MATEMATICA E......... DANTE

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Armando Bertinetti MATEMATICA E......... DANTE LA COMMEDIA DEI NUMERI VISIBILI E NASCOSTI INDICE Vai a premessa: Il numero-oggetto Il numero-idea Il numero-natura e armonia Vai a NUMEROLOGIAe GEMATRIA - il 666 IL NUMERO NEI LATINI, NEL CRISTIANESIMO, IN VIRGILIO E IN DANTE Vai a: I LATINI Vai a: I CRISTIANI Vai a: VIRGILIO Vai a: DANTE E VIRGILIO Vai a: DANTE - LA COMMEDIA - LE RIME E LE CONCORDANZE I NUMERI NASCOSTI: Vai a POSIZIONE E NUMERO DEI VERSI PROFETICI: CASO O SCELTA POETICA ? Vai a: IL 3 IL 4 E IL 5 NELLE RIME IN DIO BIBLIOGRAFIA Premessa: Il numero-oggetto -- Il numero-idea -- Il numero-natura e armonia Ripartiamo da Pitagora

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Armando Bertinetti

MATEMATICA E......... DANTE

LA COMMEDIA DEI NUMERI VISIBILI E NASCOSTI

INDICE

Vai a premessa: Il numero-oggetto Il numero-idea Il numero-natura e armonia

Vai a NUMEROLOGIAe GEMATRIA - il 666

IL NUMERO NEI LATINI, NEL CRISTIANESIMO, IN VIRGILIO E IN DANTE

Vai a: I LATINI Vai a: I CRISTIANI

Vai a: VIRGILIO Vai a: DANTE E VIRGILIO

Vai a: DANTE - LA COMMEDIA - LE RIME E LE CONCORDANZE

I NUMERI NASCOSTI: Vai a POSIZIONE E NUMERO DEI VERSI PROFETICI:

CASO O SCELTA POETICA ? Vai a: IL 3 IL 4 E IL 5 NELLE RIME IN DIO

BIBLIOGRAFIA

Premessa: Il numero-oggetto -- Il numero-idea -- Il numero-natura e armonia

Ripartiamo da Pitagora

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Una tra le più importanti manifestazioni filosofico-scientifiche, la concezione cioè che la matematica ha a che fare con astrazioni, può essere attribuita con una certa sicurezza ai pitagorici. Di questi non ci sono pervenute opere scritte; ciò che si conosce di loro è stato ricavato dagli scritti di altri autori e le notizie che da questi si possono ricavare non ci forniscono sicurezze su quanto può essere attribuito a Pitagora [ di lui dice Apuleio. “uomo di eccezionale erudizione e che aveva a modello Omero, poeta multisciente, anzi, di un sapere assolutamente universale”(De Magia,XXI )], oppure ai suoi discepoli o ai suoi seguaci. Ne consegue che quando si parla dell'opera di Pitagora che “primo assunse il nome di filosofo”( De Magia, IV), bisogna in realtà fare riferimento a tutto quanto, attraverso altre fonti, viene attribuito al gruppo di coloro che lo circondarono nella scuola che aveva fondato a Crotone e a tutti coloro che ne seguirono l'insegnamento, in particolare a cavallo del periodo che si estende dal 550 al 400 a. C. Fu durante questo arco temporale che si impose la filosofia del numero-idea in un processo di progressiva affermazione. In principio, all'inizio dell'opera pitagorica, i numeri venivano considerati quali componenti ultime degli oggetti materiali. Nella Metafisica, Aristotele (Libro I,V, 296a) scrive ”Anteriori e contemporanei a questi filosofi [ Talete, Empedocle, Eraclito, Anassimene, Anassagora, Democrito, citati nei passi precedenti del suo trattato ] sono i cosiddetti Pitagorici, che si dedicarono per primi alle matematiche, facendole progredire. Nutriti delle stesse, credettero che matematici fossero i principi di tutte le cose.....Insomma, supponevano che i numeri fossero i principi di tutta la natura [986 a] e che gli elementi numerici costituissero tutti gli enti e che tutto il cielo fosse armonia e numero... Orbene, è evidente anche che costoro concepiscono il numero come principio, considerandolo sia come materia delle cose esistenti sia come costitutivo delle affezioni e degli stati di queste..”. Come Talete diceva che era l'acqua e Anassimene l'aria, Pitagora e i pitagorici affermarono dunque che il numero era la sostanza dell'universo mosso da leggi costanti e numerabili.

Inizialmente per i pitagorici i numeri non avevano ancora dunque un' esistenza autonoma, del tutto distinta dagli oggetti sensibili, e l'affermazione pitagorica di un universo la cui l'essenza è numero, dove tutti gli oggetti sono composti da numeri, numeri come atomi, deve essere intesa in senso letterale. Nel primo pitagorismo il numero non è quindi una quantità propriamente astratta, ma qualcosa da cui discende l'essenza delle cose, anzi, è la vera sostanza e la materia dell'intero cosmo, poiché, se il numero è dovunque, l'universo esiste grazie al numero; è il numero che ne costituisce l’ordine e l’armonia, presentandosi come una virtù intrinseca e attiva dell’Uno Supremo, il Demiurgo, sorgente dell’anima del mondo e dell’armonia universale. Un verso del Paradiso ( XV, 57 ) dice:

Raia da l’un, se si conosce, il cinque e il sei -Vedi: L’uno, il cinque e il sei. http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/argoment/Matematicae/Giu_04/Cap7.html

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Se ben si considera, ogni numero deriva dall’uno, radice di ogni cosa; il 2 è perciò il primo vero numero da cui, tramite l’uno, deriva il tre e il quattro, ma anche dal due, che lo genera e da questo è generato ( 2+2=4, 2x2=4, 22=4 e 4-2=2, 4:2=2, √4=2 ). L’uno è il punto, e nell’uno e nel punto è adombrato il Creatore ( Primus autem numerus est binarius; unitas enim …numerum non est, sed fons et origo numerorum [Ars geometrica-Severino Boezio]; poiché ogni numero è generato dall'Uno, l'Uno è di necessità il principio universale, il padre dei numeri e degli esseri, padre e demiurgo del mondo. Nessuna meraviglia se questo concetto resiste fino al Rinascimento ed oltre se anche un filosofo di ieri, Giordano Bruno, certamente pitagorico, ne parla in proposito sostenendo che l'Uno è il principio di tutto, anzi, è tutto (De la causa, principio et uno Uno “ Uno è l'universo, infinito, immobile, una è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o l'anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo et ottimo...”). Il 2 è il numero dei punti che traccia la linea, 3 sono i punti che identificano il piano e 4 sono quelli che generano e chiudono lo spazio nel tetraedro. Sommati, l’uno, il due, il tre e il quattro danno il 10, la decade perfetta della tetractis su cui prestavano giuramento i pitagorici e che chiamavano “ sorgente della inesauribile natura “; ecco, come, riportata dal Dantzig (Le nombre. Paot, Paris 1931, pag. 127), risuona la preghiera dei pitagorici che adoravano la divina tetrade costituita dall’uno, dal due, dal tre e dal quattro, la cui somma è 10: “BENEDICI A NOI, O NUMERO DIVINO, TU DA CUI DERIVANO GLI DEI E GLI UOMINI. O SANTA, SANTA TETRADE, TU CHE CONTIENI LA RADICE, LA SORGENTE DELL’ETERNO FLUSSO DELLA CREAZIONE. IL NUMERO DIVINO SI INIZIA CON L’UNITA’ PURA E PROFONDA, E RAGGIUNGE IL QUATTRO SACRO; POI PRODUCE LA MATRICE DI TUTTO, QUELLA CHE TUTTO COMPRENDE, CHE TUTTO COLLEGA; IL PRIMO NATO, QUELLO CHE GIAMMAI DEVIA, CHE NON AFFATICA, IL SACRO DIECI, CHE HA IN SE’ LA CHIAVE DI TUTTE LE COSE”.

Dal 2 e dal 3, o dal 4 e dall’ 1, discende il 5, ed è dei pitagorici la conoscenza della relazione tra i numeri 32 + 42 = 52 già nota agli Assiro-babilonesi, agli antichi Indù e agli egiziani, che anche trovarono altri rapporti che davano luogo a triangoli rettangoli; ma il 3, il 4 e il 5 sono i soli numeri consecutivi legati da tale relazione; per questa ragione tale triangolo coi lati 3, 4 e 5 veniva considerato sacro, e mistica l’essenza dei tre numeri, la cui somma, il 12, veniva, come il 10, considerata numero perfetto. A questi numeri, e non solo a questi, Dante, nel suo poema, dà molta importanza, come vedremo in seguito, dimostrando la sua vocazione per la numerologia e l’affezione al simbolismo pitagorico, dando ancora seguito al valore e al significato di questo triangolo già così importante per i pitagorici e per lo stesso Platone che gli attribuisce pure il potere di determinare le sorti di una forma di governo (Repubblica, libro VIII, III,545-547, c) e, in base al quale (detto anche triangolo cosmico), tramite calcoli rivolti ad individuare un particolare numero detto “ numero nuziale “ ( che governa cioè il numero delle nascite ), anche Platone, come Pitagora, ha inteso dire che tutta la vita cosmica è regolata da un’armonia esprimibile in leggi matematiche.

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E' Filolao ( V secolo a. C.) che riassume il concetto pitagorico di “ CONCORDIA DISCORS “, quando asserisce che l’armonia è l’unità del multiplo, è l’accordo del discordante (il nostro contrappunto musicale), è l’identità tra le cose e il numero, quando asserisce che tutte le cose che sono a nostra conoscenza hanno un numero, poiché è impossibile che qualsiasi cosa possa essere conosciuta o immaginata senza numero. E’ da questa concezione del cosmo che prende corpo il concetto di numero-idea, concetto ripreso appunto da Platone: le proprietà matematiche dei numeri si idealizzano proprio nel rapporto tra il “ numero “ e “ l’essere “, riconducendo il caos apparente ad un sistema ordinato ( cosmo ),armonico e comprensibile.

In tal senso pitagorico che Platone racconta per voce di Timeo (vedi http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/argoment/Matematicae/Giugno_03/Cap3.html ) come la creazione del mondo da parte del Demiurgo avvenga in base ad una legge di armonia ( il logos ) universale, alla quale si assimilano in consonanza le leggi che stabiliscono l’armonia tra i numeri1. Così, seguendo tali leggi viene ripartita l’anima del mondo, procedendo dai pari ( iniziando dal 2 ) e dai dispari ( iniziando dal 3 ), ma implicitamente procedendo dall’Uno Supremo, via via caratterizzando le sue varie parti tramite suddivisioni successive basate sulle leggi matematiche dalle quali derivano i numeri che rappresentano gli intervalli dei suoni nell’ottacordo diatonico dorico. Questo procedimento si riconduce alla concezione pitagorica della corrispondenza natura-numero-armonia, la quale implicitamente afferma l’intelligibilità da parte dell’uomo delle leggi del creato per consonanza naturale, in quanto all’uomo, in grado di intendere l’armonia musicale strumentale, è consentito comprendere l’essenza di un universo con il quale è in sintonia e di cui e immagine somigliante. E' la natura matematica dell'armonia cosmica, per l'inesprimibile provvidenza del dio artefice, che forma l'anima del mondo, ed è proprio in tal senso che la concezione pitagorica del cosmo non è solo ordine matematico, ma è anche bellezza, armonia, poiché armonia e ordine non possono essere disgiunte; i pitagorici portano così l’armonia dei suoni anche nei cieli, dove le sfere celesti risuonano di una armonia perfetta. E’ ancora Platone a ricordarcelo [ Repubblica, il mito di ER, X,617b]. Si riconosce in Dante questa immagine pitagorica quando, all’inizio della sua salita ai cieli, resta attonito non solo per l’enorme luce, ma anche per la magica armonia musicale dovuta a “Colui che tutto muove”: ( Paradiso, I, 76 )

Quando la rota che tu sempiterni

Desiderato, a sé mi fece atteso

1 Apuleio, pitagorico e platonico, [nel suo De Magia (158 d.C), XLIX] ci parla di Platone e del Timeo affermando

come il filosofo Platone, nel suo preclarissimo Timeo, con eccelsa eloquenza costruì il piano di tutto l'universo, sot-tolineando questa sua qualità a sostegno della quale afferma ( De Magia, XV) che lo stesso Demostene la attinse da Platone in quanto suo scolaro; la notizia data da Cicerone ( De Off. I,4;De Orat. I, 20 ) è informazione di dubbia at-tendibilità.

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Con l’armonia che temperi e discerni,

Parvemi tanto allor del cielo acceso

Dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume

Lago non fece mai tanto disteso

Quando la ruota dei cieli che tu, in quanto da essi desiderato, fai girare eternamente con quell’armonia{ proveniente dalle sfere celesti } che temperi {che reggi componendola di vari suoni: l’armonia che temperi è espressione tecnica e musicale: temperare indica l’atto dell’accordatura di uno strumento a corde come la lira, cfr. le sante corde/ che la destra del cielo allenta e tira di Par. XV, 5-6, } e discerni { in quanto assegni a ciascuna sfera la sua parte; preciso riferimento alla moderazione dei numeri per mezzo dei quali, secondo la teoria pitagorica, vengono stabiliti i rapporti matematici che organizzano lo spazio sonoro } richiamò la mia attenzione, parvemi..{ al suono si aggiunge ora la luce: a Dante il cielo sembra essere acceso dalla fiamma del sole per una immensa estensione quale mai si era vista in terra }.

