi, palle per rotolare e cerchi. Walter permaneva a lungo (30’- 40’) nella
stanza, assumendo differenti posture, eretta e in movimento, sdraiata a terra o sulle
palle per rotolare. Fortunatamente, dopo i tre incontri iniziali, per innumerevoli
ragioni didattiche, la stanza non è stata più disponibile. L’unico ambiente agibile era
l’aula della classe in cui Walter era inserito, mentre i compagni svolgevano l’attività
motoria in palestra. Titubante ho dovuto fare di necessità virtù e, per fortuna, il
cambiamento si è rivelato positivo perché, riorganizzando l’ambiente, avevo
individuato essenzialmente due spazi: uno esclusivo e privato, in cui Walter
relazionava con sé, l’altro in cui avevano luogo le nostre relazioni sonoro – musicali.
Nel pormi in relazione con Walter, cercavo di “…essere autentica[1]…”,
ascoltando, con la massima attenzione, i miei vissuti per riconoscergli, accoglierli.
In questa prospettiva cercavo “… di prestare attenzione all’altro, rimanendo in stato
disteso e rilassato, per un congruo periodo di tempo[2]…”. Per me non era facile
accogliere le mie emozioni e sensazioni, cercando di distinguere ciò che provavo io
durante la situazione da ciò che l’altro mi comunicava. In ogni caso cercavo di
ascoltare me, al meglio delle mie possibilità, al fine di ascoltare l’altro, “…accettare
così com’è [3]…, quanto proponeva, astenendomi da ogni giudizio, interpretazione e
richiesta, dandogli valore, fiducia nelle sue risorse e potenzialità. Cercavo quindi di
entrare in risonanza con le emozioni del bambino, utilizzando in modo prevalente e
costante la mia voce. Mediante la mia voce, i miei occhi, il mio corpo attuavo la
«…calibrazione…»[4]. Osservavo e, in un certo senso, ricantavo gli aspetti non
verbali della comunicazione di Walter. Le tensioni emotive, manifestate da Walter
con: peregrinazioni, posture erette, uscite, si placavano momentaneamente, quando
Walter si sedeva sulle mie ginocchia e suonava la tastiera. Io improvvisavo un
vocalizzo oscillante tra la “o” e la “e”, dell’ampiezza di un intervallo di terza minore
ascendente e discendente, nell’ambito dell’ottava centrale. Cercavo di rasserenare
Walter, utilizzando l’espressione vocale che avevo rilevato nella fase d’osservazione
musicoterapica e, con mio stupore, aveva per Walter un effetto benefico. In sede di
supervisione, la lettura dei dati rilevati evidenziava l’aspetto dinamico del
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trattamento, denotato dalle innumerevoli non costanti. Per Walter il tempo, lo spazio
e le relazioni erano, probabilmente, vissuti ancora in modo tensivo. Da parte mia
percepivo il carico emotivo di dover stare in ascolto di forti emozioni che, per il
momento, non avevano nome.
Relazioni... sonoro-musicali
Nella fase intermedia, al fine di migliorare il processo musicoterapico, volevo
introdurre alcuni cambiamenti, cercando di non stravolgere l’ambiente. In questa
prospettiva ho mantenuto l’organico strumentale e l’organizzazione dell’ambiente,
mentre ho apportato alcune, ponderate, variazioni all’arredo e agli ascolti musicali. In
sede di supervisione, l’analisi particolareggiata dei miei vissuti, esperiti durante le
sedute, ha permesso di rilevare e valutare la mia autostima. In particolare il costante
senso di sicurezza (adeguatezza), che provavo durante le sedute, favoriva l’ascolto
(accoglienza) del bambino. Ero maggiormente disponibile ad un nuovo suo
avvicinamento, senza cercarlo. Parimenti riuscivo a chiudere l’incontro, vivendo
questo momento con minor ansia. Riuscivo altresì ad accogliere l’angoscia di Walter
quando fuggiva dalla stanza. Ascoltavo le sue grida, lo raggiungevo nel corridoio e,
richiamandolo per nome con forte intensità, mi dava la mano, rientravamo nella
stanza e, a questo punto, dopo averlo affettuosamente salutato, chiudevo l’incontro.
Poco dopo Walter usciva ed era calmo. In tal modo ho compreso la difficoltà e la
fatica di essere per lui un punto di riferimento adeguato, anche nei momenti di crisi.
Dal punto di vista relazionale, l’intervento si è basato sul gioco, «…gioco nella sua
integrità e autenticità, libero da riduttività o dal fatto che possa essere finalizzato ad
altro, gioco attuato per il piacere di condividere un’esperienza insieme…»[5]. Io
interagivo con la dimensione sonoro-musicale di Walter: improvvisavo con la
tastiera, con il tamburo e con gli altri strumentini, accompagnandoli con la voce.
Rispecchiavo tempo–durata, pulsazione, ritmo ed energia delle espressioni del
bambino (uso degli strumenti, movimenti, stereotipie), dando ad esse un valore
affettivo- comunicativo. Non parlavo ma creavo sul momento canzoni che
descrivevano ciò che Walter faceva. Lo chiamavo per nome, gli comunicavo la mia
presenza: fiducia, accettazione e positività. Con il ritmo delle parole, l’intensità e la
melodia cercavo di seguire ciò coglievo nella calibrazione della fisiologia del
bambino. Alcune canzoni sono rimaste delle costanti negli incontri, rappresentando
un momento di familiarità. Quando il bambino era seduto a cavallo su di me alla
tastiera e io mi fermavo, prendeva la mia mano e la portava sui tasti perché
continuassi il gioco. Egli dunque, a suo modo, ascoltava. Lentamente continuavo a
combaciare e andare al passo con lui, improvvisando (matching epacing), mentre
introducevo nel gioco la variazione (leading) e l’equilibrio tra familiarità e novità,
prevedibilità e imprevedibilità, conferma e accoglienza del sé del bambino,
sollecitazione al suo aprirsi all’altro da sé. Con il ricalco «matching» (combaciare) e
«pacing» (andare al passo) creavano il rapporto di fiducia in equilibrio con il
«leading[6]» (guida), introducendo variazioni e novità che favorivano il processo di
differenziazione, non confusione tra me e Walter. Prima di introdurre elementi di
variazione combaciavo, facendo attenzione ai feedback di Walter (calibrazione), che
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mi comunicavano, istante per istante, fino a che punto era importante mantenere e
intensificare il ricalco e fino a che punto potevo attuare il leading. Utilizzando
comunicazioni familiari ottenevo, in Walter, sicurezza, creando la «base sicura»[7],
mentre quando introducevo novità alimentavo la curiosità, attirando l’attenzione
verso il mondo esterno, me. Nel dialogo emergevano altri due importanti parametri,
l’alternanza dei turni che implicava l’ascolto, l’accoglienza di quanto Walter mi
comunicava, e la pertinenza del tempo di risposta. Pian piano scoprivo che nostro il
corpo era il prezioso mediatore delle nostre relazioni. Mentre Walter era a cavallo su
di me e percuoteva con forte intensità il tamburo, ho cominciato a rispondere non più
solo con accordi della tastiera, ma facendogli fare il cavalluccio sulle mie ginocchia e
sentire, attraverso il corpo e la mia voce, la stessa pulsazione e intensità dei suoi
colpi. Il gioco si ripeteva con delle variazioni quali il salto e il solletico sulla pancia.
Walter rideva e la sua risata si udiva chiaramente. La cosa più importante è che lui
percuoteva il tamburo girando contemporaneamente gli occhi verso di me, con
un’intenzione precisa perché aspettava la mia risposta, forse abbozzava una breve,
inattesa, relazione sonoro-musicale. Nel gioco ho introdotto variazioni dinamiche
quando il bambino, in un attimo di esitazione perché guardava me, sfiorava il
tamburo io rallentavo la velocità del movimento delle mie gambe. Allo stesso modo
quando Walter, toccando tutti i pulsanti della tastiera, azionava l’accompagnamento
ritmico (croma, croma, semiminima), che lo aveva sempre spaventato, io
improvvisavo vocalizzi o interrompevo la musica per creare il silenzio, l’attesa e
mantenere viva la sua attenzione. Walter non aveva più paura e iniziava a premere il
pulsante. Così il gioco era guidato un po’ da me un po’ da lui. In queste relazioni
sonoro-musicali il bambino non eseguiva le sue solite stereotipie. Il “gioco del
cavalluccio con variazioni” è diventato evento familiare nei nostri incontri, così come
la canzone che lo precedeva: “Walter suona il tamburo…bum!” (salto sulle
ginocchia).
Relazioni affetive condivise
In relazione ai positivi, seppur limitati, risultati ottenuti nella precedente fase, nel
processo finale volevo approfondire l’aspetto relazionale che assumeva, da parte mia,
una connotazione materna. In questa prospettiva, poiché l’organizzazione
dell’ambiente musicoterapico soddisfaceva entrambe, non ho apportato cambiamenti.
La presenza, la serenità, l’accoglienza e l’adeguatezza, da me provate costantemente
durante ciascun incontro, mi permettevano di interagire al meglio con Walter.
Mediati dai nostri corpi e dalla voce, i “nostri dialoghi” rievocavano ciò che avveniva
“… tra madre e bambino prima che questi acquisisca il linguaggio…”[8]. Agivamo
ciascuno ai segnali dell’altro, improvvisando, influenzandoci reciprocamente. Io non
sapevo come rispondeva Walter alle mie sollecitazioni. Talvolta cambiava
espressione, si ritirava dentro se stesso o era attratto da un oggetto esterno. Mi
lasciavo guidare, modulando i miei comportamenti su quelli di Walter, così
apprendevo man mano a conoscerlo, ad anticiparlo sempre meglio e a rispondere in
modo adeguato. Svolgevo, al meglio delle mie possibilità, una funzione analoga a
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quella originariamente svolta dalla madre, di «organizzazione dei comportamenti
spontanei del bambino»[9]. Talvolta cercavo di diventare uno «specchio
biologico»[10] per il bambino. Pazientemente cercavo di trasformare le
comunicazioni sonore casuali di Walter in qualcosa di maggiormente strutturato.
Personalmente ho riscontrato un’analogia tra le affermazioni di Scardovelli,
riguardanti la relazione madre-bambino, e gli elementi più primitivi della
comunicazione evidenziati dalle ricerche svolte da Daniel Stern. Secondo Stern, il
bambino nei primi due mesi ha la capacità non consapevole e innata, detta percezione
amodale, di cogliere forma (caratteristiche spaziali), intensità e tempo (pulsazione,
durata e ritmo) che Stern chiama «le qualità più globali dell’esperienza»[11], e di
trasferirle da una modalità sensoriale all’altra. Le varie esperienze vengono così
messe in relazione e attraverso la rilevazione di queste costanti, il bambino
sperimenta l’emergere del sé e complementarmente dell’altro da sé. Allo stesso modo
il bambino coglie nei comportamenti e nei sentimenti il modo, il come, cioè gli
«affetti vitali»[12], ad esempio esplodere, crescendo, decrescendo, svanire,
trascorrere. Questo «senso del sé emergente»[13] coesiste con i successivi sensi del
sé che si vanno formando, proprietà diverse dell’esperienza del sé, ciascuna della
quali perdura tutta la vita. Tra i due e i sei mesi si forma il «sé nucleare o fisico»[14]
e complementarmente il senso dell’altro nucleare, interlocutore separato da sé: il
bambino fa esperienza di «essere con un altro regolatore del sè»[15]. In questo
periodo i genitori presentano comportamenti tipici come il linguaggio e le facce
infantili. I giochi seguono il modello del “tema con variazioni”, che mantiene
l’attenzione del bambino (variazioni), il quale può anche identificare le caratteristiche
costanti nei comportamenti interpersonali (familiarità). Il livello di eccitazione del
bambino è regolato reciprocamente da madre e bambino. Questi infatti gira lo
sguardo per interrompere una stimolazione eccessiva e attraverso smorfie e sguardi
ricerca nuovi e più alti livelli di eccitazione. Si può pensare dunque che il bambino
senta la presenza dell’altro come separato e la propria capacità di modificarne il
comportamento. Successivamente tra il settimo e il nono mese il bambino si accorge,
sempre senza esserne necessariamente consapevole, che gli altri pur separati e distinti
da lui, possono avere uno stato mentale simile al suo. Egli diviene in grado di
condividere l’esperienza soggettiva.
Appare così l’«intersoggettività»[16] caratterizzata da:
compartecipazione dell’attenzione, che conduce gradualmente all’attenzione
congiunta: il bambino sente di poter concentrare la sua attenzione su un obiettivo e
che anche la madre può farlo;
compartecipazione delle intenzioni, che implica la volontà e non casualità dei
gesti-comunicazione: il bambino attribuisce all’altro la comprensione della sua
intenzione e la volontà di soddisfarla;
compartecipazione degli affetti, condivisione di un’emozione o di uno stato
d’animo.
Nelle sintonizzazioni affettive la madre legge i sentimenti del bambino nei suoi
comportamenti manifesti e risponde per via transmodale, cogliendo sempre forma,
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intensità e tempo. Ad esempio ad un movimento del bambino segue la risposta della
madre che con la voce ne rispecchia lo sforzo fisico. Nelle sintonizzazioni di
comunione, la madre “è con” il bambino, partecipa, condivide. Nelle sintonizzazioni
volutamente imperfette la madre varia intensità, tempo e forma del proprio
comportamento, provocando l’interruzione o la modificazione di quello del bambino
che coglie così somiglianze e differenze. Le funzioni del sé individuate da Stern e
riguardanti i primi mesi di vita nello sviluppo normale, preverbale e non consapevole,
corrispondono ad alcune modalità di funzionamento dei bambini autistici, come se
questi si fossero fermati lì. Io stessa ho colto analogie con quanto accadeva negli
incontri di musicoterapia con Walter. In particolare è significativo che le qualità cui
si riferisce Stern sono decodificabili in modo naturale prescindendo dal livello di
sviluppo affettivo e cognitivo e costituiscono la struttura stessa della musica e del
suono. «L’apertura di un canale di comunicazione con il bambino autistico sembra
derivare dalla capacità del suono e della musica di riattivare queste modalità di
relazione arcaiche ma ancora presenti nel terapista e nel bambino»[17]. Possiamo
dunque dire che «creando una situazione con il soggetto autistico che rispecchi la
precoce interazione tra il neonato e chi se ne prende cura, si rivivono le primissime
interazioni sociali fondamentali»[18] e ancora che «iniziare il processo comunicativo
dando significato alle espressioni non comunicative del bambino è la base per lo
sviluppo del linguaggio normale e della comunicazione»[19].
Deodato Rosaria
[1] Rogers Carl R., (1993), Un modo di essere, Firenze, Martinelli, p. 101.
[2] Scardovelli Mauro, (1992),Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 51.
[3] Rogers Carl R., (1993), Un modo di essere, Firenze, Martinelli, p. 101.
[4] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 67.
[5] Cremaschi Trovesi Giulia, (1996), Musicoterapia, arte della comunicazione,
Roma, Edizioni Scientifiche Magi, p. 124.
[6] Scardovelli Mauro, (1992),Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 68.
[7] Bowlby John, (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello
Cortina, Milano, p. 109.
[8] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 12.
[9] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 45.
[10] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 46.
[11] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati
Boringhieri, p. 67.
[12] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati
Boringhieri, p. 69.
[13] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati
Boringhieri, p. 75.
[14] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati
Boringhieri, p. 111.
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[15] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati
Boringhieri, p. 116.
[16] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati
Boringhieri, p. 134.
[17] D’Ulisse M. Emerenziana, Polcaro Federica, a cura di, (2000), Musicoterapia e
autismo, Roma, Phoenix, p. 27.
[18] Jordan Rita, Powell Stuart, (1997), Autismo e intervento educativo.
Comunicazione, emotività e pensiero, Trento, Erickson, p. 65.
[19] Jordan Rita, Powell Stuart, (1997), Autismo e intervento educativo.
Comunicazione, emotività e pensiero, Trento, Erickson, p. 89.
Con tag Musicoterapia e autismo, Deodato Rosaria
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Pasinetti Sandra, Alla ricerca di una metodica musicoterapica personalmente...
autentica
Pubblicato il 1 febbraio 2011
Durante la fase iniziale di progettazione dell’esperienza musicoterapica rivolta a una
persona avente ridotte capacità relazionali ho sentito l’esigenza di individuare delle
risposte efficaci e funzionali a queste domande:
che cosa s’intende per musica in ambito musicoterapico?
che cosa s’intende per terapia in ambito musicoterapico?
come si articolano i termini musica e terapia in ambito musicoterapico?
Musica... Per riuscire a individuare risposte plausibili ho analizzato e comparato il
pensiero musicoterapico di Postacchini, e le riflessioni di Bonardi. Bonardi per
definire la musica in ambito musicoterapico utilizza la terminologia Dimensione
Sonoro-Musicale (D.S.M.) ed indica “l’insieme eterogeneo delle sonorità ambientali
(naturali, tecnologiche, familiari) e delle musiche (strutture ritmiche, melodie, canti,
brani musicali) iscritto nel patrimonio mnemonico come risultante delle peculiari
modalità di interazione (percezione ed espressione) elaborate dalla persona nei
riguardi dell’habitat acustico-musicale di appartenenza (area geografica sonoro-
musicale ben precisa […])[1]. Per Bonardi, in ambito musicoterapico
(“terapeutico”), non si fa riferimento a “una musica” ma alle “musiche” perché tutti i
tipi di musica assumono pari dignità purchè appartenga alla persona presa in esame e
siano funzionali ai fini della relazione. Seguendo il pensiero di Schneider M., Bonardi
afferma che le musiche possono essere raggruppate in due categorie:
a) musiche naturali espressive che non soggiacciono a un progetto estetico;
b) musiche che soggiacciono ed un progetto estetico-culturale.
