Manuale Frutti Dimenticati

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Libro sulla frutta

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Presentazione Quando si parla di FRUTTI DIMENTICATI, l’immaginazione comune evoca un albero, a volte un fiore oppure un frutto che un tempo erano importantissimi sia perché fornivano sostentamento in periodi di carestia alimentare, sia perché venivano utilizzati in medicina per curarsi ed alleviare i malanni. “Tutti gli alberi ed arbusti che i nostri contadini piantavano in prossimità delle case coloniche avevano prima di tutto una funzione pratica: ogni pianta non veniva messa a dimora casualmente, ma per fornire cibo o cure, oppure alimenti e riparo al bestiame, o per mitigare gli eccessi del clima. La funzione estetica era solamente un aspetto secondario.” ricorda Luciano Pallotti, sulla rivista “Romagna, ieri, oggi e domani”. “Frutto piccolo, poco commerciabile, deperibile, dal sapore particolare”: questi sono gli aspetti negativi che fanno sì che questi frutti siano rimasti ai margini del mercato, sebbene ricchi di sapore e prodotti da piante robustissime, resistenti alle malattie. Le piante di azzeruolo, cotogno, corniolo, melograno, giuggiolo, pero volpino ecc: nel dopoguerra, data anche l’evoluzione del mercato agricolo, sono state abbandonate ed ora rischiano l’estinzione. Con loro si perderanno migliaia di “fole”(favole), detti, indovinelli o soltanto modi di dire, che i nonni tramandavano ai più piccini, raccontandoli davanti al focolare o durante le veglie nella stalla. Pur non producendo quantità elevate di frutti, queste piante rappresentavano durante tutto l’arco dell’anno una continuità alimentare. Alla fine di maggio maturavano le more di gelso, poi a giugno “fruttaio” si raccoglievano le prime varietà di pere, mele, ciliegie e albicocche; alla fine di agosto arrivavano le corniole e l’autunno portava cotogne, melograne, sorbe e nespole. Una tradizione legata al modo di raccogliere la frutta descrive così la sua ritualità: “L’agricoltore lasciava almeno tre frutti sulla pianta, uno per il sole, uno per la terra e infine uno per la pianta che aveva lavorato duramente e si meritava un premio”. Nei lunghi inverni del passato, le popolazioni contadine hanno ingannato la fame cibandosi di frutti che venivano essiccati e conservati nel “fruttaio” perché maturassero (è il caso di sorbe e nespole). Quelli che non si prestavano al consumo immediato, per le loro caratteristiche organolettiche, venivano cotti per ottenere ottime marmellate, gelatine e salse, altri quali corbezzoli, prugnoli, sorbe impiegati per la preparazione di bevande leggermente alcoliche. In questo lavoro, grazie alla preziosa collaborazione dei Ristoranti “Fava” di Casola Valsenio (Ra) e “Avion Blu” di Modena, ho trascritto ricette antiche, fornendo nel contempo anche spunti per nuovi e sfiziosi piatti. Facendo inoltre riferimento ad antichi trattati di medicina e di cultura popolare ho cercato di dare più informazioni possibili sull’utilizzo in campo medico e cosmetico. Fortunatamente negli ultimi anni molti Comuni, Associazioni e Enti, con la collaborazione di alcuni agricoltori organizzano iniziative, mostre e sagre paesane che mantengono in vita la coltivazione di questi frutti. nonchè le tradizioni ad essi collegate. Questo libro nasce quindi come risposta alle frequenti domande curiosità e consigli che i frequentatori di queste sagre ci hanno posto negli anni. Ciò che distingue questo manuale da tanti altri dedicati al medesimo argomento non è solamente la molteplicità di frutti descritti, ma la presenza di molteplici informazioni (medico-cosmetiche, modi di dire, tradizioni, indovinelli, approfondimenti) descritte in modo vivace e immediato. Ora tocca al lettore rimboccarsi le maniche, ricordando che “…vi è uno stretto rapporto tra bosco, campo e giardino, in fondo il giardino non è altro che il prolungamento degli altri…”. Katia Agide

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Elenco Frutti Dimenticati

♦ Agazzino ♦ Albicocco (Luiset, Paviot, Reale d’Imola, Tondina di Tossignano, Amabile Vecchioni, Ivonne

Liverani, Pisana, Bianca, Veecot) ♦ Azzeruolo ♦ Biancospino ♦ Biricoccolo ♦ Castagno ♦ Ciliegio (Selvatico, Pado, Canino, Amarena, Mirabolano, Ciliegio Biggerau Burlat, C.Durone

Giallo, C.Durone di Vignola, C.Mora di Vignola, C.Mora di Diolo, C.Fiore di Maggio, C.Progressiflora)

♦ Corbezzolo ♦ Corniolo ♦ Cotogno ♦ Crespino ♦ Fico (Albo, Cuore, Madama, Dottato, Verdino, Brogiotto Nero, Monaco) ♦ Frangola ♦ Gelso ♦ Ginepro ♦ Giuggiolo ♦ Kaki (Mela, Vaniglia, Cioccolatino) ♦ Lampone ♦ Mandorlo ♦ Melograno ♦ Mora di spino ♦ Nespolo ♦ Nocciolo ♦ Noci ♦ Olivello Spinoso-Olivagno ♦ Pesco (Bella di Cesena, Bella di Lugo, Bonfiglioli, Bonvicini, Buco Incavato, Carota, Gialla di

Piangipane, Morellona, Piatta a Polpa bianca, Pieri 81, Sant’Anna Calducci, Sanguinea) ♦ Prugnolo ♦ Rosa Canina ♦ Sorbo (Montano, Alpino, Ciavardello, degli Uccellatori, Domestico) ♦ Spino Cervino ♦ Susino (Agostana di Cesena, Di Lentigione, Favorita del Sultano, Favorita Maggiorata, Grossa

di Felisio, Occhio di Pernice, Pisera, Regina Claudia d’Althan, Regina Claudia Mostruosa, Regina Claudia Trasparente, Regina Claudia Verde, San Pietro, Spiccalosso, Susino Segondo, Zucchella gruppo)

♦ Uva Spina

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AGAZZINO (Pyracantha coccinea M.J. Roemer) Famiglia : Rosaceae Nomi dialettali : Marruca nera, Lazzaròl. Etimologia : Voce dialettale toscana di etimologia incerta.

Distribuito nella regione mediterraAsia minore. Naturalizzato nell’Adecisamente eliofila, predilige sunutritive. Si può trovare in siepi, bcome un arbusto ramificato e cesdapprima giallastra e poi rosso cupalterne, acute. Foglie persistenti, cominutamente dentate, glabre, nellaverde scuro, sotto verdi pallido.

corimbi, densi, terminali ai rai laterali; sono piccoli a calice, i petrosso mattone a maturità globoso, della grandezza di un pisello, polp

Arbusto spinoso ecaducifoglio. Fioritura: Maggio-giugno. Altezza: fino a 2 m. Ambiente: fino allamedia collina.