Nell’Inferno si entra per lamenti feroci, per canti si entra nel Purgatorio, e nel Paradiso si sale accolti dall’armonia di tutti i cieli. In questi versi Dante, sulla traccia di quel che ne scrisse Cicerone nel Sogno di Scipione ( parte finale conservatasi del VI libro della Repubblica e conosciuto nel Medioevo ), fa quindi rivivere l’antica opinione di Pitagora che le sfere celesti, ruotando nello spazio, con i loro suoni, dovessero dar luogo ad una dolcissima armonia che si diffonde per tutto il creato: anche Scipione Emiliano ascolta la musica delle sfere, e come Dante ne chiede ragione alla sua guida ( Somnium Scipionis, 18: Scipione Emiliano, detto Africano minore, vi racconta un sogno da lui fatto vent'anni prima, durante la terza guerra punica; in esso gli era apparso l'avo adottivo, Scipione Africano Maggiore, il quale, dopo avergli predetto le imprese gloriose e la morte prematura, gli aveva mostrato lo spettacolo grandioso delle sfere celesti, rivelandogli che l'immortalità è una dimora in cielo, nella via Lattea, premio riservato dagli dei alle anime dei grandi uomini.) Tale racconto, la cui cosmologia è imbevuta di reminiscenze pitagoriche e platoniche (Timeo) , si può assimilare al mito di Er, figlio di Armenio, di schiatta panfilia, che troviamo ( X, XIII,b) ne La Repubblica di Platone, a cui la Repubblica di Cicerone sembra anche volersi richiamare:

‘Quid?  Hic  -­‐‑  inquam  -­‐‑  quis  est,  qui  complet  aures  meas  tantus  et  tam  dulcis    sonus?’  ‘Hic  est-­‐‑  inquit  -­‐‑  ille,  qui  intervallis  disiunctus  imparibus,  sed  tamen  pro  rata  parte  ratione  distinctis,  impulsu  et  motu  ipsorum  orbium  efficitur  et  acuta  cum  gravibus  temperans  varios  aequabiliter  concentus  efficit;  nec  enim  silentio   tanti   motus   incitari   possunt,   et   natura   fert,   ut   extrema   ex   altera  parte  graviter,  ex  altera  autem  acute  sonent. ….........Illi autem octo cursus, in

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quibus eadem vis est duorum, septem efficiunt distinctos intervallis sonos, qui numerus rerum omnium fere nodus est; quod docti homines nervis imitati atque cantibus aperuerunt sibi reditum in hunc locum......

Che è ciò? Che cosa è questo suono così intenso e dolce che riempie le mie orecchie? Questo è, disse, quel (suono) che separato da intervalli diversi tra loro ma tuttavia distinti in modo razionalmente proporzionale, si forma per l’impulso e il movimento delle stesse sfere e (che) contemperando le note acute con le gravi ne fa nascere accordi vari ma armonicamente equilibrati; né infatti movimenti così grandiosi possono compiersi in silenzio e la natura esige che le (sfere) estreme producano toni gravi da una parte, e dall’altra (producano) toni acuti..................Le otto orbite, poi, all'interno delle quali due hanno identica potenza, producono sette suoni separati da intervalli, il cui numero, possiamo dire, è il nodo di tutte le cose; imitandolo, gli uomini esperti di strumenti a corde e di canto si sono aperti la via per ritornare qui.... Il moto delle sfere è regolato da un criterio matematico ed il suono che producono non potrà che essere divinamente armonioso in base al fatto che, come ragguagliano i testi di ascendenza pitagorica e platonica, spesso il matematico e il divino coincidono. Ed è notevole che Dante abbia fatto posto ad una opinione riprovata da Aristotele e concordemente respinta da tutta la tradizione aristotelica del Medioevo (De Caelo, II 9, 290 b 12 ); in questo trattato, già tradotto nel medioevo in latino, e che doveva essere ben noto a Dante, Aristotele passa anche in rassegna le argomentazioni pitagoriche e platoniche usate per sostenere che i pianeti emettono suoni trovandole molto poetiche ma assurde, dal momento che egli riteneva il silenzio un attributo dei corpi celesti ), segno della libertà con la quale Dante ha operato anche rispetto ai suoi maestri.

NUMEROLOGIA E GEMATRIA

Il numero, venne considerato dunque come l'ordinatore dell'Universo e, come tale,

dono divino, insieme alla scrittura. La molteplicità degli eventi venne così ricondotta

all'unità dei numeri, che sembrarono essere il principio della realtà.

Ecco dunque che i numeri (interi) si caricarono di un significato indipendente dalla

loro numerosità e molti di essi assunsero addirittura caratteristiche umane. La ricerca

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dei significati simbolici, occulti e mistici racchiusi nei numeri, che prende il nome di

numerologia, intervenne anche nell'interpretazione dei segni e dei presagi che

individuano il volere degli dei. Ogni popolo ebbe i propri numeri sacri: sei, sette,

ventotto, quaranta erano i numeri sacri agli ebrei, il sessanta ed i suoi multipli erano

preferiti da babilonesi e persiani; Pitagora ed i suoi seguaci videro la perfezione di un

numero intero nell'essere uguale alla somma di tutti i suoi divisori escluso il numero

stesso ( 6 = 1 + 2 + 3 ; 28 = 1 + 2 + 4 + 7 + 14; 496; 8128... ). I numeri perfetti furono

inizialmente studiati dai pitagorici. Un teorema enunciato da Pitagora e dimostrato

da Euclide rivelò che, se 2n+1 - 1 è un numero primo, allora 2n · (2n+1 – 1) è

perfetto (con n=1: 21+1 - 1 = 4-1 = 3, “numero primo”; 21· (21+1 – 1) = 21· (22- 1) = 6

6 =1+2+3, “numero perfetto”).

Successivamente Eulero dimostrò, in un lavoro (ID., De numeris amicabilibus, in

“Commentarii Arith.”, II (1849), 627-36 = Opera postuma, I (1862), 85-100 =

Opera, (I), V, 353-65) pubblicato postumo, il converso del teorema di Euclide: “ ogni

numero perfetto pari è della forma 2n · (2n+1 – 1) con il secondo fattore primo ”.

Per esempio: il 28 = 1+2+4+7+14 = 22· (23 – 1) è un numero perfetto pari” ,

e 23 – 1 = 8 – 1 = 7, è“numero primo”.

Da questo risulta che ogni numero perfetto pari è anche necessariamente un numero triangolare, osservando che: a) 2n · (2n+1 – 1) si può scrivere nella forma seguente:

2n(2(n+ 1)− 1)= [(2(n+ 1)− 1)(2(n+ 1)− 1+ 1)]2 = [k (k+ 1)]

2 avendo posto k = (2n+1 – 1), e che b) l'n-esimo numero triangolare si può ottenere con la formula di Gauss:

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NT = n(n+ 1)2 dove abbiamo n al posto di k ,

e sapendo che in matematica un numero triangolare è un numero poligonale rappre-sentabile in forma di triangolo ( preso un insieme con una cardinalità, quantità di elementi pari al numero in oggetto, è possibile disporre i suoi elementi su una griglia regolare, in modo da formare un triangolo rettangolo isoscele o equilatero, e poiché ogni riga del triangolo è costituita da un numero di elementi pari all'indice della riga e contiene un elemento in più rispetto alla riga precedente, si può constatare che la formula per ottenere l'n-esimo numero triangolare corrisponde a quella per il calcolo della somma dei primi n termini della progressione aritmetica di ragione 1).

Sono numeri triangolari: 1,3,6,10,15,21,28.............

La numerologia non può essere ovviamente considerata parte della matematica ed an-

zi è relegata (insieme all'astrologia, alla lettura delle carte, agli oroscopi ) nell'ambito

della superstizione, ma, in pratica, in luoghi e tempi diversi, a quasi ogni numero fu

attribuito un significato occulto. Ma non dimentichiamo comunque che:

.la genesi di tutta la scienza si può far risalire alla contemplazione di queste influenze

occulte. L'astrologia precedette l'astronomia, la chimica si sviluppò dall'alchimia, e la

teoria dei numeri ebbe come precursore una specie di numerologia che perdura fino ai

nostri giorni in presagi ed oscure superstizioni altrimenti inspiegabili.

[da Dantzig, T, “Il numero - linguaggio della scienza”, La Nuova Italia – Firenze

pag. 41]

La Gematria fu una delle forme più diffuse della numerologia.

Ad ogni lettera dell'alfabeto greco ed ebraico non solo era associato un suono, ma

anche un numero in base allo schema seguente, che mostra come alle lettere dalla

prima alla nona vengono attribuiti i numeri da 1 a 9, e a quelle dalla decima alla

ventesima vengono attribuiti i valori 10, 20, 30... fino a 100; infine si va di 100

in...100,....da.....200.....a.......900.

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La somma dei numeri associati alle lettere di una parola era il numero della

parola.

Fin dal Medioevo si sostiene che gran parte dell'Antico Testamento è in codice, e anche la teologia cristiana si è interessata ad alcuni numeri, tra i quali il più famoso è proprio il 666 , numero triangolare di 36, il quale è, a sua volta, triangolo di 8.

Questo numero, che compare nell'Apocalisse di Giovanni e si presenta, sottinteso ma di importanza significativa, anche, come vedremo, nella Commedia di Dante, rappresenta l'Anticristo (la Bestia) : "Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia, perché esso è un numero d'uomo; e tale numero è

sei centinaia, tre ventine e un sei". (13, 16-18) L'enigmatica descrizione della Bestia ha comportato molte differenti interpretazioni

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da parte dei numerologi che ancora oggi si danno un gran da fare per trovare il nome

del personaggio corrispondente a quel numero, e che, come si può immaginare, può

venire spesso attribuito con vari artifici, a chi si desidera. Il 666 è stato anche

attribuito a Maometto, a Stalin; a Benedetto XI (1240-1303 ) per bocca di Ubertino

da Casale, al quale Umberto Eco fa dire ( 2^ed. Bompiani, “Il nome della rosa”, pag.

70 ) : << "…..Ma il numero della bestia, se ne leggi il nome in lettere greche, è

Benedicti!” Mi fissò per vedere se avevo capito e alzò un dito ammonendomi."

Benedetto XI fu l'Anticristo proprio, la bestia che ascende dalla terra! Dio ha

permesso che tale mostro di vizio e di iniquità governasse la chiesa...>> (però, a

quanto risulta, fu l'unico papa di quel periodo sul quale Dante non espresse nessun

giudizio negativo) e all'epoca delle grandi dittature europee vi fu anche chi lesse nel

666 un riferimento a Benito [Mussolini], [Adolf] Hitler e [Francisco] Franco (tutti

nomi di 6 lettere). La lista potrebbe proseguire,

Il Numero della bestia è 666 – William Blake ma tra i nomi più accreditati associati a questo numero, troviamo quello di Nerone per la persecuzione contro i cristiani, e, per identico motivo, quello di Domiziano.

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L'Apocalisse si presenta come la rivelazione di Gesù Cristo fatta al suo discepolo Giovanni durante il suo esilio sull'isola di Patmos (nel dodecanneso), e tradizionalmente la sua redazione viene attribuita a questo discepolo durante la persecuzione scatenata proprio dall'imperatore Domiziano contro i cristiani intorno al 95 d. C. L'attribuzione del 666 a Nerone appare dunque poco convincente, dal momento che, contemporanea al tempo della stesura dell'Apocalisse, la persecuzione dei cristiani era appunto quella dall'imperatore Domiziano (81- 96), quando Nerone era ormai morto da più di 25 anni (68 d. C.). Se l'anticristo fosse stato Nerone, non avrebbe avuto senso la profezia, dal momento che sarebbe stata pronunciata quando da cinque lustri doveva essersi già verificata con l'avvento dei mille anni del regno del Messia ( Apocalisse20,2 “ Egli [l'angelo] afferrò il dragone, il serpente antico, cioè il diavolo, Satana, lo legò per mille anni e lo gettò nell'abisso,.....- e i martiri e coloro che non furono marchiati dalla bestia e non l'adorarono - ..tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni “ ). La questione poi, pone anche l'accento sulla scelta della lingua, se il greco (l'Apocalisse è stata scritta in greco) o l'ebraico, in base alla quale considerare il valore alfanumerico del 666, e questo ovviamente comporta conclusioni disparate, poiché lo stesso numero può essere decifrato in diversi modi; l'unico modo per sapere davvero a chi si riferiscano le profezie, se ascoltiamo il parere di Ireneo da Lione (Teologo del II secolo, padre della dogmatica cattolica nell'antichità cristiana ) è, ammesso che si verifichino, aspettare che succedano.

