Mercati emergenti e imprese toscane

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Mercati emergenti e imprese toscane. Intervento dell’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata

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Un mio intervento sulla realtà imprenditoriale italiana e le eccellenze del sistema economico toscano, in relazione agli scenari internazionali e ai trend del commercio mondiale. Ci attendiamo grandi opportunità, per le nostre imprese, soprattutto dai trattati internazionali di libero scambio...

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Mercati emergenti e imprese toscane.

Intervento dell’AmbasciatoreGiulio Terzi di Sant’Agata

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È un piacere essere qui a Firenze per dialogare con un pubblico così autorevole di un tema vitale per l'economia del nostro Paese, e per quella della Toscana. Sono particolarmente grato al Presidente Guidi e a Voi tutti per questa opportunità.Siamo alla vigilia delle elezioni europee, dove si confrontano, e certo non solo a Sud delle Alpi, visioni molto diverse: più che su un complessivo processo di integrazione europea che dovrebbe dare all'EU più mezzi nell'affrontare le sfide globali della sicurezza e della pace, il dibattito riguarda la "governance" dell'economia europea, le politiche di crescita, la gestione e il futuro dell'Euro.È un dibattito nel quale la vostra voce è importante e influente perchè Firenze e la Toscana sono una forza traente in Italia e in Europa per il percorso di internazionalizzazione dei comparti produttivi, sostenuti dall'innovazione, dalla ricerca e dalla formazione dei giovani.

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Statistiche pubblicate nelle scorse settimane indicano, ad esempio, un andamento più positivo in Toscana che nelle altre regioni delle iscrizioni universitarie; il Rapporto 2014 sulla situazione occupazionale dei laureati presentato recentemente a Bologna segnala che, su 14.553 laureati dell'Università di Firenze, dopo un anno dalla laurea il 49% ha trovato lavoro, rispetto a una media nazionale del solo 41%; il dato è ancor più significativo se a quel 49% si aggiunge il 35% di coloro che non lavorano perchè impegnati a tempo pieno nei corsi di laurea magistrale; altri dati segnalano per la Toscana una crescente natalità di impresa, nonostante perduranti difficoltà per quanto riguarda aziende in via di liquidazione; e ottimi sono i dati sull’imprenditorialità femminile, ambito nel quale la vostra regione è tra le tre più dinamiche.

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Se guardiamo poi all'andamento dell'export toscano nel "quinquennio di crisi" 2009/2013, notiamo una buona ripresa dell'export riferita all'ultimo quadriennio nel suo insieme, dopo la flessione all' inizio della crisi; c'è stato un aumento medio annuo dell'export attorno al 10%, superiore all'indice nazionale.Proprio questa "eccellenza della Toscana" ci porta oggi ad approfondire il quadro complessivo nel quale le imprese si trovano ad esportare e ad investire all'estero, soprattutto nelle realtà più dinamiche. Realtà nelle quali ho avuto modo di impegnarmi a fondo insieme a molti nostri imprenditori, durante il mio mandato di ministro degli Esteri, con decine di missioni, e altrettante iniziative in Italia destinate ai mercati più promettenti in Asia, Africa, Mediterraneo e Medio Oriente, America Latina. Tra queste, sono particolarmente lieto di aver, in un certo senso, fatto da battistrada in Birmania, Vietnam, Indonesia, Singapore, Brunei, Kuwait, Mozambico, Angola, Etiopia, Somalia; abbiamo intensificato anche in quell'anno e mezzo le iniziative nei BRICS (Brasile, Russia, Cina, Sud Africa), e nelle nuove situazioni emerse nel Mediterraneo con le primavere Arabe. In questo senso, sono stato, e continuo a essere, partecipe e testimone della grande vitalità delle nostre aziende nei mercati emergenti.

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Toccherò principalmente i seguenti aspetti:• A. internazionalizzazione delle nostre imprese durante questi anni di

crisi;• B. opportunità e cautele nell'operare sui mercati emergenti;• C. impulso ai negoziati "macroregionali" per i quali l'orientamento

dei nostri imprenditori è essenziale per le Autorità di Governo. Soprattutto per quanto riguarda il TTIP, UE/Cina; UE/Asean; UE/ America Latina.