Citazioni & Co. Tanaglia, 3-151: “perfetto ancora è il vertice agazzino / che al genn ALBICOCCO (Prunus armeniaca L.) Famiglia : Rosaceae Nomi dialettali : Mugnega, Mugnegh, Percocca. Etimologia : dall’arabo “AL-BARQŪQ”, deriva dal latino “Praecofrutto precoce (da cui il merid. "percoco”).

Originario della Cina settentrionaleromani che lo importarono dall’Armvecchi e ai moderni albicocchi; hacm 4-6, acuminate, verde scuro, codel diametro di cm 2,50, semplici,precedente, e frutti globosi, rosso giLe piante dell’albicocco prediligonpoi temono il gelo, molto più cscegliere per l’impianto una posizio

drenato, non hanno problemi se esso è acido o calcareo, deve esasciutto. La stagione migliore per l’impianto è l’autunno.

Albero a foglia caduca. Fioritura:inizio primavera. Altezza: fino a 8 m. Ambiente: pianura fino alla collina. Propagazione: seme, talea, innesto.

nea, in Crimea, nel Caucaso ed in merica boreale. Specie xerofila e

oli mediamente ricchi in sostanze oschi luminosi e radure. Si presenta pitoso, sempreverde, con corteccia o. I rami sono sparsi con spini forti n piccolo picciolo, ovate oblunghe,

pagina superiore sono lucide color I fiori si presentano in numerosi ali sono bianchi. Il frutto piccolo è oso, molle racchiude 5 semi.

aio mette”.

quus” –

, introdottoenia. Ques

foglie ovaten fiori rosa

portati sullallognoli. o le zone she altre, sine a sud. Ilsere profon

in Europa dagli antichi to tipo ha dato origine ai , lunghe cm 6-9, larghe pallidissimo o bianchi, a vegetazione dell’anno

oleggiate, alcune specie raccomanda quindi di terreno deve essere ben do, fertile e mai troppo

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Piante & Varietà Albicocco “Luizet” (o Luisot) Pianta molto vigorosa e produttiva, dai frutti grossi di colore giallo limone punteggiato di rosso, con polpa finissima e succosa, sapore raffinato e gradevole profumo. Il frutto si consuma fresco o in marmellate, ed ha un nocciolo grande che contiene una mandorla dolce. Produce grandi fiori bianchi, e matura tardivamente a metà luglio. Pianta molto rustica. Albicocco “Paviot” Antica varietà tardiva di fine luglio, di provenienza francese. Il frutto è di buone dimensioni, ovale, di colore tra l’arancio ed il giallo, polpa ben colorata, succosa, zuccherina, molto profumata. . Albicocco “Reale d’Imola” (Mandorlana) È una varietà che ha avuto origine in Emilia-Romagna dalla città di cui prende il nome, prima segnalazione nel 1901. L’albero è di grande vigoria, con portamento assurgente, di produttività elevata e costante. Fruttifica tra fine giugno ed inizi di luglio. L’albicocca è molto saporita e di grande pezzatura, presenta buccia arancione e polpa profumata e compatta, varietà molto produttiva. Matura a scalare nel tempo ed ha una buona resistenza alla monilia. Albicocco “Tondina di Tossignano” Varietà che prende il nome dall’omonimo paesino, prima segnalazione nel 1977. Albicocco “Amabile Vecchioni” È stata individuata a Bolghieri (Livorno) dal prof. Franco Scaramuzzi nel 1961 da un selvatico di origine sconosciuta. L’albero è di buona vigoria, di produttività elevata e costante. Il frutto, di calibro medio grosso,è di forma ovalizzata, con buccia di colore giallo molto intenso soffusa di rosa nella parte esposta al sole. La polpa è di colore arancione, di buona consistenza, spicca e di sapore ottimo. Questa varietà è resistente ai marciumi della monilia. Matura alla fine della prima decade di giugno. Albicocco “Ivonne Liverani” Frutto giallo aranciato. Matura dal 15 al 25 giugno. Albicocco “Pisana” Frutto grosso di ottime caratteristiche organolettiche con maturazione medio tardiva (20-30 giugno). Albicocco “Bianco” Albicocco “Veecot” Il frutto è di media pezzatura, dalla buccia arancio carico, che tende al rosso a maturazione (soprattutto se esposta al sole). La polpa è anch’essa arancione, dolcissima e molto consistente. Si raccoglie nella prima e seconda decade di luglio. Citazioni & Co. G.B. Tedaldi, I-29: “Prima si innesta i mandorli e gli albicocchi, perché sono i primi che muovono, e dipoi i peschi.” B. Davanzati, II-507: “Scegli quando innesti marza che abbia cominciato a muovere, giornata calma e quieta: comincia la luna di gennaio; què frutti prima, che movon prima, per esser più caldi, mandorli peschi e albicocchi, tutti in sul susino, che è umido.” Targioni Tozzetti, II-2-496: “Non crederai che [i bruci] avessero a fare gran danno, se a caso non si andassero a rodere le messe dei susini ed albicocchi.” Pascoli, 89: “Il sole così chiaro/che tu ricerchi gli albicocchi in fiore” D’Annunzio, II-723: “I peri, i fichi in terra tosca/son di dolcezza carchi, e i meli,/gli albicocchi, i nespoli ancora!” Negri, I-901: “Fuori stamane il giovine albicocco/primo e solo, nell’orto ancora ignudo” Govoni, I-195: “io che non vidi/di ciliegi di peschi e di albicocchi” Medicina & Cosmesi