IL NUMERO NEI LATINI, NEL CRISTIANESIMO, IN VIRGILIO E IN DANTE

I LATINI

Numerista, oltre che pitagorico, fu Cicerone, che del 7 affermava, come abbiamo già

visto, che era il nodo di tutte le cose ( qui numerus rerum omnium fere nodus est ) e

che richiama ne Il Sogno di Scipione, VI,II ( Quando infatti la tua età avrà

compiuto per otto volte sette interi giri intorno al sole, E QUESTI DUE NUMERI,

ENTRAMBI PER DIVERSE RAGIONI RITENUTI PERFETTI, con naturale vicenda

avranno condotto al termine la somma degli anni a te stabilita dal destino...è questo

l'anno climaterico ).

Climaterico, scalare, scala da non potersi superare senza difficoltà, viene detto

ciascun settimo anno della vita umana, perché ogni sette anni si credeva avvenisse

una grande mutazione, e pericolosissima, nel corpo umano; si tratta di una dottrina

che risale a Pitagora ed alla sua scuola, che stimava il nono settenario essere il più

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pericoloso, e che per questo veniva detto il gran climaterico; pericolosi di morte

venivano ritenuti tutti gli anni 49, 56 , 63 e 70 formati di settenari.

E numerista fu Ovidio, che spesso cita il 3 e nei (sott. Dies)Fasti(III,121 e seg.) indica il 10 e i suoi multipli come propizi per Roma. Ovidio riprende la tradizione, a dire il vero non universalmente condivisa, secondo cui Romolo sarebbe stato l’autore del primo calendario romano, un calendario lunare in cui l’anno corrispondeva a dieci lunazioni.

Annus erat decimum cum Luna receperat orbem: hic numerus magno tunc in onore fuit,

seu quia tot digiti, per quos numerare solemus, seu quia bis quinto femina mense parit,

….....................

da parte sua Ovidio commenta che Romolo doveva essere più bravo come guerriero che come intellettuale esperto di astronomia, ma lo assolve ; la rozzezza culturale dei suoi tempi lo avrebbe indotto a ragionare empiricamente più che a fare calcoli complicati, e racconta infatti che:

Si contava un anno allorquando la luna completava la decima orbita: questo numero veniva allora tenuto in grande considerazione,

sia perché tante sono le dita con le quali siamo abituati a contare, sia perché una donna porta a termine una gestazione al decimo mese,

….......................................... e poiché anche i senatori erano cento divisi in dieci gruppi di dieci e una legione era composta da trenta manipoli suddivisi in tre gruppi di dieci (10 hastati, 10 principes, 10 pilani o triarii), Romolo stabilì che anche l'anno doveva durare 10 mesi, per poter essere di perfetta durata, dal momento che perfetto è il 10.

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E numerista e pitagorico fu Apuleio, che nelle Metamorphoses(XI,1), a proposito del 7, fa raccontare a Lucio di quando si purifica per rivolgere la preghiera all'onnipotente Luna-Dea, e gli fa dire: laetus et alacer exsurgo meque protinus purificandi studio marino lavacro tardo septiesque summerso fluctibus capite, quod eum numerum praecipue religionibus aptissimum divinus ille Pythagoras prodidit, deam praepotentem lacrimoso vultu sic adprecabar.. Lieto e arzillo balzai in piedi e mi tuffai in mare per purificarmi. Sette volte immersi il capo nell'acqua, poiché questo numero, secondo il divino Pitagora, più di ogni altro fa parte del rituale nelle cerimonie religiose, e, con il volto rigato di lacrime, così pregai l'onnipotente divinità. E numerista fu anche Orazio: leggiamo nell'Ode III,19 dedicata a Glicera la cui bellezza aveva avvinto il poeta ( I,19: la luce di Glicera mi arde, che splende pura più del marmo di Paro ): da.................................................... ….................... :tribus aut novem miscentur cyathis pocula commodis? Qui musas amat imparis, ternos ter cyathos attonitus petet vates; tris prohibet supra rixarum metuens tangere Gratia nudis iuncta sororibus: .................................................... me lentus Glycerae torret amor meae. Versa in fretta........tre o nove misure si versano? Uno che ama il numero trino delle Muse, il poeta, in delirio, ne domanda tre volte tre misure, ma, per timore di violenze, la Grazia, insieme alle ignude sorelle, vieta che se ne bevano più di tre. …...........: e Glicera come una languida fiamma mi consuma. I numeri del triangolo sacro assumono un particolare significato non solo singolarmente ma anche sommati due a due: in tal senso abbiamo il 9 = 4+5 ed il 7 = 3+4; sommando il quattro con il cinque si ottiene il nove, che è la dinamis, la potenza del perfetto tre; il sette è l'ebdomade, anche detto numerus virginalis, poiché non ha madre in quanto numero primo e come tale non generato, e poi perché, moltiplicato per il numero più piccolo, il due, già determina un numero che è oltre la decade. Al sette resta associato il mistero. Il termine hebdomas, nel latino classico, indica il numero sette, il settimo giorno, il numero critico delle malattie e delle età; non la “settimana”, divisione del tempo sconosciuta agli antichi pagani; solo in seguito assume tale significato presso i cristiani.

I CRISTIANI Nel trecento e assai prima gli studiosi delle Scritture ne interpretarono i passi dando

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importanza ed evidenza a questi numeri e ad altri, ed esprimendo nel merito significazioni associate ovviamente a valori cristiani; sono tutti quei numeri che Agostino ha indicato come spirituali, invariabili ed eterni e dominati dall'Unità come ad esempio accade per il tre , che, come numero romano, si scrive III, dove il principio, il mezzo e il fine sono ciascuno l' unità, ed è comprensibile che il tre sia stato assunto quale simbolo dell'essenza una e trina della divinità. In quanto al 7, il numero che più di tutti ricorre nel Vecchio testamento e nell'Apocalisse, anch'esso viene inteso come simbolo di Dio (in quanto unione della trinità, rappresentata dal tre, con il mondo, rappresentato dal quattro ( ..Dopo questo vidi quattro angeli in piedi ai quattro angoli della terra, che trattenevano i quattro venti della terra – Apocalisse 7;1) ; il 24 viene tirato in campo per significare la creazione in base prodotto 4x6 ( i 4 elementi per i 6 giorni della creazione ) e il settimo giorno di riposo è il sigillo alla creazione; nell’Apocalisse tutto si svolge attorno a questo numero: sette le chiese, sette i candelabri, sette i sigilli, sette le trombe, sette le coppe dell'ira di Dio, sette le stelle, sette gli spiriti. Salomone impiegò 7 anni per costruire il tempio di Gerusalemme. Sette sono le virtù ( Fede, speranza, carità e giustizia, temperanza, prudenza e fortezza ), 7 i doni dello Spirito santo ( Sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio ), 7 sono i principali Arcangeli del cristianesimo, 7 sono i sacramenti ( Battesimo, cresima, confessione, comunione, unzione degli infermi, ordine e matrimonio ); e poi 7 sono i peccati capitali, 7 sono i libri dell'Eptateuco ( sette libri ) nella Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, Giosuè, Giudici; i primi 5 sono detti di Mosè e vanno dalla creazione del mondo alla morte di Mosè ); 7 è il numero delle età del mondo. Il 12, numero degli Apostoli, per S. Agostino è la Vera Chiesa, opera di uomini

chiamati dalle quattro parti del mondo, e del battesimo conferito nel nome di Dio in

tre persone, Padre, Figlio e Spirito Santo ( 4x3=12 ); con le moltiplicazioni e con le

addizioni sono state rivendicate curiose interpretazioni articolate, come quella del 77

che simboleggiava, per S. Agostino, la purgazione finale dei peccati: facendo il

prodotto 7x11, con il 7 che rappresenta le età del mondo, e l'11 che simboleggia la

trasgressione, dal momento che supera di una unità il perfetto 10 (De consensu

Evangelistarum, II, cap. IV, 13); ed il 20 era il numero dei giusti dei due Testamenti,

avendo per fattori i 4 Vangeli e i 5 libri di Mosé ( i primi 5 della Bibbia ); molte

altre combinazioni per altri significati sono state, senza esitazione, concepite per

dimostrare corrispondenze significative che altrimenti non sarebbe stato possibile

dimostrare.

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VIRGILIO Numerista fu Virgilio, qui, per noi, il più significativo di tutti, poiché Dante lo riconosce come suo maestro e guida, ed è da lui che dice di aver ripreso il “bello stile che gli ha fatto onore”:

tu se' lo mio maestro e 'l mio autore; tu se' solo colui da cu' io tolsi lo bello stilo che m'ha fatto onore. (Inf. I, 85) Su questo «bello stilo» la critica letteraria ha scritto e discusso molto, ma ha in generale riconosciuto, mettendo a confronto lo stile di Virgilio e quello di Dante, che le differenze sono palesi e, in particolare, in Dante, mancano le espressioni retoriche e le iperboli magniloquenti, proprie della poesia epica. Possiamo dunque ipotizzare che ciò cui allude Dante sia riferito al modo di esprimersi proprio di una letteratura iniziatica, in cui la costruzione letteraria procede in base a correlazioni ermetiche legate alla numerologia simbolica. Virgilio si manifesta pitagorico e numerista; già nelle Georgiche ( I, 410 ) troviamo il tre e il quattro quando nel primo libro racconta il mito di Niso, re di Megara e della figlia Scilla, che tradisce il padre e la città sotto assedio da parte di Minosse, il re di Creta, del quale si era innamorata; Niso aveva un ciuffo di capelli rossi che lo rendevano invincibile ed immortale, ma Scilla tradì il padre tagliandogli nel sonno il ciuffo rosso e così Megara cadde in mano a Minosse. Niso venne trasformato dagli dei in aquila marina e Scilla, che non venne ripagata da Minosse, il quale anzi la fece legare alla prua della sua nave, venne trasformata dagli dei compassionevoli - come il padre - in un altro uccello marino, il ciris (l'airone ), a cui l’aquila marina abitualmente dà la caccia); così:

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altissimo, nell’aria serena, compare Niso, e Scilla paga lo scotto del ciuffo rosso, perché dovunque essa fuggendo fende l’aria leggera con le ali, ecco che l’atroce nemico, Niso, la insegue per aria con grande stridore, e dove per aria si porta Niso, là essa, fuggendo rapidamente, fende con le ali l’aria leggera. Allora

In quel torno di tempo i corvi emettono tre o quattro volte a gola chiusa voci gracchianti, e spesso negli alti ricoveri strepitano fra di loro tra il fogliame,

allietati da non so quale straordinaria contentezza. “Tum liquidas corvi presso ter gutture voces

aut quater ingeminant, et saepe cubilibus altis, nescio qua praeter solitum dulcedine laeti, inter se in foliis strepitant;...... Il pitagorismo numerologico si riconosce poi fortemente nell'ecloga quarta delle Bucoliche su cui tanto si è scritto; la composizione virgiliana presenta simmetrie di tipo pitagorico, costruita come è attorno al profetico numero sette :

versi 3 + 14 + 28 + 14 + 4 L'egloga appare composta sotto il consolato di Asinio Pollione, protettore di Virgilio, nel 40 a. C. ; i commentatori antichi pensavano che il puer esaltato nell'egloga fosse un figlio di Pollione; si è pensato anche ad Augusto o all'attesa di un figlio di Antonio e della sorella di Augusto Ottavia. La voluta oscurità del carme ha fatto pensare anche ad una predizione della venuta di Cristo, così intesa nell'interpretazione allegorica cristiana che vedeva ( Ecloga III,93 ) nel serpente il Diavolo e nell'erba ingannatrice la dottrina pagana. Tutto parte della profezia della Sibilla Cumana, richiamata poi nell'Eneide ( III,441 e VI,42 ) [ o anche da quella di Esiodo, detto Cimeo dalla sua prima patria, Cuma in Eolide ].

