Mi aiuti a diventare grande?

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L'obiettivo della pubblicazione è quello di aiutare genitori e nonni ad assumere atteggiamenti positivi che sviluppino la creatvità dei bambini al fine di trovare strategie personali per la risoluzione dei problemi.

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a cura di

Fabrizio Bosimini, Samantha Bonucci, Letizia Bargelli

Mi aiuti a diventare grande?

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Cesvol

Centro Servizi Volontariato

della Provincia di Perugia

Via Sandro Penna 104/106

Sant’Andrea delle Fratte

06132 Perugia

tel.075/5271976

fax.075/5287998

www.pgcesvol.net

[email protected]

Testi: AA.VV.

Responsabile Editoriale: Sauro Bargelli

Disegni: Francesca Galuppo

Stampa: Grafiche Sabbioni (Trestina)

Edizione Gennaio 2010

Progetto grafico e videoimpaginazione: Chiara Gagliano

© 2010

ISBN 88-96649-06-0

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“La mente è come il paracadutefunziona solo se si apre”

Albert Einstein

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Indice

Ringraziamenti 7Introduzione Sauro Bargelli - Tutor progetto 8Introduzione Luigi Lanna - Presidente Cesvol Perugia 10Intervento Wladimiro Boccali - Sindaco di Perugia 13Intervento Maria Prodi - Assessore alla istruzione della Regione Umbria 14Pagina Ada Umbria 16Associazione EOS 18

CAPITOLO ICHI È IL TUO BAMBINO? I DIVERSI MODI DI VEDERLO, PENSARLO, COMPRENDERLO 191.1 La relazione fondamentale...coppia o triangolo? 211.2 I compiti di un “buon genitore” e le sue funzioni 22

1.2.1 Funzione protettiva 231.2.2 Funzione affettiva 241.2.3 Funzione regolativa 241.2.4.Funzione significante 25

CAPITOLO IIRELAZIONI SIGNIFICATIVE E IMMAGINE DI SÈ: IO E IL MIO BAMBINO VICINI PER CRE-SCERE 272.1 Come avviene questo? 29

CAPITOLO IIIMAMMA CHE PAURA! COME NASCONO, COSA SONO E A COSA SERVONO LE PAURE DEI

BAMBINI 313.1 Nascita ed evoluzione delle paure 343.2 Quali paure a quali età? 343.3 Come elaborare le paure? 36

CAPITOLO IVCREATIVITÀ ED ESPLORAZIONE.LA FIDUCIA DI OSARE SU UNA BASE SICURA. 39 4.1 Creatività ed affetti 42 4.2 Il ruolo del gioco nello sviluppo della creatività 43

CAPITOLO VC’ERA UNA VOLTA IN UN PAESE LONTANO...LONTANO... 455.1. La vita non è tutto rose e fiori... 475.2 Quando ormai tutto sembrava perduto... 48

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Indice

5.3 Me la ri-racconti? 48

CAPITOLO VIIL GIOCO È UNA COSA SERIA 496.1 Tanti tipi di gioco...da cosa dipendono? 516.2 I primi due anni di vita... 526.3 Dai 2 ai 7 anni... “Facciamo finta che questa

matita era una bacchetta magica?” 536.4 E questo è solo l’inizio! 546.5 Dai 7 agli 11 anni...Uno, due, tre...Stella! 556.6 Un’ultima considerazione... 55

CAPITOLO VIIIL DISEGNO 577.1 Sviluppo del bambino e...del disegno! 59

CAPITOLO VIIICHI ERO E CHI SARÒ: L’ADOLESCENTE 618.1 Lo sviluppo psicologico 638.2 Adolescenza vera e propria 658.3 Dinamiche psicologiche 67

8.3.1 I conflitti 678.3.2 Ascoltare 688.3.3 Dare fiducia 69 8.3.4 Responsabilizzare 698.3.5 Non pretendere troppo 698.3.6 Dare il buon esempio 70

CAPITOLO IXIL BULLISMO 719.1 Scherzo, litigio, bullismo o reato? 73

9.1.1 Il contesto 74 9.1.2 Aggressività 759.1.3 Il disimpegno morale 759.1.4 Il Cyberbullying 77

Profili autori 81

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Ringraziamenti

“Nonni per la città e per la famiglia”

Con la pubblicazione di questo libro si conclude il progetto “Nonni per la città e per lafamiglia” realizzato nell’ambito del “Bando per la progettualità sociale 2007”. Sono stati134 i nonni, genitori ed educatori che hanno partecipato ai corsi di pedagogia tenuti dagliesperti dell’Associazione EOS.Il libro sarà diffuso in incontri pubblici organizzati nelle scuole, centri anziani e parrocchietra nonni, genitori, educatori, istruttori sportivi e adulti in genere allo scopo di stimolarela sensibilità e l’impegno di ognuno verso un tema che riveste un’importanza notevole perla società intera.ADA Umbria ringrazia calorosamente il Sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, ilPresidente Cesvol di Perugia Luigi Lanna, l’Assessore alla istruzione della Regione UmbriaMaria Prodi e tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione del progetto e in parti-colare:Andrea Cernicchi, Assessore alla cultura, Politiche Giovanili e Sociali Comune di Perugia,Tiziana Capaldini, Assessore alla “coesione sociale” Comune di Perugia,Ornella Bellini, Assessore allo sport Comune di Perugia,Valeria Cardinali, Presidente VI° Circoscrizione,Floretta Serranti e Carla Trampini, Dirigenti assessorato alla “Coesione sociale” delComune di Perugia,Claudia Mazzeschi, Docente Facoltà di Scienze della Formazione Università di Perugia,Chiara Pazzagli, Ricercatrice Facoltà di Scienze della Formazione Università di Perugia,Paola Avorio, Preside Scuola Media Ponte Felcino,Franca Rossi, Dirigente Scuola Elementare 8° Circolo di Perugia,Gianni Codovini, Giudice Onorario Tribunale per i minorenni dell’Umbria,Salvatore Fabrizio, Direttore Cesvol di Perugia,Chiara Piccione, Paolo Laurenzi e tutti i collaboratori Cesvol di Perugia,Roberto Tortoioli, segretario Uilpensionati di Perugia e dell’Umbria,Le coordinatrici ed educatrici dei nidi e scuole dell’infanzia: “Il Tiglio”e “Il Melograno” diPerugia, “L’Albero di tutti” di Castel del Piano, “Cinque granelli” di S. Sisto, “Filastrocca”di Pian della Genna, “Giostra” di Ponte Felcino, “Orsacchiotto” di Ponte Pattoli“Arcobaleno” di Ponte S. Giovanni,I centri anziani di Casaglia, Castel del Piano, Madonna Alta, Montegrillo e P. Felcino,L’Università della III° età di Castel del Piano,Sauro Bargelli responsabile del progetto e i volontari ADA del comitato organizzativo:Silvia Pignatta, Leonardo Barbalinardo, Gianfranco Chiaraluce, Adelio Regnicoli, AntonioScarponi, Giuseppe Terradura.Infine un plauso agli esperti di EOS: Letizia Bargelli, Samantha Bonucci e FabrizioBosimini per la professionalità e l’impegno profuso come docenti ai corsi e come autoridi questo volume.

Fausto MariottiPresidente ADA Umbria

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Introduzione Sauro Bargelli

“Per educare un bambino occorre un intero villaggio”

Così recita un antico proverbio africano significando che tutti gli adulti che il bambino incontrasvolgono, consapevoli o no, un ruolo educativo nei suoi confronti.

Educare, dal latino “ex-ducere” significa tirare fuori, aiutare il bambino e l’adolescente a svilup-pare le sue potenzialità.

Le esperienze e i rapporti che bambini e adolescenti vivono incidono profondamente sulla costru-zione della loro identità.

Percorsi positivi, ricchi di stimoli e sostegni favoriranno una crescita serena ed equilibrata metten-doli nelle migliori condizioni per affrontare e superare le difficoltà della vita e diventano il presup-posto fondamentale per la prevenzione del disagio giovanile.

Educare è un compito difficile che ricade in primis sui genitori ma che coinvolge fortemente anchei nonni che in molti casi sono a contatto con i loro nipoti per un tempo anche superiore a quellodei genitori.

Un ruolo importante viene svolto, ovviamente, dagli insegnanti ma anche da istruttori sportivi,animatori, catechisti, parenti, amici ecc...

Fondamentale è la capacità dei vari soggetti di interagire e collaborare in modo da massimizzarel’apporto di ognuno.

Per questo è necessario che tutti abbiano conoscenze di pedagogia e psicologia, piena consapevolez-za del ruolo che ognuno svolge e capacità di interagire con tutti gli altri

Le istituzioni scolastiche, quindi, oltre a svolgere la funzione pedagogica e didattica verso i figlidovrebbero sostenere i genitori in un percorso di conoscenza e comprensione degli elementi fonda-mentali della scienza dell’educare.

È ormai convinzione unanime degli esperti che il rapporto tra scuola e famiglia è basilare non soloai fini del successo scolastico dei bambini ma anche della loro educazione.

I modelli comportamentali offerti da genitori, insegnanti ed educatori sono inevitabilmente diversi,per questo il rapporto tra tutte le agenzie educative è fondamentale per ridurre il più possibile lecontraddizioni. Allo stesso modo i bambini sono rassicurati dal vedere che gli adulti si prendonocura di loro.

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Introduzione Sauro Bargelli

I corsi organizzati nell’ambito del nostro progetto hanno cercato di favorire l’esposizione deidubbi e delle domande dei genitori («Faccio bene o faccio male a comportarmi in questomodo?», «Mio figlio ha un comportamento normale?», «Ha un atteggiamento adeguato allasua età?», «Come fare a educare i nostri figli?»).

Né i corsi, né questo libro, hanno la pretesa di fornire soluzioni. L’obiettivo è semplicementeaiutare genitori e nonni ad assumere atteggiamenti positivi che sviluppino la loro creatività alfine di trovare strategie personali per la risoluzione dei problemi.

Pensiamo di aver stimolato tutti ad una sempre maggiore collaborazione capace di aumentarela capacità di ognuno di divenire protagonista solidale della propria funzione educativa.

Sauro BargelliTutor progetto

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Intervento Luigi Lanna

Volontariato e funzione educativa

Per chiarire le relazione tra volontariato ed agenzie formative, come la scuola,bisogna chiedersi: fare volontariato, può aiutare il futuro cittadino ad acquisireuna cultura civica? Il volontariato può essere insegnato a scuola? La risposta allaprima domanda è positiva. Il volontariato è portatore di una cultura relazionaletesa a cambiare la società e ad instaurare nuovi modi relazionali tra cittadini;educa a quella gratuità dal valore dirompente e rivoluzionario, dall’efficaciaaggregativa. Il volontariato insegna l’essenziale contro il consumismo di oggiche rende necessarie cose inutili e superflue. Il volontariato è dono, è servizio. Ilvolontario non lavora per lo stipendio o per la carriera, non usa i bisogni persoddisfare egoismi individuali o di gruppo.Il volontariato sperimenta la solidarietà a cerchi concentrici sempre più vasti:nella famiglia cura i più fragili, nella città solidarizza con i più bisognosi, nelPaese con i gruppi più deboli, nel mondo con i Paesi più poveri. Il volontariatoafferma la cultura della vita contro la morte. Curare gli ultimi è scommetteresulla vita.Fare volontariato porta ad una nuova cultura relazionale, semina solidarietà. Eallora anche alla seconda domanda bisogna rispondere positivamente. Il volon-tariato va vissuto sin dalla più tenera età, è prezioso per il bambino che sorreggeil nonno, per lo scolaro che sa distinguere le diversità e le difficoltà del compag-no di classe, per lo sportivo che educa con l’esempio al rispetto delle regole. Ilvolontariato è una funzione educativa che sostanzia nel migliore dei modi quel-la cultura dei Padri Costituenti basata sul riconoscimento dei diritti dell’uomo esui conseguenti doveri di solidarietà. “La Repubblica riconosce e garantisce gliinviolabili diritti dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove sisvolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di sol-idarietà politica, economica e sociale (art. 2 Carta Costituzionale).L’associazione ADA ha, tramite il progetto finanziato in parte dal Cesvol,dimostrato e documentato in modo magistrale, che il volontariato non puòessere materia curricolare perchè in sè empiricamente ha una valenza educativa:“to doing to learning” e cioè “fare volontariato per imparare volontariato” masoprattutto “l’aver cura” è l’essenza del volontariato di quel volontariato obbli-gatorio che nasce in famiglia e per la crescita della famiglia come gruppo orig-inario della società.La cura appartiene all’esperienza umana fin dalla nascita: nel quotidiano dellavita la cura è la condizione che consente di essere nel mondo con se stessi e glialtri è l’esistenza umana che richiede una assunzione di responsabilità originari.La cura è importante nel contesto delle funzioni di accompagnamento in quan-

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Intervento Luigi Lanna

to ha il fine “di mettere l’altro nelle condizioni di provvedere da solo ai propribisogni rendendolo capace sia di azioni cognitive, come individuare e stabilirecriteri di priorità, sia di azioni concrete per soddisfare bisogni e realizzare obiet-tivi” (Mortari 2005).CARE non è un principio astratto o un atteggiamento emotivo ma è unadimensione pratica perché è fatta di azioni,è una opera di tessitura econnnesione tra ostacoli e risorse tra sentimenti e ragionamenti intrec-ciando storie diverse di diversi destini umani.La cura è essenzialmente relazionale perché unisce cuore e pensiero e privile-giando il legame tra i rapporti umani privilegia la rete delle relazioni intersogget-tive, della solidarietà piuttosto che i diritti individuali.Se tutti fossimo cittadini volontari, in spirito di gratuità e di verità, potremmocostruire una società migliore dove accanto al rispetto dei diritti riconoscimen-to dell’ugual rispetto dovuto a d ognuno in equilibrio tra le pretese dell’altro e leproprie coniugheremo i doveri di solidarietà nel riconoscimento della diversitàdei bisogni.Sarà l’etica della responsabilità che poggerà sulla comprensione che fa nascere lacompassione e la cura, dimostrando che i doveri di solidarietà non sono astrat-ti principi chiusi nella norma dell’art. 2 della Carta Costituzionale ma hanno unaforza precettiva che ciascuno può sperimentare quotidianamente nel la grande“palestra” di vita del volontariato