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L’albicocca contiene Sodio, potassio, tracce di ferro e calcio, vitamine: A-C-PP. Utile per problemi alla vista, affaticamento, anemia, stati di convalescenza, depressione, insonnia, nervosismo, invecchiamento, rughe, obesità, memoria, menopausa e stitichezza. In caso di clorosi, vengono consigliati gr. 40-60 di albicocche un paio di volte al dì; queste stimolano la formazione dell’emoglobina del sangue da parte del fegato. Il frutto spremuto, rende un succo leggermente acido che mischiato col latte è ottimo per i trattamenti dell’epidermide, sia per pelli normali che aride. L’albicocca viene spesso usata per creme che aiutano e facilitano l’abbronzatura. Cucina & Ricette Evitate che i bambini mangino i noccioli contenuti nelle drupe. Quelli di gusto amaro contengono infatti acido cianidrico, una sostanza molto tossica. Dolce di Amabile Vecchioni kg1 di albicocche. (non troppo mature), 3 uova, 100g. di farina 00, una manciata di mandorle tritate, lievito in polvere per dolci, 150g. di zucchero,50g. di burro, 1 cucchiaio di zucchero a velo. Imburrare una teglia, in modo da sformare con facilità il dolce. Tagliate a grossi spicchi le albicocche. Disporre le albicocche a raggiera sul fondo dello stampo, cercando di non lasciare spazi vuoti. Montate i tuorli con burro e zucchero fino a ottenere una crema gonfia e unire la farina setacciata, il lievito e le mandorle tritate. Amalgamare infine gli albumi montati a neve. Scaldare il forno a 190° .Versare l'impasto sulle albicocche e cuocere i per 40 minuti circa. Sformare la torta rovesciandola cospargere di zucchero a velo (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (Ra) - Chef Fava Katia) Conserva di albicocche Prendete albicocche ben mature e di buona qualità, levate loro il nocciolo, mettetele al fuoco senz’acqua e mentre bollono disfatele col mestolo per ridurle in poltiglia. Quando avranno bollito mezz’ora circa, passatele dallo staccio onde nettarle dalle bucce e dai filamenti; poi rimettetele al fuoco con zucchero bianco fine e in polvere nella proporzione di 800 grammi di zucchero per ogni chilo di albicocche passate. Rimovetele spesso col mestolo fino alla consistenza di conserva, la quale si conosce versandone di quando in quando una cucchiaiata in un piatto, sul quale dovrà scorrere lentamente. Distillato d’albicocche 5 dl di alcol a 95°, 6 albicocche, zucchero, acqua distillata Sospendete le albicocche mature in un recipiente utilizzando il metodo della garza. Versate su di esse l’alcol facendo giungere il suo livello a tre centimetri dai frutti. Chiudete il vaso e fate macerare per 70 giorni. Eliminate la garza con le albicocche e assaggiate i prodotto. Aggiungete acqua distillata mescolata a zucchero nella quantità desiderata. Riponete il recipiente in cantina e lasciate stagionare 2 mesi prima di degustare.

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AZZERUOLO-AZZARUOLO (Crataegus azarolus, L. (sin. Aronia)) Famiglia : Rosaceae Nomi dialettali : Nazarella, Nazolu (Liguria), Lasarolo, Rasarolo (Piemonte), Lazarino, Nazarena, Pom lazarì (Lombardia), Pomo lazaren, nazariol (Veneto), Cimbar (Friuli), Lazarén, pom nazareni, Pom rejèl, Pumbrièla (Emilia-Romagna), Lazzarolo, Razzerolo, Pomo imperiale (ToLazio, Campania), ‘Nzalora, Lanzarolu (Sicilia), Lazzarolo(Sardegna). Etimologia : deriva dallo spagnolo “acerolo”, (dall’ar.ar-zu’ rura) con l’articolo concresciuto.

Pianta originaria del bacino del Mediterraneo, è diffusa nell’Europa meridionale, Nordafrica e Asia occidentalrusticità lo ritrova sia nelle regioni ad invergradi sotto zero), sia nelle zone ad estete ccoltivata negli orti fin dall’epoca romana ed osi trova in Liguria, Piemonte, Toscana, EmiliaIn base al colore dei frutti si distinguono tre

Italia:

Fioritura: IV-V. Altezza: fino a m 10. Ambiente: dalla costaalla media collina. Propagazione: innesto (a triangolo, a spacco).

- azzeruolo bianco (detto anche moscatello o lazzeruolo d’Italiahanno buccia di colore giallastro chiaro;

- azzeruolo giallo (detto anche del Canada) dai frutti di colore gial- azzeruolo rosso (detto azzeruolo d’Italia o di Romagna) dai frut

I tre tipi si distinguono anche per le caratteristiche delle foglie, che nell’a. quelle del biancospino), spesso profondamente suddivise e provviste seghettato; grandi, intere, di forma ovale arrotondata e provviste di due picdimensioni intermedie e pure intere, con margine seghettato, ma ovali allunrosso. Il portamento dell’albero si presenta espanso nell’a. rosso, semierrami dell’a. rosso sono spesso provvisti di spine. I fiori in tutti e tre i tipbianco, riuniti in infiorescenze a corimbo che si sviluppano all’apice di fioritura, a seconda delle latitudini, avviene tra la seconda metà di maggiosimili a piccole mele, spesso costoluti hanno polpa tenera di colore verdacidulo gradevole, leggermente vinoso,croccante e profumato, contengonnatura simile ai noccioli del nespolo comune. Come si coltiva Quando sono innestate su biancospino le piante vanno poste a dimora lung3-3,5 metri, se innestate su franco si porranno a 4-4,5 metri; distanze mreciproco ombreggiamento fra le piante che invece amano il pieno sole. Tcotogno per la rapida crescita in vivaio, ma le piante hanno la vita più brevele file si lasceranno 4-5 metri. La pianta se ornamentale, può essere fatgenere assume una forma globosa, che è allungata per l’azzeruolo biancoper il rosso. Se invece viene coltivata a scopo produttivo, il più delle volte branche che partono da 1 metro circa da terra. Per quanto riguarda la pottagli necessari a far assumere all’albero la forma che si preferisce e per

Pom

scana), Lazzarolo (Abruzzo,

e, grazie alla sua elevata no freddo (resiste fino a 25 alda e siccitosa. In Italia, ra a rischio di estinzione, lo Romagna e Sicilia). tipi di azzeruolo coltivati in

a frutto bianco) i cui frutti

lo oro aranciato; ti di colore rosso. bianco sono piccole (simili a

di due stipole a margine cole stipole nell’a. giallo; di gate e prive di stipule nell’a. etto negli altri due. Inoltre i i sono ermafroditi, di colore rami e rametti di u anno; la e i primi di giugno. I frutti, e chiaro o crema dal sapore o piccoli semi (da 1 a 5) di

o la fila alla distanza di circa inori possono provocare un alora i vivaisti utilizzano il anche per la disaffinità. Tra

ta crescere liberamente e in e per quello giallo, espansa viene allevata a vaso con 3-4 atura si potranno effettuare i eliminare qualcuno dei rami