Ultima Cymaei venit iam carminis aetas, ( IV, 3 ) magnus ab integro saeclorum nascitur ordo

Ora è giunta l'ultima età della profezia cumana, riprende da capo il grande ciclo dei secoli

Si tratta della credenza nel Grande Anno, di durata variamente calcolata in diverse migliaia o anche in alcuni milioni di anni, già sostenuta da astrologi etruschi e da filosofi accademici e stoici, diffusasi a Roma in quegli anni da culti misterici di sette pitagoriche; secondo tale dottrina la vita umana sarebbe scandita in Magni Menses ( grandi cicli ) che prendono il nome dai metalli ( l'oro, l'argento, il ferro...), e, al ciclo finale, retto dal Sole, tornerebbe a succedere, con identica disposizione degli astri e delle cose umane, al ciclo iniziale: l'età dell'oro retta da Saturno. Notiamo poi che nell'Ecloga, in tutto, si hanno sessantatré ( 63 ) versi, numero che, applicato alla vita umana, corrisponde, come si è già detto, all'anno climaterico che occorreva superare per avere lunga vita. Si potrebbe già vedere, attraverso queste

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considerazioni, quanta influenza avesse il pitagorismo nel mondo romano, e come Publio Virgilio Marone ne sia stato uno dei principali rappresentanti. Prendiamo ancora, a titolo di esempio, alcuni versi dell'Eneide, opera in 12 libri: 12 sono i cigni che, sfuggiti all'uccello di Giove, salvi, scherzano con l'ali sonore: Aspice bis senos laetantis agmine cygnos, (I,393) aetheria quos lapsa plaga Iovis ales aperto turbabat caelo; nunc........ ut reduces illi ludunt stridentibus alis. E tre e quattro volte Giuturna ( sorella di Turno ) in lacrime, accorata, piange timorosa per la sorte del fratello che si accinge ad affrontare Enea ( XII,154):

…...cum, lacrimas oculis Iuturna profundit terque quaterque manu pectus percussit honestum.

quando Giuturna dagli occhi profonde lacrime e tre e quattro volte percosse con la mano il bel petto

Nel testo domina il 3 e il 7. Il misterioso il terque quaterque, rimasto anche nel Medioevo nel Trivio e Quadrivio della cultura compare già nel primo libro del poema nei versi : ...........…................... terque quaterque beati, (I,94) quis ante ora patrum Troiae sub moenibus altis contigit oppetere!............................................. E tre e quattro volte beato chi ebbe la fortuna di morire davanti agli occhi di suo padre sotto le mura di Troia! E tre e quattro volte Didone, affranta, percuote il bel petto con la mano quando inveisce contro lo straniero che ha deriso il suo regno: (IV,589) terque quaterque manu pectus percussa decorum!... Il 3 c'è nel primo duello tra Enea e Mezenzio ( X,783,4,5 ):

Tum pius Aeneas hastam iacit; illa per orbem aere cavum triplici, per linea terga tribusque

transiit intextum tauris opus,imaque sedit inguine,sed viris haud pertulit.

Allora il pio Enea lancia l'asta; ella, attraverso il cavo cerchio di triplo bronzo,

attraverso gli strati di lino, opera intessuta di tre (pelli di) tori trapassò e si fermò in fondo all'inguine, ma non entrò con violenza.

e il 3 ancora si ripete nel secondo duello con Mezenzio ( X,873 ), che cerca Enea e lo chiama tre volte a gran voce: ..Atque hic Aeneam magna ter voce vocavit. E 3 ancora sono le picche che Mezenzio ( X,882 ) scaglia contro Enea: “ , telumque intorsit in hostem; inde aliud super atque aliud figitque volatque ingenti gyro, sed sustinet aureus umbo.- Così parlò e un'asta scagliò sul nemico; e poi un'altra, e

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un'altra ne infigge, e via vola in un gran giro. E 3 volte ( X,885 ) girando a sinistra galoppò intorno ad Enea, aste scagliando; e 3 volte con sé l'eroe teucro muove una selva immane sopra le piastre di bronzo: ter circum astantem laevos equitavit in orbis tela manu iacens, ter secum Troius heros immanem aerato circumfert tegmine silvam. Il 3 compare ancora ( XI,631 ) nella battaglia tra Etruschi e Rutuli: Tertia sed postquam congressi in proelia totas implicuere inter se acies legitque virum vir,.......Ma quando al terzo scontro s'attaccarono e tutte mescolarono le schiere, e scelse ogni uomo il suo uomo,... e il 9 (=3x3=4+5) si presenta quando, tra i Rutuli l'indovino Tolumnio scaglia l'asta che, volando, colpisce uno dei nove figli, fratelli bellissimi, dell'arcadio Gilippo (XII,270): Hasta volans, ut forte novem pulcherrima fratrum corpora constiterant contra, quos fida crearat una tot Arcadio coniunx Tyrrhena Gylippo,.. E 7 sono le navi superstiti con cui Enea trova ricovero ( Huc septem Aeneas Collectis navibus omni ex numero subit;.. ) (I,170): qui Enea, raccolte sette navi di tutto il numero, entra... e 7 sono gli anni durante i quali i profughi vanno raminghi (I,755) (...nam te iam septima omnibus errantem terris et fluctibus aestas.)

e 7 sono le volte che, con 7 giri, il serpe si avvolge intorno al tumulo di Anchise, Dixerat haec,adytis cum lubricus anguis ab imis ( V, 84 )

septem ingens gyros, septena volumina traxit amplexus placide tumulum lapsusque per aras

Aveva detto queste cose, quando dai luoghi più profondi una serpe enorme, viscida, trasse sette cerchi, sette giri abbracciando placidamente il tumulo e scivolando tra gli altari..... e 7 sono i giovani (e le giovanette) ( VI,21) visti da Enea sui battenti del tempio dedicato ad Apollo presso i segreti recessi della Sibilla cumana, da sacrificare dandoli in pasto al Minotauro( Androgeo, figlio di Minosse venne ucciso da giovani Ateniesi durante i giochi ginnici per la sua evidente supremazia atletica, e Minosse, dopo aver sconfitto i Cecropidi (gli Ateniesi, dal nome del primo mitico re fondatore di Atene), li obbligò ad un tributo annuo di sette giovani e sette giovanette)

In foribus letum Androgeo; tum pendere poenas Cecropidae iussi (miserum!) septena quotannis

corpora natorum;............................................... e 7 sono i giovenchi e 7 le agnelle del sacrificio (VI,37-39). Deifobe, la Sibilla cumana distoglie Enea dalla vista del rilievo e lo invita a fare un sacrificio propiziatorio prima di addentrarsi nell'oltretomba: “Non questo, non stare a mirare vuole il tempo presente, ma da gregge intatto bisogna ora  immolare sette giovenchi e altrettante pecore di due anni scelte secondo il rito”.

“non hoc ista sibi tempus spectacula poscit; nunc grege de intacto septem mactare iuvencos

praestiterit, totidem lectas ex more bidentis”

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e 7 sono nel libro IX i gonfi rami del placido Gange e del fertile Nilo che va rifluendo dai campi e si ritira nell'alveo, immagine che Virgilio richiama in metafora per raccontarci di come Turno , tenendo l'armi, si aggira nell'esercito che andava per le aperte campagne, per poi disporvisi nel centro : Messapus primas acies, postrema coercent (IX,28) Tyrrhidae iuvenes, medio dux agmine Turnus: Messapo comanda l'avanguardia, i figli di Tirro sono alla retroguardia, Turno, il capo supremo si tiene al centro: ceu septem surgens sedatis amnibus altus per tacitum Ganges aut pingui flumine Nilus cum refluit campis et iam se condidit alveo. Così scorre il Gange profondo,silenzioso,coi placidi sette affluenti, così scorre il Nilo dal fertile corso quando abbandona i campi e rifluisce nel suo letto. e 7 e 7 sono i Rutuli capitani egregi ( IX,159):

Interea vigilum excubiis obsidere portas

cura datur Messapo et moenia cingere flammis. Bis septem Rutuli muros qui milite servent delecti,ast illos centeni quemque sequuntur purpurei cristis iuvenes auroque corusci.

( Turno ) a Messapo intanto dà la cura di riguardar, di presidiar le porte, di fuochi intorno circondare le mura. Sette e sette Rutuli guerrieri d'animo forte dovranno sorvegliare le mosse del nemico, ai suoi ordini ciascuno ha 100 giovani fieri dei loro pennacchi purpurei e d'oro lucente. e 7 sono i figli di Forco e 7 i dardi ,che troviamo nel X libro (X,329): ….....…...........................…..............Phorci progenies, septem numero, septenaque tela coniciunt..................................................... e 7 sono i doppi rinforzi dello scudo trapassato nel XII libro. ( XII, 923 ):

…......…................Volat atris turbinis instar exitium dirum hasta ferens orasque recludit loricae et clipei extremos settemplicis orbis;

….....Vola come nero turbine, dura morte l'asta portando, e della lorica straccia l'orlo e dello scudo settemplice l'ultimo giro;...

Il 3 e il 10 sono nei 30 (3x10) porcellini che Enea vede nel luogo in cui, compiuti 3 volte 10 anni Ascanio fonderà Alba:(VIII,42):

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Iamque tibi, ne vana putes haec fingere somnum, litoreis ingens inventa sub ilicibus sus

triginta capitum fetus enixa iacebit, alba solo recubans, albi circum ubera nati.

[hic locus urbis erit, requies ea certa laborum,] ex quo ter denis urbem redeuntibus annis Ascanius clari condet cognominis Albam.

Ecco, perché non pensi che vane forme ti fingano i sogni, la gran scrofa hai trovata, sotto gli elci del lido ti giacerà, partoriti trenta lattonzoli, bianca, sdraiata al suolo, bianchi ai capezzoli i nati.

[questo della città sarà il sito, qui certa la fine dei mali] Per questo, compiuti tre volte dieci anni, qui Ascanio

città dal nome Alba glorioso ti fonderà. E ancor prima troviamo questi numeri nella promessa che Giove fa a Venere (I,254):

Olli subridens hominum sator atque deorum, voltu, quo caelum tempestatesque serenat,

oscula libavit natae, dehinc talia fatur: 'Parce metu, Cytherea: manent immota tuorum

fata tibi; cernes urbem et promissa Lavini moenia, sublimemque feres ad sidera caeli

magnanimum Aenean; neque me sententia vertit. Hic tibi (fabor enim, quando haec te cura remordet,

longius et volvens fatorum arcana movebo) bellum ingens geret Italia, populosque feroces

contundet, moresque viris et moenia ponet, tertia dum Latio regnantem viderit aestas,

ternaque transierint Rutulis hiberna subactis. At puer Ascanius, cui nunc cognomen Iulo additur (Ilus erat, dum res stetit Ilia regno), triginta magnos volvendis mensibus orbis

imperio explebit, regnumque ab sede Lavini

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transferet, et longam multa vi muniet Albam. Hic iam ter centum totos regnabitur annos

gente sub Hectorea, donec regina sacerdos, Marte gravis, geminam partu dabit Ilia prolem.

Inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus Romulus excipiet gentem, et Mavortia condet

moenia, Romanosque suo de nomine dicet.

E a lei sorridendo, il creatore dei numi e degli uomini, col volto con cui rasserena le tempeste ed il cielo,

il bacio sfiorò della figlia,ed ecco che dice: ….................................................................

fin che regnare sul Lazio la terza estate lo veda e sian passati tre inverni dalla sconfitta dei Rutuli.

Ma il piccolo Ascanio........................................ …..................................................................... trenta grandi anni, nel ritmico volger dei mesi,

compirà di comando, e da Lavinio la sede del regno trasferirà, Alba la Lunga munirà con gran forza.

Qui sarà il regno per trecento anni interi sotto la gente ettorea, finché regina vestale, grave di Marte, Ilia partorirà doppia prole.

Allora, fiero del fulvo spoglio della lupa nutrice, Romolo erediterà il popolo, egli fonderà marzie

mura e dal suo nome li chiamerà Romani.

DANTE e VIRGILIO Dopo aver trattato di Virgilio, il riferimento a Dante è scontato, dato il suo l'esplicito atteggiamento nei confronti di colui che ha scelto come guida:

«O de l i a l t r i poe t i onore e lume ( In f . I ,82) vag l iami ' l lungo s tud io e ' l grande am ore

che m'ha fa t to cercar lo tuo vo lume. Tu duca, tu signore e tu maestro! ( Inf. II,140 )

O voi ch'avete gl'intelletti sani, (Inf. IX. 61-63)

mirate la dottrina che s'asconde

sotto 'l velame de li versi strani.

Questi parole ci fanno comprendere come i significati storici, umani, poetici e

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simbolici che si trovano nell'Eneide non certo fossero sfuggiti al Medio Evo cristiano. E meno che mai a Dante, che affida alla propria sensibilità poetica e religiosa l'impresa di illustrare la vicenda dell'uomo in terra e oltre la morte, nella quale si affida all'esperienza di colui che venera come maestro:

Dell'Eneide dico: la qual mamma fummi e fummi nutrice poetando:

sanz'essa non fermai peso di dramma ( Purg. XXI, 97-99 ) Vale quindi anche la pena soffermarsi su una chiave di lettura della Commedia che metta in risalto quegli aspetti legati in particolare all'attenzione che Dante pose nei riguardi dei significati e dei valori della numerologia, e che sembrano, è questa l'impressione, avere anche influenzato la propensione in Dante a far ricorso, in numerosi punti del poema, ai numeri della tradizione pitagorica, latina e cristiana, e ad aver inoltre caratterizzato la struttura ternaria prevalente, a partire dal numero 100 dei canti (costituiti da 1 proemio + 33 +33+33 , in cui riconosciamo i numeri mistici cristiani: il XXXIII contiene tre volte il perfetto dieci e tre volte il perfetto uno e simboleggia anche il Cristo nei suoi anni di vita mortale ) fino alla disposizione, nei versi, delle maggiori profezie e di certe rime che incontriamo nel poema. Vediamo alcuni passi in tal senso indicativi. Ci troviamo nel canto IV dell'Inferno, dove stanno racchiuse le anime dei non battezzati e dove Dante incontra gli Spiriti Magni; Virgilio indica Omero, a cui Dante attribuisce la qualifica di poeta sovrano attingendola da Apuleio ( De magia, XXXII ) , Orazio, Ovidio e Lucano che si fanno incontro a Dante e fannogli onore; poi si avvia verso un nobile castello con quei cinque grandi poeti che, dice Dante, ( Inferno, IV, 101 ):

E più d'onore ancora assai mi fenno Che sì mi fecer della loro schiera,

Sì ch'io fui sesto fra cotanto senno.