Inoltre ritiene possibile considerare l’espressività sonora della persona (grido, voce,
gesto) come “musica”. In questo senso mi riferisco anche a quanto afferma
Postacchini”: “Il vocabolo musica viene generalmente utilizzato in musicoterapia
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nella sua accezione più ampia, quella corrispondente al significato di “Universo
Sonoro” […]”. Inoltre: “I materiali utilizzati non sono esclusivamente quelli dotati di
una organizzazione formale complessa o di qualità estetiche di particolare rilievo,
bensì anche eventi acustici comuni come sonorità corporee, di oggetti, ambientali
ecc.”[2]
Terapia... Bonardi, tra i diversi significati che possono essere attribuiti al termine
terapia in ambito musicoterapico, pone la sua attenzione a quelli che gli riconoscono
il significato di “curare” la persona, ossia “aiutarla a riattivare modalità
comunicative precedentemente interrotte […], ad attivare un processo interattivo non
verbale tra i poli diadici del sistema relazionale musicoterapico”[3]. Postacchini, in
riferimento al terapeutico in musicoterapia, afferma che: “... si parla di cose che
hanno attinenza con la cura della persona, cioè con la salute, con la malattia e con le
metodiche (terapia-riabilitazione) per migliorare le condizioni di chi è
ammalato”.[4] In merito alle metodiche terapia-riabilitazione e al loro ambito
d’intervento musicoterapico, Postacchini pone anche il problema della definizione dei
rapporti che ci possono essere tra di loro. “L’ambito all’interno del quale si muove
l’intervento riabilitativo è quello del reale […]. La strategia principe della
riabilitazione è quella che chiamiamo un procedere “dal di fuori” [..] perché, a
nostro avviso, si basa su una prassi […], su una struttura esterna ben organizzata,
che viene somministrata all’individuo […] nella convinzione che questi ne possa
assumere gli schemi, le parti, le funzioni, l’armonicità”[5]. Postacchini concentra
l’attenzione sugli interventi a carattere psicoterapico. “L’ambito all’interno del quale
generalmente opera l’intervento psicoterapico è quello del simbolico”. La
psicoterapia è un procedere “dal di dentro”, ossia “si lavora direttamente
sull’emotività e sui processi mentali, consci e inconsci, e quindi massimo è il livello
di coinvolgimento affettivo nella relazione, sia da parte del paziente che da parte del
terapeuta, con tutti i rischi e le necessità di un rigoroso training di formazione per
chi intenda cimentarsi in tale lavoro”[6]. Questa precisazione risulta importante e
fondamentale perché rappresenta per me un tentativo di riflessione finalizzato ad
individuare l’ambito in cui agire con l’intervento musicoterapico esperito. Questo è
avvenuto soprattutto in considerazione del pericolo di favorire l’insorgere di
situazioni emotive regressive non facilmente controllabili in quanto riguardavano il
settore di intervento terapeutico (psicoterapico) del quale, sulla base di una
formazione psicomotoria, non ho competenze adeguate. Ho capito così che
l’atteggiamento da assumere deve/può essere quello di cogliere quanto l’altro vive
“veicolando” le emozioni attraverso il corpo e il movimento.Postacchini afferma che
il termine musicoterapia, essendo composto da due vocaboli, musica e terapia
divisi/uniti da un trattino, indica che il termine musica diviene il “mezzo” attraverso
il quale si opera, mentre il termine terapia indica il “come” avviene il nostro agire.
Sempre in questo contesto Postacchini ha ritenuto corretto parlare di quello che è
stato definito come il tipo di “oggetto” cui può essere rivolto il lavoro musicoterapico
affermando che esso può essere costituito da persone handicappate, tossicodipendenti
o anziane. In particolare la musicoterapia può essere rivolta a persone aventi ritardo
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mentale grave-gravissimo, ridotte o pressoché assenti abilità relazionali[7] e, secondo
la mia esperienza, con notevoli compromissioni a livello delle abilità socio-
emozionali.
Musicoterapia... Per Bonardi risulta fondamentale, dopo aver definito i vocaboli
musica e terapia separatamente, trovare un “nesso” tra loro che stabilisca una
relazione analogica tra la musica e la terapia. “Il nesso che lega la musica alla
terapia è individuabile nella ricerca del sonoro-musicale, caratterizzante la persona
(D.S.M.) che permetta, aiuti (in senso terapeutico), il riattivarsi di modalità
comunicative precocemente interrotte”. Inoltre “[…] lo studio dell’habitat acustico-
musicale di appartenenza del singolo e delle sue peculiari modalità di percezione e di
espressione sonoro-musicale […] (rende) possibile individuare alcuni aspetti della
sua D.S.M. utili a riattivare il processo interattivo non verbale”. Infine: “Porsi in
una situazione musicoterapica significa cercare di attivare le modalità interattive tra
dimensioni sonoro-musicali (D.S.M.) diverse, ossia il complesso costituito da sistemi
acustici-culturali-musicali caratterizzanti i poli della relazione diadica.”[8]
Considerazioni personali... Riflettendo sui concetti presi in esame, ritengo che
l’intervento musicoterapico consenta la ri-attivazione di modalità-dinamiche
musicoterapiche all’interno di uno “spazio comune di contatto” (S.C.C.) tra persona e
musicoterapista considerando la sonorità-musicalità-corporeità che caratterizza
entrambe. Con la terminologia sonorità-musicalità-corporeità intendo l’insieme
interrelato costituito da suoni e dalle musiche appartenenti all’ambiente di vita
quotidiano della persona, dai personali “modi di essere e/o esserci” e dalle personali
“risposte rivolte a sé e/o all’altro”. I “modi di essere e/o esserci” e le “risposte rivolte
a sé e/o all’altro” riguardano l’essenza della persona. I “modi” fanno riferimento
all’attuazione delle modalità di funzionamento degli organi di senso e soprattutto del
movimento e dell’udito; mentre la “relativa inibizione” di queste modalità determina
“risposte” da intendere come “disposizioni attentive alla ricezione”. Con i termini
“modi di essere” e di “risposte rivolta a sé” indico modalità di funzionamento e
disposizioni attentive che avvengono in modo non intenzionale, considerando l’altro
come presenza passiva nel contesto musicoterapico, in una dimensione unidirezionale
(percezione ed espressione rivolte a sé). Con la terminologia “modi di esserci” e di
“risposte rivolta all’altro sé”, indico modalità di funzionamento e disposizioni
attentive che avvengono a livello intenzionale, in presenza attiva dell’altro, in una
dimensione bidirezionale nel contesto musicoterapico (ascolto e produzione rivolte
all’altro da sé). Quando la manifestazione di questi modi avviene escludendo
completamente l’altro da ciò che si sta esprimendo o percependo è possibile
considerare il contesto in cui ci si trova come una dimensione unidirezionale; se, al
contrario, avviene coinvolgendo l’altro allora significa che si sta esperendo una
dimensione bidirezionale.Esclusione e coinvolgimento dell’altro nei personali “modi
di essere e/o esserci” e nelle personali “risposte rivolte a sé e/o all’altro” permettono
anche di chiarire cosa si intende per presenza passiva e/o attiva dell’altro in
riferimento alle modalità di funzionamento soprattutto del movimento, dell’udito e
della loro “relativa inibizione”. Se queste avvengono rifiutando quanto proposto
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dall’altro, allora si parla di una sua presenza passiva e di espressione-percezione; di
converso, se avvengono accettando ciò che proviene dall’altro, si parla di presenza
attiva e di dinamiche basate sulla produzione-ascolto sonoro-musicale. Quindi il
“contesto musicoterapico” diviene una “dimensione” di manifestazione in senso
unidirezionale o bidirezionale dei personali “modi di essere e/o esserci” e delle
personali “risposte rivolte a sé e/o all’altro” che avvengono a livello non intenzionale
o intenzionale, in presenza attiva o passiva dell’altro. All’interno del contesto
musicoterapico si realizza uno “spazio comune di contatto” che prevede la presenza
attiva in una dimensione bidirezionale, a livello intenzionale della persona e del
musicoterapista.Dallo spazio comune di contatto nascono ulteriori fondamentali
estensioni dello stesso (spazio), da considerare come “punti di contatto” tramite i
quali il musicoterapista realizza una congruenza tra la sonorità-musicalità-corporeità
che gli appartiene e quella della persona in relazione alla sua:
a) durata (in termini di secondi e minuti);
b) intensità (forte, media e debole);
c) frequenza (numero di volte in cui accade nella seduta);
d) d)velocità (lenta, intermedia ed elevata);
e) altezza (intesa in alcune situazioni come parametro musicale dal quale ricavare
suoni musicalmente codificabili).
Questi aspetti sonoro-musicali si rendono congrui in seguito alla “risposta” di chi si
trova in una disposizione attentiva di ricezione rivolta alle modalità di funzionamento
di chi, invece, sta esprimendo o percependo qualcosa. In conformità a questa
congruenza è possibile favorire la nascita di un “contatto” tra chi è presente nel
contesto musicoterapico. Con il termine ‘contatto’ mi riferisco ai personali “modi di
esserci” e alle personali “risposte rivolte all’altro” che avvengono a livello
intenzionale, in una dimensione bidirezionale, considerando l’altro come presenza
attiva all’interno di uno spazio comune di contatto del contesto musicoterapico.
Sandra Pasinetti
[1] G. Bonardi, Handicap e Musicoterapia – Osservazione musicoterapica rivolta a
bambini e persone con ritardo mentale grave e gravissimo,in “Scuola Materna”,
n.14-Inserto 10 aprile, Editrice La Scuola, Brescia 1998, p. 11. Ora in: Bonardi G.
(2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro
(PU).
[2] P.L. Postacchini, A. Ricciotti, M. Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, La
Nuova Italia Scientifica, Roma 1997, p. 29.
[3] G. Bonardi, Sul concetto di musicoterapia, in “Brescia Musica”, Anno IX, n. 44 –
Dicembre, Bimestrale di informazione e cultura musicale, Brescia 1994, p.1. Ora in:
Bonardi G. (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul
Metauro (PU).
[4] Postacchini, Ricciotti, Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, p. 59.
[5] Ibid, p. 62.
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[6] Postacchini, Ricciotti, Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, p. 68.
[7] G. Bonardi, La prassi musicoterapica “relazionale individuale”, in “Scuola
Materna”, n.14 – Inserto – 10 aprile, Editrice La Scuola, Brescia 1999, p. I. Ora in:
Bonardi G. (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul
Metauro (PU).
[8] Bonardi, Handicap e Musicoterapia – Osservazione musicoterapica…, p. II. Ora
in: Bonardi G. (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello
sul Metauro (PU).
Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Pasinetti Sandra
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Marzo Bonardi Giangiuseppe, Ritmi accidentali e incidentali in musicoterapia
Pubblicato il 21 marzo 2011
In uno scritto fondamentale[1], Marius Schneider, riferendosi alla straordinaria
capacità osservativa dell’uomo primitivo, espone la sua particolare attitudine
percettiva. Secondo il pensatore alsaziano, il nostro progenitore nel momento in cui si
poneva nello stato osservativo aveva la capacità di cogliere l’essenza ritmica della
realtà fenomenica percepita. In questa prospettiva il nostro antenato, durante
l’osservazione, non era attratto dagli aspetti superficiali che apparivano alla sua vista
e, fatto ancor più rilevante, al suo udito ma la sua attenzione era catturata dalla
percezione dell’essenza acustica di ciò che osservava, ossia la dimensione ritmica
della realtà in cui era immerso. Pertanto la persona, durante l’atto osservativo, era in
grado di distinguere, nel limite del possibile, la propria dimensione ritmica, ossia la
percezione dei ritmi accidentali da quella che proveniva dall’insieme osservato, ossia
i ritmi incidentali. Durante la percezione del ritmo accidentale (sé) e di quello
incidentale (altro da sé), il nostro antenato era attratto da alcune dimensioni: l’ora, il
luogo e l’emozione. “Nel ritmo accidentale, l’ora si riferisce principalmente alla luce
del giorno e al momento preciso dell’osservazione. Il luogo indica il posto dove si è
prodotto il fenomeno osservato. L’emozione corrisponde alla situazione psicologica
soggettiva nella quale si trovava l’osservatore in quel momento.”[2]. Nel ritmo
incidentale, “… l’ora si riferisce al tempo come fattore dinamico e veicolo del ritmo
creativo. … Il luogo … si riferisce… agli stessi ritmi caratteristici che la natura di
questo luogo ha imposto (azioni)… . L’emozione… è… comunicata all’osservatore
dal ritmo dell’oggetto stesso.”[3]. Sebbene la riflessione di Marius Schneider
provenga dall’etnomusicologia, di cui l’alsaziano è ritenuto l’ideatore, a parer mio
può avere feconde implicazioni in ambito musicoterapico. Ripensando alla personale
realtà lavorativa, il contesto musicoterapico in cui opero, è caratterizzato dalla
compresenza dei ritmi accidentali (la mia soggettività) e quelli incidentali che
promanano dalle altre persone presenti. In questa prospettiva, nel processo
musicoterapico, io e la persona coinvolta viviamo il tempo (l’ora) e lo spazio (il
luogo), esprimendo, con gli strumenti musicali, le musiche ascoltate e i silenzi, il
nostro carico emozionale. Ho sempre sottolineato l’importanza di ascoltare e
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accogliere la propria dimensione emozionale[4], cercando di distinguerla nettamente
da ciò che l’altro esprime al fine di evitare dannose proiezioni. In questa prospettiva
mi sono orientato in una scelta radicale, ossia evitare di prendere in esame l’altrui
dimensione emotiva poiché non è verificabile per la mancanza, in queste persone, del
linguaggio verbale che consente una congrua valutazione. L’altrui dimensione
emotiva è però ‘rintracciata’ analizzando le dinamiche relazionali che la persona
esegue nel tempo e nello spazio dell’incontro. Ora, alla luce della stimolante
riflessione schnederiana, ripenso e mi interrogo sul mio modo d’operare. Se l’uomo
primitivo aveva e affinava la capacità di cogliere intuitivamente la dimensione
ritmica propria e altrui, perché è ora così difficile per me, pensatore razionale e
analitico, recepire, senza correre il rischio di falsare il dato preso in esame, la
dimensione emozionale che l’altro esprime con gli strumenti musicali che sceglie?
Una possibile risposta al singolar quesito la posso ritrovare, ancora una volta, nel
contributo schnederiano quando afferma che la percezione ritmica non avviene per
ragionamento analitico ma intuitivamente poiché per “… vivere un ritmo… è
indispensabile abbandonarsi senza riserve a tale ritmo per un tempo molto lungo,
scartando ogni tipo di intervento dell’intelligenza discorsiva.”[5]. In questa
prospettiva forse la mia ricerca deve avvalersi di un atavico e sopito intuito percettivo
da risvegliare con cautela, ossia affidarsi alla ricezione dei ritmi incidentali e, in
particolare, alla dimensione emotiva che li caratterizzano, facendo attenzione a non
confonderli con i miei ritmi accidentali. Ovviamente questa prospettiva di lavoro
privilegia la percezione della dimensione emozionale dei partecipanti, trascurando
apparentemente aspetti maggiormente oggettivi. Dalle iniziali e personali rilevazioni
posso testimoniare che inspiegabilmente i dati oggettivi, caratterizzanti le dimensioni
temporali, spaziali e musicali dell’altrui interlocutore, acquisiscono significato e non
appaiono come freddi indicatori delle evoluzioni del processo musicoterapico anzi lo
avvalorano e lo rendono maggiormente umano se circostanziati alla dimensione
emozionale da cui promanano.
Giangiuseppe Bonardi
[1] Schneider M. (1946), Gli animali simbolici e la loro musicale nella mitologia e
nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 29, 30.
[2] Schneider M. (1946), Op. cit., pag. 29, 30.
[3] Schneider M. (1946), Op. cit., pag. 30.
[4] Bonardi G. (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello
sul Metauro (PU), pag. 38-42.
[5] Schneider M. (1946), Op. cit., pag. 24.
Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Pasinetti Sandra, Dalla teoria alla prassi… musicoterapica
Pubblicato il 14 marzo 2011
L’intervento musicoterapico é stato realizzato presso il Centro-socio-educativo (C. S.
E.) della Valle Sabbia, ossia un servizio di “ospitalità diurna e assistenza qualificata”
a soggetti portatori di handicap con notevoli compromissione nell’autonomia e nelle
funzioni di base che si pone le seguenti finalità prioritarie:
elaborare “programmi educativi che siano sempre più vicini ai bisogni e alle
esigenze personali degli utenti”;
realizzare “progetti educativi individuali orientati al miglioramento delle qualità
della vita”, considerando che, “per qualità della vita si intende il grado di
autonomia, di realizzazione personale e di integrazione sociale di una persona”;
attuare “interventi mirati e personalizzati atti all’acquisizione e al mantenimento
dicapacità comportamentali, cognitive ed affettivo-relazionali, ricercando risorse e
potenzialità dell’utente che consentano di proporre risposte adeguate ad ogni
singola persona”;
individuare e valorizzare le abilità e le capacità personali, che dovranno essere
mantenute e potenziate in relazione agli interessi, alle motivazioni ed alle
specificità di ogni singolo individuo;
sostenere e supportare le famiglie;
sollecitare all’ “integrazione sociale degli utenti, rendendo attuabile la frequenza
di strutture esterne, sportive e sociali, e di realtà territoriali circostanti”[1].
Il progetto educativo individualizzato è la risultante di un lavoro di équipe costituita
da un neuropsichiatra, una psicologa, i coordinatori e gli educatori che operano nel
servizio. In questo lavoro di équipe le rilevazioni-valutazioni, effettuate attraverso
una prima fase di osservazione partecipe che vede il coinvolgimento dell’educatore
nella situazione educativa, vengono integrate ed assemblate in base alle specifiche
aree di abilità mostrate dalla persona e alle adeguate attività organizzate dal servizio.
L’intervento musicoterapico “di contatto sonoro-musicale” può assumere una valenza
complementare e/o integrativa rispetto alle attività di tipo socio-riabilitativo proposte
nel progetto educativo del C.S.E. perché si riferisce a situazioni in cui lo sviluppo di
determinate abilità di base e di autosufficienza viene subordinato al recupero socio-
emozionale della persona. L’intervento musicoterapico di contatto sonoro-musicale è
stato attuato nell’ambito di una significativa compromissione delle abilità socio-
emozionali, con particolare riferimento alle abilità relazionali di base che risultavano
minime a causa dell’insorgere di numerose dinamiche di rifiuto e di isolamento
attuate dalla persona nei confronti di ogni proposta-invito esterno.