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A. INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE NOSTRE IMPRESECirca un mese fa la Banca d'Italia ha organizzato un'importante conferenza in argomento, con la presentazione di studi che hanno alimentato la discussione.Si è partiti dalla premessa, necessaria ma non scontata tra gli economisti, che internazionalizzazione significa non solo l'insediamento di attività commerciali e produttive oltre confine, ma anche l'esportazione,e gli investimenti esteri nel nostro Paese.Una precisazione importante per la realtà italiana, perchè le strategie di "internazionalizzazione" devono certamente comprendere la miriade di PMI che esportano senza localizzare investimenti produttivi o commerciali all'estero, così come le imprese che sono sempre più inserite nelle cosiddette Global Value Chains (GVC).

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A. INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE NOSTRE IMPRESESe ciò riflette le difficoltà che hanno caratterizzato negli ultimi anni il sistema bancario e il credito alle imprese di minore dimensione e finanziariamente più fragili, vi sono indubbiamente concause strutturali che influiscono sulla minor capitalizzazione.Recenti ricerche basate su campioni di aziende manifatturiere interpellate da Bankitalia, evidenziano le diversità strutturali tra le nostre aziende multinazionali e quelle che producono esclusivamente per il mercato interno o che esportano ma senza produrre all'estero.Le multinazionali hanno maggior dimensione, sono più innovative, hanno una più elevata produttività anche in termini di valore aggiunto per addetto, rispetto ai puri esportatori.Tra le motivazioni a investire all'estero, prevale la ricerca dei mercati più dinamici, ed è qui che rileva il discorso sui mercati emergenti e il sostegno fornito dalle istituzioni pubbliche.

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A. INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE NOSTRE IMPRESECirca gli effetti della crisi sui comportamenti delle aziende, le multinazionali hanno avuto migliori "performances" di quelle che esportano solamente, sia in termini di utili, che di fatturato, di occupazione e di produttività.Si è, di conseguenza, consolidata la propensione a spostarsi verso livelli più evoluti di internazionalizzazione, con una migliore tenuta nel fatturato e nell'occupazione. Vi si è associato un maggior impiego di capitale e di lavoro specializzato, con accresciute quote di investimenti in ricerca e sviluppo, e produttività più elevate.Un discorso a parte merita la presenza della imprese italiane nella globalizzazione dei mercati dei prodotti intermedi, le cosiddette Global Value Chains. Se oggi i prodotti sono il risultato di una catena globale del valore, frutto di intermediazioni che travalicano frontiere e continenti, allora si deve constatare quanto si sia trasformato -con l'offshoring, l'outsourcing, il robotsourcing- il modo di fare impresa.

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A. INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE NOSTRE IMPRESESecondo l'OMC più della metà del commercio mondiale di manufatti e tre quarti del commercio di servizi sono prodotti intermedi. Sono perciò necessarie strategie innovative che attraggano le catene del valore nel territorio italiano. Perchè nella competizione risulterà vincente non il Paese che esporta di più,ma il sistema che immette nel prodotto la miglior combinazione di valore e di elementi immateriali. Le imprese fornitrici di beni intermedi sono parse maggiormente coinvolte dalla crisi. Secondo alcune ricerche,sarebbe proprio il nostro diverso posizionamento all'interno delle Global Value Chains a spiegare,in buona misura,il divario di crescita tra Italia e Germania in questi ultimi anni.

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A. INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE NOSTRE IMPRESEPossiamo tuttavia contare su alcuni punti di forza.Anzitutto sul "capitalismo di territorio": un mix di risorse concrete e immateriali, eccellenze produttive, patrimoni culturali, qualità e tipicità.Contiamo anche sui distretti industriali dove la produzione è organizzata su ampia scala geografica;pensiamo per esempio al cluster meccatronica e automotive tra Lombardia, Piemonte, Baviera e Baden Wuerttemberg.Possiamo inoltre contare, nel campo delle grandi opere infrastrutturali nei paesi emergenti, sul miglioramento della nostra capacità ad aggiudicarci appalti finanziati dalla Banca Mondiale, a entrare in partnership con imprese locali, superando criticità che continuano a esistere nei sette più interessanti Paesi per grandi opere infrastrutturali: Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia.

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B) OPPORTUNITÀ E CAUTELE NELL'OPERARE SUI MERCATI EMERGENTI. Il trascorso decennio, inclusi gli anni seguiti al fallimento della Lehman Brothers nel settembre 2008, è stato un periodo di affermazioni considerevoli per gli investimenti e l'esportazione italiana nelle economie emergenti.Il proliferare di acronimi ha dato il polso di un fenomeno che, come avviene da tempo, risponde sì a strategie molto serie, ma anche al diffondersi di aspettative dettate da mode e tendenze non sempre convincenti. All'acronimo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) lanciato da un analista di Goldman Sachs si è aggiunto più di recente quello CIVETS (Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia, Sud Africa) e il metaforico MIST (Messico, Indonesia, Sud Corea, Turchia).

