Marisa Montesissa - Materia
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Cosmo essenza
L’Arte della Memoriadi Roberto Tagliaferri
L’arte di Marisa Montesissa si può definire un esercizio di memoria attraverso la pit-
tografia modellata nella creta. Non una Scrittura sillabica, ma una scrittura pittica, co
moria, ars memoriae o memorativa, che trova in Simonide, poeta greco del VI seco-
lo, il suo cantore. I Romani codificarono questa arte della “mnemotecnica” come una
delle cinque partizioni della retorica e la trasmisero al Medioevo e al Rinascimento.
La regressione nella cultura del ricordo di Montesissa non insegue i fantasmi oni-
rici del recupero archeologico di antiche vestigia criptate dal tempo, neppure cede
ad una tentazione junghiana di accesso agli archetipi per il riaffioramento dei senti-
menti dell’anima. La riproposizione della comunicazione attraverso la scrittura sim-
bolica risponde ad una precisa esigenza culturale, che soffre di anemia della memo-
ria e non riesce a ritrovare un’identità nella Babele della città multietnica.
La puntigliosa analisi sociologica di Danièle Hervieu-Léger sul trapasso dalla “so-
cietà della memoria” alla “società del cambiamento” lamenta un saldo negativo sul
piano del modello culturale europeo ed occidentale, che non riesce più a narrarsi
con un mito omogeneo e rischia il tracollo del conflitto delle interpretazioni rivali.
L’allarmante domanda di psicofarmaci a fronte di una diffusa malattia della depres-
sione, e il rifugio negli additivi chimici, segnala il declino del regime della disciplina
e dell’autorità gerarchica, che produce desimbolizzazione culturale e disagio perso-
nale. Alain Ehrenberg sostiene che la depressione si presenta come un crollo simbo-
lico: la difficoltà a fare esperienza dei conflitti inceppa i meccanismi di identificazio-
ne indispensabili per strutturare un’identità capace di convivere coi conflitti stessi.
Mentre la nevrosi è una patologia dell’identificazione, la depressione è una patolo-
gia dell’identità.
In questa deriva culturale è necessario articolare il difficile connubio tra memoria
e cambiamento riattivando i linguaggi della rimemorazione vicino a quelli della crea-
tività. Se i linguaggi mediatici e del vedere favoriscono la rapidità del mutamento, bi-
sogna riconsiderare altri linguaggi dimenticati per non agonizzare. Già negli anni 70
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E l’artista creò la donnadi Cristina Trivellin
Posando lo sguardo sulle opere di Marisa Montesissa, si viene immediatamente
pervasi da singolare energia, dall’evocazione di un eterno femminino artistico che si
manifesta in infinite forme. Quindici anni di lavoro e ricerca, che Marisa Montesissa
ama definire “la fatica di usare la materia”, fatica che le si addice come lavoro majeu-
tico su se stessa nello sforzo di creare e partorire l’opera.
Il percorso a ritroso, alle origini del mito, conduce inizialmente l’artista alle statue-
stele della Lunigiana, della Daunia e in generale alle raffigurazioni preistoriche della
donna. La Dea Madre è senza dubbio la prima divinità immaginata dall’uomo, e que-
ste veneri arcaiche risalgono a 30.000 anni prima di Cristo. Immagini della Grande
Generatrice in cui l’energia si concentra nelle linee curve di seni e ventri gonfi, gra-
vidi di vita fertile. Ventri enormi dove l’uovo si annida in attesa di un seme che lo tra-
sformi in esistenza.
Le culture primitive forniscono quindi a Marisa la connessione all’immaginario col-
lettivo archetipico e le permettono così di ri-trovare un linguaggio ancora indissolu-
bilmente legato alla natura, al ciclo della madre- terra, come la Donna-colonna ispi-
rata all’iconografia camunica, con ventotto soli incisi sul corpo, scansione temporale
Venere paleolitica marina - 1996Particolare
Maternità