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6- Legge nuova: Mosè e Muhammad sono arrivati con delle leggi nuove per i loro popoli, mentre Gesù affermò più di una volta che egli non venne per abolire la legge di Mosè ma per confermarla. 7- La loro morte: Mosè e Muhammad sono morti in modo naturale, mentre Gesù secondo la dottrina Cristiana è morto crocifisso per espiare il peccato originale e salvare l’umanità. 8- Dopo la morte: Mosè e Muhammad sono sepolti nelle loro tombe sotto terra, mentre secondo la dottrina Cristiana, e anche quella Musulmana Gesù sta nel cielo.

La missione di Mosè come fondatore di nazioni si svolse, senza dubbio, tra enormi difficoltà, perche gli Israeliti erano ridotti in stato di schiavitù, sotto il Faraone d’Egitto, da circa quattro secoli.

Ma per quanto grande e importante sia stata l’opera di Mosè, è davvero poca cosa se paragonata a quella affidata al Santo Profeta Mohammad, egli dovette costruire una nazione in base a un principio completamente nuovo, un popolo unito non da legami di sangue, razze, colore o territorio, ma da una concezione morale e spirituale, da una fede nell’unità di Dio e nel Suo potere.

Così doveva essere il popolo Musulmano, nel quale gli Arabi e non Arabi, i bianchi e neri, i Semiti e gli Ariani, dovevano essere tutti uguali. L’intero mondo era il paese nel quale questa nazione doveva essere costituita. Al Profeta fu affidato questo compito apparentemente impossibile, e, solo di fronte a tutte le difficoltà, egli gettò le basi di una nuova nazione nel breve periodo di vent’anni. Un risultato come questo non può essere attribuito al merito di nessun altro uomo nella storia del mondo.

( Un Messaggero di Dio per l’umanità )  

Sulla Sua persona sono stati scritti molti libri da scienziati, storici e da personalità nelle varie epoche e in diverse lingue. Sulla vita e l’opera del Profeta Muhammad (PBSL) si scriverà anche nel futuro, perché la sua vita è una sorgente inesauribile di insegnamenti.

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Le origini del Profeta Muhammad: Nell’Hijaz, la regione Sud-occidentale della Penisola Arabica, caratterizzata da una serie di oasi isolate, e in particolare modo Mecca la città in cui Muhammad, il Profeta di Dio, nacque e visse per circa 50 anni, prima di trasferirsi a Madina, dove morì. Sin dai tempi più antichi gli Arabi provenienti da tutte le parti vi si recavano in gruppo per visitare la Kaaba, la casa di Dio situata a Mecca. Il Pellegrinaggio a Mecca è legato alla figura di Abramo. Lì Abramo insieme a suo figlio Ismaele costruì la Kaaba e Dio ha arricchito quel luogo con l’acqua della fonte di Zamzam. Là Abramo pregò Dio per il popolo degli Arabi e disse: “O Signor nostro! Suscita fra loro un Messaggero della loro stirpe, che reciti loro i Tuoi segni e che insegna loro la Scrittura e la Sapienza, e li faccia puri, poiché Tu sei il Potente, il Saggio!”. ( Corano,Al-Baqarah)

Dio esaudì la preghiera di Abramo: mandò Muhammad come l’ultimo Messaggero, ed il suo popolo è stato il più fortunato. A Mecca vissero Ismaele e i suoi successori. La discendenza della famiglia del nostro Profeta risale a Adnan, figlio di Ismaele.

Il Sacro Profeta Muhammad proviene dalla famiglia di Beni Hascem, una delle famiglie della più nobile tribù dell’Arabia, quella di Quraysh, tenuti nella massima considerazione, essendo responsabili della custodia della Kaaba e dei riti a essa connessi.    

La tribù di Quraysh era destinata ad assumere un’importanza sempre maggiore. Si occupavano il fondo della valle nei pressi del pozzo di Zamzam e del santuario che vi sorgeva vicino, la Kaaba. Il pellegrinaggio assicurava loro un notevole reddito che si sommava a quello derivato dal commercio. La Mecca si distingueva da tutte le altre città arabe per la sua posizione geografica. Vi si incrociavano le strade commerciali tra Mediterraneo e Oceano Indiano, Golfo Persico e Mar Rosso. L’esportazione delle merci di questi paesi passava attraverso la Mecca. Questo significa che Mecca era il mediatore di commercio tra Romani e Persiani, i due Super Poteri di quei tempi.

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Oltre alla mercatura i Quraishiti esercitavano abilmente l’arte della diplomazia e delle pubbliche relazioni, evitando di ricorrere alle armi. La fiorente città di Mecca desiderava più di tutto la pace, per poter esercitare tranquillamente le sue attività.

Oltre alle carovane che ogni mercante organizzava per proprio conto e inviava a suo rischio per il mondo, due volte all’anno quasi tutte i meccani partecipavano all’allestimento di due grandi carovane di due o tremila cammelli con una scorta di trecento uomini. Il viaggio che durava circa sei mesi, procurava un profitto che variava dal 50 al 100%. Venivano scambiati metalli preziosi, perle, spezie, cosmetici, profumi, armi, schiavi, cuoio, donne, datteri e altre prodotti del deserto.

La Mecca : In generale la regione Sud-occidentale della Penisola arabica si differenziava notevolmente dal resto del paese, veniva chiamata l’Arabia felice. Perché lì gli Arabi erano ricchi di vegetazioni, di palme e di ogni genere di profumi. Gran parte del loro paese è bagnato a destra dal Mar Rosso e a sinistra dal Mar Persico. Pertanto beneficiano di entrambi. Vi si trovano molto ormeggi, porti riparati e numerose piazze, in cui si svolgono floridi commerci e ricche residenze reali. 

Le città principali del Hijaz erano Mecca, Taif e Yathrib. Lo straniero era affascinato dalla Mecca, la regina del deserto per le sue strade e la sue piazze percorse da numerosissime carovane. Sulla grande piazza di fronte la Kaaba si ammucchiavano greggi di cammelli e gruppi di stranieri provenienti da diversi paesi: Cristiani, Ebrei, neri, mercanti di schiavi, stregoni, ecc. Nei mercati dell’Arabia arrivavano merci che provenivano dall’India e dall’Africa orientale. Gli scambi non venivano più in natura, ma erano frequenti pure le transizioni monetarie. Le monete usate erano il Dinaro d’oro e il Dirham d’argento.

- Al centro della città c’era il quartiere dell’aristocrazia e intorno. Mentre i quartieri periferici, stretti fra le gole ripide delle montagne circostanti, vivevano in tende, caverne e baracche, i poveri e gli stranieri, insieme a schiavi, prostitute e neri, mescolati, in una indescrivibile confusione, ai beduini. Nella città prosperava il commercio con cui si arricchiscono gli abitanti più potenti.

La famiglia del Sacro Profeta: Il suo grande nonno Hascem si incontrò con i sovrani Romani e Persiani e concluse con loro la trattativa che dette a Quraysh la

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responsabilità del trasporto del loro commercio. E riuscì a riunire tutti le tribù arabe sotto il dominio di Quraysh. Erano quelli i principali fonti della ricchezza della tribù. Poi arrivò il nonno Abdel Muttaleb che ereditò l’onore di nutrire e dissetare i pellegrini e scavò il pozzo di Zamzam. Egli era uno degli rappresentanti più prestigiosi della tribù e uno dei capi clan più potenti della città.

Il pozzo di Zamzam: Allah scelse Abdel Muttaleb, proprio il nonno del nostro Profeta per scavare il pozzo di Zamzam, che si trova accanto alla Kaaba, dove sgorgò l’acqua un tempo per Hagar e il figlio Ismaele (pace su di lui). Dopo aver udito nel sonno per ben quattro notti di seguito la stessa voce. L’ultimo sogno fu un ordine: “Scava Zamzam. Scavalo e non te ne pentirai perché è la tua eredità, proveniente dal tuo più grande antenato. Esso non si seccherà mai, né mancherà di bagnare tutte le gole dei pellegrini”. Abdel Muttaleb cercò inutilmente di convincere i capi tribù di lasciarlo scavare nel posto a lui indicato nel sonno, che si trovava in un luogo pieno di idoli, scavarlo per gli idolatri era un sacrilegio. Abdel Muttaleb non poteva imporre la sua volontà, avendo un figlio solo, in una società in cui il potere si misurava con il numero più alto dei figli maschi. Un terribile giuramento: Allora Abdel Muttaleb giurò davanti la Kaaba, rivolgendosi ad Allah Altissimo, se avesse avuto dieci figli maschi e che se avessero raggiunto l’età adulta, per aiutarlo e appoggiarlo contro i capi clan per scavare il pozzo di Zamzam, ne avrebbe sacrificato uno di fronte al Kaaba. La sua invocazione venne esaudita e altri nove figli vennero ad allietare la sua vita.

Quando Abdu Allah, l’ultimo di suoi figli divenne adulto, Abdel Muttaleb si ricordò del suo voto e da uomo d’onore qual era, decise di eseguirlo. Radunò i suoi figli e disse loro del patto con Dio, pregandoli di aiutarlo a mantenere l'impegno preso; li condusse al Santuario dove ognuno di loro consegnò la propria freccia perché fosse giocata a sorte. uscì la freccia del più giovane, il più bello e più amato Abdu Allah.

Quello che stava per succedere era noto a tutta la città e la gente si avviò verso la Kaaba. Quando videro Abdel Muttaleb prendere per mano suo figlio Abdu Allah afferrando il coltello e dirigersi verso il luogo del sacrificio, si levarono forti grida di protesta. Consultati sacerdoti e indovini, fu deciso infine di gettare le sorti tra la freccia del ragazzo e dieci cammelli. Ma la sorte indicò la freccia del giovane e non i

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cammelli. Continuarono ad aggiungere dieci cammelli per volta con lo stesso risultato, finché, quando furono cento cammelli, finalmente la sorte indicò i cammelli. Abdu Allah visse e non poteva essere che così perché Allah aveva stabilito che sarebbe diventato il padre di Muhammad, il Suo Inviato, il sigillo della Profezia. Abdel Muttaleb decise allora di dargli moglie e fu scelta la bella Amina, figlia di Wahb. Il matrimonio si celebrò nel 569, anno che precedette quello conosciuto come "l'anno dell'Elefante". Un quadro storico-politico nel mondo e nell’Arabia alla nascita del Profeta Tra il sesto e il settimo secolo d.C. lo scenario politico era composto da territori dominati da due grandi imperi: l’impero Bizantino, che si estendeva su Italia, Grecia, Egitto, Nord Africa; e l’impero Persico, che comprendeva i territori degli attuali Iraq e Iran e si estendeva fino ai confini dell’India a est. Poi c’era l’impero Cristiano d’Etiopia e lo Yemen che esercitava un’influenza sulla penisola arabica.

Gli Arabi erano un popolo nobile, avevano qualità rare e speciali, come tutti i popoli delle origini, erano coraggiosi, generosi e onesti. Appartenevano ad una sola razza e parlavano una medesima lingua, tuttavia, erano il popolo più diviso. La tribù dichiarava guerra alla tribù, e la famiglia alla famiglia, per le cause più banali. litigavano e alla prima occasione erano pronti a scontri sanguinosi.

In tale situazione, gli Arabi, sofferenti per l’inferiorità politica, si sviluppò così gradualmente, affermando l’esigenza di un forte Stato arabo unitario, dello stesso livello dei grandi imperi, ma nello stesso tempo idoneo alle tribù beduine che dovevano essere organizzate. Uno stato che garantisce la protezione delle ricchezze accumulate e del commercio. Era questa la grande esigenza dell’epoca. Quello che mancava era un uomo geniale che fosse in grado di realizzare una tale impresa. Quell’uomo che stava per nascere era Muhammad, il Signore Misericordioso lo scelse per riformare e guidare l’intera umanità. Lo storico inglese Welles disse: “Il mondo visse il periodo più buio e peggiore del sesto secolo d.c.,il mondo sembrava un uomo paralizzato incapace di muoversi finché arrivò Muhammad”. Le religioni in Arabia: l’idolatria, In quel tempo il politeismo, cioè il culto degli idoli, era praticato dalla maggior parte della popolazione. La religione eterna ereditata da Abramo – l’adorazione di un Solo Dio – da molto tempo era stata dimenticata e quasi come seppellita insieme al pozzo di Zamzam. Col passare degli anni, il popolo degenerò nell’idolatria, nella superstizione e nel politeismo.

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Quasi 360 idoli e statue che rappresentavano finti dèi, erano stati eretti dentro e intorno alla Casa Santa (la Kaaba). Molti di questi dèi avevano nomi femminili come Lat, e Uzza. Avevano spesso anche nomi propri di persone pie vissute nel periodo del Profeta Noè come Wadd, Suwaa, e Nasr, che erano state divinizzate dopo la loro morte. La sacra Kaaba era divenuta un santuario di idoli e la religione di Abramo s’era trasformata in idolatria. Segno di questa grave corruzione fu la scomparsa di Zamzam che si perse nei cavità della terra. Ai tempi in cui nacque il Profeta Muhammad soltanto pochissimi abitanti della Mecca avevano mantenuto il puro culto del monoteismo di Abramo e Ismaele; questo periodo di decadenza viene chiamato “epoca dell’ignoranza” (al-jahiliyyah).

Le comunità cristiane. Il Cristianesimo nei primi secoli dell’era Cristiana, si era diffuso rapidamente in tutto il vicino Oriente e molte tribù di beduini si convertirono al Cristianesimo che erano concentrate con maggior numero nello Yemen. Era arrivato nell’Arabia tramite i preti cappuccini che presero rifugio nel deserto scappando dalla Chiesa Romana che li perseguitava, e lì hanno diffuso la loro religione spesso con maggior successo tra gli schiavi e le classi più basse della società. La maggior parte di loro conosceva solo superficialmente la propria religione; si trattava di persone semplici, soprattutto commercianti, fabbri, robivecchi,vinai, macelli, schiavi, ecc. Non c’era una comunità organizzata, mancava preti e chiese. Era una religione popolare che si riduceva ad alcune preghiere e alla conoscenza approssimativa di alcune storie dell’ Antico e del Nuovo Testamento.

Le comunità ebraiche: Nell’anno 70 d.C. dopo la caduta di Gerusalemme e la distruzione del Tempio gli Ebrei si erano stabiliti in tutta l’Arabia e si erano adattati alla lingua ed allo stile di vita arabo pur conservando la propria fede ed il culto di Mosè. Erano ben organizzate, compatte e avevano le loro scuole in cui studiavano il Torah. Erano numerosi in tutta l’Arabia, tranne che alla Mecca, dove non erano visti con simpatia, perche la loro concorrenza commerciale destava preoccupazione. Essi avevano ricchi possedimenti nelle oasi dell’Arabia, dove vivevano in comunità chiuse, delle quali facevano anche parte molti Arabi convertiti. Si erano influenzati della loro vita nella Penisola Araba dove parlavano l’arabo, si chiamavano con i nomi arabi. I Zoroastriani (quelli che adoravano il fuoco) il Zoroastrismo è una religione di origine Persiana (l’attuale Iran).

L’anno dell’Elefante: Nell’anno 570 lo Yemen era sotto la dominazione abissina che era di Religione Cristiana, un Abissino

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di nome Abraha ne era il governatore. Egli fece costruire una grande cattedrale a Sanaà (la capitale dello Yemen). Il suo obiettivo era cambiare la destinazione dei pellegrini dalla Kaaba, che riteneva un santuario pagano, verso la sua grande cattedrale, in modo da affermare il predominio cristiano su tutta la penisola arabica. Ma i pellegrini continuarono a rivolgersi verso Mecca, ignorando la grande cattedrale di Abraha. Allora egli decise di distruggere la Kaaba, preparò un grandissimo esercito e si avviò verso Mecca. Alla testa dell’esercito, in cui c’era un grande numero di elefanti, marciava il grande elefante che caricando faceva strage e suscitava il più grande terrore. Giunto nelle vicinanze della Mecca, Abraha inviò un messaggero nella città e chiese di incontrarne il capo. La Mecca non aveva un vero e proprio capo, ma venne incaricato Abdul Muttaleb che, tra l’altro, aveva un problema personale da risolvere: le guardie abissine avevano rubato un gregge di cammelli che gli appartenevano e voleva ritornarne in possesso. Abraha fu colpito dalla figura di Abdul Muttaleb (che aveva una grande carisma) e volle compiacerlo chiedendogli in cosa potesse favorirlo. Il notabile coreiscita chiese che gli fossero restituiti i suoi cammelli e, di fronte alla delusione del governatore per una richiesta così infame rispetto al rischio della distruzione del "Santuario degli Arabi", Abdel Muttaleb chiarì: “I cammelli sono miei, la Kaaba ha un suo Padrone che certamente la difenderà”. L’affermazione suscitò l’irritazione di Abraha che ribadì la sua intenzione di radere al suolo la Kaaba l’indomani. Tornato alla città Abdul Muttaleb invitò la gente a ritirarsi sulle colline circostanti, poi si recò al Tempio e pregò Allah di proteggere la Sua casa. Il giorno dopo, quando l’esercito stava per muovere contro la città, avvennero fatti miracolosi. L’elefante si accucciò, e nonostante le biasimi e le botte, rifiutò ostinatamente di avanzare. Abraha avrebbe dovuto capire il significato di quel segno, ma non fu così e dette l’ordine di avanzare ugualmente. Il castigo della gente dell’elefante: A quel punto Allah (gloria a Lui l’Altissimo) colpì duramente la gente dell’elefante: apparve una numero incalcolabile di uccelli nel cielo che oscurarono la luce del sole, nel becco di ognuno c’era una pietra d’argilla durissima e mortale. Ogni pietra portava il nome di ogni individuo nell’armata di Abraha. Così colpirono l’esercito e non fecero rimanere nessuno in vita. Questo evento viene raccontato nel Corano, nella Surat dell’Elefante.

La nascita di Muhammad: La nascita del Profeta Mohammad avvenne 50 giorni dopo questo avvenimento, nell’anno 570 d.c., che venne ricordato dai Coreisciti come l’anno dell’Elefante.

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Abdu Allah fu assente dalla Mecca in quel momento, perché si era recato a commerciare in Palestina e in Siria. Sulla via del ritorno, si fermò presso la famiglia di sua madre, a Yathrib ( il nome vecchio del Madina), lì cadde ammalato e in pochi giorni morì lasciando la moglie incinta. Amina, incinta, vide in sogno un angelo scendere dal cielo e le disse: “Colui che porti in grembo è il più grande fra gli uomini”. Grande fu il dolore di tutta la Mecca per la morte di Abdu Allah, e l'unica consolazione del padre Abdul Muttaleb e della moglie Amina fu il bimbo nato alcune settimane dopo la sua morte, esattamente la mattina nel momento del sorgere del sole del Lunedì 20 Aprile, il 12 di Rabee’ Awwal (il quarto mese dell’anno lunare). Alla sua nascita, tutti gli idoli nel tempio del Kaaba caddero in avanti, e Amina vide una luce uscire dal bimbo e irraggiarsi sino in Siria, e in alto sino alle stelle. Al neonato fu dato il nome di Muhammad da suo nonno, che subito lo portò dal nonno al Santuario della Kaaba per svolgere a Dio una preghiera di ringraziamento.

Il nome del Profeta Muhammad: I membri della tribù si stupirono perché nessuno mai prima d’ora era stato chiamato con questo nome. Allora il nonno disse: “Voglio che venga lodato dagli abitanti della terra e da quelli del cielo”. Perché Muhammad significa "Colui che spessissimo è lodato”. Nel Vangelo è menzionato con un altro nome che è “Ahmad” che significa la persona che ha lodato tantissimo Dio. poiché Muhammad è l'ultimo dei Profeti e dei Messaggeri. Allah lo definisce nel Sublime Corano il Sigillo dei Profeti, perché con lui si à chiusa la Missione profetica.

L’infanzia del Profeta: Come era abitudine in quel tempo, i bambini delle famiglie nobili normalmente venivano affidati alle cure di nutrici forti e sane per due anni. Lo facevano per metterli al sicuro dall’aria della Mecca che era considerata malsana, per rafforzarli nello spirito e nel corpo con la rudezza della vita nomade e affinché apprendessero dalle fonti più pure la lingua araba, che i beduini coltivavano con orgoglio e difendevano dalle contaminazioni cittadine. Quraysh si era accordata con una tribù beduina che si chiamava Beni Saad di mettere a disposizione le loro nutrici per allattare i bimbi di Quraysh. La paga di queste nutrici era molto poca ma il vantaggio giungeva dai regali che venivano offerti dal padre del neonato alle nutrici. Più ricco era il padre meglio era per la nutrice.

Ogni anno, in occasione di una certa festa, le donne beduine che potevano allattare si recavano alla Mecca per farsi affidare i bambini. Nessuna nutrice voleva prendere il bimbo Muhammad che era orfano senza padre, e il nonno non era di grande

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ricchezza. Tutte le nutrici se ne andarono con i bimbi e rimase una sola che si chiamava Halima Elsaadeia che non trovando nessun altro bimbo, invece di tornare a casa a mani vuote, prese Muhammad. Dio ricompensò Halima della sua scelta, donando da quel momento al suo bestiame e alle sue pecore una inaspettata e inesauribile abbondanza di latte. Non appena cominciò ad allattare Muhammad, ecco che il suo seno che prima era senza latte si riempì di latte, tanto da soddisfare il piccolo e poi suo fratello adottivo. Anche la cammella ricominciò a dare latte e la sua vecchia asina riprese forza e vigore. Muhammad cresceva circondato dalle cure più attente. Tutti quanti infatti, avevano intuito lo stretto legame tra la sua presenza e l’abbondanza di cui improvvisamente godeva la sua famiglia d’adozione. Tutti furono felici di come il bambino cresceva, grazioso, sobrio e intelligente, distinguendosi dagli altri bambini per i suoi modi gentili, per l’amore e l’ammirazione che suscitava in tutti.

Il viaggio a Yathrib e la morte della madre: Mohammad tornò a vivere con sua madre all’età di due anni insieme a una loro domestica abissina che si chiamava Om Ayman che l’amavano tanto. All’età di sei anni sua madre decise di recarsi a Yathrib (Madina),a 500 Km da Mecca, in visita alla famiglia e per visitare la tomba di suo marito Abdu Allah. Allora partirono tutti i tre; lei, il bimbo e la loro domestica Om Ayman. A Yathrib Mohammad passò dei bei momenti con i suoi zii che l’insegnarono nuotare. Dopo un breve soggiorno che durò un mese a Yathrib partirono tornando a Mecca. Lungo la strada Amina cadde seriamente malata. Provarono a curarla ma le sue condizioni peggiorarono e morì in pochi giorni: venne sepolta in un luogo chiamato Apwaà, situato tra Mecca e Yathrib. Mohammad vide morire sua madre davanti ai suoi occhi, e Insieme alla sua domestica Om Ayman si misero a scavare nella sabbia per seppellire il corpo. Perdendo sua madre all’età di sei anni, così Muhammad rimase orfano di entrambi i genitori e solo in questo grande mondo.

Vivere col nonno: Mohammad tornò a Mecca accompagnato da Om Ayman che lo portò da suo nonno Abdul Muttaleb, che rimase molto scosso dalla notizia dell’improvvisa morte della nuora, e prese la responsabilità di crescere il giovane orfano.

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Abdel Muttaleb era molto anziano, aveva quasi 90 anni, ma amava tanto suo nipote e si prese molta cura di lui, riversando su di lui tutto l'amore che provava per il figlio morto. Lo chiamava figlio e diceva sempre: “Questo mio figlio avrà un grande futuro”. Vivere con lo zio: Due anni più tardi, ci fu un altro grosso dispiacere per Muhammad, che all’età di otto anni perse anche il suo amorevole nonno. Sul letto di morte, il nonno affidò Muhammad ad Abu Taleb, fratello del padre del ragazzo, che non fu meno affettuoso e premuroso del vecchio Abdel Muttaleb. Abu Taleb e sua moglie Fatima bint Assad fecero crescere l’orfano come un loro figlio, senza mai farlo sentire mal voluto o povero. Lo amarono sinceramente e lui amò loro. Negli anni che vennero lo si sentì dire che Fatima bint Assad (madre di Ali) fu per lui come una madre. - Così Mohammad durante la sua infanzia si spostò tra 4 case: prima nel deserto con la nutrice per 2 anni, poi con sua madre e Om Ayman per 4 anni, poi con suo nonno e sua moglie soli per 2 anni e in fine con lo zio e sua mogli e i loro 10 figli. In tutti questi spostamenti nessuno aveva tempo di istruire Muhammad che perciò era analfabeta, non sapeva ne leggere ne scrivere. Grazie a questi continui spostamenti durante l’infanzia che Muhammad imparò l’indipendenza, la responsabilità, serietà e flessibilità nell’adattarsi in diverse circostanze. Ma nel bel mezzo di questa dura situazione Muhammad aveva sempre qualcuno che gli voleva bene e lo trattava con tanto affetto.

Muhammad, il pastore: Abu Taleb era povero e con 10 figli, il cibo scarseggiava, allora Mohammad a 8 anni si sentì obbligato a contribuire al proprio mantenimento. Andò dallo zio e gli chiese di poter lavorare. A questa tenera età l’unico lavoro adeguato era fare il pastore. Portando al pascolo pecore e capre, Muhammad passava molto tempo in solitudine tra le colline di Mecca.

La storia di Bahira : Muhammad crebbe nella casa del suo amato zio, e divenne un giovane bello e di buon carattere, che lo distinse dal resto della gioventù di Mecca. All’età di 15 anni Muhammad abbandonò il lavoro di pastore e cominciò ad aiutare suo zio nel commercio. Una volta lo accompagnò in Siria alla guida di una carovana. E lungo il percorso si fermarono nella città di Bosra, grande centro del traffico carovaniero, nella Siria meridionale. Era anche un centro cristiano con Cattedrale, delle chiese e vi era anche una dimora solitaria, in cui viveva un monaco di nome Bahira, custode di un antichissimo libro che aveva ereditato dai monaci precedenti, e che lo aveva reso esperto delle vecchie scritture cristiane.

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Egli non si curava delle carovane che passavano, ma quando in lontananza apparve Muhammad, notò che una nuvola faceva ombra al futuro Messaggero di Allah. Allora Bahira uscì dal suo ritiro e invitò a pranzo tutta la gente della carovana. Loro accettarono l’invito. Bahira, quando ebbe Muhammad di fronte, si mise ad osservarlo attentamente. E riconobbe in lui la descrizione del Profeta annunciato, perciò per essere sicuro, gli rivolse alcune domande e le risposte del ragazzo confermavano i suoi sospetti. Poi si rivolse allo zio e gli domandò che grado di parentela avesse con il ragazzo, Abu Taleb rispose che era suo figlio, ma Bahira disse: “Non può essere tuo figlio! Perché il padre di questo ragazzo è morto”. “È mio nipote” disse allora lo zio. Poi il monaco domandò: “Che cosa è accaduto a suo padre”.” È morto quando sua madre era incinta” disse lo zio. Infine Bahira esaminò la schiena di Muhammad e vide tra le scapole “il sigillo della profezia”. Si trattava di un grosso neo, della dimensione di una moneta circondato da folti peli. Quindi sentenziò che questo ragazzo era l’ultimo dei Profeti; poi rivolto allo zio, gli disse di riportare presto suo nipote a casa e di proteggerlo. Muhammad il commerciante: Aiutando suo zio nel commercio, Muhammad dimostrò abilità, talento e onestà. Così iniziò il suo nuovo lavoro occupandosi di commercio con le varie carovane che transitavano a Mecca, ciò gli consentì di guadagnarsi da vivere. E in breve tempo diventò capo carovana. Il capo carovana non era il proprietario delle merci ma un condottiero pagato dai ricchi mercanti, i quali gli affidavano le loro ricchezze. Costui non poteva essere un uomo comune ma doveva essere in grado di portare a termine missioni in cui erano necessarie notevoli capacità umane, commerciali, politiche e militari, poiché una carovana era costituita anche da migliaia di uomini e di dromedari, portava con se altissimi valori economici che dovevano essere protetti. Lungo il percorso carovaniero, Muhammad doveva trattare con re e governanti per ottenere i permessi di transito sulle loro terre, proteggere la carovana dalle bande di ladri, mantenere equilibrati i rapporti umani con tutti i componenti della carovana e portare a termine la missione commerciale sui mercati dell'epoca in modo conveniente per tutti. Egli non sapeva ne leggere, ne scrivere, ma sapeva fare i conti. I suoi affari andavano molto bene. Anche se povero, la sua onestà e generosità gli fecero guadagnare la fiducia di tutta la gente che lo conosceva. Fu presto soprannominato al Amin,al Sadek (l’affidabile, l'Onesto) secondo il parere di coloro che gli avevano affidato le proprie merci. Il matrimonio del Profeta con Kharijah: Muhammad visse con suo zio fino all’età di 25 anni. A causa della sua povertà, egli rimase celibe più a lungo di quanto fosse solito nella società araba. A Mecca viveva una ricca vedova, Khadijah, che

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apparteneva ad una delle famiglie nobili di Quraysh. Era molto bella e rispettabile, era conosciuta tra le donne dei Quraysh per il suo nobile carattere e virtù, e per questo veniva chiamata Tahira, cioè la Pura. Khadijah era stata sposata due volte ed ebbe due figli dai suoi precedenti matrimoni. Alla morte del secondo marito aveva deciso di impiegare il suo abbondante denaro nel commercio carovaniero. Aveva rifiutato numerose e onorevoli proposte matrimoniali, e gestiva i suoi affari in prima persona. Non potendo viaggiare di persona assumeva persone fidate ai quali affidava merce e denaro. Sapendo della reputazione e il carattere di Muhammad, gli propose un incarico commerciale e lui accettò. La straordinaria personalità e la bellezza del giovane Muhammad conquistarono Khadijah, e senza perdere tempo gli fece una proposta indiretta di matrimonio. Egli accettò e il matrimonio fu ben presto combinato nell’anno 595, 15 anni prima della Rivelazione Divina. Lei affidò a lui la gestione dei suoi affari, mentre lei si dedicò alla casa e ai figli. Il loro matrimonio fu benedetto e pieno di felicità, e la differenza di età tra loro ( 25 anni lui, 40 lei ) non turbò in nulla la loro unione. Il giorno delle nozze Khadija donò al marito uno dei suoi schiavi, un giovane di 15 anni di nome Zayd che divenne figlio adottivo di Muhammad. Khadija fu una moglie affettuosa e fertile nonostante l’età. Gli diede 2 maschi e 4 femmine: di maschi Qasim, Abdu Allah, e di femmine Zaynab, Ruqayyah, Umm Kulthum e Fatimah.

La morte dei figli maschi: Purtroppo i due figli maschi morirono mentre erano ancora piccoli. Il primo figlio, di nome Qasim, dette al Profeta l’opportunità di assumere il soprannome di “Abu Al Qasim “ cioè padre di Qasim, che non abbandonò mai. Gli Arabi avevano il concetto dell’immortalità che sostituivano con quello della discendenza maschile, perciò il Profeta con la morte dei figli ritornò ad essere un uomo senza immortalità, cioè senza il diritto di una vita futura in altri. Egli sopportò con rassegnazione tale perdita, ma questo dolore fu certamente il più grande della sua vita. La morte dei figli maschi, per un Arabo, era la più grave delle disgrazie. Non averne era una vergogna, tanto che, chi ne era colpito, veniva indicato con il soprannome di abtar “mutilato”. Forse proprio per la mancanza di un figlio maschio, ma anche per aiutare lo zio Abu Taleb che si trovava in gravi difficoltà economiche, che il Profeta accolse a casa sua il più piccolo dei suoi figli, Ali di dieci anni, il quale era destinato a divenire il suo genero (marito di Fatima) e il quarto Califfo.

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La ricostruzione della Kaaba: Dopo un diluvio che devastò Mecca i muri della Kaaba stavano franando, e i Coreisciti decisero di ricostruirla. Era un onore per tutti far parte della ricostruzione della Casa di Dio. Allora distribuirono i lavori tra le diverse clan della città. Tutto precedette per il meglio fino a quando fu l’ora di incastrare la Pietra Nera. L’amicizia con Muhammad, così come i suoi consigli, erano ricercati da tutti. Si racconta che, le quattro tribù principali del clan di Quraysh litigavano tra loro su chi avrebbe avuto l’onore di rimettere a posto la santa Pietra Nera. Quando la lite stava per degenerare uno dei vecchi propose: “La prima persona che entrerà sarà il nostro giudice!”. Era grande la loro gioia vedendo che la prima persona a entrare era stato Muhammad. “E’ l’affidabile, l’onesto” gridarono. Informato della situazione, Muhammad chiese di portargli un telo di stoffa; appoggiò la pietra sul telo e chiese ai membri di ogni tribù di tenerne in mano un lembo in modo da sollevare la pietra tutti insieme. Poi lui stesso prese la pietra e la collocò al suo posto. Così con intelligenza pose fine a questa lite ed evitò il rischio di una guerra.