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B) OPPORTUNITÀ E CAUTELE NELL'OPERARE SUI MERCATI EMERGENTI. Una vera corsa ad aggregare mercati che solo parzialmente rivelano omogeneità macroeconomiche,di sviluppo, e di affidabilità politica.Nonostante i successi di molte nostre aziende, con dinamiche esportative ben al disopra delle due cifre di crescita in diversi Paesi BRICS,CIVETS e MIST, l'euforia diffusa sino al 2008 ha ceduto il passo a considerazioni più caute e realistiche.C'è stata, anzitutto, una contrazione della crescita complessiva nel "mondo emergente", tornata nel 2013 al 4%.

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B) OPPORTUNITÀ E CAUTELE NELL'OPERARE SUI MERCATI EMERGENTI. In secondo luogo, l'annuncio da parte della Federal Reserve circa il progressivo ridimensionamento dell'immissione di liquidità monetaria, ha contribuito al ridimensionamento di alcune monete, come quelle turca, indiana,russa, brasiliana e indonesiana (quest'ultima peraltro in netta ripresa da inizio anno), costringendo quelle Autorità monetarie a immediate manovre sui tassi e sui cambi. In terzo luogo, sono emerse: fragilità interne (Turchia); tensioni sul piano internazionale (Russia); paralisi nelle riforme (India); rallentamenti nel ciclo e problematicità nel sistema finanziario (Cina, Brasile); generalizzate difficoltà nell'accesso ai finanziamenti internazionali nel momento in cui la marea monetaria innalzata dalla FED ritornava ad abbassarsi, provocando un deflusso soprattutto dai "cinque fragili" come li ha etichettati, esagerando, Morgan Stanley: Brasile, India, Indonesia, Sud Africa, e Turchia.

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B) OPPORTUNITÀ E CAUTELE NELL'OPERARE SUI MERCATI EMERGENTI. Tutto questo significa che siamo dinanzi al rischio di una crisi generalizzata nei mercati emergenti simile a quella del 1997/98, quando i problemi, sostanzialmente isolati, in Thailandia si tramutarono in un disinvestimento massiccio dai mercati emergenti, nel collasso di alcune valute, in recessione e insolvenza nel debito estero?La domanda è allarmista e provocatoria. Parliamo di mercati che sono oggi assai meno vulnerabili di quindici anni fa, con governi più consapevoli e stabili, anche se non mancano neanche oggi politici compiacenti, corruzione diffusa, indebitamenti d'impresa elevati, sistemi bancari opachi e sovraesposti. Il Fondo Monetario si schiera dalla parte dei moderatamente ottimisti,notando come,diversamente dalla fine degli anni '90, questi paesi dispongano di: cambi flessibili; riserve valutarie enormi, complessivamente pari a circa 8 trilioni di dollari; deficit al disotto del 5% (solo due sui primi 25 sarebbero sopra); debito nettamente più contenuto che negli anni '90 e, in genere, in valuta locale.

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B) OPPORTUNITÀ E CAUTELE NELL'OPERARE SUI MERCATI EMERGENTI. Vero è che la posta in gioco della globalizzazione richiede un livello di attenzione, una capacità di analisi e di "Governance" estremamente elevati.Secondo Morgan Stanley, le grandi aziende europee realizzano ben un terzo delle loro vendite nei mercati emergenti. Il rapporto tende a crescere in ragione della dimensione aziendale. Come ha osservato recentemente l'Economist, con la crisi dei "subprime" e dell'euro l'urgenza di trovare alternative nei paesi emergenti è stata irrefrenabile. Gli IDE in Cina nel 2010 sono raddoppiati rispetto al '98. Le acquisizioni si sono generalizzate. In dieci anni si sono quintuplicate le acquisizioni nei paesi emergenti, mentre il prezzo che gli acquirenti occidentali sono stati disposti a pagare è balzato a più di diciassette volte i profitti operativi, a fronte di un multiplo della metà dieci anni prima. Come conseguenza di tutto ciò l'investimento "equity" delle imprese occidentali nei paesi emergenti e aumentato in poco più di dieci anni è di almeno 3trilioni di dollari, e le acquisizioni di ulteriori 1,6 trilioni.