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deperiti o diradare quelli troppo fitti, anche per agevolare la raccolta, specialmente se i rami hanno le spine. Per la potatura da produzione si deve tenere presente che l’azzeruolo produce i frutti all’apice di rami e rametti di un anno. Se questi vengono spuntati, aumenta il numero di rametti che si svilupperanno nella loro parte mediana e quindi aumenterà la formazione di fiori per la produzione di frutti. Per moltiplicare l’azzeruolo si ricorre all’innesto; come portainnesto viene utilizzato soprattutto il biancospino, anche per la sua notevole adattabilità a diverse condizioni ambientali: si può impiegare anche il franco giallo o rosso, ma la crescita delle piante così ottenute è molto lenta(12-15 anni). Altri portainnesti possibili sono: cotogno, pero e nespolo comune. La maturazione dei frutti avviene a partire dalla seconda decade di agosto per l’azzeruolo giallo; in settembre invece si raccolgono i frutti dell’azzeruolo bianco e del rosso. In genere conviene effettuare la raccolta senza attendere la maturazione completa sull’albero. Per l’azzeruolo bianco occorre intervenire quando il colore della buccia diventa giallo chiaro, altrimenti, oltre a correre il rischio di spaccature in caso di pioggia, si avrà il distacco del pendutolo con parte della polpa. Il rosso deve essere raccolto non appena la superficie si è coperta completamente di rosso, altrimenti è facile la caduta a terra dei frutti, anche se, soprattutto se il terreno è inerbito, ciò non determina grossi danni al frutto stesso. L’azzeruolo giallo viene considerato quello dal frutto più gradevole, anche se di dimensioni più piccole degli altri tipi che possono raggiungere gli 8-10 grammi (rosso) e i 10-15 grammi (giallo). Essendo la raccolta fatta precocemente, i frutti devono essere lasciati a maturare ponendoli per qualche giorno stesi sulla paglia in ambiente asciutto. Per avere una conservazione che superi i 3-5 giorni occorre servirsi di un frigorifero con temperatura di 3-4° C; in questo modo la conservazione stessa può giungere a 30-35 giorni. In genere questa è una pianta rustica che può essere coltivata senza trattamenti con fitofarmaci. Tuttavia segnaliamo le principali avversità che possono attaccare l’azzeruolo: l’oidio (Podosphaera clandestina), la ruggine delle pomacee (Gymnosporangium clavariaeforme) e la moniliosi (Monilinia fructigena) tra i funghi; Cydia molesta e Euproctis chrysorrhaea tra gli insetti; il colpo di fuoco da Erwinia amylovora tra i batteri. Usi & Storia Nel XVI secolo, Giacomo Castelvetro chiamava i frutti “Lazzeroni” e sosteneva che essi erano “un frutto non soltanto bello e piacevole all’occhio ma buono di gusto e molto sano per i corpi indisposti” attribuendogli, inoltre, virtù curative: “il suo sapore è agrodolce, ed è fuor di dubbio che allevia la sete dalle febbri ardenti, e per questa ragione, i medici lo danno agli efferati”. Era così convinto delle proprietà di questa bacca che ne fece dono a Sir Arrigo Wottoni, un diplomatico inglese che rese numerose visite in Italia. Il Mattioli associa le azzeruole alle nespole, rifacendosi a Dioscoride (medico greco originario della Cilicia che studiò le proprietà medicinali delle piante e scrisse De Materia Medica, uno dei primi testi autorevoli di botanica e farmacologia) chiamandole “nespole prime” e ne descrive alcune caratteristiche: “ Quando sono maturi, sono gratissimo al gusto, onde procede che sieno stimati non poco tra gli altri frutti, il perché non solamente si mangiano crudi, ma si condiscono, per conservarli nel mele o nel zucchero. Oltre a ciò sono gratissimi, gl’azzeruoli, alle donne gravide, imperò non solamente aggradiscono molto al loro appetito, ma levano loro la nausea.” Per il dono di un cesto di “lazzeruole bianche e rosse” nel 1769 Ferdinando IV di Borbone ammise il donatore al “bacio della sua mano destra”. L’azzeruolo, detto anche “Pom Rejèl”, è una specie multi-funzionale; è infatti una pianta ornamentale, da frutto e medicinale. Come pianta decorativa in parchi e giardini unisce ai pregi estetici nelle fasi di fioritura e di maturazione, l’edulità del frutto, consumato dall’uomo, ma che può avere l’importante funzione di alimentazione dell’avifauna. Come pianta da frutto, è coltivato in frutteti familiari e giardini in esemplari isolati, in filari o innestato in siepi di biancospino. C’è chi dice…

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“… il vero “pam lazarein” è quello selvatico, con le spine e con la frutta piccola di colore rosso vivo”…. …..”adesso da questo hanno selezionato delle piante che producono frutta più grande come dimensioni, di colore rosso sbiadito e, cosa positiva per i raccoglitori, senza le spine”…. …”l’azzeruolo è comunque un frutto piccolo ma un una fragranza e un gusto eccezionale…”….l’unico inconveniente sono i noccioli che racchiude, numerosi e spessi, che rendono difficile la masticazione…” Medicina & Cosmesi Le azzeruole consumate fresche sono dissetanti, rinfrescanti, diuretiche e ipotensive; la polpa ha proprietà antianemiche ed oftalmiche per il contenuto di provitamina A (100-200 gr di frutti di lazzeruolo per i casi di anemia). Ha circa 20 g di carboidrati, tracce consistenti di grassi (1,1 g), molte fibre, calcio (130 mg) ferro (1,1 mg) e potassio. In cosmesi vengono utilizzate per rivitalizzare la pelle. Fiore e frutto contengono principi attivi ad azione cardiotonica, ipotensiva ed antiossidante, similmente al Biancospino. Oggi lo troviamo descritto nella farmacopea europea come costituente della droga Crataegi folium cum flore, contenente germogli fioriti ed essiccati di diverse specie di Crataegus. Cucina & Ricette Questi frutti vengono talora riproposti come ingredienti di ricette antiche e nuove, come confetture, marmellate e gelatine, insalate e macedonie di frutta; si utilizzano in pasticceria, si conservano sotto spirito o grappa. Conserva di azzeruole 1kg di azzeruole, 800g di zucchero, 700g di acqua Gettare le azzeruole in acqua bollente, fa bollire per dieci minuti e, mentre sono ancora calde, togliere i noccioli. Sciogliere lo zucchero in acqua, che può essere anche quella impiegata per bollire le azzeruole, aggiungere i frutti e quando lo sciroppo è addensato versare nel vaso. La conserva può essere usata per guarnire dei dolci. BIANCOSPINO (Crataegus)

Famiglia : Rosaceae Nomi dialettali : Spin bianch, Cagapoi, Gratacúl, Boch bianch,

Potlèing, Maruca bianca. Etimologia : Calco probabile del latino “ALBISPĪNUS”, composto da ALBUS=bianco e SPderiva dal greco “Kràtaigos” che indLa sistematica del genere Cratabotanici americani ne hanno eappartenenti alle zone nordiche e p

numero è stato assai ridotto, ma resta tuttavia molto alto. L’Europanovantina e, di queste, il Baroni ne dà solo 3 come spontanee nel nostro

Arbusti e alberi, sempreverdi o a foglia caduca. Fioritura: Maggio-giugno. Esposizione: sole. Ambiente:Pianura e collina. Propagazione: seme, talea, innesto.