La religione di Mohammad: Prima di ricevere il dono della profezia Muhammad apparteneva a quella minoranza araba che non adorava gli idoli. Non si prosternò mai di fronte agli idoli, era un Hanif (La religione eterna ereditata da Abramo) e riservava la propria preghiera solo ad Allah. Gli Hunafaà (plurale di Hanif) erano convinti che presto si sarebbe manifestato un nuovo Profeta e non c’era ragione per cui questo non fosse un Arabo. Anche gli Ebrei che vivevano nella penisola arabica condividevano questa attesa; ma, da parte loro, non potevano ammettere che non fosse Ebreo.

La preparazione di Muhammad per ricevere la missione profetica: All’età di 38 anni, a Muhammad capitavano delle cose soprannaturali: 1- Le pietre e gli alberi lo salutavano. 2- Di notte riceveva dei sogni che il mattino seguente si realizzavano.

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3 - Cominciò a preferire la solitudine e la meditazione.

Osservò le montagne intorno a Mecca e scelse una grotta in cima al Monte di Hiraà, a tre km da Mecca. Seduto in questa grotta, egli poteva vedere la Kaaba, il cielo e la terra. Di solito questo avveniva durante il mese di Ramadan. Inizialmente prese a ritirarsi nella grotta per un giorno o due, a volte fino a dieci giorni, ma successivamente i suoi ritiri si prolungarono per tutto il mese. Ogni Ramadan si ritirava in meditazione per purificarsi il cuore, osservando i segni dell’universo alla ricerca della verità.

Khadijah, che a quei tempi aveva 55 anni, veniva a trovarlo nella grotta, e rimaneva insieme a lui per fargli compagnia per 2 o 3 giorni. Senz’altro era molto faticoso per lei a questa età salire il monte ma l’amore per suo marito le dava forza. Però l’amore di Muhammad per lei non era di meno che continuò ad amarla anche dopo la sua morte.

Le sue Virtù caratteriali: L’Onnisciente Allah aveva scelto Muhammad per il compito che lo aspettavano in futuro, e la sua purezza incontaminata rivelava la sua futura grandezza. Infatti Muhammad fin dall’infanzia venne conosciuto per la sua virtù e buon comportamento, lontano dai vizi diffusi nella società pagana, come il bere alcolici, il gioco d’azzardo ecc. che sono tutte caratteristiche della società del tempo. Il suo nobile carattere lo tenne lontano dal partecipare a queste pratiche, tanto che la gente lo soprannominò (il sincero) (l’onesto). Tutti si fidavano tranquillamente di lui e gli si affidavano come giudice imparziale in caso di dispute.

Era un credente nato, il cui cuore era libero dalla sporcizia dell’incredulità e del politeismo. Nessuno lo vide mai vicino agli idoli e tanto meno intento ad adorarli. Come avrebbero potuto credergli le genti se lo avessero visto prostrarsi agli idoli e dedicarsi al vizio come qualunque Arabo ordinario del tempo?

Certamente nessuno avrebbe risposto alla sua chiamata all’Islam verso la virtù e la liberazione dall’oppressione e nessuno gli avrebbe creduto se non fosse stato sicuro testimone della sua onestà e attendibilità. Così la Provvidenza Divina lo seguì fin dall’inizio ispirandolo e istruendolo, infine presentandolo come modello da imitare e Messaggero per tutta l’umanità.

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La Rivelazione e l’inizio della profezia: All’età di 40 anni, Muhammad ricevette la rivelazione Divina che gli si manifestò durante una notte del mese di Ramadan, nell’anno 610 D.C. Quella notte, nota con il nome Laylat al-Qadr, “La Notte del Destino”. Lo Spirito fedele (l’Arcangelo Gabriele), discese portando il messaggio di Dio e una luce per l’umanità: il Corano.

Mentre stava meditando nella grotta di Heraa, nel silenzio della notte, Muhammad vide comparire davanti a sé una creatura che aveva forma umana ma era fatta di luce. "L’Angelo mi disse: "Leggi!"- raccontò Muhammad stesso- “Io gli risposi che non sapevo leggere”. Allora mi avvolse con le sue braccia, e mi strinse da levarmi il fiato e ripeté: "Leggi!" Io dissi ancora: “Non so leggere”. Di nuovo mi prese e mi strinse tanto che mi parve di morire soffocato. Quando mi lasciò mi ordinò ancora "Leggi!". Quando la voce ripeté l’ordine, sembrava che la Terra tremasse e Muhammad si sentì paralizzato dalla paura, incapace di muoversi. Questa volta Muhammad dal forte spavento rispose: “Cosa devo leggere?” Allora Gabriele recitò i primi cinque versetti del sacro Corano: “Leggi nel nome del tuo Dio, il Quale creò (tutto). Creò l’uomo da un grumo di sangue! Leggi! Il tuo Dio è il più generoso, che, per mezzo del calamo ha insegnato all’uomo quello che non sapeva” (Sura al-’Alaq) Muhammad ripeté quelle parole e sentì che questi versetti si erano come scolpite nel suo cuore. In stato di angoscia e confusione, Muhammad scese velocemente dal monte correndo verso casa, con i versetti del Corano che rimbombavano ancora dentro il suo petto. Che tipo di visione era stata quella? Che parole erano state pronunciate? Non capiva cosa gli stava succedendo, né con chi aveva parlato, specialmente che Gabriele non gli aveva rivelato la sua identità. Tremava, batteva i denti ed era coperto di sudore, Muhammad corse verso sua moglie Khadijah, gridando forte: “Coprimi, coprimi” disse a sua moglie che non lo aveva mai visto in questi condizioni. Lei lo coprì e cercò di calmarlo mentre lui le raccontava quello che gli era appena successo. “Ho paura che mi succeda qualcosa di male!” Disse lui. Rispose la moglie con tanta fiducia. “Quello non viene mai da Dio. Dio non ti vuole mai male, poiché tu ami i membri della tua famiglia, aiuti i poveri ed i bisognosi, dai sollievo ai sofferenti e sei molto generoso”. Khadija chiamò subito il suo cugino, un uomo saggio di 90 anni, che si chiamava Waraqah ibn Nawfal e che conosceva molto bene la Torah e il Vangelo. Dopo che Muhammad gli ebbe descritto quello che era successo quella notte, l’anziano, senza esitare, disse che quello era stato un incontro con l’Angelo Gabriele, proprio lo stesso che Dio aveva mandato a Mosè ed a Maria madre di Gesù. Egli aveva compreso che il Profeta menzionato nei Libri sacri era arrivato.

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L’inizio: Qualche giorno dopo Muhammad udì una voce che gli disse: “O Muhammad, tu sei il Messaggero di Allah e io sono Gabriele”. Muhammad guardò il cielo e vide l’Angelo: la sua immagine occupava tutto l’orizzonte in qualsiasi direzione volgesse lo sguardo. Così cominciò la missione dell’ultimo dei Profeti.

 La prima a credere al Profeta fu sua moglie, Khadijah, che non esitò a destinare tutte le sue ricchezze alla causa dell’Islam. Fu seguita dal cugino di Muhammad, Alì, il figlio di Abu Taleb, e poi Abu Bakr il suo migliore amico. In poco tempo un gruppo di meccani tra gli amici più intimi e le persone più vicini, tra i quali alcuni notabili, aprirono completamente i loro cuori e aderirono all’Islam.

La missione profetica a Mecca può essere classificata in due periodi: La chiamata privata: Inizialmente la chiamata all’Islam era rivolta ai parenti stretti. Per tre giorni consecutivi Muhammad discusse col suo clan, Beni Hascem, ma senza successo; alcuni di loro lo derisero ed altri rimasero in silenzio. Soltanto il giovane cugino ‘Ali lo appoggiò, si levò in piedi dichiarandosi apertamente e levandosi in piedi dicendo: “Testimonio che Muhammad è il Messaggero di Allah”.

Di nascosto, Muhammad continuò ad incontrare persone per invitarle all’Islam. Col tempo, il gruppo dei devoti Musulmani intorno a lui aumentò. Così il Profeta cercò un luogo isolato e segreto per riunirsi con loro, ed insegnarli i principi dell’Islam e i versetti del Corano che gradatamente gli venivano rivelati.

La chiamata pubblica: Dopo tre anni di missione semisegreta, il Profeta Muhammad ricevette l’ordine Divino di estendere la sua predicazione al resto della città, di proclamare in pubblico il messaggio dell’Islam e di rendere noti a tutti i versetti che gli erano stati rivelati. Un giorno il Profeta salì sulla cima della colle più alta di Mecca “Safa” e parlò al suo popolo, agli abitanti di Mecca. Mentre si radunavano intorno a lui, gli fu chiesto quale fosse la ragione del suo discorso. Muhammad rispose: “Ditemi voi, gente di Mecca, se io vi dicessi che dietro la collina c’è un esercito che si dirige contro di noi, voi mi credereste? Certo, - risposero tutti, - perché noi ci fidiamo di te, tu non menti mai.” Allora – proseguì Muhammad – “Dovete sapere che io sono il Messaggero di Dio, seguitemi nella mia fede per salvarvi dall’Inferno e garantirvi il Paradiso.” Sentendo questo discorso, la folla divenne silenziosa per la grande sorpresa. Mentre stavano immobili sotto il sole cocente, lo zio del Profeta Abu Lahab, gridò: “Accedenti a te, hai rovinato la mia giornata!”. Abu Lahab è stato l’unico della

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famiglia di Muhammad che l’ha deluso e offeso in pubblico. Così tutti voltarono le spalle e sparirono lasciandolo solo. Il rifiuto: Il Profeta rese pubblica la sua missione e cominciò a predicare presso i suoi concittadini di Mecca, ma incontrò un rifiuto netto. Infatti, il suo messaggio sembrava loro strano e si opponeva alla pratica dell'idolatria che allora era diffusa e radicata da tante generazioni. L'Islam costituisce un modo di vita completo che non solo richiamava all'abbandono dell'idolatria, ma che vietava anche altre attività come la fornicazione, l'usura, i giochi di azzardo, il vino, tutte attività che allora erano dimostrazioni di ricchezza e piaceri di gente benestante. L'Islam predicava la parità tra gli esseri umani chiarendo che l'unico criterio di differenza fra di loro è la loro benevolenza. In queste condizioni era ovvio che Quraysh, la tribù che si considerava il fior fiore degli Arabi, non accettasse la predicazione di Muhammad che eguagliava tra i suoi membri, signori e la gente comune, perfino gli schiavi. I Qurasciti non si limitavano a rifiutare la predicazione di Muhammad, o respingere il suo messaggio, ma gli si opposero fisicamente, maltrattandolo, deridendolo e accusandolo di menzogna, pazzia, stregoneria e altre calunnie che prima della rivelazione non potevano rivolgergli. Un giorno il Profeta pregava in piedi nella Kaaba, mentre gruppi di Quraish se ne stavano distanti a guardarlo. Uno di loro si alzò e disse:" Guardate quello; non finisce di vantare come prega! Nessuno di voi vorrà andare al mattatoio più vicino a portare interiora, e sangue e metterglieli addosso quando si prosterna?. Il più cattivo tra di loro si decise, portò quella puzza e appena il Profeta si prosternò, gli versò tutto addosso. Il Messaggero di Allah si mantenne immobile in quella posizione, mentre gli altri ridevano così forte che uno sbatteva contro l'altro. Avvertita, sua figlia Fatima che allora era piccina, corse a soccorrerlo; il Profeta si alzò dalla sua prostrazione solo quando lei lo liberò da quell'immondizia. Dopo di che, Fatima si rivolse a quelle bestie con tante accuse. Un giorno il Messaggero di Allah predicava gridando: "O gente! Dite "la ilaha illa Allah, vi salverete!". Uno lo sputò in faccia, altro gli gettava polvere sul viso, e chi lo insultava senza riguardo, fino a mezzogiorno. Venne allora Fatima, che era ancora una ragazzina, e gli presentò una gran coppa di acqua. Egli si lavò il viso e le mani e le disse: "Figliola, non temere per tuo padre". La violenza più grave che i miscredenti hanno commesso contro il Profeta era quando il Messaggero di Allah era in preghiera vicino alla Kaaba, lo assalì uno dei notabili, gli avvolse il vestito attorno al collo (per soffocarlo), e glielo strinse molto

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fortemente. Abu Bakr allora intervenne, prese l’uomo dal braccio e lo allontanò dicendo: "Uccidereste un uomo solo perché dice "Il Mio Signore è Allah?".

- Tutte queste difficoltà non piegarono la volontà del Messaggero di Allah. Niente lo poteva fermare, continuò con pazienza a indirizzare i suoi concittadini verso la testimonianza di fede dell’Islam: “Non c’è altro Dio se non Iddio e Muhammad è il Suo Messaggero.” Pian piano cominciava a crescere il numero dei Musulmani guidati dal Profeta soprattutto le classi oppresse (schiavi-sfruttati- poveri) che accolsero con gioia la chiamata all’Islam, felici che il giorno della liberazione fosse giunto. - I capi clan a Mecca, preoccupati ma fiduciosi in un possibile accordo con Muhammad, chiesero ad Abu Taleb, lo zio e difensore del Profeta, di convincere il nipote di abbandonare la sua missione. In caso di rifiuto avrebbero dichiarato guerra contro di lui e contro i suoi seguaci. Lo zio riferì al Profeta le loro offerte e le loro minacce, da parte sua lo pregò di accettare quanto gli veniva proposto. La risposta dell’Inviato di Allah fu di quelle che non ammettono repliche. Disse: “Giuro in Nome di Allah che, se anche ponessero il sole nella mia destra e la luna nella mia sinistra per convincermi ad abbandonare questa via, io non la abbandonerei prima che Egli l’abbia resa vittoriosa, o che io sia morto per essa.” Di fronte a tanta incrollabile fede, ad Abu Taleb non rimase che confermare al nipote la sua protezione.

Il miracolo della luna divisa: Durante tutta la sua vita, il Profeta compì molti miracoli: col permesso di Allah guarì alcuni dei suoi compagni malati, riusciva a far bastare una scarsa quantità di cibo per sfamare decine di persone. E col permesso di Allah divise momentaneamente la luna in due parti. “L'Ora si è fatta vicina e la luna si è divisa”. (Corano, al-Qamar) In italiano qamar significa luna. Questo miracolo accadde prima della sua migrazione a Madina, Quando i miscredenti a Mecca gli chiesero di mostrar loro un miracolo come prova della sua profezia, egli mostrò loro la divisione della luna. In una Hadith raccontato da un compagno del Profeta questo miracolo è riferito così: “Eravamo in compagnia del Messaggero di Dio a Mina, e la luna venne divisa in due. Una delle due parti era dietro la montagna e l'altra era su questo lato della montagna”. Proprio a questo punto, possiamo vedere una delle grandi meraviglie del Corano; gli esperimenti effettuati sulla superficie della luna il 20 luglio 1969 confermano le notizie date 1.400 anni fa nel Corano nella Surat al-

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Qamar. In quella data, gli astronauti americani posero piede sulla luna, scavando nel suolo lunare provando che la luna venne divisa andando in completo accordo con le affermazioni nel versetto.

Le persecuzioni subiti dai Musulmani: Non osando attaccare direttamente Muhammad e non potendo reagire contro i Musulmani che godevano della protezione dei loro clan, i notabili meccani, che erano pieni di rabbia verso la nuova religione considerata in disaccordo con i loro interessi, rivolsero tutta la loro rabbia e odio contro gli schiavi, che erano deboli e indifesi e non avevano nessun appoggio o protezione. Li accusavano di essere bestemmiatori, nemici delle loro tradizioni secolari, del loro ordine, della stessa prosperità della tribù. I primi Musulmani furono oggetto di persecuzione, come invariabilmente lo sono sempre stati i seguaci dei Profeti prima di loro. Per 13 anni, il periodo in cui il Profeta rimase a Mecca prima di emigrare al Madina, i suoi seguaci subirono ogni genere di prepotenza: insulti, sputi, botte e torture.

Bilal, uno schiavo nero originario dell‘Abissinia, che si era convertito all’Islam e in seguito divenne il primo Muezzin nell’Islam, venne ferocemente torturato dal suo padrone, un capo clan. Quello lo fece distendere sulla sabbia rovente nell’ora più calda della giornata, poi gli mise un macigno sul petto, tutto per obbligarlo a tornare ad adorare gli idoli. Piuttosto che rinunciare alla sua fede Bilal era disposto a morire, e nell’estrema sofferenza continuava a ripetere: "Ahad, Ahad (Dio è Uno, Dio è Uno). Lo salvò Abu Bakr, che lo acquistò dal suo padrone a caro prezzo rendendogli così la libertà e la vita. - Un giorno un gruppo di Musulmani fu sorpreso dai pagani mentre stava pregando in una valletta nei pressi della città. Furono insultati e percossi. - Altro giorno, mentre Muhammad stava seduto vicino alla Kaaba, uno dei notabili lo affrontò e lo coprì di insulti. Obbedendo all’ordine di Allah "Sopporta con pazienza quello che ti dicono e allontanati dignitosamente" (Corano), il Profeta non reagì e, quando il pagano non riuscì più a trovare altre offese, si alzò e si allontanò. Poco dopo Hamza, lo zio del Profeta, che era un famoso guerriero e cacciatore e che non aveva ancora aderito all’Islam ma amava suo nipote sinceramente, seppe dell’accaduto e si arrabbiò tantissimo, raggiunse il notabile e gli disse: “Credi che Muhammad non abbia nessuno che lo protegga? Anch’io sono della sua religione e credo in quello che lui afferma. Vendicati su di me se puoi!”.

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La conversione di Hamza dette prestigio alla nascente comunità dei Musulmani, e la sua presenza accanto a Muhammad garantì all’Inviato di Allah maggior rispetto da parte dei Coreisciti pagani. I primi martiri dell’islam: I notabili presero La famiglia di Yaser, composta di Yaser il padre, Sumayya la madre e Ammar il figlio che era coetaneo del nostro Profeta ed uno dei suoi migliori amici, li fecero subire, come tanti altri, tutti i tipi di torture possibili: - li picchiavano con la frusta finché non gli si strappava la pelle. - Bruciavano i loro corpi. - Aspettavano quando il sole diventava più ardente verso il mezzo giorno, e li facevano sdraiare sulla sabbia rovente nel deserto, poi prendevano le pietre più grosse e pesanti e le posavano sui loro petti fino a quando non riuscivano più a respirare. E gli dicevano: “Rinunciate all’Islam, glorificate i nostri dèi o vi tortureremo fino alla morte!” Ma i loro cuori avevano riconosciuto la luce della fede e non potevano più tornare in dietro. Il Profeta era profondamente addolorato e gli si stringeva il cuore alla vista di questo brutale trattamento che subivano uomini e donne innocenti. Quando egli passò e vide la famiglia di Yaser in questi condizioni, piangendo disse loro: “Coraggio Al Yasser, abbiate pazienza, sarete premiati da Dio col Paradiso”. Sumayya rispose: “Confermo che sei il Messaggero di Dio, e che la tua promessa sarà esaudita”. Sentendo questo, il notabile s’infuriò, prese una spada e la colpì dritta al cuore, uccidendola. Poi si rivolse con la stessa rabbia contro Yaser e lo prese a calci nella pancia fino ad ucciderlo. Così Sumayya e suo marito Yaser furono i primi martiri dell’islam. Ammar, loro figlio, vedendo quello che era successo ai suoi genitori, si mise a piangere, ma i miscredenti gli fecero subire le stesse torture; lo presero e gli sommersero la faccia nell’acqua bollente e gli dissero: “Parla bene dei nostri dèi e parla male di Mohammad e del suo Dio, altrimenti, farai la stessa fine dei tuoi genitori”. Allora lui con il cuore pieno di fede per Dio, disse quello che loro volevano sentire, per ottenere la propria libertà. L’emigrazione in Abissinia: Per i Musulmani deboli e indifesi la situazione alla Mecca diventava sempre più critica e pericolosa. Perciò il Profeta consigliò loro di emigrare in Abissinia (l‘attuale Etiopia) dicendo: “In quel paese regna un sovrano sotto il quale nessuno è perseguitato. Vi potrete rimanere finché Allah non ci aprirà una strada”.

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Nel 615, 5 A.H. partirono a piccoli gruppi per non dare troppo nell’occhio, un’ottantina di Musulmani in tutto, senza contare i loro figli più piccoli. In Abissinia, che era terra cristiana, governava un sovrano, il Negus, dotato di un grande spirito di carità, Egli diede ospitalità ai Musulmani e li difese dai loro persecutori. Pur rimanendo Cristiano, il Negus aveva riconosciuto l’origine divina della Rivelazione e si era commosso sentendo recitare i versetti del Sacro Corano che descrivono la nascita di Gesù. L’esilio dei Bani Hashim: I Coreisciti fecero del loro meglio per arrestare questo flusso di emigrazione, ma senza successo. Presto divennero esasperati oltre ogni limite contro il Profeta e il piccolo gruppo di Musulmani che erano rimasti con lui a Mecca . Non essendo in grado di convincere Abu Taleb, il capo degli Hashimiti (il clan del Profeta) a consegnare loro il Profeta per metterlo a morte, e non riuscendo a tentare il Profeta offrendogli la monarchia e le ricchezze mondane, tutti i clan si impegnarono, in un decreto che fu poi appeso alla porta della Kaaba, di confinare i Hascemiti ed imporli sanzioni economiche e sociali: di non commerciare con loro, non sposare le loro donne e non dare le figlie in sposa ai loro uomini. Così esiliarono gli Hashimiti insiemi ai Musulmani rimasti a Mecca in un piccolo quartiere in una valle; una delle gole che corrono sotto Mecca. Per tre lunghi anni nessuno li poté vedere e non poterono vedere nessuno. I Musulmani non potevano comprare niente dai commercianti meccani e nemmeno da qualsiasi commerciante che venisse da fuori. Se qualcuno di loro veniva trovato fuori da questa valle veniva picchiato senza pietà. Era loro consentito libertà di azione soltanto durante il periodo del pellegrinaggio.

Presto le loro scorte di cibo si esaurirono e furono ridotti alla fame. Le loro donne e, specialmente, i loro bambini e i lattanti piangevano dalla fame e questo era per loro più duro della loro stessa fame. I morsi della fame erano tali da spingerli a volte a mangiare le foglie degli alberi. Riuscirono a sopravvivere solo grazie alla solidarietà dei Musulmani ricchi e potenti che rimasero fuori dall’esilio, tra i quali in particolare modo Abu Bakr e qualche pagano legato ai Bani Hashim o alle loro mogli da legami di parentela, che qualche volta riuscivano di nascosto durante la notte ad inviare loro qualche provvista malgrado la serrata sorveglianza dei notabili. Uno di questi ultimi riuscì infine a mettere insieme un gruppo che chiese l’annullamento del bando. Molti alla Mecca erano convinti che fosse tempo di farla finita e il bando fu ufficialmente revocato dopo tre anni.

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Tra gli esiliati c’era Khadija, la moglie del Profeta, e lo zio Abu Taleb ormai molto anziano. Khadija aveva 63 anni, si ammalò in quel periodo e le sue condizioni di salute divennero critiche, ma lei insistette a rimanere in esilio per stare accanto il suo amato marito. Questi tre anni furono il momento delle più pesanti sofferenze per i Musulmani, e lo stesso Islam fece scarsi progressi in questo periodo. L’Anno del Dolore: La vita del bando era così dura che Khadija morì poco dopo all’età di 65anni. La morte dello zio Abu Taleb giunse tre giorni dopo quella di Khadija. Questo accadde nel decimo anno della Rivelazione, nel 619. Nel giro di tre giorni il Profeta perse le due persone più amate, i due roccaforti della sua realtà affettiva e sociale: l’amatissima moglie e lo zio, capo del suo clan e suo protettore. Fu una grande tragedia per il Profeta e l’anno è conosciuto come Anno del Dolore. Il viaggio al Taif : Abu Lahab, lo zio paterno del Profeta e il suo implacabile oppositore, era diventato il nuovo capo del clan di Bani Hashim dopo la morte di Abu Taleb, ed aveva fatto sì che Muhammad fosse isolato dal resto del clan. In quei tempi, senza protezione tribale, l’esistenza poteva essere molto difficile per chi si fosse messo in contrasto con la maggior parte dei notabili della città. In seguito al rifiuto totale da parte dei Meccani, il Profeta, con la rinnovata speranza che una nuova tribù avrebbe ascoltato la Parola di Allah, si recò al Taif, una città a 70 Km dalla Mecca verso est. Il Taif era un ricco luogo di villeggiatura che i Coreisciti meccani benestanti frequentavano nei mesi estivi. Il Profeta non parlò a nessuno di questo viaggio tranne che a Zayd, suo figlio adottivo, che lo accompagnò. All’arrivo a Taif il Profeta parlò con i capi tribù separatamente ed espose a loro il messaggio di Dio, invitandoli a stare al suo fianco. Invece di accettare il suo messaggio, non vollero neanche ascoltarlo e, contraddicendo la nota ospitalità araba, lo trattarono molto arrogantemente e scortesemente. Gli dissero chiaramente che non volevano che restasse nella loro città. Il Profeta si aspettava un civile e forse anche cordiale trattamento e la dovuta cortesia nel dialogo da parte loro in quanto essi erano i capi tribù. Invece uno di loro si burlò di lui: «Eh, Dio ti ha scelto come Profeta!». L’altro esclamò deridendolo: «Dio non

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aveva nessun altro oltre te da scegliere come Profeta?». Il terzo lo scherni: «Non voglio parlare con te perché se sei veramente un Profeta allora opporsi a te significa cercare problemi; se invece solo fai finta di esserlo, perché dovrei parlare con un impostore?». Muhammad, che aveva la fermezza e la perseveranza di una roccia, non si perse d’animo al loro rifiuto e provò ad avvicinare la gente comune: nessuno, però, gli diede ascolto; gli dissero, invece, di lasciare la loro città e di andare dovunque volesse. Quando si rese conto che ulteriori sforzi erano inutili il Profeta decise di lasciare la città. Quelli, però, non lo lasciarono partire in pace ma gli aizzarono contro i ragazzi di strada che presero a fischiare, urlare, burlarsi di lui ed a colpirlo con le pietre. Fu colpito così da tante pietre che il suo corpo fu coperto di sangue e le sue scarpe come bloccate ai suoi piedi; lasciò la città in tale pietoso stato.

Quando fu ben lontano dalla città ed al sicuro dalla gentaglia; ferito, sanguinante ed esausto, il benedetto Profeta alzò le mani al cielo e invocò Dio. Talmente profonda era l' intensità dello spirito di devozione nella sua preghiera, che i cieli furono scossi e Allah gli rispose immediatamente. L’Arcangelo Gabriele gli apparve, lo salutò dicendo: “Dio sa quello che è accaduto tra te e questa gente. Ha ordinato all’angelo delle montagne di mettersi al tuo servizio”. L’angelo delle montagne si presentò, lo salutò e disse: “O Profeta di Dio! Sono al tuo servizio. Se me lo ordini” disse l' angelo “chiuderò le due montagne ai lati di questa città e la distruggerò per il male che ti hanno fatto”. Il Profeta, che era misericordioso verso l'umanità, gli disse di non farlo. “Queste genti non comprendono il mio Messaggio, lasciali stare. Non fare loro del male. Forse Allah porterà nella loro discendenza gente che ascolterà la Sua Parola”.

Il Profeta rientrò alla Mecca scortato da un capo clan che non gli era ostile.

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Il Viaggio Miracoloso e l’ascensione al cielo Poco tempo dopo Allah (gloria a Lui l’Altissimo) diede al Profeta, in questo tempo di grandi difficoltà, un meraviglioso segno della Sua Benevolenza. Nel 621, durante quella notte molto speciale che viene chiamata “La notte dell’Israa e del Miraj”, l’angelo Gabriele andò da Muhammad e lo svegliò e gli disse di salire in groppa ad un animale chiamato al-Burâq. Si trattava di un animale paradisiaco, qualcosa tra il cavallo e l’asino bianco alato. Improvvisamente il Profeta fu portato alla velocità di un fulmine “ buraq” significa “fulmine” – fino alla Moschea di Al-Aqsa, a Gerusalemme. Lì, in questo luogo sacro nel cuore di Gerusalemme, il Profeta s’incontrò con i più grandi Profeti. Tutti riuniti, gli guidò in una preghiera comune. Poi l’angelo Gabriele lo prese e lo fece salire oltre i sette cieli in modo che fosse testimone dei misteri invisibili dell’universo, e che fosse in grado di vedere i segni del Dio Altissima. Muhammad e l’angelo Gabriele attraversarono i sette Cieli, incontrando nuovamente i Profeti, nella loro forma Celeste: Gesù, Yahya (Giovanni il Battista), Giuseppe, Aronne e Mosè - la Pace sia con loro - finché arrivarono al settimo cielo dove c’è la Casa Eterna (il gemellaggio della Kaaba nel cielo,è il luogo di culto per gli angeli) e lì trovarono un uomo seduto su un trono alla porta. “Non avevo mai visto un uomo che mi assomigliasse cosi tanto - disse il Profeta- Questo è mio padre Abramo”. Poi salì ancora, dove l’angelo Gabriel non poteva più accompagnarlo: presso il vertice del regno dei cieli, dove c’è il trono di Dio. Qui il Profeta ricevette da Allah Misericordioso l’obbligo del rito centrale del culto, il secondo pilastro dell’Islam: le cinque preghiere quotidiane.

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Quando ritornò alla Mecca, il racconto di questo viaggio miracoloso suscitò scetticismo e sarcasmo dei miscredenti, e molti Musulmani di debole fede dubitarono di lui. In questo momento difficile il suo amico e futuro califfo Abu Bakr dimostrò il livello della sua fede e la sincerità del suo affetto non dubitando nemmeno un istante della attendibilità del suo racconto.

L’Oasi di Yathrib (il Madina, città del Profeta): Situata a 5oo km al Nord di Mecca. La famiglia del Profeta (pbsl) era legata da diversi legami di parentela con le più importanti famiglie di Yathrib. Sua bisnonna Salma, madre di Abdel Muttaleb, e sua madre Amina erano originarie dell’oasi del Madina. Si trattava di un’oasi molto antica ricca di acqua con un agricoltura fiorente. La maggioranza della popolazione era formata da due tribù arabe gli Aws e i Khazraj che erano spesso in lotta tra loro. Il resto degli abitanti consisteva di tre forti clan ebraici, Bani Nadir, Bani Qurayza e Bani Qaynuqa che la loro presenza non favoriva la pacificazione. In caso di conflitto tra i Khazraj e gli Aws, i rispettivi alleati Ebrei entravano in campo e combattevano contro i loro fratelli di religione .

Il loro comportamento si innestava su quello litigioso dei vicini Arabi e manteneva l’oasi in un clima di costante instabilità. Da questa situazione gli Ebrei ottenevano benefici politici e materiali: essendo abili artigiani fabbricavano armi che vendevano ai avversari e, al contempo finanziavano a caro prezzo il loro sforzo militare.

Il Profeta si rese conto che era inutile continuare la sua missione a Mecca dove ormai dominante l’idea di ucciderlo e liberarsi di lui una volta per tutte. Per cui decise di fare un giro tra le tribù che arrivavano a Mecca durante il periodo del pellegrinaggio. In dieci giorni s’incontrò con 26 tribù ma venne smentito da tutte loro. Al decimo giorno mentre tutti si stavano preparando per la partenza, il Profeta s’incontrò con sei giovani originari del Madina della tribù di Khazraj. Si stavano tagliando i capelli dal barbiere quando il Profeta gli chiese di ascoltarlo, gli parlò della sua missione e gli recitò una parte del Corano. I giovani ascoltando le sue parole si stupirono e dissero: “Allora sei tu l’ultimo dei Profeti di cui parlano sempre gli Ebrei al Madina”. “Ritorneremo dai nostri -promisero- e li inviteremo ad accettare la tua religione così come noi l’abbiamo accettata. Essi sono divisi dall’inimicizia e dal male e se Allah li riunificherà intorno a te, nessun uomo lì potrà avere maggior potere di te”.

Il giuramento di Aqaba: L’anno successivo, l’anno 621, cinque di loro rifecero il pellegrinaggio insieme a

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sette loro concittadini tra cui due membri della tribù di Aws, il clan loro rivale. Si incontrarono col Profeta presso la montagna di Aqaba, e fu stipulato un patto detto “prima Aqaba” in base al quale essi si impegnarono a sottomettersi al Profeta di Allah. Egli inviò con loro a Madina un suo compagno Musaab Ibn Umayr, per far conoscere loro gli insegnamenti e le regole dell'Islam. Musaab fece un ottimo lavoro, visto che l’anno seguente, il 622, ritornò ad ‘Aqaba un numero più che quintuplicato di persone. Furono 73 gli abitanti del Madina che nell’occasione del pellegrinaggio si recarono ad incontrare l’Inviato di Allah. Fu definito tra loro un nuovo patto detto "seconda Aqaba", in base al quale dodici capi dei clan degli Aws e dei Khazraj si impegnarono a difendere il Profeta e promisero di proteggerlo e di sostenerlo se si trasferisse nella loro città. La prima conseguenza pratica di questo accordo fu l’inizio dell’emigrazione dei Musulmani da Mecca verso Yathrib, quella che ormai stava diventando la Medina (città) del Profeta.