Luigi LannaPresidente Cesvol Perugia

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Intervento Wladimiro Boccali

Per la comunità tutta i servizi per la prima infanzia rappresentano un luogoall’interno del quale elaborare una cultura sull’infanzia che è anche filosofia edu-cativa agìta attraverso scelte etiche e valoriali.Parlare del valore educativo del nido significa allora mostrare l’intenzionalitàpedagogica del suo progetto che deve fondarsi, non solo a parole, sulla centra-lità del bambino come portatore di diritti e potenzialità e sulla valorizzazione delruolo e delle competenze genitoriali.Il nido è il luogo dell’accoglienza plurale, nel senso che accoglie bambini conritmi e tempi diversi ma anche diversi adulti (genitori ed educatori) portatori dibisogni non omogenei che si confrontano allo scopo di rendere coerenti le pro-prie azioni, leggere e interpretare emozioni e bisogni, superare incertezze etimori.Il nido è il luogo del singolare perché le cure che quotidianamente si ripetonodiventano attenzione individualizzata, tempo e spazio per provare e riprovare,per sperimentare i propri limiti e le proprie possibilità ma anche tempo e spazioper trasmettere significati e valori socialmente condivisi.Il nido è il luogo dell’incontro, quello in cui si tessono le relazioni fra bambini econ gli adulti, in cui si sperimenta il conflitto, il confronto, la collaborazione, l’a-micizia, in cui la relazione è co-evolutiva in quanto i suoi effetti agiscono suidiversi soggetti producendo sempre nuovi orizzonti di senso.Il nido è il luogo dell’esplorazione e della scoperta in cui l’incontro con i mate-riali consente alle molte facce della creatività di mostrarsi, in cui i saperi nonsono automaticamente trasmessi ma piuttosto sostenuti e sollecitati attraverso lapredisposizione di un contesto che dà spazio al contributo attivo e originale deibambini.Il nido è il luogo dell’ascolto, dove viene valorizzato il pensiero personale, doveil rispetto per l’individuo e la diversità sono principi irrinunciabili, dove vienepromosso il diritto all’uguaglianza delle opportunità educative, dove si comincia,fin da subito, a fare esperienza di cittadinanza e questo in fondo costituisce ilsuo principale valore.

Wladimiro BoccaliSindaco di Perugia

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Intervento Maria Prodi

Nessun mestiere che una persona possa fare è più difficile di quello di educareun’altra persona. Eppure è il mestiere più diffuso, la stragrande maggioranza lopratica, almeno qualche volta nella vita, e senza titoli specifici, senza diplomi abi-litanti. E magari, portato a termine il proprio compito di genitore capita di rico-minciare con ancora più trepidazione il mestiere di nonno.Ma qualche volta accade che un percorso di riflessione, soprattutto se è un per-corso comune, alimentato dal confronto e dalla condivisione, aiuti a fare dellapropria esperienza di educatore qualcosa di più meditato, in cui i dubbi si pos-sano dissipare, e la consapevolezza del proprio relazionarsi e del proprio agirerassereni i sentimenti. Un tempo nessuno dubitava del diritto e del dovere deigenitori,e di chi era investito di autorità su un bambino, di agire all’interno di unapotestà. Il genitore era il riferimento normativo, la sua funzione era di trasmet-tere un sistema di convinzioni alla generazione successiva. Spesso la funzionegenitoriale si inaridiva in puro esercizio di autorità e l’esperienza filiale in purasoggezione.Oggi la situazione è completamente ribaltata: l’esperienza genitoriale è sottopo-sta a interrogativi e dubbi. L’esercizio dell’autorità è sospetto di per sé, e gravasul genitore l’onere della prova sulla correttezza, e magari anche l’opportunità diciascun intervento nei confronti dei figli.Una società incerta sui valori e sulle categorie di giudizio, ha introiettato conassoluta certezza alcune concezioni di tipo psicologico che mettono in discus-sione comportamenti, intenzioni, e anche vissuti inconsci dei genitori nei con-fronti dei figli. Nella mentalità comune nessuno è più autorizzato ad educare peril semplice fatto che è genitore. Ci si pone il problema di essere buoni genitori.L’ascolto, la vicinanza, la disponibilità di entrambi i genitori nei confronti deifigli sono, almeno in teoria, un impegno sentito (televisione permettendo, lavo-ro permettendo, consumi permettendo...).La famiglia affettiva circonda la crescita del figlio, spesso unico, con cure e pro-tezione generose, ma ha difficoltà a trasmettere quegli orizzonti valoriali chestrutturano un’etica: lo sguardo resta sul figlio, ma non aiuta il figlio a guardareal di là di se stesso.Si vorrebbe essere buoni genitori, ma non si sa più definire, e spesso neppureindicare o testimoniare di una vita buona.E se resta solo l’affetto a nutrire la relazione con i figli il rischio è di alimentareegocentrismi, di far crescere piccoli imperatori. Grandi consumatori di cure e diattenzioni, ma fragili protagonisti di un cammino di crescita reale, verso l’auto-nomia e la responsabilità. La scuola, i nonni, la società tutta accompagna i geni-tori, e allarga il contesto educativo. Educare significa anche faticare per unasocietà e un mondo diverso, che sono quelli in cui vorremo veder crescere i

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Intervento Maria Prodi

nostri figli. E insegnare loro, con l’esempio, a confrontare come le cose vanno ecome le cose dovrebbero andare, e che la responsabilità di far diminuire ladistanza, è di ciascuno noi. Non basta adattare i nostri figli al mondo, e adatta-re una piccola porzione di mondo ai nostri figli. Bisogna anche educarli a quelmondo diverso che è compito di ciascuno di noi, e di ciascuno di loro contri-buire a costruire.

Maria ProdiAssessore Regionale all’Istruzione Regione Umbria

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ASSOCIAZIONE PER I DIRITTI DEGLI ANZIANI – ONLUS

Sede legale: via Ruggero d’Andreotto, 13 – 06124 Perugia tel. 075/5732783

fax 075/5732812 – [email protected] – www.adanazionale.it

Iscritta al Registro del Volontariato della Regione Umbria al n° 263 – aderisce all’ADA Nazionale

Particolare importanza nelle attività dell’associazione viene data al rapportointergenerazionale nella convinzione che lo scambio di esperienze tra anziani egiovani sia alla base di una società solidale e che gli anziani costituiscano unarisorsa fondamentale del vivere civile.ADA è fortemente impegnata nel sostenere l’educazione permanente degli adul-ti convinta che tra i diritti fondamentali delle persone ci sia anche il diritto all’e-ducazione e alla cultura per tutto l’arco della vita.Incentivare tra gli anziani nuovi saperi e nuove conoscenze significa anche com-battere l’esclusione sociale e migliorare la qualità della vita individuale e sociale.A tal fine promuove numerose attività culturali, sportive, ricreative e di forma-zione atte a favorire la socializzazione e l’incontro tra persone di tutte le età.

“animazione e vigilanza parchi”: i volontari ADA vigilano i parchi pubblicial fine di renderli più fruibili per cittadini e famiglie

“non è mai troppo tardi”: corsi di istruzione e cultura per adulti.

“forma e allegria”: attività ricreative, sport, corsi di ballo.

“segretariato sociale”: pratiche pensione, assunzione badanti, dichiarazioneredditi, pensioni.

Ada Umbria

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Ada Umbria

“sportello antitruffe”: incontri per istruire anziani e non su come prevenire letruffe e favorire la collaborazione dei cittadini con le forze dell’ordine per aiuta-re l’azione repressiva.

“rete contro il disagio psicologico”: volontari adeguatamente preparati sonoa disposizione come primo momento di ascolto delle persone in difficoltà e dieventuale indirizzo verso i servizi sanitari preposti.

“lo spazio dei sogni”: sosteniamo il Centro polivalente costruito a RioPequeno nella favela di S. Paolo del Brasile dove circa 500 ragazzi studiano,fanno sport, imparano un mestiere nel tentativo di sottrarsi alla povertà e allaviolenza.L’iniziativa è sostenuta da comuni cittadini e da personalità come Rita LeviMontalcini e Claudio Hummes, Arcivescovo di S. Paolo.

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“Dopo il verbo amare

il verbo aiutare è il più bello del mondo”

Berta Von Setter, Premio Nobel per la pace, 1905

EOS, nasce nel 2008 dall’intento e dalla sinergia di professionisti nel campo dell’educa-zione e della psicologia con lo scopo di creare e fornire spazi e servizi utili alla promo-zione del benessere psicologico, relazionale e sociale.

COSA FACCIAMOScuole per genitori:proposte ed organizzate per favorire il dialogo e la condivisione dell’esperienza di esse-re genitori.

Dorothea:questo servizio ha come obbiettivo il sostegno di bambini e adolescenti con difficoltàfamiliari, sociali e scolastiche. In collaborazione con i professionisti della saluteDorothea offre interventi educativi personalizzati che possono essere realizzati indivi-dualmente o in piccoli gruppi volti all’incremento del benessere psicosociale dell’altro.

A piccoli passi:spazi di formazione e supervisione per professionisti definiti in base ai contesti e aibisogni emergenti.

Caleidoscopio:è un centro di ricerca e osservazione “itinerante”. L’esperto si reca dove è richiesto pervolgere uno sguardo attento alla situazione che, per diversi motivi, è fonte di disagio.L’associazione inoltre propone spazi di ascolto interni alle strutture di lavoro per con-tribuire alla risoluzione di conflitti e accompagnare il professionista nel suo percorso.

I servizi e le scelte progettuali di EOS sono concepiti ed attuati da professionisti util-mente formati e con esperienza nei settori di pertinenza, si basano su una metodologiadi lavoro scientifica che rimanda costantemente a teorie e tecniche attuali e innovative.

Recapiti: Letizia Bargelli 349.8199756 – Samantha Bonucci 349.5750429 – Fabrizio Bosimini 392.7314636

www.eospromozionesociale.it

Associazione EOS

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Capitolo I

Chi è il tuo bambino?

I diversi modi

di vederlo, pensarlo, comprenderlo.

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Chi è il tuo bambino? I diversi modi di vederlo, pensarlo, comprenderlo

La genitorialità è una funzione non strettamente legata all’atto del concepimen-to del bimbo che consente di prendersi cura di un’altra persona, di riconoscereed interpretare i suoi bisogni, di proteggere, accudire. I genitori imparano asostenere il bambino nel corso del suo sviluppo grazie alla funzione della geni-torialità. Questa capacità o funzione entra in gioco in diverse situazioni della vitaattraverso la capacità dell’individuo di: riconoscere i bisogni, proteggere, accudi-re.La funzione genitoriale è perciò una caratteristica della persona che è possibileosservare in diversi aspetti e momenti nel corso di tutta la sua vita. Per esempionel gioco con gli oggetti, nel gioco con i pari e nel far finta di essere genitori.Cos’è che rende un genitore particolarmente “bravo”? Molti studiosi che sioccupano di questo argomento ci dicono che gli assi portanti della funzionegenitoriale sono:• il piacere di provvedere al proprio bambino• la capacità di conoscere e riconoscere il funzionamento mentale del proprio bambino• la capacità di esplorare i cambiamenti del proprio bambino• conoscere l’aspetto e il funzionamento corporeo dell’altro.Genitori non si nasce! Questo è vero... . Tuttavia durante la nostra infanzia eadolescenza, fino all’età adulta, la nostra mente ed il nostro corpo si predispon-gono o meno a diventare genitori. In questo modo, lo sviluppo della funzionegenitoriale influisce sullo sviluppo della persona e viceversa: la genitorialità èdunque una funzione che evolve nel tempo. La genitorialità è quindi parte fon-dante della personalità di ognuno di noi. È un qualcosa che inizia a formarsi nel-l’infanzia quando a poco a poco interiorizziamo i comportamenti, i messaggiverbali e non-verbali, le aspettative, i desideri, le fantasie dei nostri stessi genito-ri.

1.1 LA RELAZIONE FONDAMENTALE...COPPIA O TRIANGOLO?

Io, mamma e papà...parliamo di diade o triade? Quanti sono i protagonisti? Inpassato, tutti gli studi condotti sulla famiglia si concentravano sulla coppiamadre-bambino, delegando al padre il ruolo di “terzo”. Attualmente, pur restan-do in primo piano l’attaccamento ed il legame della mamma e il suo bimbo, ilruolo del papà ha assunto un grande rilievo.Attualmente quindi non vi sono dubbi sul fatto che lo sviluppo del bambino èinfluenzato sia dalla genitorialità materna che paterna: gli studiosi chiamanoquesto fenomeno TRIANGOLO PRIMARIO, il quale esisterebbe anche neicasi in cui uno dei due genitori è assente. Infatti, il genitore “mancante” è sem-pre presente nel mondo interno dell’altro ed “entra” fortemente nella relazionecon il bambino, seppure in maniera indiretta.

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Chi è il tuo bambino? I diversi modi di vederlo, pensarlo, comprenderlo

1.2 I COMPITI DI UN “BUON GENITORE” E LE SUE FUNZIONI

La genitorialità si esplica attraverso una serie di “compiti”. Ma quali sono le“funzioni” che un “buon genitore” dovrebbe assolvere?1. Fornire una base sicura e un “paradiso sicuro”al bambino2. Regolare le esigenze fisiologiche del bambino3. Provvedere a stimolare il bambino in modo appropriato 4. Costituire una guida appropriata per il bambino5. Fornire limiti e struttura alle attività del bambino 6. Mantenere chiare delimitazioni nella relazione genitore-bambino7. Supportare i contatti del bambino con il mondo sociale più allargato 8. Dare supporto al bimbo nella risoluzione dei problemi9. Accettare la crescente autonomia del bambino.I fattori che intervengono nella funzione genitoriale sono molteplici :• aspetti di personalità, come ad esempio genitori più o meno ansiosi o più o

meno depressi• età dei genitori e rispettivo livello socio-economico• aspetti legati al benessere della coppia: ad esempio, la relazione di coppia inter-

viene nel modo in cui la madre e/o il padre si relazionano con il bambino.Ed infine rapporto con la famiglia di origineL’evento reale della nascita di un figlio, attiva in un modo particolare e moltointenso uno spazio mentale e relazionale nel neo-genitore che rimette in circo-lo tutta una serie di pensieri e fantasie legati in particolare al proprio essere statifigli, alle modalità relazionali ritenute più idonee, ai modelli comportamentali daavere con il proprio bambino.Possiamo capire meglio la complessità e la vastità di ciò che definiamo genito-rialità analizzando in dettaglio alcune delle sue le sue funzioni o meglio i suoimodi di esprimersi.