Dove, come e… quando
L’intervento, iniziato nel Settembre 1998, prevedeva una durata complessiva di due
anni con termine nel novembre 2000 ma l’assenza definitiva dal servizio di Simona
(nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) ha causato una
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conclusione improvvisa dell’esperienza nel novembre 1999. La progettazione iniziale
era articolata in 75 incontri, mentre effettivamente ne sono stati esperiti solo 57 dei
quali 3 per la fase di osservazione e 54 per la fase di contatto. Da questi incontri sono
esclusi quelli di osservazione ambientale per la ricognizione acustica dei luoghi
maggiormente esperiti dalla persona, avvenuti durante la fase di ricerca, la quale è
stata organizzata in 3 momenti settimanali di 30’/45’ e per una durata di circa 20
giorni. Gli incontri inizialmente avevano una cadenza settimanale, per una durata
prevista fino a 30’, per la fase di osservazione e fino a 45’, per la fase di contatto
sonoro-musicale. La frequenza degli incontri, da settembre 1999, è aumentata al fine
di poter intensificare l’intervento e rendere meno instabile il livello di integrazione
spaziale dimostrato da Simona.
L’équipe di lavoro
La realizzazione di questo progetto di intervento musicoterapico è avvenuto con:
la collaborazione degli esperti dell’équipe interna del servizio, ossia della
coordinatrice, della psicologa;
la supervisione esterna di un musicoterapista (Bonardi G.);
la supervisione esterna di un educatore del servizio laureato in scienze
dell’educazione, nella figura del dottore Martinelli F.
Simona
Simona (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) è una ragazza di
34 anni affetta da cerebropatia che presenta una situazione caratterizzata da un
gravissimo ritardo mentale, cognitivo, con assenza del linguaggio strutturato e da una
significativa compromissione a livello socio-emozionale con aggressività soprattutto
auto diretta che rende le abilità relazionali di base minime.
Simona nel contesto familiare
Simona ha un rapporto “aperto” con quasi tutte le figure familiari, ricerca la loro
attenzione e accetta il contatto con loro. Simona utilizza alcuni gesti particolari per
manifestare bisogni primari o desideri e se non sono soddisfatti, soprattutto quelli in
relazione ai giornali, assume un atteggiamento auto-lesivo. Alla ragazza piace molto
il caffè e mostra un interesse particolare per le riviste; se è tranquilla mette queste
riviste/giornali in ordine sempre in un posto (nel focolare che si trova in cucina);
mentre, se è nervosa, le getta ovunque dopo averle strappate. La ragazza guarda le
riviste in modo molto attento e non vuole lo stesso giornale anche se le viene
proposto a distanza di tempo. I familiari comunicano con Simona verbalmente anche
se lei non ha alcuna forma di linguaggio strutturato e si esprime prevalentemente a
livello gestuale. Simona rimane per molto tempo nel cortile di casa sua stando seduta
in disparte mentre alcuni bambini che conosce giocano tra loro. Con gli estranei la
ragazza mostra un atteggiamento diffidente e si aspetta da loro sempre dei giornali.
Simona nel Centro-socio-educativo
Simona è stata inserita nel C.S.E. gradualmente a partire dal gennaio 1998, una o due
volta la settimana, per circa due ore e accompagnata dalla mamma o da una zia
paterna. Nel mese di Aprile Simona ha iniziato ad essere presente al centro per tutti i
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giorni della settimana dalle ore 9-00 alle ore 15-00. La ragazza giunge al centro
portando con sé i giornali e, durante la giornata, li cambia in continuazione cercandoli
nelle varie stanze. I giornali sono sempre con lei e, quando deve fare qualcosa, li
appoggia in terra accanto a sé, controllando sempre che ci siano ancora.
Generalmente Simona non mostra interesse per gli oggetti che non siano giornali o
riviste e appare molto infastidita se qualcuno li prende o li guarda. In relazione a
questo fatto è capitato, infatti, che cominciasse a piangere o a mostrare segni evidenti
di inquietudine emettendo strani suoni simili a sibili. Durante l’attività educativa la
ragazza solitamente gira per la stanza con i suoi giornali, non si interessa a ciò che
viene proposto e rimane in disparte indifferente a quanto le accade intorno…
Sandra Pasinetti
[1] Cooperativa Sociale CO.GE.S.S., Programma delle attività, ‘97/’98; ‘98/’99.
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Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Singolare riflessione schneideriana… attualissima
Pubblicato il 1 marzo 2011
“(…)
L’uomo attivo e specificamente l’uomo moderno, nel suo pensiero (o estremamente
raffinato o sommamente rozzo e rudimentale), corre sempre il rischio di sviarsi o di
allontanarsi dalle realtà oggettive.
* * *
Perde il contatto diretto con la verità immediata, in quanto è molto più preoccupato
di imporre le proprie idee al mondo circostante che non di conoscere questo mondo.
(…)
Vivere la vita che uno pensa e conformare del tutto la vita pratica alle proprie idee
costituisce certamente l’elemento fondamentale della personalità.
* * *
Pensare le proprie idee non equivale ancora a viverle, perché per essere vissute
devono essere «inghiottite».
* * *
Unicamente quando si raggiunge l’armonia fra l’ideale pensato e gli atti, le verità
possono giungere a cantare.
* * *
L’esattezza con la quale si effettua l’imitazione o la realizzazione dell’ideale informa
il grado di veracità e di intensità di una cultura.
* * *
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Dalla discrepanza fra il pensare (o il parlare) e l’operare risulta una cultura fittizia
che, al massimo, può essere una civiltà.
* * *
In essa le verità non cantano; solo strillano o ammutoliscono.”.
Marius Schneider[1]
[1] Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine nella mitologia e
nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 121, 122.
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Aprile Pasinetti Sandra, L’osservazione di Simona nel contesto musicoterapico
Pubblicato il 30 aprile 2011
L’osservazione (l’accoglienza) musicoterapica è la fase iniziale di approccio nella
quale il soggetto “racconta” di sé a livello sonoro-musicale; un momento delicato
volto in particolare ad “incontrare” la persona cui è rivolto l’intervento in un contesto
il più possibile rassicurante. In relazione ai dati precedentemente rilevati[1] ho
accuratamente scelto e posizionato nella stanza gli strumenti musicali e gli elementi
d’arredo. Ho individuato quindi tre “punti di collocazione” significativi: due punti in
prossimità degli strumenti musicali e un punto dove c’era la fonte di emissione
sonoro-musicale. Durante le tre sedute d’osservazione, Simona (nome di fantasia, in
ottemperanza alla legge della privacy) è rimasta nel contesto musicoterapico per 11’/
12’ al massimo. Standosene eretta o inchinata in prossimità degli strumenti musicali
Simona tendeva prevalentemente ad isolarsi rimanendo in posizione immobile o
dondolandosi a destra o a sinistra. Durante le sedute Simona ha messo in atto gesti
che apparivano carichi di significato e che si sono rivelati sempre gli stessi. La
ragazza, infatti, spesso metteva l’indice di una mano sul palmo dell’altra mano, si
premeva entrambe le mani sulla pancia, tendeva il braccio avanti a sé e teneva per
qualche secondo la mano sulla fronte. Simona ha attuato anche modalità di
osservazione e di aggressività autodiretta. Le prime erano rivolte alla musicoterapista
e alla fonte di emissione sonoro-musicale, mentre le altre avvenivano battendo un
piede a terra e contemporaneamente dando un colpo con la mano aperta davanti a sé
oppure battendo la mano chiusa a pugno sul palmo dell’altra mano. Saltuariamente la
ragazza percuoteva brevemente con le mani o con un battente: le congas, il
tamburello e lo xilofono. Di tanto in tanto Simona emetteva un sibilo più volte
ripetuto e un suono gutturale nel registro medio-grave simile ad una “NA”, rivolgendo
lo sguardo verso di sé oppure nei miei riguardi. La ragazza ha portato con sé i
giornali solo una volta e inoltre ha avuto due reazioni di sorriso anche se non rivolte a
me. Le componenti emozionali che Simona esprimeva nei miei confronti, a livello
delle diverse aree corporee sono state:
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mimica facciale (ostilità con gradiente massimo);
sguardo (dominanza con gradiente massimo);
voce (sottomissione con gradiente medio);
postura (sottomissione e ostilità con gradiente medio);
tono posturale (sottomissione e ostilità con gradiente medio);
respiro (sottomissione con gradiente medio);
movimento (ostilità con gradiente massimo);
gestualità (sottomissione e ostilità con gradiente medio);
contatto fisico (amichevolezza, sottomissione e dominanza con gradiente
minimo).
Gli incontri con Simona non sono stati piacevoli, anzi mi sentivo preoccupata,
insicura, perplessa e rifiutata. Quella breve manciata di minuti era da me vissuta
come un tempo qualitativamente interminabile. Un tempo “presente” in cui ero
dibattuta tra i miei vissuti e il ruolo che dovevo svolgere di osservatrice volto a
cogliere gli aspetti specifici della sonorità-musicalità-corporeità appartenente a
Simona. L’apparente staticità dello scenario osservativo si attenuava qualora
proponevo a Simona l’ascolto delle sonorità e delle musiche da lei conosciute.
Durante l’ascolto Simona orientava il capo guardando verso la fonte di emissione
sonoro-musicale per tutti gli eventi sonoro-musicali proposti. Solamente questo
sguardo rivolto verso la fonte di emissione sonoro-musicale mi rassicurava e mi
balenava in mente che verosimilmente potevo utilizzare questo “materiale” per
trovare dei punti di contatto con Simona. La lettura comparata dei dati rilevati nelle
tre sedute d’osservazione ha evidenziato l’estrema brevità del tempo di incontro.
Pertanto il successivo intervento musicoterapico è stato inizialmente orientato verso
l’ampliamento della durata della seduta, mediante l’adozione degli strumenti
musicali, delle sonorità e delle musiche gradite da Simona. Nella conclusione
inerente la fase di osservazione ho effettuato un’analisi delle modalità di espressione
non verbale e sonoro-musicale che avevo rilevato. Questa analisi è avvenuta sulla
base di schede appositamente elaborate[2] per riuscire ad individuare dei precisi
indicatori determinanti l’inizio dell’intervento musicoterapico, ossia: i mediatori
scelti, la durata, la frequenza, l’intensità, la velocità e l’altezza che caratterizzavano le
modalità espressive di Simona.
Sandra Pasinetti
[1] Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona, 8 aprile 2011,
http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale
[2](Annotazione a cura della redazione di Musicoterapie in… ascolto. A causa delle
notevoli difficoltà di inserimento nel blog dei contributi tecnici menzionati
dall’autrice (simbologia specifica, schede di rilevazione, ecc.), la redazione e la
scrivente hanno concordato che la lettrice o il lettore, interessato alla visione degli
stessi, può contattare direttamente l’autore, scrivendo a [email protected] ).
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Pasinetti Sandra, Alla “ricerca” della dimensione sonoro-musicale di Simona
Pubblicato il 16 aprile 2011
La “ricerca musicoterapica” è la fase preliminare che ha come finalità la raccolta di
informazioni che costituiscono parte del bagaglio mnemonico di esperienze del
soggetto e che risultano preziose per riuscire a cogliere la sua personale sonorità-
musicalità. Questa fase prevede momenti di osservazione ambientale per la
ricognizione acustica degli ambienti maggiormente esperiti dalla persona e, quando
possibile, anche incontri con le figure che accudiscono il soggetto (familiari, parenti,
educatori di riferimento ecc). L’obiettivo specifico di questa fase è quello di rilevare
e raccogliere informazioni utili riguardanti i suoni e le musiche che appartengono
all’ambiente di vita quotidiana della persona in modo, poi, di riproporle nel contesto
musicoterapico al fine di valutare se le modalità di risposta manifestate dalla persona
siano rivolte a sé e/o all’altro da sé. La rilevazione di questa fase dell’intervento
musicoterapico consiste dunque nel raccogliere informazioni tramite colloqui e
ricognizioni acustiche ambientali. Il colloquio permette di effettuare un’intervista
finalizzata a cogliere dati inerenti:
gli ambienti esperiti maggiormente dalla persona;
i luoghi dove la persona permane maggiormente;
le fonti di emissione sonoro-musicali presenti nei luoghi presi in
considerazione;
gli eventi musicali esperiti dalla persona.
Le ricognizioni acustiche ambientali sono la risultante di un’osservazione
tramite la quale cogliere i seguenti aspetti:
orario di rilevazione;
situazione osservata;
organizzazione dell’ambiente;
durata di permanenza della persona;
posture e/o posizioni assunte dalla persona;
fonti di emissione sonoro-musicali presenti nell’ambiente;
espressioni attivate dalla persona;
risposte attivate dalla persona;
espressività per le emozioni/sensazioni manifestata dalla persona secondo una
valenza di piacere o dispiacere;
vissuti senso-emotivi del musicoterapista durante l’osservazione ambientale
secondo una valenza positiva o negativa;
annotazioni rilevate durante la ricognizione.
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Le informazioni inerenti la fase di ricerca sono state raccolte tramite un’intervista alla
madre di Simona (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) e la
rilevazione acustica di alcuni ambienti esperiti quotidianamente da lei nel C.S.E.
Durante il colloquio con la madre ho saputo che Simona vive in una cascina e
solitamente permane in cucina (con la madre), nel bagno, nel cortile o nel prato. In
ragione di ciò Simona, durante la giornata, veniva a contatto con variegate e
circostanziali sonorità caratterizzanti gli ambienti domestici e rurali che io ho cercato
di rilevare con apposite schede. Inoltre la mamma mi ha raccontato che, in passato,
Simona sembrava interessata alle canzoni che ascoltava con la nonna paterna:
“Piemontesina” - “Gioventù” - “Cosa vuoi” - “La storia di Papa Giovanni” – “La
domenica andando alla messa” - “La storia di Ermanno” - “Sulla montagna”. Qualche
anno fa in televisione Simona sembrava attratta dalle sigle di spettacoli e cartoni
animati: “Heidi” - “Remi” - “Portobello” - “Ma che musica maestro”. L’osservazione
rivolta a Simona nel C.S.E. è avvenuta in tre sedute settimanali e mi ha consentito di
rilevare le modalità espressive manifestate dalla ragazza nei riguardi di tre differenti
situazioni e luoghi acustici:
laboratorio educativo;
sala di ritrovo;
mensa.
Il tempo di permanenza di Simona negli ambienti presi in considerazione è risultato
diverso: la ragazza è rimasta nella sala di ritrovo insieme per circa 15’, nel laboratorio
educativo per 30’ e in mensa per 45’. Durante il tempo di osservazione sono state
rilevate, come fonti di emissione sonoro-musicali principalmente presenti, le voci dei
compagni e degli educatori che parlavano tra di loro oppure si rivolgevano a Simona
individualmente. Nel laboratorio educativo, inoltre, sono state proposte anche alcune
sonorità provenienti dallo stereo; mentre nella sala di ritrovo sono state cantate brevi
melodie accompagnate dalla pianola. Tutti questi ambienti avevano, comunque, come
caratteristica acustica comune, un’eccessiva presenza di stimoli sonoro-musicali che,
probabilmente, inducevano Simona a ricercare attivamente l’isolamento oppure ad
assumere atteggiamenti che denotavano ostilità, rifiuto, tensione con scatti etero-
autolesivi. Queste reazioni hanno avuto in me un effetto relativamente negativo dato
probabilmente da una notevole componente di preoccupazione che mi causava
perplessità e tensione. Nonostante ciò ho esperito anche momenti di adeguatezza e
benessere in cui mi sentivo soddisfatta di quello che stato vivendo. Le espressioni che
la ragazza attivava nei confronti degli educatori e dei compagni avvenivano a livello
prevalentemente motorio o visivo, più raramente a livello tattile. Nei riguardi di sé
Simona si esprimeva a livello motorio e vocale.
Sandra Pasinetti
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Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona
Pubblicato il 8 aprile 2011
In riferimento alle “problematiche” modalità relazionali manifestate da Simona
(nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) ho attivato un intervento
musicoterapico volto “alla ricerca, all’osservazione, alla rilevazione, alla
valutazione e all’adozione della sonorità-musicalità appartenenti alla persona al fine
di aiutarla a ri-attivare modalità-dinamiche di contatto sonoro-musicale”. Il progetto
di lavoro è stato quindi articolato in tre momenti consecutivi da considerare come tre
fasi metodiche del processo musicoterapico:
la ricerca;
l’osservazione;
il contatto.
L’analisi qualitativa delle rilevazioni[1]
Per la rilevazione e valutazione delle modalità-dinamiche di contatto musicoterapiche
sono stati utilizzati criteri elaborati da Bonardi G. il quale afferma che: “I dati rilevati
a termine di ciascuna seduta vengono tabulati mediante codici che evidenziano
contemporaneamente le tipologie delle dinamiche relazionali (es. corporea, di
esplorazione ambientale, ecc.) e gli analizzatori (es. motorio, tattile, orale, ecc)
utilizzati dalla persona”[2]. L’analisi qualitativa delle dinamiche relazionali […] è
finalizzata a prendere in considerazione gli elementi specifici che le caratterizzano:
l’azione;
la postura;
la durata;
la frequenza dell’azione durante le sedute;
i mediatori utilizzati (corpo, voce, strumenti);
la modalità (percussione, sfregamento, scuotimento, ecc.);
la struttura (giustapposizione, articolazione di sonorità)
l’intensità (piano, intermedia, forte/ variabile, costante).”[3]
Le modalità e gli attivatori sonoro-musicali sono quindi gli indicatori delle modalità
di espressione-percezione sonoro-musicale manifestate da Simona durante
l’osservazione musicoterapica. L’analisi delle variabili di ciascun indicatore preso in
esame ha permesso altresì l’analisi qualitativa delle modalità-dinamiche di contatto
musicoterapico:
caratteristiche temporali=frequenza, durata (riferite alle modalità-dinamiche di
contatto musicoterapiche);
caratteristiche sonoro-musicali=mediatori (corpo, mano/i, sguardo, voce,
strumenti musicali), modalità (percussione, lancio, sfregamento, scuotimento,
strisciamento), struttura (giustapposizioni, articolazione di sonorità e loro
velocità/valore), forma (articolazione ritmica, melodica, armonica), intensità
(piano, media, forte e variabile/costante);
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caratteristiche spaziali=posizione frontale (tra persona e musicoterapista o
viceversa);
caratteristiche indicative=soggetto propositivo (persona o musicoterapista),
posizione frontale (già indicata come caratteristica spaziale), spazio comune di
contatto (in riferimento alla sua occupazione oppure no), contatto/orientamento
oculare ricercato e sostenuto dalla persona nei riguardi del musicoterapista
(specificazione della sua durata, intensità, frequenza e velocità/valore).