ĪNUS=spina; il nome botanico icava la pianta del biancospino.

egus è abbastanza confusa. I lencate più di 1000 specie, iù temperate; successivamente il e l’Asia ne contano solo una paese; anzi 2, dal momento che

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considera il C. monogyna una varietà dell’oxyacantha. In tutte le specie le spine non sono modificazioni delle foglie, come in altre piante, ma veri e propri rami. Crataegus oxyacantha, L. (sin. C. oxyacanthoides) Originario dell’Europa e del Nordamerica, in Italia è presente su tutto, il territorio, escluse le isole. E’ un arbusto o un alberello fornito di spine lunghe circa cm 2,50. La corteccia è giallastra e scurisce con l’età. Le foglie sono obovate, a 3-5 lobi, seghettate; i lobi sono rotondeggianti. I fiori sono bianchi, semplici, i corimbi portano 8-10 fiori; il calice e i pendutoli sono sempre lisci. I frutti sono rossi, il più delle volte ovali, dalla polpa farinosa e inspida. Il Correvon, in Champs et bois fleuris, scrive: “Non credo che si possa vedere nulla di più commovente che le siepi del Devonshire a maggio, quando fiorisce il Biancospino. Assume forme gigantesche; non si tratta più di un arbusto, ma di un albero, e quale albero. Onde gigantesche di neve, di un bianco rosato, vi salutano da tutte le parti e vere cupole fiorite si elevano ai margini della strada. E’ una vista gloriosa.” Il Correvon parla di alberi alti m 8-10; ma perché un C. arrivi a simili dimensioni bisogna che passi quasi un secolo. Esistono diverse varietà di C.o.: il più delle volte tuttavia è incerto se derivino da questa o da quella specie seguente, trattandosi spesso di ibridi. Segnaliamo: aurea(sin. Xanthocarpa) a frutti gialli; alba plena a fiori doppi, che diventano rosa prima di sfiorire; candida plena, a fiori doppi bianchi; punica, a fiori semplici, con diametro fino a cm 2, rosso cremisi, molto raccomandabile; coccigea, a fiori semplici, scarlatti; coccigea plena (Paul’s double Scarlet), a fiori rossi, doppi. Crataegus monogyna, Jacq. Ha la stessa, o anche più ampia, diffusione del precedente: giunge fino all’Himalaya. Da alcuni, come per esempio Baroni, è dato come varietà del C. oxyacantha. Le spine sono lunghe e diritte, i rami glabri; le foglie ovate, a 3-7 lobi, più lunghe che del c. oxyacantha, seghettate solo alla sommità. I fiori sono bianchi e semplici, i frutti quasi sferici. Diversamente dal C. oxyacantha, che ha 2 semi, il C.monogyna ne ha solo 1. Può arrivare a m 6 di altezza. Ne esistono diverse belle varietà: pendula, a rami pendenti; pendula rosea, a fiori rosa e rami pendenti; semperflorens (sin. Bruantii) che ha una crescita molto lenta, ha portamento basso e fiorisce fino all’autunno senza interruzione; praecox, che fiorisce e mette le foglie in inverno; striata (sin. Pyramidalis) che cresce eretta e a colonna; rosea a fiori rosa e petali con l’unghia bianca; albo-plena, a fiori bianchi doppi; rubro-plena, a fiori rossi doppi; laciniata, a foglie profondamente incise; ferox (sin. Horrida) raccomandabile per le siepi, con rami coperti di fasci di brevi e solide spine; inermis, senza spine. Come si coltiva Il Crataegus è lento a crescere ed è pianta da terreni calcarei, dove prospera e cresce più rapida e rigogliosa che altrove. Se il terreno è troppo secco non raggiungerà grandi dimensioni; al sole, alla gran luce darà fiori e frutti in abbondanza; coltivato in posizione semi ombreggiata produrrà invece più foglie. Il fatto che i Crataegus, e specialmente le specie nostrane, crescano un poco dappertutto, anche in terreni poveri, non vuol dire che si debba far loro patire sete e fame. La annaffieremo invece abbondantemente se sono esposti in un luogo caldo e luminoso e non faremo mancare loro una buona concimazione a base di letame, una volta l’anno: le piante ci ripagheranno con una crescita più rapida e una maggior espansione. Le specie più rustiche e nostrane si possono anche seminare: ma si tratta di un procedimento assai lungo, che possiamo risparmiare comprando le piantine o andandocele a prendere in campagna, se ancora molto giovani, nel periodo in cui si trovano allo stato dormiente. I floricoltori trapiantano di frequente i C. in vivaio: in caso contrario svilupperanno lunghi fittoni che, disturbati, tarperanno lo sviluppo della pianta. A chi volesse ricorrere ugualmente alla semina, converrà mettere i frutti a macerare nell’acqua; i semi, separandosi dalla polpa, cadranno sul fondo del recipiente; basterà allora farli asciugare al sole e saranno pronti. Si semina in vassoi che si tengono in serra fredda per un lungo periodo, un anno intero, durante il quale occorrerà badare soltanto che la terra resti costantemente umida. Di solito la germinazione avviene nella primavera del secondo anno. Ma vi sono anche specie che germinano il terzo.