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Chi è il tuo bambino? I diversi modi di vederlo, pensarlo, comprenderlo

1.2.1 Funzione protettiva

La funzione protettiva è la funzione tipica del genitore e consiste nell'offrire cureadeguate ai bisogni del proprio bambino.

Con Brazelton e Greenspan1 possiamo dire che le figure dei genitori rispondonosoprattutto al bisogno di sviluppare costanti relazioni di accudimento e al bisognodi protezione fisica e di sicurezza.La relazione di cura e accudimento si esplica primariamente in 4 modalità:1. che genitori e bambino siano presenti dentro lo stessa casa2. che la presenza del genitore sia per il bambino osservabile e ben visibile3. che tale presenza faciliti l’interazione con l’ambiente4. ed infine (non per importanza!) che interagisca con il bambino.È evidente il crescere dell’intensità della “presenza” dal 1° al 4° punto che devo-no essere comunque tutti presenti per uno sviluppo sano del bambino.Le modalità di protezione fisica e sicurezza sono influenzate molto dalla cultu-ra di una determinata comunità sociale e quindi è importante che una societàdefinisca al suo interno le condizioni sane dello sviluppo umano e che conside-ri questo come una priorità sociale. Come a dire che le modalità protettive sonocoltivate da una società attenta al benessere di ogni persona.La funzione protettiva più di tutte determina il legame di attaccamento. Lo scopodell’attaccamento è infatti “la vicinanza della figura materna” e il mantenimen-to di una relazione di attaccamento è vissuto come fonte di sicurezza mentreuna minaccia di perdita origina ansia o collera e una perdita effettiva può dare iltrauma.È evidente come la funzione protettiva determini quell'esperienza fondamenta-le che Bowlby2 ha chiamato “base sicura”: “la personalità sana non si rivela asso-lutamente indipendente. È fondamentale far fiduciosamente conto sull’Altro quandola situazione lo richiede e sapere su chi è giusto far conto”.

1 Brazelton T.B., Greenspan S. I. (2001), I bisogni irrinunciabili dei bambini, Raffaello Cortina Editore, Milano2 Bowlby J., (1988), Una base sicura. Tr. it Cortina, Milano, 1989

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Chi è il tuo bambino? I diversi modi di vederlo, pensarlo, comprenderlo

1.2.2 Funzione affettiva

È soprattutto Stern che ha introdotto nelle sue ricerche sull’interazione madre-bambino i colori e le tonalità di questo rapporto. Questo importante psicologoci parla di “sintonizzazione affettiva”, descritta come “l’esecuzione di compor-tamenti che esprimono la qualità di un sentimento condiviso senza tuttavia imi-tarne l’esatta espressione comportamentale”, e che tuttavia oggi ha assunto unsignificato più generalizzato di capacità di entrare in risonanza affettiva con l'altrosenza esserne inglobato. Ciò che rende la relazione genitoriale assolutamente unica sono gli “affetti vitali”che rappresentano “colore” legato ad alcuni gesti, ad alcune routines, a frasi,parole che contengono al loro interno una dimensione relazionale affettivaunica e un sentimento che si traduce nel far sentire qualcosa di emotivo al pro-prio bambino. Così il “mondo degli affetti” ci definisce la qualità emotiva-affet-tiva dentro la quale il bambino è inserito e l’interazione con il mondo degli adul-ti è guidata in modo principale dalla ricerca di emozioni positive da con-dividere.Il desiderio, in questo senso, “implica un’insieme di aspettative e uno scenarioimmaginario all'interno del quale vi sono gli obiettivi e le azioni degli altri in rela-zione a sé stesso e, spesso, gli esiti piacevoli e positivi di tali relazioni”.Il bambino ha bisogno di vivere emozioni positive perché è attorno a que-ste che si coagula il suo mondo affettivo e relazionale!Questa frase riferita al bambino potrebbe essere nel contempo riferita ai genito-ri e al loro desiderio di vivere emozioni positive con il proprio figlio.

1.2.3 Funzione regolativa

La regolazione va intesa come la capacità che il bambino possiede fin dallanascita di “regolare” i propri stati emotivi e organizzare l’esperienza e le rispo-ste comportamentali adeguate che ne conseguono.La capacità di regolazione è la base per poter decodificare le proprie esperienzee non sentirsi sopraffatti da queste. Infatti, il processo fondamentale sottostan-te alle esperienze di guardare, ascoltare, prestare attenzione, parlare, modularel'affetto e il comportamento, sentirsi calmi è la capacità di regolazione!Ma le strategie per la “regolazione” sono inizialmente fornite dal genitore.La difficoltà del genitore a questo livello porta a disturbi della regolazione (dif-ficoltà nel regolare il comportamento, i processi sensoriali, fisiologici, attentivi,motori o affettivi, nell’organizzare uno stato di calma, di vigilanza, o uno statoaffettivo positivo).

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Chi è il tuo bambino? I diversi modi di vederlo, pensarlo, comprenderlo

1.2.4 Funzione significante

Bion3 parla di “funzione alfa” della madre come capacità di dare un contenutopensabile e/o sognabile, in definitiva utilizzabile dall'apparato psichico, alle per-cezioni, alle sensazioni del neonato che sono ancora prive di spessore psichico.La madre costituisce attraverso la reverie una sorta di “contenitore” dentro ilquale il bambino inizia a pensare poiché adattandosi ai bisogni del bambinoaiuta il bambino stesso a comprendere il suo bisogno. La madre crea una corni-ce che dà senso all’azione del suo bambino. Questo dare senso ai suoi bisogni,ai suoi gesti all’inizio casuali, ai suoi movimenti, alle sue espressioni, inserisce ilbambino in un mondo di senso, denso di significati.

3 Bion W., (1959), Attacchi al legame, in E.Bott Spillius, (1988)

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Capitolo II

Relazioni significative e immagine di

sé: io e il mio bambino vicini per crescere.

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Relazioni significative e immagini di sé: io e il mio bambino vicini per crescere

“La madre affettuosa insegna al bambino a camminare da solo. È abbastanza lontana da luida non poterlo sostenere effettivamente, ma gli tende le braccia. Imita i suoi movimenti e se luitraballa, si china dolcemente come per prenderlo, così che il bambino può credere di non cam-minare da solo... . E ancora fa di più. Il suo volto esprime una ricompensa e un incoraggiamento. Così il bambino cammina da solocon gli occhi fissi al volto della madre, non alle difficoltà che incontra sulla strada. Si sente sorretto dalle braccia che non lo sostengono, e costantemente cerca il rifugio nell’abbrac-cio della madre, senza sapere che nel momento in cui manifesta il bisogno che ha di lei, stadimostrando di poter fare senza di lei, perché sta camminando da solo”.

Kierkegaard, 1968

Un’interessante prospettiva di studio delle relazioni precoci del bambino con lefigure significative della sua vita è costituita dalla teoria dell’attaccamento, for-mulata da John Bowlby4. Secondo il suo pensiero il piccolo della specie umana,similmente ai piccoli di altre specie, è predisposto fin dalla nascita a sviluppareun legame con almeno una persona che si prende cura di lui in modo intimo esignificativo.

2.1 COME AVVIENE QUESTO?

I neonati sono dotati di un raffinato repertorio di comportamenti tesi a raggiun-gere e mantenere la vicinanza fisica con un adulto. Per esempio pianto e sorrisosono due comportamenti tipici e basilari!Ma perché fin dalla nascita occorre fare in modo di essere vicini a un adulto?L’obiettivo della costruzione del legame di attaccamento è quello di ottenereprotezione da parte della figura adulta di riferimento.E quali sono i pericoli a cui può essere esposto un neonato o un bambino moltopiccolo?. I pericoli possono essere interni: ad esempio il mal di pancia; oppurepossono essere esterni come ad esempio la paura di trovarsi da solo in una stan-za sconosciuta.L’attaccamento costituisce uno dei sistemi di controllo del comportamento chemotiva il bambino a ricercare e mantenere, nelle situazioni di pericolo, la vici-nanza fisica con la figura di riferimento, allo scopo di ottenere protezione; l’in-sieme e la qualità degli scambi interattivi tra il bambino e la figura di attaccamen-to costituiscono la base per la costruzione di questo legame che si struttura nelcorso del primo anno di vita del bambino.

4 Bowlby J., (1988), Attaccamento e perdita. Vol I, 2, 3, tr.it. Boringhieri, Torino, 1972.

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Relazioni significative e immagini di sé: io e il mio bambino vicini per crescere

Alla fine del primo anno di vita, il bambino ha costruito il proprio legame diattaccamento con un adulto, il quale diventa la sua figura di riferimento piùimportante. Questo significa che la qualità del legame di attaccamento tra il bambinoe la sua mamma dipende da molti fattori ma, soprattutto, dalla qualità delle inte-razioni fra i due che si collegano con la ricerca di protezione da parte del bam-bino e le modalità con cui la mamma fornisce tale protezione.

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Capitolo III

Mamma che paura!

Come nascono, cosa sono e a cosa

servono le paure dei bambini

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Mamma che paura! Come nascono, cosa sono e a cosa servono le paure dei bambini

Le esperienze emotive vissute dagli uomini sono moltissime: la paura sembraessere quella più antica. La paura è dunque un’emozione. Ma quali sono le com-ponenti delle emozioni? Secondo un importante modello psicologico (Frijda,1990)5 ogni processo emotivo comporta:• un evento elicitante: si intende l’accadimento che può essere riconosciutocome ciò che ha innescato l’emozione.• una valutazione cognitiva: è un processo volto alla valutazione del livello dinovità dell’evento, il suo grado di piacevolezza/spiacevolezza, la sua pertinenzarispetto ai propri scopi, la possibilità di farvi fronte con le risorse di cui si dispo-ne • un’attivazione fisiologica: ogni emozione è sia psichica che corporea e così

coinvolge sempre il corpo.• una percezione interna: è la capacità della persona di cogliere il suo stesso cam-

biamento emotivo, una propria emozione e anche di definirla e di categoriz-zarla; senza l’autopercezione l’emozione non esiste per la persona.

• una risposta motoria: è il comportamento che si manifesta. L’emozione infat-ti non è solo una realtà interna della persona ma si esprime anche all’esterno,si rende visibile attraverso modificazioni delle espressioni del viso, della vocee del comportamento non verbale (gesti, posture).

Tutti questi aspetti ci servono per capire cos’è un’emozione e per poterla defi-nire. Gli affetti ricoprono un ruolo importantissimo nello sviluppo del bambinoche avviene sempre all’interno di un contesto familiare. Per questo per il bam-bino è importantissimo poter contare sull’affetto dei suoi genitori soprattuttodurante i primi momenti della vita. La paura può colpirci in presenza di qualco-sa che percepiamo come pericoloso, tuttavia non sempre è causata dalla presen-za di stimoli allarmanti che segnalano un pericolo, ma essa può scaturire anchedall’assenza di qualcosa che comporta salute e sicurezza, come ad esempio lamancanza di cure fisiche appropriate nei primi anni di vita, la sensazione di esse-re rifiutati o di non essere amati. Infine, una sensazione di paura, per essere sca-tenata, non necessita necessariamente di una situazione esterna, essa può infat-ti scaturire anche da un nostro stato interno, come fantasie, ricordi o pensieri.Quando si utilizza il termine “paura” in realtà non facciamo riferimento ad un’u-nica esperienza emotiva ma ad una famiglia di stati emotivi: terrore, timore,ansia, panico, apprensione, preoccupazione, inquietudine, allarme, trepidazione,spavento, orrore, fobia. Questi differiscono per il grado di intensità e di attiva-zione e per il grado di controllabilità della minaccia, per cui l’attivazione emoti-va sarà meno intensa quanto più il pericolo è conosciuto e prevedibile.

5 Frijda N.H., 1990, Emozioni, Il Mulino, Bologna

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3.1 NASCITA ED EVOLUZIONE DELLE PAURE

“Siamo tentati di supporre che vi sia un momento storico che lega strettamente insieme le sen-sazioni e le innervazioni dell’angoscia. In altre parole, che lo stato di angoscia sia la riprodu-zione di un evento che contiene le condizioni di un simile aumento di stimoli e della scaricalungo vie determinate: e che attraverso ciò, dunque, il dispiacere dell’angoscia riceva il suo carat-tere specifico. Il modello originario di un simile evento appare, nella specie umana, la nascita,e quindi noi siamo inclini a vedere nello stato d’angoscia una riproduzione del trauma dellanascita”.

Freud, (1926)6

La paura entra a far parte delle esperienze emotive dell’individuo sin dalla piùtenera età, prima sotto forma di reazione ad uno stimolo, poi sotto forme imma-ginarie e di natura simbolica.La psicoanalisi attribuisce un grande rilievo al momento della nascita, un even-to traumatico per il bambino in quanto consiste nel passaggio dallo stato di sim-biosi intra-uterina a quello di vita singolare e autonoma. È la prima esperienzadi distacco per il neonato e come tale genera in lui delle sensazioni spiacevolicostituendo così il prototipo della situazione angosciosa.Alcuni psicologi ritengono che nei primi tre-quattro mesi sia più opportuno par-lare di disagio piuttosto che di paura.

3.2 QUALI PAURE A QUALI ETÀ?

Dalla nascita a 4 mesi circa: a suscitare disagio a questa età sono gli stimoli sonoriacuti e improvvisi, gli stimoli dolorifici provenienti dall’esterno, la perdita diappoggio alla quale il neonato reagisce portando istintivamente entrambe lebraccia in avanti e congiungendole sopra il petto in un gesto di afferramento,l’avvicinarsi di un oggetto. Stimoli disturbanti però possono anche non prove-nire dall’esterno ma dall’interno dell’organismo. Quest’ultimo entra in tensionequando bisogni quali sete, fame, calore, tranquillità, posizione comoda, non ven-gono soddisfatti in un tempo sufficientemente breve, così il neonato, che dipen-de completamente dall’ambiente, grida segnalando il fatto che ha raggiunto ilsuo limite di tolleranza. Non appena la fonte del disagio viene rimossa o qual-cuno gli fornisce un contatto fisico rassicurante, il bambino si calma.