In riferimento agli elementi specifici che caratterizzano le dinamiche relazionali sono
stati individuati determinati simboli, che poi sono diventati codici per precisare le
modalità tramite le quali si realizzavano le espressioni sonoro-musicali e, anche
alcuni numeri, per indicare le posture (fase di osservazione) o le posizioni frontali
rispetto alla musicoterapista (fase di contatto). I codici individuati sono stati riferiti
alle caratteristiche specifiche al fine di ricavare gli indici di una scheda ideata dallo
scrivente per la rilevazione-valutazione delle modalità di espressione sonoro-
musicale (fase di osservazione) e delle dinamiche di espressione sonoro-musicali
(fase di contatto). Le modalità e gli attivatori sono stati considerati in riferimento ai
“sette gruppi di dinamiche relazionali indicanti: isolamento, rifiuto, esplorazione,
espressione sonoro-musicale, interazione tattile, differenziazione, interazione sonoro-
musicale”[4]. Questi indicatori sono stati integrati con le caratteristiche specifiche
precedentemente individuate rendendo così possibile l’elaborazione di una scheda
che è risultata funzionale per l’analisi qualitativa delle modalità di espressione (fase
di osservazione) e delle dinamiche di contatto (fase di contatto). È stata elaborata
anche una scheda per la rilevazione e la valutazione delle dinamiche di contatto
sonoro-musicale considerando le caratteristiche specifiche e alcuni criteri colti da
Bonardi G. in merito alla differenziazione e all'interazione sonoro-musicale che fanno
parte dei sette gruppi di dinamiche relazionali individuate e precedentemente
descritte. Tabulare la fase di ricerca, di osservazione e i cicli della fase di contatto
significava raccogliere dati, a fine seduta, tramite protocolli che contenevano
indicazioni individuate appositamente per poter essere riportate nelle schede di
rilevazione e valutazione al fine di avere indicatori precisi sull’andamento
dell’intervento musicoterapico.
L’analisi quantitativa delle rilevazioni
La rilevazione e la valutazione delle modalità-dinamiche musicoterapiche sonoro-
musicali sono avvenute, non solo da un punto di vista qualitativo, ma, anche, sulla
base di criteri elaborati per effettuare una loro analisi quantitativa. Per l’analisi
quantitativa sono state utilizzate delle tabelle valutative strutturate in modo che, a
partire dalla colonna iniziale, venivano riportati gli indicatori presi in esame e, di
seguito, fossero specificate le sedute che costituivano le fasi dell’intervento
musicoterapico. Inizialmente nella progettazione dell’intervento le fasi di ricerca e di
osservazione sono state strutturate in tre sedute mentre quella di contatto in tre cicli di
24 incontri ciascuno. Ogni 12 incontri (metà ciclo) doveva essere riportato in apposite
colonne sia l’indice numerico (N°), sia il gradiente di valutazione (G). L’indice
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numerico indica il numero di sedute in cui viene rilevato l’indicatore preso in esame;
mentre il gradiente valutativo si ottiene suddividendo le sedute di metà ciclo in tre
gruppi di indici numerici: minimo, medio, massimo. L’indicatore preso in esame
veniva valutato con gradiente:
minimo se rilevato in un indice numerico che era compreso tra 1 e 4 sedute;
medio nel caso in cui l’indice era compreso tra 5 e 8 sedute;
massimo nel caso in cui l’indice era compreso tra 9 e 12 sedute.
I gradienti valutati in ogni 12 incontri, a fine ciclo (24 sedute), dovevano essere
confrontati tra loro al fine di cogliere la loro costanza (C) o non costanza (NC)
riportandola nelle ultime colonne della tabella. In seguito all’interruzione
dell’intervento i cicli della fase di contatto sono stati suddivisi in due “metà” ciascuna
delle quali non era costituita da 12 sedute ma da 9 e gli indicatori presi in esame,
dunque, sono stati valutati con gradiente:
minimo se l’indice valutativo era compreso tra 1 e 3 sedute;
medio se l’indice valutativo era compreso tra 4 e 6 sedute;
massimo se l’indice era compreso tra 7 e 9 sedute.
Sandra Pasinetti
[1](Annotazione a cura della redazione di Musicoterapie in… ascolto
A causa delle notevoli difficoltà di inserimento nel blog dei contributi tecnici
menzionati dall’autrice (simbologia specifica, schede di rilevazione, ecc.), la
redazione e la scrivente hanno concordato che la lettrice o il lettore, interessato alla
visione degli stessi, può contattare direttamente l’autore, scrivendo a
[2]G. Bonardi, L’osservazione musicoterapica con adolescenti e adulti oligofrenici in
ambito socioeducativo, PCC, Assisi 1995, p. VII. Ora in Bonardi G. (207),
Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pag.
96-120.
[3]G. Bonardi, L’osservazione musicoterapica con adolescenti e adulti oligofrenici in
ambito socioeducativo, PCC, Assisi 1995, p. VIII. Dall’ascolto alla musicoterapia,
Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pag. 96-120.
[4]G. Bonardi, Strumenti di informazione e di analisi della prassi osservativa in
musicoterapia, in “Musica & Terapia” Vol. 3, n° 1, 1995, p. 26.
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Maggio Pasinetti Sandra, Alla ricerca dello spazio di contatto con Simona
Pubblicato il 23 maggio 2011
La fase iniziale del trattamento musicoterapico è stata caratterizzata dalla progressiva
definizione dello spazio in cui attivare il contatto tra me e Simona (nome di fantasia,
in ottemperanza alla legge della privacy). In relazione allo spazio la ragazza alternava
momenti in cui si spostava in diverse direzioni all’interno della stanza, ad altri in cui
tendeva a porsi in un angolo prossimo agli strumenti musicali e, rimanendo in
posizione immobile o dondolandosi, rivolgeva lo sguardo verso di me sostenendo un
breve ma intenso contatto oculare. Il contesto musicoterapico inizialmente
organizzato, probabilmente, risultava troppo “aperto” e ciò rendeva difficile riuscire a
delineare uno spazio che comprendeva la mia presenza e quella di Simona in una
dimensione di contatto. All’interno del contesto, infatti, era possibile individuare due
punti, non ancora di contatto, ma idonei per creare una situazione frontale, uno
scambio di sguardi e una disposizione prossimale tra me e Simona. Il primo punto era
localizzato nelle vicinanze degli strumenti musicali e, in esso, venivano favorite
situazioni frontali però non statiche ma dinamiche perché la ragazza tendeva a
mantenere una posizione eretta e a spostarsi in continuazione. Il secondo punto si
trovava vicino alla fonte di emissione sonoro-musicale dove c’erano due sedie che
permettevano di raggiungere una situazione frontale in posizione seduta. Ho cercato
di unire questi due punti in un unico spazio comune di contatto (S.C.C.) modificando
gradualmente la collocazione degli strumenti musicali all’interno del contesto
musicoterapico. Le congas sono state avvicinate alla fonte di emissione sonoro-
musicale considerando che i due punti precedentemente descritti comprendevano
proprio queste due componenti (congas e fonte di emissione sonoro-musicale) le
quali, però, erano troppo lontane tra di loro. La collocazione di due tamburelli, dello
xilofono e di un tamburello basco è stata modificata al fine di riuscire a mantenere
per Simona il riferimento della loro posizione rispetto alle congas. Lo xilofono è stato
posto su un tavolino perché, altrimenti, per essere suonato richiedeva una posizione
inchinata in avanti che escludeva a priori la possibilità di raggiungere una situazione
di scambio o di incontro caratterizzata, soprattutto, da una disposizione corporea che
denotava accoglienza e da un contatto visivo. All’inizio del ciclo iniziale erano
presenti due tamburelli baschi ma poi uno è stato tolto in considerazione del fatto che,
con questo mediatore strumentale, si esprimeva solo Simona e quindi non era
necessario avere la coppia. I tamburelli invece sono rimasti due perché uno di essi
costituiva il mediatore strumentale usato in prevalenza dalla musicoterapista e l’altro
era a disposizione della ragazza per realizzare espressioni sonoro-musicali. É stata
proposta anche una tastiera come nuovo mediatore strumentale al fine di poter fornire
a Simona un ulteriore stimolo per le sue espressioni sonoro-musicali, creando la
possibilità di produrre suoni con durata-valore maggiore rispetto a quelli provenienti
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dagli strumenti musicali a percussione. Lo spazio di contatto è stato delimitato da tre
sedie che sono state disposte in modo che costituissero tre angoli di un triangolo
aperto per poter fare entrare Simona. Due sedie, quindi, sono state disposte
frontalmente ai lati degli strumenti; mentre una sedia è stata messa dietro le congas.
C’è stata la possibilità di cogliere un altro punto di contatto che stava sorgendo vicino
al materassino dopo che questo era stato inserito nel contesto musicoterapico come
nuovo elemento di arredo. L’inserimento di questo nuovo punto di contatto nello
S.C.C. non è stato confermato perché l’intervento musicoterapico ha subito una
conclusione-interruzione inaspettata e improvvisa. Nel contesto musicoterapico è
stato possibile individuare quattro punti di contatto: due punti si trovavano in
prossimità di due angoli della stanza e inizialmente rientravano nello S.C.C., poi sono
rimasti esclusi da quest’ultimo in seguito allo spostamento degli strumenti musicali.
Questi punti di contatto si sono mantenuti per tutto lo svolgimento dell’intervento
musicoterapico anche se, nel ciclo iniziale e in quello finale, alcune volte, sono
risultati invertiti perché Simona stava negli spazi che generalmente erano occupati da
me e viceversa. All’apparenza sembrava che le modifiche apportate al contesto
musicoterapico non provocassero in Simona alcuna reazione particolare né una
maggior spontaneità nel mettere in atto modalità espressive. Gli “inviti” ad usare gli
strumenti che io rivolgevo a Simona risultavano probabilmente troppo “direttivi” e
provocavano in lei atteggiamenti di rifiuto, fuga uniti a stati di aggressività e di
malessere. Il mio atteggiamento voleva essere “accogliente” e “stimolante”, invece
c’era il rischio di farlo diventare troppo autoritario e teso perché era dettato dalla
paura di sbagliare e di creare situazioni che per me sarebbero risultate deludenti.
Quando comunicavo con Simona, sia a livello verbale e non verbale, le trasmettevo
le mie intenzioni in modo “invadente” e la spingevo così a fare necessariamente ciò
che io desideravo. Probabilmente questo atteggiamento molto “insistente” negli inviti
che rivolgevo a Simona mi impediva di cogliere alcune sue “proposte” o addirittura
poteva diventare un elemento che causava un’inibizione delle “iniziative” che la
ragazza aveva. Mi sono, quindi, proposta per il ciclo intermedio dell’intervento
musicoterapico di ascoltare maggiormente Simona evitando di risultare troppo
direttiva, cercando di “accompagnare” ogni sua libera espressione e ponendo
particolare attenzione a tutte le dinamiche che, accuratamente seguite, potevano
portare ad un contatto con lei.
Sandra Pasinetti
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Bonardi Giangiuseppe, Percepire la dimensione emotiva delle interazioni sonoro-
musicali
Pubblicato il 18 maggio 2011
http://www.musicoterapiassisi.it/
http://musicoterapie.over-blog.com/
Assisi 25, 26, 27 luglio 2011
Percepire la dimensione emotiva delle interazioni sonoro-musicali
“Durante una seduta di musicoterapia, utilizziamo gli strumenti musicali e/o le
musiche ascoltate al fine di relazionarci musicalmente con il nostro interlocutore. Gli
strumenti musicali e le musiche ascoltate, nella prassi musicoterapica, sono quindi i
mediatori del processo relazionale. Così con gli strumenti musicali e le musiche
ascoltate mediamo, di fatto, i vissuti esperiti dal terapista e dalla persona. Sì, i
vissuti, provati e/o condivisi, impalpabili come i suoni che eseguiamo, risuonano in
ogni istante del trattamento.”[1]…
Il seminario è rivolto a quanti operano nella relazione d’aiuto, in particolare ai
musicoterapisti, ed è volto ad analizzare la dimensione emotiva sottesa alle
interazioni sonoro-musicali con l’altro e gli altri da sé.
Conduttore: Giangiuseppe Bonardi, Musicoterapista, Formatore e Supervisore,
iscritto all’Associazione Italiana Professionisti della Musicoterapia (A. I. M.),
Docente di Musicoterapia pratica presso il Corso Quadriennale in Musicoterapia della
Pro Civitate Christiana di Assisi (Pg). Ideatore e Responsabile di
http://musicoterapie.over-blog.com/
Per iscrizioni e informazioni: Pro Civitate Christiana Sezione Musica, Via Ancajani,
3 - 06081 Assisi (PG). Tel. 075/812288 E-mail: [email protected]
http://www.musicoterapiassisi.it/
[1]Bonardi Giangiuseppe, (2009) La prassi musicoterapica è, essenzialmente, tempo-
spazio vissuto http://musicoterapie.over-blog.com/
Con tag Corsi convegni seminari ecc
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Pasinetti Sandra, Il contatto sonoro-musicale con Simona
Pubblicato il 8 maggio 2011
Sulla base di elementi specifici rilevati durante la fase di osservazione[1] Simona
(nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) viene sollecitata nella
sua sonorità-musicalità-corporeità ad entrare in contatto in uno spazio comune con la
sonorità-musicalità-corporeità del musicoterapista. A livello teorico[2] questa fase si
articola in 72 sedute della durata massima di 45’ ciascuna, a cadenza settimanale e
suddivise in 3 cicli di 24 incontri: iniziale, intermedio, finale. La realizzazione di
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questa fase dell’intervento musicoterapico prevede, in ogni ciclo che la compone, la
rilevazione di questi indicatori:
1)
ubicazione dei mediatori;
arredo utilizzato;
punti di contatto;
durata di permanenza nel contesto musicoterapico;
posture assunte nel contesto musicoterapico;
2)
mediatori sonoro-musicali proposti;
mediatori sonoro-musicali scelti dalla persona;
mediatori sonoro-musicali scelti dal musicoterapista;
3)
espressioni sonoro-musicali manifestate dalla persona nei riguardi di sé;
espressioni sonoro-musicali manifestate dalla persona nei riguardi dell’altro;
espressioni sonoro-musicali manifestate dalla musicoterapista nei riguardi di
sé;
espressioni sonoro-musicali manifestate dalla musicoterapista nei riguardi
dell’altro;
4)
eventi sonoro-musicali proposti;
durata audizione degli eventi sonoro-musicali proposti;
modalità di risposta manifestate dalla persona;
5)
durata di permanenza nello spazio comune di contatto;
posture assunte nello spazio comune di contatto;
contatto oculare nello spazio comune di contatto;
6)
espressività per le emozioni/sensazioni manifestate dalla persona;
espressività per gli atteggiamenti interpersonali manifestata dalla persona;
7)
il soggetto in relazione al grado di interesse e di partecipazione;
il soggetto in relazione allo spazio;
il soggetto in relazione al tempo;
il soggetto in relazione all’altro;
i vissuti senso-emotivi esperiti dal musicoterapista;
8)
Annotazioni.
La comparazione dei dati rilevati permette di valutare l’andamento dell’esperienza in
base ai seguenti indicatori:
organizzazione del contesto;
costruzione e sviluppo del contesto musicoterapico;
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l’espressività per le emozioni/sensazioni e per gli atteggiamenti interpersonali
in base a una dimensione emozionale tra tensione/distensione emotiva;
l’evoluzione delle relazioni-dinamiche di contatto in riferimento al processo di
integrazione spaziale, temporale, sociale;
l’autovalutazione musicoterapica (vissuti senso-emotivi esperiti dal
musicoterapista secondo una valenza di carica o scarica energetica);
le annotazioni.
In seguito all’interruzione dell’intervento, la fase di contatto si è svolta in 54 incontri
e, quindi, la rilevazione e la valutazione sono avvenute su 3 cicli di 18 sedute.
Sandra Pasinetti
[1]Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona, 8 aprile 2011,
Musicoterapie in... ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in :
Musicoterapia e ritardo mentale
Pasinetti Sandra, Alla “ricerca” della dimensione sonoro-musicale di Simona 16
aprile 2011, Musicoterapie in...ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/ -
Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale
Pasinetti Sandra, L’osservazione di Simona nel contesto musicoterapico, 30 aprile
2011, Musicoterapie in...ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in :
Musicoterapia e ritardo mentale
[2](Annotazione a cura della redazione di Musicoterapie in… ascolto. A causa delle
notevoli difficoltà di inserimento nel blog dei contributi tecnici menzionati
dall’autrice (simbologia specifica, schede di rilevazione, ecc.), la redazione e la
scrivente hanno concordato che la lettrice o il lettore, interessato alla visione degli
stessi, può contattare direttamente l’autore, scrivendo a [email protected] ).
Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Pasinetti Sandra
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Giugno Emozioni (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 27 giugno 2011
Emozioni1 Le emozioni sono “... esperienze soggettive d’intensità rilevante, accompagnate sempre da modificazioni fisiologiche e spesso da modificazioni comportamentali ed espressive dell’organismo2...”.
1 Emozioni (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 27/06/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-emozioni-dizionario-di-musicoterapia-a-c-77037855.html
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Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Pasinetti Sandra, Epilogo del processo musicoterapico con Simona
Pubblicato il 22 giugno 2011
Nei precedenti cicli[1] dell’intervento musicoterapico mi ponevo spesso in ascolto al
fine di creare una situazione favorevole che mi permettesse di essere presente con
Simona (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) nelle dinamiche
di espressione sonoro-musicale che realizzava rivolgendosi prevalentemente a se
stessa. In riferimento al cambiamento di comportamento di Simona, ho pensato di
poter individuare dei “rituali” per i diversi momenti della seduta: entrata, fase
operativa e uscita. La seduta, quindi, si è struttura in modo che il momento iniziale,
l’entrata, coincidesse con un attimo in cui rivolgevo espressioni verbali di
accoglienza a Simona, la fase operativa fosse introdotta con la proposta di eventi
sonoro-musicali e il momento finale, l’uscita, fosse segnalato con un gesto di saluto.