Notiamo e non dimentichiamo che il numero 101 del verso, insieme al numero di quelli dei canti che lo precedono, 136, 142, 136, formano il 515; proprio in questo punto, al cinquecentoquindicesimo verso della cantica, Dante si annovera, sesto, tra i poeti. Troviamo anche spesso ripetuto il sette:

venimmo al piè di un nobile castello, sette volte cerchiato d'alte mura,

…............................. per sette porte entrai con questi savi

dove le 7 mura potrebbero rappresentare le tre virtù morali, giustizia fortezza e

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temperanza, la virtù attiva che è la prudenza, e le tre virtù speculative, intelligenza scienza e sapienza; le mura sono di ostacolo ad entrare nel castello, ma coloro che posseggono pregi e virtù possono entrare nel nobile stato riservato ad essi, simboleggiato dal castello, senza sforzo e per le porte aperte. inoltre dal verso 72, per 28 ( 7x4 ) versi, fino al 100, si trovano 7 parole tutte con il significato di onore; anche gli eroi citati sono multipli di 7: Elettra, Ettore ed Enea, Cesare, Camilla , Pentesilea, Latino, Lavinia, Bruto, Tarquinio, Lucrezia, Julia, Marzia e Cornilia, 14 in totale; ed i filosofi, da Aristotele ad Averroè sono 21 ( 7x4 ). Dante usa il 7 anche per indicare approssimativamente un altro numero, come si legge nell'implorazione, rivolta a Virgilio, di non essere abbandonato, quando (Inferno, VIII,97) i demoni che ha visto sulla soglia della porta di Dite si oppongono al suo ingresso, mormorando irati parole minacciose contro di lui:

“ O caro duca mio, che più di sette volte m'hai sicurtà renduta, e tratto

d'alto periglio che 'ncontro mi stette, non mi lasciar,” diss'io, “ così disfatto!.. (Chi le conti, troverà che le volte sono 9)

La presenza del quattro e del tre si può anche rilevare da come, in alcuni passi, vengano descritte le manifestazioni che si presentano a Dante ed il suo stato d'animo di fronte ad esse: mettiamo a confronto, per esempio, il canto dell'Inferno. III,130,( è il canto di Caronte che fa scendere le anime nella barca e le porta all'altra riva ) con quello dell'Inferno, IX,64 ( è il canto in cui Dante e Virgilio varcano la soglia di Dite ) : il primo momento è accompagnato da: spavento, terremoto, vento e luce vermiglia

( è il baleno soprannaturale con cui si palesa la grazia che vince i sensi umani ), mentre il secondo è scandito da:spavento, terremoto e vento. Leggiamo:

Finito questo, la buia campagna ( III,130)

tremò sì forte, che dello spavento la mente di sudore ancora mi bagna.

La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia

la qual mi vinse ciascun sentimento; e caddi come l'uom cui sonno piglia.

E già venìa su per le torbid'onde

un fracasso d'un suon pien di spavento, per cui tremavano ambedue le sponde,

non altrimenti fatto che d'un vento impetuoso per gli avversi ardori,

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che fier la selva e sanza alcun rattento, li rami schianta, abbatte e porta fuori;

In modo esplicito troviamo il tre e quattro nel Purgatorio ( VII, 1) quando Sordello, dopo aver accolto il suo concittadino (Virgilio, che si dichiarò mantovano) ripetendo tre e quattro volte ( il numero di volte rappresenta il trivio e il quadrivio delle arti liberali: grammatica, retorica, dialettica e aritmetica, geometria, astronomia, musica ) la lieta accoglienza , chiede ai due pellegrini ( Dante e Virgilio ) chi essi siano:

Poscia che l'accoglienze oneste e liete furo iterate tre e quattro volte,

Sordel si trasse e disse “ Voi, chi siete?”

Nel primo canto del Purgatorio Dante vede le 4 stelle che sono il simbolo delle quattro virtù cardinali (fortezza, prudenza, giustizia e temperanza); http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/argoment/Matematicae/Giu_04/Cap3.html poi, giunti alla fine dell'Antipurgatorio, superata una valletta fiorita, Dante e Virgilio varcano la porta del Purgatorio ( Purgatorio, canto IX ): procedono da tre gradini (IX, 94; sono il simbolo dei tre gradini della penitenza (secondo la teologia:contritio cordis, confessio oris, satisfactio operis), il primo di marmo bianco, il secondo di pietra scura e il terzo in porfido rosso. E sopra questo, siede sulla soglia l'Angelo di Dio, (l'angelo è il confessore e Dante il penitente;IX, 104), recante in mano una spada fiammeggiante, che sembra avere vita propria. L'angelo, sulla soglia che sembrava pietra di diamante, incide 7 "P" sulla fronte di Dante penitente ( e ad ogni cornice ne sarà cancellata una; questi sette “P” non indicano, riferiti a Dante, i 7 peccati propriamente detti, ma le loro conseguenze; Dante aveva in sé le conseguenze di tutti e sette i peccati che la confessione ha fatto palesi ed ora dovrà procedere alla terza parte della penitenza, cioè alla soddisfazione per mezzo delle opere [satisfactio operis] che egli dovrà compiere passando attraverso i sette gironi del Purgatorio ), poi apre loro la porta tramite due chiavi (una d'oro e una d'argento: quella d'oro rappresenta l'autorità conferita alla Chiesa da Dio di assolvere i penitenti e quella d'argento la conoscenza che il confessore deve avere dell'anima del peccatore e della legge secondo la quale lo giudica) che aveva ricevuto da San Pietro; quindi i due poeti si addentrano nel secondo regno. Il Purgatorio è diviso in 7 'cornici', dove le anime scontano i loro peccati per purificarsi prima di accedere al Paradiso. Nella prima cornice ( dei superbi; Purgatorio, X, 52 ) Dante e Virgilio salgono per una via tortuosa sul primo ripiano del Purgatorio, dove ammirano vari esempi di insigne umiltà intagliati nel marmo ai piedi della parete che sale al secondo ripiano:

un'altra storia nella roccia imposta; ….........................................................

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Era intagliato lì nel marmo stesso lo carro e buoi, traendo l'arca santa. …........................................................ Dinanzi parea gente, e tutta quanta, partita in sette cori...........................

…........................................................ Lì precedeva al benedetto vaso, 64

Trescando alzato, l'umile salmista, E più e men che re era in quel caso.

L'umile salmista è David, che, (trescando alzato = ballando il trescone con le vesti succinte; il trescone è un vivacissimo ballo campestre) posponendo la sua dignità regale, danza per onorare il Signore. La processione mistica a forma di croce ( Purgatorio, XXIX Paradiso terrestre ) è composta da una lunga teoria di figure che si presenterà agli occhi di Dante per gran parte del canto; La processione è aperta da 7 candelabri identificati sul principio erroneamente con 7 alberi d’oro e sono sormontati da 7 fiamme che, come pennelli, dipingono lo spazio sovrastante il percorso della processione mistica con 7 liste dei colori dell’iride; vengono poi 24 seniori (simboli dei 24 libri dell'Antico Testamento), seguiti dai 4 Evangelisti ( 4 animali ognuno pennuto di 6 ali ); le 7 virtù ( 3 da un lato e 4 dall'altro sono le braccia della croce) e in alto sono disposti 2+4+1 ( 7 ) gli altri 7 libri sacri:

(Purgatorio XXIX,43) Paradiso terrestre Poco più oltre, sette alberi d’oro falsava nel parere il lungo tratto

del mezzo ch’era ancor tra noi e loro; ma quand’ i’ fui sí presso di lor fatto,

che l’obietto comun, che ’l senso inganna, non perdea per distanza alcun suo atto, la virtú ch’a ragion discorso ammanna

sí com’ elli eran candelabri apprese e nelle voci del cantare ' Osanna! ' …...................................................

Sì che li sopra rimanea distinto 76 di sette liste, tutte in quei colori

onde fa l'arco il sole e Delia (la luna) il cinto

Paradiso terrestre(Purgatorio XXIX) Ventiquattro seniori, a due a due, 84

coronati venian di fordaliso. Paradiso terrestre(Purgatorio XXIX.92)

Page 26: MATEMATICA E......... DANTE

vennero appresso lor quattro animali, coronati ciascun di verde fronda, ognuno era pennuto di sei ali,

…................................... Tre donne in giro, dalla destra rota, 121

venian danzando................... Dalla sinistra quattro facean festa 130

…............................................... vidi due vecchi in abito dispàri, 134 (Atti degli Apostoli)

…....................................... Poi vidi quattro in umila paruta 142 ( le epistole minori

di Pietro, Giacomo,Giovanni e Giuda )

….............................................. E diretro da tutti un veglio solo, (il libro dell'Apocalisse di Giovanni)

venir, dormendo, con la faccia arguta. E questi sette col primaio stuolo erano abituati..............................

In tutto abbiamo 49 personaggi = 72, potenza del mistico sette. Purgatorio, XXX, Paradiso terrestre: la processione si ferma, e quello dei seniori che rappresenta il Cantico dei Cantici, cantando, invita Beatrice a discendere dal cielo:

E un di loro, quasi dal ciel messo, “Veni, sponsa, de Libano!” cantando, gridò tre volte, e tutti gli altri appresso.

(Vieni, o sposa, dal monte Libano, sono parole del Cantico( IV, 8 ) nel quale si raffigurano allegoricamente le nozze di Cristo con la Chiesa o, in altra interpretazione, l'amore del Creatore per il popolo di Israele).

(Purgatorio, XXXI, 106)Paradiso terrestre

E' il canto della confessione di Dante; ricompaiono (106) le 4 ninfe che in cielo sono le stelle che già abbiamo visto nel Canto I, 23-27 e che, come tali, gli uomini non hanno mai viste risplendere sul loro mondo, se non nei tempi della prima innocenza; la loro comparsa si accompagna così alla figura di Matelda, allegoria dell'innocenza, nel luogo in cui, il Paradiso terrestre, fu innocente l'umana radice.

(Purgatorio, XXXII)Paradiso terrestre

Sempre nel paradiso terrestre, tra le vicende della processione (XXXII, 104-147), troviamo una sequenza di allegorie nelle trasformazioni del carro che rappresenta la Chiesa. La processione si volge verso dove era venuta, e Matelda, Stazio e Dante

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si accodano alla ruota destra del carro, e procedono per un tratto pari a tre tiri di freccia, quando Beatrice scende dal carro: (Purgatorio, XXXII, 34)

Forse in tre voli tanto spazio prese disfrenata saetta, quanto eràmo rimossi, quando Beatrice scese.

Il carro viene poi legato all'albero del bene e del male. Dante si addormenta e si sveglia al richiamo “ Surgi! Che fai?”(72) e vede attorno a sé Matelda e Beatrice (98)circondata dalle 7 virtù, qui con l'aspetto di 7 ninfe che reggono sette lumi ( i sette doni dello Spirito Santo), che “ in cerchio le facevan di sé claustro ”. Poi Beatrice dice a Dante (104)

“.. al carro tieni or gli occhi e quel che vedi, ritornato di là, fa' che tu scrive.”

Appare un'aquila..., una volpe famelica...e un drago che, come uscito dalla terra, conficca la coda nel carro e ne trascina via una parte del fondo; il carro si trasforma in un mostro mai visto prima, con sette teste, 3 con 2 corna e 4 unicorni; 10 in tutto.

(XXXII, 143) Mise fuor teste per le parti sue,

tre sovra il temo e una in ciascun canto, le prime eran cornute come bue,

ma le quattro un sol corno avean per fronte: simile mostro visto ancor non fue.

Siamo ora all'inizio della terza cantica:

(Paradiso, I,37) Surge a' mortali per diverse foci

la lucerna del mondo, ma da quella che quattro cerchi giugne con tre croci, con miglior corso e con migliore stella

esce congiunta, e la mondana cera più a suo modo tempera e suggella.