6 Freud S., 1926, Psicologia delle masse e analisi dell'Io, Newton, Roma, 1992

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3-4 mesi si mostrano in maniera più chiara risposte emotive differenziate, graziealla maturazione dei centri nervosi; il bambino inizia ad associare le proprie rea-zioni di disagio e di gioia ad aspetti specifici dell’esperienza.Verso i quattro mesi emerge la paura dell’ignoto, vale a dire di persone estraneee di oggetti e luoghi sconosciuti. Il bambino si spaventa facilmente di fronte allenovità perché, più dell’adulto, le avverte come inusuali e conflittuali con i suoischemi di riferimento. Egli guarda intensamente i volti delle persone estranee equesto probabilmente è indice di un miglioramento delle sue capacità percetti-ve, per cui cerca di collocare la faccia nuova in un suo schema mentale di faccia.Se la faccia nuova è assimilata a quelle già note il bambino sorride, altrimentipiange a causa della discrepanza tra il viso osservato e il proprio schema menta-le. Tale paura cresce nei mesi successivi.6-8 mesi: le capacità percettive risultano maggiormente sviluppate per cui, men-tre in precedenza i volti potevano apparire equivalenti a quelli familiari, ora ilbambino è in grado di percepirli come qualcosa di estraneo che incute timore.Crescendo si è in grado di dominare la paura dell’ignoto grazie all’uso del lin-guaggio e grazie e al maturare della capacità di prevedere la temporaneità deglieventi e la possibilità di un loro superamento. Tuttavia la paura dell’ignoto restaallo stato potenziale per tutta la vita dell’individuo e può quindi manifestarsi inqualunque momento.La paura della separazione compare anch’essa intorno ai sei mesi, quando cioèsi manifesta anche il comportamento di attaccamento. Il bambino piange quan-do la madre si allontana dalla stanza e l’accoglie sorridendo quando torna. Tragli otto e i dodici mesi i bambini, ormai in grado di spostarsi autonomamente,si dirigono rapidamente verso la madre quando sono allarmati. Con il passaredegli anni la separazione temporanea viene tollerata sempre meglio grazie all’ap-prendimento di abilità motorie e linguistiche che rendono autonomi e allo svi-luppo di capacità mnemoniche che rendono consapevoli della temporaneità del-l’assenza delle persone care.2-3anni: diventano più frequenti la paura per gli animali e quella per il buio che,nel primo anno e mezzo di vita, sono scarsamente presenti.4-5 anni: la paura del buio aumenta ulteriormente intorno e si associa a nuovepaure, quelle dei fantasmi, dei mostri, delle streghe, dei ladri, dei lupi. La fanta-sia del bambino anima le sue paure che assumono l’aspetto di creature precise.6-11 anni: diminuiscono le paure per i rumori, il buio, i rapitori, gli animali, men-tre aumenta la paura per i danni fisici, la morte, l’abbandono da parte dei geni-tori e i timori legati al proprio stato sociale e all’interazione con gli altri.

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3.3 COME ELABORARE LE PAURE?

Il processo di elaborazione è un elemento centrale per il benessere psicologicodel bambino e dell’adulto, ed è fondamentale per superare ogni tipo di esperien-za negativa nella vita delle persone.Si distinguono due tipi di elaborazione: l’elaborazione cognitiva e l’elaborazioneemotiva. L’elaborazione cognitiva consiste nella comprensione dell’evento e nell’at-tribuzione di un senso a ciò che è accaduto.L’elaborazione emotiva consente al soggetto di far fronte ai propri sentimenti, dianalizzarli e di esprimerli. È importante che essi siano collegati all’evento e chele reazioni emotive siano accettate per quelle che sono, senza colpevolizzarsi overgognarsi.Per elaborare le paure il bambino ha bisogno di fiducia in se stesso e nelle pro-prie forze, in tal senso giocano un ruolo cruciale i genitori. Un’educazione iper-protettiva, protesa a tener lontana qualsiasi paura, rende i bambini incapaci diaffrontare la vita, amplifica la paura e la drammatizza dando al bambino la sen-sazione di trovarsi in balia dei suoi timori, di essere impotente, genera in lui lapaura della paura che lo porta ad evitare il confronto e a sentirsi paralizzato escoraggiato di fronte alle paure. Allo stesso modo, un’educazione che minimiz-za le paure del bambino non consente a quest’ultimo di elaborarle in manieraadeguata perché lo porta a sentirsi non accettato, solo, un fallito. Ciò vuol direche le paure infantili vanno prese sul serio e che occorre incoraggiare il bambi-no ad elaborale dandogli sostegno e sicurezza. Quando i bambini si sentonoabbandonati a se stessi non hanno più certezze, sono privi di qualsiasi legame equesto riduce la loro capacità di elaborazione, hanno bisogno invece di paroleche infondano sicurezza, di sapere che possono sopportare e superare la situa-zione paurosa. Molti genitori vogliono risolvere le paure al posto dei figli ma inquesto modo non si fa che rafforzare la loro dipendenza delegando ad altri ilcompito. È importante invece che i bambini collaborino al processo di elabora-zione attraverso la loro fantasia e creatività, solo così possono imparare a gesti-re le loro paure. Quello che conta è un ascolto attivo, la partecipazione, la com-prensione, l’empatia. Tuttavia, bisogna munirsi di tanta pazienza perché il supe-ramento non avviene dall’oggi al domani, infatti le paure si manifestano improv-visamente ma possono scomparire lentamente.È importante parlare con i bambini, saper ascoltare quello che hanno da dire; unmodo di elaborare le paure, così come altre esperienze negative, è infatti propriola narrazione, il racconto. Bisogna però fare in modo che il bambino avverta lavicinanza dell’adulto anche fisicamente. Quando è in preda alla paura, il sentirsiprotetto nelle braccia del padre o della madre è una piacevole sensazione che

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non lo abbandonerà mai. Con il corpo si può dare al bambino ciò che gli serveper combattere la paura: calore, sicurezza, appoggio. Vi sono poi diversi “stru-menti” con i quali si può aiutare il bambino ad elaborare le paure affrontandolein forma simbolica: il racconto delle fiabe, in cui si trovano svariati esempi dicome le difficoltà possono essere risolte e le paure superate, il gioco, il disegnoe la drammatizzazione.

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Capitolo IV

Creatività ed esplorazione.

La fiducia di osare su una base sicura.

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Creatività ed esplorazione. La fiducia di osare su una base sicura

Uno dei primi studiosi della creatività fu Wertheimer (1945)7, che identifica il pen-siero creativo con il pensiero produttivo considerato come la più alta forma d’in-telligenza: il pensiero produttivo è quello che attraverso una specie di “intuizio-ne” coglie la struttura soggiacente ai dati di una situazione problematica, ed ècapace di apportare cambiamenti e modifiche introducendo nuove e positivesoluzioni.Nel 1950 venne introdotta la nozione di pensiero convergente e pensiero diver-gente. Il pensiero convergente è tipico dell’intelligenza, tende all’unicità dellerisposta a cui le varie problematiche possono essere ricondotte. Il pensierodivergente invece, è tipico della creatività, porta a formulare soluzioni nuove edinattese perché alla sua base vi sono proprietà come la fluidità ideativa ed asso-ciativa, originalità e rifiuto della ripetitività; il pensiero divergente entra in giocosolo quando i processi convergenti abbiano agito tanto da produrre nel sogget-to una piena padronanza del campo di esecuzione, quindi il pensiero con ver-gente si rivela uno strumento indispensabile per la comparsa del pensiero diver-gente.È alla base di questa teoria che vennero esposti i tre principi che costituisconola creatività:• primo principio: l’abilità creativa si delinea in un continuum ed è studiabile

nella popolazione,• secondo principio: il pensiero creativo è qualcosa di diverso da ciò che si misu-

ra nei test d’intelligenza; questi ultimi misurano il pensiero convergente, men-tre la creatività è rappresentata dal pensiero divergente,

• terzo principio: la creatività è una forma di problem solving (soluzione di pro-blemi).

Associando processo cognitivo e creatività, ed affermando che sono due le prin-cipali categorie di processi cognitivi importanti in quelli creativi:• Il prodotto delle abilità del pensiero divergente è presupposto del processo

creativo, anche se poi, il pensiero divergente segue diverse soluzioni.• Trasformazione di abilità cognitive, legate quindi al pensiero: tali abilità servo-

no a trasformare o revisionare le conoscenze dentro nuovi schemi, da qui l’im-portanza della flessibilità.

7 Wertheimer M., 1945, Pensiero produttivo, Harper, New York

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Creatività ed esplorazione. La fiducia di osare su una base sicura

4.1 CREATIVITÀ ED AFFETTI

Recentemente, S. W. Russ (2003), ha studiato l’importanza dell’emozione-affet-to sulla sviluppo delle abilità cognitive e quindi sul pensiero divergente-creativo.Molti gli studi sottolineano l’estrema importanza del riconoscimento delle pro-prie ed altrui emozioni. Un primo insegnamento empatico proviene (o dovreb-be provenire) dai genitori, quando si “sintonizzano” con le emozioni del bam-bino appena nato.È pertanto fondamentale insegnare ad essere empatici e fornire gli strumenti pergestire le proprie emozioni. Sono queste le basi dell’intelligenza emotiva, la qualeproduce benefici a livello biologico (diminuisce le stress emotivo), cognitivo(facilita l’attenzione), e sociale (i bambini “empatici” sono i più amati).Vivere le emozioni e riconoscerle si rivela uno strumento efficace anche per l’ap-prendimento. Il successo scolastico si rivela infatti collegato alle caratteristicheemotive del bambino: un bambino con caratteristiche emotive positive infattiavrà:• maggiore capacità di connessione tra argomenti e pensieri, tra dire e fare• maggiore curiosità, perché vi è alle spalle un patrimonio di stimoli probabil-

mente più elevato di altri• maggiore intenzionalità nelle decisioni e nelle scelte• maggiore autocontrollo• maggiore capacità comunicativa• maggiore capacità di cooperareL’affetto contribuisce quindi in maniera determinante alla formazione del pen-siero creativo e gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo delle abilità cogni-tive: vivere esperienze affettive positive permette al bambino di sviluppare pie-namente le potenzialità insite nella sua natura in quanto gli consente di attraver-sare quella zona di sviluppo prossimale tra ciò che sa fare da solo e ciò che puòfare con gli altri, tra ciò che sa fare ora e ciò che conquisterà poi.Vivere esperienze affettive positive da al bambino la fiducia di “osare”, sapendodi poter sempre fare riferimento ad una base sicura (Winnicott, 1971)8.

Tutto questo sembra significare che un bambino che vive esperienze affettivepositive ha maggiori possibilità di sviluppare la creatività: la creatività, infatti, èil risultato di un processo storico che trae alimento dalla realtà e dalla vita inte-riore. L’attività creativa dell’ immaginazione è in pieno contatto con la ricchez-za e la varietà della precedente esperienza del bambino e si costruisce sempre sumateriali forniti dalla realtà.

8 Winnicott D. W., 1971, Gioco e Realtà, Armando Editore 1974

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Creatività ed esplorazione. La fiducia di osare su una base sicura

4.2 IL RUOLO DEL GIOCO NELLO SVILUPPO DELLA CREATIVITÀ

Abbiamo fin’ora parlato di creatività, di emozioni e di abilità cognitive. Ma comeè possibile osservare tutto ciò nei bambini?Uno dei principali veicoli di comunicazione e di espressione delle emozioni,delle abilità cognitive e del pensiero creativo dei bambini è il gioco.Il gioco aiuta i bambini in diversi modi:• espande il loro vocabolario• sviluppa un sentimento di costanza verso le proprie attitudini ed attività• sviluppa le abilità del pensiero divergente• lavora per dare forma agli eventi• sviluppa la disposizione alla flessibilità• aiuta a cogliere diverse forme di problem-solvingIl gioco aiuta i bambini anche nell’espressione degli affetti e delle emozioni;risulta inoltre essere un’efficace terapia per risolvere e superare traumi della vitaquotidiana.Esperienze affettive positive sono dunque fondamentali non solo per lo svilup-po di abilità cognitive, ma anche per il nascere e per lo strutturarsi del pensierodivergente, quindi del pensiero creativo.Osservando il bambino mentre gioca è quindi possibile individuare quelle zonedi luce ed ombra nelle quali vivono emozioni ed affetti, emozioni ed affetti cheil bambino deve imparare a conoscere.Le principali competenze creativo-emotive possono essere apprese e potenziatenel bambino; sono cinque gli ambiti principali nei quali si estendono le emozio-ni:• conoscenza delle proprie emozioni• controllo delle proprie emozioni• motivazione di sé stessi• riconoscimento delle emozioni altrui• gestione delle relazioniNotiamo l’importanza del riconoscere le proprie emozioni,del chiamarle pernome, per non averne paura, per viverle e lasciarsi in qualche modo costruire daesse. Ma riconoscere le proprie emozioni non basta: è fondamentale riconosce-re anche le emozioni altrui in quanto l’uomo è un’individuo-in-un-contesto: èquindi l’empatia la chiave per comprendere i sentimenti altrui ed i messaggi nonverbali.

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Capitolo V

C’era una volta in un paese lontano,

lontano...

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C’era una volta in un paese lontano...lontano...