Rabbia, inadeguatezza, preoccupazione e impotenza hanno lasciato il posto alla
sorpresa, alla gioia e alla soddisfazione di vedere che, seduta dopo seduta, in Simona
sono riapparse le modalità espressive che mi avevano permesso di “incontrarmi” con
lei. La ragazza, durante l’audizione, ricominciava a sorridere, a tendere il braccio
verso la fonte di emissione sonoro-musicale, a ricercare la vicinanza in uno spazio
comune a me e ad esprimersi con gli strumenti. Gradualmente Simona ha attivato
dinamiche di contatto che denotavano una maggiore apertura: espressione a livello
motorio, osservazione e avvicinamento. L’espressione a livello motorio era
caratterizzata dalla ripetizione continua di azioni che avevano un significato ben
preciso e che Simona effettuava, soprattutto, verso se stessa anche se erano seguite da
un contatto visivo effettuato nei miei confronti: la ragazza, spesso, ferma in posizione
eretta indicava che aveva un bisogno fisiologico premendosi le mani sulla pancia,
comunicava che aveva sete mettendosi l’indice della mano in bocca, mostrava di
avere un malessere fisico portandosi una mano alla fronte. Simona, alcune volte,
abbandonava il suo mediatore strumentale posizionandolo accuratamente nello S.C.C.
(unico spazio comune di contatto) oppure effettuava alcuni gesti rivolgendosi agli
strumenti musicali verso i quali tendeva il braccio e ripeteva su imitazione anche un
gesto di saluto. Le dinamiche di osservazione che la ragazza effettuava erano rivolte
2 AA. VV., (2006), Enciclopedia tematica. Vol. 14 - Filosofia A-M, RCS Quotidiani, su licenza Garzanti, Milano 2006, p. 302.
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all’ambiente, al musicoterapista, agli strumenti musicali e alla fonte di emissione
sonoro-musicale. L’avvicinamento di Simona nei miei confronti si è verificato
tramite l’accettazione di un battente e di uno strumento musicale che le offrivo
oppure tramite la ricerca del contatto fisico e dell’abbraccio con me.
Contemporaneamente il ciclo finale è stato caratterizzato anche dalla permanenza, in
minima parte, di modalità espressive presenti dalle prime fasi dell’intervento
musicoterapico: isolamento, rifiuto ed aggressività. L’isolamento avveniva
prevalentemente tramite immobilità posturale relativa e alcune volte con
dondolamento del corpo a destra e a sinistra. Il rifiuto era manifestato dalla ragazza
nei confronti di sé con atti di aggressività autodiretta che avvenivano soprattutto
battendo la testa o il pugno contro il muro e i piedi a terra. Simona rivolgeva questo
rifiuto anche all’ambiente lasciando cadere o spingendo una sedia, lanciando i
giornali e tirando un calcio ad un elemento di arredo. Queste stesse azioni alcune
volte avvenivano anche utilizzando uno strumento musicale. Io ho potuto confermare
la mia presenza nelle diverse dinamiche di contatto ponendomi in posizione frontale
rispetto a Simona, sostenendo il contatto oculare che lei stessa ricercava, accettando e
rispettando ciò che emotivamente esprimeva a livello non verbale. In questi momenti,
inoltre, producevo con il tamburello sonorità che mantenevano l’intensità, la durata e
la velocità dell’azione/non-azione messa in atto dalla ragazza utilizzando delle
modalità precise:
le dinamiche di espressione a livello motorio sono state accompagnate
sfregando con la mano la membrana del tamburello;
le dinamiche di rifiuto erano seguite percuotendo dei colpi sul tamburello in
corrispondenza di ogni gesto che era effettuato;
le dinamiche di isolamento sono state accompagnate effettuando
un’espressione a livello verbale o vocale oppure una produzione canora e
scansione ritmica con il tamburello del nome di Simona su intervallo di III^
Maggiore ascendente/discendente a tempo di tre semiminime.
Queste modalità d’accompagnamento, soprattutto quelle rivolte alle dinamiche di
espressione a livello motorio, provocavano in Simona una reazione che si è
manifestava con blocco della motricità, con ricerca del contatto oculare, a volte con
sorriso e avvicinamento fisico maggiore nei miei confronti. Sono stati questi i
momenti che mi hanno permesso di effettuare una proposta sonoro-musicale,
generalmente accettata da Simona che iniziava ad esprimersi a livello strumentale
creando gli scambi sonoro-musicali dai quali hanno avuto origine anche gli incontri
sonoro-musicali. In relazione allo spazio la ragazza inizialmente preferiva rimanere in
un angolo del contesto musicoterapico oppure investiva tutto lo spazio del contesto
musicoterapico. Solo con l’evolversi dell’intervento musicoterapico Simona ha
iniziato ad entrare maggiormente nello S.C.C., dove c’erano gli strumenti musicali e
a rimanervi per gran parte del suo tempo di permanenza nel contesto musicoterapico.
All’interno del contesto musicoterapico, quindi, si è delineato uno “spazio” ben
preciso che prevedeva la mia presenza oltre che quella degli strumenti musicali. La
ragazza dapprima velocemente, poi lentamente, ha investito questo spazio in modo
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discontinuo (movimento + staticità) e ha manifestato il suo modo di essere sonoro-
musicale con me. Io ero riuscita ad entrare in contatto con Simona e ciò era
confermato dal fatto che lei, pur mantenendo nel suo comportamento una certa
componente di evitamento/opposizione, mostrava nei miei confronti amichevolezza,
disponibilità e collaborazione. I segnali non verbali che la persona mi inviava hanno
seguito, per ogni area corporea considerata, delle direzioni delineate dal gradiente
costante con il quale ogni emozione si manifestava. La diminuzione della
sottomissione, dominanza e ostilità da gradiente medio costante, nel ciclo intermedio,
a gradiente minimo costante, nel ciclo finale, ha assunto una valenza positiva ai fini
della comunicazione non verbale e della relazione tra la ragazza e me perché è stata
considerata indice di una maggior distensione emotiva da parte della persona cui era
diretto l’intervento musicoterapico. Simona a livello delle aree corporee prese in
considerazione, ha manifestato segnali non verbali secondo una direzione emozionale
precisa anche per quanto riguarda l’espressione sonoro-musicale e la percezione
sonoro-musicale; infatti l’espressività denotava, nei momenti di espressione sonoro-
musicale, ostilità con sottomissione; nei momenti di percezione sonoro-musicale,
amichevolezza con dominanza. In riferimento alla tensione/distensione emotiva
l’audizione degli eventi sonoro-musicali esperiti della persona nel suo ambiente
familiare determinava un cambiamento nell'atteggiamento interpersonale. Fino a
quando questi eventi sonoro-musicali non erano proposti all’ascolto le reazioni
comportamentali della ragazza denotavano una certa tensione. Simona manifestava
questa emozione con reazioni in cui non accettava la mia vicinanza, né sosteneva
alcun contatto oculare con me. Inoltre l’espressione emotiva del viso risultava tesa
con: bocca rivolta in basso, sopracciglia aggrottate, sguardo severo. Erano messe in
atto numerose dinamiche di espressione a livello motorio che la ragazza rivolgeva a
se stessa. La postura era eretta, in continua tensione, i movimenti del corpo erano
continui e avvenivano a velocità intermedia, intensità forte. Durante l’audizione degli
eventi sonoro-musicali, l’atteggiamento della persona denotava una certa distensione
indice di un cambiamento notevole. Quest’emozione era manifestata tramite reazioni
in cui Simona sosteneva il contatto oculare e fisico accettando la vicinanza con me.
L’espressione emotiva del viso era tranquilla con: bocca sorridente, sopracciglia
rilassate e sguardo dolce. Le dinamiche di espressione a livello motorio che la
ragazza rivolgeva a se stessa diminuivano notevolmente. La postura era rilassata con
una certa immobilità posturale relativa in posizione eretta, seduta o accovacciata
(piegata su ginocchia flesse). Nelle espressioni sonoro-musicali che hanno dato
origine agli scambi sonoro-musicali c’è stata la possibilità di cogliere una certa
tensione. Alcune espressioni sonoro-musicali che Simona ha effettuato negli scambi
sonoro-musicali, infatti, potevano essere interpretate come “attimi di sfogo” e di
manifestazione di uno stato emotivo conflittuale, irrequieto in cui ero presente anche
io perché, molte volte, erano rivolti a me. Quanto appena affermato ha trovato
conferma nell’intensità forte e nella velocità elevata (croma, semicroma) con cui
avvenivano le dinamiche di contatto sonoro-musicale. Nelle espressioni a livello
vocale, può essere ipotizzato che era individuabile una direzione emozionale data dal
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fatto che, in situazione emotiva tesa, Simona si esprimeva a livello vocale
emettendo suoni nasali acuti, ad intensità intermedia e velocità che variava da lenta
ad elevata (croma in caso di suoni ripetuti); mentre, in situazione emotiva rilassata
(distensione), la sua espressione vocale avveniva con suoni gutturali gravi ad
intensità debole e velocità lenta. Per quanto riguarda la tensione-distensione emotiva
le sedute del ciclo finale si sono sviluppate soprattutto dal punto di vista di un
graduale, anche se non completo, rilassamento da parte di Simona che durante
l’audizione degli eventi sonoro-musicali (ascolto sonoro-musicale), raggiungeva una
posizione d'immobilità posturale relativa lasciandosi tranquillamente accarezzare
dalla musicoterapista. Un avvenimento che ha sicuramente inciso sull’evoluzione
della fase di contatto è stato determinato dall’assenza definitiva di Simona dalla
struttura accogliente. L’intervento musicoterapico ha avuto una conclusione-
interruzione inaspettata e improvvisa. La durata delle espressioni sonoro-musicali è
rimasta breve e, di conseguenza, non c’è stata la possibilità di confermare e/o
migliorare il livelli di contatto nei miei confronti. Ciò nonostante Simona ha
raggiunto una buona integrazione a livello spaziale e temporale aumentando anche la
sua durata di permanenza nel contesto musicoterapico da 10’/15’, nel ciclo iniziale e
finale, a 30’/35’ in quello finale. I dettagli riguardanti l’analisi qualitativa e
quantitativa delle modalità di espressione e delle diverse dinamiche di contatto sono
stati inseriti in apposite schede.
Sandra Pasinetti
[1]Pasinetti Sandra, *L'importante é esser-ci... emotivamente
2008http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo
mentale
Pasinetti Sandra, Alla ricerca di una metodica musicoterapica personalmente...
autentica 2011a http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e
ritardo mentale
Pasinetti Sandra, Modi di essere o modi di esserci? 2011b http://musicoterapie.over-
blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale
Pasinetti Sandra, Dalla teoria alla prassi… musicoterapica 2011c
http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale
Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona 2011d
http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale
Pasinetti Sandra, Alla “ricerca” della dimensione sonoro-musicale di Simona 2011e
http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in: Musicoterapia e ritardo mentale
Pasinetti Sandra, L’osservazione di Simona nel contesto musicoterapico 2011f
http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale
Pasinetti Sandra, Il contatto sonoro-musicale con Simona 2011g
http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in: Musicoterapia e ritardo mentale
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Pasinetti Sandra, Alla ricerca dello spazio di contatto con Simona
2011hhttp://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo
mentale
Pasinetti Sandra, Contatti sonoro-musicali con Simona 2011i
http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale
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Tempo (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 17 giugno 2011
Tempo3
Il tempo “… non è altro che la forma del senso interno, ossia l’intuizione di noi stessi e del nostro stato interno4…”. Kant
Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Pasinetti Sandra, Contatti sonoro-musicali con Simona
Pubblicato il 10 giugno 2011
Lo S.C.C. (unico spazio comune di contatto) si è mantenuto intatto dal punto di vista
della sua individuazione all’interno del contesto musicoterapico per tutta la durata
dell’intervento. Nel ciclo intermedio Simona (nome di fantasia, in ottemperanza alla
legge della privacy) ha iniziato ad occupare questo spazio spontaneamente mentre
prima ciò accadeva solo se era stimolata da me. Sembrava che la ragazza
manifestasse il suo “volere/non volere” –“potere/non potere” esprimersi a livello
strumentale avvicinandosi e/o allontanandosi dallo S.C.C. Quando si allontanava, non
solo rifiutava di esprimersi tramite il mediatore strumentale, ma non sempre accettava
anche la mia vicinanza fisica. Nello S.C.C. Simona dapprima si esprimeva a livello
3Tempo (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi), 17/06/2011, http://musicoterapie.over-blog.com/article-tempo-dizionario-di-musicoterapia-a-cura-77037562.html 4Kant I., Critica della Ragion pura, sesta edizione, Laterza, Bari 1977, p.77.
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strumentale senza sostenere alcun contatto né visivo, né corporeo nei miei confronti;
assumeva quindi una posizione inchinata in avanti o si metteva di fianco rispetto a
me, tenendo lo sguardo sugli strumenti musicali, percuoteva con il battente o con le
mani le congas, lo xilofono, il tamburello, il tamburello basco, per brevi attimi, ad
intensità forte e velocità elevata (croma…, semicroma…). La ragazza ha iniziato ad
effettuare delle produzioni sonore, rivolgendosi a me, solamente quando ho potuto
‘coinvolgerla’ all’interno di uno spazio comune utilizzando, come mediatore
strumentale, il tamburello. Solo allora, più volte ho potuto proporre a Simona delle
giustapposizioni di sonorità ad intensità forte e velocità elevata (croma, semicroma) e
lei rispondeva con le mie stesse modalità, percuotendo lo stesso strumento anche se
rifiutava di tenerlo e preferiva che rimanesse nelle mie mani. Simona, posta nel
contesto musicoterapico, iniziava ad “aprirsi” utilizzando per esprimersi, non solo gli
strumenti musicali, ma, anche, la sua voce. In seguito all’individuazione di un
intervallo di V^ Giusta e di III^ Maggiore, nell’emissione vocale che Simona
effettuava con maggior frequenza, ho proposto espressioni sonoro-musicali con
uguale velocità, durata, intensità e utilizzando suoni compresi in questi intervalli
producendoli in forma melodica ascendente/discendente. La mia proposta canora e la
scansione ritmica strumentale del nome di Simona sull’intervallo di III^ Maggiore
(do/mi/do) su un tempo di tre semiminime, ha suscitato in Simona un sorriso,
unitamente alla ricerca del contatto visivo. Utilizzavo questa proposta come “invito-
richiamo” rivolto a Simona soprattutto quando tendeva ad isolarsi. Tutte le
espressioni a livello strumentale, vocale e canoro che sorgevano da me o da Simona,
in modo, dapprima, casuale e, poi, sempre più ‘ricercato’, sono diventate, nel tempo,
delle vere e proprie dinamiche con le quali esperire attivamente uno spazio che stava
diventando comune. Simona accettava maggiormente di esprimersi a livello sonoro
con il suo mediatore strumentale (congas o xilofono) e condivideva il momento con
me. Io e Simona percuotevano in contemporaneità o in successione ognuna il nostro
mediatore, tenendolo in mano, mentre prima ciò avveniva percuotendo un unico
mediatore (il tamburello) tenuto generalmente in mano da me perché la ragazza non
lo voleva. Progressivamente è aumentato il tempo di permanenza nello spazio
comune di contatto di Simona che appariva più spontanea nelle sue produzioni
strumentali e sembrava esplorare il mondo sonoro alla ricerca di variazioni che
riguardavano l’intensità la durata, la velocità e l’altezza dei suoni. La ragazza, infatti,
ha effettuato un primo approccio alla tastiera producendo suoni ad intensità minore e
velocità lenta (minima, semibreve), mentre, solitamente utilizzava gli strumenti a
percussione dando origine a sonorità con caratteristiche opposte. Un’ espressione a
livello strumentale effettuata da Simona è sorta su imitazione di quanto io avevo
prodotto sulla coppia di conga, con i battenti, per una durata di 3”, ad intensità piano
e velocità elevata (croma/semicroma). Un’altra espressione di Simona è avvenuta “su
imitazione” di una modalità che io generalmente utilizzavo per seguire le dinamiche
di espressione a livello motorio: la ragazza si è premuta le mani sulla pancia per
indicare un bisogno fisiologico ed era “seguita”, sfregando con una mano la
membrana del tamburello, da me che, dopo essere stata osservata per un breve attimo,
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sono stata imitata sul tamburello basco. Si sono verificate situazioni in cui io, dopo
aver “accompagnato” Simona nelle sue espressioni sonoro-musicali, continuavo a
produrre sonorità senza interruzioni né modifiche dell’intensità, della velocità e della
durata. In seguito a quest’atteggiamento Simona ha ripreso la sua espressione a
livello strumentale fermandosi e poi ricominciando più volte. Il clima di esplorazione,
di osservazione e di proposte/risposte tra me e Simona all’interno di uno S.C.C. ha
portato alla realizzazione di numerosi scambi sonoro-musicali caratterizzati dalla
produzione, in contemporaneità o in successione, di sonorità percuotendo con la
mano o con un battente il tamburello e lo xilofono. Simona in queste occasioni di
scambio assumeva senza difficoltà una posizione seduta frontale; mentre i rari
contatti visivi, che ricercava e sosteneva con me, avvenivano non in contemporaneità
con la produzione strumentale e avevano una durata breve (da 1” a 20”), un’intensità
medio-forte e una velocità medio-lenta (semiminima, minima e semibreve). Io mi
sentivo piacevolmente adeguata; esperivo in modo positivo la dimensione di scambio
che si era creata tra me e Simona probabilmente rassicurata dal fatto che anche la
ragazza appariva molto disponibile e cordiale, con un atteggiamento di
amichevolezza e accettazione nei miei confronti. La situazione che caratterizzava il
contesto musicoterapico è risultata dunque favorevole per l’insorgere di incontri
sonoro-musicali significativi che, in parte, hanno avuto origine da scambi proposti
soprattutto da Simona nello S.C.C. e, in parte, erano basati su un mio atteggiamento
di autenticità in cui attuavo meccanismi di riproduzione su imitazione esatta di
quanto era prodotto dalla ragazza a livello sonoro-musicale. Simona si è seduta in
posizione frontale rispetto a me e, con un’espressione del viso molto dolce e tenera, si
è avvicinata lentamente al mio viso fino ad effettuare, per qualche minuto, un
contatto molto intimo con me che è avvenuto bocca-bocca, fronte-fronte o naso-naso.