Il sole, che sorge da diversi punti dell'orizzonte, quando sorge da quel punto preciso nel quale , intersecandosi, 4 cerchi formano 3 croci, sorge con maggiore virtù. I 4 cerchi e le 3 croci sono, anche in questo caso, il simbolo numerico delle virtù cardinali e teologali, con il cerchio che rappresenta la divinità e la croce l'umanità di Cristo(approfondimenti:http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/argoment/Matematicae/Giu_04/Cap3.html )

Immancabile, anche il π è ripetutamente presente, visibile e nascosto, nella Commedia(approfondimenti:http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/argoment/Matematicae/Giu_04/Cap4.html ). Alla fine della terza Cantica Dante ci presenta il trono dei beati, la Mistica Rosa, scelta in quanto fiore mistico delle liturgie cristiane. Nella Rosa ( Paradiso, XXXI, XXXII ), anche le donne nominate da Bernardo sono sette (7) (Maria, la Regina alla quale sono devoti tutti gli angeli e i beati, Eva, Rachele sposa di Giacobbe, Sara

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moglie di Abramo, Rebecca moglie di Isacco, Iudit che liberò gli Ebrei assediati da Oloferne uccidendolo e Ruth dalla quale discenderà David). Evidente infine è il contrapposto della parola STELLE con cui

Dante chiude tutte e tre le cantiche della Commedia: nell'Inferno: E quindi uscimmo a riveder le stelle. nel Purgatorio: Puro e disposto a salire alle stelle.

e nel Paradiso:L'Amor che muove il sole e l'altre stelle.

DANTE – LA COMMEDIA - LE RIME E LE CONCORDANZE

Nella COMMEDIA, poema in 3 cantiche di 33 canti più 1 canto di “proemio”, i versi sono endecasillabi (14233 in totale) in terzine a rima alternata; 4720 sono i versi dell'Inferno, 4755 nel Purgatorio e 4758 nel Paradiso. Ricaviamo il numero di rime ripartite per ogni cantica ; un criterio per contarle può essere il seguente: 1 )osserviamo che il 1° e il 3° verso in ogni canto formano una rima, 2 )il terzultimo e l'ultimo anch'essi formano una rima. 3 )Per i restanti versi di ogni canto vale il ritmo delle terzine concatenate: ogni tre versi si hanno due rime. Per cui potremo dire che il numero di rime per ogni canto è dato dal:

[(n° totale dei versi del canto – 4 ) : 3] x 2 + 2

Il n° di rime per le tre cantiche è dato da ∑ i da 1a34 (n° rime cantoi dell'Inferno) = 3124

∑ i da 1a33 (n° rime cantoi del Purgatori = 3148 ∑ i da 1a33 (n° rime cantoi del Paradiso) = 3150

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la cui somma ci fornisce i n° totale delle rime che risulta pari a : 9422, e rispetto alle quali “ SAPER SI CONVIENE CHE RIMA SI

PUO' DOPPIAMENTE CONSIDERARE; CIOE' LARGAMENTE E STRETTAMENTE”. (CONVIVIO, IV,2)

Un aspetto che si presenta come qualcosa di connaturato alla lirica dantesca, per quanto riguarda la legge del numero, è una sorta di sensibilità rivolta all'armonia e alla simmetria, come si può rilevare dalla disposizione numerica delle rime, sia quelle in senso stretto, cioè connotate da “ quella consonanza che nell'ultima e penultima sillaba far si suole “, sia quelle in senso largo “ per tutto quello parlare che in numeri e tempo regolato in rimate consonanze cade “. Per riconoscere queste ultime “ rime a distanza “ si possono considerare alcuni periodi ritmici tra le profezie sparse per le cantiche. Si tratta in generale di particolari posizioni di simmetria secondo cui si presentano le profezie, o di salti, intervalli, secondo i quali vengono regolate le note che avessero tra loro un nesso di complementarità, o apparissero come fasi di un medesimo avvenimento o fossero legami di parentela. Dante ha distanziato in numeri e tempo regolato le profezie e le note più significative della trilogia, purché avessero tra loro una di queste caratteristiche.

POSIZIONE E NUMERO DEI VERSI PROFETICI: CASO O SCELTA POETICA ?

Il famoso 666 Dell'Apocalisse di Giovanni e il 515 (cinquecentodiecicinque), numero che abbiamo visto riferito al canto XXXIII del Purgatorio, sono i due numeri scelti da Dante per misurare questi intervalli. Dunque Dante, come Giovanni, sceglie un numero, però non per indicare la bestia satanica dell'Evangelista, ma l'inviato celeste che caccerà la lupa nell'inferno; e non a caso Dante collocò l'omaggio alla su persona proprio al verso 515. Per dare un'idea di ciò, tanto per fare un esempio, osserviamo come tra la profezia di Ciacco sulle future sorti di Firenze ( culminante nei vv. 777 e 778, Inferno,VI, 52-58 )

Voi, cittadini, mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, …...............................................

e il sogno premonitore che avverte Dante di sciagure per la sua patria (VV. 3341-3442, XXVI, 8-9) tu sentirai di qua da picciol tempo

di quel che Prato, non ch'altri ti agogna corrono 2664 versi, che sono esattamente la somma di 4 lunghezze di 666 versi ciascuna. Ora il numero è ordine, è armonia, e quindi Dante adopera il numero, che è perfezione, nell'architettura del suo poema.

E cominciò: “ Le cose tutte quante (Paradiso, I, 103) hanno ordine fra loro e questa è forma

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che l'universo a Dio fa somigliante. E' Beatrice che espone la dottrina dell'ordine universale che fa l'universo simile a Dio, il quale regolò tutte le cose in modo che ciascuna serva alla perfezione dell'altra. Con identica cura , potremmo forse dire in conformità con l'opera di quel Dio che regolò tutte le cose con numero peso e misura, Dante colloca con simmetria perfetta le tre maggiori profezie del poema: quella del Veltro, quella del Cinquecento dieci cinque e quella del Novenne. Vediamo: 1 ) Il “Veltro” che verrà della profezia virgiliana citato ai versi 101-102 a partire dal principio della cantica dell'Inferno,

Molti son gli animali a cui si ammoglia, e più saranno ancora, infin che il Veltro 101

verrà, che la farà morir con doglia. 2 ) con il DXV indicato nella profezia di Beatrice (Purgatorio, XXXIII, 43) nei versi 101-102 muovendo a ritroso dalla fine della cantica del Purgatorio,

…...un cinquecento dieci e cinque Messo di Dio anciderà la fuia

3 ) insieme alla profezia del fanciullo “Novenne” di cui Dante intese da Cacciaguida “cose incredibili a quei che fien presente”, che occupa il posto centrale nella cantica del Paradiso (XVII, 76), in modo che 2371 versi precedono e 2372 seguono le parole del vaticinio, che a Dante è lecito riferire, indicano una precisa scelta della posizione; che tali simmetrie siano state solo effetto del caso fortuito pare lecito escluderlo, ma, per avere un'idea che questa possa essere un'opinione attendibile, proviamo a calcolare, in termini di probabilità, quella che indichi credibilmente fino a che punto la loro particolare collocazione si possa far risalire al caso, oppure no.

Paradiso

Novenne

Inferno Purgatorio Veltro DXV Iniziamo con l'esaminare le posizioni del Veltro e del DXV. Prendiamo dapprima in esame la Probabilità che si verifichi una simmetria tra le due profezie, anche in posizione diversa da quella che troviamo nel poema: I versi dell'Inferno più quelli del Purgatorio ( 4720+ 4755 ) sono 9475; escludendone una parte che, per ragioni di argomentazione poetica, possono

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essere destinati all'incipit della prima cantica e alla conclusione della seconda, diciamo i primi e gli ultimi 110, ne rimangono 9255, all'interno dei quali può collocarsi la simmetria in questione. La profezia del Veltro consta di 11 versi, e di 12 quella del DXV. QUANTIZZIAMO I VERSI RESTANTI IN PACCHETTI DI ESTENSIONE CIRCA PARI A QUELLI DELLE PROFEZIE, e sia ciascuno di questi formato da 12 versi; otteniamo così ≈ 772 pacchetti. Seguono le indicazioni relative alle sistemazioni simmetriche che convergono dalle posizioni estreme a quelle centrali nelle sequenze possibili; ciascuna simmetria stabilita per la posizione di V (Veltro) e D (DXV), rimane tale quando combinata con ciascuna delle permutazioni dei pacchetti rimanenti, che sono pari a 770! V1 ( 770! ) D772 V1 è il primo pacchetto di versi e D772 è l'ultimo V2 ( 770! ) D771 V2 è il secondo pacchetto di versi e D771 è il penultimo V3 ( 770! ) D770 V3 è il terzo pacchetto di versi e D770 è il terzultimo V4 ( 770! ) D769 …............................................ …................. …............................................. …................... …............................................. V385( 770! ) D387 sono i due pacchetti in posizione centrali e ogni riga presenta l'indicazione di una singola simmetria che può presentarsi 770! volte, poiché, con essa, 770! sono le possibili sistemazioni dei rimanenti 770 pacchetti di versi : ciascuna simmetria di posizione prefissata per le due profezie è associata a tutte le possibili permutazioni degli altri pacchetti.

Le possibili posizioni di simmetria risultano essere 385, quindi I casi favorevoli risultano essere pari a 385 x 770!

I casi possibili sono individuati dalle permutazioni dei 772 pacchetti = 772!

per cui P = 385× 770 !772 ! =

385772× 771 ≈ 0,0006468 ≈

11546

Si può assumere questo dato come quello che indica la probabilità, veramente molto piccola, che le due profezie cadano in posizione simmetrica. Se poi si vuole il dato che indichi la probabilità che le due profezie cadano nella loro specifica posizione simmetrica allora la probabilità diventa decisamente più bassa, poiché i casi favorevoli corrispondono solo a quelli della V1 ( 770! ) D772 conV1 primo pacchetto di versi e D772 ultimo; otteniamo:

P =1x770 !772! =

1772x771 =

1595212

Avremmo potuto procedere nel calcolo ricorrendo alla P composta ( è come se in un mazzo di 772 carte, scoprendole una dopo l'altra, volessimo scoprire alla

Page 32: MATEMATICA E......... DANTE

prima alzata una carta unica contrassegnata con V , e solo all'ultima alzata, scoprire un'altra carta unica contrassegnata con D. Ecco cosa ne viene: 1772

770771

769770

768769 …

4.. ,34231211 ; l ' ultimo fattoredella sequenza è la P certache esca D

Ogni numeratore si semplifica con il denominatore del fattore che lo segue a partire dal secondo numeratore con il terzo denominatore, e lasciando solo, come risultato delle semplificazioni, proprio:

1772x771 =

1595212 come ci aspettavamo.

Passiamo ora alla profezia del Novenne, e proviamo a calcolare la Probabilità che i 15 versi nei quali Dante riporta la profezia di Cacciaguida risultino situati esattamente nella sequenza dei 15 versi centrali del Paradiso. 1 ) 4758 sono i versi del Paradiso. 2 ) I 15 versi nei quali Dante riporta la profezia di Cacciaguida potrebbero scivolare lungo tutti i versi del Paradiso, cioè lungo i ( 4758 – 15 ) 4743 versi. 3 ) Se consideriamo i versi del Paradiso a pacchetti di 15, ne calcoliamo 317. 4 ) Un pacchetto è quello della profezia, e poi ci sono gli altri 316. 5 ) Il pacchetto della profezia deve quindi essere preceduto da 158 pacchetti e seguito dagli altri 158. Il pacchetto della profezia potrebbe quindi assumere fortuitamente una qualunque delle 317 collocazioni possibili, e pertanto la probabilità che ne

assuma una in particolare, nel nostro caso quella centrale, vale P = 1317 .

Possiamo anche vederlo in altri modi: Prendiamo 317 carte (= pacchetti) nelle quali c'è un solo asso (= profezia): pescando una carta dopo l'altra, calcoliamo la P di pescare l'asso alla 159a pescata. Ne risulta:

P = (316317

315316

314315 ........

159160

1159 ) x (

158158

157157

156156 .......

2211 ) = 1

317 , avendo semplificato, nella prima sequenza in parentesi, il numeratore di ogni frazione con il denominatore della frazione che la segue fino alla 159a; dopo, si può osservare come la seconda sequenza in parentesi si possa considerare superflua, poiché, come indica ogni frazione a fattore, in ogni pescata la probabilità che non esca un asso è certa, dal momento che l'unico asso è già stato pescato. Potremmo anche rifare il calcolo facendo ricorso alle permutazioni:

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Le modalità per i pacchetti di presentarsi in sequenza sono pari alle permutazioni - 317! - , e questi sono i casi possibili. I casi favorevoli sono quelli delle modalità di disporsi dei 316 pacchetti, avendo escluso dal totale quello della profezia, che in parte precedono e in parte seguono la posizione in cui si trova appunto quello della profezia. Osserviamo anche che , qualunque sia la posizione richiesta per questo pacchetto, il risultato non cambia. Se dovesse presentarsi per 4° avremmo:

316317

315316

314315

1314

313313

312312 ......

2211 =

1317

Se dovesse presentarsi per 8° avremmo:

316317

315316

314315

313314

312313

311312

310311

1310

309309

308308 ......

2211 =

1317

Identico risultato che in entrambi i casi possiamo indicare come:

316!317! =1317

Si può ancora, a questo punto, credibilmente sostenere che la disposizione di queste tre profezie sia casuale ? O no? Se prevale ancora il dubbio sulla casualità o meno della posizione di certi versi del cui parlare potremmo ritenere “da numero e tempo regolato in rimate consonanze”, vediamo alcuni esempi di come altri gruppi di profezie ( secondarie rispetto alle precedenti ) si trovino collocate nella prima cantica a partire dalla profezia del Veltro:

PROFEZIE

NUMERO DEL VERSO

CONTANDO DAL PRINCIPIO

DELL'INFERNO

INTERVALLI

VIRGILIO ( I, 106 ) Di quell'umile Italia fia salute.........