“C’è un significato più profondo nelle fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che nellaverità quale è insegnata dalla vita”

Schiller (i Piccolomini, III, 4)

Tra i “compiti” di un buon genitore abbiamo visto c’è anche quello di ricono-scere e dare significato alle sensazioni, agli affetti e alle emozioni di cui il bam-bino è preda, e di restituire al piccolo questo tumulto di sentimenti in una formaordinata, coerente e comprensibile. Il bambino così, man mano che cresce, gra-zie all’aiuto degli adulti che si occupano di lui, potrà capirsi sempre meglio; que-sto gli permetterà di comprendere più adeguatamente le persone che lo circon-dano e di stabilire con loro relazioni soddisfacenti e significative.Un aiuto a questo difficile compito i bambini e gli adulti che si occupano dellaloro crescita possono ricavarlo dalle fiabe.La narrativa per l’infanzia, in particolare la fiaba popolare, parla al bambino dellesue paure, della sue ansie, dei suoi desideri solo minimamente consapevoli, in unmodo che il bambino inconsciamente comprende, inoltre, attribuendo la dovu-ta importanza e dignità ai turbamenti che la crescita comporta, offrono possibi-li soluzioni. L’evidente piacere che i bambini provano nel sentirsi narrare unafiaba o una favola è dovuto al fatto che tali racconti fantastici rispecchiano lavisione del mondo del bambino: fantasia e realtà si avvicinano quasi a confon-dersi l’una nell’altra; nelle fiabe, come nel mondo interno dei bambini, tutto èpossibile; buoni e cattivi, bene e male, sono ben distinguibili, dipinti senza sfu-mature e con tinte esagerate: il personaggio buono è chiaramente e inequivoca-bilmente distinguibile da quello cattivo, entrambi sempre presenti sono ben inte-grabili con la visione del mondo del bambino che vede e percepisce con mag-giore facilità solo gli estremi, il bianco e il nero.

5.1 LA VITA NON È TUTTO ROSE E FIORI...

L’infanzia non è un’isola felice libera da preoccupazioni e turbamenti comeparte del mondo adulto crede. Anche i bambini hanno a che fare con inquietu-dini, angosce e paure tipiche di questo periodo della vita.Psicologi e psicoanalisti questo lo sanno bene, ma sembra averne coscienzaanche chi, tanti anni fa, ha creato e raccontato quelle fiabe popolari che sonoentrate a far parte della più bella letteratura per l’infanzia.I dilemmi e le ansie dei bambini sono stati ben rappresentati in queste produ-zioni: il bisogno di essere amati, la paura della perdita di un genitore, l’angosciadi perdersi e rimanere solo, diventano nuclei centrali e fonte di ispirazione diret-ta di queste produzioni letterarie.

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5.2 QUANDO ORMAI TUTTO SEMBRAVA PERDUTO...

Oltre a rappresentare sottoforma di immagini realtà difficili e problematiche, lefiabe offrono, attraverso modalità che il bambino può cogliere in base al propriolivello intellettivo, possibili soluzioni. Una su tutte la creazione di un legamesicuro e forte con un’altra persona, tale legame costituisce una roccaforte con-tro la paura ed è dispensatrice di sicurezza emotiva. Il lieto fine però arriva soloin seguito ad un impegno tenace del protagonista rispetto alle gravi difficoltàdella vita (...e della crescita).

5.3 “ME LA RI-RACCONTI?”

È piuttosto frequente per genitori e nonni la richiesta da parte dei bambini disentirsi raccontare e ri-raccontare più e più volte la stessa fiaba. Questo, sostie-ne Bettelheim (Bettelheim, 1977)9, è probabilmente dovuto al fatto che quel rac-conto, in quel determinato momento parla al bambino di qualcosa che è signifi-cativo e importante per lui. Verrà il momento in cui il bambino avrà ricavatotutto quello che può dalla sua storia preferita, o i problemi che l’hanno reso cosìinteressato ad essa saranno soppiantati da altri meglio espressi da qualche altrafiaba.Ascoltare e cercare di cogliere i bisogni dei bambini, sintonizzarsi con le lororichieste si rivela la strada più giusta da seguire...anche nel decidere quale storiaraccontare prima di andare a dormire.

...e vissero tutti felici e contenti.

9 Bettelheim, B., (1977). The Uses of Enchantment. The Meaning and Importance of Fairy Tales. Trad ItIl mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe. Milano: Feltrinelli, 1988.

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Capitolo IV

Il gioco è una cosa seria

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Il gioco è una cosa seria!

I bambini giocano. In ogni tempo e in ogni cultura la vita quotidiana di un bam-bino è occupata in gran parte dall’attività ludica, tale affermazione sembra esse-re confermata anche da studi antropologici che evidenziano come, anche nellesocietà in cui i bambini sono socialmente coinvolti in compiti e ruoli che nellesocietà occidentali vengono assunte in età adulta (lavoro, accudimento dei fra-telli, lavori domestici), le routine quotidiane e i compiti lavorativi sono da lorotrasformati in attività di gioco (Scwartzaman, 1986)10.Il piccolo dell’uomo non è il solo a cui piace giocare, giocano anche i cucciolidei primati superiori e della maggior parte dei mammiferi.Tutti i cuccioli (d’uomo e non) giocano quindi, e osservandoli si può senza dub-bio affermare che questa sia una delle attività a loro più gradite, espressioni dipiacere e divertimento accompagnano l’attività ludica in tutte le sue forme.Le sensazioni piacevoli non sono gli unici effetti positivi del gioco. Il fatto chequesta attività sia praticata in tutte le latitudini e in diverse specie animali dagliindividui giovani porta ad ipotizzarne una funzione adattiva: attraverso la suapratica i più piccoli acquisiscono strumenti per conoscere l’ambiente e impara-no a muoversi in esso e, nel caso umano, il gioco può costituire un mezzo perstrutturare e consolidare abilità cognitive ed emotive (Venuti, 2000)11.

6.1 TANTI TIPI DI GIOCO...DA COSA DIPENDONO?

Cercare di afferrare il dito della mamma, lanciare a terra una palla, dar da man-giare ad una bambola, cercare insieme ad altri compagni di giochi un tesoronascosto chissà dove, sono solo alcuni esempi di giochi molto diversi tra loro.C’è stato uno studioso molto importante nella storia della psicologia dello svi-luppo, Jean Piaget, il quale ha individuato e dimostrato l’esistenza di una progres-sione evolutiva nel gioco dei bambini. (Piaget 1945)12.Le diverse tipologie di gioco cambiano quindi a seconda dell’età del bambino.

10 Schwartzaman H.(1986). A Cross-Cultural Prespective on Child Structured PlayActivities and Material. Cit. In

Venuti, 2000.11 Venuti, P. (2000). L’osservazione del gioco simbolico. In Axia, A., Bonichini, S. (a cura di), La valutazione del bam-

bino. Roma: Carocci12 Piaget, J. (1945). La formatio du symbole chez l’enfant. Dlachaux e Niestlè, Neuchatel. (Trad. It. La formazio-

ne del simbolo nel bambino. Imitazione, Gioco e Sogno. Immagine e Rappresentazione. Firenze: La nuovaItalia)

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6.2 I PRIMI DUE ANNI DI VITA...

I bambini molto piccoli assaggiano gli oggetti, li masticano, li annusano, li bacia-no, li afferrano, li dondolano e li gettano. Cercano cioè di conoscerli ed esplo-rarli attraverso i sensi ma non solo: un bambino che getta a terra un oggetto soli-tamente accompagna a quest’atto un’espressione divertita, è contento di averimparato un novo “schema motore”: un nuovo gesto quindi, ed è contento diaver verificato che questo gesto ha delle conseguenze e degli effetti che si pos-sono prevedere e ripetere. Il tutto a discapito dell’adulto che è vicino a lui ilquale sprecherà soltanto energia e pazienza se crede che l’oggetto lanciato aterra una volta raccolto non subirà il medesimo destino. Il piccolo infatti haimparato una cosa nuova ed è molto entusiasta di questa nuova scoperta tantoche vorrà ripeterla ancora, ancora e ancora. Attraverso queste prime condotteludiche il bambino inizia a conoscere ed esplorare l’ambiente e ad apprendere epadroneggiare numerosi schemi motori.Il primo “oggetto” su cui è centrato il gioco del bambino è IL PROPRIOCORPO E IL CORPO DELLA MAMMA.Successivamente c’è lo spostamento su qualche oggetto soffice, morbido chericorda in qualche modo il corpo materno dando sensazioni piacevoli. Capita avolte che un orsacchiotto, una copertina, o un qualsiasi altro oggetto che i bam-bini avevano trattato sino a quel momento come semplici giochi da coccolare,stropicciare, lanciare iniziano ad assumere per loro grande importanza tanto chei bambini se ne separano mal volentieri specialmente in quei momenti che pre-vedono un allontanamento dai genitori o della propria casa, come ad esempio ilmomento di andare a dormire da soli nella propria cameretta o di andare all’a-silo. Ricordate LINUS E LA SUA COPERTA? Tali oggetti sono stati scelti e“promossi” dal bambino: non sono più semplici oggetti ma sono diventatiOGGETTI TRANSIZIONALI, come li ha definiti Winnicott, lo studioso cheper primo li ha osservati e analizzati (Winnicott, 1971)13. Il bambino non sa chequesto fenomeno è stato osservato e studiato scientificamente, che dà agli studio-si tante informazioni sul suo sviluppo e che suscita tanta curiosità, e a volte anchepreoccupazione, nei suoi genitori, sa soltanto che da un po’ di tempo quella coper-ta, quel pupazzo a lui piace averlo sempre con sé, gli piace l’odore che ha e senteche quando lo tiene con sé si sente più tranquillo; sa che quell’oggetto non è lamamma ma gliela ricorda molto, sente però che non è del tutto “non mamma”, èqualcosa di intermedio che gli consente di affrontare i momenti di separazione conuna dose minore di ansia e che consente al bambino di passare dalla prima rela-

13 Winnicott, D., 1971 Transitional Object and Transitional Phonema, In Playing and Reality, London,Tavistok; Trad It. La creatività e le sue origini, in Gioco e Realtà, Roma: Armendo,1974.

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zione con la madre alla relazione con tutti gli altri oggetti, umani e non, chepopolano il suo ambiente di vita. Molti genitori ed educatori riferiscono di averpotuto osservare fenomeni del genere caratterizzati da una maggiore o minorequota di attaccamento all’oggetto; riferiscono anche dubbi e difficoltà nel sapergestire tali condotte soprattutto quando il rapporto con l’oggetto è molto forteo prolungato nel tempo. Tale fenomeno è evolutivamente normale e naturale,molti bambini cioè tra i 4 e i 12 mesi manifestano questo comportamento.I genitori e gli adulti che sono vicini al bambino dovrebbero quindi accorgersi erendersi conto del particolare valore che il loro bambino attribuisce all’oggettoed operare in modo da evitare ogni brusca rottura nella continuità dell’esperien-za (evitare di buttarlo o ridicolizzare il bambino).L’intervento dell’adulto nell’allentare il legame che il bambino intrattiene conl’oggetto transizionale può essere giustificato solo nel caso in cui questo sia tal-mente esclusivo dal limitare o escluderlo da momenti di interazione con i coeta-nei o comunque privarlo di altri tipi di esperienze. Il destino naturale dell’ogget-to transizionale è comunque quello di perdere quelle importanti caratteristicheaffettive che lo hanno reso così importante.

6.3 DAI 2 AI 7 ANNI...“FACCIAMO FINTA CHE QUESTA MATITA ERA UNA BAC-CHETTA MAGICA?”

I bambini più grandi non si accontentano di trattare gli oggetti semplicementeper quello sono, stanno crescendo e sviluppando abilità e capacità che fino apoco tempo prima non avevano. Una nuova e importantissima conquista ini-zierà a fare la sua timida comparsa intorno ai due anni, si arricchirà e cresceràdurante gli anni della scuola d’infanzia e li accompagnerà in modo non più cosìmanifesto e pubblico ma in forma segreta e privata per tutta la vita. Stiamo par-lando dell’immaginazione, della fantasia o, detto in termini più precisi, dellacapacità rappresentazionale.Un bambino di due anni che accosta un cucchiaio giocattolo alla bocca della suabambola, ci comunica che qualcosa sta cambiando, che una nuova capacità si stafacendo strada, pur essendo ancora così piccolo la sua mente ricorda e conser-va una scena quotidiana che lui ha visto e sperimentato più volte, la ricorda dice-vamo e la ripropone, solitamente a ruoli invertiti (è lui “l’adulto”), con oggettidiversi da quelli abituali. Già in questa semplicissima finzione ludica le capacitàcognitive ed emotive messe in campo sono notevoli: c’è l’assunzione di un ruolodiverso dal proprio, ma soprattutto in questa semplice sequenza è evidente comela capacita immaginativa e simbolica stiano facendosi strada nella sua mente.L’oggetto inanimato diventa animato, nel piattino giocattolo si “crea” del cibo

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che solo lui riesce a vedere, viene rappresentato anche uno stato affettivo, inquesto caso preciso la cura e l’affetto verso la bambola-bambina.

6.4 E QUESTO È SOLO L’INIZIO!

Crescendo e avendo a disposizione un ambiente fisico e umano che favoriscel’attività ludica i bambini mettono in scena rappresentazioni sempre più organiz-zate ed elaborate totalmente rapiti dalla loro fantasia.Per comprende i livelli più evoluti di gioco simbolico vi invito a considerare laseguente sequenza ludica realizzata da due giocatrici molto abili. Sara recita ilruolo della mamma, Alessia fa la domestica e un pupazzo (Twetty) fa il bambi-no. Sara ha appena rappresentato una sequenza particolareggiata in cui ha pre-parato dei fiocchi di cereali immaginari e ha cominciato ad imboccarlo.Sara: “Perché lo sputi fuori e fai i capricci? Non ti piace? Sono buoni con loyogurt! Se non mangi va a finire che ti ammali! (assumendo movenze tipiche del-l’adulto).Alessia “Non lo faccia più mangiare signora non lo vede che non sta bene, hagli occhi gonfi e il naso che cola! (Alessia mette una mano sulla fronte di Twetty)Sara: “Dobbiamo chiamare il dottore? Ha la febbre?Alessia “No, non è febbre è morbillo vede quante macchie rosse sul viso e sullapancia!”Sara “Vai a prendere la macchina che lo portiamo dal dottore!”Alessia ora corre e finge di guidare facendo con la bocca il rumore della mac-china.Il gioco va avanti per molto altro tempo, ma a noi basta prendere in considera-zione questa breve sequenza per renderci conto di quante abilità vengano messein campo e, quindi esercitate, per portare avanti giochi come questo.Dal punto di vista dello sviluppo cognitivo è evidente la promozione del lin-guaggio, ci sono numerosi studi (Lewis, 1973; Singr e Singer, 1990)14 che dimo-strano come bambini che hanno un gioco simbolico più sviluppato hanno ancheun linguaggio più ricco e vario. Ma non solo, questo tipo di gioco è anche unottimo esercizio per stimolare, esercitare e sperimentare il pensiero divergente.