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B) OPPORTUNITÀ E CAUTELE NELL'OPERARE SUI MERCATI EMERGENTI. La dimensione e il grado di integrazione che caratterizza il rapporto tra economie post industriali e economie emergenti richiede una radicale rimessa in discussione degli strumenti previsionali del passato. Un po' come sosteniamo in molti per quanto riguarda la Governance dell'Euro.Come ha scritto Ruchir Sharma su Foreign Affairs, gli analisti hanno commesso "legioni di errori", al momento del boom degli emergenti: li hanno valutati nel loro insieme, anzichè individualmente; hanno creduto al credito vantato dai Governi nel motivare eccezionali ritmi di crescita, che in buona misura dipendevano anche da fattori esogeni; hanno esagerato l'impatto di singoli "drivers" (demografia, globalizzazione), anzichè privilegiare quelli più complessi; ma soprattutto si sono affidati a estrapolazioni mutuate da una crescita lineare, anzichè ciclica, per di più relativamente breve, di 3/5 anni.

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B) OPPORTUNITÀ E CAUTELE NELL'OPERARE SUI MERCATI EMERGENTI. Ragionare su periodi medio brevi, ma con una visione ampia della complessità, rappresenta il "must" nell'approccio ai mercati emergenti. La chiave della buona politica e dell'affidabilità, risiede nell'equilibrio complessivo: una crescita che non sia troppo dipendente dall'indebitamento; una ricchezza non concentrata esclusivamente tra poche famiglie o settori produttivi, in particolare quelli delle risorse naturali più esposti alla corruzione; una spesa sociale appropriata, perciò nè troppo bassa, ne troppo alta, rispetto ai redditi medi.Queste, in buona sostanza, le ricette che gli analisti più accreditati propongono per i Paesi emergenti ai quali dovremmo guardare con maggior interesse.

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C) IMPULSO AI NEGOZIATI "MACROREGIONALI"La stagione della liberalizzazione globale degli scambi commerciali, degli investimenti e dei servizi sembra aver ceduto il passo ai negoziati di liberalizzazione regionale, nonostante qualche inatteso segno di vita dato dal "Doha round" globale e ai primi risultati ottenuti dal nuovo Direttore Generale brasiliano dell'OMC.La crisi del 2008 ha infatti accentuato l'urgenza di politiche commerciali mirate alla crescita economica. Se tali politiche si pongono anzitutto l'obiettivo di aumentare l'interscambio tra i paesi coinvolti, vi è un altro aspetto ugualmente importante. Quello di far leva sulla liberalizzazione degli scambi per stabilire o rafforzare le regole in materia di protezione degli investimenti, della proprietà intellettuale e dell'innovazione, di tutela dell'ambiente, di sicurezza del lavoro e di lavoro minorile: in altre parole, i negoziati di liberalizzazione a livello regionale puntano al radicamento dello "Stato di diritto" nell'economia globale.

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C) IMPULSO AI NEGOZIATI "MACROREGIONALI"La crescente assertività delle economie emergenti richiede un forte impegno per la convergenza di standard tra "vecchi" Paesi industrializzati e "nuovi attori" dell'economia globale. Si avverte da tempo la necessità di un più equo "playing field", un più equo "terreno di gioco" nella competizione tra imprese e tra i diversi "Sistemi Paese". La diplomazia delle regole è quindi componente essenziale del sostegno al sistema produttivo. Sensibilità per i diritti umani, le condizioni di lavoro e la sicurezza dei lavoratori, attenzione alla condizione femminile e dell'infanzia, contrasto alle pratiche corruttive costituiscono "comportamenti virtuosi" che molte imprese attuano nei mercati emergenti indipendentemente dall'entrata in vigore di accordi internazionali o di norme interne che ne statuiscano l'obbligatorietà. La Corporate Social Responsibility si è notevolmente diffusa. Iniziative nella formazione, educazione, assistenza, sviluppo sostenibile sono diventate sempre più patrimonio dell'esperienza imprenditoriale italiana nel mondo.

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C) IMPULSO AI NEGOZIATI "MACROREGIONALI"Prendersi cura della società in cui si fa impresa, contribuire alla corretta amministrazione della cosa pubblica, a creare una coscienza della legalità,si dimostrano carte vincenti anche se si considerano questi comportamenti esclusivamente da un mero punto di vista economico e di redditività dell'impresa. Robert Eccles, della Harvard Business School, ha confrontato, nel lungo periodo, due diversi campione di aziende: da un lato quelle ad "alta sostenibilita", con strategie strutturate in senso "virtuoso; dall'altro quelle a "bassa sostenibilità", perchè indifferenti a tali preoccupazioni nei territori in cui operano. Ebbene, Eccles ha potuto quantificare un ritorno economico nettamente superiore, tra il 25% e il 35%, per le aziende ad "alta sostenibilità", rispetto alle altre. Correttamente l'Unione Europea ha fatto propria questo modello di business, inserendolo quale elemento preferenziale negli appalti pubblici, oltre che come fattore di competitività.