106

CIACCO ( VI,65 ) Verranno al sangue....

772

Dopo 666 versi

CIACCO ( VI,72 ) Come che di ciò pianga e che ne adonti

779

FARINATA (X,79) Ma non cinquanta volte fia raccesa

1294 Dopo 515 versi

Page 34: MATEMATICA E......... DANTE

FARINATA (X,81) .che tu saprai quanto quell'arte pesa

1296

BRUNETTO (XV,64) Ti si farà per tuo ben far nimico

1962 Dopo 666 versi

BRUNETTO (XV,70) La tua fortuna tanto onor ti serba,

1968

NICOLO' III (XIX,53) “........Sei tu già costì ritto, Bonifazio?

2483 Dopo 515 versi

NICOLO' III (XIX,77 Verrà colui ch'io credeva tu fossi

2507

CAMISCION DE' PAZZI ( XXXII,69 )

Ed aspetto Carlin che mi scagioni

4354 Dopo 1847 versi = 666+515+666

Altri intervalli si ottengono tramite combinazioni tra il 666 e il 515. Prendiamo in esame quei versi in cui Dante registra il suo nome o suoi antenati o le sue qualità e cerchiamone gli eventuali collegamenti:

ñ Il verso ( Inferno, IV,101 ), il cinquecentoquindicesimo contato dall'inizio della cantica, come abbiamo già visto, riporta l'omaggio fatto a Dante dai maggiori poeti.

ñ Arriviamo al verso 8995 ( = 11 volte il 515 + cinque volte il 666 ) ( Purgatorio, XXX,115 e successivi ) ed incontriamo Beatrice che, pur tra parole di rimprovero, esalta le virtù di Dante che

….... fu tal, nella sua vita nova virtualmente, ch'ogni abito destro fatto avrebbe in lui mirabil prova.

Dante in giovinezza fu così bendisposto in potenza, che avrebbe potuto intraprendere qualsiasi arte

ottenendo risultati mirabili. ñ Il caso appena visto non sembra fortuito; andiamo a vedere come stanno le

cose rispetto alla strofa in cui Dante riconosce il proprio ingegno dall'influsso virtuoso dei Gemelli (Paradiso,XXII,112 e segg.). Il verso è il 12600° e possiamo vedere come 12600, pari a 18 x 515 + 5 x 666, sia una combinazione dei due numeri ricorrenti, come le premesse lasciavano intuire.

E parimenti si può intuire che la probabilità che si verifichino accidentalmente combinazioni di intervalli che si possono ottenere, a partire dal 666 e dal 515, considerati anche con i rispettivi multipli sommati insieme, sia decisamente scarsa; per affrontare il problema tramite il calcolo delle probabilità, si potrebbe procedere caso per caso.

Vediamo allora: Consideriamo un intervallo simbolico tra due note profetiche, per esempio di 1847 versi ( 666x2 + 515 ); i numeri più vicini a questo e adatti anch'essi a formare un periodo ritmico sono il 1696 ( 666+515x2 ) e il 1998 ( 666x3 ), che distano dal 1847 ciascuno di 151 unità; se ne ricava che, intorno al 1847 c'è una zona di 151 versi, 75 da una parte e 76 dall'altra,entro la quale, cadendo la seconda profezia, sarebbe

Page 35: MATEMATICA E......... DANTE

venuta meno la regola del periodo. La coincidenza con il verso 1847 ha dunque una

probabilità a priori P = 1151 , che si presenta quindi decisamente bassa.

Un altro esempio: consideriamo un intervallo simbolico tra due note profetiche di 5390 versi ( 666x5 + 515x4 ); i numeri più vicini a questo e adatti anch'essi a formare un periodo ritmico sono il 5328 ( 666x8 ) e il 5452 ( 666x2+515x8 ), che distano dal 5390 ciascuno di 62 unità; se ne ricava che, intorno al 5390 c'è una zona di 62 versi entro la quale, cadendo la seconda profezia, sarebbe venuta meno la regola del periodo. La

coincidenza con il verso 5390 ha dunque una probabilità P = 162 , che si presenta

quindi molto bassa. La probabilità che entrambi i due periodi ritmici si possano

casualmente presentare sarebbe quella composta pari a P = 1151

162=

19362

Per il fatto che anche solo due coincidenze si possano avverare casualmente con una probabilità così bassa, possiamo presumere che le loro collocazioni siano state entrambe intenzionali. Tale probabilità diventa man mano decrescente quante più coincidenze vengono prese in considerazione, e viceversa tanto più confortata diventa, man mano, la convinzione che le coincidenze costituiscano un elemento poetico intenzionalmente introdotto nell'architettura della Commedia.

Le rime in Dio

Attribuire al caso le loro collocazioni sembra quasi voler negare a tutti i costi il fatto che siamo in presenza di un disegno numerico-poetico voluto da Dante; eppure basterebbe ricordare che il Medioevo fu proclive a credere nell'influenza dei numeri e poiché allora “ numerista ” era considerato il Demiurgo, la Monade pitagorica che era l'Uno, il Logos, la Mente divina, il Dio Creatore, possiamo ben ritenere che anche Dante non potesse sottrarsi alla corrente del suo tempo, e che nella creazione della sua opera, ne volesse dare prova visibile (per chi la vuole vedere). E' “il caso di dire che non è un caso” poter prendere a testimone di questa opinione una delle rime più importanti che si trovano nella Commedia, e che si manifesta attraverso il simbolismo pitagorico. Abbiamo detto di come i numeri 3, 4 e 5 del triangolo rettangolo fossero per i pitagorici sacri e divini; ebbene, la rima che li richiama è quella in Dio, ed è ripetuta 3 volte nell'Inferno (III,122-IV,38-XII,119), 4 volte nel Purgatorio (VII,5-XI,88-XXVII,24-XXXII,59) e 5 volte nel Paradiso (VIII,90-X,56-XXIV,130-XXVI,56-XVIII,128). Anche in questo caso è bene specificare in che senso vadano intese le rime in Dio, “..perché saper si conviene che rima può doppiamente considerarsi, cioè largamente e strettamente..”. Nel Paradiso, infatti, le due sillabe Dio si trovano nove volte, ma solo le cinque citate vanno intese “strettamente” come rime in Dio; le altre quattro ( uccel di Dio una volta, con il significato di aquila, e figliuol di Dio tre volte, con il significato di Cristo ) vanno intese “largamente”. Si consideri inoltre che la rima unica Deo (Purgatorio, XVI,108) nel significato di Dio, per l'appunto, non può che

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indicare una scelta voluta dell'uso del latinismo Deo, proprio per non alterare la triade numerica 3, 4, 5, dal momento che non erano certo le rime a far difetto alla poesia di Dante. Volendo valutare la probabilità che questi eventi si siano presentati nel poema casualmente o meno nella loro disposizione del 3,4,5, dovremmo, tanto per cominciare, individuare un criterio di logica o di probabilità per valutare il fatto che le rime siano in tutto 12, quando invece avrebbero potuto altrimenti presentarsi in numero maggiore o minore. I versi con le rime in -io- nel poema sono ben 140, e allora perché proprio 12 quelle in D-io-? Possiamo immaginare che siano tali per la consonanza numerica che vede nel 12 l'unione dei tre numeri magici ( 3+4+5=12, il che già la direbbe lunga sulla collocazione distribuita delle rime in Dio ) e pertanto ritenuto perfetto, anche in virtù del fatto che contiene i fattori semplici 2, 3, 4, 6, e per una vasta serie di ricorrenze nella tradizione dei popoli, tra le quali possiamo annoverare proprio le 12 lettere del Nome di Dio rivelato nel tetragramma biblico YHWH ( Yod-Hay-Vav-Hay , il cui significato risale ad un passo del libro dell'Esodo (3,14): il tetragramma, parola rappresentata con 4 lettere, fu il nome dato da Filone2 a questa forma scritta usata dagli Ebrei per << DIO >>; tale versetto è solitamente tradotto in italiano con "io sono". La frase completa è tradotta: "io sono ciò che sono", "io sono colui che è", "io sono colui che sono" ), la divisione dell'anno già da parte dei primi popoli in 12 parti poiché ci sono in un corso di sole 12 lune, l'antichissimo sistema duodecimale, il numero 12 degli apostoli, le 12 tribù di Israele, i 12 segni dello zodiaco, le 12 fatiche di Ercole, i 12 libri dell'Eneide , …......................, tutti significati questi che danno al 12 un valore di sacralità, o quanto meno di importanza, il ricorso al quale non poteva mancare nella Commedia, come ripetutamente si può notare nelle ( 4x3 ) 12 rime in Cristo ( Par. XII,71-73-75; XIV,104-106-108; XIX, guarda caso,104-106-108;XXXII,83-85-87 ), nelle 12 rime in stelle ( Inf.I,38-III,23-XVI-83-XX,50-XXXIV,139—Pur.I,23-VIII,91-XXVII,89-XXXI,106-XXXIII,145—Par.IV,23-XXXIII,145) nelle 12 rime in riso ( Inf. V,133—Pur.IV,122-XXVIII,146-XXXII,5—Par.VII,17-X,103-XV,34-XVII,36-XXIII,59-XXVII,4-XXX,26-XXXI,50) ; nelle 12 rime in intelletto ( Inf. II,19-III,18-XV,28—Pur. VI,45-XVIII,55-XXII,129-XXV,65-XXVIII,81-XXXIII,73—Par.II,109-XV,45-XXVII,108 )...............

P. Vinassa De Regny ( Dante e il simbolismo pitagorico - Melita Editori ) afferma che la probabilità, calcolata con riferimenti numerici adatti (? ?), che la disposizione

delle rime in Dio si sia verificata per caso, assume il valore: 1

70.000.000.000.000.000.000.000.000 ;

una probabilità enormemente piccola, ma proviamo ora noi ad impostare , con il calcolo delle probabilità, un confronto tra collocazione per caso e collocazione voluta di queste rime in Dio. 2 Filone ( Alessandria d'Egitto, 20 ca a. C – 50 ca d. C ): filosofo giudaico di lingua greca, espose le sue concezioni

dottrinali nel Commento allegorico sulle Sante Leggi, dedicato ai capitoli 2 e 3 della Genesi, dove combina elementi tratti dalla Genesi e dal dialogo platonico Timeo.

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Deve innanzi tutto essere chiaro che il calcolo delle probabilità ci costringe a consi-derare le rime in base ad una loro connotazione esclusivamente numerica, senza che questa possa porre l'accento sui significati dei relativi versi. Proviamo comunque a seguire una prima strada: consideriamo gli insiemi costituiti da tre elementi che corrispondano a tre numeri qualunque, anche ripetuti, tra quelli com-presi tra Zero e Dodici, ma tali che, per ciascun insieme, la somma dei tre numeri dia come valore 12. Questi insiemi rappresentino le possibili distribuzioni delle 12 rime in Dio nelle tre cantiche, cioè i casi possibili con cui le rime possono in esse essere ripartite. In tal senso i casi possibili risultano essere 91:

12,0,0

11,1,0 11,0,1

10,2,0 10,0,2 10,1,1

9,3,0 9,0,3 9,2,1 9,1,2

8,4,0 8,0,4 8,3,1 8,1,3 8,2,2

7,5,0 7,0,5 7,4,1 7,1,4 7,3,2 7,2,3

6,6,0 6,0,6 6,5,1 6,1,5 6,4,2 6,2,4 6,3,3

5,7,0 5,0,7 5,6,1 5,1,6 5,5,2 5,2,5 5,4,3 5,3,4

4,8,0 4,0,8 4,7,1 4,1,7 4,6,2 4,2,6 4,5,3 4,3,5 4,4,4

3,9,0 3,0,9 3,8,1 3,1,8 3,7,2 3,2,7 3,6,3 3,3,6 3,5,4 3,4,5

2,10,0 2,0,10 2,9,1 2,1,9 2,8,2 2,2,8 2,7,3 2,3,7 2,6,4 2,4,6 2,5,5

1,11,0 1,0,11 1,10,1 1,1,10 1,9,2 1,2,9 1,8,3 1,3,8 1,7,4 1,4,7 1,6,5 1,5,6

0,12,0 0,0,12 0,11,1 0,1,11 0,10,2 0,2,10 0,9,3 0,3,9 0,8,4 0,4,8 0,7,5 0,5,7 0,6,6

ed uno solo è il caso favorevole, cioè quello dell'insieme { 3,4,5 }; pertanto la proba-bilità cercata che le rime siano state casualmente distribuite secondo lo schema del 3,4,5 risulta decisamente bassa, dato che corrisponde a:

P = 191 ≈ 0,011

Il risultato ricavato si può ottenere anche facendo ricorso alle: Combinazioni con ripetizione

Consideriamo un insieme formato da n elementi e fissiamo un numero k (senza alcu-na limitazione superiore): ci proponiamo di costruire i possibili raggruppamenti di-stinti prendendo k elementi dell’insieme dato in modo che: A) in ciascun raggruppamento figurino k elementi dell’insieme dato, potendovi uno stesso elemento figurare più volte fino ad un massimo di k volte; B) due raggruppamenti sono distinti se uno di essi contiene almeno un elemento che non figura nell’altro, oppure gli elementi che figurano in uno figurano anche nell’altro ma sono ripetuti un numero diverso di volte. Il numero di combinazioni con ripetizione di n oggetti di classe k è uguale a quello delle combinazioni senza ripetizione di n+k-1 oggetti di classe k ed è

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quindi: ( n+k-1 )! ( n+k-1 )!