Tra me e la ragazza, come mediatore strumentale, c’era un tamburello che, in un
incontro, era appoggiato sullo xilofono, mentre, in un altro, era tenuto in mano sia da
Simona che da me. Simona ha ricercato e sostenuto nei miei confronti un contatto
visivo lento e molto intenso mentre percuoteva con me il tamburello producendo
sonorità ad intensità intermedia, velocità elevata (croma, semicroma), per circa 10”
nel primo incontro e 5” nel secondo. Un incontro sonoro-musicale è avvenuto in
posizione eretta frontaleed è stato preceduto da Simona che, rivolgendomi un sorriso,
mi ha preso lentamente la mano per tenerla nella sua in modo molto delicato. Dopo
aver ricercato nei miei confronti un contatto visivo, la ragazza ha accettato i battenti
che io le offrivo e ha iniziato a percuotere le congas. Io accompagnavo Simona
utilizzando il tamburello e, con lei, producevo sonorità che avevano una durata,
un’intensità e una velocità molto simile a quelle degli incontri precedentemente
descritti. Durante il ciclo intermedio si è confermato un altro incontro sonoro-
musicale proposto da me che, trovandomi in posizione seduta frontale con Simona,
ho prodotto, insieme a lei, sonorità leggermente diverse rispetto a quelle con cui, di
solito, avvenivano le espressioni a livello strumentale. Queste sonorità, infatti,
avevano un’intensità variabile e una durata maggiore. In questa occasione è stato
utilizzato un unico mediatore strumentale, ossia il tamburello tenuto in mano da me.
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Verso la fine del ciclo intermedio Simona ha iniziato ad essere presente nel contesto
musicoterapico in modo palesemente diverso rispetto alle modalità che,
generalmente, aveva manifestato. Il comportamento della ragazza denotava una
profonda sofferenza non solo a livello emotivo ma anche fisico, con notevole
sonnolenza, pallore e stati di malessere. Mi sento veramente preoccupata di fronte a
Simona che, in posizione accovacciata, teneva la testa tra le mani o la appoggiava
sulle mie spalle e mi rivolgeva uno sguardo “spento”, senza avere una minima
reazione motoria per istanti che mi sembravano un’eternità. Mi arrabbiavo con me
stessa per l’impotenza che provavo in quanto ero consapevole che lo stato emotivo di
Simona non dipendeva da me, né da quello che accadeva durante il momento
dell’intervento musicoterapico, ma doveva essere collegato a problematici fattori
esterni di fronte ai quali si poteva fare ben poco. L’unico segnale, da prendere in
considerazione per riuscire a essere presente nello stato di “apparente isolamento” di
Simona, era lo sguardo che rivolgeva a me e alla fonte di emissione sonoro-musicale
durante la proposta delle sonorità e delle musiche che le appartenevano. In relazione
a questo ho pensato che fosse opportuno intensificare l’intervento musicoterapico
strutturando il ciclo finale in due/tre sedute settimanali. In questo modo pensavo di
riuscire a riattivare i limitati livelli di adattamento e facilitare la permanenza di
Simona nel contesto musicoterapico proponendo l’ascolto degli eventi sonoro-
musicali a lei graditi.
Sandra Pasinetti
Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Pasinetti Sandra
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De Martino Giuseppina, Se fossi il medico dell’anima?
Pubblicato il 1 giugno 2011
L’idea di potermi somministrare, un giorno a qualcuno, nella speranza di rendergli
meno tedioso il suo temporaneo soggiorno mi affascina ed allo stesso tempo mi
responsabilizza. L’idea di poter veicolare qualcosa che non conosco bene mi porta a
desiderare l’approfondimento della mia conoscenza, ed è esattamente quello che
faccio da quando ho avuto le prime esperienze di aiuto. Facendo il medico, spesso mi
capita di dover alleviare la sofferenza e molte volte non è questione di analgesico, in
una società che somministrerebbe anche l’amore in pillole, se si potessero vendere, a
volte risulta davvero difficile spiegare perché si muore o ci si ammala, eppure
bisogna provarci. L’altro giorno ero seduta davanti al mio pianoforte e riflettevo sul
tempo, sul ritmo, cercando di comprendere perché quel compositore avesse scelto
una combinazione così particolare di ritmi e suoni, poi ho provato un’emozione, ero
soddisfatta e felice e mi sono chiesta:<< È forse questo che voleva trasmettere? >>.
Quando inizio a suonare un brano è come se iniziassi una conversazione con il suo
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compositore, non so spiegare esattamente ciò che accade ma a volte ho la netta
sensazione di rivivere in quella melodia un’emozione, augurandomi che sia la stessa
provata dall’autore in un tempo passato e se trovo conferma allora dico : << È
questo che S. Agostino intendeva con il manifestarsi dell’immortalità dell’anima?
>>. Per me suonare una partitura é come relazionarmi al suo autore, non è semplice
da spiegare a parole ma credo che nella composizione ci sia l’anima di chi l’ha
scritta e l’emozione di quel momento che resta immutata nel tempo. La musica
dunque può conservare inalterata nei secoli il segreto di un’emozione impressa e che
viene dall’anima? Ne è dunque lei la custode? Chissà, forse per scoprirlo
bisognerebbe lasciarsi avvolgere dalle onde di una melodia e perché no, magari
provare ad esprimerne una propria, con la certezza che di qualunque suono si tratti è
certamente ciò che viene da dentro, un dentro che esprime qualcosa di importante, di
condivisibile, con cui possiamo relazionarci per una volta senza parole… Ebbene
siamo giunti al cuore, all’essenza di ciò che spesso accade a coloro che sentono
vicino il momento di salutarci, non ci sono parole ma profondi ed assordanti silenzi
che lasciano pagine bianche sulle quali scrivere infinite emozioni o pentagrammi da
riempire. Quanto è difficile raccontare e raccontarsi ma come diventa bello
trasformare il proprio vissuto in una melodia, in una poesia, in un canto o in un
dipinto; arte espressione dell’anima. Quando ho salutato mio padre, ho riscoperto la
musica che avevo accantonato, troppi gli impegni di lavoro e studio, troppe le
responsabilità, piccole infingarde e meschine senza che me ne rendessi conto
avevano sottratto tutta la mia energia vitale relegandomi in un angolino dal quale a
malapena riuscivo ad intravedermi e così malconcia me ne andavo in giro per il
mondo illudendomi di essere me stessa. Quanto ho amato ed amo tuttora i miei
genitori, quando tre anni fa’ ho salutato anche mio padre, ho voluto stargli vicino
fino all’ultimo istante, ricordo di aver azzardato anche un timido:<< Coraggio, va
bene così vai avanti, segui la luce>>. Chissà perché gli dicevo così, eppure non sono
mai morta, da dove ho preso quelle istruzioni che gli ho dato con tanta sicurezza? La
risposta è giunta qualche giorno fa con una considerazione che ho scritto nella
speranza di poter rendere onore a qualcuno.
Non ci è dato sapere
Vivere sapendo di essere un mantice attivo dal primo all’ultimo respiro con un inizio
ed una fine. Con l’inizio riempio, con la fine svuoto, ma cosa esattamente? Non mi è
dato sapere! Apparentemente sembra si parli di un contenitore, ma è il contenitore
che esisteva o e’ l’atto che ha generato il termine? Sono esatti i termini riempire e
svuotare? Non ci è dato sapere! Oltretutto non sappiamo quanto tempo restiamo dal
momento in cui riempiamo fino a quello in cui svuotiamo e chi o cosa siamo e/o
svuotiamo ammesso che lo facciamo! Con questa semplice domanda parte il treno
che mi condurrà là dove il tempo e lo spazio offriranno il geoide intorno al quale
infinite domande orbiteranno generate da pensieri, intuizioni, considerazioni,
affermazioni, figlie dell’incertezza della nostra condizione. Chi guiderà il treno? Non
lo so, ma so che a un certo punto parte. Parte con un respiro e con un respiro finisce,
non conosco l’inizio né la fine di quest’avventura ma vivo un’emozione che dura
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l’intero viaggio e ciò mi dovrebbe bastare e soddisfare. La durata del viaggio varia
da pochi istanti a più di cent’anni mentre il traguardo è sempre lo stesso e che sia
penoso o meno lo decidono cultura ed habitat altro non so. Ma perché il tempo è così
importante? E soprattutto cos’è? Alcuni dicono il ricavato di un’equazione V = S/T.
Così sembrerebbe che il tempo sia qualcosa che dipende dalla velocità con la quale
si percorre uno spazio. Allora anche la nostra vita è uno spazio che si può percorrere
con una velocità variabile? Cosicché c’è chi vive un giorno e chi tantissimi anni?
Siamo massi e meteore con il medesimo destino! E tutto questo finché rispondiamo
alle leggi materiali che questa forma corporea ci impone ma se improvvisamente
cambiassimo forma e da corpi più o meno belli diventassimo quella cosa chiamata
luce che gli scienziati studiano da anni cercando di capire perché a volte si comporta
come se fosse fatta di corpuscoli ed altre volte no, la velocità con la quale ci
muoveremmo sarebbe sempre la stessa? Sto fantasticando lo so, ma se per un attimo
accettassimo questa ipotesi come possibile, allora l’anima che i teologi e gli
spiritualisti riconoscono come fatta di luce, sarebbe una forma diversa con la quale
muoversi e nella morte forse ne ritroviamo la dimensione? Ancora una volta non ci è
dato sapere! Vivere nell’ignoranza sembrerebbe essere il nostro attuale destino e
ribellandoci rischiamo di rendere penoso l’intero viaggio, sarà questo il motivo per il
quale molti alla fine scelgono di giocare a pallone o a basket o decidono di fare
qualsiasi altra cosa purché s’inganni il tempo,è esattamente così? Come quando
facciamo giocare i nostri bambini nel treno o su qualsiasi altro mezzo,per distrarli e
non farli annoiare? E che fra i tanti possibili modi per distrarsi ci sia anche la
guerra?non posso crederci mi sembra assurdo, scegliere di ammazzare o di farsi
ammazzare mentre aspettiamo di morire! Siamo pazzi? O semplicemente molto
sofferenti? Il che sarebbe a dire quasi la stessa cosa! Aggiungerei un commento anzi
un’altra domanda e cioè siamo davvero così certi che morte sia uguale a fine, dove
per fine intendo dire fine di tutto ovvero quella deprimente sensazione di assenza
totale di ogni cosa ma soprattutto di noi stessi? E se per caso il fatidico giorno
dovesse essere tutt’altro che questo,non è un vero peccato l’avere scelto di vivere la
nostra breve apparenza in modo così penoso? Non mi resta che meditare…
In altre parole
Vivo sapendo di avere un tempo a disposizione come tutti e so che questo tempo è
prezioso e non andrebbe sprecato, quando ero giovane avevo paura e per molti anni
ho creduto che morire da giovani fosse stato peggio che morire da vecchi, poi ho
scoperto che di fronte a questo evento ineluttabile il tempo non esiste, perlomeno per
come lo si intende noi,non mi sono meravigliata più di tanto quando nelle librerie la
mia attenzione è caduta su Einstein e la spiegazione per comuni mortali della teoria
della relatività, per l'ennesima volta, l'essenza di coloro che sono stati ed hanno a
lungo pensato in questa forma, mi è venuta in soccorso, aggiungendo qualcosa di
banale, forse per qualcuno, ma che a me ha dato la forza per sostenere il peso di una
morte giovane, di malattia o accidentale che sia. Lo so che certi discorsi di fronte ad
una madre che ha appena perso il figlio sedicenne per un assurdo incidente, o per il
padre che ha visto spegnersi il figlio poco meno che trentenne a causa del cancro,
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suonano come una specie di tortura, ma so anche che dopo che è passato un certo
tempo, accade qualcosa, non saprei dire esattamente cosa, forse ci ricordiamo che
siamo di passaggio in questa forma, i genitori saggi dimenticano di ricordare questo
ai propri figli come se fosse ingiusto strapparli alla meravigliosa spensieratezza dei
loro giovani anni ma quando il momento di lasciare questa forma si avvicina, ti chiedi
perché di morte non si è mai parlato, il fatto è che non ci rendiamo conto che il tempo
segue le sue leggi, quando i preti parlano di luce eterna si riferiscono alla stessa luce
analizzata da Einstein? Se lo scorrere del tempo è relativo al mezzo nel quale
viaggiamo e se l'anima ed il corpo sono due mezzi diversi, il corpo è più lento
dell'anima,e l'anima per i teologi ha molto a che vedere con la luce, forse l'anima ha
un tempo diverso perché è fatta di luce? È semplicemente un mezzo con il quale si
viaggia più velocemente? Se ci osserviamo muovendoci alla velocità della luce tutto
ci appare statico e immobile, se è vero che siamo fatti d’altro oltre che di materia,
questo qualcos’altro potrebbe non essere soggetto alle leggi conosciute? Se così fosse
che differenza c'è tra un vecchio ed un giovane che muore? Oserei dire nessuna, lo so
che sto rischiando, perché, la cosa più difficile è riuscire ad andare oltre il corpo e le
leggi materiali che lo governano, soltanto così, facendo il gioco del chi (simile al
gioco del perché di quando eravamo bambini) riusciamo ad arrivare in cima alla
piramide oltre la quale per alcuni c’è Dio per altri l’esistenza, in altri termini ciò che
non ci è dato sapere, perlomeno in questa forma, ed è con grande umiltà che mi
accingo a farle onore.
Giuseppina De Martino
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Luglio
Sentimento (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi) Pubblicato
il 28 luglio 2011
Sentimento5 “... dal latino medievale sentimentu(m), derivazione del classico sentīre, ‘sentire’, (ossia) ... avere coscienza di un proprio stato interiore, di una determinata situazione emotiva ... (e/o sensoriale)”6.
Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
5Sentimento (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 28/07/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-sentimento-dizionario-di-musicoterapia-a-78404702.html
6 AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, p. 1778.
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Affetti vitali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)
Pubblicato il 24 luglio 2011
Affetti vitali7 “ ... attivazioni emozionali senza nome coincidenti con il processo dinamico della vita stessa ... (ossia), fluttuare, svanire, trascorrere, esplodere, crescendo, decrescendo, gonfio, esaurito8, ...”. Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Affetti categoriali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)
Pubblicato il 21 luglio 2011
Affetti categoriali9 “ ... emozioni “discrete” o nominabili ... felicità, tristezza, rabbia, paura, disgusto, sorpresa, interesse, vergogna10 ...”.
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7 Affetti vitali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe), 24 luglio 2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-affetti-vitali-dizionario-di-musicoterap-78327319.html 8 Postacchini P.L., In viaggio attraverso la musicoterapia, Cosmopolis, Torino 2006, p. 138. 9 Affetti categoriali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe), 21 luglio 2011, Musicoterapie in…ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-affetti-categoriali-dizionario-di-musico-78327194.html
10 Postacchini P.L., In viaggio attraverso la musicoterapia, Cosmopolis, Torino 2006, p. 138.
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Affetto, (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)
Pubblicato il 18 luglio 2011
Affetto11 “... sentimento di vivo attaccamento a una persona o a una cosa12 ...”.
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Dimensioni d'ascolto (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 15 luglio 2011
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Affetto, (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe), 18 luglio, 2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-affetto-dizionario-di-musicoterapia-a-cu-78326455.html
12 AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, p. 40.
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Greco Marina, Il recupero dell’ascolto nella psicoanalisi di Freud
Pubblicato il 8 luglio 2011
La psicologia dinamica ci ha insegnato che la nostra psiche è da considerarsi non
come una realtà unitaria, bensì come un insieme di diversi e complessi processi,
caratterizzato da una dinamica che pone in contraddizione affetti, pensieri e tendenze
del soggetto che è in divenire ad opera di forze che agiscono dentro di lui[1].
L’armonia del e con il sé e il sentirsi in armonia di questo sé con il mondo dipendono
dalla capacità di ciascun soggetto di cogliere il senso che abita all’interno
dell’interiorità dell’essere. Tale capacità dipende, a sua volta, dal modo in cui si è
instaurata la relazione per antonomasia, vale a dire la relazione madre-bambino[2],
fondata essenzialmente sull’Ascolto. L’avvento di Freud e della psicanalisi
rappresentano una svolta radicale non solo per i motivi che tutti conosciamo, ma
anche per il recupero proprio dell’ascolto: prima di lui il paziente era un oggetto da
conoscere (l’oggetto della conoscenza della cultura occidentale), soprattutto
attraverso l’attenta osservazione visiva, attraverso lo sguardo, dei sintomi che
mostrava. Con Freud il paziente diventa una persona da ascoltare, in quanto egli
crede che sia possibile attribuire un senso al delirio del soggetto affetto dal disturbo,
il che impone di fatto la necessità di ascoltarlo. Conseguentemente il porsi in ascolto
di qualcuno presuppone e implica l’esistenza di una dinamica relazionale fra medico
e paziente: il primo non ha davanti a sé solo dei sintomi da ricondurre a una qualche
generica classificazione, bensì una persona, con la sua particolare unicità. Con lo
studioso austriaco si prefigura, dunque, per la prima volta, seppur sbilanciata e
asimmetrica, una relazione dialogica fra il medico e il paziente[3]. La novità
introdotta da Freud non consiste solo nel far parlare il paziente affinché l’ascolto
delle sue parole offra al medico un completamento o una chiarificazione di quanto già
ha osservato con gli occhi. La svolta e la novità assoluta consistono nell’individuare
nell’ascolto, che caratterizza e su cui si fonda la relazione medico-paziente, la cura e
la terapia stessa per il disturbo[4]. Il mezzo attraverso cui la relazione dialogica
medico-paziente si dispiega è il linguaggio, la comunicazione verbale, fatta di parole,
di ascolto, di silenzi. Di chi? Di entrambe le persone coinvolte nella relazione. Ma
soprattutto del paziente che, come sottolinea Carlo Brutti, “recupera, nella esperienza
psicanalitica, il pieno diritto a parlare, come il diritto a tacere”.[5]. L’ascoltare
dell’analista, poi, non è un semplice stare a sentire ciò che il paziente dice, per poi
alla fine rivelargli la verità. L’ascolto dell’analista “si modula sul doppio registro
della comunicazione del paziente e del proprio discorso interiore”[6] attivato dalle
parole del paziente. Ad un certo punto il discorso sonoro del paziente e quello silente
dell’analista si incontrano e il senso di tutto è rischiarato da una parola: “È nel
dischiudersi di questa parola che l’atto analitico celebra il suo momento più creativo
e trasformante”[7]. In questa relazione dialogica l’intera realtà personale, conscia e
inconscia, del paziente e del terapeuta, viene coinvolta nella ricerca della verità:
“Freud non fa che ricercare il giusto punto di mediazione tra il momento critico del
sapere smascherante ed il momento dell’attenzione accogliente nei confronti
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dell’individuo che cerca aiuto presso di lui”[8]. L’applicazione e l’utilizzo della
tecnica terapeutica di Freud non può prescindere dall’impianto teorico che concepisce
il disturbo psichico in divenire e che studia “nella loro dinamica (rapporto di forze e
concatenazione di cause ed effetti, da cui l’aggettivo psicodinamico riferito
all’orientamento analitico) la nascita dei processi psichici ed il loro evolvere verso
la salute o la malattia”[9]. Nella concezione psicoanalitica, all’interno della psiche
umana agiscono tre istanze psichiche dinamicamente interagenti fra di loro (Es, Io,
Super-Io). Tale concezione ha portato alla scoperta di una relazionalità insita nel sé e
di una dialogia interiore dell’essere umano: “attraverso la dinamica del transfert, il
paziente traspone nel suo rapporto attuale con l’analista la dialettica delle istanze
psichiche configuratasi nelle prime, decisive fasi della propria storia interiore.”[10].