L’emigrazione verso Madina: A piccoli gruppi i credenti cominciarono ad emigrare verso Yathrib. Il viaggio era lungo e pericoloso, ma con l’aiuto di Allah tutto si svolgeva senza incidenti di rilievo. Partirono Hamza, lo zio del Profeta, e Othman il suo genero, e Omar il suo amico, e Zaid con mogli e figli. In poco tempo la maggior parte dei compagni del Profeta emigrò, anche Abu Bakr chiese il permesso di partire, ma Muhammad lo invitò ad aspettare.

Nel giro di due mesi più di 150 Musulmani lasciarono Mecca, il Profeta rimase a Mecca con pochi dei suoi seguaci. I Coreisciti si accorsero del piano di fuga, avevano paura che Muhammad potesse fuggire al Madina e raggiungere i suoi nuovi alleati in modo di poter formare una forza che potesse minacciare la loro esistenza. Così decisero di ucciderlo, per loro era il momento ideale, essendo solo senza i suoi seguaci.

L’attentato alla vita del Profeta: Fu tenuta una grande riunione di tutti i clan di Mecca, e si prese la decisione di un piano criminale. Avrebbero ucciso Muhammad e lo avrebbero fatto in modo tale da evitare la vendetta tribale sull’omicida. Al momento opportuno una banda di assassini, uno per ognuno dei clan, sarebbe penetrata nella sua casa al calar della notte e lo avrebbe ucciso. I Bani Hashim (clan del Profeta) non avrebbero potuto far la guerra a tutta la città e in tal modo i criminali avrebbero ottenuto l’impunità. In quelle stesse ore il Profeta ricevette la visita dell’Arcangelo Gabriele, che gli portò l’ordine di lasciare la città. Muhammad si recò subito da Abu Bakr e lo informò che sarebbero partiti insieme quella stessa notte.

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Sapendo che i suoi movimenti erano spiati da quelli che si stavano preparando ad ucciderlo, Muhammad ideò uno stratagemma. Diede ad Ali il suo mantello e gli disse: “Avvolgiti in questo mantello e dormi sul mio letto. Non ti faranno alcun male”. Poi recitò una parte del Corano: “Poi li avvolgeremo affinché non vedano niente" (Corano). La casa del Profeta fu assediata da questi giovani assetati di sangue non appena fece buio, ma impassibile e fiducioso nella Divina protezione, il Profeta uscì di casa e passò in mezzo a loro senza che nessuno lo potesse vedere.

L’emigrazione del Profeta e Abu Bakr verso Madina (Al-Hijra): Nel buio della notte, con un solo compagno, il Profeta andò per le strade di Mecca verso le colline fuori città. Quando i congiurati si accorsero della sua sparizione lui era già lontano. Insieme ad Abu Bakr erano partiti verso Sud per ingannare gli inseguitori, era il 16 luglio del 622 D.C. Il Profeta disse guardando la Mecca dietro di se: “Di tutta la terra di Dio, tu sei il luogo più caro a me e a Dio, e se il mio popolo non mi avesse scacciato, io non ti avrei lasciato". Dopo tante salite e discese trovarono un nascondiglio in una grotta sulle pendici del monte Thawr, sulla strada per lo Yemen. Quando si fece giorno i loro nemici, rendendo conto del fallimento del loro piano, promisero cento cammelli a chi li avesse riportati indietro, e molti armati stavano percorrendo tutte le possibili piste che si dirigevano verso l’oasi. Nel piano del Profeta la permanenza nella grotta aveva lo scopo di far calmare le acque finché non si fossero fermate le ricerche, perché poi potessero dirigersi con maggior sicurezza verso la meta. Una parte degli inseguitori cominciò a salire sulle pendici del monte e raggiunse proprio l’imboccatura della grotta. Giunti davanti all’apertura della grotta rimasero a discutere tra loro. Allah Altissimo ordinò a un ragno di costruire la sua ragnatela all'entrata della caverna. Abu Bakr vide il nemico all’ingresso e si rattristò e disse: "Se qualcuno di loro guardasse sotto i suoi piedi ci vedrebbe", ma il Messaggero di Allah gli rispose: "Non ti preoccupare. Cosa pensi di due persone quando Allah è il terzo di loro?”. I miscredenti stavano per entrare nella grotta, ma videro una ragnatela all'ingresso, e uno di loro gridò ai suoi

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compagni, che erano pronti per entrare: "Non vedete questo ragno?! Non vedete la sua ragnatela all'ingresso della caverna? Come potrebbe una persona entrare senza rompere la ragnatela?!!". Gli altri guardarono sorpresi ed esclamarono: "Hai ragione: Muhammad non può essere entrato qui senza rompere la ragnatela". E il loro capo disse: "Allora andiamocene a cercare Muhammad in un altro posto". Appena si furono allontanati, Muhammad e Abu Bakr si avvicinarono all’imboccatura e videro con emozione i segni del favore del loro Signore: oltre al ragno che aveva tessuto la sua ragnatela nel punto dove un uomo avrebbe dovuto posare il piede per poter entrare nella cavità naturale, una colomba aveva fatto il suo nido e stava covando. Il Messaggero di Allah e Abu Bakr rimasero nella caverna per tre giorni, durante i quali Asma', figlia di Abu Bakr portava loro da mangiare, mentre i miscredenti continuavano a cercarli. Il quarto giorno, i Coreisciti abbandonarono le ricerche, e il Profeta e il suo Compagno uscirono per continuare il loro viaggio verso Madina.

La storia di Soraqa: Il Profeta e Abu Bakr erano inseguiti da Soraqa, che voleva uccidere il Profeta per conquistare il premio di 100 cammelli messi in palio dalla tribù dei Quraysh. Quando Soraqa fu molto vicino al Profeta e stava quasi per catturarlo, il Messaggero disse: “O Allah, Tu che sei capace di proteggermi da lui, ti prego, fallo in qualsiasi modo Tu voglia. In verità tu sei il Potente.” A questo punto Soraqa cadde da cavallo e ciò fu molto strano perché era un cavaliere molto bravo. Soraqa tentò più volte di avvicinarsi ma accadde sempre la stessa cosa per ben tre volte. Allora, Soraqa capì che il Profeta era protetto dal Potente, dunque gli disse: “Muhammad, proteggimi. Dammi dei soldi!” Il Profeta (PBSL) gli rispose: “Prometto di darti il braccialetto di Cosro.” (Il Re dell’impero Persiano di quel tempo) Molti anni dopo la morte del Profeta e quella di Abu Bakr, durante il califfato di Omar, i musulmani conquistarono la Persia e tutti i tesori dell’Impero furono portarti a Medina. In quel tempo Soraqa era già diventato musulmano. Omar sul pulpito del Profeta, piangendo, disse: “Dov’è Soraqa Ibn Malik? Vieni qua Soraqa!” Omar prese il braccialetto di Cosro e lo diede a Soraqa dicendogli: “Questo è il braccialetto che il Profeta (PBSL) ti promise” La fedeltà di Omar nell’assolvere alla promessa che il Profeta (PBSL) aveva fatto 20 o 25 anni prima?! Soraqa prese il braccialetto e tutti quelli che stavano in moschea scoppiarono in lacrime.

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L’arrivo a Kebaà: Il Profeta e Abu Bakr arrivarono dopo non pochi rischi e difficoltà a una piccola città di nome Kebaà, 10 km da Madina. Gli abitanti di questa città li accolsero con tanta felicità, così il Profeta decise di fermarsi lì 3 giorni. E subito ordinò la costruzione di una moschea che si considera la prima moschea nella storia dell’Islam, il Profeta partecipò personalmente nella costruzione malgrado la stanchezza e la fatica del viaggio.

L’arrivo al Medina: Giunsero infine a Yathrib il 27 settembre del 622, accolti in una grande festa generale. Il Messaggero di Dio, dopo tredici anni di chiamata all’Islam e dopo aver sofferto molto per le persecuzioni dei pagani, andò là dove gli venne offerta pace e sicurezza. Al suo arrivo, Il Profeta respinse con gentilezza tutti gli inviti a fermarsi che la gente gli rivolgeva speranzosa di potersi concedere un onore di quel genere, e lasciò che la sua cammella vagasse per l’oasi senza guida apparente. Quando qualcuno cercava di fermarla afferrando le sue briglie, diceva amabilmente:"Lasciatela andare, è guidata". La cammella si fermò infine in un cortile di proprietà di due orfani. Muhammad chiese loro se volevano vendergli quel terreno. "O inviato di Allah, te lo regaliamo", risposero gli orfani. Il Profeta (pbsl) insistette per comprarlo e infine la transazione fu conclusa. Il Profeta ordinò subito la costruzione, in quel cortile, di una moschea, oggi famosa come la moschea del Profeta. E accanto la moschea venne costruita la casa del Profeta in cui vi sarebbe stato sepolto alla sua morte. In questa moschea venivano eseguita cinque volte al giorno la preghiera in un’ atmosfera libera per la prima volta nella storia dell’Islam.

Questa migrazione viene chiamata in Arabo Al-Hijra, e costituì un momento decisivo nella storia dell’Islam: il momento dell’inizio del calendario islamico (lunare). Così le Date islamiche sono in genere seguite da AH, “Anno Hegiri” o l’anno del Hegira.

Coll’arrivo del Profeta la città di Medina prese il nome di “Madinat arrasul” (Città del Profeta) in sostituzione di Yathrib -oggi meglio conosciuta con Madina al Munauara o "La Città Illuminata"- e divenne la prima capitale dello Stato islamico.

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La fraternità tra Meccani e Madienesi: Per gettare le basi di una nuova comunità che non si basava più sui legami di sangue ma sull’identica fede in Dio Altissimo (gloria a Lui), il Profeta Muhammad decise di fondare uno speciale legame fraterno tra i credenti originari dell’oasi, soprannominati Ansar (ausiliari), e quelli provenienti dalla Mecca, Muhajirun (emigrati). Ad ogni emigrato assegnò un particolare Ausiliario e viceversa, così che tutti i credenti fossero uniti tra loro. I Madienesi aprirono le porte delle loro case ai loro fratelli de fede emigrati da Mecca, e li accolsero calorosamente con un augurio di benvenuto. I Madienesi sono stati affascinati dalla nobiltà d'animo del Profeta, dalle sue qualità e lo amarono più di loro stessi, facevano a gara per servirlo e sacrificavano tutto per lui e per l'Islam. Vissero in una società spirituale piena di serenità e di felicità, in cui i rapporti di amore e di affetto tra tutti i membri sono molto stretti: tra il ricco e il povero, il nobile e l'umile, il bianco e il nero, l'Arabo e lo straniero non c'erano differenze o disuguaglianza.

I nemici giurati al Madina: Due categorie di persone che vivevano al Madina avevano mal sopportato l’arrivo del Profeta: circa un terzo di Madienesi erano ipocriti, falsi credenti che simulavano l’adesione all’Islam per timore della maggioranza musulmana. Alla testa di questo gruppo c’era un Khazraj, Abdu Allah ibn Ubayy ibn Sallul. Questo 'Abdullah progettava di proclamarsi 're' di Madina, e un orafo era stato incaricato di fabbricargli una vera corona. Ma, con l'arrivo del Profeta nella città, che venne nominato da Madienesi il governatore generale dell’oasi e esercitò sia un potere politico che spirituale, le speranze di Abdu Allah svanirono per sempre. Ora non aveva alcuna possibilità di realizzare il suo sogno e ciò lo rese, con i suoi complici, ostile all'Islam. Ibn Sallul si convertì formalmente e assolveva pubblicamente ai riti, tuttavia non cessò mai di odiare il Profeta e tramare contro l’Islam e contro i Musulmani seminando discordia tra gli Emigranti Meccani e gli Ausiliari Madienesi. Gli ipocriti cominciarono a provocare gli Ansar dicendo loro: "Guardate come hanno preso tutto il potere, lasciandovi disperati nelle vostre case. Prendete coraggio e rompete il patto con loro". Anche gli Ansar appartenevano a due diverse tribù, che nel passato erano ostili. L'Islam conciliò le loro differenze e le unì in una comune fratellanza. Gli ipocriti cercavano costantemente di far riaffiorare le loro ormai dimenticate ostilità, affinché gli Ansar si scagliassero di nuovo gli uni contro gli altri. Solo la protezione di Allah riuscì a rendere vane le loro manovre. Più di una volta il Profeta dovette intervenire personalmente per riportare la pace tra gli schieramenti, ricordando loro la comune fratellanza nella Fede.

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Le tribù giudee che vivevano a Medina e nei suoi dintorni a Khaibar e a Fadàk non riuscivano a rallegrarsi di questa felice unione tra Muhajirun e Ansar. Queste tribù, infatti, nonostante avessero per anni annunciato agli Arabi la venuta del Profeta Muhammad, nella loro grande maggioranza non avevano accettato che ci potesse essere un nuovo Profeta non ebreo e, pur riconoscendo il messaggio, non erano disposti a riconoscere il Messaggero. Si rifiutarono di convertirsi all’Islam, limitandosi ad accettare un patto di non aggressione con i Musulmani.

Una testimonianza in proposito venne negli anni successivi da Safiyyah figlia di Huyay, che divenne una delle spose dell’Inviato di Allah. La giovane, figlia di uno dei più importanti capi degli Ebrei, raccontò che da bambina era rimasta colpita da quanto aveva sentito dire da suo padre e suo zio a proposito di Muhammad (pbsl). I due uomini, poco tempo dopo l’arrivo del Profeta a Madina, erano andati a vederlo e a sentirlo parlare. Tornarono scuri in volto e preoccupati. "Allora è proprio lui - disse uno - è il Profeta di cui parlano le nostre Scritture? " Si - rispose il fratello. "Lo dobbiamo riconoscere? chiese il primo. "Mai! - concluse l’altro- Anzi, lo combatteremo con tutte le nostre forze”. Un altro fatto che doveva aver infastidito non poco gli Ebrei era stato il cambiamento dell’orientazione della preghiera: Fino ad allora i Musulmani avevano sempre pregato rivolgendosi verso Gerusalemme, ma il Profeta Muhammad sentiva che erano maturi i tempi di dare un segno certo del ritorno alla purezza iniziale del culto abramico. Quale miglior segno se non quello di rivolgersi verso il Tempio che lo stesso Abramo e suo figlio Ismaele avevano costruito? La Kaaba. L’ordine Divino avvenne in maniera netta e clamorosa; l’Inviato di Allah stava guidando la preghiera del mezzogiorno, quando a metà dell’orazione ricevette dall’Angelo Gabriele il versetto contenente l’ordine di rivolgersi verso la Kaaba. Essendo rivolto verso nord si alzò, risalì le file dei fedeli per compiere una rotazione di 180 gradi che lo ponesse con fronte a Sud, in direzione della Mecca. Questo fatto provocò un minimo di scompiglio tra la gente.

Le difficoltà degli Emigrati: Lasciando Mecca gli Emigrati avevano perso tutti i loro beni che vennero confiscati dai Meccani, e la solidarietà dei Madienesi alleviò in parte questa miseria. Qualcuno di loro riuscì a mettere a profitto le capacità per le quali già eccelleva; un esempio per tutti quello di Abdurrahman Ibn Auf; era stato uno degli uomini più ricchi della Mecca ma quando arrivò a Medina non possedeva più nulla. L’ausiliario che il Profeta gli aveva assegnato, con tutto l’affetto fraterno gli disse: "Possiedo due case, prendine una; possiedo due giardini, uno è il tuo; ho anche due mogli, se vuoi divorzio da una di loro e tu potrai sposarla”. Abdurrahman

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rifiutò l’offerta ringraziandolo moltissimo e gli disse: "Indicami solo dov’è il mercato”. Vi si recò, comprò qualche merce a credito e la vendette guadagnando; pagò il debito e ne comprò dell’altra. Nel giro di pochi mesi era di nuovo uno degli uomini più facoltosi della comunità; quando morì, dovettero usare la pala per spostare l’oro che aveva accumulato.

- La Mecca era una città basata sull’attività commerciale, mentre la Madina era una città di attività agricola. Gli Emigrati non sapevano niente di agricoltura, erano più bravi come commercianti. Il loro numero era in continuo crescita, e trovare un occupazione per tutti era assai difficile. - il cambiamento climatico tra Mecca e Madina causò epidemia tra gli emigrati; il clima a Mecca è caldo secco, mentre a Madina è un clima umida.

La prima Carta Costituzionale: La costituzione della Madina: Non era mai esistito nulla di simile, il Sacro Profeta instaurò relazioni amichevoli tra le varie tribù che vivevano al Madina senza distinzione di religione o razza pubblicando la carta della Madina. Questa Carta fu scritta di comune accordo da Musulmani, Cristiani ed Ebrei dell’Oasi sotto la guida del Profeta. I termini fondamentali di questo trattato furono i seguenti: 1- Musulmani ed Ebrei avrebbero vissuto come un solo popolo. 2- Ognuno della parti avrebbe mantenuto la propria fede. 3- In caso di guerra con una terza fazione, ogni comunità sarebbe stata tenuto a

giungere in aiuto dell’altra. 4- In caso di attacco al Madina, entrambi i gruppi si sarebbero prodigati per

difenderla. 5- La Madina sarebbe stata considerata sacra da entrambi, e in essa sarebbe stato

proibito ogni spargimento di sangue. 6- Il Profeta avrebbe avuto il ruolo di giudice ultimo nei casi di disputa.

- A Medina furono istituiti altri due Pilastri dell’Islam. la Zakah (l’Elemosina secondo i redditi), e il Digiuno del mese sacro di Ramadan nel 2 AH.

I matrimoni del Profeta: A distanza di tre anni dalla morte dell’amata moglie Khadija e al suo arrivo al Madina, il Profeta si risposò. Secondo le usanze antiche

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prese in moglie diverse vedove di nobili compagni. Aisha, figlia di Abu Bakr, era l’unica sposa del Profeta che era nobile. La poligamia faceva parte della società del tempo. Ma la Rivelazione coranica limitò la pratica a quattro moglie. Le spose del Profeta costituivano un’eccezione, in quanto la loro funzione era anche quella di ritrasmettere i suoi insegnamenti.

La battaglia di Badr: Le notizie che provenivano dalla Mecca non erano certo di quelle che potevano rasserenare gli animi degli Emigrati. Tutti i beni che essi avevano lasciato nella città erano stati confiscati: case, negozi, merci. Fino a quel momento il Profeta aveva sempre predicato la pazienza e la sopportazione ed egli stesso aveva dato l’esempio più brillante di questo atteggiamento. Non aveva mai reagito alle provocazioni, neppure a quelle più feroci o disgustose, obbedendo a quanto gli veniva ordinato da Allah (gloria a Lui l’Altissimo). Scesero infine i versetti che autorizzavano la reazione dei credenti: “A coloro che sono stati aggrediti è data l’autorizzazione [di difendersi], perché certamente sono stati oppressi”. (Corano). Il Profeta, fino a questo momento, non aveva addestrato un solo uomo alla guerra; non possedeva affatto un esercito. Il primo scontro avvenne a Sud della Mecca, sulla pista che conduceva allo Yemen, Quando il Profeta inviò un gruppo di nove esploratori, che si imbatté in una piccola carovana di mercanti meccani e decise di attaccarla . I Coreisciti non si aspettavano certo attacchi a Sud della Mecca. L’attacco ebbe successo e la squadra del Profeta tornò a Madina carica di preda portando con sé anche due prigionieri.

Qualche tempo più tardi l’Inviato di Allah aveva uscì con 300 uomini per attaccare una carovana coreiscita che tornava dalla Siria carica di merci pregiate. Avvertito del pericolo di un'aggressione, Abu Sufyan il capo della carovana, chiese urgenti rinforzi ai Meccani.

I Musulmani si trovarono a dover scegliere tra l’inseguimento della spedizione commerciale e lo scontro con un vero esercito di circa mille uomini che era partito dalla Mecca in suo soccorso.

Questo cambiamento di programma costituiva un rischio militare e politico importante. Attaccare una carovana difesa da poche decine di armati poteva essere

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un’azione senza gravi conseguenze; scontrarsi con una grossa armata di meccani guidata dai notabili più in vista, era un fatto grave che poteva condizionare il futuro della Comunità islamica e la stessa sicurezza di Madina.

Ottenuto l’appoggio dei Muhajirun (gli Emigrati) e degli Ansar (gli Ausiliari Madienesi), l’Inviato di Allah accettò il combattimento in campo aperto. Questa battaglia costituisce il primo fatto d'arme della storia dell'Islam. 

Lo scontro avvenne il 624, il 17 Ramadan dell’anno 2 AH ai pozzi di Badr a sud-ovest di Medina. Il Profeta fece infatti insabbiare tutti i pozzi salvo quello più vicino allo esercito musulmano. L’armata islamica era in notevole inferiorità numerica: erano 314, mal equipaggiata: montavano (a turno) su 70 cammelli e tre cavalli, in proporzione di un uomo contro tre, e senza esperienza militare. Mentre l’esercito dei Meccani era ben preparato di circa mille uomini e un centinaio di cavalli, armato e deciso a battere i Musulmani una volta per tutte.

Sotto la guida del Profeta, i Musulmani, nonostante lo svantaggio numerico, combatterono con ardore sovrumano. Poi accade l’inaspettato; quasi tutti i capi dei Quraysh, i capibanda della campagna contro l’Islam, furono uccisi nell’azione. Vedendo cadere i loro leader, l’esercito nemico fu colto dalla confusione e i loro combattenti iniziarono a fuggire, lasciando sul campo di battaglia settanta cadaveri e settanta prigionieri oltre una grande quantità di materiale bellico. Ci furono solo 14 martiri tra le truppe musulmane. Molti dei governanti della Mecca che avevano perseguitato i Musulmani vennero presi prigionieri, e il loro riscatto servì a sollevare i Muhajirun che fino ad allora erano stati costretti a vivere dell'ospitalità degli Ausiliari ( i Musulmani convertiti di Medina). La questione dei prigionieri di Badr: Alla fine della battaglia con la vittoria dei Musulmani, Il Profeta radunò tutti i suoi uomini al campo per decidere la sorte dei prigionieri e del bottino. Quando chiese ai presenti il loro parere, si alzò Omar, e disse: "Penso che tu debba uccidere tutti i prigionieri. Ordina che ognuno uccida il prigioniero con cui è imparentato. Dì ad 'Ali di uccidere suo fratello Aqil, a Hamza di uccidere Abbas

(entrambi zii paterni del Profeta), perché Iddio sappia che questi negatori non hanno più posto nel nostro cuore, e che non nutriamo più alcun amore od affetto per essi. Ognuno deve uccidere il suo parente di sua mano perché non sorgano ostilità tra le tribù, cosa che accadrebbe se i prigionieri fossero uccisi da estranei. Quanto al bottino, bisogna sotterrarlo". Abbas, seduto tra i prigionieri, disse ad Omar: "Omar, tu

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sopprimi la pietà; possa Iddio non avere pietà di te!". Il Profeta non gradì questo parere e ne chiese un altro. Uno degli eroi degli Ausiliari disse: "Apostolo di Dio, penso che tu debba cercare una valle, farla riempire di legna, e bruciare tutto il bottino; poi farai gettare nel fuoco i prigionieri". Abbas ripeté le parole che aveva indirizzato ad Omar. Il Profeta, scontento anche di questo consiglio, ne chiese un terzo.

Abu Bakr parlò in questo modo: "Apostolo di Dio, costoro sono tutti zii e cugini, come lo sono di noi. Iddio ci ha dato la vittoria su di loro: ora dobbiamo averne pietà e liberarli in cambio di un riscatto in denaro. Sono nobili e ricchi, e ciascuno deve riscattarsi. Allora saranno liberi, e i credenti avranno acquistato vantaggi e potenza".

Il Profeta fu soddisfatto di questo consiglio, sorrise, e disse: " Omar è come Gabriele, che Iddio invia ovunque vi siano da portare castighi o tormenti, come al popolo di Loot o a quello del Faraone. Invece Tu Abu Bakr sei come l'angelo Michele che Dio manda sempre come ambasciatore di clemenza; è lui che portò la pioggia e il perdono al popolo di Giona, allontanandone il castigo, e che fece uscire Giona dal ventre della balena. Avete ragione l'uno e l'altro; attendiamo ora l'ordine di Dio."

Nel corso di quella stessa assemblea, Allah rivelò questo versetto: "Non si addice ad un Profeta prendere prigionieri finché non avrà domato la terra completamente. Voi cercate il bene terreno, mentre Allah vuole [darvi] quello dell'Altra vita. Iddio è l'Eccelso, il Saggio" (Corano). Il Profeta aggiunse: "Se foste stati colpiti dal castigo, nessuno sarebbe sopravvissuto, salvo 'Omar". In seguito, Iddio rivelò un altro versetto, in cui permise di distribuire il bottino ottenuto: "Mangiate quanto vi è di lecito e puro per voi nel bottino che vi è toccato, e temete Iddio; Egli è Perdonatore, Misericordioso" (Corano).

La tribù ebrea di Bani Qaynuqa: Qualche tempo dopo una donna Musulmana fu gravemente offesa da un orefice ebreo che gli strappò la veste, pensando di fare una cosa divertente. Il suo grido di vergogna richiamò un musulmano che colpì duramente l’Ebreo uccidendolo. Precipitarono altri Ebrei e uccisero il Musulmano. Gli Ebrei andarono a rinchiudersi nella loro fortezza, nella quale avevano potuto concentrare più di settecento combattenti armati e attesero le reazioni.

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Quando fu informato, il Profeta si avviò con i suoi uomini e non si fermò finché non giunse sotto la fortezza dei Bani Qaynuqa. Da sotto le mura li esortò: “O Ebrei, abbracciate l’Islam e sarete salvi”. Ma nessuna risposta da parte loro.

Dopo due settimane trascorse nella ingannevole attesa che i Khazraj con i quali i Beni Qaynuqa erano alleati venissero in loro soccorso si arresero e furono espulsi dall’oasi. Partirono con tutti i loro beni trasportabili; solo le armi furono confiscate e andarono ad arricchire l’allora magro deposito di armi dei Musulmani.

La battaglia di Uhud: La sconfitta dei Quraysh a Badr bruciava il loro orgoglio, e dovevano assolutamente vendicarsi. Così importanti risorse finanziarie erano state impiegate per organizzare la vendetta.

Mentre i preparativi erano ancora in corso, i Musulmani si impadronirono di una carovana che trasportava merci preziose sulla via verso l’Iraq, aumentando, se era possibile, il risentimento e la preoccupazione dei Coreisciti. La tattica messa in campo dai Musulmani aveva reso insicure tutte le vie carovaniere su cui transitavano le loro merci. E senza sicurezza nel commercio la città di Mecca era strangolata. 

Nell’anno 3 AH, giunsero al Medina notizie allarmanti: un’armata forte di oltre tremila uomini, tra cui duecento cavalieri, stava marciando verso la Madina. Dopo qualche esitazione il Profeta con un esercito di solo 700 uomini decise di uscire dalla città e affrontare i politeisti in campo aperto ai piedi del monte di Uhud a solo tre miglia dal Madina; ordinò gli arcieri di posizionarsi su un’altura con funzioni di copertura e con la raccomandazione di non abbandonare la loro posizione per nessun motivo. I Musulmani combatterono disperatamente, e sette portabandiera nemici caddero uno dopo l’altro. La confusione totale s’impadronì dei Quraysh. Essi iniziarono a fuggire lasciando sul campo una grande quantità di bottino, e i Musulmani li inseguirono. Presi dall’euforia per la vittoria che sembrava certa e dalla sete di bottino, gli arcieri abbandonarono la loro posizione lasciando scoperto l’esercito dei Musulmani. Era l’occasione che la cavalleria meccana stava aspettando; l’armata dei Quraysh in fuga tornò indietro e prese i Musulmani alle spalle rovesciando le sorti della battaglia. I Musulmani si sbandarono e cominciarono a risalire verso la montagna,

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dove non potevano essere inseguiti a cavallo dai nemici. Il Profeta cercò di riordinare le loro linee, ma nel pieno del panico non potevano sentire le sue grida. La situazione si aggravò quando si diffuse la notizia della morte di Hamza, lo zio del Profeta, che venne ucciso da uno schiavo abissino pagato da Hind, moglie di Abu Sufyan, che volle vendicare la morte dei suoi congiunti caduti nella battaglia di Badr. Quando Hind trovò la spoglia di Hamza, ne sfigurò il viso tagliandogli le orecchie, il naso e la lingua; poi, con odio smisurato gli aprì l’addome, gli strappò il fegato e ne masticò una parte.

Quello che demoralizzò del tutto i fedeli e peggiorò la situazione era la falsa notizia della morte del Sacro Profeta. In verità egli era stato ferito due volte durante lo scontro: la prima volta da una pietra che gli spaccò il labbro inferiore e gli ruppe un dente, e la seconda volta da un terribile colpo di spada che lo fece cadere a terra stordito. Per grazia di Dio si riprese rapidamente e ritrovarlo in piedi consolò i Musulmani che subirono pesanti perdite, e mentre i politeisti avevano perso in tutto 22 uomini i martiri dei musulmani erano 65.

Anche se i Musulmani avessero subito in questa battaglia gravi perdite, gli effetti della sconfitta furono utili; i fedeli provarono infatti sulla loro stessa pelle le amare conseguenze della violazione degli ordini del Santo Profeta Muhammad e presero così un’importante lezione da questa spiacevole esperienza.

In merito alla battaglia di Uhud, gli storici si sono chiesti perché i Meccani non cercarono di applicare un colpo mortale alla Comunità musulmana, conquistando la Medina e uccidendo il Profeta? !!. Le ipotesi a questo riguardo sono molte, tra cui che le energie impiegate nello scontro li avesse talmente esauriti da non poter neppure sperare in una vittoria definitiva. E che la loro intenzione era solo la volontà di vendicare i caduti di Badr e dare una dimostrazione della loro forza.

Il complotto degli Ebrei di Bani Nadir: Inviati dal Profeta per insegnare l’Islam a una tribù di beduini, una quarantina di Musulmani furono massacrati da una banda di politeisti. Si trattò di un massacro orrendo avvenuto nel 4 AH. L’unico sopravvissuto alla tragedia infatti, incontrò sulla via del ritorno due Arabi che credeva fossero alleati dei responsabili del massacro e li uccise. I due erano del tutto estranei alla faccenda, e il Profeta si impegnò a versare il "prezzo del sangue", ossia il risarcimento del danno provocato con un certo numero di cammelli per evitare più pesanti conseguenze: un omicidio era compensato con 100 cammelli, 20 maschi e 80 femmine; le ferite venivano calcolate secondo la gravità.

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Visto che i Bani Nadir, uno dei clan ebraici che avevano accettato il patto con i Musulmani, era vecchio alleato dei danneggiati, il Profeta si recò presso di loro per chiedere di contribuire a mettere insieme il risarcimento. Mentre conversava con i loro capi gli apparve l’angelo Gabriele, visibile solo a lui, lo informò che i Bani Nadir si stavano preparando per fargli precipitare addosso un masso dall’alto delle mura della fortezza. Muhammad si alzò immediatamente e se ne andò, seguito poco dopo dagli altri credenti che lo avevano accompagnato.

Il fatto era molto grave e confermava il sospetto che i Bani Nadir avessero accettato il patto con la segreta intenzione di non rispettarlo e che avessero stabilito accordi con i Coreisciti di Mecca per aiutarli contro il Profeta e contro i Musulmani. La decisione del Profeta fu rapida: se i Bani Nadir volevano salva la vita dovevano abbandonare la città entro dieci giorni. Ma loro rifiutarono l’ultimatum e consolidarono le difese delle loro fortezze in previsione dell’assedio dei Musulmani.

L’Inviato di Allah ordinò ai credenti di armarsi, e marciò con loro fin sotto le fortezze dei Bani Nadir nella parte meridionale del Madina. Dopo quindici giorni di assedio, traditi dai loro alleati, minati dalle discordie interne e indeboliti dal terrore che trasmettevano loro i Musulmani, gli Ebrei si arresero senza condizioni. Vennero cacciati fuori dalla Madina, portando via con loro solo quello che poteva essere trasportato dai loro cammelli.

La Battaglia del Fossato: Nel 6 AH. tra politeisti, ipocriti ed Ebrei si stava costruendo un’alleanza con il comune scopo di sconfiggere i Musulmani, sradicare l’Islam e, possibilmente, uccidere Muhammad. Durante un incontro segreto tenutosi alla Mecca tra una delegazione degli Ebrei di Khaibar (un’oasi a Nord di Medina) e Abu Sufyan,capo dei Quraysh, erano state gettate le basi per mettere in campo una potente armata, che avrebbe marciato sulla città del Profeta. Erano riusciti a mettere insieme i guerrieri delle più famose e feroci tribù beduine, in tutto oltre diecimila uomini ben armati.