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Quanto alle siepi, per farle crescere fitte si usa potare le piantine quando hanno raggiunto la grossezza di un dito: si tagli molto basso, senza scrupoli; non tarderanno a ricacciare. Quando una siepe già adulta minaccia di diradarsi in basso, si possono fendere i rami più grossi nel senso della lunghezza, per poi piegarli e fissarli al terreno. Quando le piante arrivano dal vivaio, non bisogna essere timidi nel potare, specialmente se si vogliono ottenere siepi robuste. Usi & Tradizioni Il biancospino è noto all’uomo fin dai tempi più antichi; fu Teofrasto, pare, a chiamarlo Crataegus da “kratos”, in greco forza, robustezza; e del biancospino non è robusto soltanto il legno (un legno, specialmente quello del Crataegus monogyna, quando il tronco della pianta abbia raggiunto un sufficiente diametro, molto ricercato dai falegnami e tornitori), ma l’intera pianta, che nel suo insieme dà un’impressione di forza. Le siepi di biancospino sono poi utili oltre che per lo scopo ornamentale, anche come difesa: se vengono tenute in buona forma, con opportune potature, divengono una barriera impenetrabile per gli animali. Infine le siepi e gli alberelli delle specie più rustiche di c. sono un ottimo rifugio per gli uccelli siepaioli che vi costruiscono i loro nidi. Qualche specialista di cespugli come il Boerner, tratta il C. con una certa sufficienza e lo sconsiglia per il giardino. E questo perché “ i fiori emanano cattivo odore e sui suoi rami vivono molti insetti che possono emigrare sui nostri alberi da frutto e causare molti danni”. Un motivo plausibilissimo. Ma, per quel che riguarda la minaccia di infezioni, esistono ben altri pericoli di contagio e a ogni modo è un inconveniente abbastanza facile da prevenire. Quanto al cattivo odore (i fiori del Biancospino emanano un leggero odore di pesce marcio, scrive l’Enciclopedia Brittanica), quale fastidio può dare all’aria aperta? Basterà non portare i rami in casa. Storie & Leggende Una casa ornata di fiori allieta lo spirito di chi abita, ma fate attenzione ai fiori che scegliete: ce lo suggerisce una superstizione anglosassone, secondo cui portare in casa i rami fioriti di biancospino significa morti in famiglia. Non deve essere estranea a quest’altra credenza celtica, secondo la quale la corona di spine di Cristo sarebbe stata intrecciata con i rami di Biancospino: da qui è certo derivata l’antipatia per la pianta. Ma le leggende, tutte nordiche, non finiscono qui. Una di esse narra che San Giuseppe d’Arimatea, giungendo a Glastonbury, in Inghilterra, per portarvi la fede cristiana, invocasse un miracolo e che questo si realizzasse nella fioritura natalizia del Biancospino; il miracolo si riferisce alla specie chiamata C. monogyna varietà precox, che è coltivata in moltissimi giardini inglesi (famosi quelli dell’Abbazia di Glastonbury, ricordati anche dal verso di Tennyson: “To Glastonbury, where the winter thorn blossoms at Christmas, mindful of our Lord”). Un’altra versione della storia di San Giuseppe di Arimatea (colui che ebbe l’onore insigne di recare sepoltura a Gesù) narra che il biancospino miracoloso che cresceva a Weary-all Hill, appena sopra Glastonbury, era il bastone che il santo aveva piantato in terra appena giunto in quel luogo e che puntualmente rifioriva tutti gli anni, la vigilia della nascita di Cristo. Fino all’epoca di Carlo I, il giorno di Natale veniva portato solennemente al re d’Inghilterra un ramo fiorito di biancospino. Ma nel 1649 Carlo I fu decapitato e il biancospino venne tagliato dai puritani di Cromwell. Oggi il punto in cui esso cresceva è indicato da una pietra. Però i germogli dell’arbusto fioriscono ancora e la tradizione vuole che per Natale se ne continui a presentare un ramoscello al sovrano. Una leggenda, questa volta francese, vuole che il giorno del Venerdì Santo il legno del C. emetta gemiti e lamenti. Meno cupi, più felici e certamente più aderenti al valore che ha la pianta nel ciclo stagionale, i greci consideravano il Crataegus l’emblema della speranza e facevano grande uso dei suoi rami fioriti durante le processioni nuziali, adornando con essi gli altari della dea Imene. Nel Santuario della Verrucchia a Zocca nel Modenese, si dice che la Madonna apparve su di una pianta di biancospino (il tronco è conservato all’interno dell’edificio sacro); coloro che si recavano in pellegrinaggio a questo santuario osservavano diligentemente la consuetudine di asportare dai boschi

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circostanti alcuni rametti che sarebbero serviti per costruire piccole croci considerate reliquie taumaturgiche. L’apparizione della Vergine, sovrastante il biancospino, avrebbe il valore di metafora visiva significante il trionfo celeste sulle spine dell’aridità religiosa e della miscredenza. E’ ricordato anche in poesia dal Pascoli ne Il ciocco (“O Valentino vestito di nuovo…”) e in Novembre (“…e del prunalbo l’odorino amaro…”). Medicina & Erboristeria Largo impiego, specialmente nei paesi nordici, trova il biancospino come cardiotonico. E’ difficile in Germania trovare una vetrina di droghiere o di farmacista dove non sia esposta una bottiglia di elisir di bacche di Biancospino. La sostanza medicamentosa estratta dai fiori( epoca di raccolta: aprile-maggio), dai frutti e dalla corteccia, è antispasmodica e agisce sul cuore e sui vasi attraverso il sistema simpatico. Questa droga ha, sulla digitalina, il vantaggio di non essere tossica. Ma sembra anche che il biancospino abbia qualità sedative, indipendentemente dalle sue virtù cardiotoniche, e che si sia dimostrato utile per curare insonnie e accessi di angoscia. Pare inoltre che nella campagna laziale ci sia gente ghiotta dei frutti del C. e che abbia rilevato in essi virtù astringenti. In erboristeria viene spesso consigliato come cardiaco generale; per la farmacia domestica si consigliano infuso e tintura in caso di ipertensione, nervosismo, insonnia. Il bagno con i fiori di biancospino ha effetto tranquillante. Controindicato per chi soffre di bassa pressione arteriosa; poiché è molto attivo nei confronti dell’apparato circolatorio, è bene assumerlo sempre dietro consiglio medico e rispettare le dosi. Vino di vischio e biancospino 30g di vischio (foglie), 15g di biancospino (fiori), 1l di vino bianco secco. Ponete a macerare per 7 giorni il vischio e il biancospino nel vino bianco secco. Trascorso questo periodo filtrate e conservate in una bottiglia ben chiusa e riparata dalla luce. Consumate due bicchierini al giorno, di cui 1 prima dei pasti, per combattere l’ipertensione arteriosa. Vino di biancospino 20g di biancospino, 1l di vino bianco Ponete a macerare il biancospino per una settimana nel vino bianco. Trascorso questo periodo filtrate spremendo bene il vegetale e conservate in bottiglia. Consumate 2 bicchierini al giorno come sedativo del sistema nervoso e per combattere l’arteriosclerosi. Vino di biancospino, camomilla e melissa 20g di biancospino (fiori), 10g di camomilla(fiori), 5g di melissa, 1l di vino bianco dolce ad alta gradazione alcolica. Ponete il biancospino, la camomilla e la melissa a macerare nel vino per 7 giorni. Trascorso questo periodo filtrate e conservate in bottiglia. Consumate 2 bicchieri al giorno di questo vino medicinale, uno dei quali mezz’ora prima di coricarsi. Indicato per i casi di insonnia e negli stati ansiosi. - Infuso di biancospino 1 cucchiaio di biancospino(fiori), 1 cucchiaio di salvia(foglie), 1 cucchiaio di menta (foglie), 1 cucchiaio di melissa (foglie), 1 tazza d’acqua. Miscelate bene il biancospino, la salvia, la menta e la melissa. Prelevate poi 1 cucchiaio del composto e versatevi sopra 1 tazza d’acqua bollente, lasciando riposare per 10 minuti prima di filtrare. Bevetene 2 tazzine al giorno dopo i pasti come rimedio contro l’angina pectoris. - Infuso di biancospino 30g di biancospino, 100g di miele, 1l d’acqua. Gettate il biancospino in 1l d’acqua bollente e aggiungete il miele. Prendetene 8-10 cucchiaini al giorno come rimedio contro l’arteriosclerosi.