C' n,k = -------------------- = ------------------------ k! ( n+k-1 – k )! k! ( n – k )! Ad esempio, in quanti modi si possono distribuire in 2 cassetti distinguibili ( n = 2 ) 4 pacchetti ( k = 4 ) indistinguibili di biscotti? Elencandoci le possibilità troviamo i seguenti casi:

( 0 , 4 ) ; ( 1 , 3 ) ; ( 2 , 2 ) ; ( 3 , 1 ) ; ( 4 , 0 ) Cinque in tutto, che possiamo anche ricavare tramite la formula:

( 2+4 -1 )! ( 5 )!

C' n,k = -------------------- = ------------ = 5 4! ( 2+4-1-4)! 4! (1 )! Nel nostro caso si tratta di ricavare in quanti modi si possono distribuire, nelle 3 can-tiche ( n = 3 ) distinguibili, le 12 rime ( k = 12 ) in Dio; e questi ( casi possibili ) sono:

C' 3,12 = (3+12-1)!

/ 12! (3+12-1 -12)! = 14!

/ 12! 2! = 91 ;

poi, come prima , sapendo che il caso favorevole della ripartizione 3, 4, 5 è

unico, possiamo ora ricavare la sua probabilità di verificarsi. Il calcolo

conferma il dato già ricavato in precedenza e cioè :

P = 191 ≈ 0,011.

E proviamo ancora , partendo da un altro presupposto, ad equiparare le rime del poema ad un mazzo di carte, anche se l'idea si presenta alquanto irriverente ; te-niamo presente che così facendo priviamo totalmente le varie rime di qualsiasi valore

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e coerenza di significati, poiché questi si possono realizzare solamente tramite i reci-proci legami di correlazione sequenziale logico-lessicale; e comunque:

9422 sono le rime nel poema, pari a 9422 carte 3124 nell'Inferno – 3148 nel Purgatorio – 3150 nel Paradiso

delle quali: 9410 sono le rime non in Dio: 9410 carte ND

12 sono le rime in Dio: 12 carte D

Si alzino una dopo l'altra 3124 carte, che rappresentino le rime dell'Inferno; la prima domanda è: Qual è la probabilità che 3 siano le rime in Dio (carte D) e 3121 le altre (carte ND)? [stiamo valutando il numero di gruppi in cui si trovino tre (3) rime in Dio ( carte D ), anche se non necessariamente nella posizione numerica in cui si trovano nella Commedia, tra quelle che (3124), in numero, dovrebbero corrispondere alle rime dell'Inferno ]: il numero dei casi possibili è dato dalle combinazioni semplici di n = 9422 elementi di classe k = 3124:

C n,k = C9422,3124 =n!

k !∗ (n− k ) !9422!

3124!(9422− 3124) != 9422 !3124 ! 6298!

Il numero dei casi favorevoli è dato dalle combinazioni semplici di 12 elementi di classe 3 (sono le rime in D), ciascuna associata a qualsiasi combinazione dei rima-nenti 9410 elementi (rime in ND) presi a gruppi di 3121 [ associata cioè a ciascuna delle combinazioni semplici di 9410 elementi di classe 3121):

C12,3 *C9410,3121 = 12 !3!⋅ 9 ! *

9410 !3121!⋅ 6289 !

La probabilità cercata è dunque P = 12⋅ 11⋅ 103⋅ 2

9410 !3121!⋅ 6289!9422 !

3124 !⋅ 6298!=

= 220 ( 9410 !

3121!⋅ 6289 ! ) * ( 3124 !⋅ 6298!9422 ! ) =

= 2203124⋅ 3123⋅ 3122⋅ 6298⋅ 6297⋅ 6296.......⋅ 6291⋅ 6290

9422⋅ 9421⋅ 9420.......⋅ 9412⋅ 9411 =

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P ≈ 0,2137

e sia questa la probabilità di trovare 3 rime in D tra le rime della prima cantica. Consideriamo ora solamente le rime che seguono, pari a 6298 (3148 del Purgatorio e 3150 del Paradiso), nelle quali devono essere comprese anche le nove (9) residue ri-me in D, e calcoliamo la probabilità di avere quattro ( 4 ) di queste 9 rime in D insie-me alle 3144 rime ND, in modo da poterle identificare con le 3148 rime del Purga-torio: Delle rime residue i possibili gruppi ( casi possibili ) di rime per il Purgatorio sono le combinazioni semplici di 6298 elementi di classe 3148 ( cioè presi a gruppi di 3148) :

casi possibili = C6298,3148=6298 !

3148!⋅ 3150 ! ;

Il numero dei casi favorevoli è dato dalle combinazioni semplici di 9 elementi di classe 4 (sono le 9 rime in D prese a gruppi di 4), ciascuna associata a qualsiasi com-binazione semplice dei rimanenti 6289 elementi (rime ND) presi a gruppi di 3144 [ cioè a ciascuna delle combinazioni semplici di 6289 elementi di classe 3144], e tali da costituire, in ciascuna associazione, il corpo di 3148 rime del Purgatorio :

casi favorevoli = C9,4*C6289,3144 =9 !4 !⋅ 5 !

6289 !3144 !⋅ 3145 ! , e dunque:

P = 6289 !

3144!⋅ 3145!3148 !⋅ 3150 !6298! ⋅ 126 ≈ 0,2463

La probabilità composta per le due condizioni calcolate risulta pari a: P ≈ 0,05264 . Considerando pure le rimanenti e ultime cinque rime in Dio rimaste come parte di quelle del Paradiso, si vede come la probabilità ottenuta che le rime si trovino ca-sualmente ripartite nel 3,4 e 5, assuma, date queste premesse, un valore chiaramente basso. Non si trascuri poi il fatto che il presupposto che le rime in Dio siano in totale pro-prio 12 per scelta poetica , se da una parte ci consente di affermare già sin dall'inizio che abbiamo a che fare con una scelta numerica per questa struttura di rime, al con-tempo, fissando in 12 le rime in Dio , e non, come potrebbe anche essere , in numero maggiore o minore di 12, si pone una condizione che trascura di prendere in conside-razione un margine di ulteriore abbattimento del valore di probabilità che la distribu-zione delle rime in Dio nelle tre Cantiche possa essersi verificata casualmente; tutta-via basta ricorrere a quanto abbiamo constatato con i calcoli precedenti, per condi-videre in modo convinto l'ipotesi che tutto questo sistemar di versi e numeri sia av-

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venuto in base ad una deliberata intenzione da parte di Dante di progettare ed orga-nizzare una struttura ordinata di rime in base a numeri ed intervalli tali da accordarle armonicamente. Val qui la pena di esprimere una considerazione conclusiva: se si volesse dare un senso ad un calcolo che voglia tener conto dell'esatta posizione delle rime in Dio all'interno della sequenza di tutte le rime, allora bisognerebbe considerare che le loro posizioni precise dovrebbero essere prese in considerazione anche rispetto al senso descrittivo di tutto ciò che le precede e di tutto ciò che le segue; come dire che di ogni verso, poiché il senso descrittivo impone che ciascun verso debba essere proprio lì dove si trova, si dovrebbe valutare la probabilità che si trovi proprio dove si trova e non altrove, componendo il dato di probabilità di ciascun verso di essere dove è, con quello di tutti i rimanenti; sarebbe come dire che noi abbiamo lì tutte le rime della Commedia mescolate e alla rinfusa, e vogliamo calcolarne la probabilità che si di-spongano casualmente nella sequenza che assumono nel poema; e qui si aggiunge un'ulteriore domanda, e cioè: “ ma da dove sarebbero arrivate tutte quelle rime, pro-prio quelle e non altre? E altre quali?, E quante altre? ” E siamo giunti così a doman-darci quale sia la probabilità che Dante abbia scritto per caso tutte le rime della com-media, e proprio quelle, e tante quante sono, e non di più e non di meno.... In questo progressivo susseguirsi di domande si giungerebbe, infine, alla domanda conclusiva, e cioè: qual è la probabilità che la Commedia sia stata scritta per caso? Penso sia evidente a tutti che tale probabilità sia sostanzialmente nulla, la stessa con la quale la Commedia potrebbe essere reperita ne “La biblioteca di Babele”, sperduta come sa-rebbe tra tutti i libri di ineffabile numerosità che contiene; forse solo l'eterno viaggia-tore che la attraversa potrebbe reperirla alla fine dei secoli. Dare una risposta definitiva all'interrogativo che ci pone il confronto tra la probabiltà che la collocazione di certe rime sia dovuta al caso e la convinzione, invece, che sia stata espressamente concepita e attuata da Dante in base a dettami poetico-numerici, pur alla luce delle varie probabilità calcolate, può ancora essere fonte di opinioni dif-ferenti, sebbene mai tali, penso, da negare l'alta sovrana arte poetica di Dante. Potremmo ritenere la Divina Commedia una meravigliosa cattedrale volutamente costruita da Dante secondo leggi geometriche e armoniche e numeriche, concependo una sorta di mirabile prassi poetica, o piuttosto ritenere l'opera come l'espressione di una sensibilità armonica e numerica connaturata all'anima di Dante e perfettamente capace di posare e sposare i significati tra le rime e i versi, senza dover necessaria-mente ricorrere a prontuari numeristici, ma lasciandoli fluire spontaneamente dalla sua anima siffatta; oppure ancora immaginare che Dante edificò la triplice architet-tura del suo poema al solo scopo di potervi interpolare l' incontro con Beatrice, e do-ve l'attenzione ai versi e alle rime si concentra particolarmente su quei tre versi in cui finalmente ella gli sorride: (XXXI,91):

Così orai; ed ella, sì lontana Come parea, sorrise e riguardommi;

Poi si tornò all'eterna fontana.

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Le interpretazioni classiche di questi tre versi ci dicono che Virgilio, la ragione, è uno strumento per raggiungere la fede, e che Beatrice, la fede, è uno strumento per rag-giungere la divinità, e non vedono nel sorriso di Beatrice che un simbolo di acquie-scenza; uno sguardo e un sorriso per dire a Dante che la sua preghiera è stata accetta-ta. Ma un parere che si spinge ben oltre è quello che troviamo nei Saggi danteschi di Jorge Luis Borges dove si legge:”Io sospetto che Dante edificò il miglior libro che la letteratura abbia mai prodotto per interpolarvi alcuni incontri con l'irrecuperabile Beatrice;.... Dante, morta Beatrice, persa per sempre, giocò la finzione di incontrarla per alleviare la propria tristezza;.... assente per sempre da Beatrice, solo ed umiliato, immaginò la scena per immaginare di stare con lei” Un sorriso e una voce, che egli sa perduti, sono la ragione fondamentale che sta alla base di ogni rima e di ogni verso della Commedia. E che tanto possa bastare per spiegare che un disegno armonico-poetico sia stato messo in atto da Dante, in modo consapevole o inconsapevole, an-che sotto l'aspetto numerico! Ci si può chiedere il perché di tante speculazioni e per-ché non si possa prendere per buona semplicemente l'idea che tutte le concomitanze numeriche si siano verificate fortuitamente, in base al caso, senza che si debba pro-pendere, alla luce di tutti quei numeri, prima elencati e valutati, a ravvisare in essi un disegno poetico o una schizofrenia numerologica. La questione di fondo che ci possiamo porre, è, allora, se, quanto è stato di volta in volta appena affermato, possa essere considerato un fatto condivisi-bile, un’opinione, una congettura o se almeno possa essere immaginato come tale; ciascuno potrà dire la sua, ma penso che tutti non abbiano nessuna ra-gione per negare che tutti i filosofi, i poeti e i letterati pitagorici, neoplatonici e mistici abbiano creduto, o sentito, di possedere quell'altissima facoltà poeti-ca e spirituale che permette di elevarsi in un rapimento divino oltre i confini delle comuni umane sensibilità,e chissà che non sia andata proprio così.

“dixerunt”

BIBLIOGRAFIA

Benini R. - Dante tra gli splendori dei suoi enigmi - Roma, Sanpaolesi, 1919

P. Vinassa De Regny - Dante e il simbolismo pitagorico - Melita Editori, 1988

La Divina Commedia commentata da Carlo Steiner - G.B. Paravia & C

Passi da opere, con riferimenti bibliografici, di autori greci e latini.