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C) IMPULSO AI NEGOZIATI "MACROREGIONALI"Per giungere al rilancio degli scambi commerciali e degli investimenti, da un lato, e per ottenere standard comuni che integrino veramente i mercati europei, americani, asiatici e latinoamericani stanno negoziando una serie nutrita di accordi di libero scambio, ampi nella loro "estensione" geografica e tematica, e tuttavia non a riferimento globale. I negoziati di maggior significato sono il TTIP (commercio, investimenti e partenariato) tra Ue e Usa; il TTP (commercio e partenariato) tra Usa e Paesi asiatici, esclusa la Cina, il FTA (libero scambio) tra Ue e Celac (America Latina e Caraibi), e quelli che Usa e Ue hanno recentemente concluso con Corea del Sud, Colombia e Perù.

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C) IMPULSO AI NEGOZIATI "MACROREGIONALI"Per giungere a standard comuni dobbiamo promuovere alleanze con i Paesi con cui condividiamo valori e interessi. Anche e soprattutto per questo la Transatlantic Trade and Investment Partnershi tra Europa e Stati Uniti è così importante: non solo per integrare ulteriormente l'economia euroatlantica, quasi la metà del Pil mondiale, generando una crescita aggiuntiva stimata in almeno 100 miliardi di Euro annui; il TTIP è altrettanto importante per consolidare regole di comportamento e principi -in altre parole la Governance- dell'economia e della finanza globale.In questo senso, la TTIP costituirà, se giungerà al traguardo, un "polo gravitazionale" per l' affermazione di regole condivise con le economie emergenti.A tale obiettivo mirano più direttamente un po' tutti gli altri negoziati dell' Ue e degli Usa che ho ricordato.

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C) IMPULSO AI NEGOZIATI "MACROREGIONALI"Quelli in corso con la Cina, in particolare, possono avere riflessi profondi -come ha recentemente notato l'ex Presidente della Banca Mondiale, Zoellick- sullo stesso processo di riforme all'interno del Paese.Trattati che prevedano parità condizioni agli investimenti esteri, trasparenza, lotta alla corruzione, con regole che impediscano discriminazioni, nazionalizzazioni o espropri arbitrari, e liberalizzino i movimenti di capitale per un ampio spettro di investimenti produttivi, stimolerebbero le riforme interne in Cina. Infatti sarebbe irrealistico immaginare la sopravvivenza di pratiche discriminatorie tra imprese cinesi, in presenza di meccanismi che garantiscano invece parità di trattamento tra le imprese nazionali e quelle estere. E Zoellick stima che i benefici si avvertirebbero soprattutto per le PMI.

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C) IMPULSO AI NEGOZIATI "MACROREGIONALI" La "rete di negoziati" che si sta cercando di tessere tra Atlantico e Pacifico costituisce, per i motivi che ho cercato di delineare, una straordinaria opportunità da cogliere. Credo che sia essenziale il sostegno convinto e l'indirizzo di tutte le realtà produttive del nostro Paese.Negli ultimi cinque anni la globalizzazione ha proseguito la sua corsa, nonostante la crisi, e ha accelerato ulteriormente gli scambi. Le flotte portacontainers sono aumentate del 50%. Gli utenti di Internet sono passati da 1,5 a 3 miliardi. La popolazione delle città è aumentata di altri 380 milioni. Soltanto nei mercati asiatici la "middle class“ -corrispondente alla fascia di reddito che ha decisiva importanza per la domanda aggregata - comprende oggi 525 milioni di consumatori. Tra quindici anni questa stessa "middle class" sarà quadruplicata, con 2,7 miliardi di consumatori, sei volte di più di quella che dovrebbe essere la "middle class" americana, sempre tra quindici anni.

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C) IMPULSO AI NEGOZIATI "MACROREGIONALI“

Sono proiezioni affidabili ed estremamente eloquenti per l'impegno che dobbiamo riservare alla competitività del nostro sistema produttivo nei mercati emergenti, e per l'impegno che dobbiamo riservare alla costruzione di una Governance globale equa e affidabile.

Grazie per l’attenzione.