Di fronte a tanta forza, i Musulmani potevano raccogliere non più di tremila combattenti. Il Profeta, si consultò con i compagni sul da farsi. Dopo un lungo dibattito, si accettò la proposta di Salmàn il Persiano (uno dei più nobili compagni del

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Profeta): venne scavato intorno alla città un ampio e profondo fossato capace di fermare la cavalleria delle truppe nemiche. In pochi giorni il progetto fu messo in atto sotto la guida dell’Inviato di Allah che con il suo esempio e la sua presenza stimolava e incoraggiava i credenti. Quando l’armata nemica si trovò davanti il fossato fu disorientata. Quelli, di loro, che si avvicinarono di più furono accolti da una marea di frecce lanciate dagli arcieri Musulmani. Non riuscendo a superare il fossato gli alleati furono così costretti a insediare la città.

Convinti dalla potenza dell’armata degli alleati, anche gli Ebrei di Bani Qurayza decisero di violare il patto dell’alleanza e di non aggressione con il Profeta e, senza iniziare nessuna attività militare, aiutarono i Meccani fornendo spade, lance e armature per il combattimento. La preoccupazione del Profeta fu notevole perciò mandò alcuni suoi seguaci a parlare con loro. Il risultato fu inquietante: i Qurayza non accorsero infatti minimamente in aiuto dei Musulmani che resistettero coraggiosi di fronte all’armata nemica, senza mai abbassare la guardia, senza quasi dormire per oltre due settimane.

Intanto, dopo alcuni vani tentativi di attraversare il fossato, un malessere diffuso penetrava tra gli assedianti. Inoltre, nella convinzione di una rapida vittoria non si erano sufficientemente forniti e il cibo cominciava a scarseggiare. Dopo una ventina di giorni, quando il loro morale era già al minimo, Allah Altissimo inviò contro di loro una bufera di vento e pioggia che spazzò il loro campo, abbatté le tende e spense tutti i loro fuochi. L’indomani mattina, felici di essere ancora in vita, seppur disfatti dalla fatica e dal freddo, i nemici si ritirarono lasciando i loro alleati Bani Qurayza al loro destino.

La punizione dei Bani Qurayza: All’indomani della fine dell’assedio l’Angelo Gabriele comparve all’Inviato di Allah e lo invitò, a ordine di Allah, di regolare i conti con i Bani Qurayza. Nel giro di poche ore gli stessi uomini che avevano difeso il fossato si ritrovarono in armi attorno alle fortezze della tribù ebrea. Essi si rinchiusero nella loro fortezza e sopportarono l’assedio per venticinque giorni. Il Profeta gli suggerì di abbracciare l’Islam, ma loro non accettarono. Indeboliti dai disaccordi interni si arresero e aprirono le porte. Il Profeta stabilì che fossero giudicati da uno dei loro antichi alleati, Sad ibn Muaz il capo degli Aws di Medina, e secondo le loro stesse leggi. Recita il Deuteronomio XX,10-15: Quando ti avvicinerai ad una città per assalirla, proponile prima la pace. Se l’accetta e ti apre le porte, tutto il suo popolo ti sia sottomesso. Ma se essa rifiuta la pace e

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comincia a farti guerra assediala. Il Signore, Iddio tuo, te la darà nelle mani e allora metti a fil di spada tutti i maschi; ma le donne, i bambini, il bestiame e tutto ciò che sarà nella città, tutto quanto il suo bottino, portalo via con te e goditi il bottino dei tuoi nemici, che il Signore, Iddio tuo, ti avrà dato." Così avvenne, si decise per il tradimento dei Qurayza lo sterminio dei loro maschi e la resa in schiavitù delle donne e dei fanciulli.

La calunnia contro Aisha: Instancabili, gli ipocriti non perdevano un’occasione per nuocere al Profeta e ai Musulmani. Non essendo riusciti a far sì che fosse sconfitto militarmente, approfittarono di una sua vicenda famigliare per cercare di indebolirne il prestigio e l’autorità. Durante una spedizione contro la tribù dei Bani Mustalak, Aisha, che accompagnava il Profeta, perse la sua collana quando si allontanò per un bisogno naturale. Quando se ne rese conto tornò indietro a cercarla senza curarsi di nulla. Quando giunse all'accampamento, la carovana era già ripartita. Poiché lei era molto piccola e leggera, non ci si erano accorti che non si trovava nella portantina sul suo cammello. Aisha non trovò più nessuno, e si sedette con calma per terra, sicura che qualcuno sarebbe tornato a prenderla quando la sua assenza fosse stata scoperta, e poco dopo si addormentò. Un pò più tardi, Safwan ibn Mu'attal, un dei Sahaba, tornò indietro. Il suo lavoro era quello di recuperare coloro che si fossero persi e gli oggetti smarriti.

La trovò addormentata, la riconobbe e disse: "Costei è la sposa del Messaggero di Allah!". La fece salire sul suo cammello e raggiunsero il gruppo. Questo semplice incidente fu molto presto trasformato in una calunnia da 'Abdullah ibn Ubayy, il capo degli ipocriti a Madina, e dai suoi partigiani. Appena la carovana giunse a Madina, gli ipocriti cominciarono a macchiare la reputazione di 'Aisha; rigirarono l'incidente della collana per raccontare alla gente che la giovane non era più casta!

La storia si sparse nella città come il fuoco in una foresta. Appena la notizia si diffuse la gente mormorò, e la menzogna giunse infine alle orecchie dell’Inviato di Allah. Egli ne fu turbato e si consultò con Usama ibn Zayd e con Ali ibn Abu Taleb. Ali disse: "Non c'è carestia di donne nel mondo!". Voleva dire che, nel caso in cui il Profeta avesse dato importanza alla calunnia, poteva divorziare da 'Aisha. Mentre Usama, convinto della sua innocenza disse "E' una grande menzogna! E’ tua moglie, e io non ne penso che bene!”

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Sempre più perplesso, il Profeta andò alla moschea e si lamentò riferendo a Ibn Ubayy: "O Gente! Cosa dite di uomini che mi calunniano riguardo alla mia famiglia e dell'uomo di cui si parla (Safwan), che non è mai entrato nella mia casa senza che io fossi con lui? O Musulmani, questo seminatore di discordia ('Abdullah ibn Ubayy) ha fabbricato una menzogna contro la mia famiglia. Chi lo punirà da parte mia?". La gente si agitò. Quello che feriva il Profeta colpiva tutti quanti dolorosamente. Il capo degli Aws si offrì di uccidere coloro che si erano macchiati di quell’infamia, fosse uno dei loro o uno dei Khazraj. Manifestarono allora i Khazraj, volarono parole grosse e i due clan stavano quasi per affrontarsi nella moschea stessa. L’inviato di Allah fu costretto a scendere dal pulpito per calmare la gente e mandarla via in pace.

Pur convinto dell’innocenza della moglie, il Profeta era alla ricerca di una prova che la potesse scagionare pubblicamente. Si recò allora presso di lei nella casa di Abu Bakr. Aisha stessa raccontò l’epilogo della vicenda: "Entrò l’Inviato di Allah e si sedette vicino a me. Non lo aveva più fatto da quando si era diffusa la chiacchiera sul mio conto. Per un mese non aveva ricevuto nessuna rivelazione che potesse riguardarmi. Egli disse: “Aisha, ho saputo che dicono di te questo e quello. Se sei innocente Allah lo dimostrerà. Se invece hai commesso un peccato, pentiti e chiedi perdono ad Allah. Quando l’uomo riconosce il suo sbaglio e se ne pente Allah glielo perdona”. Ero ancora giovane e non conoscevo molti versetti del Corano, ma potei rispondere: “Giuro in Nome di Allah che voi avete sentito e creduto a quello che dice la gente. Se affermo che sono innocente - e Allah ben sa - voi non mi crederete. Se invece ammetto qualcos’altro - e Allah sa che non c’è stato niente - voi l’accetterete come vero. In tal caso non trovo miglior esempio di quello che disse Giacobbe, padre di Giuseppe: “Bella pazienza ... mi rivolgo ad Allah contro quello che raccontate” (Corano). Non potevo immaginare che dei versetti del Corano sarebbero stati rivelati per me, io che sono così insignificante. Speravo al più che il Profeta vedesse in sogno la mia innocenza. L’inviato di Allah ricevette la rivelazione e si coprì di sudore che copriva di gocce il suo viso. Quando la rivelazione terminò, il Profeta sorridendo disse: “O Aisha, ringrazia Allah che ha confermato la tua innocenza”. Allah rivelò a proposito di me i versetti 11/14 e altri della sura della Luce.

Il patto del Hudaybiyyah: Nel 627 d.C. l’Inviato di Allah decise di compiere all’Omra (il piccolo pellegrinaggio). Dopo sei anni di lontananza dalla Kaaba aveva il desiderio di usufruire della tregua tradizionale dei mesi sacri per adempiere ai riti iniziati da Abramo. Alla testa di un migliaio di fedeli, si mise in marcia verso la Città Santa. Le loro intenzioni erano pacifiche: fare i sette giri rituali attorno alla casa di Allah e rivolgere all’Altissimo le dovute invocazioni.

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Quando la notizia del loro avvicinamento giunse alla Mecca, suscitò nei capi Coreisciti il più grande imbarazzo: permettere a Muhammad di compiere l’Omra sarebbe stato ai loro occhi un segno di debolezza, in considerazione della loro sconfitta nella Battaglia del Fossato. Ma anche impedirglielo avrebbe costituito una grave violazione della piena agibilità, che era garantita a tutti i pellegrini durante i mesi sacri; tradizione, questa, su cui si basavano il prestigio e la potenza meccana.

Alla fine l’odio per Muhammad e per l’Islam prevalsero e Khalid ibn Walid, il comandante meccano, alla testa di duecento armati a cavallo fu inviato per fermarli. I Musulmani furono bloccati in una zona a 22 Km da Mecca in direzione di Jeddah che si chiama Hudaybiyyah, vicino un pozzo d’acqua che porta lo stesso nome. Vennero avviate le trattative, e Othman, il genero del Profeta che era amato dai Meccani, entrò in città come intermediario. Intanto il Profeta, non sapendo come fosse andata a finire, riunì i suoi 1.400 uomini che erano praticamente disarmati e li face giurare di seguirlo fino alla morte. Di fronte al rischio di un grande spargimento di sangue, l’Inviato di Allah, accettò di stipulare con i Coreisciti un trattato di pace che sarebbe durata 10 anni, e che, tra le altre, conteneva le seguenti condizioni: 1- I Musulmani ritornarono a Madina senza compiere l’Omra, per il quale potranno ritornare l’anno seguente, e i Meccani per l’occasione dovranno uscire da Mecca lasciandogli la città per tre giorni. 2- Se un Meccano fosse andato a Madina, senza il consenso del suo clan, i Musulmani lo avrebbero riconsegnato ai Meccani, ma se un Musulmano fosse andato a Mecca, i Quraysh non sarebbero stati obbligati a riconsegnarlo ai Musulmani.

I termini dell’accordo suscitarono reazioni di sconcerto e delusione tra i Musulmani, che videro svanire la possibilità di recarsi in quell’anno alla Mecca per assolvere ai riti. Si può chiaramente vedere quale grande prezzo il Profeta fosse disposto a pagare per amore della pace; egli aveva acconsentito a non offrire rifugio a coloro che erano perseguitati per aver accettato l’Islam, mentre i suoi stessi uomini erano liberi di unirsi ai miscredenti e di trovare rifugio a Mecca.

Un incidente sopravvenuto appena concluse le trattative aggravò il disagio dei credenti. Un giovane di nome Abu Jendal, niente meno che il figlio del negoziatore meccano che aveva definito l’accordo con il Profeta, si presentò per chiedere la protezione dei Musulmani. Si era convertito all’Islam da tempo e la sua famiglia lo

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aveva incatenato per impedirgli di emigrare a Medina. Aveva approfittato della distrazione dei suoi carcerieri ed aveva ancora al collo le catene che lo avevano imprigionato. Mentre i credenti stavano per festeggiarlo, suo padre spaventò tutti quanti colpendolo violentemente al viso. Poi si rivolse all’Inviato di Allah: “Dai la prova della tua buonafede e restituiscici quest’uomo che si è allontanato senza il consenso della sua famiglia”. Nello sconcerto generale il Profeta non poté non esaudire la richiesta. Confortò il giovane promettendogli il soccorso divino e cercò di spiegargli come non poteva mancare alla parola data. Mentre lo trascinavano via, Abu Jendal piangeva e chiedeva il soccorso dei Musulmani. La scena era di quelle da spaccare il cuore. Omar protestò con violenza interpretando il sentimento comune con la sua consueta sincerità. Solo Abu Bakr mantenne la sua immancabile fiducia nell’operato di Muhammad.

L’Oasi di Khaibar: 180 Km a Nord di Madina si trova l’oasi di Khaibar, la zona più ricca di tutta la regione, quella che era considerata il "Giardino dell’Hijaz". Era abitata da diversi clan ebrei irriducibilmente ostili al Profeta e all’Islam e la loro potenza economica costituiva una grave minaccia per la sicurezza della Comunità islamica al Nord del Madina.

Pur non avendo mai partecipato direttamente alla guerra contro il Profeta, con il loro denaro avevano spinto la temibile tribù dei Ghatafan ad allearsi ai Coreisciti in occasione dell’assedio di Medina nella battaglia del Fossato. Il Profeta formò un’armata di circa 1600 combattenti, che in tre giornate di marcia raggiunsero il limite Meridionale dell’Oasi. La struttura sociale di questa Oasistato era articolata in diversi clan che vivevano in cittadelle fortificate ritenute impenetrabili. All’interno di queste cittadelle, c’erano vere e proprie fortezze equipaggiate con macchine da guerra. Quando i credenti attaccarono la prima fortezza, le difese serrate in quelle vicine non si mossero in loro soccorso. Era evidente che ogni clan pensava per sé e non era

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disposto a rischiare nulla per gli altri. Forse aspettavano l’arrivo dei rinforzi promessi della tribù di Ghatafan, circa 4000 uomini che avrebbero dovuto attaccare i Musulmani alle spalle. Ma i Ghatafan non arrivarono mai e una dopo l’altra le fortezze caddero nelle mani del Profeta. Molte addirittura si arresero prima di essere attaccate. Gli Ebrei ebbero salva la vita, persero i loro beni mobili, furono autorizzati a continuare a lavorare la loro terra con l'obbligo di versare ai Musulmani la metà del raccolto. Non furono costretti a convertirsi. Un presidio musulmano fu lasciato sul posto per controllare la situazione.

Il Profeta sposò l'Ebrea Safiya, figlia di Huyay, capo della tribù di Khaibar. Suo padre e suo marito vennero uccisi durante l’attacco a Khaibar. Con la conquista di Khaibar, i Musulmani sconfissero definitivamente i Giudei dell’Hijaz. E risolsero la questione della sicurezza settentrionale del Madina. Così il Profeta e i Musulmani si poterono concentrare sul cuore del problema: la città di Mecca.

L’Omra (la visita alla Kaaba): Era trascorso l’anno previsto dagli accordi di Hudaybiyyah, e tutta la Medina era in fermento per la preparazione dell’Omra. 2000 pellegrini si preparavano a coprire i 400 Km che li separavano dalla Città Santa con il solo scopo di adorare l’Altissimo compiendo l’antico rito di Abramo. Per gli Emigrati il momento era particolarmente emozionante, sarebbero rientrati nella città che erano stati costretti ad abbandonare per sfuggire alle persecuzioni.

Giunti al limite del territorio della Mecca, si sacralizzarono indossando i panni concessi ai pellegrini: un tessuto bianco che avvolge i fianchi e scende quasi fino ai piedi e un altro drappeggiato sulle spalle.

Rispettando il patto, i Coreisciti abbandonarono la città ritirandosi sulle montagne e da quell’osservatorio poterono vedere uno straordinario spettacolo: oltre duemila uomini vestiti di bianco e a capo scoperto che con passo solenne apparvero tra le montagne che circondano la città. Erano ancora molto lontani, ma già si sentiva il suono della preghiera con la quale annunciavano il loro arrivo: "Labbayka Allahumma labbayk, Labbayka la sharika laka labbayk, inna al hamda wa niamata laka wal mulk, l- sharika lak! "(Eccomi a Te Signore, eccomi a Te! Eccomi a Te che non hai associati, eccomi a Te! A Te appartengono la lode e la grazia e il regno, Tu non hai associati). In testa a loro marciava l’Inviato di Allah sul dorso di Qaswa, la sua cammella

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preferita, quella che aveva cavalcata durante l’Egira. Senza smontare entrò nel recinto sacro, toccò la Pietra nera e cominciò i sette giri rituali, poi mise piede a terra e iniziò i sette percorsi tra Safa e Marwa. Quindi sacrificò un cammello e si fece rasare la testa. Cercò di entrare nella Kaaba, ma la porta era stata chiusa e non gli fu possibile ottenerne l’apertura. Quando venne l’ora della preghiera del mezzogiorno Bilal salì sul tetto della Kaaba, annunciando il Azan (il richiamo della preghiera) e la sua voce potente risuonò in tutta la città: "Allahu Akbar, Allahu Akbar...(Allah è il Più Grande, Allah è il Più Grande …..ecc". Allo scadere dei tre giorni concordati, il Profeta e i credenti abbandonarono la città con la netta sensazione che presto sarebbero tornati e sarebbe stata allora la vittoria definitiva. Il loro ordine, la fede che manifestavano nei loro volti e nei loro comportamenti, avevano destato grande impressione negli abitanti della Mecca e molti di loro decisero di abbracciare l’Islam. Il più noto fu Khalid ibn Walid, l’ardito comandante della cavalleria meccana, l’uomo di Uhud e di Hudaybiyyah; si presentò all’Inviato di Allah e gli chiese perdono per aver agito contro di lui e contro i Musulmani. Il Profeta lo rassicurò dicendogli che l’adesione all’Islam cancellava tutte le colpe commesse in precedenza e pregò Allah a questo proposito. Khalid sarebbe diventato il più famoso dei comandanti musulmani, l’eroe di cento battaglie, tanto da meritare l’appellativo di "Spada dell’Islam".

Prima di tornare a Madina il Profeta si sposò con Maimuna bint al-Harit, sorella della moglie di al-Abbas, lo zio del Profeta, e parente di Khalid ibn al-Walid e fece il banchetto del matrimonio fuori Mecca.

Il richiamo ai Sovrani : Durante questo periodo al 6 A.H., il Profeta fece in modo che il messaggio dell’Islam potesse arrivare a tutte le genti, ai Cristiani come ai Magi, che vivevano ai confini dell’Arabia.

L’anello e il sigillo del Profeta : Quando il Profeta volle scrivere ai capi di stato stranieri, ordinò che si forgiasse un anello munito di sigillo. era un anello di argento la cui incastonatura era anche d’argento.

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"L’iscrizione incisa sull’anello del Profeta era: 'Muhammad Rasul Allah.' Nella prima linea era inciso 'Muhammad,' nella seconda 'Rasul' e nella terza 'Allah'."

Egli scrisse delle lettere ai sovrani dei regni confinanti, tra i quali gli imperatori delle due grandi potenze, l’imperatore di Roma e Cosro II di Persia, il Negus d’Abissinia, il Re d’Egitto e a alcuni capi arabi invitandoli ad abbracciare l’Islam. L’imperatore Romano Eraclio era in viaggio verso Gerusalemme quando ricevette la lettera che aveva il sigillo del Profeta. Vi era scritto: “Da Muhammad, il Messaggero di Dio, per Eraclio, l’imperatore di Bisanzio! Che la pace sia con colui che segue il percorso della verità. Io ti invito all’Islam. Accettalo e avrai la pace e la benevolenza, e Dio ti compenserà il doppio. Se tu non lo accetti, ricadranno su di te i peccati della tua gente”. E la lettera si chiudeva con un passo dal Corano:“Dì:“O gente del Libro! Venite a un accordo equo tra voi e noi: decidiamo cioè di non adorare che Dio e di non associare a Lui cosa alcuna, e che non proclameremo uno o l’altro come dio al posto di Dio!” Se poi non accettano e loro non accettano, allora dite loro: “Testimoniate almeno che noi siamo sottomessi a Dio!” (Sura Al Imran).

L’imperatore Romano fu impressionato ma i suoi seguaci non furono d’accordo. Il Negus dell’Abissinia accettò l’Islam. Il re d’Egitto inviò in risposta alcuni doni tra cui Maria, una sua cortigiana, che si convertì all’Islam e divenne moglie del Profeta e gli diede suo ultimo figlio Ibrahim. Mentre Cosro di Persia strappò la lettera e diede Ordini al governatore dello Yemen di attaccare la Madina e arrestare il Profeta. Quando i soldati del governatore raggiunsero Madina per eseguire gli ordini, il Profeta disse loro che Cosro era morto e che non era più il re della Persia. Essi ritornarono con questa notizia al governatore, e si scoprì che Cosro II era davvero stato assassinato da suo figlio durante la notte indicata dal Profeta. Questo evento portò il governatore a convertirsi all’Islam e, infine, al fatto che lo Yemen si liberò dal dominio della Persia.

La delegazione cristiana di Nagran, e l’evento della Mubahala: Tra i messaggi che il Profeta inviò, uno era indirizzato ai Cristiani di Nagran, nello Yemen, al confine del Hijaz. Il Profeta scrisse al vescovo di Nagran e l’invitò ad abbracciare l’Islam. Ricevuta la lettera, il vescovo ed i suoi uomini rifiutarono di aderire all’Islam, ma decisero di recarsi a Medina con un gruppo di loro devoti per difendere le loro credenze riguardo la divinità del Profeta Gesù.

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Quando la delegazione di Nagran arrivò a Medina, il Profeta li ricevette nella sua moschea dopo la preghiera del tardo pomeriggio, quando arrivò l’ora della loro preghiera il capo della delegazione domandò l'autorizzazione ad uscire dalla moschea e di andare a celebrare la loro messa, ma il Santo Profeta disse loro che non c’era bisogno di lasciare la moschea, che era un luogo consacrato al culto di Dio, e che essi potevano celebrarvi la loro messa. 

I Cristiani di Nagran discussero con il Profeta, che dimostrò loro l'infondatezza dell'idea della divinità di Cristo. Provò loro – anche se lo sapevano – che Cristo era un essere umano. E quando si accertarono che il Messaggero Muhammad era il Profeta menzionato nella Bibbia e nel Vangelo, gli si opposero arrogantemente rifiutando di crederci. La Mubahala: Il Profeta propose loro di fare la Mubahala (è un’antica usanza in base alla quale entrambe le due parti invocano la maledizione Divina su chi fosse bugiardo), e di maledirsi a vicenda. Le due parti decisero di incontrarsi in un luogo aperto e invocare la maledizione e punizione divina su chi fosse mentitore. Allah ordinò al Profeta di prendere con lui i più cari della sua famiglia per partecipare alla Mubahala. “A chi polemizza con te, ora che hai ricevuto la scienza, dì solo: “Venite, chiamiamo i nostri figli e i vostri, le nostre donne e le vostre, noi stessi e voi stessi e invochiamo la maledizione di Allah sui bugiardi” (Corano, Al Imran).

I capi della delegazione si presentarono all’appuntamento con tutto il loro gruppo, mentre il Profeta si presentò con i suoi più cari familiari, vale a dire: la figlia Fatima, il genero ‘Ali ed i loro due figli Hasan e Husayn. Il sacerdote capo, nel vedere il Profeta con la sua Nobile Famiglia, divenne pieno di timore e realizzò senza ombra di dubbio che se il Profeta e la sua Nobile Famiglia avessero invocato la maledizione e la punizione di Dio ciò avrebbe portato alla distruzione dei Cristiani di Nagran.

Consultandosi sottovoce fra loro dissero: "Chiunque sfidi un Profeta maledicendolo, è rovinato". Allora rinunciarono alla Mubahala, vennero a patti con il Profeta e si impegnarono a pagare il tributo annuale allo Stato Islamico. Tale patto rimase in vigore, senza essere violato, e le relazioni tra il popolo di Nagran e quello di Medina rimasero buone fino alla morte del Profeta.

La conquista della Mecca: Il trattato di Hudaybiyyah era stato emesso da appena due anni quando la tribù di Bani Bakr, alleata di Quraysh e con il loro aiuto, attaccarono uccidendo due uomini dalla tribù di Khuzaa, alleata del Profeta, che corsero a Medina a chiedere aiuto. Il Profeta inviò un messaggio ai Quraysh, dicendo

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che essi avrebbero dovuto pagare il prezzo del sangue per questi due omicidi, altrimenti considerava rotta la tregua. I Quraysh rifiutarono di pagare il risarcimento, e il risultato fu l’annullamento del trattato. A questo punto il Profeta organizzò un attacco a Mecca in 8 A.H. (630 d.C.).

I due anni durante i quali il trattato era rimasto in vigore avevano condotto così tante persone all’Islam che il Profeta stavolta marciò su Mecca con 10.000 uomini ai suoi ordini. I meccani non furono in grado di fare alcun preparativo per fronteggiare l’attacco. A un giorno di marcia da Mecca, il capo dei Quraysh, Abu Sufyan, andò a rinegoziare col Profeta che rifiutò di acconsentire alle sue richiesta senza peraltro dirgli chiaramente che considerava rotta la tregua.

Quando furono ai limiti del territorio sacro il Profeta mise in atto uno stratagemma di guerra psicologica. Ordinò a tutti i suoi uomini di sparpagliarsi e cercare legna. Appena sopraggiunta la notte ognuno di loro avrebbe dovuto accendere un fuoco. Lo spettacolo che gli osservatori meccani videro fece loro accapponare la pelle. Valutando la quantità dei fuochi, sembrava che l’armata accampata fosse di gran lunga superiore ai dieci, dodicimila uomini di cui si era parlato.

Di nuovo Abu Sufyan fu incaricato di convincere il Profeta a rinunciare all’attaccare la città. Il Profeta lo invitò ad abbracciare l’Islam, cosa che quello fece l’indomani mattina. Valutando appieno l’opportunità di non umiliarlo, il Profeta stabilì le condizioni della resa della città: "Chi sarà nella casa di Abu Sufyan sarà salvo – proclamò -; chi starà dietro la porta di casa sua sarà salvo; chi entrerà nel Recinto Sacro sarà salvo".

Dopo aver sentito le condizioni del Profeta, Abu Sufyan si precipitò nella città gridando a tutti l’inutilità di qualsiasi resistenza e le condizioni imposte per avere salva la vita. Il Profeta aveva ordinato ai suoi uomini di non combattere se non vengono attaccati, e la conquista della Mecca avvenne praticamente senza alcun spargimento di sangue. I Quraysh non riuscirono ad affrontare questa potenza, e il Profeta dichiarò un’amnistia generale. La conversione all’Islam non faceva parte delle condizioni che garantivano la sicurezza della vita e delle proprietà. Quando tutta la città fu saldamente nelle mani dei credenti, il Profeta si recò alla Kaaba, toccò la Pietra e fece i sette giri rituali e poi demolì i 360 idoli che si trovavano nel Recinto Sacro recitando: "E’ giunta la verità, la falsità è svanita. Invero la falsità è destinata a svanire". (Corano)

Il Profeta si fece portare la chiave della Kaaba e vi entrò con alcuni dei suoi uomini. Ordinò che anche l’interno fosse purificato da ogni traccia di culto idolatrico. Quando

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uscì parlò ai meccani, che erano usciti dalle case nell’ansiosa attesa delle sue decisioni. Erano colpevoli delle offese più terribili contro i Musulmani, imposto loro le più atroci torture, messi molto di loro a morte e infine li avevano scacciati da Mecca sequestrando tutti i loro beni di case e terreni e quant’ altro. Essi non avevano mai concesso ai Musulmani di vivere una vita pacifica nella loro nuova dimora a Madina, ma avevano attaccato quella città tre volte con grandi armate, sapendo che i Musulmani non avevano i mezzi per affrontarle. Erano questi uomini che si trovavano ora nelle mani del Profeta, e, rivolgendosi a loro gli domandò: “Quale trattamento vi aspettate da me ?”. loro conoscevano da molto tempo il fidato, l’onesto Muhammad; sapevano che egli aveva un cuore generoso nel suo petto e gli dissero: “Sei un fratello nobile, e figlio di un fratello nobile.” Ma il trattamento che il Profeta riservò loro superò addirittura le loro stesse aspettative. In questo giorno disse- con le parole usate dal Profeta Giuseppe verso i suoi fratelli: “Oggi non subirete nessun rimprovero! Che Allah vi perdoni, Egli è il più misericordioso dei misericordiosi (Corano) .  

Con queste parole i meccani si resero conto della nobiltà della grande animo del Profeta che non li avrebbe nemmeno rimproverati delle loro azioni malvagi, e li lasciò andare senza neppure chiedere loro un giuramento per il futuro. Anche quelli che erano stati i suoi più irriducibili nemici furono perdonati. Anche Hind, che aveva masticato il fegato del suo zio Hamza alla battaglia Uhud.

Questo avvenimento fece epoca nell'Islam, poiché era la prima volta nella storia umana che la conquista di una città avveniva in modo pacifico. Non solo Mecca era stata conquistata, ma lo furono anche i cuori dei più spietati oppositori dell’Islam. Uomini e donne si fecero avanti spontaneamente per abbracciare l’Islam. Non ci fu un solo episodio di conversione dovuta alla forza. Anche se non tutti i Meccani avevano ancora abbracciato l’Islam furono trattati con il medesimo spirito di benevolenza che era riservato ai fedeli. I Quraysh erano generalmente alla base di tutte le opposizioni organizzate in tutta la zona, con la sola eccezione della battaglia di Hunayn che avvenne subito dopo la conquista di Mecca, e i Meccani credenti e non combatterono a fianco dei Musulmani. La caduta di Mecca fu un segnale per l’intera Arabia, dopo vent’anni dall’inizio della rivelazione del Corano la guerra regolare tra i Musulmani e i non Musulmani all’interno dell’Arabia giunse al termine.

La battaglia di Hunayn e La conquista del Taif: Gli Hawazin, il clan più forte della città del Taif, organizzarono la difesa. Fu un tentativo dei pagani di rovesciare la situazione che volgeva a favore dei Musulmani che ormai superavano i

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dodicimila uomini, ed erano molti sicuri di se, il fatto che li fece rischiare la sconfitta. Mentre i Hawazin erano in 20 mila cavalieri.

Lo scontro avvenne nell’anno 8 AH. a Hunayn, una valle situata tra Mecca e Taif. All’inizio del conflitto i nemici presero il sopravvento, ma dopo qualche ora i Musulmani ripresero le loro postazioni, superando vittoriosamente il nemico.

La battaglia di Mu’ta: Sempre nello stesso anno le truppe islamiche avevano affrontato i Bizantini a Mu’ta (città nei pressi di Tabuk) e in quell’occasione valorosi comandanti dell’esercito islamico come Jaafar (figlio di Abu Taleb) cugino del Profeta, e Zaid (figlio adottivo del Profeta), caddero martiri in battaglia.

La spedizione contro Tabuk: L’Islam era ormai libero dai problemi interni, ma la potenza Cristiana al Nord guardava alla sua forza come ad una minaccia, e le notizie ricorrenti sui preparativi dell’Impero Romano per attaccare l’Arabia non potevano più essere ignorati. Infatti nell'anno 9 A.H. (629-630) il Profeta decise di avviare una campagna alla frontiera Nord. La preparazione della spedizione si scontrò con molte difficoltà sia di ordine personale che finanziario ed è nota come la "leva difficoltosa". Volgeva la fine dell’estate, a Medina faceva un gran caldo e la città era ridotta allo stremo a causa di una carestia. La gente attendeva con impazienza la raccolta dei datteri. Molti chiesero di essere esentati dal partecipare e il Profeta diede loro il permesso di restare. il Profeta marciò con un esercito di 10.000 uomini verso Tabuk, nel Nord della Penisola Arabica. Calura e tribolazioni accompagnarono la marcia dei credenti. Quando il Profeta giunse a Tabuk, grande città abitata dai Cristiani greci, non trovò traccia dell’esercito che pensava vi si fosse radunato. La città alla vista dell’esercito musulmano, inviò un negoziatore di pace, ed altrettanto fecero le altre città vicine. E così il Profeta prese il controllo della regione, e poté riportare l’esercito al Madina senza aver combattuto.

Nel corso dei dieci anni del suo soggiorno a Medina, oltre alle battaglie ricordate, il Profeta condusse altri ottanta scontri armati. Partecipò in prima persona a circa sei di essi assumendo sempre un comportamento del tutto differente da quello

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adottato di solito dagli altri capi militari che si rifugiano in un luogo di assoluta sicurezza e si limitano solamente a impartire ordini ai soldati. Egli infatti partecipava attivamente alle battaglie che conduceva in prima persona e combatteva sempre sul fronte di guerra a fianco dei suoi uomini. E interessante però sapere che in tutte queste battaglie non capitò mai che uccidesse qualcuno.