In questa prospettiva teoria e prassi sono strettamente connesse. La psicoanalisi, è
“un processo che si propone non tanto e non solo la “guarigione” clinica del
paziente, intesa come eliminazione dei sintomi, quanto piuttosto di favorire una
ristrutturazione stabile dell’assetto interno della persona, tramite una migliore
conoscenza di sé, del proprio mondo psichico e delle proprie motivazioni”[11]
affinché il soggetto possa trovare una risposta al suo bisogno di coesione, stabilità e
armonia. Nella psicoanalisi, per il soggetto in cura, la relazione dialogica diventa
maieutica, in quanto lo aiuta a conoscere la sua dimensione interiore e a prendere atto
della verità che gli viene restituita: “l’analista deve ricostruire la storia interiore del
paziente dissotterrando, come un archeologo della psiche, la verità sepolta
nell’inconscio. […] Una simile archeologia è possibile solo se il paziente – anzi lui
per primo – si mette a scavare”[12]. Questa verità (=senso che abita nell’interiorità
dell’essere →armonia con il sé e con il mondo esterno) cos’è, se non quel méghiston
agathón (sommo bene), obiettivo finale dei dialoghi fra Socrate e i suoi
discepoli[13]? La tecnica terapeutica freudiana si configura, pertanto, nella nostra
riflessione, come il primo autentico recupero, da parte della cultura occidentale, della
maieutiché tèchne, la maieutica socratica[14], primo fondamento della psicologia del
profondo[15].
Marina Greco
[1] Cfr. AA.VV., Storia della psicologia, a cura di P. Legrenzi, Il Mulino, Bologna
1982, cap.7.; Imbasciati A., Istituzioni di psicologia, UTET, Torino 1986, tomo I,
cap. 1, pagg. 26-28, 92-93.
[2] Cfr. Greco M., La relazionalità come essenza dell’ascolto,
http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-la-relazionalita-come-
essenza-dell-ascolto-60444685.html
[3]Cfr. Mancini R., L’ascolto come radice. Teoria dialogica della verità, Ediz.
Scientifiche Italiane, Napoli 1995, pagg. 225-226.
[4]La cura, nella psicoanalisi, consiste dunque nella disposizione a un certo tipo di
ascolto da parte dell’analista. Questa non è una specificità propria di questa
disciplina, ma caratterizzerà molte altre tipologie di relazioni d’aiuto. Spesso si pensa
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che aiutare una persona equivalga a parlarle, confortarla con le parole. In realtà
l’aiuto di cui si ha più urgente bisogno è che qualcuno ascolti, perché solo se si sente
ascoltata una persona percepisce il suo essere al mondo, in quanto in quel momento
esiste ed è importante per qualcuno.
[5]Brutti C., Parola e silenzio nell’ascolto psicanalitico, in AA.VV., L’ascolto che
guarisce, Cittadella Editrice, Assisi 1995, pag.48.
[6]Ibid., pag.49.
[7]Ibid. A questo proposito è forse il caso di ricordare che l’ascolto è proprio la
reciproca trasformazione delle prospettive di partenza dei soggetti coinvolti nella
relazione dialogica.
[8]Mancini R., op. cit., pag. 230.
[9]Ricciotti A., Appunti di psichiatria, psicopatologia generale e neuropsichiatria
infantile, Dispensa del Corso Quadriennale di Musicoterapia, PCC, Assisi, pag.55.
[10]Mancini R., op. cit., pag.227.
[11]Ricciotti A., op.cit., pag. 56.
[12] Mancini R., op.cit., pag. 229.
[13]Cfr. Greco M., L’ascolto agli albori del pensiero occidentale,
http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-l-ascolto-agli-albori-del-
pensiero-occidentale-50603861.html
[14]R. Mancini offre innumerevoli spunti di riflessione: a partire dalla psicanalisi
freudiana l’autore individua varie tipologie di ascolto terapeutico. Quello
indubbiamente più interessante nella nostra prospettiva di indagine che parte dal
modello socratico è quello che Mancini definisce ascolto simbolico-maieutico: “il
tratto saliente di questa modalità dell’ascoltare rinvia ad una concezione che intende
il vertice conoscitivo dell’analisi non già come la messa a punto, da parte del
terapeuta, di un’interpretazione complessiva ed autentica, ma come il
raggiungimento di un’interpretazione autoesplicativa da parte del paziente. L’ascolto
promuove così una relazione maieutica, in cui l’analizzato, sia pure con l’aiuto
determinante dell’analista, diventa a pieno titolo interprete, pervenendo ad
un’inedita coscienza di sé”. Cfr. Mancini R., op.cit., pagg.235-236.
[15]Tomatis A., Ascoltare l’universo. Dal big bang a Mozart, Baldini&Castoldi,
Milano 2005, pag. 211.
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Ascolto (dizionario di musicoterapia a cura di Bonardi Giangiuseppe)
Pubblicato il 4 luglio 2011
Ascolto13 Atto intenzionale volto ad accogliere sé e/o l’altro da sé. Ascoltare è sinonimo di accogliere. Bonardi G. Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Vissuti (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 1 luglio 2011
Vissuti14 I vissuti sono l’insieme delle sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti, siano essi piacevoli o spiacevoli, provati dalla persona durante una situazione di vita, denominati dalla stessa con estrema cura e precisione al fine di poterli... accogliere15. Bonardi G.
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Agosto Ritmo (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 29 agosto 2011
Ritmo16
13Ascolto (dizionario di musicoterapia a cura di Bonardi Giangiuseppe), 4 luglio 2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-ascolto-dizionario-di-musicoterapia-a-cu-77067442.html 14Vissuti (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi), 01/07/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-vissuti-dizionario-di-musicoterapia-a-cu-77037995.html 15Bonardi G., Breve lessico dei concetti emotivi, 19 luglio 2010, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-bonardi-giangiuseppe-breve-lessico-dei-c-53281628.html 16Ritmo (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 29/08/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-ritmo-dizionario-di-musicoterapia-a-cura-81122690.html
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Il ritmo è la compresenza dinamica di forze contrastanti che rimangono in equilibrio17. Bonardi G.
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Musica (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 22 agosto 2011
Musica18 “La musica è l’espressione acustica, che si espande nello spazio che mi circonda, del mio mondo interno, ossia del tempo che vivo… affettivamente.”. Bonardi G.
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Spazio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 15 agosto 2011
Spazio19
Lo spazio“… è manifestazione esterna della (nostra) vita interna20…”. Macke
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17 Bonardi Giangiuseppe, Marius Schneider e la... Musicoterapia! (6 novembre 2008), Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-24493424.html 18 Musica (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 22/08/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-musica-dizionario-di-musicoterapia-a-cur-81122559.html
19 Spazio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 15/08/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-spazio-dizionario-di-musicoterapia-a-cur-81122329.html 20 Rognoni L., Fenomenologia della musica radicale, Garzanti, Milano 1974, p. 214.
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Tonalità emotiva (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)
Pubblicato il 5 agosto 2011
Tonalità emotiva21 La tonalità emotiva è l’accordo emozionale che scaturisce tra l’uomo e la situazione-mondo (interiore, ambientale, ecc.) che vive22.
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Sensazione (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 1 agosto 2011
Sensazione23
Esperienza soggettiva rilevata mediante gli organi di senso. La sensazione è la “... modificazione che la coscienza avverte in sé come prodotta da stimoli esterni o interni sugli organi di senso24 ...”.
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21 Tonalità emotiva (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe), 05/08/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-tonalita-emotiva-dizionario-di-musicoter-78405234.html 22 Bollnow O. F., (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano 2009, p. 32. 23 Sensazione (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 01/08/2011, Musicoterapie in… ascoltohttp://musicoterapie.over-blog.com/article-sensazione-dizionario-di-musicoterapia-a-78404995.html
24 AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, pag. 1776.
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Settembre Neri Simona, Quando il cuore dirige la ragione perduta…
Pubblicato il 20 settembre 2011
E ti trovi così a guardare uno sguardo che di giorno in giorno si spegne, si allontana
da te… . Vorresti fermare il tempo, ma egli è inesorabile e lento continua a
camminare, pur sempre, davanti a te… inarrestabile! Ti attendono con ansia e
quando li vedi, sono tornati come bambini ai tempi dei capricci ma ti attendono come
se fossero la volpe del ‘Piccolo Principe’. “Se tu vieni tutti i pomeriggi alle quattro,
dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia
felicità. Quando saranno le quattro comincerò ad agitarmi e inquietarmi. Scoprirò il
prezzo della felicità! “.* Ed ogni volta ritornare tra di loro non mi pesa più; le loro
eccentricità non mi spaventano più, vedo solo i loro occhi, i loro visi che ora
sorridono nell’attesa di me migliorano a dispetto del drago che li sta divorando… uno
ad uno: il terribile morbo di Alzheimer. A dispetto del tempo, che non li aspetta,
cantano e dentro di loro avviene… una rivoluzione francese. È come se tutto, per un
attimo… un piccolissimo attimo, si arrestasse è come se la musica, magicamente, si
impossessasse della testa e del cuore e sgominasse per qualche breve istante la belva
che li divora. Sono commossa nel vedere come lottano. Adele** ora ricorda il
giorno in cui arrivo… deve ballare non si può dimenticare… Così ha ridato un
significato a una settimana assolutamente persa; ha ricollocato il suo ruolo in famiglia
e, anche se la degenerazione non arretra, adesso sa come collocarsi nel tempo…
importantissimo per chi non sa più cosa sia il tempo. Giliola** mi aspetta per
volermi bene come una… figlia. Elena** irascibile e stridente... Elena che attende il
venerdì per passare due ore tra canti e musica… Elena che non lascerebbe mai la
stanza per tornare in reparto… . Tutto gira intorno a me e mi domando… perché io?
Perché la musicoterapia opera così misteriosamente nella mente di queste persone?
Perché il cuore dirige la ragione perduta? L’esperienza Alzheimer è un dono; è un
dono sentire queste persone così simili alla volpe del ‘Piccolo Principe’ poiché non
chiedono altro che di essere ‘addomesticati’ per avere qualcosa per cui il cuore
attende poiché: << Se so che torni venerdì… già da giovedì il mio cuore comincerà a
tremare…>>.
Simona Neri
www.ondasonora.org
*De Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Bompiani, Milano 1998, pag.94.
**(nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy)
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Streito Bernardino, Esperienza audio-acustica
Pubblicato il 5 settembre 2011
Bernardino Streito
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia
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Ottobre Taverna Maurizio, Percorsi di senso del musicale vissuto in musicoterapia (Letture
consigliate, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 31 ottobre 2011
L’analisi del musicale in musicoterapia è un tema attualissimo e Maurizio Taverna lo
affronta con chiarezza concettuale, chiarendo la cornice teorica di riferimento
(musicologica, etnomusicologica, musicoterapica) congruente con la prassi realizzata,
svelando la dimensione terapeutica sottesa. Per Taverna quindi il musicale, espresso
spontaneamente e condiviso con gli anziani ospiti, può essere considerato come l’eco
della propria dimensione emozionale. La lettura delle partiture non si ferma quindi
alla dimensione musicologica ma si addentra in quella interpretativa, utilizzando
apporti etnomusicologici, in particolare il complesso pensiero schneieriano,
delineando, con garbo, i possibili vissuti esperiti dagli anziani ospiti.
Percorsi di senso del musicale vissuto in musicoterapia è reperibile presso:
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http://www.musicoterapiassisi.it/
Giangiuseppe Bonardi
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Greco Marina, L’ascolto come cura: il senso della relazione
Pubblicato il 24 ottobre 2011
Fino a questo momento1la nostra riflessione sull’ascolto, partita dal dialéghesthai
socratico, ha riguardato la relazione maestro-discepolo e quella psicanalista-paziente,
oltre che la relazione per antonomasia madre-bambino. Abbiamo visto2come il
mondo occidentale, dopo un lungo periodo di oblio durante il quale la visione è stata
considerata unico senso rivelatore della verità, abbia gradualmente recuperato la
dimensione dell’ascolto. La psicanalisi freudiana ne è un esempio. A questo punto è
necessario chiarire che il recupero dell’ascolto non avviene a discapito della visione
né intende svalutarla. La riscoperta del valore radicale dell’ascoltare nell’esperienza
conoscitiva dell’uomo non deve risolversi necessariamente in una delegittimazione
della visione3. Non è possibile pensare ad un antagonismo fra ascolto e visione né fra
questi e le altre facoltà percettive. Nella conoscenza non è possibile privilegiare una
modalità sensoriale, in quanto tutte concorrono al tentativo di disvelare o anche
soltanto di approcciare la verità. Il nostro intento è quello di recuperare l’importanza
di tutte le modalità sensoriali sia nella conoscenza sia, e soprattutto, nella relazione
con l’altro e riunificarle, sublimandole, in una forma di ascolto che diviene
accoglienza. Facciamo, dunque, un passo ulteriore nel nostro percorso per scoprire
una dimensione relazionale in cui non c’è un predominio di un senso sull’altro, ma in
cui l’ascolto assume un significato superiore, in quanto esso diviene sintesi di tutti i
sensi. Stiamo parlando proprio dell’ascolto inteso come accoglienza dell’altro che
significa accettazione totale dell’altro, il quale viene sentito e percepito con tutte le
facoltà senso-percettive e con tutta l’emotività: questo è proprio il punto di partenza
della relazione dialogica musicoterapica. La musicoterapia presuppone, dunque, una
forma particolare di ascolto, inteso proprio come attitudine da parte del
musicterapista ad accogliere la persona, l’altro, senza precludersi alcun canale
sensoriale. Si tratta di quell’attitudine naturale all’amorevolezza di cui tutti i
musicoterapisti dovrebbero essere dotati: è necessario infatti “un grande sforzo, in
termini di competenza e amorevolezza, per cogliere il senso profondo di una verità
nascosta4che sembra difficile da raggiungere e che, in qualche caso, è soltanto
possibile o potenziale”5. Proviamo ad instaurare, ora, un parallelismo fra le diverse
relazioni dialogiche di cui abbiamo parlato e che sono accomunate dalla particolare
attenzione all’ascolto, inteso nelle varie sfumature di significato: Socrate-discepolo,
analista-paziente, musicoterapista-persona. In ciascuna di queste relazioni, sebbene
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abbia delle connotazioni differenti, l’ascolto si caratterizza per un aspetto
fondamentale: offrire, in un certo senso, “aiuto” all’interlocutore, a chi, cioè, nel
rapporto dialogico sembra essere in una situazione di debolezza rispetto all’altro
(relazioni asimmetriche). Recuperiamo il senso etimologico del termine da cui
ascoltare deriva e cioè auscultare: udire con attenzione. Auscultare, però, ci rimanda
anche all’ascolto del medico e, quindi all’udire con l’intento di curare6. Nella parola
stessa sembra essere insito, pertanto, una sorta di destino (heideggerianamente inteso)
dell’ascoltare che è la cura7. Riprendiamo per un attimo le due relazioni che abbiamo
analizzato precedentemente: Socrate-discepolo, analista-paziente. Nella prima è il
filosofo stesso ad attribuire, seppur in senso figurato, una capacità “curativa” al suo
ascolto maieutico (“Questa sofferenza la mia arte sa placare”8). Ciò che egli
persegue nei suoi dialoghi, come abbiamo visto9, è la salute dell’anima: condurre il
discepolo a conoscere se stesso e i propri limiti e a cercare nella propria anima la
verità. Nella seconda relazione, l’ascolto da parte dell’analista diventa curativo in
quanto è un compartecipare a quanto il paziente va di volta in volta raccontando di sé.
Come abbiamo visto10
, nella psicoanalisi l’ascolto è per la prima volta adottato come
strumento terapeutico e dunque per curare. Il ruolo del medico, proprio come quello
di Socrate, è di guidare con le sue parole il paziente a ricomporre da solo una certa
stabilità e armonia interiore, trovando in se stesso la soluzione e il modo per farlo.
Quello di Socrate e dell’analista è un dire che è anche e soprattutto un ascoltare, per
riprendere le parole di Heidegger; è un lògos non più dimidiato, ma riunito nel suo
significato più antico ed originario del raccogliere e accogliere11
ciò che si disvela.
C’è ancora un aspetto molto importante che accomuna le due relazioni dialogiche
considerate finora: è impossibile ascoltare (e quindi curare) l’altro se non si è, innanzi
tutto, ascoltata (e quindi curata) la propria “anima”. Come Socrate ascolta la voce che
gli parla dentro (il dàimon) e rivolge, prima che agli altri, a se stesso l’invito al gnôthi
sautòn (conosci te stesso), così l’analista deve aver ristabilito la sua armonia e la sua
stabilità interiore attraverso la comprensione delle dinamiche della sua psiche, prima
di poter aiutare il paziente a farlo. Il benessere12
di chi ascolta (e quindi di chi cura)
equivale ed è antecedente rispetto a quello di chi è ascoltato e necessita di essere
curato. Queste due relazioni si dispiegano attraverso la parola, ponte fra chi ascolta e
chi è ascoltato. Ad essere r-accolto13
è il dire del discepolo in un caso, del paziente
nell’altro. Si può però configurare un ulteriore tipo di relazione in cui ciò che
raccogliamo non è il dire, le parole, bensì ogni genere di informazione che proviene
dall’altro e che si dispiega soprattutto sui canali della comunicazione non-verbale.