14 Singer, J., Singer, D.,(1981). Television, Immagination and Aggession: A study of Preschoolers.

Hillsdale: Erlbaum.

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6.5 DAI 7 AGLI 11 ANNI...UNO, DUE, TRE...STELLA!

Sarà sempre Piaget a darci preziose informazioni su come si evolvono leabilità cognitive dei bambini più grandi e di conseguenza su come cam-bia il loro modo di giocare.Sono i “Giochi con regole” ad interessare sempre di più i bambini di quest’età:nascondino, guardie e ladri, partite di calcio...quando è possibile giocare all’aper-to, oppure dama, giochi da tavola, quando si è costretti a stare in casa.Quello che caratterizza il gioco simbolico, e cioè l’attribuzione di significati fan-tastici, immaginari alle situazioni e agli oggetti, non cessa ovviamente del tuttoma inizia ad avere sempre più spazio il rispetto di regole oggettive e condivisedal gruppo dei compagni di gioco. Essendo organizzati secondo regole, questigiochi di gruppo contribuiscono all’evoluzione mentale e sociale del bambino.Giocare con altri bambini permette di apprendere e “provare” molte abilitàsociali che potranno essere molto utili non appena i bambini entreranno nel loroprimo contesto di socializzazione ma che serviranno loro anche per il futuro: lacapacità di assumere un ruolo e di coordinarlo con quello degli altri, la capacitàdi cooperare per il raggiungimento di un fine comune e la capacità di stabilire erispettare regole condivise.

6.6 UN’ULTIMA CONSIDERAZIONE...

Cinquant’anni fa uno studio molto importante (Spitz, 1958)15 ha dimostrato chel’età è sicuramente una variabile molto importante nel consentire al bambino diportare avanti condotte ludiche sempre più sviluppate e sofisticate, ma non è l’u-nica variabile. Questo studioso osservò i bambini ospiti di orfanotrofi e notòche i bambini ospitati in istituzioni chiuse, rigide e anaffettive, come dovevanoessere gli orfanotrofi di allora, in assenza di un rapporto stretto e caldo con lafigura adulta, non giocavano, non mostravano interesse per il mondo deglioggetti, non esploravano e non trasformavano l’ambiente intorno a loro. Questoe molti studi successivi ci dicono quindi una cosa forse ovvia ma di estremaimportanza che forse proprio per la sua evidenza viene a volte sottovalutata: lapresenza di una figura adulta e di una relazione sicura tra questa e il bambino èuna condizione importante quanto lo sviluppo maturazionale per promuovere esostenere il gioco dei bambini e quindi per consentire loro di sviluppare ed eser-citare tutte quelle abilità cognitive, emotive e relazionali di cui abbiamo parlato.

15 Spitz R. A., (1958). Il primo anno di vita del bambino. Trad. It., Firenze: Giunti Barbera,1962.

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Capitolo VII

Il disegno

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Il disegno

Quante volte genitori, educatori e insegnanti hanno tra le mani i disegni dei lorobambini? E quante volte i bambini ci mostrano i loro disegni in maniera volota-ria, magari regalandoceli, sperando di rivederli appesi o magari tenuti tra i ricor-di più cari? Il disegno viene vissuto dal bambino come un gioco, come un’attività general-mente molto piacevole; in realtà attraverso il disegno il bambino può esprimerei propri affetti, i propri pensieri, le proprie emozioni, comunicare stati d’animoe svelare il suo mondo interno ad un livello che spesso resta a lui inconsapevo-le: il bambino non sa che con il suo disegno ci sta comunicando qualcosa.Per questo motivo il disegno viene usato in più ambiti: di ricerca, in ambito cli-nico e in ambito terapeutico.La quantità dei disegni che i bambini fanno ci permette di riflettere sul fatto chedisegnano con molta libertà. Non importa tanto la dimensione tra le parti, quel-la degli oggetti, quanto la possibilità che l’oggetto disegnato sia proprio quello. Per farequesto il bambino apprende una sorta di schema per ogni oggetto componen-do con diversi schemi una realtà affettiva che in quel momento sta riproducendo.Per questo ci è possibile utilizzare l’attività grafica come strumento per “cono-scere” sia lo sviluppo affettivo-cognitivo che la “personalità” del bambino.Solo crescendo infatti, i bambini divenuti ormai ragazzi saranno riluttanti sull’at-tività grafica: spesso ricorreranno a figure geometriche o stereotipi comuni.

7.1 SVILUPPO DEL BAMBINO E...DEL DISEGNO!

Il bambino non possiede da subito uno schema con il quale riprodurre ciò chepensa: la mano segue una percezione di oggetti, figure e sentimenti che restanoancora sfuggenti sul foglio ma che esprimono una volontà di prendere forma con l’e-volversi delle abilità cognitive stesse del bambino, con la sua crescita psicologi-ca. La prima fase nello sviluppo dell’attività grafica infantile è quella dello SCA-RABOCCHIO.1 anno circa: il bambino inizia a tracciare segni che sono importanti perché pro-

vocano uno stato di piacere e di soddisfazione. Il bambino si stupisce delletracce che appaiono nel foglio e solo lentamente capisce con meraviglia diessere stato lui a produrre quel disegno.

Inoltre con lo sviluppo dell’attività motoria fine, che permette un maggiore con-trollo dei movimenti della mano e delle dita, il bambino ripete quei segni, ripro-ponendo continuamente un nuovo schema mentale da poco appreso.Con l’emergere della capacità simbolica (Piaget, 1945)16, alla fine del primo annodi vita, il disegno si arricchisce dell’idea che “qualcosa può stare al posto di qualcosal-tro”: un cerchio diventa una testa; nasce così il disegno RAPPRESENTAZIONALE. I

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primi disegni figurativi, nel secondo anno di vita sono costituiti da segni chestanno a significare un oggetto intero o una persona. Non sapendo ancoracostruire una figura il bambino attribuisce un nome a ciò che disegna, senza chea volte l’adulto possa rintracciarne la forma. Progressivamente impara che ognioggetto e le sue parti possiedono una forma loro propria. Accade però spessoche il disegno fatto assomigli a qualcos’altro: impara così il realismo fortuito soste-nuto dall’adulto che lo incoraggia a trovare una somiglianza tra le forme prodot-te e l’oggetto reale. Successivamente il disegno diventa intenzionale: la forma rap-presenta un oggetto e ciò richiede che ci sia una somiglianza visiva tra l’oggetto disegnato e quel-lo pensato; inizia così il periodo della ricerca dell’equivalente

7.2 ALCUNE TEORIE ALLA BASE DELLO

SVILUPPO DEL DISEGNO DELLA FIGURA UMANA

Nel 1946, Goodnough, partendo dall’idea che il disegno della figura umanarifletta lo sviluppo cognitivo del bambino affermò che:• i disegni dei bambini si arricchiscono di particolari e di dettagli con l’aumenta-

re dell’età dei soggetti• esiste un’evoluzione nel disegno della figura umana con il progredire dell’età

che appare indipendente dall’ambiente socioculturale di provenienza • esiste una relazione strettissima tra lo sviluppo mentale del bambino e l’evolu-

zione grafica del disegno.Il disegno della figura umana rappresenta una tecnica proiettiva alla cui base c’è ilprincipio che il disegno della figura umana rappresenta l’espressione del sé, delcorpo. L’immagine disegnata è legata all’espressone del sé in tutti i suoi aspetti.Il contributo della Koppitz (1968)17 si pone infine come tentativo di risolvere ilproblema della presenza contemporanea nel disegno di componenti affettive e cognitive, inmodo da ottenere una valutazione che contempli questi due aspetti intimamen-te connessi in un unico disegno. Sono due scale di valutazione distinte:Indicatori dello Sviluppo Mentale e Indicatori Emotivi.Indicatori dello sviluppo mentale: rilevano lo sviluppo cognitivo. È correlata con l’etàe con lo sviluppo intellettivo del soggetto: si basa sulla rilevazione del numerodi particolari che compaiono nel disegno.Indicatori dello sviluppo affettivo: valutano l’adattamento emozionale e risulta corre-lata in situazioni di conflitto e ansia indipendentemente dall’età e dallo sviluppomentale; ogni item va considerato singolarmente e non contato, come possibiliindicatori discriminanti di problematiche psicologiche.

16 Piaget J. 1945, Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino.17 Koppitz D. 1968, Disegna una persona, La valutazione del bambino, Roma, Carocci Editore, 2002

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Capitolo VIII

Chi ero e chi sarò:

l’adolescente.

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Chi ero e chi sarò: l’adolescente

8.1 LO SVILUPPO PSICOLOGICO

In generale intendiamo lo sviluppo dell’individuo come un processo dinamico chefonda le sue basi nei primissimi anni di vita, in stretta relazione con le caratteri-stiche dell’ambiente, procedendo per tappe successive attraverso momenti “cri-tici” e nel tentativo di acquisire autonomia e indipendenza dal contesto di rife-rimento. I cosiddetti momenti critici sono caratterizzati da assenza di equilibrioe, se superati, portano ad un progresso e ad una organizzazione nuova, più dif-ferenziata ed integrata di quella precedente.Attraverso le fasi dello sviluppo umano si manifestano abilità e competenzesempre più adeguate e complesse. La completezza raggiunta in una fase rappre-senta la piattaforma da cui partire per la fase successiva, in cui saranno perfezio-nate ulteriormente le precedenti acquisizioni. In generale possiamo delineare leseguenti tappe evolutive:• INFANZIA: acquisizione dell’autonomia psicomotoria• FANCIULLEZZA: apprendimento del linguaggio e delle nozioni di base• PUBERTÀ: maturazione sessuale• ADOLESCENZA: processo di separazione dal contesto familiare e di acqui-

sizione di identità.Attraversare queste fasi vuol dire seguire una spinta interiore (diremmo natura-le) per cui ogni persona procede e diventa “grande”, o adulto, secondo unamodalità ed una dinamica che non è mai improvvisa ma va avanti per gradi.La presenza di adulti di riferimento è importante, ad esempio nell’adolescenza,perché è possibile in tal modo avere l’immagine di tale divenire e delle mete chevi corrispondono .Nell’ambito degli studi classici di impostazione psicoanalitca, l’adolescenzaviene considerata secondo due modalità interpretative:• come evoluzione, cogliendone gli aspetti di continuità con il passato• come crisi, cogliendone la dimensione di peculiarità e cambiamento sia rispet-

to al passato, l’infanzia, sia rispetto al futuro, l’età adulta.Parlando di adolescenza come processo evolutivo Blos18, ha proposto di consi-derala come quella parte del ciclo vitale in cui l’individuo, fino ad ora legato (psi-cologicamente e concretamente) al suo gruppo familiare originario, inizia unpercorso di distanziamento e separazione che porterà alla nascita di Sé comepersona adulta, con una propria identità, autonomia ed indipendenza.In tal senso questo autore ha distinto diverse sottofasi nel considerare il perio-do adolescenziale: preadolescenza, adolescenza, tarda adolescenza.

18 Bloss P., (1971), L’adolescenza: un’interpretazione psicoanalitica. Milano, Franco Angeli.

Bloss P. (1979), The adolescent passage. New York: International Universities Press

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Chi ero e chi sarò: l’adolescente

Secondo il suo punto di vista, il compito principale dell’adolescente è quello didistaccarsi dalle prime rappresentazioni mentali, che si legano alle prime figurerelazionali, per giungere ad amare in modo maturo anche all’esterno del conte-sto familiare. La concettualizzazione dell’adolescenza come “crisi” inizia a deli-nearsi con i contributi di Anna Freud19: questa autrice parla dell’adolescenza“come un disturbo evolutivo” che determina l’interruzione di una crescita paci-fica e mette in risalto il tema dei conflitti di sviluppo con la riattivazione dei desi-deri edipici che porteranno ad instaurare i cosiddetti meccanismi di difesa (rimo-zione, ascetismo, intellettualizzazione).L’interpretazione dell’adolescenza come crisi ha ricevuto delle critiche per ilfatto che non tutti gli adolescenti vivono situazione emotive riconducibili al con-cetto di crisi e che si correrebbe il rischio di sottovalutare la distinzione tra aspet-ti normali e patologici e di minimizzare l’esistenza di una patologia laddovefosse presente.Per comprendere meglio il periodo che chiamiamo adolescenza è bene partiredall’osservazione di tutti quei segnali che caratterizzano il periodo immediata-mente precedente e che possiamo definire PRE ADOLESCENZA In questo momento evolutivo si raggiunge il maggiore grado di intensità dellosviluppo fisico e sessuale (10-11 anni fino ai 14-15 anni)I bambini sentono che qualcosa inizia a sfuggire loro di mano: qualcosa diimportante sta accadendo ma sono impreparati ad affrontarlo. Il processo di tra-sformazione che sta partendo dà vita ad un senso di smarrimento, viene perdu-ta la sicurezza dei movimenti di un corpo infantile e si affaccia una nuova imma-gine di Sé che deve andare lentamente costruendosi.In tale quadro si rende evidente la mancanza di equilibrio tra una maturità cor-porea che va velocemente realizzandosi ed una sostanziale immaturità psicolo-gica che rende difficile affrontare i cambiamenti. Sono tipici a questo propositoi movimenti goffi ed impacciati e le disarmonie della coordinazione motoria chedeve trovare un nuovo assetto.Lo sviluppo puberale, col cambiamento e la maturazione delle strutture sessua-li e fisiche, impegna tanto l’adolescente che può rimanere poca energia da inve-stire nella scuola ed in generale nelle attività educative: il calo del rendimentoscolastico ed una scarsa motivazione, legata anche alla difficoltà di accettareregole istituzionali o adulte, di solito ne sono la conseguenza.La maturazione fisiologica che si verifica in questo periodo porta alla riattivazio-ne delle pulsioni sessuali che fino a questo momento erano state silenziose: l’au-mento della pressione istintuale può manifestarsi sotto forma di sfrenata turbo-lenza, voracità, piacere di sporcarsi, amore per il disordine.

19 Freud A. (1957), Adolescenza, in Opere 1945-1964, Boringhieri, Torino (1979).

Freud A., (1966) L’adolescenza come disturbo evolutivo. In Opere, Vol. III, Boringhieri, Torino.