L'Arabia si sottomette: La fama dell’invincibile armata del Sacro Profeta attraversò tutta l’Arabia e fece accrescere il prestigio del Profeta. Così Verso il 9 A.H. le delegazioni che arrivavano dal Profeta per apprendere la verità riguardo l’Islam divennero ora più numerosi; ambasciatori arrivarono da ogni parte dell'Arabia per abbracciare l’Islam di propria spontanea volontà, e concludere trattati di amicizia. Non appena fu stabilita la pace, l’Islam si diffuse molto rapidamente, e il decimo anno dell’Hegira vide la conversione dell’Arabia intera all’Islam, compresa quella di alcune tribù Cristiane. Non era una conversione soltanto nel senso che l’idolatria veniva abbandonata per il più puro monoteismo; ma si trattava di una riforma in tutte le sfere della vita. L’intero corso dell’esistenza di una nazione intera era cambiato: l’ignoranza , la superstizione e la barbarie lasciavano il loro posto alla diffusione della conoscenza e ad un atteggiamento razionale in tutti gli aspetti della vita. La rivelazione del Corano e la presenza del Sacro Profeta avevano reso possibile il grande miracolo di trasformare tribù rapaci e ostili le une alle altre in una nazione Islamica concorde. Questa carica interiore spinse i Musulmani a percorrere il mondo per diffondere la Parola dell’Altissimo (gloria a Lui) e la Sua Legge.

Il Pellegrinaggio dell’Addio: Sentendo approssimarsi la fine dei suoi giorni terreni, l’Inviato di Allah decise di compiere il Pellegrinaggio. Fu dato un grande risalto alla notizia e i credenti affluirono a Medina da ogni parte per accompagnare il Profeta nel rito istituito da Abramo, purificato ora da ogni contaminazione idolatrica.

Verso la fine del mese di Zul Hejja, il Profeta si mise in marcia seguito da oltre 120.000 pellegrini che si riunirono a Mecca. Lo stesso luogo in cui il Profeta vent’anni prima, era un respinto alle cui parole nessuno intendeva dare ascolto. Ora lo scenario era cambiato, ovunque egli posasse lo sguardo, vedeva moltitudine di amici fedeli che lo riconoscevano come capo temporale che spirituale. Fu qui, nel nono giorno di Zul Hejja, il giorno in cui si riunivano i pellegrini sul Monte di Arafat, che egli ricevette una rivelazione da Dio Altissimo, che mandò un brivido di gioia a tutti presenti: “ In questo giorno ho perfezionato per voi la vostra

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religione, e ho completato il Mio favore verso di voi, e ho scelto per voi, come religione, l’Islam” . Molti, intuendo che il Profeta aveva annunciato la sua morte, si misero a piangere. Abu Bakr esclamò: "Daremmo le nostre vite e quelle dei nostri figli per mantenerti con noi”. Infatti questo è conosciuto come il pellegrinaggio d’addio perché poco tempo dopo il suo ritorno al Madina il Profeta si ammalò.

La morte del Sacro Profeta : L’Inviato di Allah soffriva, la testa gli faceva male in modo terribile e la febbre lo indebolì. All’inizio andava alla moschea per guidare la preghiera perfino durante la malattia, ma presto non riuscì più a camminare né a stare in piedi. Riunì tutte le sue mogli e chiese loro il permesso di rimanere, per il tempo della sua malattia, nella stanza di Aisha, la moglie prediletta. Loro acconsentirono e il Messaggero passò i suoi ultimi giorni nella sua camera. Da allora fu visto in pubblico ancora una sola volta, apparve nella moschea all’ora della preghiera dell’alba e pregò stando seduto, dietro Abu Bakr che, in sua vece, guidava il rito. Pochi giorni prima della sua morte disse: “A un servo è stato concesso di scegliere fra questo mondo o il suo Signore. Scelse il suo Signore”. Abu Bakr, intelligente e svelto, incominciò a piangere, capendo che il Profeta stava parlando di se stesso. Le condizioni del Profeta si aggravarono giorno dopo giorno, la febbre crebbe e il forte mal di testa lo faceva contorcere dal dolore. Aveva accanto al letto un contenitore di cuoio pieno d’acqua; da tanto in tanto, per calmare il dolore, immergeva le mani nell’acqua e se le passava sulla fronte e sul viso esclamando: “Mio Dio, assistimi contro le angosce della morte!” Dopo circa dodici giorni di malattia, un Lunedì il 12 di Rabi’I, 11 A.H, il 632 D.C. nell’appartamento di Aisha, il Profeta si alzò all’alba, aprì la porta e guardò gli uomini radunati nella moschea pregando in file ordinate una dietro l’altra, mentre Abu Bakr svolgeva il ruolo di Imam. Tale spettacolo diede al Profeta grande gioia, ed egli esclamò: “Sia lodato il Signore, poiché il mio popolo, dopo di me, seguirà le mie istruzioni”. Si distese sul suo letto con la testa appoggiata sul petto di Aisha. Venne a trovarlo Abdurrahman, il fratello di Aisha, con in mano un Siwak ( una pianta profumata si usa per pulire i denti). Il Profeta lo guardò, e Aisha lo prese, lo masticò per ammorbidirlo e glielo diede. Il Profeta si sedette e si pulì i denti. Poi cadde sulle ginocchia della moglie. Quando si riprese, Aisha sentì che diceva: "Con Allah, il più Alto Compagno". Capì che aveva scelto l'Altro Mondo. Il Profeta ripeteva senza tregua quella frase, finché Aisha sentì tutto il peso del suo corpo. Lo guardò e si

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accorse che la sua anima era volata verso Allah Altissimo. Aisha adagiò la testa del Profeta su un cuscino e prese a piangere con le altre mogli. Così all’età di 63 anni, il Sacro Profeta rese la propria anima al suo creatore. Le grida laceranti che si levarono dalla sua casa e via dalle case circostanti annunciarono a tutta l’Oasi quello che i Musulmani non avevano mai voluto prospettarsi. Muhammad non era più tra i vivi e tutti quanti si sentirono per un attimo orfani e sbandati. Omar, reso pazzo dal dolore, estrasse la spada e minacciò di uccidere tutti quelli che avessero osato dire che il Profeta era morto. Nella confusione generale Abu Bakr mantenne tutto il suo autocontrollo, entrò nella stanza in cui era stata composta la spoglia del Sacro Profeta e le diede un estremo saluto, poi uscì verso la folla che si era radunata dicendo: "O gente, coloro che adoravano Muhammad, sappiano che Muhammad è morto; coloro che adorano Allah sappiano che Allah è vivo e non muore mai. Quindi recitò un versetto del Corano: "Muhammad non è altro che un Messaggero, altri ne vennero prima di lui; se morisse o se fosse ucciso, ritornereste sui vostri passi? ". (Corano) Il Profeta fu sepolto nella camera di Aisha, là dove era morto. Molto tempo prima, Aisha aveva visto in sogno tre lune che cadevano nella sua camera. Aveva raccontato il sogno a suo padre. Quando il Profeta fu sepolto, Abu Bakr le disse: "E' una delle lune della tua camera. E' la migliore delle tre!". La seconda luna sarebbe stato lui stesso, Abu Bakr, e la terza 'Omar. Entrambi, infatti, sarebbero stati in seguito seppelliti nella stessa camera.

La Moschea del Profeta A Madina, La cupola verde indica la camera di Aisha dove venne sepolto il Profeta

La vita matrimoniale del Profeta

La vita del Profeta può essere divisa in quattro fasi, per quanto riguarda la vita matrimoniale:

1- Fino a 25 anni visse celibe. 2- Da 25 anni a 54 anni visse da sposato con una moglie sola. 3- Da 54 a 60 si sposò 11 volte. 4- Da 60 anni fino alla sua morte non contrasse alcun nuovo matrimonio.

Durante il periodo vissuto da celibato il Profeta conduceva una vita eccezionalmente casta e pura. Controllava la sua passione e non cadde mai preda della lussuria.

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Poi sposò Khadija e condusse una vita basata sul massimo rispetto verso di lei finché ella morì quando lui aveva 50 anni.

La poligamia, in Arabia, all’epoca era la regola; e la moglie non aveva motivo di lamentarsi, ne se sarebbe mai lamentata, se il marito avesse preso una seconda o una terza moglie. Il Profeta apparteneva alla più nobile famiglia di Mecca, e il suo matrimonio con Khadija lo aveva arricchito. Se avesse scelto di prendere un’altra moglie, ciò sarebbe stato abbastanza facile per lui. Ma egli condusse una vita monogama, innamorato di Khadija per tutto il tempo. E anche dopo la sua morte lui la pensava spesso e non ne faceva mistero neppure con le nuove mogli. Fino al punto che Aisha, la moglie preferita, gelosissima lo rimproverò dicendo: “Sarebbe ora che tu dimenticassi quella vecchia che è morta da anni”. Eppure ripeteva spesso che avrebbe voluto vivere in Paradiso insieme a sua moglie Khadija.

Dopo la morte di Khadija, il Profeta sposò una donna molto anziana di nome Sauda Bint Zamaa, il cui solo onore a raccomandarla era il suo essere la vedova di un fedele compagno del Profeta che dovette fuggire in Abissina dalla persecuzioni dei Quraysh. Sauda più che fare la moglie si occupava delle figlie del Profeta.

La parte principale della vita del Sacro Profeta, da 25 a 50 anni, fu così un esempio per i suoi seguaci che la monogamia era la regola nella vita matrimoniale e non l’eccezione. Giunta la terza fase della sua vita da 45- 60, di tutte le sue moglie Aisha fu l’unica nobile che aveva 14 anni quando sposò il Profeta. Suo padre Abu Bakr, l’amico intimo del Profeta, gliela aveva offerta quando egli soffriva la grande perdita di Khadija. Aisha possedeva delle qualità eccezionali; era matura, sveglia, intelligente e bella. E sia Abu Bakr che il Profeta videro in lei la grande donna del futuro che meglio era adatta per svolgere i doveri di moglie del Profeta. Aisha era una donna giovane e splendida, e tutte le altre mogli che sposò il Profeta non competevano con lei in gioventù o bellezza. Sicuramente non fu l’attrazione per la bellezza a condurre a questi matrimoni. Quasi tutte le altre mogli del Profeta erano vedove, malgrado che un uomo nella sua posizione poteva avere moltissime giovani vergini.

La vita del Profeta a Madina Vita di ostilità: Non era una vita di comfort e lusso quella che condusse il Profeta a Madina. Era una vita di ostilità; egli dovette cominciare una lotta per la sopravvivenza contro i nemici dell’Islam. Egli non era al sicuro nemmeno per un momento, l’intera Arabia era infiammata contro lui e i suoi seguaci.

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Grande armate giunsero per distruggere lui e il piccolo gruppo dei Musulmani al Madina. Furono combattuti delle battaglie in rapida successione, ed era necessario organizzare ed inviare delle spedizioni. I suoi seguaci dovevano essere armati giorno e notte e il Profeta gli diceva consolandoli: “Un giorno sarebbe giunto il momento in cui un Musulmano, viaggiando, avrebbe potuto andare da un capo all’altro del paese disarmato”. Dovette affrontare nemici che lo circondavano da ogni parte; idolatri, Ebrei e i Cristiani. Lui e i suoi pochi seguaci soffrirono le persecuzioni per tredici anni a Mecca. I suoi nemici cercarono di ucciderlo diverse volte. I suoi compagni morivano a volte in battaglia e a volte assassinati con l’inganno. In tali circostanze di guerra: con i nemici dentro e fuori dal Madina, con il numero dei Musulmani assai ridotto in confronto al nemico e con notizie di attacchi da parte di numerosissimi eserciti da ogni parte i giorni del Profeta passavano in modo così faticoso.

Vita rigida: Il Profeta attraversò una varietà di circostanze che difficilmente si coincidevano nella vita di un solo uomo; dal pastore nel deserto, al commerciante, al solitario sul monte di Hiraa, al riformatore di una minoranza, all’esilio di Madina, al conquistatore riconosciuto. Gli avvenimenti sono cambiati ma l’essenza rimase la stessa in tutto; il Profeta viveva consumando esattamente lo stesso tipo di cibo semplice, indossando lo stesso semplice vestito, e in tutti i particolari conduceva la stessa vita rigida che faceva quando era orfano. Quando il Profeta divenne concretamente il governatore di uno stato (la Madina), la sua casa non era che una capanna con le pareti di argilla non cotta e il tetto fatto con foglie di palme intrecciati e coperti da una pelle di cammello. Aveva piccole stanze per ciascuna di sue mogli fatte con i medesimi materiali. I mobili della sua casa erano un letto fatto di corde di palme con un cuscino imbottito di paglia, una pelle di cammello stesa sul pavimento, un contenitore porta acqua di cuoio e alcuni armi.

Poco tempo dopo l’Hegira a Madina, le condizioni dei Musulmani erano cambiato i quali intrapresero un commercio fruttuoso, ed ebbero tante ricchezze dal bottino delle diverse battaglie che dovettero affrontare. Infatti al Profeta non mancavano i mezzi per vivere una vita di benessere e comodità, lui e la sua Famiglia avevano diritto nella quinta parte del bottino di guerra. Il che significa che egli non era affatto povero, anzi era molto ricco ma preferiva condurre una vita modesta distribuendo la maggior parte dei suoi soldi tra i bisognosi.

La conquista dell’Oasi di Khaibar portò al Profeta delle terre dalle quali guadagnava un regolare rifornimento di grano. Al tempo della raccolta, egli dava a ciascuna sposa il grano sufficiente per tutto l'anno. Ma le richieste d'aiuto arrivavano costantemente e

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il Profeta non rifiutava mai. Il risultato era che, molto prima che l'anno finisse, le provviste cominciavano a scarseggiare e la fame faceva la sua comparsa.

Le cose del mondo avevano uno scarso valore per il Profeta. Così come aveva sdegnato la ricchezza, il potere e le cose belle che i Quraysh gli avevano offerto quando era nelle condizioni più indi difese. Così rimase indifferente a esse quando Dio gli donò tutte le ricchezze del mondo a suoi piedi.

Poco prima della sua morte la maggior parte della Penisola Arabica era sotto il suo comando, ma il Profeta continuò a condurre un vita rigida e non permise nemmeno che la ricchezza esercitasse alcun attrazione su sue mogli. Un umanissimo desiderio crebbe nel cuore delle mogli del Profeta che, come altre famiglie musulmane, potessero anche loro godersi delle stesse comodità. Perciò tutte insieme cercarono di convincere il Profeta di concedere loro una legittima parte di benessere. Il Profeta nutriva un grande amore verso sue mogli, ma quando gli chiesero di avere più gioielli e ornamenti fu detto loro a ordine di Allah Altissimo che se avessero possedute queste cose non sarebbero più state adatte a vivere nella casa del Profeta. Egli preferiva separarsi da tutte loro piuttosto che cedesse a ciò che riteneva non degno di loro cioè l’inclinazione verso le cose terrene.

La modestia era la base del suo carattere: Malgrado le sue responsabilità come Profeta, insegnante, uomo di stato e giudice, nella sua vita quotidiana faceva tutto con le sue mani: era solito mungere la sua capra, badare personalmente alla sua cammella, rattoppare e lavare i suoi panni, riparare le sue scarpe, aiutare nei lavori domestici e fare visita a bisognosi e malati. La sua vita fu uno splendido modello di semplicità e modestia. Nessun compito era troppo umile per lui; egli lavorò come modesto operaio nella costruzione della moschea e partecipò nello scavare del fossato intorno al Madina.Andava a fare la spesa non solo per la sua famiglia ma anche per i vicini e le donne bisognose. Non sdegnò mai nessun tipo di lavoro, per quanto umile.

Uno dei compagni del Profeta disse che quando il Profeta morì non lasciò denaro se non il suo asino bianco, le sue armi e un pezzo di terra che diede in beneficenza.

“Muhammad il più grande di tutti i tempi” In America è stato recentemente pubblicato un libro dal titolo “ I 100, i Cento Migliori, i Cento più Grandi della Storia". L'autore, un certo Michael H. Hart, presentato come storico, matematico e astronomo, ha analizzato la storia per

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individuare quali fossero gli uomini che hanno influenzato maggiormente l'umanità. Nel suo libro indica i cento uomini più influenti, includendo Asoka, Aristotele, Buddha, Confucio, Hitler, Platone e Zoroastro. Non ci propone solo un semplice elenco dei "cento" uomini più importanti per l'influenza sulla gente, bensì valuta il grado d'influenza e li classifica in relazione alla loro superiorità, dal N.1 sino al N. 100 spiegandone le ragioni. Non si deve per forza esser d’accordo con le sue scelte, non si può però evitare di ammirare il lavoro e l'onestà di quest'uomo. La cosa più sorprendente di questa sua classifica è che ha messo il nostro Profeta Muhammad al N. 1, il primo dei "100". Naturalmente, mettendo il Profeta dell'Islam al primo posto, Hart ha fatto cosa gradita ai Musulmani. Ma la sua scelta ha scioccato i non Musulmani, soprattutto gli Ebrei e i Cristiani, che l'hanno presa come un’offesa. Come? Gesù (pace su di lui) al terzo posto e Mosè (pace su di lui) al quarantesimo! Lo trovano molto difficile da accettare, ma cosa afferma Hart? Prima di tutto che Muhammad ha avuto un ruolo importantissimo nello sviluppo dell'Islam, più di quanto ne abbia avuto Gesù nello sviluppo della Religione Cristiana. Anche se furono di Gesù gli insegnamenti morali fondamentali nella Religione Cristiana -per quanto siano differenti dall'Ebraismo-, fu san Paolo (Paolo di Tarso) il principale responsabile dello sviluppo della teologia cristiana; fu sempre lui a raccogliere il maggior numero di fedeli e ancora lui l'autore di gran parte del Nuovo Testamento. Invece Muhammad, fu in ogni modo responsabile sia della teologia dell'Islam, sia dei suoi fondamentali principi etici e morali. Il Profeta Muhammad ebbe inoltre il ruolo fondamentale nel coinvolgimento dei fedeli nella nuova fede, e nel definire le pratiche religiose dell'Islam”.

L’effetto del Profeta sull’umanità: Nessun popolo fu mai condotto alla civilizzazione tanto rapidamente quanto lo furono gli Arabi per mezzo dell’Islam. Fu la più completa, improvvisa e straordinaria rivoluzione che sia mai giunta su una nazione della terra. Di tutte le personalità religiose del mondo, Muhammad fu quello che ebbe il maggior successo. L’uomo che introdusse la più completa trasformazione di una nazione nell’arco di vent’anni, che solo e senza aiuto, spazzò via il vizio e l’immoralità da un intero paese. Non c’è un solo riformatore che abbia prodotto un tale completo cambiamento nelle vite di un’intera nazione così vasto:

- La superstizione lasciò il posto ad una religione razionale. - L’ubriachezza, a cui l’Arabia era dedita da tempo immemorabile, scomparve del tutto, al punto che le stesse coppe e vasi che si usavano per bere e per conservare il

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vino non si trovavano più. Gli Arabi, come la maggior parte delle altre culture, a quel tempo bevevano alcol, molti di loro erano alcolisti senza preoccupazione per la loro salute o per il loro comportamento alterato mentre si ubriacavano. Il primo ordine fu stato per i seguaci di Mohammad, di non bere mentre erano impegnati nell’orazione, dopo fu vietato completamente anche al di fuori dei momento di preghiera. - Mohammad vietò l’usura e gli interessi sui prestiti, come fece Gesù secoli prima di lui dato che l’usura divora ogni ricchezza e distrugge i sistemi economici col tempo. - Il gioco d’azzardo era ora quasi sconosciuto; Mohammad non commise e non consentì mai il gioco d’azzardo perché toglie la ricchezza, ma a un ritmo ancora più veloce. L’idea di far soldi o guadagni dal nulla non è un corretto modo di vivere. - le relazioni instabili tra i sessi lasciarono il posto al più rigoroso rispetto per la castità. - Mohammad ordinò di porre fine al razzismo. Fu veramente un costruttore della pace per tutti i tempi e per tutte le persone senza distinzione di razza o di colore.

- Mohammad non partecipò mai nel pettegolezzo o le maldicenza e si allontanava sempre quando si cominciava a sparlare di qualcuno. Certo, questi insegnamenti sarebbero molto apprezzati oggi dove troviamo quasi tutti impegnati nel gossip e ad insultare gli altri, anche il più vicino dei parenti e cari. - Mohammad fu generosissimo e incoraggiò gli altri ad esserlo. Egli chiese pure a loro di perdonare i debiti degli altri con la speranza di ricevere una migliore ricompensa da Dio. - Mohammad insegnò alle persone come affrontare le estreme difficoltà che ci capitano durante la nostra vita, solo attraverso la pazienza e l’atteggiamento umile troviamo la vera soluzione dei nostri problemi. Mohammad fu molto paziente di fronte alle disgrazie e fu un esempio di umiltà. Tutti ammettevano in lui queste virtù. - L’Arabo che si vantava della sua ignoranza divenne amante della conoscenza.

Le mogli del Sacro Profeta “ Madri dei Credenti ”

1- Khadijah Bint Khuwayled: Fu la prima moglie del Profeta ed anche la prima ad abbracciare l'Islam. Ebbe l'onore di ricevere il "Saluto" di Allah attraverso l'Angelo Gabriele. Khadijah era cresciuta nel lusso e nel benessere, nonostante ciò riuscì a superare dei momenti economici molto duri con pazienza e coraggio col Sacro

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Profeta. Era una moglie e una madre ideale, dette al Profeta 6 figli, ed il Profeta visse nella sua casa che divenne poi un luogo benedetto per la sua presenza e per il fatto che L’Arcangelo Gabriele venne spesso lì a trovarlo con le rivelazioni del Corano.

La straordinarietà di Khadija: Khadija ebbe un ruolo molto importante nella vita del Profeta. All’inizio della predicazione, quando era accusato di essere un impostore, lei lo confortava, lo incoraggiava, alleggeriva il suo fardello, gli concedeva pienamente la sua fiducia e resistette con lui alla fame, alla povertà e alle persecuzioni dei politeisti. Il Profeta ebbe sempre per lei una grande stima, un solido affetto e una profonda riconoscenza. E finche fu viva, egli non prese una seconda moglie. Persino dopo anni e dopo che ebbe altre mogli riservò nel suo cuore un ricordo particolarmente amorevole e si riferì a lei come la sposa più cara e la miglior donna della sua epoca.

A distanza di tre anni dalla sua morte il Profeta sposò numerose donne, ma conservò sempre per lei un piacevole e affettuoso ricordo. La dolcezza che traspirava dalle sue parole quando parlava di lei faceva ingelosire Aisha, la moglie prediletta, che lei stessa raccontò di essere stata gelosa più di quella morta, che non aveva mai conosciuta, che di qualsiasi altra donna.

2- Sawdah Bint Zam’ah: Era passato quasi un anno dalla morte di Khadijah, tutti si resero conto quanto la morte di Khadijah avesse rattristato il Profeta. Così un giorno la moglie di uno dei compagni del Profeta andò a dirgli: "O Messaggero di Allah! Sposa un'altra donna!" "Chi?" domandò il Profeta. "Beh, ci sono sia giovani ragazze che vedove se permetti, potrei parlartene" rispose la donna. "Chi hai in mente?". "Sawdah figlia di Zam'ah è la vedova, e Aisha figlia di Abu Bakr è la vergine". Il Profeta rispose che Aisha è ancora molto giovane, e lui ha bisogno al momento di una che prende cura delle sue figlie, perciò scelse Sawdah.

Sawdah era stata una delle prime Credenti, ed era rimasta da poco vedova e aveva quasi 30 anni. Il suo primo marito, Sakran, l'aveva portata con sé in Abissinia, ed erano stati tra i primi a tornare a Mecca, ma, non molto tempo dopo il loro ritorno, Sakran era morto. La coppia aveva avuto un figlio, Abdurrahman, che in seguito sarebbe morto martire. La risposta di Sawdah alla proposta del Profeta fu: "Sono al tuo servizio, o Messaggero di Allah!".

Sawdah si occupò eccellentemente della casa del Profeta e soprattutto delle sue figlie, per i 3 anni che ancora li separavano dall'Hijra. Con l’inizio dell’Hegra, il Profeta consegnò a Zayd ibn Haritha due cammelli e una somma di denaro per condurre a Madina Sawdah e le figlie Om Kulthum e Fatimah.

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All’arrivo al Madina Sawdah prese possesso dell'appartamento costruito per lei accanto alla moschea del Profeta, una modesta capanna d’argilla con un tetto di foglie di palma. Due anni più tardi, Sawdah accolse Aisha, terza moglie del Profeta, con affetto quasi materno. Aisha l'avrebbe contraccambiata, restandole per tutta la vita molto affezionata. I loro rapporti, infatti, non furono mai toccati dalla gelosia o dalla concorrenza. Sawdah, a casa del Profeta accettò di buon grado il suo ruolo 'tutelare' e di 'secondo piano' in una casa animata dalla vivacità di altre giovani mogli. Lei non era mai tra le 'litiganti' nei piccoli conflitti inevitabili tra le varie mogli del Profeta, ma, al contrario, si può vedere in lei un fattore di pace e di conciliazione.

Sawdah era a volte il bersaglio di qualche innocente scherzo orchestrato dalle più giovani compagne. Una volta, ad esempio, Aisha e Hafsa, moglie del Profeta e figlia di Omar, le fecero credere che fosse arrivato il Dajjal (Anticristo), terrorizzandola. Il Profeta stesso dovette intervenire per rassicurarla e farla uscire dal suo nascondiglio, tra le risa delle giovani mogli. Anche in questo caso, come sempre, Sawdah non si irritò, ma diede prova della sua grande pazienza.

Più passavano gli anni, più la salute di Sawdah diveniva delicata. Grossa, lenta nei movimenti, poteva però sempre contare sulla sveltezza del Profeta. Ad esempio, in occasione di un Pellegrinaggio a Mecca, il Messaggero di Allah la invitò a recarsi a Mina prima della preghiera dell'alba, per evitare che si affaticasse tra la folla. Il suo stato di salute precario le impedì di accompagnare il suo nobile marito nel 'Pellegrinaggio d'Addio', nell'anno 632. Sawdah sopravvisse al Profeta, morendo, secondo alcune fonti, nel 54 A.H (674). Sawdah trasformò le sue debolezze in qualità: poco combattiva, diede prova di sacrificio; non dotata di grande bellezza, si armò di pazienza e altruismo. Queste qualità la resero amata e rispettata nella casa del Profeta, dove fu un fattore di armonia, e dove seppe meritarsi quel ruolo da lei rivendicato di 'sposa del Profeta in questo mondo e nell'Altro'. Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei! 3- Aisha Bint Abu Bakr, la più amata dal Profeta: Il padre Abu Bakr : Aisha figlia di Abu Bakr crebbe in una casa piena dello spirito dell'Islam; il Profeta veniva spesso a trovare Abu Bakr il suo miglior amico ed insieme leggevano il Corano. Abu Bakr recitava sempre il Corano con tale fervore da commuovere coloro che ascoltavano, lo recitava nelle strade e attirava le folle attorno

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a sé. Questo indispettì i Meccani: "Quest'uomo potrebbe attirare le nostre mogli e i nostri figli verso l'Islam" dichiararono. "Dobbiamo fermarlo, se occorre anche con la forza". Così Abu Bakr divenne vittima di persecuzioni. Questi attacchi lo spinsero ad emigrare in Abissinia con sua moglie e i suoi figli. Si mise in marcia, ma, lungo il cammino, incontrò un capo influente, chiamato Ibn Daghna: "Quale destinazione avete scelto?" gli domando. "L'Abissinia" fu la risposta. "E' un peccato per i Quraysh che un uomo come te li lasci. Ritorna a casa tua. Ti proteggerò io". Abu Bakr ritornò così a Mecca. Ibn Daghna disse ai Meccani che Abu Bakr era sotto la sua protezione. Assicurò loro, tuttavia, che Abu Bakr non avrebbe più recitato il Corano nelle strade. Ma il desiderio di Abu Bakr di dichiarare la Verità era incontrollabile. Costruì una moschea vicino alla sua porta e cominciò a recitare il Corano. Ben presto, attirò nuovamente le folle. I Meccani si lamentarono con Abu Daghna che domandò ad Abu Bakr di non metterlo in una situazione difficile. Abu Bakr gli rispose: "Non ho bisogno della tua protezione, Allah mi basta!". Ancora una volta, Abu Bakr recitava il Corano in pubblico, non preoccupandosi delle persecuzioni dei Meccani, e questo finché emigrò a Madina. L'esempio del padre ebbe un effetto sulla figlia. Dalla più tenera età, 'Aisha imparò a resistere e a soffrire per la verità. Imparò come sostenere e lavorare per una causa. E divenne una pia Musulmana dal momento in cui cominciò a capire il mondo intorno a lei. Il matrimonio: Il decimo anno della Missione del Profeta fu un anno di insolita oscurità. La morte del suo protettore, lo zio Abu Taleb, e della sua amatissima sposa Khadijah, portarono nel cuore del Messaggero di Allah una grande tristezza. Una notte, mentre il Profeta era steso a letto, discese l’Angelo Gabriele che trasportava qualcosa avvolto in un tessuto di seta. Lo fece vedere al Profeta, che sollevò il velo e trovò al suo interno la piccola Aisha. Il significato di questa visione era troppo evidente per non comprenderlo. Il Profeta aveva bisogno di una compagna per continuare la sua Missione, e questa compagna doveva avere doti straordinarie. La scelta non era facile da compiere. La Volontà Divina la compì per il Profeta. Scelse Aisha per riempire il vuoto lasciato dalla morte di Khadijah. Aisha fu scelta non soltanto per assicurare la serenità di una casa, ma anche per trasmettere alle future generazioni il Messaggio Islamico. Dopo la visione notturna, il Profeta disse: "Se ciò viene da Allah, Egli lo farà avverare". Abu Bakr, un giorno, venne dal Profeta e gli disse: "Messaggero di Allah, perché ora non prendi moglie nella tua casa?" "Non ho il denaro per pagare il dono nuziale” rispose il Profeta. "Potrei prestartelo io" disse Abu Bakr. Il Profeta si fece allora prestare 500 dirham e li inviò ad Aisha.

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Aisha era già fidanzata, ma il ragazzo e i suoi genitori erano ancora miscredenti. Abu Bakr pensò che bisognasse prima di tutto regolare questa questione. Andò dai genitori del ragazzo e disse loro: "Voglio una risposta definitiva rispetto al fidanzamento con Aisha". L'uomo consultò sua moglie, e poi disse, "Faremmo meglio a rompere il fidanzamento. Questa Musulmana porterà nostro figlio lontano dalla religione dei nostri avi". L'uomo fece capire ad Abu Bakr che non voleva più che suo figlio sposasse Aisha. Abu Bakr era felice. Ora poteva sposare sua figlia al Profeta e guadagnare un onore immortale. Qualche giorno dopo, ebbe luogo il matrimonio. Fu una cerimonia semplice. Sul lato est della Moschea del Profeta c'erano delle capanne di fango. Erano le stanze del Profeta occupate dalle sue spose. Una di queste capanne apparteneva ad 'Aisha. Era lunga 10 piedi, con muri di fango e un pavimento di terra. Aveva un tetto di paglia, foglie e rami di dattero. Il tetto era così basso da poterlo toccare facilmente. La porta della camera, formata da un solo pannello, dava sulla moschea ed era coperta da una semplice tenda. Questa era la casa dove la moglie più amata del Profeta viveva. Come arredamento non c'era che un materasso, un guanciale di fibre di dattero, una tappetino, due recipienti in terra per la farina e i datteri, una brocca per l'acqua e una scodella. C'era anche una lampada. Comincia un'educazione regolare: A quell'epoca l'alfabetismo era una cosa rara. Con l'avvento dell'Islam, il valore del Sapere assunse grande importanza. Il Sublime Corano era la Scrittura per eccellenza. Il Profeta stesso incoraggiava l'alfabetismo. Una delle condizioni, per i prigionieri della battaglia di Badr, di guadagnarsi la libertà, era quella di insegnare a leggere e a scrivere ai Musulmani. Aisha sapeva soltanto leggere. Inizialmente aveva imparato a leggere il Corano. La sua più elevata educazione avvenne sotto le cure dirette del più grande Professore della storia, il Profeta che cominciò a formare lo spirito della donna che era destinata a trasmettere i suoi insegnamenti al mondo femminile. Ciascuna virtù umana si trovava espressa alla perfezione nella personalità del Profeta. Aisha era continuamente a stretto contatto con questa personalità unica. Era un'occasione rara che il destino aveva messo sul suo cammino. Lei colse questa occasione e fece del suo meglio per perfezionare la sua educazione. Aveva sempre delle domande da porre. Dal momento in cui il Profeta entrava nella sua camera, cominciava a parlargli di ogni genere di argomento. La porta della sua camera dava sul cortile della moschea. Quando il Profeta si sedeva nella moschea per insegnare alla gente e spiegare loro delle cose, Aisha restava vicina alla porta e ascoltava ogni parola che lui diceva. Il risultato fu una conoscenza incredibilmente

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vasta. Ben pochi Compagni potevano eguagliare Aisha nella comprensione del Corano e della Sunna. Il suo amore per il Profeta: Aisha traboccava d'amore per suo marito; amava tutto ciò che amava lui e detestava ciò che lui detestava. Amava servirlo. Anche quando aveva una serva per aiutarla, preferiva fare le cose con le sue stesse mani. Impastava la farina e faceva il pane, e lavava gli abiti del Profeta. Il suo amore era pienamente ricompensato. Di tutte le mogli, era la preferita. In ogni situazione, il Profeta trattava tutte le mogli nello stesso modo, ma non poteva rendere loro lo stesso amore. In questo, 'Aisha superava le altre. E' per questo che il Profeta diceva spesso: "Signore, faccio con giustizia tutto ciò che è in mio potere, ma perdonami per ciò che è al di sopra del mio controllo!". Una volta, Amr ibn al’As,uno dei Sahaba, gli chiese: "O Messaggero di Allah, chi ami di più?". "Aisha!" fu la risposta. "O Messaggero di Allah, la mia domanda riguardava gli uomini". "Il padre di Aisha!" rispose il Profeta. Una volta, Aisha accompagnò il Profeta nel corso di un viaggio. Il cammello sul quale montava scappò, portandola con sé. Questo rese il Profeta così agitato da gridare: "O, mia moglie!". Finché il cammello non fu riacciuffato, rimase agitato.