Questo particolare tipo di relazione dialogica è proprio quella fra musicoterapeuta e
persona, in cui il primo non privilegia, né tanto meno esclude, alcun canale sensoriale
a discapito di un altro, ma è aperto a ricevere l’altro nella sua totalità espressiva.
L’elemento più importante che accomuna la musicoterapia al dialogo socratico e alla
psicoanalisi è la relazione che in questo percorso è diventato l’aspetto più importante
dell’ascolto che “cura”. E la musicoterapia si occupa - proprio - della costruzione
intenzionale di relazioni comunicative a fini terapeutici, attraverso l’impiego di due
distinti elementi: a) la relazione; b) la musica14
. Il fine precipuo di questo genere di
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relazione è, dunque, la terapia, tanto che essa compare nel termine stesso. Di che
genere di terapia si tratta? Di una terapia che cura o di una terapia che guarisce15
?
Leggiamo in un vocabolario di greco antico il significato del verbo therapèuo da cui
terapia deriva: (2) mi occupo di, ho cura, curo, rivolgo i pensieri a, sono intento a;
(3) medico, curo, talvolta guarisco16
. Il senso più autentico del termine non è, come
vediamo, quello di guarire, usato solo talvolta, bensì quello di prendersi curare di,
curare, cosa ben diversa dal guarire17
. Se noi pensiamo al significato strettamente
nosologico di terapia, allora siamo nel campo della medicina in cui è terapia
l’insieme delle azioni e delle pratiche che hanno come scopo il trattamento delle
malattie e dunque la guarigione della persona. Se invece usciamo dall’ambito
strettamente medico si può parimenti intendere per terapia il prendersi cura di
qualcuno, aiutarlo, attraverso il contatto, la vicinanza: in una parola, attraverso la
relazione. La relazione musicoterapica è da intendersi proprio come un prendersi
cura della persona, più che come mezzo per curare la malattiae giungere alla
guarigione della persona stessa. Questo genere di relazione prevede una presa in
carico dell’altro con cui ci si relaziona. Ma qual è l’obiettivo di tutto questo? A che
risultato cerca di giungere questa presa in carico, questo prendersi cura di? Lo scopo
ultimo dell’intervento terapeutico inteso come prendersi cura di qualcuno è indurre
nella persona un cambiamento e dunque attivare un processo di trasformazione o
ristabilire una condizione di armonia o di equilibrio psicofisico, qualora si fosse
interrotta. Nell’approccio di Postacchini - qui adottato come riferimento unitamente
agli studi di Bonardi18
- “la finalità dell’intervento musicoterapico è quella di
costruire una relazione terapeutica attraverso il parametro sonoro/musicale che
possa favorire un’integrazione spaziale, temporale e sociale”19
. Tale integrazione è
favorita a sua volta da un processo di armonizzazione basato sul concetto di
sintonizzazione20
. Il cambiamento che ne consegue può essere considerato un risultato
della terapia solo se si ricollega in maniera specifica ad un problema particolare che
la persona sta vivendo. La potenzialità “terapeutica” insita nella relazione dialogica è
dunque enorme. Il nostro cammino è cominciato con Socrate e con il suo dialéghestai
e ci ha portati ad un’altra forma di dialogo, quello sonoro. Siamo convinti che ci sia
una forte continuità fra i due modi di relazionarsi all’altro, indipendentemente dal
parametro utilizzato. La straordinaria modernità della maieutica socratica è
riscontrabile proprio nella relazione musicoterapeuta/persona. L’integrazione
temporale, spaziale, sociale del soggetto in cura in tanto è possibile in quanto il punto
di partenza è proprio il mondo interiore del soggetto stesso che si manifesta al
musicoterapeuta attraverso le sue sonorità associate a gesti, sguardi, movimenti,
spesso uniche modalità per relazionarsi con il mondo esterno. Il musicoterapeuta
ascolta, riceve, accoglie e contiene questo “materiale”; lo fa suo e lo valorizza
attribuendogli un senso e restituendolo al soggetto arricchito di valenze comunicative
e relazionali: “il musicoterapeuta si pone quindi come un “interprete” della
potenzialità espressiva del paziente, dei segni e dei significati che emergono dal suo
corpo e dal suo essere al mondo; tenta rispetto ad essi un’azione maieutica”21
. La
persona, in tal modo, riconosce il riconoscimento o comunque il senso di
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sé22
comunicatole dal musicoterapeuta. La relazione agisce come vera e propria forza
di cambiamento: insieme al linguaggio verbale nel dialéghestai socratico, insieme al
linguaggio-non verbale e musicale nel dialogo sonoro musicoterapeutico.
Marina Greco
1Cfr. Greco M., L’ascolto agli albori del pensiero occidentale,
http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-l-ascolto agli-albori-del-
pensiero-occidentale-50603861.html; La relazionalità come essenza dell’ascolto,
http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-la-relazionalita-come-
essenza-dell-ascolto-60444685.html; Il recupero dell’ascolto nella psicanalisi di
Freud, http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-il-recupero-dell-
ascolto-nella-psicoanalisi-di-freud-78308539.html
2 Cfr. Greco M., Dall’oblio dell’ascolto alla sua riscoperta,
http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-dall-oblio-dell-ascolto-alla-
sua-riscoperta-51730988.html
3 Naturalmente il riferimento è all’ambito prettamente epistemologico, in quanto
spostando la riflessione in ambito sociologico si osserva come l’ascolto - inteso come
modalità relazionale - è soffocato nella società del XXI secolo, ancora dominata dal
paradigma ottico in quanto tiranneggiata dall’immagine. Se dunque è possibile
superare l’antagonismo dei sensi in un senso epistemologico e conoscitivo, non lo è,
purtroppo (almeno per ora e almeno non per tutti) nel campo delle relazioni umane.
Per il recupero del valore radicale dell’ascolto cfr. Mancini R., L’ascolto come
radice. Teoria dialogica della verità, Ediz. Scientifiche Italiane, Napoli 1995.
4 Come vediamo, torna ancora, anche in questo tipo di relazione, la ricerca di una
verità.
5 Postacchini P.L., Ricciotti A., Borghesi M., Lineamenti di Musicoterapia, Carocci
Editore, Roma 1998, pag. 19.
6 AA.VV., L’ascolto che guarisce, Cittadella Editrice, Assisi 1995, pag.118.
7 Adottiamo qui la definizione di cura che leggiamo in Bruscia K.E., Definire la
musicoterapia, tr. it. F. Bolini, ISMEZ, Roma, pag. 101: “Si definisce cura il
processo attraverso il quale la mente, il corpo e lo spirito si ristabiliscono. Può
comprendere l’auto-cura, l’assistenza di uno che cura, oppure la cura all’interno
della relazione terapeuta-cliente”. Nel nostro caso la cura si sviluppa all’interno della
relazione dialogica in cui, fra i due poli, uno guida l’altro (assistenza di uno che
cura), aiutandolo a trovare in se stesso (auto-cura) le risorse per “guarire”.
8 Platone, Teeteto, 151, a-b; cfr. Greco M., L’ascolto agli albori.., cit.
9 Ibidem
10 Cfr. Greco M., Il recupero dell’ascolto nella psicanalisi di Freud, cit.
11 Cfr. Greco M., Dall’oblio dell’ascolto alla sua riscoperta, cit.
12 Anche qui adottiamo la definizione di benessere che ci lascia Bruscia: “Si
definisce benessere uno stato di salute olistico caratterizzato dall’armonia e
dall’equilibrio tra mente, corpo e spirito, e dall’assenza di malattia”. Bruscia K.E.,
Definire la musicoterapia, cit., pag.101.
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13 Cfr. Greco M., Dall’oblio dell’ascolto..”, cit.
14 Lineamenti di Musicoterapia, cit., pag. 21.
15Cfr. a questo proposito, Lineamenti di Musicoterapia, cit., cap. II “Il terapeutico in
musicoterapia”.
16 Rocci L., Vocabolario Greco-Italiano, Soc. Ed. D. Alighieri, XXXI Ed., 1983.
17 Ciò che contraddistingue la terapia dalla guarigione è proprio l’intervento di una
persona (il terapeuta) che dall’esterno interviene e aiuta la persona a trovare il modo
o la via la guarigione. Anche a questo proposito in Bruscia troviamo una
precisazione: “talvolta una persona ha la capacità di guarire senza interventi esterni e
tal altra la persona ha invece bisogno dell’intervento sistematico di un’altra persona.
[…] terapia e guarigione non sono la stessa cosa quando la guarigione ha luogo senza
l’aiuto o l’intervento di un’altra persona”. Bruscia, Definire la musicoterapia, cit.
pag. 56.
18 Il fine dell’intervento musicoterapico, inteso da Bonardi come “ricerca,
osservazione, analisi e adozione del sonoro e del musicale appartenente al soggetto”,
è aiutare la persona a “esperire una nuova situazione di ascolto, non solamente
incentrata sul sé ma sui poli ( sé e altro da sé) del processo relazionale”; Bonardi G.,
Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU) 2007,
pag. 21.
19 Cfr. Manarolo G., Manuale di musicoterapia, Edizioni Cosmopolis, Torino 2006,
pag.34.
20 Per i concetti di Integrazione, Armonizzazione e Sintonizzazione, si rimanda al
cap. IV di Lineamenti di Musicoterapia,.cit., pagg.99-117. In particolare per il
concetto di sintonizzazione si rimanda anche al cap. VII di Stern D. N., Il mondo
interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino 1987 (rist.2004), pagg.147-
168 e al Manuale di Musicoterapia, cit., pagg.180-181.
21 Manarolo G., L’angelo della musica, Omega Edizioni, Torino 2002, pag.103.
22 Cfr. Mancini R., L’ascolto come radice.., cit., pag.245. La frase in corsivo è, in
realtà, riferita dall’autore alla relazione analista paziente, ma ben descrive ciò che
avviene nella relazione musicoterapeuta-persona.
Con tag L'ascolto in musicoterapia, Greco Marina
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Fittipaldi Moira, Beethoven, Marius Schneider e la… musicoterapia (Letture
consigliate, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 15 ottobre 2011
Un titolo singolare e accattivante può suscitare la curiosità del lettore desideroso
d’addentrarsi nel complesso tema dell’ascolto non esclusivamente terapeutico.
L’autrice, applicando la propria competenza musicologica, dimostra come sia
possibile favorire la riscoperta della propria dimensione emozionale utilizzando con
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competenza gli apporti della musicologia (Beethoven), dell’etnomusicologia (Marius
Schneider) e della musicoterapia. Secondo l’autrice la riscoperta di alcuni aspetti
della propria dimensione emozionale è resa possibile proponendo l’audizione di
eventi musicali ben conosciuti dal conduttore (punto di vista musicologico) e
parimenti è necessario saper utilizzare con competenza anche il sistema interpretativo
scelto, in questo caso quello schneideriano, mettendoli in relazione al fine di ricercare
le possibili chiavi di lettura di quanto viene espresso verbalmente dagli ascoltatori
dopo l’audizione, evitando facili e dannosi fraintendimenti. Non ci si improvvisa
quindi conduttori di esperienze d’ascolto ma ci vuole una triplice competenza.
Beethoven, Marius Schneider e la… musicoterapia è reperibile presso:
l’autrice [email protected]
http://www.musicoterapiassisi.it/
Giangiuseppe Bonardi
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Novembre PRO CIVITATE CHRISTIANA, 30 ANNI DI SCUOLA DI MUSICOTERAPIA,
CONVEGNO DI MUSICOTERAPIA: DIALOGO INTERDISCIPLINARE E
POSSIBILI CONTRIBUTI DELLE NEUROSCIENZE
Pubblicato il 29 novembre 2011
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Con tag Corsi convegni seminari ecc
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Anapesto (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 26 novembre 2011
Anapesto: ee q
Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Onorato Vincenzo, MusicoteRAPia (Letture consigliate, a cura di Giangiuseppe
Bonardi)
Pubblicato il 20 novembre 2011
A tutta prima, MusicoteRAPia, può apparire un titolo ad effetto volto a catturare
l’attenzione del lettore ormai avvezzo alle musicoterapie 'doc.', quelle che hanno un
'modello teorico di riferimento' blasonato ma, leggendo con attenzione la proposta
dell’autore, si scopre, capitolo dopo capitolo, 'l’intuizione geniale' che pervade la
proposta. MusicoteRAPia è, di fatto, una metodica nata dalla richiesta esplicita di un
gruppo di ragazze adolescenti, ospiti di una comunità riabilitativa che, stanche di
proposte 'terapeutiche', volevano un’attività dove poter esprimersi, facendo musica.
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Onorato intuisce, paradossalmente, il potenziale terapeutico sotteso alla richiesta
delle giovani e, insieme, iniziano a creare canzoni Rap. Ben presto nel fare musica
prendono corpo le dolorosissime tematiche che pervadono le ragazze. Il linguaggio
crudo e disperato che pervade i testi delle canzoni assume quindi una forma che
permette loro di esprimere i propri angoscianti vissuti, rielaborandoli in parte. Quelle
canzoni offrono altresì un impensabile, preziosissimo 'materiale' che ha consentito
una 'nuova' lettura psicopedagogica della dimensione emozionale delle ospiti. La
proposta di Onorato è un percorso musicoterapico elaborato dall’autore che ha
cercato, riuscendoci in pieno, ad armonizzare la complessità degli apporti psicologici,
pedagogici e musicoterapici scelti, trovando i nessi teorici che danno, alla sua
MusicoteRAPia, il necessario e congruente quadro teorico di rifermento.
Complimenti e grazie, poiché, a parer mio, finché c’è qualcuno che elabora una
metodica, come quella ideata da Onorato, c’è speranza che la musicoterapia non si
richiuda nei bei... 'modelli teorici di riferimento'.
MusicoteRAPiaè reperibile presso:
l’autore [email protected]
http://www.musicoterapiassisi.it/
Giangiuseppe Bonardi
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Pirricchio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 14 novembre 2011
Pirricchio: ee
Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Siluri Elisabetta, Così vicini… così lontani… (Letture consigliate, a cura di
Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 6 novembre 2011
Così vicini… così lontani… è la metafora della difficile ricerca dell’incontro con
l’altro da sé quando, in particolare, ci rapportiamo con una persona diversamente
abile. Siluri, con leggerezza poetica, con questo scritto, conduce il lettore nel cuore
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della propria esperienza musicoterapica disvelando il paradosso vissuto
quotidianamente. Nel suo pregevole scritto, l’autrice afferma quanto sia difficile
trovare quelle ‘musiche del cuore’ che, per poco, pochissimo tempo le consentono di
avvicinarsi all’altro e quanto sia stato faticoso accettare di rimaner lontana,
accogliendo la propria dolorosa dimensione emozionale di lontananza. Per l’autrice
quindi l’esperienza musicoterapica si evolve sull’ascolto, ossia sull’accoglienza, del
dinamico dualismo (vicino, lontano) che conduce i partecipanti alla scoperta della
personale dimensione emozionale a volte gioiosa a volte dolorosa. Così vicini, così
lontani si legge d’un fiato, a volte sorridendo a volte trattenendo… le lacrime.
Così vicini… così lontani… è reperibile presso:
l’autrice [email protected]
http://www.musicoterapiassisi.it/
Giangiuseppe Bonardi
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Dicembre Peone IV, (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 28 dicembre 2011
Peone IV: eee q
Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Osservazione, contemplazione, amore (dizionario di musicoterapia, a cura di
Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 20 dicembre 2011
Osservazione, contemplazione… amore25
L’osservazione è una fase fondamentale della prassi musicoterapica volta ad accogliere, ascoltare la per-sona presa in considerazione. In questa prospettiva un buon osservatore si pone in ascolto dell’altro cercando di cogliere la bellezza visiva e acustica che lo pervade, integrando l’osservazione
25 Osservazione, contemplazione, amore (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 20/12/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-osservazione-contemplazione-amore-dizion-92635569.html
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con ‘l’ascoltazione26’, cercando di incarnare, al meglio delle sue capacità, la sollecitazione di Herman Esse. “(…) La persona che guardo con timore, con speranza, con desiderio, con aspettative, con pretese non è una persona ma solo lo specchio torbido del mio volere. (…) Nel momento in cui il volere si placa e subentra la contemplazione, la pura osservazione e l’abbandono, tutto cambia. L’uomo cessa di essere utile o pericoloso, interessante o noioso, gentile o villano, forte o debole. Diventa natura, diviene bello e degno di attenzione come tutto ciò che è oggetto di contemplazione pura. Perché contemplazione non è ricerca, non è critica: non è altro che amore. É la condizione più elevata e più desiderabile della nostra anima: amore senza desiderio27. (…)”.
Hesse H.
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Casarano Carla, La nota stonata del cancro (Letture consigliate, a cura di
Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 16 dicembre 2011
La nota stonata del cancro è un percorso musicoterapico intrapreso da Carla Casarano
in un ospedale oncologico che accoglie bimbi affetti di cancro. Il contatto dell’autrice
con alcuni piccoli ospiti del reparto dischiude il loro mondo emozionale dominato
dalla paura di... morire. Come è possibile interagire, anche musicalmente, con un
vissuto così nefasto? Sebbene faticoso e difficile, a volte sembrerebbe impossibile,
l’autrice afferma che la risposta al quesito è strettamente dipendente dalla personale
capacità di ascoltare se stessi per poter accogliere l’altro e, in particolare, il suo
dolorosissimo vissuto. La nota stonata del cancro è quindi un delicato coinvolgente
percorso d’ascolto e di accoglienza della dimensione emozionale dell’autrice e dei
piccoli interlocutori che dal silenzio iniziale si trasforma in musica... talvolta intonata.
La nota stonata del cancro è reperibile presso:
l’autore [email protected]
26 Neologismo tratto dall’antropologia espresso da Antonello Ricci, Antropologia dell’ascolto, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2010, pp. 55, 56.
27 Hesse H., (1917/’18), Sull’anima, Newton & Compton, Roma, 1996, pp. 32, 33.
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http://www.musicoterapiassisi.it/
Giangiuseppe Bonardi
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Giambo (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)
Pubblicato il 12 dicembre 2011
Giambo: eq
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