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Più specificatamente le manifestazioni della sessualità possono essere centratesul Sé (masturbazione, presente sia nei ragazzi che nelle ragazze, sensi di colpa,bassa autostima), oppure orientate verso l’esterno, spingendo a cercare l’atten-zione di ragazzi/e di sesso opposto e cercando situazioni di intimità e contatto.Dal punto di vista psicologico e relazionale possiamo notare l’attuarsi di unaprogressiva separazione psicologica dalla famiglia ed in generale dalle figureadulte genitoriali, spesso con una forte ambivalenza che si manifesta negli sbal-zi del comportamento, degli atteggiamenti e dell’umore del preadolescente.In tale contesto si sviluppa un primo avvicinamento al gruppo dei pari per lacondivisione delle proprie esperienze, dei sentimenti e delle difficoltà ed in par-ticolare si intensifica la condotta di genere per la quale i ragazzi e le ragazze sen-tono l’esigenza di adottare modi di comportarsi e di esprimere i propri interes-si tipicamente maschili e femminili: è questo il periodo delle bande maschili e deiclub femminili e dell’amico del cuore dello stesso sesso.Il preadolescente è poco più di un bambino, caratterialmente pensa come unbambino, le caratteristiche che lo differenziano da esso fisicamente sono l'altez-za un po’ più sviluppata dei suoi coetanei e un leggerissimo accenno del senonelle femmine. Egli si rende conto che sta cambiando e cerca di ignorare, finchépuò, questi cambiamenti che lo possono angosciare se sono improvvisi.Quest’età comunque è molto breve, poiché dopo questi piccoli cambiamenti ilcorpo continua a cambiare sempre più velocemente e, con la possibilità di pro-creare (con le mestruazioni nelle femmine, e le prime eiaculazioni nei maschi),si passa dalla preadolescenza all’inizio dell’adolescenza vera e propria.

8.2 ADOLESCENZA VERA E PROPRIA

All’interno del ciclo di vita possiamo identificare l’adolescenza come il periododi tempo che va dai 14-15 anni ai 18-20 anni legato all’acquisizione di una iden-tità adulta e alla ricerca, nonché alla sperimentazione, di un ruolo sessuale, e cor-relato all’ingresso nel mondo professionale secondo conoscenze ed apprendi-menti di tipo normativo.In questo periodo, compreso tra la fanciullezza e l’età adulta, la persona vaincontro a cambiamenti radicali che riguardano:• il corpo (maturazione biologica);• la mente (sviluppo cognitivo);• i comportamenti (rapporti e valori sociali);L’età di tali rivolgimenti coincide con la pubertà e si colloca all’incirca tra i 9/10anni e i 13/14 anni. Negli ultimi anni, visto che il sopraggiungere della pubertàsi è notevolmente anticipato in conseguenza delle migliorate condizioni igieni-co-sanitarie e di una migliore alimentazione (accelerazione nel ritmo della cre-scita e nell’aumento di peso e di altezza), è diventato ancora più difficile defini-

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re un età di inizio e di fine rispetto all’adolescenza anche se in generale possia-mo dire che:• L’età di conclusione è più difficile da definire in quanto risente dell’influenza

della cultura di appartenenza e dipende dalle caratteristiche individuali.• Si considera conclusa con l’emergere dell’autonomia, con l’acquisizione di una

identità intesa come consapevolezza di essere un individuo unico, diverso daglialtri, con un proprio modo di pensare e di rapportarsi agli altri.

• Si concorda di porre come conclusione il raggiungimento della maggiore età,18 anni, con la scelta della facoltà universitaria o con l’ingresso nel mondo dellavoro.

In generale potremmo leggere il periodo adolescenziale anche attraverso i diffe-renti livelli rispetto ai cambiamenti che si osservano:• un livello biologico per cui le intense pulsioni che si manifestano lo fanno

attraverso un corpo che ora ha l’effettiva possibilità di realizzarle con qualcu-no al di fuori del contesto familiare.

• Un livello culturale, che è rappresentato da tutte le caratteristiche psicologichee sociali, da tutte le immagini che la società fornisce ad un individuo per iden-tificarsi e che cambiano col passare delle epoche storiche: valori, ruoli sociali,modelli culturali collettivi.

• Un livello del soggetto, inteso come raggiungimento dell’identità attraverso ilriconoscersi in alcuni aspetti e funzioni che fanno parte dell’essere maschio edell’essere femmina.

Particolare attenzione nel periodo adolescenziale assume la dimensione corpo-rea. Molti autori sostengono che il corpo, attraverso le sue rivoluzioni, parlaall’adolescente delle nuove possibilità di espressione e conoscenza: il corpoimpone alla persona di cercare il suo oggetto d’amore fuori dal consueto conte-sto familiare, di uscire dal suo ambiente abituale per trovare uno spazio propriodove articolare uno stile di vita personale, adulto, che sia solo suo. L’adolescenterealizza che i genitori non sono onnipotenti e non sanno tutto.Tale passaggio può essere difficile anche per i genitori: essi dovrebbero infattifarsi da parte senza tuttavia divenire assenti, fare in modo che il loro pensare alfiglio non sia di intralcio al movimento di distacco che il ragazzo inizia a speri-mentare.Per tutti i genitori, avere un figlio in adolescenza, rappresenta anche il perderequalcosa che li riguarda direttamente, e questo può ovviamente creare delle resi-stenze: se tale perdita che si va concretizzando è sbarrata o impossibilitata, allo-ra il figlio cercherà una via d’uscita alternativa, come un compromesso tra il Séadolescente in via di individuazione e questo dolore intollerabile per il distacco.Altro punto importante riguarda la rappresentazione che i genitori hanno del

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Chi ero e chi sarò: l’adolescente

loro figlio: molto spesso infatti l’adolescente prende le distanze da quello che èil “figlio desiderato” dai genitori, rompendo il disegno che spesso la famiglia siprefigura rispetto al destino dei propri figli.

8.3 DINAMICHE PSICOLOGICHE

L’adolescenza è l’età in cui viene affrontato soprattutto il tema della definizionedella propria identità. In tale senso va considerata la comprensione dei propri sen-timenti come diversi dagli altri, e la risonanza all’interno di Sé, la comprensionedei propri confini esterni (anche dal punto di vista corporeo), del senso di auto-nomia e di auto-efficacia, nelle aree di interesse e nelle conoscenze.Il gioco dinamico vede la ridefinizione dei vecchi legami per cui gli equilibriinterni raggiunti sul piano degli affetti vengono messi alla prova: l’adolescentecombatte tra il desiderio di crescita e di autonomia rispetto alla famiglia di ori-gine, e il senso di abbandono e la paura di allontanarsi.Si sviluppa come un nuovo modo di stare in famiglia: “con lo sguardo al difuori”... . La casa può diventare il luogo in cui ritrovare se stesso...la stanza, leproprie cose, il silenzio...tutto contribuisce al lavoro di costruzione della propriaidentità; l’adolescente si sente “grande”, esige fiducia quando spesso i genitorilo trattano da bambino cercando di mantenere il controllo (guerre per l’indipen-denza). L’adolescente ha bisogno di sentire di poter contare sulla famiglia nelsuo percorso verso l’autonomia e verso la progettazione di un proprio futuro.Il pensiero adolescenziale enfatizza il mondo della possibilità, si sviluppa ilragionamento scientifico e la capacità di svolgere compiti basati su ipotesi siste-matiche. Alla stessa maniera l’adolescente inizia a sperimentare anche la capacitàdi introspezione sia sui processi di pensiero (sfera cognitiva) che sulle tematicheaffettive (sfera emotiva). Le questioni esterne, riferite al contesto storico-socia-le, di tipo morale, sociale e politico, sono spesso assunte come bandiere contrap-poste alla dinamica col mondo interno e personale. In questo il gruppo degliamici diviene cardine fondamentale: nel gruppo c’è uguaglianza, appartenenza,coesione e non c’è paura del confronto, il sentirsi diverso può dare luce al pro-prio ruolo, all’interno del gruppo di riferimento, in modo da divenire risorsa nelprimo territorio sociale attraversato dall’adolescente.

8.3.1 I conflitti

I principali conflitti che osserviamo durante il periodo adolescenziale sono cer-tamente legati alla trasformazione del corpo infantile in quello del giovane adul-to: i sentimenti possono essere di grande sofferenza poiché la perdita di para-

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metri stabili di riferimento corporeo, può ingenerare anche la paura di non riu-scire a mantenere il controllo sulla propria dimensione somatica. La sessualità,con il riemergere dei desideri sessuali, è un area del Sé adolescenziale che va cer-cando il suo equilibrio e la sua armonia, in cui la ricerca degli oggetti sessuali edi un identità separata da quella dei propri genitori sperimenta la possibilità el’efficacia di nuove strategie e acquisizioni legate al processo di separazione dailegami infantili: il distacco dai genitori, la de-idealizzazione, la perdita della rela-zione protettiva creano un nucleo di conflittualità rispetto alla dimensione dellaperdita e dell’abbandono.È importante infatti tenere presente la dimensione depressiva legata al senso diperdita insito nelle trasformazioni adolescenziale, dimensione più silente e avolte meno evidente, ma da non trascurare.Il paradosso della società moderna è che, nonostante vi sia una pubertà (e quin-di una capacità di procreare) sempre più precoce, soprattutto all’interno diambienti e contesti privilegiati, la cosiddetta maturità sociale è sempre più spo-stata in avanti così che possiamo notare come il periodo di indeterminatezza, tral’infanzia e l’età adulta, si va allungando in tutte le società occidentali.Tale periodo di indeterminatezza assume spesso contorni che possono esserechiariti solo con il tentativo di comprenderne la portata emotiva ed esistenziale.Di fronte a questa specie di rivoluzione che vive l’adolescente, i parenti reagisco-no spesso in modo inconsulto, oscillando tra una benevola rinuncia ad imporsi,nella speranza che le cose si aggiustino da sole, e tentativi di “ristabilire l’ordi-ne” ad ogni costo. L’ostilità e l’estraneità che possono emergere, per quantosiano emozioni che vanno esplorate, non contribuiscono ad un armonica espe-rienza di Sé, né alla costruzione di un’identità individuale e sociale.

Alcuni suggerimenti per la sopravvivenza...dei genitori...e dei ragazzi!!

8.3.2 Ascoltare

È un consiglio valido sempre e per tutti. Non assumere, atteggiamenti di rivalsao di distacco ma dimostrare interesse, curiosità e sincero affetto, cercando diseguire e di comprendere i pensieri e le motivazioni altrui, ci porta a scoprire ilvalore fondamentale dello “stare con...”

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8.3.3 Dare fiducia

Il giovane è come un piccolo adulto: il colloquio può prendere anche direzionimolto vive e stimolanti, nel rispetto, entro certi limiti, delle opinioni e dei gustialtrui (abbigliamento, pettinatura, modo di esprimersi, gusti musicali, ecc.).Bisogna capire che il ragazzo cerca una propria strada autonoma e che necessa-riamente riflette abitudini e costumi dei “suoi” coetanei, con i quali egli si con-fronta ogni giorno. Anche gli adolescenti possono comprendere che il loro sen-timento di inadeguatezza molto spesso può essere condiviso anche dai proprigenitori che si trovano per la prima volta ad affrontare l’adolescenza del propriofiglio, senza conoscere troppo il mondo dei “giovani” e sentendosi per questo acorto di armi efficaci. Quelle che agli occhi dei ragazzi possono sembrare, nelmigliore dei casi, lunghe e noiose raccomandazioni, sono il più delle volte lega-te alle forti preoccupazioni e al tentativo di proteggere. Abbiate pazienza.

8.3.4 Responsabilizzare

Per favorire il raggiungimento di un certo grado di maturità, è necessario con-cedere un minimo di autonomia decisionale e di fiducia. Così, dare una “paghet-ta” settimanale, serve a far comprendere il valore del denaro e a stimolare le abi-lità per essere buon amministratore di se stesso. Allo stesso scopo è necessarioconcedere una certa libertà, ma, nel contempo, stabilire, nell’ambito della vitafamiliare, alcuni punti fermi (la cura della propria stanza, e degli oggetti, rispet-tare le ore dei pasti, limitare il tempo dedicato alla TV, stabilire le ore ed i gior-ni in cui si può uscire). Per quanto rifuggano le regole, tutti gli adolescenti nehanno necessità. Per i ragazzi può diventare molto stimolante confrontarsi coni propri genitori e sentirsi parte di un “progetto familiare” che tenga in conside-razione anche i loro punti di vista, i loro interessi e aspirazioni.

8.3.5 Non pretendere troppo

Talvolta i parenti nutrono per i propri ragazzi eccessive aspettative nei diversicampi della loro attività: scuola, sport, ecc...; in realtà essi vedono i propri figlicome un vero e proprio “prolungamento di se stessi” per cui i successi o gli insuc-cessi dei loro ragazzi vengono recepiti come propri. È un comportamento che neiragazzi può creare insicurezza e sofferenza e che noi adulti dovremmo cercare dievitare.

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8.3.6 Dare il buon esempio

Molto spesso ciò che conta al di là di tutto è il modello stesso di vita che i geni-tori sono in grado di proporre ai figli con il loro esempio: serietà, affidabilità, one-stà morale, linguaggio corretto e pulito, amore per la cultura ed i libri, un’adegua-ta considerazione per il denaro, soprattutto alla luce delle attuali dinamiche socia-li di “crisi economica” e nonostante le corse agli “acquisti ad ogni costo”, cui iragazzi sono molto sensibili. Un ultimo accenno al valore dei pochi momenti diaggregazione in cui tutta la famiglia riesce a riunirsi: cercare di vivere questeoccasioni nel dialogo e nel confronto per parlare serenamente, non solo dei pro-blemi o della scuola, ma anche degli interessi e delle passioni che i propri figlipotranno iniziare ad abbracciare sarà sempre un piacere ed una risorsa per l'in-contro e la comprensione.

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Capitolo IX

Il Bullismo.