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- Infuso di biancospino 20g di biancospino(fiori), 20g di maggiorana (sommità fiorite), 2,5 dl d’acqua. Mescolate in maniera omogenea il biancospino e la maggiorana. Dosate 1 cucchiaio e ponetelo in infusione per circa un quarto d’ora in 2,5 dl d’acqua bollente. Trascorso questo periodo, filtrate. Consumatene 2 tazze al giorno lontano dai pasti, una al mattino appena alzati e una alla sera mezz’ora prima di coricarsi. Aiuta a combattere stati d’ansia e di angoscia. - Infuso di biancospino 4 cucchiai di biancospino, 4 cucchiai di tiglio, 4 cucchiai di arancio(fiori), 4 cucchiai di violetta, 4 cucchiai di meliloto, 4 cucchiai di melissa, 4 cucchiai di luppolo, 4 cucchiai di valeriana. Miscelate bene gli ingredienti, eventualmente aiutandovi con un pestello. Su 1 cucchiaino di miscela così preparata versate 1 tazza d’acqua bollente e lasciate in infusione per qualche minuto prima di bere, Bevetene 2-3 tazze al giorno. La tisana è indicata per tutti i sintomi imputabili al nervosismo, emicrania, palpitazioni, crisi di asma, dolori gastrici. - Infuso di biancospino 10g di biancospino(fiori), 10 g di maggiorana(sommità fiorite), 15g di tiglio (infiorescenze con brattee), 15g di fumaria(parte aerea fiorita), 2,5 dl d’acqua. Mescolate in maniera omogenea il biancospino, la maggiorana, il tiglio e la fumaria. Dosate 1 cucchiaino di questa miscela e lasciate in infusione per 15 minuti in una caraffa di vetro contenete 2,5 dl d’acqua bollente. Trascorso questo tempo, filtrate. Consumatene 2 tazze al giorno, mattino e sera lontano dai pasti, come rimedio contro l’arteriosclerosi. - Infuso di biancospino Biancospino, lavanda, tiglio. Miscelate i componenti in parti uguali. Ponetene in infusione un cucchiaio per ogni tazza d’acqua bollente. Filtrate dopo 15 minuti. Bevetene due tazze al giorno per alleviare gli effetti della menopausa. Cucina & Ricette In cucina i frutti degli esemplari selvatici possono essere utilizzati pe la preparazione di marmellate, ma poiché(a parte l’azzeruolo) non hanno un sapore particolarmente gradevole è meglio utilizzarli sempre in associazione con altri frutti di bosco. Boccioli di biancospino in salamoia Boccioli di biancospino, acqua molto salata, qualche foglia d’alloro. Fate bollire i boccioli di biancospino pe qualche minuto in acqua molto salata. Scolate e deponete in un vaso di vetro; versatevi sopra nuova acqua salata assieme a qualche foglia d’alloro. Chiudete ermeticamente e sterilizzate.

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BIRICOCCOLO Famiglia : Rosaceae Nomi dialettali : Bericòca, Bericòca(MO), Bericòccola(RA), Albicocco del Papa, Albicocco di Maria Luigia (PR), Cressomola sanguigna, Magnana nera, Susincocco, Plumcot. Etimologia : forma dialettale (delle regioni centro settentrionaBARQŪC” (forse attraverso il bizantino “βερξχοχχου”).

Descritto per la prima volta, col Luois Duhamel du Monceau su “TPoco tempo dopo compare, col nomdi alberi da frutto (1775) commercidi Parigi. In Italia ne esistonprobabilmente originarie del bologstorici dell’albicocco. Conosciuto bolognese, si è diffuso in quasi tuttae alla Toscana. Frutto tondo, medio piccolo; bucc

colore arancio-violetto. Polpa dolce, dal sapore che ricorda l’albicocnocciolo è appiattito e allungato e la polpa è di colore rosso aranciatimpollinato da albicocco o dal susino Mirabolano. Il fiore è medio rosa. La fioritura avviene prima dell’emissione delle foglie ematurazione avviene un po’ per volta e i frutti vanno raccolti quandgiugno alla prima settimana di Luglio. Essendo una pianta ruantiparassitari.

Albero a foglia caduca di media vigoria Fioritura: primavera Altezza: fino a 8 m. Ambiente: pianura fino alla collina, teme le gelate tardive, in montagna produce poco. Propagazione: seme, talea, innesto.

Nei vivai si trovano le seguenti varietà: - BOLOGNESE: frutto medio, di forma regolare, tondeg

pubescente, sottile, delicata e nei frutti maturi screpola con lsubacido con profumo di albicocca. La polpa è gialla, tenrosso, mediamente soda e liquescente a maturazione complet

- GIGANTE DI BUDRIO: Biricoccolo dalla forma piùpiù succosa e dolce.

- VESUVIANO: frutto piccolo, un poco più aspro degli aaromatico.

Citazioni & Co. Panzini, II 684 “E allora, la sera, la Dolly ordinava al cuoco certi gsorti dei sopori che si possono immaginare; certi piatti di persiche, brinate come d’inverno.” Cucina & Ricette Con questo piccolo frutto venivano preparate ottime marmellate e sa Sorbetto di Biricoccole Biricoccole saporose e ben mature, pesate col nocciolo, grammi 3200. Acqua mezzo litro. Un limone di giardino.

li), deformazione dall’arabo “AL-

nome di “Apricot noir”, da Henry raitè des arbres fruitieres” (1768). e di “Apricot violet”, nel catalogo

alizzati dal vivaio dei frati Certosini o più varietà diverse tra loro, nese e della zona vesuviana, regni sotto vari sinonimi, nel tempo, dal la pianura padana, fino al Trentino

ia liscia, sottile, appena pelosa, di ca con la fragranza di una susina, il o. Per fruttificare necessita di essere piccolo con petali bianchi soffusi di d è sempre molto rigogliosa. La o risultano perfettamente maturi, da stica non necessità di trattamenti

giante o quasi sferica. La buccia è a massima facilità. Il sapore è dolce, dente all’aranciato, talora velata di a. Matura verso il 15 di Luglio.

grande, sempre sferica e con polpa

ltri due, ma molto più profumato e

elati così grandi con dentro tutte le di fragole, di biricoccole, che erano

lse.

00. Zucchero bianco fine, grammi

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Fate bollire lo zucchero nell’acqua per 10 minuti, uniteci, quando è diaccio, la polpa delle biricoccole passata al setaccio e il sugo del limone. Tornate a passare il composto avanti di metterlo nella sorbettiera. Questa è la dose abbondante per quattro persone.