I Sahaba conoscevano l'attenzione speciale del Profeta per Aisha, e le co-spose non apprezzavano questo fatto. Spinsero Fatimah, l'amata figlia del Profeta, a trasmettergli il loro punto di vista. Fatimah gli parlò della questione, ma la risposta fu: "O Fatimah! Io amo colei che voi non amate!". Il rimprovero fece zittire Fatimah. Allora le co-spose persuasero una di loro, Om Salama, a portare il problema all'attenzione del Profeta. Om Salama aveva molto tatto, aspettò dunque la buona occasione e, un giorno, pose la questione al Profeta. "Om Salama" rispose lui, "non dire nulla contro Aisha. E' la sola donna nel letto della quale ho ricevuto una Rivelazione". Il vero segreto dell'amore del Profeta per Aisha: Alcuni pensano che l'amore del Profeta per Aisha fosse dovuto alla sua bellezza. E' vero che 'Aisha era bella, aveva un bel colore e un corpo magro. Ma qualche co-sposa era più bella. Zaynab, Juwayriyyah, e Safiyyah erano decisamente più belle di lei. Il vero segreto dell'amore del Profeta non deve dunque essere cercato nel suo fascino fisico, ma nella sua superiorità intellettuale. Dopo Aisha, Om Salama era la favorita del Profeta, nonostante non fosse più una ragazzina. Aveva guadagnato questa posizione per via della sua intelligenza e il suo temperamento. Questa ipotesi si rafforza quando ci si ricorda del profondo amore del Profeta per Khadijah. Il Profeta la sposò a 25 anni, quando lei ne aveva 40. La Madre dei

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Credenti morì a 60 anni, ma il suo ricordo era ancora così caro al cuore del Messaggero di Allah, che egli parlava ogni giorno di lei con i modi più gentili, a tal punto che Aisha era più gelosa di lei, morta da tanti anni, che di tutte le altre sue co-spose. Aisha non aveva bambini suoi. Era usanza in Arabia essere chiamati 'il padre o la madre del tale', dal nome del primo figlio maschio (soprannome). Questi nomi erano segni di nobiltà. Le altre mogli del Profeta avevano il soprannome, perché avevano avuto dei figli dai loro precedenti matrimoni. Ma il caso di Aisha era diverso. Chiese allora al Profeta : "Messaggero di Allah, che nome dovrei avere?". "Ti puoi chiamare Om Abdullah" rispose il Profeta. Abdullah era il nipote di Aisha, figlio di sua sorella Asma'. Fu il primo bambino nato dagli Emigrati a Madina. Aisha allevò una bambina degli Ansar. Quando divenne adulta, la diede in sposa. L'ultimo giorno della sua vita, il Profeta era nel suo letto, con la testa appoggiata sulle ginocchia di Aisha. Venne a trovarlo Abdurrahman, il fratello di Aisha, con in mano un Siwak ( una pianta si usa per pulire i denti). Il Profeta lo guardò, e Aisha lo prese, lo masticò per ammorbidirlo e glielo diede. Il Profeta si sedette e si pulì i denti. Poi cadde di nuovo sulle ginocchia della moglie. Quando si riprese, Aisha sentì che diceva: "Con Allah, il più Alto Compagno". Capì che aveva scelto l'Altro Mondo. Il Profeta ripeteva senza tregua quella frase, finché Aisha sentì tutto il peso del suo corpo. Lo guardò e si accorse che la sua anima era volata verso Allah Altissimo. Aisha aveva 18 anni quando il Profeta morì.

Aisha appartiene all'insieme di quei teologi illustri che continuarono il lavoro e la missione del Profeta dopo la sua morte, interpretando e trasmettendo i suoi insegnamenti. Tra gli uomini, ci sono molti nomi, ma tra le donne Aisha è il solo nome.

La Battaglia del Cammello, un tragico errore: Cominciò l'epoca dei Califfi Ben Guidati: Abu Bakr, Omar, Othman e Ali. Aisha partecipò attivamente alle vicende politiche della sua epoca. Il Califfo Othman venne ucciso, il suo assassinio fu un evento che scosse tragicamente la nazione: una parte dei Credenti chiedeva al nuovo Califfo, Ali, di vendicare la sua morte e giustiziare i suoi assassini. Ali disse che momentaneamente non poteva farlo, secondo lui i mandanti dell’assassinio di Othman erano numerosi e sparsi nella città, e tanti di loro facevano parte del suo esercito. Perciò per Ali era meglio aspettare affinché riuscisse a catturarli tutti. Ma Talha e Zubayr, Compagni del Profeta e cognati di Aisha, arrabbiati, non accettarono le giustificazioni di Ali e convinsero Aisha di riunirsi al loro gruppo e partire verso Bassora (in Iraq) per cercare di stimolare la gente lì a vendicare la morte di Othman.

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La notizia che una Madre dei Credenti stava conducendo un esercito verso Bassora, si sparse velocemente. Uomini giunti da ogni dove si unirono a lei. Il califfo Ali temendo il disordine che avrebbe causato questa marcia partì anche esso a testa del suo esercito per controllare la situazione. Aisha aveva solo l'intenzione di punire gli assassini di Othman e far rientrare tutto nella normalità, ma i mandanti dell’assassinio di Othman, riuscirono con l’inganno a far scontrare il gruppo di Aisha con l’armata di Ali. Sia il Califfo Ali che Aisha vollero evitare ulteriori spargimenti di sangue tra Musulmani. Cominciarono dunque le trattative, e il Califfo Ali dichiarò: "Nessuno deve pensare alla guerra. Domani, metteremo a posto la situazione. Coloro che, in qualche modo, sono implicati nell'omicidio di Othman, devono separarsi da noi!".

Allora i ribelli responsabili dell'omicidio capirono che la loro unica possibilità era quella di far precipitare la situazione; così, durante la notte, scatenarono un attacco a sorpresa, uccidendo uomini da entrambi le parti. Così ogni gruppo credette che era stato tradito dall’altro dando il via ai combattimenti. Questa battaglia fu poi ricordata come "La Battaglia del Cammello", perché Aisha stessa vi partecipò, seduta sul suo cammello, pensando che, se avessero visto che vi era una Madre dei Credenti in mezzo alla battaglia, i combattenti avrebbero cessato le ostilità. Ma al contrario la sua presenza peggiorò la situazione; il suo gruppo si affollò intorno al suo cammello combattendo fino alla morte. Per fermare la lotta, Ali ordinò ai suoi di far cadere il cammello. Ciò pose effettivamente fine al conflitto. Ali trattò con il più grande rispetto Aisha, che, come egli stesso ricordò, era "La Sposa onorata del Profeta in questo mondo e nell'Altro". La fece riaccompagnare nell'Higaz da suo fratello Muhammad, che aveva combattuto con l'armata califfale. Aisha era andata in Iraq con buone intenzioni, per rimettere in ordine la situazione. Adesso che guardava indietro, questa disavventura sembrava essere stata la più grande tragedia della sua vita. Ebbe rimorso di quel tragico errore per tutta la vita, ed ogni volta che le tornava in mente, diceva: "Avrei dovuto essere un albero! Avrei dovuto essere una pietra o un sasso!…". Fino all'ultimo momento della sua vita, dichiarò il suo rimorso per aver preso parte alla campagna irachena. Quando recitava il Corano e specialmente il versetto: “O mogli del Profeta, rimanete con dignità nelle vostre case” (Corano) piangeva talmente che il suo velo diventava tutto bagnato.

La morte di Aisha: Nella sua vecchia camera, dove erano sepolti il Profeta, Abu Bakr e Omar, ci sarebbe ancora stato dello spazio per un'altra tomba. Ma, prima di morire, Aisha disse: "Non mi seppellite accanto al Profeta, perché ho commesso un errore dopo di lui. Seppellitemi nel cimitero di Madina, con le altre spose!".

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La sera del 17 Ramadan del 58 ° A.H., Aisha morì in pace. Aveva 67 anni. La preghiera della sera era appena terminata quando la notizia si sparse in città. Tutti ne furono profondamente addolorati. La folla si raccolse nelle strade esclamando: "E’ morta l’amata del Messaggero di Allah!".

In accordo con le sue volontà, Aisha fu seppellita nel cimitero di Madina. Migliaia di persone assistettero alla preghiera funebre, diretta da Abu Hurayra. Mai, prima di allora, nella storia di Madina, dei funerali erano stati così seguiti di notte. Enormi folle di donne uscirono nelle strade, più numerose che in occasione dell' Eid (la festa). Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

4- Hafsa Bint Omar: Nel 3 AH., Hafsa, figlia di Omar ibn al Khattab, rimase vedova. Suo marito, Khunays, era stato uno degli emigrati in Abissinia e si era sposato al suo ritorno. Hafsa aveva solo 18 anni quando rimase vedova; non era molto bella, ma era ben educata, e molto religiosa: aveva imparato a leggere e a scrivere, come suo padre.

Omar pensò di offrire la mano della figlia a Othman ibn Affan, che provava ancora un profondo dolore per la morte della moglie Ruqayyah, figlia del Sacro Profeta. Proprio a motivo del recente lutto, Othman rifiutò l'offerta, dicendo che per il momento non pensava ad un nuovo matrimonio. Omar ne fu molto deluso, ma, deciso a trovare un buon marito per la figlia, andò da Abu Bakr proponendogli la stessa cosa. Abu Bakr gli rispose evasivamente, ferendo Omar ancora più di quanto lo era stato per il rifiuto di Othman, anche se era più comprensibile il rifiuto di Abu Bakr, già unito ad una moglie alla quale era profondamente affezionato, mentre Othman era solo. Forse quest'ultimo avrebbe ancora potuto cambiare idea; così Omar si lamentò con il Profeta, che gli rispose: "Ti mostrerò un genero migliore di Othman e mostrerò a lui un suocero migliore di te!". "Così sia!" disse Omar con un sorriso di gioia quando capì che l'uomo migliore, in entrambi i casi, era niente meno che il Profeta stesso, che avrebbe preso in moglie Hafsa e che sarebbe divenuto per la seconda volta suocero di Othman, dandogli in matrimonio la sorella di Ruqayyah, Om Kulthum.

L'arrivo di Hafsah non ruppe l'armonia della famiglia; Aisha era contenta di avere una compagna di età più vicina alla sua, e una durevole amicizia si instaurò tra le due mogli più giovani, mentre Sawdah, che era stata quasi una madre per Aisha, lo divenne anche per Hafsah, che aveva quasi vent'anni

meno di lei. La Tradizione descrive Hafsah come una donna vivace, che aveva ereditato il temperamento fiero di suo padre. Mori nel 45 ° A.H. . Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

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5- Ramlah Bint Abi Sufyan (Om Habiba): Più conosciuta con il soprannome Om Habiba. Suo padre, Abu Sufyan, grande commerciante, membro del clan aristocratico degli Abd Manaf, dei Quraysh, si era segnalato fin dall'inizio della Rivelazione per la sua ostilità al Profeta. Dopo la battaglia di Badr, divenne il capo del partito anti-Musulmano.

Ramlah aveva già da tempo affermato la sua libertà religiosa e il suo diritto di scelta, ed aveva sfidato il padre convertendosi all'Islam. Questa conversione aveva avuto luogo assai prima dell'Hijra da Mecca a Madina. Om Habiba, che era allora sposata con Obayd Allah ibn Jahsh, tutti i due aveva fatto parte del gruppo di Credenti che, per fuggire alle persecuzioni degli idolatri Meccani, emigrarono in Abissinia. Laggiù Obayd Allah si era convertito al Cristianesimo. Questo aveva profondamente addolorato Om Habiba, che aveva mantenuto la sua fede nell'Islam ed era rimasta a vivere nel Paese africano, sotto la protezione del Negus.

Dopo la morte di Obayd Allah, avvenuta a causa dell'alcool, il Profeta Muhammad, che nel frattempo era emigrato a Madina, scrisse al Negus chiedendogli di fargli da procuratore per il matrimonio con Om Habiba, se lei avesse acconsentito.

Il Messaggero di Allah non inviò direttamente a lei nessun messaggio, ma la donna fece un sogno nel quale qualcuno, avvicinandola, le si rivolgeva chiamandola 'Madre dei Credenti', espressione a cui attribuì il significato che sarebbe divenuta una delle mogli del Profeta. Il giorno dopo, infatti, le fu recapitato il messaggio del Negus a conferma del suo sogno; ella scelse Khalid ibn Said, suo parente, come tutore per il matrimonio, e questi, insieme al Negus, ratificò solennemente il patto alla presenza dei Musulmani che vivevano ancora lì. Il sovrano d'Abissinia preparò anche un banchetto nuziale nel suo palazzo. Om Habiba compì il viaggio verso Madina insieme agli altri Musulmani che ancora vivevano in Abissinia, poiché il Profeta aveva fatto loro sapere che era tempo di rientrare nell'Higaz. Il Profeta accolse con ogni premura la nuova moglie. Om Habiba aveva 35 anni e, fu la decima e penultima sposa del Messaggero di Allah. Poco tempo dopo il suo arrivo a Madina, i Meccani idolatri ruppero il patto firmato a Hudaybiyyah, e Abu Sufyan fu inviato a Madina per cercare di ottenere da Muhammad un rafforzamento del patto, prolungando la sua durata. Il Profeta rispose negativamente; Abu Sufyan si recò allora a casa della figlia, sperando di ottenere il suo appoggio. Non si vedevano da 15 anni. Il miglior posto per mettersi a sedere era il tappeto del Profeta, ma, mentre Abu Sufyan stava per prendere posto, Om Habiba lo tolse velocemente e lo ripiegò. "Figliola" esclamò" questo tappeto è troppo buono

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per me a tuo parere, o sono troppo buono per esso?". "E' il tappeto del Profeta" rispose la donna "e tu sei un idolatra, un uomo impuro. Padre mio, sei il migliore dei Quraysh e il loro capo. Come mai non sei entrato nell'Islam e adori pietre che né sentono né vedono?". Si può ben capire perché Abu Sufyan, il cui cuore non era ancora stato illuminato dalla luce della fede, preferì lasciare la casa della figlia per andare da Abu Bakr a continuare la missione politica a lui affidata dai Meccani!…

Alla morte del Profeta, Om Habiba ebbe un importante ruolo sociale all'interno del gruppo delle Madri dei Credenti. Era infatti la cugina di Othman ibn Affan , che divenne Califfo nel 644. Dopo il tragico assassinio di Othman , nel 35 AH. (655), seguì un periodo tragico, durante il quale molti Umayyadi si rifugiarono in Siria o a Mecca, mentre altri cercarono rifugio presso Om Habiba. Ella ne accolse e ne protesse un gran numero e, con la coraggiosa Nailah, vedova del Califfo assassinato, fece del suo meglio per aiutarli.

Om Habiba morì poco prima di Aisha. Le spose del Profeta furono sotterrate l'una accanto all'altra, nel cimitero del Baqi’ a Madina. Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

6- Hind Bint Abu Umayya (Om Salamah): Più conosciuta con il soprannome “Om Salamah” appartenente al clan aristocratico dei Makhzum, fu, insieme al suo sposo Abu Salamah, una delle prime Credenti. Per questo motivo fu perseguitata a Mecca durante i primi anni della Rivelazione e, seguendo l'ordine del Profeta, fu, con suo marito Abu Salamah, tra gli emigranti in Abissinia. In effetti, è attraverso la sua testimonianza che ci sono trasmessi moltissimi particolari relativi a questa prima emigrazione.

Una volta tornati a Mecca Om e Abu Salamah ricevettero la protezione di Abu Taleb, ma alla morte di questo ultimo decisero di compiere l'Hijra verso Madina, come avevano cominciato a fare alcuni altri Credenti. Lungo la strada, però, furono fermati da rappresentanti del clan della donna, che obbligarono Om Salamah a tornare a Mecca, dove fu separata a forza dal figlioletto Salamah, che fu preso in affidamento da alcuni membri della tribù di Abu Salamah. Om Salamah passò un anno difficilissimo; andava ogni giorno nel deserto e rimaneva lì tutto il giorno a piangere. Dopo qualche tempo, però, un cugino della donna intervenne in suo favore; tutto il clan ebbe pietà della donna e, restituitole il bambino, i suoi parenti la lasciarono emigrare. Om Salamah partì da sola col figlioletto, su un cammello. Ma dopo quasi sei miglia incontrò un uomo, Othman ibn Talha, che, pur

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non essendo ancora divenuto Credente, gentilmente l'accompagnò fino alla Madina, dove Om Salamah poté riunirsi a suo marito. Abu Salamah era uno dei più valorosi Sahaba, e partecipò alle prime battaglie dell'Islam; durante la battaglia di Uhud ricevette una ferita che si rimarginò troppo presto e dopo qualche mese si riaprì, portandolo alla morte. Il Profeta, che era anche un suo cugino, gli fu vicino fino al suo ultimo respiro, quando morì gli chiuse gli occhi. Om Salamah e suo marito, che avevano avuto quattro figli, erano stati una coppia molto unita, e alla morte di lui la moglie era incinta nella loro ultima bambina, Zaynab. Om Salamah, durante il loro matrimonio avrebbe voluto stringere un patto per cui, nel caso in cui uno di loro fosse morto, l'altro non si sarebbe risposato. Ma egli le aveva risposto che, se fosse morto per primo, lei si sarebbe dovuta risposare, e così aveva pregato: "Oh Allah! Assicura a Om Salamah dopo di me un uomo migliore di me, uno che non le sia causa di tristezza e offesa!". Dopo che fu trascorso il periodo di lutto, il Profeta stesso la chiese in moglie. Lei gli rispose che temeva di non essere adatta a lui: "Sono una donna il cui tempo migliore è passato, e sono madre di orfani. In più sono estremamente gelosa e tu, o Messaggero di Allah, hai già più di una moglie". Egli le rispose: "Per l'età, io sono più vecchio di te; quanto alla gelosia pregherò Allah di togliertela; per i tuoi orfani, Allah e il Suo Messaggero si prenderanno cura di loro". Si sposarono e il Profeta l'alloggiò nella stanza che era appartenuta a Zaynab bint Khuzaymah, "la madre dei poveri”, la sua quinta sposa, che era morta pochi mesi dopo le nozze. Om Salamah non era la sola a soffrire di gelosia, anche Aisha lo era, e mentre tutti a Madina parlavano del nuovo matrimonio del Profeta e della grande bellezza della sposa, Aisha ne era turbata. Om Salamah, in effetti, era una donna di una bellezza fuori dal comune, che possedeva una capacità di giudizio che faceva colpo, un ragionamento rapido e un'incredibile capacità di formulare delle opinioni corrette. Om Salamah sopravvisse al Profeta e conobbe l'epoca dei quattro Califfi (Ben Guidati) e quella di Mu'awiyya ( L’epoca degli Omayyadi).

Importantissimo fu il suo ruolo di trasmettitrice di Hadith: i Sapienti considerano la doppia testimonianza sua e di Aisha come una delle migliori garanzie di autenticità di un detto del Profeta. Entrambe sapevano leggere e, come Hafsa, possedevano un esemplare del Sublime Corano.

Durante i Califfati di Abu Bakr e Omar, le fonti non ce mostrano Om Salamah impegnata in attività 'esterne'. Dopo la Battaglia del Cammello, e dopo il ritorno di

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Aisha a Madina, le vedove del Profeta si trovarono di nuovo unite nel ruolo di eredi privilegiate di quelle che erano state la pratica e le parole del Messaggero di Allah. Om Salamah sopravvisse a tutte le altre Madri dei Credenti , ad eccezione di Maymunah. Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

7- Zaynab Bint Khuzaymah: Era figlia di Khuzaymah ibn al Harith al Hilaliyyah della tribù di Amir ibn Sa'sa'a, tra le più ricche d'Arabia. Abitava a Mecca. Di natura molto generosa, già prima dell'avvento dell'Islam era soprannominata "la Madre dei poveri" (Om il Masakin). Le fonti storiche riferiscono che Zaynab si sposò con Ubaydah ibn al Harith ibn al Muttaleb, un parente del Messaggero di Allah. Ubaydah trovò poi il martirio durante la battaglia di Badr. Ad un anno dalla sua morte, Zaynab non si era ancora risposata, così, per far sì che non rimanesse sola, il Profeta la chiese in sposa. Ella accettò con gioia; venne dunque preparato il suo appartamento, e quando fu pronto Zaynab, che aveva all'epoca circa trent'anni, si recò nella dimora del Profeta; la sua dote fu di quattrocento dirham. Zaynab viene descritta come una personalità calma e serena, discreta, sempre pronta ad aiutare gli altri, devota ad Allah e al Suo Inviato. Era amata da tutte le altre moglie del Profeta. Tuttavia, la presenza di Zaynab nella casa del Profeta fu di breve durata. Si ammalò e morì otto mesi dopo il matrimonio, fu così la prima delle Madri dei Credenti a lasciare questo mondo. Il Profeta stesso condusse la preghiera funebre e la seppellì al cimitero di al Baqi’, non lontano da sua figlia Ruqayyah, moglie di Othman, morta qualche tempo prima. Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

8- Maymunah Bint Al Harith: L'ultima donna ad assumere il rango di 'Madre dei Credenti', secondo l'elenco fornito dalla maggior parte dei Sapienti, fu lei, che il Profeta sposò all'epoca del 'Piccolo Pellegrinaggio (Omra) da lui effettuato a Mecca dopo il patto di Hudaybiyyah, nell'anno 7 dell'Hijra.

Tra gli abitanti di Mecca, erano ormai numerosi quelli favorevoli all'Islam, alcuni soltanto nel loro cuore ed altri alla luce del sole, nonostante le persecuzioni degli idolatri. Tra questi figurava lo zio del Profeta, Al Abbas ibn 'Abd al Muttaleb, che in precedenza l'aveva duramente combattuto, anche sul campo di battaglia, a Badr, e che da poco aveva segretamente abbracciato l'Islam. La Omra del Profeta fornì ad Abbas l'occasione per dichiarare apertamente la propria fede. Non soltanto non si ritirò dalla città insieme agli altri capi Quraysh, ma, al contrario, andò incontro al suo nobile

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nipote per augurargli il benvenuto. Per confermare la loro riconciliazione, Abbas propose a Muhammad una sposa: sua cognata Maymunah, sorella di sua moglie. La donna aveva allora 26 anni, ma era già due volte vedova.

Il Profeta propose ai Meccani di accordargli una rinvio, oltre ai 3 giorni previsti dal trattato, per celebrare il suo matrimonio, ma i Quraysh rifiutarono. Così, i Musulmani si ritirarono a Sarif, un villaggio a nord di Mecca, dove si tenne il banchetto di nozze. La dote della sposa fu la tradizionale somma di 400 o 500 dirham.

Maymunah era stata, con le sue tre sorelle, una delle prime Musulmane; ed il Profeta, parlando di loro, era solito dire: "In verità, le sorelle sono vere Credenti". La nuova sposa si stabilì dunque a Madina, in un nuovo alloggio accanto alla moschea. Non avrebbe gioito a lungo della presenza del Profeta; egli, infatti, morì meno di 4 anni più tardi, nell'11A.H (giugno 632). Maymunah ebbe però la gioia di assistere, nel 630, alla riconquista pacifica di Mecca, e accompagnò suo marito nel Pellegrinaggio d'Addio, che il Profeta compì poco prima di morire. La vita da vedova di Maymunah non ci è stata tramandata. Non sembra aver partecipato attivamente agli avvenimenti che segnarono la storia dei quattro Califfi. La sua morte avvenne nel 61 A.H (681); Maymunah si era ritirata a vivere a Sarif, il villaggio dove si era sposata col Profeta, ed è proprio là che fu sepolta, sugli stessi luoghi delle sue nozze. Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

9- Juwayriyyah Bint Al Harith: Nel 4 AH, dopo la spedizione militare contro i Bani Al Mustalaq, il bottino fu diviso come al solito, e tra i prigionieri c'era Juwayriyyah , figlia di Harith, il capo del clan sconfitto. Lei fu data, come parte del bottino, ad uno degli Ansar che fissò un prezzo elevato per il suo riscatto, per cui la donna si recò dal Profeta a chiedergli di intervenire in suo favore. Egli si trovava quel giorno nell'appartamento di Aisha che le aprì la porta e disse in seguito, narrando l'accaduto: "Era una donna di grande dolcezza e bellezza. Nessuno poteva guardarla senza averne l'animo catturato. Lei entrò e disse al Profeta: 'O Messaggero di Allah, sono Juwayriyyah, figlia di Harith, signore della sua gente. Tu conosci bene la sventura che mi ha colpito; sono venuta perciò a cercare il tuo aiuto nel trattare il mio riscatto. Egli rispose: 'Vorresti avere qualcosa di meglio di ciò?'. 'Che cosa può essere migliore?', chiese, ed egli rispose:'Che io paghi il tuo riscatto e ti sposi'." Juwayriyyah accettò lietamente l'offerta. Un nuovo appartamento venne costruito per lei.

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Quando si seppe che i Bani Mustalaq erano diventati, tramite questo matrimonio, parenti del Profeta, i Muhajirun e gli Ansar liberarono i prigionieri che non erano stati ancora riscattati. Vennero così liberate quasi un centinaio di famiglie. "Non so di nessuna donna" disse 'Aisha , riferendosi a Juwayriyyah , "che sia stata di più grande benedizione per la sua gente di quanto lo sia stata lei". Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

10- Safeyyah Bint Huyay: Nel settembre del 628 d.C. nel 7°A.H, dopo la conquista dell'Oasi ebraica di Khaibar, i cui abitanti avevano tradito il patto stretto con il Profeta, incoraggiando i Quraysh all'attacco in occasione della 'Battaglia del Fossato', tra le molte prigioniere di guerra si trovava anche la vedova di Kinana, capo dell'Oasi, ucciso durante la battaglia: si trattava di Safeyyah , figlia di quell'Huyay che aveva persuaso la tribù dei Bani Qurayza a rompere l'accordo col Profeta e che era stato messo a morte con loro dopo la battaglia del Fossato.

Safeyyah aveva 17 anni e aveva sposato Kinana soltanto uno o due mesi prima che il Profeta partisse da Madina per la battaglia contro l'Oasi. Il loro matrimonio non era stato felice; a differenza di suo padre e di suo marito, Safeyyah era profondamente pia. Fin dall'infanzia aveva sentito il suo popolo parlare di un Profeta la cui venuta era prossima, e questa idea l'aveva profondamente colpita. In seguito aveva sentito parlare di un Arabo di Mecca, uno di Quraysh, che affermava di essere quel Profeta, e infine aveva saputo che era arrivato a Madina. Tutto ciò si era verificato sette anni prima, quando aveva 10 anni; ricordava bene che suo padre e suo zio erano andati fiduciosamente a Kebaà' per accertare che l'uomo era, secondo loro, soltanto un impostore; ma quello che le era rimasto soprattutto impresso nella memoria era stato il loro ritorno a notte fonda, poiché entrambi apparivano in uno stato di grande abbattimento. Era evidente, da quanto avevano detto, che ritenevano che il nuovo venuto fosse il Profeta promesso, ma intendevano, nonostante ciò, o meglio proprio per questo, opporsigli ugualmente. La mente della bambina ne era rimasta sconcertata. Poco dopo il matrimonio e non molto prima dell'arrivo del Profeta a Khaybar, Safeyyah aveva fatto un sogno: una luna brillante splendeva in cielo sopra la città di Madina; la luna poi aveva cominciato a muoversi verso Khaybar fino a cadere nel suo grembo. Svegliatasi, aveva narrato il sogno a suo marito Kinana, che l'aveva schiaffeggiata dicendole: "Questo può solo voler dire che desideri il re dell'Higaz, Muhammad". Il segno del colpo era ancora visibile quando fu portata prigioniera davanti il Profeta, che le chiese quale ne fosse la causa, ed ella gli narrò il sogno. Dihyah, re dei Bani

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Kalb, che era entrato nell'Islam poco dopo Badr, aveva chiesto che Safeyyah gli venisse assegnata come parte del bottino di Khaibar e il Profeta aveva acconsentito, ma udito il sogno chiamò Dihyah e gli disse che al posto di Safeyyah doveva prendere la cugina. Il Profeta chiamò Safeyyah e le comunicò che era disposto a lasciarla libera e le offrì la scelta tra il rimanere Ebrea e tornare dalla sua gente, o entrare nell'Islam e divenire sua moglie. "Scelgo Allah e il Suo Messaggero!" rispose Safeyyah e, alla prima sosta, sulla via del ritorno, il matrimonio fu celebrato. Fu inaspettato l’arrivo nella famiglia della giovane e bella Safeyyah che, giunta a Madina, il Profeta aveva temporaneamente alloggiato nella casa di uno dei Sahabah, Haritha. Avendo sentito parlare della sua bellezza, Aisha mandò a chiedere a Om Salamah notizie della nuova sposa. "E' davvero molto bella" disse Om Salamah "e il Messaggero di Allah l'ama molto". 'Aisha si recò di persona a casa di Haritha ed entrò con le altre donne che rendevano visita alla nuova sposa. Aisha era velata e, senza rivelare la sua identità, rimase un pò in disparte, ma abbastanza vicina per poter vedere che Om Salamah aveva detto la verità. Poi lasciò la casa, ma il Profeta, che era presente, l'aveva riconosciuta e seguendola all'uscita le chiese: "O Aisha, come l'hai trovata?". "Ho visto in lei" rispose Aisha "un'Ebrea come altre Ebree". "Non dire così" ribatté il Profeta, "perché è entrata nell'Islam e il suo Islam è puro".

Safeyyah era comunque particolarmente vulnerabile tra le altre mogli a causa del padre. "O figlia di Huyay", espressione rispettosa in se stessa, poteva mutarsi in insulto se cambiava il tono della voce. Ed infatti una volta ella corse in lacrime dal Profeta, perché una delle sue compagne aveva cercato di umiliarla. Il Profeta le disse: "Rispondi loro: mio padre è il Profeta Harun e mio zio è il Profeta Mosè".

Di tutte le mogli, Safeyyah era la più vicina d'età ad Aisha, più vicina anche di Hafsa, che ora aveva 22 anni. Questa circostanza in un primo momento aveva aumentato i timori di Aisha, ma col trascorrere delle settimane tra le due mogli più giovani nacque una certa simpatia e anche Hafsa divenne amica della nuova arrivata. "Formavamo due gruppi", diceva Aisha negli anni seguenti, "in uno eravamo io, Hafsa, Safeyyah e Sawdah, e nell'altro Om Salamah e le altre mogli".

Durante la malattia che avrebbe portato il Profeta alla morte, egli soffriva molto e un giorno in cui stava peggio del solito sua moglie Safeyyah esclamò: "O Messaggero di Allah, potessi avere io quello che hai tu!" Al che le altre mogli si scambiarono delle occhiate sussurrando tra loro che questa era ipocrisia. Il Profeta se ne accorse e disse: "Andate a risciacquarvi la bocca". Gli chiesero il perché ed egli replicò: "Per aver

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malignato su una vostra compagna. Per Allah, ella ha detto la verità, in tutta sincerità!".

Dopo la morte del Profeta, Il suo statuto di Madre dei Credenti non le impedì di mantenere delle relazioni con i suoi parenti Ebrei, anche se questi non erano entrati nell'Islam. Il diritto islamico, infatti, riconosce e valorizza i legami familiari e non li considera annullati dalla conversione. Safeyyah provava un grande affetto per uno dei suoi nipoti, rimasto Ebreo. Secondo il diritto islamico, i parenti di religione diversa non sono eredi l'uno dell'altro, a meno che uno prima di morire non lasci una parte dei propri beni a questi parenti tramite un testamento. Safeyyah lasciò il massimo possibile dei suoi beni a questo nipote, cioè un terzo dell'intera eredità. Alla sua morte, avvenuta nel 50 A.H (670 d.C.), la sua eredità venne contrastata. Ma Aisha intervenne perché le volontà della sua compagna venissero rispettate.