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Il bullismo

Bullismo è la traduzione letterale del termine inglese bullying, con cui si inten-de quel fenomeno, potremmo dire sociale, che riguarda l’interazione sia di unprevaricatore con la vittima – che assume atteggiamenti di rassegnazione – chetra appartenenti allo stesso gruppo che assumono ruoli diversi. Letteralmente iltermine significherebbe “prepotente” o “bullo”, tuttavia la prepotenza, comealcuni autori hanno avuto modo di rilevare, è solo una componente del bullismoche è da intendersi come un fenomeno multidimensionale.Il comportamento del bullo è un tipo di azione continuativa e persistente chemira deliberatamente a fare del male o danneggiare qualcuno in vari modi.Possiamo parlare di un tipo di azione diretta, quando si assiste a prepotenze fisi-che o verbali, ed indiretta, quando invece la persona è vittima della diffusione dipettegolezzi e/o calunnie e dicerie, oppure quando è oggetto di isolamentosociale o di una esclusione da parte del gruppo di pari.

...il bullo...

• Il bullo cerca di avere il sopravvento sugli altri danneggiando o facendo delmale senza un reale motivo • Il bullo non è solo quello che picchia un altro ragazzo, ma è anche quella per-sona che si prende gioco di chi è in difficoltà, di chi è più debole ed indifeso.• Di solito lo fa sempre quando è insieme ad un gruppo di altri ragazzi che inve-ce di dirgli di smettere si limita a guardare o peggio a riderci.

9.1 SCHERZO, LITIGIO, BULLISMO O REATO?

Parlando del fenomeno del bullismo è necessario distinguere altri tipi di com-portamento che possono verificarsi nel periodo di vita adolescenziale. Moltesituazioni infatti possono riscontrarsi in ambito scolastico, ma quali di questesono scherzi, litigi, atti di bullismo o veri e propri reati? Va ricordato infatti chebullismo e reato non sempre coincidono, perché non tutto il bullismo è perse-guibile dalla legge, e non tutti i reati compiuti dai ragazzi possono essere defini-ti come fatti di bullismo.Vediamo alcuni esempi:Ahmed viene dal Marocco. Un compagno lo chiama sempre “sporco marocchi-no” e fa in modo che nessuno si metta in banco con lui.Un alunno offende pesantemente un suo compagno davanti a tutti.Appassionati di wrestling, Edo Paolo e Gianluca si divertono a picchiarsi duran-te l’intervallo. Due ragazzi chiudono una ragazza in una classe vuota e la costrin-gono a spogliarsi. La filmano e se ne vanno senza toccarla.

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Il bullismo

In classe nessuno va bene a scuola, solo Monica che viene presa in giro e isola-ta dai compagni perché le dicono che è una secchiona e fa la ruffiana coi pro-fessori. Quali secondo il Vostro giudizio possiamo definire come atti di bulli-smo, e quali invece possiamo definire secondo dimensioni tipiche del reato piut-tosto che di un semplice scherzo tra ragazzi? La difficoltà di evidenziare diffe-renze è presente in coloro che sono a quotidiano contatto con situazioni e cir-costanze in cui si possono osservare tali tipi di comportamenti: ci si riferisce agliaddetti ai lavori come educatori ed insegnanti, ma soprattutto alle famiglie chespesso si trovano da sole ad affrontare un problema.

9.1.1 Il contesto

Come esemplificato nei due schemi sottostanti, il bullismo si inserisce all’inter-no di un contesto che, come per cerchi concentrici, si allarga dalla vittima e dal-l’aggressore, per passare alla classe e alla scuola passando per l’ambiente fami-liare e per la società estesa. Dare una definizione di tale contesto permette distrutturare degli interventi per la prevenzione e la comprensione del fenomenoattraverso tutti gli ambienti sociali ed gli attori coinvolti. La scuola, come acca-de nella maggior parte dei casi, è l’ambiente ideale per valutare chi per compor-tamento e caratteristiche personali, è in grado di influenzare altri soggetti, per-tanto, compito di insegnanti ed educatori, dovrebbe essere quello di “adopera-re” le qualità del singolo a favore della collettività. Insegnanti ed educatoridovrebbero comunque assumere un ruolo educativo deciso e diretto, utilizzan-do nel contempo una comunicazione rispettosa dell’interlocutore. Il messaggiodeve necessariamente tenere conto dei destinatari: gli adolescenti.

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Il bullismo

9.1.2 Aggressività

Cerchiamo a questo punto di descrivere una cornice al fine di fornire strumen-ti utili alla comprensione e alla prevenzione di tali comportamenti tra i ragazzi.Allargando il campo di osservazione potremmo sicuramente parlare dellaaggressività come componente fondamentale del fenomeno che stiamo inda-gando.I comportamenti aggressivi che descriviamo possono avere un origine da unacondizione precedente, come ad esempio un provocazione, oppure originarsisenza che vi sia alcuna causa specifica apparente: in questo caso non abbiamoun evento scatenante ma vi è solo l’intento di ottenere qualche cosa da parte del-l’aggressore. In quest’ultimo caso possiamo osservare che potrà esserci un finepersonale in un azione che tende al predominio sociale e psicologico su un’altrapersona, oppure un fine non personale con un’aggressività strumentale per otte-nere qualcosa, ad esempio un oggetto, di proprietà della vittima.

9.1.3 Il disimpegno morale

Abbiamo già precisato che il bullismo ha caratteristiche multidimensionali: è unfenomeno che ha degli stretti legami con l’ambiente all’interno del quale si veri-fica, con le dinamiche del gruppo nel quale è inserito e con la realtà sociale gene-rale (modelli di comportamento e di riferimento culturale). È utile a questopunto sottolineare alcuni meccanismi psicologici che si verificano nel gruppocoinvolto in atti di bullismo:• giustificazione morale: una condotta inaccettabile assume un significato diver-so se presentata al servizio di principi e valori morali superiori (es. la difesa delgruppo di amici) • etichettamento eufemistico: il linguaggio può deformare il significato concet-tuale e morale di una condotta (“Pacche o spinte, sono solo giochi un po’ agita-ti”) • confronto vantaggioso: un’azione deplorevole viene confrontata con altre piùcrudeli che ne attenuano il giudizio di gravità • dislocamento di responsabilità: la propria responsabilità viene rimandata spo-stata anche su altri riducendo il peso del proprio coinvolgimento (ad esempiodare la colpa alla famiglia o alla società) • diffusione di responsabilità: la responsabilità del singolo viene dissolta nellaresponsabilità del gruppo • distorsione delle conseguenze: se la sofferenza della vittima viene minimizza-ta, distorta o negata è più facile non avere sensi di colpa (“non è grave dire pic-cole bugie dal momento che non fanno male a nessuno”)

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Il bullismo

• deumanizzazione: la vittima viene rappresentata come “meno umana”, priva disentimenti, di sensibilità, di dignità (“è bene maltrattare chi si comporta comeun essere schifoso”) • attribuzione di colpa: la vittima è considerata meritevole delle prepotenze che subisce a causa del suo comportamento

Riferendoci ai contesti ambientali ed alle dinamiche psicologiche di gruppodescritte precedentemente, analizziamo la possibilità di attuare praticamentedegli interventi pratici.Interventi a livello di scuola:• Politica scolastica anti-bullismo• Informazione sulla presenza e sull’eventuale estensione del fenomeno• Condivisione di definizioni, terminologie e strategie di interventoInterventi a livello di classe:• Attività curricolari per sviluppare la consapevolezza e acquisire conoscenze

circa il problema • Percorso sulle emozioni per aumentare la consapevolezza sulle emozioni pro-

prie ed altrui (rabbia, aggressività, gratitudine ecc).• Condivisione di regole per aumentare la responsabilità personale nel rispetto

delle regole comuniInterventi a livello individuale:• Per i BULLI: condanna dei comportamenti di bullismo e colloqui individuali • Per le VITTIME: ascolto, training di assertività e abilità sociali, attività per

migliorare l’autostima

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Il bullismo

• Per i SOSTENITORI: colloqui individuali e di gruppo, attività di gruppo perla consapevolezza sulle emozioni e per la condivisione delle responsabilità edelle regoleInterventi a livello delle famiglie:• Sportello di ascolto per genitori • Coinvolgimento delle famiglie nella fase di conoscenza del fenomeno e di pro-gettazione degli interventi • Percorsi di formazione per gruppi di genitori

9.1.4 Il Cyberbullying

Attualmente possiamo distinguere delle forme di bullismo moderne in quantoattuate attraverso modalità e tecnologie che come sappiamo i giovani conosco-no molto bene. Infatti, attraverso l’utilizzo dei telefoni cellulari, attraverso lechat e internet si possono stabilire interazioni e relazioni “pericolose” che comeabbiamo visto saltano purtroppo agli onori delle cronache.Non da ultimo abbiamo osservato fenomeni preoccupanti che hanno avutoanche una risonanza istituzionale come il reato di stalking recentemente intro-dotto: la persecuzione, le minacce, i pedinamenti ed altre forme di comunicazio-ne come messaggi sms, mail, telefonate minatorie.Per finire...alcune considerazioni e informazioni utili!

...per gli insegnanti...

Può essere utile far compilare questionari e schede agli alunni per l’organizza-zione di giornate ed incontri di dibattito tra insegnanti genitori e ragazzi. Ognitentativo di comprendere le dimensioni e le sfumature del fenomeno è utile.Migliorare l’attività di controllo durante i momenti come la ricreazione e nei luo-ghi comuni come le mense, metterebbe al sicuro le potenziali vittime. Sonoinfatti questi i momenti ed i luoghi a maggior rischio.In genere sono gli studenti più grandi a fare i bulli con i più piccoli. Può essereimportante valutare una divisione degli spazi e dei tempi per le pause. Elogiricompense e sanzioni per modificare i comportamenti spesso non sono suffi-cienti.Spesso si ha timore o vergogna di raccontare personalmente ciò che sta succe-dendo. Potrebbe essere di aiuto, per genitori e vittime, avere un numero ditelefono al quale rivolgersi, oppure si possono istituire modalità per lasciare deibiglietti o segnali con scritto quello che succede; o individuare degli studenti lea-der che aiutino le vittime; o ancora aprire uno sportello psico-pedagogico chesia di riferimento per ragazzi e adulti.

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Il bullismo

La condivisione in classe, tutti insieme, di semplici regole di comportamento sti-mola il lavoro di gruppo ed il confronto. Le regole possono essere esposte inmodo ben visibile perché tutti possano impegnarsi a rispettarle.L’omertà, il silenzio e la segretezza divengono alleati dei bulli. È importante abi-tuare i ragazzi a raccontare ciò che accade e a non nascondere la verità.Se l’insegnante individua un bullo o una vittima, per aiutarlo è necessario parla-re subito con lui di ciò che gli accade.

...per i ragazzi...

Può essere di aiuto raccontare ad un amico ciò che sta succedendo.Quando si viene provocati ci si può allontanare.Se gli altri pensano che si ha paura del bullo e si sta scappando da lui, non preoc-cuparti. Ricorda che nessuno può prendersela con te se non vuoi ascoltarlo.Il bullo si diverte quando si reagisce (arrabbiandosi o piangendo). Se si vieneprovocati, meglio mantenere la calma, non farsi vedere spaventati o tristi.Quando il bullo provoca o fa del male, meglio non reagire facendo a botte conlui. Facendo a pugni, si potrebbe peggiorare la situazione, facendosi del male oprendendosi la colpa di aver cominciato per primo.Non vale la pena bisticciare neanche quando si è vittima di un furto. Al momen-to si può pure che l’altro di prenda ciò che vuole ma è sempre bene raccontaretutto subito ad un adulto.Far capire al bullo che non si ha paura di lui e che si è più intelligenti e spirito-si. Così lo si metterà in imbarazzo e ci lascerà stare.Molte volte le provocazioni avvengono quando si è soli. Se si sta vicino agli adul-ti e ai compagni che possono dare aiuto, sarà difficile che avvengano.Subire prevaricazioni da altri ragazzi fa stare male. Parlatene con un adulto, coni genitori, con gli insegnanti, con il medico. Non si possono affrontare tutte lecose da soli! Se si sa che qualcuno subisce prepotenze, è importante dirlo subi-to ad un adulto. Questo non è fare la spia ma aiutare gli altri. Dovessimo trovar-ci noi in questa situazione saremmo felici dell’aiuto di qualcuno!

...per i genitori...

Per quanto il fenomeno del bullismo sembra essere ancora sconosciuto a moltefamiglie, il disagio potrebbe riguardare da vicino vostro figlio o vostra figlia.Le vittime dei soprusi, parlano raramente con gli adulti delle violenze che subi-scono. Spesso si chiudono in se stessi, esitano a raccontare le proprie giornate,sorvolano su quei fatti che per loro rappresentano una perenne condizione di

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Il bullismo

sofferenza. La ragione più evidente è che hanno paura di subire maggiori vio-lenze per aver “parlato”. I bambini vittime del bullismo si vergognano della pro-pria debolezza, di non saper reagire, di essere il bersaglio preferito di quei ragaz-zi che tutti considerano dei leader e, non ultimo, di essere “quel che sono”.Molto spesso infatti i ragazzi attribuiscono la responsabilità di essere delle vitti-me ai propri difetti fisici, sentendosi inadeguati e “diversi”.I genitori devono imparare a comprendere il proprio figlio più di quanto eglisappia fare da solo. Per riconoscere i segnali di un eventuale disagio, per evitareche rimanga vittima del fenomeno, ma anche per impedire che a trasformarsi in“bullo” possa essere un giorno proprio il loro bambino.

800.66.96.96 Numero Verde antibullismo

In Italia è stato istituito un numero verde antibullismo attraverso il Ministerodella Pubblica Istruzione. A chiamare sono soprattutto genitori e insegnanti(36%-21%), mentre per ora i contatti richiesti dagli studenti sono molto margi-nali (13 %). Si può chiamare per:• Segnalare casi • Chiedere informazioni generali• Chiedere come comportarsi in situazioni critiche • Ricevere sostegno Gli operatori sono disponibili dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle19.

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Profili autori

Letizia BargelliLaureata in Scienze dell’Educazione all’Università di Perugia

Lavora come educatore professionale in una Comunità educativa.

Samantha BonucciLaureata in Scienze dell’Educazione all’Università di Perugia

Dottore di ricerca in Scienze Umane e della FormazioneLavora come Educatore professionale in asili nido.

Fabrizio BosiminiLaureato in Psicologia all’Università di Padova

Iscritto all’Albo Psicologi Regione UmbriaLavora come Direttore in una Comunità educativa.

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