Così, con la sua condotta e la sua dignità, così come con la sua fede ed il suo amore per il Profeta, Safeyyah si identificò nella sua qualifica di Madre dei Credenti, confermando il giudizio che di lei aveva dato il suo nobile sposo. Non l'aveva infatti definita "una buona Musulmana"? Ed è così, infatti, che la Tradizione islamica si ricorda di lei. Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

11- Zaynab Bint Jahsh: Era la cugina del Profeta, sua madre Umayma, era la zia paterna del Profeta. Zaynab aveva fatto parte dei primi emigranti a Madina; fu proprio là che il Profeta, volendo sottolineare l'integrazione sociale dello schiavo credente da lui affrancato e adottato, Zayd, gli diede in sposa appunto sua cugina Zaynab. Ma La giovane Qurayshita non era molto felice per questa decisione che, secondo la mentalità dell'epoca, la svalorizzava sul piano sociale, essendo Zayd un ex-schiavo. Tuttavia aveva accettato di buon grado questo matrimonio, poiché le era stato proposto dall'Inviato di Allah. Ma questa unione si rivelò ben presto poco felice.

Tuttavia, il matrimonio tra i due continuava a non funzionare, così, dopo qualche tempo, Zayd e Zaynab divorziarono. Questo divorzio, però, secondo il costume del tempo, non rendeva lecito al Profeta il matrimonio con Zaynab, poiché i figli adottivi venivano considerati come figli biologici, e dunque le loro mogli, in quanto 'nuore', non potevano sposare l'ex 'suocero', anche dopo la rottura del legame matrimoniale con il figlio adottivo di questi. Trascorsero alcuni mesi e poi, un giorno, il Profeta, mentre stava parlando con una delle sue mogli, fu investito dalla Rivelazione: “Quando poi Zayd non ebbe più relazione con lei, te l'abbiamo data in sposa, cosicché non ci fosse più, per i credenti, alcun impedimento verso le spose dei figli

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adottivi, quando essi non abbiano più alcuna relazione con loro. L'ordine di Allah deve essere eseguito, …… Muhammad non è padre di nessuno dei vostri uomini, egli è l'Inviato di Allah e il Sigillo dei Profeti. Allah conosce ogni cosa”. (Corano) Non appena il Profeta tornò in sé, le sue prime parole furono: "Chi andrà da Zaynab a portarle la buona notizia che Allah me l'ha concessa in sposa proprio dal cielo?". Una serva si recò in tutta fretta a casa di Zaynab. Sentita la meravigliosa notizia, Zaynab glorificò Allah e si prosternò verso Mecca; poi si tolse gli ornamenti delle caviglie e i braccialetti d'argento e li donò alla serva. Così, Zaynab fu condotta a casa del suo nobile sposo. La Rivelazione indicava non solo in questo caso particolare i limiti dell'adozione, ma, più in generale, considerava questo legame una semplice protezione materiale e morale, che non doveva essere assimilata ad una parentela 'di sangue', e dunque non creava unioni ostacolanti il matrimonio: “Date loro il nome dei loro padri: ciò è più giusto davanti ad Allah. Ma se non conoscete i loro padri, siano allora vostri fratelli nella religione e vostri protetti” (Corano). Da quel giorno, perciò, Zayd venne conosciuto come Zayd ibn Haritha e non più come Zayd ibn Muhammad, come era stato chiamato fin dalla sua adozione, quasi 35 anni prima.

Il versetto del Hijab: La festa di nozze tra Zaynab ed il Profeta venne celebrata nel 5° A.H (627 d.C.). Gli invitati furono numerosi ed è in loro presenza che la Sunna fa risalire la Rivelazione del 'versetto dell'Hijab': Alcuni degli invitati, infatti, si intrattennero troppo a lungo, dimostrando scarso rispetto nei confronti del Messaggero di Allah, che desiderava rimanere da solo con la sua sposa, ma era troppo timido per dirlo esplicitamente a questi Sahabah. Venne allora rivelato il versetto del Corano: “O credenti, non entrate nelle case del Profeta, a meno che non siate invitati per un pasto … dopo avere mangiato, andatevene senza cercare di rimanere a chiacchierare familiarmente. Quando chiedete ad esse un qualche oggetto, chiedetelo da dietro una cortina (Hijab): ciò è più puro per i vostri cuori e per i loro. Non dovete mai offendere il Profeta e neppure sposare una delle sue mogli dopo di lui: sarebbe un'azione disonorevole nei confronti di Allah”. (Corano) Questo versetto, importantissimo per quanto riguarda il codice di comportamento nei confronti della famiglia del Profeta, che da allora in poi dovevano indurre tutte i Credenti a rispettare l'intimità del Profeta e della sua famiglia.

Zaynab prese così il suo posto nella casa del Messaggero di Allah. La sua forte personalità diede occasione a qualche bisticcio con le sue compagne, Aisha, che non esiterà, in seguito, ad affermare che una sola delle sue compagne aveva osato tenerle

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testa: appunto Zaynab. Zaynab si vantava che lei era stata data in sposa al Profeta direttamente da Allah nello stesso Corano, nella Surah Al Ahzab (I Coalizzati).

Al suo nobile marito, infatti, era solita dire: "Sono stata condotta verso di te lungo una via che non hanno conosciuto le tue altre mogli: il mio antenato è il tuo; è Allah che dall'alto dei cieli mi ha sposata a te; e il mediatore è stato l’Arcangelo Gabriele". La mano più lunga: Zaynab sopravvisse al suo nobile sposo, ma fu la prima tra le Madri dei Credenti a raggiungerlo: la sua morte viene infatti riferita nel 20 A.H (641 d.C.), all'età di 50 anni. A questo riguardo, la Tradizione conserva un ricordo toccante: il Profeta aveva detto che la prima delle sue mogli a raggiungerlo sarebbe stata quella "con la mano più lunga". Le vedove avevano misurato le loro mani, e quella di Zaynab era risultata la più piccola di tutte. Ma la mano più lunga in realtà designava le sue virtù di generosità e carità, piuttosto che i centimetri. Zaynab, infatti, morì senza lasciare alcuna eredità, poiché aveva sempre regalato tutto ai poveri, compresi i 12.000 dirham che aveva ricevuto dal Califfo Omar lo stesso anno della sua morte. Era dunque lei la sposa dalla mano più lunga alla quale il Profeta aveva annunciato un posto accanto a lui in Paradiso?. Il Califfo Omar guidò la sua preghiera funebre. Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei! 12- Maria la Copta: Il governatore dell'Egitto, cui il Profeta aveva inviato un messaggio per esortarlo a divenire Musulmano, aveva risposto in modo vago, inviando tuttavia ricchi doni a Madina. Tra questi doni vi erano due schiave, le sorelle Maria e Sirin, cristiane copte. Il Profeta sposò Maria, e l’alloggiò in una casa in periferia della Madina in mezzo al verde e l’acqua sapendo che lei non era abituata alla vita beduina come le altre moglie. Le sue mogli erano molto gelose della bellissima Maria in particolare Hafsa e Aisha.

La giovane egiziana non è ricordata solo per la sua bellezza e per l'enorme gelosia che suscitava nel cuore delle spose del Profeta. Maria, infatti, diede al Profeta un bambino, Ibrahim, nato secondo alcuni commentatori nel 8° A.H Divenne in questo modo (madre di un maschio). Il Messaggero di Allah fece la cerimonia dell'Aqiqah (sacrificio di due agnelli) a sette giorni dalla nascita del bambino; la testa del bambino fu rasata e fu data in elemosina una quantità d'argento corrispondente al peso dei capelli del bambino, che poi furono messi sotto terra. Il Messaggero di Allah disse: "Ho scelto per mio figlio il nome di mio padre Ibrahim (Abramo)".

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Quando anche questo bambino morì, appena 18 mesi dopo, Il Messaggero di Allah disse: "Allah ha dato a una nutrice celeste l'incarico di prendersi cura di Ibrahim nei giardini del Paradiso".

Il motivo dei numerosi matrimoni del sacro profeta(PBSL)

Alcuni orientalisti maliziosi sparsero delle sciocche calunnie contro il nostro Profeta Muhammad dicendo che egli era un uomo che si occupava solo delle donne non della sua Missione Profetica. Come si può dire tale menzogne?!! Osservando la vita del Sacro Profeta e ciò che egli ha creato a questa nazione islamica da lui fondata che si distende dalla Cina al Marocco, ci viene la domanda: Chi avrebbe occupato tale compito e diffuso la parola di Allah se non Muhammad? Queste non sono che menzogne e disprezzi espressi con incomprensione e ignoranza verso il nostro Profeta.

Ci sono due punti essenziali che respingono questi sospetti : Primo: Il Profeta non sposò più di una moglie fino a che non compì i cinquant’anni. Secondo: Tutte le sue spose erano vedove, eccetto Aisha l’unica che era giovane e nobile. Se dietro queste numerose unioni c’erano la lussuria o il piacere delle donne, si sarebbe sposato da giovane, non da persona avanzata nell’età; non solo, ma avrebbe sposato giovani vergini e non vedove ormai non più giovani. Uno dei Sahaba di nome Gaber Bin Abdullah venne con un viso compiaciuto al Profeta che gli chiese: “Ti sei già sposato, Jaber?” Jaber rispose di si e il Profeta allora gli chiese: “A una donna già sposata o a una vergine?” Jaber rispose: “No, non una giovane vergine” Allora il Profeta gli disse: “Perché non a una ragazza con la quale potresti giocare, ridere e divertirti?” Il caro Profeta accennò al matrimonio con una giovane, perché era consapevole che erano più docili e pronte a creare rapporti armoniosi. Se qualcuno dei compagni del Profeta non era ancora sposato egli si informava del perché e incoraggiava tutti a sposare giovani fanciulle. Tutto questo ci dimostra che la sua scelta di sposare vedove a tarda età non può che significare che non stava cercando i piaceri delle donne in questi matrimoni, ma le ragioni erano valide e importanti.

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Se i suoi nemici, che diffondono tali calunnie, lasciassero da parte la loro intolleranza e si proponessero con razionalità, troverebbero questi matrimoni ammirevoli e degni di un Profeta che sacrificò tutto per aiutare gli altri e per divulgare la parola di Allah e l’Islam. La saggezza dei numerosi matrimoni del Profeta si trova nei seguenti punti: 1- Ragioni d’istruzione e d’insegnamento 2- Ragioni legislative 3- Ragioni sociali 4- Ragioni politiche Ragioni d’istruzione e d’insegnamento: Una delle più importanti ragioni di queste unioni multiple era di insegnare alle donne alcune regole della Legge Islamica. Molte donne spesso per chiedere al Sacro Profeta domande sulle questioni intime femminili (es. il ciclo mestruale, l’impurità dopo i rapporti intimi con i mariti e altri argomenti matrimoniali), non riuscivano a superare la loro timidezza e spesso nemmeno lui riusciva a superare la sua modestia. Ci viene raccontato che il Profeta era molto timido e rispondeva ad alcune domande con tanta riservatezza che spesso non veniva compreso.

C’era una minoranza di donne che riusciva a superare la timidezza e a fare domande molto personali al Profeta. Venne Umm Sulaim, la moglie di uno dei Sahaba, e chiese al Profeta: “O Profeta di Allah, Allah non Si vergogna della verità, è imposto che anche la donna si purifichi se fa sogni erotici?” E lui le rispose: “Si, se vede liquido.” Disse Umm Salamah: “Ma anche le donne hanno tali sogni?” E lui le rispose: “In ciò esse si assomigliano agli uomini.” Il Profeta insegnò che il feto si forma dall’unione del liquido paterno e materno, perciò assomiglia sia al padre che alla madre; come Allah l’Altissimo dice Corano: “Invero creammo l’uomo, per metterlo alla prova, da una goccia di sperma eterogenea e abbiamo fatto si che sentisse e vedesse.” “eterogenea significa il miscuglio di una cosa con un’altra “Cioè il liquido dell’uomo con il liquido della donna che si mescolano l’uno con l’altro.” A queste domande imbarazzanti spesso rispondevano le mogli del Profeta. Dice Aisha : “Che Allah abbia misericordia delle donne degli Ausiliari. La timidezza non impediva loro di fare domande per approfondire la loro conoscenza nella religione”. Le donne venivano da Aisha nelle ore buie per fare domande sulle regole del ciclo mestruale, o del periodo post-partum o dei rapporti matrimoniali. Le mogli del Profeta erano tra le più informate su questi argomenti e tramite loro venivano trasmessi questi insegnamenti.

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Bisogna rammentare che la Sunna del Profeta non si basa solo sui suoi Detti, ma anche su ciò che venne trasmesso dalle sue mogli riguardo il suo comportamento e le sue maniere nel privato: chi poteva insegnare questo aspetto della Tradizione Profetica se non loro? Fu grazie alla loro sapienza e intelligenza che le maniere del Profeta vennero trasmesse e insegnate.

2-Ragioni legislative: Un’altra ragione di questi unioni matrimoniali fu quella di cancellare alcune usanze seguite dagli Arabi prima dell’Islam; una di queste riguardava l’adozione praticata frequentemente tra gli Arabi: adottavano figli non loro e davano loro tutti i diritti come se fossero figli propri e li trattavano, di conseguenza, con le stesse regole sull’eredità, sul divorzio e sul matrimonio, anche con persone con legami di parentela: tutto questo era usanza praticata durante l’Era dell’Ignoranza, cioè prima dell’Islam. Un uomo poteva adottare un figlio dicendo: “Tu sei mio figlio: erediti da me e io da te”; ma l’Islam venne a porgere luce e a levare l’ignoranza da certe usanze.

Anche il Profeta, prima della rivelazione profetica, aveva adottato un figlio, Zaid ibn Haritha, con l’usanza di quei tempi e Zaid fu chiamato da tutti Zaid ibn Muhammad fino a che non venne rivelato il seguente versetto del Corano in cui Allah l’Altissimo dice: “Muhammad non è padre di nessuno dei vostri uomini, egli è l'Inviato di Allah e il Sigillo dei Profeti”….. “Date loro il nome dei loro padri: ciò è più giusto davanti ad Allah.” (Corano) Da quel momento il Profeta chiamò Zaid con il suo vero nome cioè Zaid ibn Haritha. Il Profeta unì in matrimonio la cugina Zainab bint Jahsh a Zaid che vissero insieme per un pò di anni; la situazione non fu felice perché Zainab sentì che il matrimonio non era alla pari dato che lui era uno schiavo lasciato libero mentre lei era figlia di una nobile famiglia. Fu per volontà Divina che Zaid divorziò da Zainab, e Allah comandò al Profeta di sposarla per abolire l’usanza dell’adozione (non può un vero padre sposare una ex-moglie di un figlio) e per istaurare le fondamenta dell’Islam in base al quale il padre non poteva assolutamente sposarsi con la sposa del proprio figlio. Il Profeta temeva che sarebbe stato criticato dagli ipocriti, così fu svelato il seguente versetto in cui Allah l’Altissimo dice: “Temevi gli uomini, mentre Allah ha più diritto ad essere temuto. Quando poi Zayd non ebbe più relazione con lei, te l’abbiamo data in sposa, cosicché non ci fosse più, per i credenti, alcun impedimento verso le spose dei figli adottivi, quando essi non abbiano più alcuna relazione con loro. L’ordine di Allah deve essere seguito.” Così finì l’usanza dell’adozione

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praticata durante l’Era dell’Ignoranza e s’instaurò l’Islam come religione e come legge. Questo matrimonio, quindi, avvenne per un decreto Divino, e non come dicono i nemici dell’Islam, per lussuria e piacere. Allah l’Altissimo comandò quest’unione tra il Suo Profeta e Zainab, che fu motivo d’orgoglio per lei perché il suo era un matrimonio progettato da Allah, e diceva al Profeta: “ Ti hanno fatto sposare i tuoi parenti (alle altre mogli) ma è stato Allah l’Altissimo che ti ha fatto sposare me!”.

3-Ragioni sociali: La terza ragione per i numerosi matrimoni del Profeta fu per ragioni sociali, uno degli esempi fu l’unione del Profeta con Aisha. Il Profeta sposò Aisha, la figlia del suo più caro amico, Abu Bakr Al-Seddiq colui che fu il primo a credere in lui come Profeta e in seguito divenne il suo primo ministro : egli diede se stesso, la sua anima e il suo patrimonio per la vittoria della Religione di Allah, difese il Profeta e fu picchiato ripetutamente e brutalmente. Il Profeta disse di lui: “Tutte le mani che ci sono state date in aiuto le abbiamo ricompensate, tutte eccetto quella di Abu Bakr, la cui ricompensa abbiamo lasciata a Dio nel Giorno del Giudizio. Non c’è stato denaro che mi abbia aiutato più di quello di Abu Bakr; e non c’è stato nessuno al quale ho proposto l’Islam che non abbia riflettuto un pò eccetto Abu Bakr! E se avessi da scegliere un vice, avrei scelto lui”. Il Profeta non trovò ricompensa adatta per Abu Bakr nella vita terrena eccetto di dargli il piacere di sposare sua figlia Aisha e rafforzare quest’amicizia anche con parentela.

Poi fu l’unione del Profeta con Hafsa, la figlia del suo secondo amico e ministro Omar ibn Al-Khattab: anche per Omar quest’unione fu come una ricompensa per la sua fede e il suo prezioso aiuto per la vittoria dell’Islam. Omar fu l’eroe dell’Islam, fu con lui che Allah onorò la Sua Fede e i suoi credenti e innalzò il minareto dell’Islam. Il Profeta lo ricompensò e lo rese uguale al suo primo ministro, Abu Bakr, onorandolo, appunto, con questo matrimonio. Infatti, queste due unioni furono l’onore più alto che si potesse dare a queste due grandi personalità che avevano combattuto per l’Islam fianco al Profeta, e non vi fu altra ricompensa più stimabile in questa vita. Che grande strategia e che grande fedeltà a due grandi compagni!

Il Profeta onorò anche Othman e Ali dando a loro le proprie figlie come mogli. Questi quattro compagni furono i più importanti e i futuri califfi dell’Islam dopo la morte del Profeta.

4-Ragioni politiche: Poi ci furono unioni, per diffondere la nuova fede, infatti il Profeta sposò alcune delle mogli per unire le varie tribù al suo popolo di credenti e

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per creare armonia tra le varie famiglie. E così fecero anche alcuni Musulmani per unire le varie tribù meccane. Era usanza tra gli Arabi che se qualcuno sposava una delle loro figlie si creava un legame di parentela; questo avrebbe spinto le famiglie a difenderlo e aiutarlo nella sua missione. Questa era una strategia ben conosciuta. Daremo alcuni esempi per dimostrare con più chiarezza queste strategie: 1 . Il Profeta sposò Juwairiyah bint Al-Harith, figlia del capo della tribù di Bani Al-Mostalaq. Lei presa, assieme a tutta la sua tribù, come prigioniera decise di tentare di negoziare col Profeta per la loro liberazione in cambio di denaro. Il Profeta le propose di sposarla in cambio della sua liberazione, e lei acconsentì. La sposò e i Musulmani dissero: “Come possiamo tenere i nuovi parenti del Profeta come prigionieri?” Così liberarono tutta la tribù; con questo matrimonio vennero liberati ben cento famiglie. Quando i Banu Al-Mostalaq videro questa concordia, rispetto e onore, si convertirono tutti all’Islam. L’unione del Profeta a Juwairiyah fu una benedizione per lei e per la sua tribù e fu motivo della loro conversione e liberazione.

2 . Il Profeta sposò Safeyyah bint Huyay bin Akhtab, figlia del capo ebreo che aveva affrontato il Profeta in più di una battaglia. Quando suo padre Huyay morì e la sua gente fu sconfitta, il Profeta non volle lasciarla come schiava ad uno dei suoi compagni, ma la sposò volendola ricompensare della sua disgrazia e per il suo primo infelice matrimonio. Lui le disse: “Scegli. Se scegli l’Islam, ti tengo con me e ti sposo; se scegli la religione ebraica, ti libero e puoi raggiungere la tua famiglia.” Lei gli rispose: “O Profeta di Dio, ho creduto nell’Islam e in te come Profeta prima che mi faceste questa proposta; non sono della religione ebraica, non ho né padre, né figlio, né fratello, e se devo scegliere tra la mia religione e l’Islam, allora sappiate che Allah e il suo Profeta sono più cari al mio cuore della libertà e della mia tribù.” E così il Profeta la prese come moglie.

3 .Ci fu anche il matrimonio tra il Profeta e Ramlah bint Abi Sufyan, più conosciuta come Om Habiba, figlia del capo dei non-credenti e uno dei più accaniti nemici del Profeta. Om Habiba, a quel tempo già sposata, si convertì all’Islam a Mecca e emigrò con il marito per l’Abissinia figgendo dalle persecuzioni. Lì morì suo marito e rimase sola, senza nessuno che si prendesse cura di lei. Quando il Profeta lo venne a sapere, mandò un messaggio al Negus, il re dell’Abissinia, in cui gli chiedeva di fargli sposare Ramlah. Egli volle ricompensare Om Habiba per la sua fede che l’aveva spinta a lasciare la propria casa e la propria gente. Il Negus le riferì la proposta di matrimonio da parte del Profeta, fu tanta la sua felicità che solo Allah lo sapeva.

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Om Habiba sapeva che se fosse tornata da suo padre e dalla sua tribù, l’avrebbero o forzata a rinunciare all’Islam o torturata. Il Negus pagò la somma di quattrocento denari come dote nuziale e arrivando a Medina, il Profeta la sposò. Quando Abu Sufyan lo venne a sapere fu contento e fiero di questa unione; e la sua ostilità si ridimensionò data la nuova parentela con il Profeta, e i non-credenti Meccani furono anche loro meno ostili nei confronti del profeta. Poi in seguito Abu Sufyan si convertì all’Islam con la volontà di Allah. Con ciò si spiega la strategia dell’unione con la figlia di Abu Sufyan.

Il Sacro Profeta attraverso ciascuno dei suoi matrimoni risolveva un problema o curava qualche ferita. Che la pace e la benedizione di Allah siano su di lui!

Perché nove moglie al Profeta e solo quattro al resto degli uomini

Perché al Profeta Muhammad fu permesso di continuare ad avere nove mogli mentre al resto degli uomini non fu permesso di averne più di quattro, tanto che il Profeta ordinava a chi si convertiva e aveva ad esempio dieci mogli di sceglierne quattro e di ripudiare le altre?

Rispondiamo che l'Altissimo ha privilegiato il Profeta in questa questione per un motivo e per una saggezza conosciuta: le mogli del Messaggero di Allah avevano obblighi e privilegi che non appartenevano alle altre donne. Tra questi obblighi vi era il divieto di un nuovo matrimonio dopo essere state spose del Profeta, così come dice Allah: “ Non dovete mai offendere il Profeta e neppure sposare una delle sue mogli dopo di lui: sarebbe un'ignominia nei confronti di Allah”. Corano

Ad ogni altra donna che venga ripudiata dal marito è lecito risposarsi con qualsiasi Musulmano, perciò Allah l'Altissimo ha onorato le Madri dei Credenti lasciandole in mogli al Suo Profeta, un fatto eccezionale riservato solo a loro e non ad altre.

Né a lui fu permesso di sposarne più delle altre, secondo le Parole dell'Altissimo: “D'ora in poi non ti è più permesso di prendere altre mogli e neppure di cambiare quelle che hai con altre”. Corano

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Le figlie benedette del Sacro Profeta Zaynab,figlia di Muhammad

Zaynab nata dall’unione tra il Sacro Profeta e Khadija si sposò col suo cugino, figlio della sorella di Khadijah, Abu al 'As ibn Arrabi’, che, quando Khadijah e le sue figlie si convertirono, rifiutò l'Islam, e rifiutò anche di separarsi dalla sua sposa, anche se la religione aveva ormai posto tra loro una barriera insuperabile. Nel momento del'Higra Abu al 'As rifiutò di lasciar partire Zaynab, procurando un grande dispiacere al Profeta. Dopo qualche tempo, durante una delle battaglie tra Musulmani e miscredenti, Abu al 'As fu fatto prigioniero. Zaynab si impegnò per ottenere la sua liberazione, riunendo tutto ciò che poté come riscatto, ma la somma non era sufficiente. Aggiunse allora un Gioiello molto prezioso, una collana di perle, di corniole dello Yemen e di rubini le era stata donata dalla madre, che portava lei stessa, il giorno del suo matrimonio. Fu proprio questa collana che Zaynab inviò al Profeta, insieme al denaro per il riscatto di suo marito. Quando il Profeta la vide, la riconobbe subito per averla vista al collo di Khadijah prima e di Zaynab poi. Il ricordo dell'amata moglie si risvegliò in lui, insieme all'affetto per la figlia, e gli vennero le lacrime agli occhi. Liberò il prigioniero, ma, a una condizione che Zaynab lo raggiungesse a Madina abbandonando suo marito a causa della barriera religiosa che ormai li separava.

Due dei Sahabah avrebbero sostato fuori Mecca per riportare Zaynab sana e salva a Madina. Abu al 'As chiese a suo fratello Kinana di a Zaynab fuori Mecca e di consegnarla ai due uomini. Quando Zaynab stavano per uscire dalla città sulla groppa

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del cammello, i Quraysh mandarono un gruppo armato per fermarli. Uno dei Quraysh le tirò un colpo di lancia che la ferì e la fece cadere dal cammello. Lei stava aspettando un bambino che perse a causa di questa caduta. Abu Sufyan gli disse: "Non possiamo permettere che la figlia di Muhammad lasci Mecca alla luce del giorno. Falla tornare indietro e poi falla partire in segreto tra qualche giorno". Kinana accettò. Zaynab fu fatta partire dopo qualche giorno.

Separata per quattro anni da colui che era stato il suo sposo, Zaynab vide quest'uomo nuovamente catturato dai Musulmani. Dal suo appartamento nella casa del Profeta, la donna fece sapere ai guerrieri riuniti che quell'uomo era sotto la sua protezione. Il Profeta non si oppose, ricordando però alla figlia che non poteva considerare il prigioniero, ancora idolatra, come marito legittimo, e dunque doveva trattarlo come un fratello e non come uno sposo. Così l'uomo fu salvato una seconda volta. Poco dopo, si convertì all'Islam e fu riunito alla sua sposa. La coppia ebbe due figli, un maschio che morì giovane e una figlia, Umamah, alla quale il Profeta era molto affezionato e che sposò Ali ibn Abi Taleb,il cugino del Profeta, dopo la morte di Fatimah. Zaynab, che aveva continuato a soffrire a causa della ferita causatale con la lancia durante la sua Hijra, morì infine nel 8° A.H. (629/630). Il Profeta la seppellì personalmente, e in quell'occasione disse: "Era la migliore delle mie figlie, perché ha sofferto molto per causa mia". Nell'entrare nella fossa per deporla appariva molto addolorato, ma quando ne venne fuori sembrava abbastanza sereno. Dietro domanda dei Sahabah disse: "In considerazione della debolezza di Zaynab ho pregato Allah di risparmiarle le torture della tomba e questa preghiera è stata esaudita da Allah". Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

Ruqayyah, figlia di Muhammad

Figlia di Khadija, nacque tre anni dopo Zaynab, quando l'Inviato di Allah aveva 33 anni. Era sposata con Otbah, figlio di Abu Lahab, lo zio del Profeta, così come sua sorella Om Kulthum era sposata con l'altro figlio di Abu Lahab, Otaibah. Il matrimonio non era ancora stato consumato quando fu rivelata il versetto del Corano: Surat "Al Masad" che significa "Le Fibre di Palma", nella quale Allah malediceva Abu Lahab e sua moglie. Il nemico del Messaggero di Allah chiamò i suoi due figli e disse loro: "Se voi due non divorzierete dalle figlie di Muhammad non vi guarderò più in faccia". Entrambi divorziarono. Successivamente, alla conquista di Mecca, Otbah si fece Musulmano.

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Ruqayyah, dopo questo divorzio, fu data in sposa ad Othman ibn Affan, il futuro terzo Califfo, col quale nell'anno 615 si rifugiò in Abissinia. 'Othman e Ruqayyah furono tra i Credenti che si trasferirono a Madina anche prima dell'Emigrazione del Profeta.

Al tempo della Battaglia di Badr, nell'anno 2 dell'Hijra, Ruqayya era malata, e per questo il Profeta ordinò ad Othman di rimanerle accanto, ammettendolo comunque poi, successivamente, alla divisione del bottino, e riconoscendo così come dovere primario di un marito quello di assistere la moglie morente. Ruqayyah, infatti, morì, e fu sepolta proprio mentre la notizia della vittoria giungeva a Madina.

Ruqayya aveva avuto un solo figlio, Abdullah, morto poco prima della madre, quando aveva 6 anni. Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

Om Kulthum,figlia di Muhammad

Ha il Destino simile a quello della sorella Ruqayyah. Anche lei come la sorella sposò un figlio di Abu Lahab dal nome Otaibah - che però non si convertì all’Islam-, il quale divorziò subito da lei spinto dal padre prima della consumazione del matrimonio, a causa della rivelazione della Surah "Al Masad".

Dopo averla ripudiata, Otaibah si recò dal Profeta utilizzando un linguaggio estremamente insolente. Il Messaggero di Allah lo maledì dicendo: "O Allah, scegli qualcuno dei tuoi cani per punirlo". Abu Taleb,zio del Profeta, che pure non aveva abbracciato l'Islam, si allarmò per la maledizione e disse ad Otaibah: "Adesso non hai scampo".

Una volta Otaibah stava accompagnando suo padre in una carovana che si dirigeva in Siria. Abu Lahab, nonostante fosse un miscredente, disse alla gente: "Ho paura della maledizione di Muhammad. Ognuno stia attento a mio figlio". Si accamparono in un luogo abitato da leoni. Tutti ammassarono i loro bagagli e Otaibah fu fatto dormire in cima al mucchio mentre gli altri dormirono tutti intorno. Durante la notte arrivò un leone che cominciò ad annusare tutte le persone che dormivano a terra, poi saltò sul mucchio di bagagli e raggiunse Otaibah. Egli diede un grido, ma il leone gli staccò la testa! Dopo la morte di Ruqayyah, Om Kulthum fu data in sposa ad Othman, nel 3 A.H.

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Il Profeta disse: "Ho dato Om Kulthum in sposa ad Othman per ordine di Allah ". Per questo motivo Othman fu poi chiamato"Zu al Nurayn" (Quello delle due Luci - ossia le due figlie del Profeta). Om Kulthum morì nel 9 A.H, senza aver avuto bambini. Dopo la sua morte il Messaggero di Allah disse: "Se anche avessi cento figlie, le darei tutte in sposa ad Othman (una dopo l'altra), se dovessero morire tutte". Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

Fatimah,

figlia prediletta di Muhammad

fu la quarta figlia del Profeta Muhammad e Khadijah. La sua nascita avvenne nel primo anno dopo l'inizio della Missione Profetica. La nobile Khadijah fu la prima guida, per Fatimah, sulla Via dell'Islam. Un giorno, quando non aveva ancora 10 anni, Fatimah accompagnò suo padre al santuario della Kaaba. Egli cominciò a pregare. Fatimah rimase accanto a lui. Un gruppo di Meccani idolatri si radunò intorno a loro, e cominciarono a minacciarlo. Abu Gahl, il capobanda, disse loro: "Chi di voi prenderà le interiora di qualche animale sgozzato e le getterà contro Muhammad?". Uno di loro eseguì il codardo ordine, buttando le viscere di un cammello sulla testa del nobile Profeta, mentre egli si trovava in prosternazione. Fatimah pulì la testa del suo nobile padre, e rimase coraggiosamente in piedi, davanti al gruppo, che non osò dirle neanche una parola.

In un'altra occasione, Fatimah era col padre mentre egli girava attorno alla Kaaba. Una folla di Coreisciti li circondò, uno di loro cercò di strangolare il Profeta coi suoi stessi vestiti. Fatimah corse a cercare aiuto e incontrò Abu Bakr, che corse subito sulla scena rimproverandoli: "Ucciderete un uomo solo perché dice: Allah è il mio Signore'?". La folla allora se la prese con Abu Bakr e cominciò a malmenarlo, finché il suo viso prese a sanguinare.

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Fatimah, fin dalla più tenera età, fu testimone dell'odio dei pagani nei confronti della Missione profetica di Muhammad, e cercò sempre di difenderlo e di stargli vicina, nonostante fosse solo una bambina. Non era la sola a soffrire. Tutta la famiglia di Muhammad fu perseguitata a causa della Fede.

Quando i Quraysh esiliarono il Profeta e la sua famiglia insieme agli altri Credenti alla periferia di Mecca lasciando ai Credenti riserve limitate di cibo, Fatimah a quel tempo era solo una bambina, e mentre i pianti delle donne e dei bambini della valle, a causa della fame, si sentivano fino al centro di Mecca lei sopportava la fame con il coraggio e la consapevolezza di un'adulta,.

Seguì l' "Anno della Tristezza", nel corso del quale morì lo zio Abu Taleb, e soprattutto morì Khadijah. Fatimah soffrì moltissimo per la perdita della sua nobile madre, ma capì che ora la aspettava un compito importante: diventare il nuovo sostegno della Missione del suo nobile padre. Con devozione, si dedicò ad aiutarlo in ogni sua necessità, tanto da essere soprannominata "Om Abiha", la madre di suo padre. Un giorno, un gruppo di miscredenti, per strada, gettò della polvere sulla testa del Profeta; quando egli rientrò a casa Fatimah lo pulì piangendo. Ma il Messaggero di Allah la consolò: "Non piangere, figlia mia, poiché Allah proteggerà tuo padre". Il Profeta nutriva un amore speciale per Fatimah. Una volta disse: Fatimah è una parte di me. Chiunque le sia gradito mi è gradito, e chiunque provochi la sua collera provoca la mia". Disse anche: "Le migliori donne di questo mondo sono quattro: la Vergine Maryam; Asia, la moglie di Faraone; Khadijah, madre dei Credenti e Fatimah figlia di Muhammad ". Fatimah era conosciuta anche con il soprannome di "Al Zahraà’", che significa "Splendida, Luminosa". Era anche chiamata "al-Batul", che significa “spirituale”. Invece di trascorrere il tempo in compagnia delle altre donne, infatti, Fatimah passava il suo tempo in preghiera o recitando il Corano, o in altri atti religiosi. Fatimah era molto somigliante al suo nobile padre. Aisha disse una volta di lei: "Non ho mai visto nessuna creatura di Allah così somigliante al Messaggero di Allah nelle parole, nella conversazione e nei modi, quanto Fatimah. Quando il Profeta la vedeva arrivare, le dava il benvenuto, si alzava, la baciava, la prendeva per mano e la faceva sedere nel posto dove era stato seduto lui". Lei faceva lo stesso quando il suo nobile padre andava a trovarla.

Fatimah era famosa per la sua generosità: dava tutto il suo cibo ai poveri, anche a costo di rimanere lei stessa affamata. Non amava i lussi mondani e viveva in modo semplice.

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Fatimah emigrò a Madina poche settimane dopo l'Hijra de Profeta e Abu Bakr. Fatimah andò a vivere, a Madina, in una delle semplici capanne che il Profeta aveva fatto costruire accanto alla moschea.

Il suo matrimonio: Nel secondo anno dell'Hijra, alcuni Compagni chiesero al Profeta la mano di Fatimah, ma la giovane rifiutò tutti i pretendenti. Finché, un giorno, Ali ibn Abi Taleb, cugino del Profeta, prese coraggio e si recò dal Profeta per chiedere Fatimah in sposa. In presenza del Profeta, però, Ali rimase in silenzio, per il grande rispetto che provava per lui. Egli allora gli chiese: "Perché sei venuto? Hai bisogno di qualcosa?". Ali continuava a rimanere rispettosamente in silenzio, finché il Profeta gli disse: "Sei forse venuto a proporti come sposo per Fatimah?". Quando Ali rispose di si, il Profeta gli disse:" Benvenuto (in famiglia)", e con queste semplici parole esternò la sua felicità e la sua approvazione. Fatimah, a quei tempi, aveva 19 anni e Ali 21. Il Profeta gli chiese quindi se avesse qualcosa da dare alla giovane come "dote", Ali rispose di no, allora il Messaggero gli ricordò che aveva uno scudo che avrebbe potuto vendere. Ali vendette lo scudo a Othman per 400 dirham, che avrebbero costituito la dote. Quando stava per tornare dal Profeta, Othman lo richiamò e gli disse: "Ti restituisco il tuo scudo, come regalo di nozze". Il Profeta stesso celebrò la cerimonia di nozze. Durante il pranzo furono serviti datteri, fichi e "hais" (un dolce di datteri e burro). Un degli Ansar offrì della carne, ed altri portarono del grano. Tutta la Madina partecipò gioiosa alla festa. Il Profeta diede alla coppia un letto di fibre di palma col cuscino, una pelle di pecora, e alcuni recipienti per il cibo. Il Profeta poi pregò per gli sposi:"O Signore, benedicili, benedici la loro casa e la loro discendenza". Fatimah lasciò la casa paterna per cominciare la vita matrimoniale, e il Messaggero di Allah chiese a Baraka Om Ayman di trasferirsi con lei per aiutarla. Il giorno dopo, il Messaggero si recò a casa degli sposi, e bussò. Quando Baraka aprì la porta, il Profeta le disse: "O Om Ayman, chiama mio fratello". Baraka rispose: "Tuo fratello?!". Ma il Profeta ripeté quanto aveva detto, e quando Ali arrivò, Poi Fatimah, che arrivò inciampando per la timidezza che provava di fronte al suo nobile padre, il Profeta le disse: "Ti ho sposata al più caro fra i membri della mia famiglia". Ali era infatti stato il primo bambino a divenire Musulmano, era conosciuto per il suo coraggio e per le sue virtù, e il Profeta stesso lo descriveva come suo "fratello in questo mondo e nell'Altro". La vita di Fatimah nella casa del marito continuò ad essere semplice e modesta, ancora più che nella casa paterna. Ali lavorava come portatore d'acqua, e Fatimah lo aiutava macinando il grano, al punto che le sue mani erano consumate. Un giorno,

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Fatimah andò dal padre per chiedergli se potesse dar loro una delle prigioniere di guerra come schiava, per aiutarla. Ma giunta in presenza del Profeta non ebbe più la forza di avanzare la richiesta. Solo dopo molte insistenze da parte del Profeta, Fatimah timidamente si decise di parlargli del suo desiderio. Ma il suo nobile padre le rispose: "Non posso dare a voi una schiava, e lasciare affamati 'Quelli della Panca':(Musulmani che si erano consacrati al servizio del Profeta e che vivevano all'entrata della moschea, in condizioni di estrema povertà) Non ho abbastanza ricchezze per accontentarti". I suoi figli : Nel 3 A.H., Fatimah diede alla luce un bambino, che venne chiamato al Hasan; il Profeta stesso gli diede questo nome. Un anno dopo, a Fatimah nacque un altro bambino, che venne chiamato Al Husayn. Il Profeta amava moltissimo i suoi nipotini, e li portava sempre con sé, anche in moschea. Nel 4° A.H nacque un altro dei figli di Fatimah, Muhassan, il quale, però, morì bambino. Nell' 8 A.H. nacque una bambina, alla quale Fatimah mise il nome di Zaynab, in ricordo della sorella, morta pochi mesi prima. Alla seconda figlia femmina Fatimah mise il nome di Om Kulthum, in ricordo dell'altra sorella morta. Solo attraverso Fatimah la discendenza del Profeta venne perpetuata. Nonostante i suoi numerosi impegni di madre, Fatimah partecipò attivamente alla vita del suo tempo, aiutando dapprima i poveri, e provvedendo a dar loro da mangiare, pur privandosene ella stessa. In seguito, partecipò alle battaglie più famose, curando i feriti e preparando il cibo per i combattenti. Fatimah accompagnò il suo nobile padre nella Omra, nel 6 A.H., quando venne stipulato il 'trattato di Hudaybiyyah'. L'anno seguente, con la sorella Om Kulthum, accompagnò di nuovo il Profeta, e poté assistere alla liberazione di Mecca dagli idolatri. Poco prima del suo 'Pellegrinaggio d'Addio', durante il mese di Ramadan del 10° A.H, il Profeta confidò alla figlia, in segreto: "Gabriele era solito recitarmi tutto il Corano, ogni anno, in questo mese. Ma quest'anno me l'ha recitato due volte. Credo che il mio tempo stia per giungere". Al ritorno dal Pellegrinaggio, il Profeta si ammalò. Fatimah andò a trovarlo. Lui le disse all'orecchio qualcosa che la fece piangere. Poi le disse qualcosa, e questa volta la figlia sorrise. Aisha gliene chiese il motivo, ma Fatimah le rispose che non avrebbe potuto rivelare i segreti del Messaggero. Fu solo dopo la sua morte che, ad una nuova domanda di Aisha, Fatimah spiegò: "La prima volta mi disse che avrebbe incontrato presto il suo Signore, ed io piansi. Ma poi mi disse di non piangere, perché io sarò la prima persona della famiglia a raggiungerlo, ed è questo che mi ha fatto sorridere".

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La sua morte: Dopo la morte del Messaggero di Allah, Fatimah non fu mai più vista sorridere. Una mattina, durante il mese di Ramadan, appena 5 mesi dopo la morte del suo nobile padre, Fatimah si svegliò stranamente felice. Nel pomeriggio, chiese dell'acqua, con la quale si fece la doccia. Poi mise un vestito nuovo e si profumò. Fece chiamare Ali e gli disse sorridendo: "Oggi ho un appuntamento col Messaggero di Allah". Ali si mise a piangere e la moglie lo consolò. Gli raccomandò di proteggere i loro figli, Hassan e Husayn, e gli disse che avrebbe voluto essere seppellita senza cerimonie lussuose. Fatimah Al Zahraà, la Splendida, poco dopo chiuse gli occhi e rese l'anima all'Altissimo. Aveva appena 29 anni. Che Allah l'Altissimo sia soddisfatto di lei!

Le caratteristiche del Sacro Profeta

Il suo aspetto fisico: Muhammad era un uomo di media statura, eppure quando si trovava in compagnia appariva sempre il più alto di tutti; era di una costituzione robusta dalle larghe spalle e forti. I suoi capelli erano neri ondulati e li portava di lunghezza media. Anche la barba era nera e fitta e i suoi baffi non scendevano mai al di sotto del labbro superiore. Gli occhi erano neri, ed erano circondati da affascinanti lunghissime ciglia nere e decise sopracciglia curvate. I suoi denti erano bianchi e splendenti. La sua pelle era chiara, con un’abbronzatura tipica di chi passa molto tempo all’aria aperta. Ma ciò che caratterizzava di più la sua bellezza era una luce intensa che splendeva sul suo viso.

Aveva una bella voce che si sentiva e si capiva bene. Parlava lentamente e le cose importanti le ripeteva anche tre volte. Quando parlava con qualcuno lo guardava dritto negli occhi, gli stava vicino tanto che riusciva e mettergli la mano destra sulla spalla e non era mai il primo a girare le spalle agli amici quando si allontanava.

Il suo modo di vestire : Il suo modo di vestire era semplice; indossava una camicia e un telo che teneva intorno alla vita che gli arrivava fino alle ginocchia oppure una camicia lunga e un paio di pantaloni. Di seguito presentiamo alcune informazioni trasmesse dal circolo interno del Profeta in riferimento al suo modo di vestire:

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Omar disse: "Vidi il Messaggero di Allah chiedere di avere un nuovo indumento. Lo indossò e, coperte le ginocchia, disse: 'Lode ad Allah, il Quale mi ha dato vestiti con cui coprirmi e abbellire il mio aspetto in questa vita ". "Il Santo Profeta preferiva la kurta (una camicia lunga) più di tutto." "Non ho mai visto nessuno con i capelli lunghi e abiti rossi più bello del Profeta. I suoi capelli gli giungevano alle spalle." Il Profeta disse: “Vestite abiti bianchi: è l’abbigliamento migliore.”

Il suo profumo: Il Profeta attribuiva un’enorme importanza alla pulizia. Il suo profumo era sempre fresco, pulito e piacevole, e lo stesso raccomandava ai Musulmani. Diversi resoconti dei Compagni forniscono ulteriori dettagli a riguardo: “Ogniqualvolta il Santo Profeta marciava lungo un cammino, quanti passavano dopo di lui potevano riconoscere che egli era passato di lì per la fragranza del profumo promanante dal suo corpo." "Non ho mai provato una stoffa di seta, né pura seta, né qualsiasi altra cosa tanto morbida quanto il palmo della mano del Profeta. Né mai ho sentito alcun muschio o qualsiasi altra fragranza, più dolce del suo profumo . "Il suo corpo era pulito e il suo profumo meraviglioso. Che si usasse o no un profumo, la sua pelle profumava sempre di una fragranza piacevole. Se qualcuno gli stringeva la mano o conversava con lui, o mostrava la sua amicizia o il suo affetto, emanava il suo stesso profumo nel corso dell’intera giornata, e se posava la sua santa mano sulla testa di un bambino, questo si distingueva dagli altri per tale fragranza."

L’igiene personale, e la cura dell’aspetto esteriore: Il Profeta rappresentò un esempio per tutti i credenti per l’importanza che attribuì al suo aspetto e all’igiene personale, in modo particolare la cura della barba e dei capelli. È stato trasmesso che egli portava sempre con sé un pettine, uno specchio, un miswak (uno spazzolino da denti naturale), stuzzicadenti, forbici e una bottiglia di Kohl (una polvere nera per gli occhi). Il Profeta consigliò ai suoi compagni di fare lo stesso, e disse: "Colui che ha i capelli dovrebbe onorarli." I compagni del Profeta hanno riferito molti dettagli riguardo al modo di vestire del Profeta. Oltre a ciò, i consigli che il Profeta rivolse ai credenti sul modo di vestire appropriato rivelano l'importanza che egli dava a tale argomento. Egli considerava la cura nel vestire e nell’aspetto una dimostrazione della benedizione di Allah: "Allah ama vedere l’esito della benedizione che dona alle Sue creature." Una volta, il Profeta, intendendo recarsi dai suoi Compagni, si avvolse il turbante e si acconciò i capelli. Disse: 'Si, Allah ama le azioni di quei Suoi servi che curano il corpo per incontrare i loro amici e fratelli'."

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Ogni volta che una delegazione si recava ad incontrare il Messaggero di Allah, egli indossava i suoi abiti migliori e ordinava ai suoi Compagni di fare lo stesso. Secondo un Hadith, il Profeta, mentre erano in viaggio per incontrare alcuni fratelli nella fede, disse ai suoi Compagni: "Vi state recando a visitare i vostri fratelli, riparate quindi le vostre selle e assicuratevi che i vostri vestiti siano in ordine, affinché possiate spiccare tra la gente come ornamenti, poiché Allah non ama la bruttezza."

Il Profeta rimproverava immediatamente chi tra i suoi Compagni fosse trascurato o non si curasse il suo aspetto. Un giorno il Messaggero di Allah era nella moschea quando entrò un uomo con i capelli disordinati e la barba trasandata. Il Profeta gli fece un cenno come per dirgli di aggiustarsi i capelli e la barba. L’uomo lasciò la moschea per eseguire l’ordine, poi fece ritorno. Il Profeta disse: 'Non è meglio questo del fatto che qualcuno di voi si presenti con i capelli spettinati?' Egli disse: "Mangiate ciò che volete e indossate ciò che volete purché sia privo di due cose: stravaganza e vanità."

Il suo carattere: L’amore per la vita e per la bellezza, lo rendeva gioviale e affabile nei rapporti con gli altri. Fu un viaggiatore, un commerciante e un grande lavoratore. Aveva un carattere forte, leale e molto stabile anche nei momenti più difficili. Conducendo generalmente una vita riservata, aveva per amici soltanto coloro che la cui grandezza morale era ammessa da tutti come Abu Bakr l’amico più intimo della giovinezza. Il carattere onesto e la condotta onorata della sua gioventù gli fecero guadagnare l’approvazione dei suoi concittadini. Anche se viveva in una città dove bere alcolici era molto comune, lui non bevve mai una goccia di vino. La società di Mecca trovava piacevole il gioco d’azzardo, ma Mohammad non prese mai parte a quel passatempo. Viveva in mezzo a gente che amava la guerra quanto il vino, ma non aveva tendenza per nessuno dei due. La sua gioventù fu segnata da quella rara caratteristica, la più rara in Arabia, a quel tempo: l’amore per i poveri, gli orfani, le vedove, i deboli, gli indifesi e gli schiavi. Prima di avere dei mezzi, fu uno dei membri della società che giurarono di difendere gli oppressi e formarono una lega dedicata alla difesa di chi aveva subito dei danni.

La sua misericordia: Il Messaggero di Allah era l'uomo più dolce, pur superando gli altri per il coraggio e il valore. Era talmente buono che le lacrime apparivano sul suo viso alla vista della minima manifestazione di crudeltà. Per gli animali: Si riferì che un giorno un uomo afferrò una capra, la distese su un fianco, poi si mise ad affilare il coltello. Vedendo questa scena, il Profeta gli chiese: "Cerchi di ucciderla due volte? Perché non affili il coltello prima di stendere la tua capra sul fianco?"

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Il Profeta proibì ai suoi compagni di affamare o assetare le bestie da soma, o anche di caricarle eccessivamente. Raccomandò di essere buoni con gli animali e di cercare di alleggerirli di una parte del carico, considerando ciò come atto meritorio in grado di avvicinare l'uomo ad Allah. Si riferì che il Profeta disse: "Un viaggiatore assetato trovò un pozzo sul suo cammino. Vi discese per dissetarsi e, una volta uscitone, vide un cane che stava leccando il fango da quanto era assetato. L'uomo pensò che il cane dovesse avere tanta sete quanto lo era lui; ridiscese allora nel pozzo, riempì la sua scarpa di cuoio d'acqua e risalì tenendo la scarpa tra i denti. Così, dissetò il cane. Allah si rallegrò di questo gesto di bontà e assolse l'uomo dai suoi peccati". I compagni del Profeta si informarono: "Oh Messaggero di Allah! Vi è anche una ricompensa riguardante le bestie e gli animali selvaggi?". Il Profeta rispose: "Vi è una ricompensa riguardante ogni creatura con un cuore vivente". Si riferì che il Profeta disse: "Una donna fu condannata all'Inferno a causa di una gatta che rinchiuse senza darle da mangiare, né lasciarle la libertà di cacciare qualche roditore per nutrirsene" Un giorno il Profeta entrò nel recinto di un giovane uomo; vi trovò un cammello che si mise a piangere alla vista del Profeta, con le lacrime che gli colavano dagli occhi. Il Profeta si avvicinò e gli diede qualche pacca sulla gobba, e ciò confortò la bestia. Poi il Profeta chiese chi fosse il suo proprietario, il giovane si presentò e disse: "Oh Messaggero di Allah, questo cammello è mio". Il Messaggero di Allah gli disse allora: "Non temi Allah riguardo a questo cammello, dopo che Egli te l'ha donato in possesso? Si è lamentato con me perché tu lo sovraccarichi e lo fai lavorare senza sosta”. Il Profeta disse: "Durante i vostri viaggi, quando attraversate delle terre fertili, permettete ai cammelli di prelevare ciò a cui hanno diritto nella vegetazione, e quando attraversate terre nude e aride, sbrigatevi ad uscirne. E quando vi accampate la notte, allontanatevi dalle strade, perché sono il luogo di passaggio delle bestie feroci e il luogo di destinazione delle vipere". Uno dei compagni del Profeta raccontò : "Durante un viaggio in compagnia del Messaggero di Allah , In quel accampamento vedemmo un formicaio, che bruciammo. Quando il Profeta seppe che l'avevamo bruciato, disse: "Solo il Signore del Fuoco ha il diritto di castigare col fuoco". Per i poveri : Il Profeta prescriveva insistentemente la gentilezza e la generosità nel trattamento degli schiavi, dei servi e della manodopera. Egli disse: "Le persone che Allah ha riposto nelle vostre mani sono vostri fratelli, vostri servitori e vostri assistenti. Chiunque abbia suo fratello al suo servizio deve nutrirlo di ciò di cui si

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nutre, vestirlo di ciò di cui si veste, non assegnargli mai un compito superiore alle sue capacità e – se questo fosse inevitabile – allora che lo aiuti a compierlo". Il Profeta disse anche: "Pagate il salario di un operaio prima che il suo sudore si asciughi”.

La sua moralità : Un giorno una donna nobile di buona reputazione proveniente da una delle famiglie più influente di Quraysh fu trovata colpevole di furto. Per il prestigio del suo clan, qualche persona eminente tra di loro intervenne per salvarla dalla punizione. Il Profeta rifiutò di esonerare il crimine ed espresse il suo fastidio (per questi interventi), dicendo "Molto si è rovinata una Comunità nel passato punendo soltanto i poveri ed ignorando le colpe di coloro che avevano una posizione (sociale) elevata. Per Allah, se mia figlia Fatima avesse commesso lei il furto, anche la sua mano sarebbe stata tagliata."

La sua giornata tipo: Il Profeta aveva suddiviso con attenzione il suo tempo secondo le esigenze, per offrire il culto ad Allah e per gestire le sue questioni personali. Dopo la preghiera dell’alba rimaneva seduto in Moschea recitando il Corano fino al sorgere del sole. Terminato il sermone si intratteneva cordialmente con la gente, domandava circa il loro stato e scherzava perfino con loro. Le tasse ed i redditi erano inoltre distribuiti in quel momento. Poi tornava a casa impegnandosi nel lavoro della famiglia. Ritornava alla moschea per le preghiere del mezzogiorno e del pomeriggio, ascoltava i problemi della gente e forniva loro consigli e soluzioni.

Dopo la preghiera del pomeriggio, visitava ciascuna delle sue mogli e, dopo la preghiera della sera le sue mogli si radunavano ed egli consumava la cena. Dopo la preghiera della notte, recitava alcune sure del Corano e prima di addormentarsi diceva: "O Allah, muoio e vivo con il nome Tuo sulle mie labbra”. Alzandosi diceva, "Ogni Lode ad Allah che mi ha dato la vita dopo la morte e verso il Quale è il ritorno". Egli usava pulire i suoi denti cinque volte al giorno, prima di ciascuna delle preghiere quotidiane. Dopo la mezzanotte, usava alzarsi per la preghiera nel cuore della notte che non ha mai mancato neppure una volta nella sua vita.

I suoi cibi preferiti: Amava soprattutto la carne, e gradiva molto il latte, i dolci e il miele. Apprezzava la zucca, la menta e le verdure in generale. Quanto alla frutta , preferiva il cocomero, l’uva e i datteri. Si nutriva quotidianamente di latte e datteri.

Non amava mangiare cibi troppo caldi. La carne era il suo cibo favorito, soprattutto la carne della spalla. la zucca era la sua verdura preferita. Non mangiava aglio, cipolla, porro per via dell’alito cattivo. E non disprezzò mai un cibo, mangiava ciò che gli piaceva e lasciava ciò che non gli piaceva. Nella sua casa non domandava di

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cibo, se glielo davano, mangiava. Accettava qualunque cosa gli dessero da mangiare o da bere. Talvolta si alzava e si serviva da solo.

Usava ripulire il piatto con le dita dicendo: «Quello che resta per ultimo del cibo è quello che ha più benedizione». Quando finiva diceva: «Lode a Dio! Dio mio, a Te spetta la lode. Tu hai nutrito e saziato, abbeverato ed estinto la sete; lode a Te che non puoi essere negato né messo da parte e sei indispensabile».

Vi sono alcuni cibi di cui il Profeta parlò: "Che buon condimento è l’aceto!" E disse "Le malattie sono curate per mezzo di tre cose: (una di esse) è una bevanda a base di miele." E disse :"Utilizzate l’olio di oliva come cibo e unguento poiché proviene da un albero benedetto." Ciò è quanto il Profeta disse riguardo al latte: "Quando si mangia del cibo, si dovrebbe dire: 'Oh Allah, concedici la Tua benedizione in esso, e provvedici cibo (o nutrimento) migliore di questo.' Quando viene servito del latte si dovrebbe dire: 'Oh Allah! Concedici in esso la Tua benedizione e più, poiché nessun cibo o bevanda soddisfa come il latte'."

Detti del Profeta   

Temi Dio, ovunque tu sia ! Fai seguire ad una cattiva azione una buona azione, poiché questa cancellerà l’altra. Agisci con nobiltà di carattere verso il prossimo !

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�������� Colui che crede in Dio e nell’Ultimo Giorno, che pronunci buone parole, oppure taccia ! Colui che crede in Dio e nell’Ultimo Giorno, che onori il suo vicino. Colui che crede in Dio e nell’Ultimo Giorno, che rispetti il suo amico.

�������� Dio vi ha raccomandato un’attenzione tutta particolare nei confronti delle vostre madri. Ancora una volta vi dico: prendetevi cura delle vostre madri, poi dei vostri padri e dei vostri prossimi, secondo il grado di parentela. �������� Tra tutte le elemosine che distribuisci sulla Via, per la

liberazione di uno schiavo, per i poveri e per la tua famiglia, è ciò che avrai dispensato alla tua famiglia che ti sarà più utile.

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Dio ha diviso la misericordia in cento parti. Ne ha conservate presso di Lui 99, e ne ha fatto discendere una sulla terra. E’ grazie a questa parte che le creature si fanno misericordia l’una con l’altra, e che l’asina scosta il suo zoccolo lontano dal suo piccolo per paura di colpirlo.

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Colui la cui fede è completa è il credente che ha il comportamento più eccellente. Il migliore tra di voi è colui che si comporta bene con la sua moglie.

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Nessuno tra di voi è veramente credente finché non desidera per il suo fratello ciò che desidera per se stesso.

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Non invidiatevi gli uni con gli altri, non entrate in competizione tra di voi, non nutrite dell’odio tra di voi e non litigate ! O Servi di Dio ! Siate fratelli ! Non è permesso al Musulmano di serbare rancore a suo fratello per più di tre giorni.

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Chi non ha pietà del prossimo, Iddio non avrà pietà di lui. ��������

I credenti sono l’uno rispetto agli altri come i mattoni di un edificio: essi si appoggiano e si sostengono a vicenda.

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Non è dei nostri colui che non mostra affetto verso i bambini, colui che non rispetta gli anziani, colui che non raccomanda le buone azioni e non impedisce quelle malvagie.

�������� Colui che solleva un credente da una pena in questo mondo,

Dio lo solleverà di una delle pene nel Giorno della Resurrezione. Colui che viene in aiuto a qualcuno in difficoltà, Iddio gli accorderà la facilità in questo mondo e nell’Altro. Colui che copre una debolezza di un Musulmano, Iddio lo coprirà in questo mondo e nell’Altro. Dio viene in aiuto al servitore ogni volta che questo viene in aiuto al suo fratello.

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Colui che si ingaggia su una via alla ricerca della Conoscenza, Dio gli faciliterà una via verso il Paradiso.

�������� L’uomo, per ciascuna delle sue articolazioni, deve versare l’elemosina ogni giorno in cui il sole si leva. Praticare l’equità (giudicar con giustizia) tra due persone è

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un’elemosina. Aiutare un uomo a montare la sua cavalcatura o a sollevare i suoi bagagli è un’elemosina. Dire una buona parole è un’elemosina, ed ogni passo fatto verso un luogo di preghiera è un’elemosina. Infine, togliere un ostacolo dal cammino è un’elemosina.

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Iddio accorda la Sua misericordia a coloro che fanno prova di pietà verso gli altri. Abbiate dunque pietà verso coloro che si trovano sulla terra, affinché vi sia fatta misericordia nei cieli.

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L’angelo Gabriele mi ha raccomandato di onorare i diritti dei vicini a tal punto che

ho creduto sarebbero giunti a ricevere la loro parte dell’eredità trasmessa in seno ad una stessa famiglia.

�������� Facilitate le cose, non rendetele difficili ! Rallegrate gli altri,

non fategli paura !

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Se un Musulmano semina un albero fruttuoso, o una qualunque semente della quale si nutrono gli uomini, gli uccelli e gli altri animali, questo gesto è contato in Cielo in

suo favore come un’elemosina.

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Salvati dall’inferno, anche con la metà di un dattero. Se non vi riesce questo, proteggiti per mezzo di una buona parola.

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Sii attento verso Dio; Lo troverai davanti a te. Ricordati di Dio nell’agio: Egli si ricorderà di te nell’avversità. Sappi che ciò che ti è mancato non ti era destinato e che ciò che ti spetta non ti sarebbe potuto mancare. Sappi che la vittoria accompagna la

pazienza, che il sollievo arriva dopo l’afflizione, e la facilità dopo la difficoltà.

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Un uomo forte non è colui che sa combattere. Un uomo forte è colui che sa

controllarsi quando è in preda all’ira.

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Dio dice : « Colui che fa mostra di ostilità verso uno dei Miei santi, Io gli dichiaro guerra. Niente avvicina a Me il Mio servo più degli obblighi che Io gli ho imposto; ed egli non cessa di avvicinarsi a Me con gli atti supererogatori, finché Io lo amo. E quando Io lo amo, Io sono il suo udito, la sua vista, la sua mano ed il suo piede, con i quali egli intende, vede, afferra e cammina. Se egli Mi chiede, sicuramente Io lo esaudirò ; se egli cerca rifugio presso di Me, sicuramente Io glielo accorderò. »

�������� Se non aveste commesso dei peccati Dio vi avrebbe spazzati via dal creato,

sostituendo a voi altre persone che hanno commesso dei peccati, hanno chiesto poi, perdono a Dio e Lui ha concesso loro il perdono.

La vita dei Sahaba (compagni del Profeta)

Secondo la più diffusa definizione un compagno del Profeta (Sahabi) è colui che ha visto il Profeta e ha creduto in lui. L'Inviato di Allah disse :" Temete Allah nei miei Compagni, non prendeteli a bersaglio dopo di me. Chi li ama è me chi ama, chi li detesta è me che detesta. Chi gli fa del male è a me che ne fa, e chi fa del male a me è ad Allah che ne vuol fare, e chi vuole male ad Allah, Egli non tarderà a colpirlo" .

1-Abu Hurayra

Il trasmettitore di Hadith più amato

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Introduzione 3 Il Profeta Giobbe 52 I Profeti 5 Il Profeta Giona 55 Caratteristiche dei Profeti 7 La zucca, cibo e medicina 57 L’inizio 9 Il Profeta Jetro 58 Il Profeta Adamo 10 Il Profeta Giuseppe 60 Caino ed Abele 14 Il Profeta Mosè 71

Il monte di Arafat 15 Karoun e il suo tesoro 80

Il Profeta Enoch 16 Asia, moglie del Faraone 83

Il Profeta Noè 17 Al Samerei e il vitello d’oro 88

Il Profeta Hood 20 La vacca degli Israeliti 90

Il Profeta Saleh 23 Al Khedr ( l’uomo sapiente) 91

il Profeta Abramo 26 Il Profeta Davide 99

La nascita del Profeta Ismail 31 La stella di Davide 102

Il pozzo di Zamzam 33 La Menorah 102

Il grande sacrificio 34 Il Profeta Salomone 103

La nascita del Profeta Isacco 36 L’upupa e la regina di Saba 106

La costruzione del Kaaba 37 Gli angeli Harut e Marut 111

Risuscitare i morti 38 Il tempio di Salomone 112

La morte di Abramo 38 Il Muro del Pianto 114

Le caratteristiche di Abramo 38 Il Profeta Esdra 117

Il pellegrinaggio 39 La famiglia di Imran 120

La moschea del Aqsa 46 La nascita di Giovanni Battista 123

Il Profeta Loot 48 La nascita di Gesù 125

L’omosessualità nell’Islam 50 La vita di Gesù 130

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Caratteri personali di Gesù 138 Il matrimonio con Khadija 205

Gesù politico 140 La rivelazione 208

Maria Maddalena 143 Il miracolo della luna divisa 211

La tavola imbandita 143 Il Viaggio Miracoloso 217

Gesù nel Corano 145 L’emigrazione a Madina 220

La storia del Cristianesimo 148 La morte del Sacro Profeta 244

Paolo di Tarso 150 Vita matrimoniale del Profeta 246

Il nome “cristiani” 156 Vita del Profeta al Madina 247

L’imperatore Costantino 158 Muhammad, il più grande 249

Il Concilio di Nicea 160 Le mogli del Sacro Profeta 251

La croce e la Terra Santa 163 Motivi dei suoi numerosi matrimoni 269

L’Eucarestia 165 Le figlie del Sacro Profeta 274

Il Peccato Originale 166 Caratteristiche del Sacro Profeta 281

Il primo monachesimo 171 Detti del Sacro Profeta 286

Invenzioni della Chiesa 176 La vita dei Sahaba 292

Il ritorno di Gesù sulla terra 179 Le storie del Corano 307

Gli Ebrei nel Corano 182 Le storie profetiche 321

Martin Lutero 185 Islameyyat Il Sacro Corano

327

Il Sionismo Ebraico 189 I dieci comandamenti nel Corano 331 Il Sionismo Cristiano 190 La Sacra Kaaba 333 La Bibbia annuncia l’arrivo di Muhammad 192 La divisione del mondo islamico 335

L’assomiglianza tra Muhammad e Mosè 193 L’espansione islamica 336

Il Sacro Profeta Muhammad 195 I cinque pilastri dell’Islam 340

L’anno dell’Elefante 200 I miracoli scientifici nel Corano 363

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La nascita di Muhammad 201 La poligamia nell’Islam 372

La donna nell’Islam 374 Sessualità e spiritualità 429 La donna musulmana agli occhi del mondo europeo 376 L’Islam è una religione di pace 430

L’abito islamico 377 Figlio mio! Sei diventato adulto 433 La macellazione e la carne nell’Islam 379 Il cimitero dei Sahaba 436

Le bevande alcoliche 381 Gli orfani nell’Islam 437 Il disobbedire al padre e la madre 383 Tua moglie è il tuo mondo 438 Il mondo dei Gin e gli Shayatin 386 Il galateo arabo a tavola 439 Le armi del Musulmano contro il Diavolo e la magia 391 L'inganno dell'evoluzione

umana 440

InshaAllah, una filosofia 395 Pericoli e disastri naturali 441 Il cammello 396 Islam e ambiente 442 L’arte nell’Islam L’usura 399 La morte 400 L’anima 403 Il viaggio della salma 404 La sepoltura 407 I segni dell’Apocalisse 409 L’ Apocalisse e i suoi spaventi 412 La Resurrezione 413 Il Giorno dell’Adunata 414 Il Giudizio 416 La Bilancia 418 Il Ponte 419 Il Paradiso 420 L’Inferno 425 Il Pentimento 428