CASTAGNO (Castanea sativa Mill.) Famiglia : Fagacee Nomi dialettali : Castàgn, Castâgna, Marôn Etimologia : Il nome deriva dal greco “kàstanon”, castagno.

E’ diffuso su tutta l’Europa mediterranea, i Romani lo esportarono in molte zone ed è quindi complicato indicare il punto d’origine. Questo albero può arrivare ai 30 m di altezza. Il tronco è eretto, robusto, molto ramificato e di colore bruno scuro, fessurata a spirale longitudinalmente; la chioma globosa spesso irregolare di colore verde chiaro vivo. Foglie oblanceolate, lunghe da 10 a 25 cm, con base cuoriforme, rotonda, verdi, lucide, con il margine dentato; la pagina superiore è lucida, glabra e di colore verde scuro, mentre quella inferiore è pallida e opaca. Le infiorescenze maschili e femminili sono di solito sullo stesso stelo: le maschili si presentano come lunghi amenti biancastri eretti, fino a 20 cm, le femminili sono globose e poste alla base in numero di 2 o 5. Il frutto è una cupola spinosa a forma di riccio,

molto pungente, di diametro da 5 ai 10 cm, che a maturazione si apre in quattro valve, liberando gli acheni, detti castagne, “noci” brune, ornate alla base da una cicatrice e all’apice da una torcia. Abbastanza adattabile alle diverse condizioni climatiche, il Castagno è una specie mesofite sia nei confronti della temperatura che dell’umidità. Tollera la siccità estiva; teme invece le gelate precoci e tardive e le piogge abbondanti nel periodo dell’antesi. Non tollera i suoli calcarei, argillosi e troppo umidi, ma predilige i terreni sciolti, freschi e profondi.

Arbusti a foglia caduca. Fioritura: Giugno – luglio. Altezza: sino a 3 m. Ambiente: dalle colline alla fascia montana inferiore. Propagazione: per seme, per margotta, per propaggine e per polloni radicali, innesto.

Come si coltiva L’impianto si effettua per semina, a buche o a solchi. Normalmente però si ricorre alla piantagione in semenzali di 2-3 anni, per i boschi da legno, e di trapianti di 5-6 anni per i boschi da frutto. Le piante da frutto vengono innestate in vivaio ad anello o a corona. L’innesto può attuarsi, a corona o a spacco, anche in bosco, utilizzando i giovani polloni e piante da seme con l’impiego, nei primi anni, di pali tutori. Dopo l’impianto del castagneto da frutto può essere utile una concimazione. Nei primi anni vanno eseguiti risarcimenti, sfollamenti, sarchiature e una leggera potatura di allevamento. Il Castagno viene governato a ceduo o ad alto fusto. All’inizio della fruttificazione (15-20 anni) la densità del castagneto da frutto deve essere di un centinaio di piante per ettaro, che possono ridursi a 50-70 all’epoca della piena fruttificazione (45-50 anni). Le cure culturali nelle fustaie da legno o nei cedui a turni lunghi sono limitate a diradamenti fino al conseguimento della densità ottimale (1000-10000 ceppaie, a seconda della durata del turno). L’età delle piante per la produzione del legno non dovrebbe superare i 100 anni. Per il castagneto da frutto si considera necessaria la sostituzione dopo 120-150 anni, poiché la fruttificazione declina sensibilmente. I

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castagneti da frutto sono puri, mentre quelli cedui possono essere consociati al castagno ornello, carpini, tremolo, abete bianco e faggio. Attualmente il castagno ha perduto gran parte dell’importanza che i nostri nonni gli davano, sia per l’esodo dalle campagne (in cui forniva uno dei principali alimenti), sia per l’attacco di due gravi malattie fungine, il “cancro della corteccia” ed il “mal dell’inchiostro”, che per fortuna tuttora sembra essersi attenuato. Tradizione & Indovinelli Un tempo si scandivano gli eventi ricordando i santi:

“Par San Jacum e Sant’Ana, e liga la castâgna” (Per San Giacomo e Sant’Anna, 25-26 luglio, allegano i fiori di castagno)

“Par Santa Maria, la castâgna la cria”

(Per Santa Maria, la castagna si crea)

“Par San Matè, os mâgna i cè” (Per san Matteo, 21 settembre, si mangiano le prime castagne, piccole e bianchicce)

“Par san Loca, la castâgna la s’plòcca”

(Per San Luca, 18 ottobre, la castagna si pilucca, perché è matura)

La sera del 25 novembre, Santa Caterina, che tradizionalmente dava inizio all’inverno, era usanza che il “moroso” facesse visita alla fidanzata facendosi precedere dal “bracco”, una persona anziana ed esperta incaricata di far filare tutto liscio fino al matrimonio, il quale reggeva un sacchetto di marroni che, cotti sulla fiamma del focolare o bolliti con le foglie di alloro, avrebbero rallegrato i convenuti e favorito il matrimonio ricco di figli. Nelle zone del Piacentino si balla ancora oggi sotto i castagni al suono allegro delle fisarmoniche, come in un antico rituale festoso pagano e si canta:

“Sotto la foggia de castagna Sotto la foglia di castagna grande festa se ghe fa, grande festa ci si fa, se ghe mangia e se ghe beva ci si mangia, ci si beve e la piv se fa sonà” e la zampogna si fa suonare.

Fin dalla metà dell’800 nei pressi di un castagno secolare, allora esistente a Granaglione (BO), si svolgevano le “nozze con l’albero”; prima del tradizionale matrimonio, l’allegra brigata dei convitati si raccoglieva intorno ad esso contado in girotondo la seguente filastrocca:

“Questo è il castagno fiorito, tu sarai mio marito.

Questo è il castagno delle foglie, tu sarai mia moglie.”

In realtà le “nozze con l’albero” avevano il significato di trarre dalla grossa pianta un vigore di cui si sarebbe arricchito l’organismo umano;l’uomo si sarebbe assicurato l’energia fecondativa, e la donna avrebbe avuto la certezza di essere feconda. A Barsi (Piacenza), nella notte verso il 2 Novembre, vengono bollite insieme castagne e piccole pere, che ai primi chiarori dell’alba vengono versate in una zuppiera e lasciate sul tavolo di cucina, affinché i defunti se ne cibino. In tutta l’area Appenninica Emiliano-Romagnola, e anche in pianura, vi era l’antica concettualità secondo la quale l’uomo sarebbe derivato dall’albero, questa era inconsciamente suffragata dall’usanza degli adulti di mostrare ai ragazzi un vecchio albero di castagno cavo, facendogli credere che proprio dal buco apertosi nel tronco erano nati. Questi indovinelli e modi di dire, che seguono, hanno tutti la stessa risposta stiamo parlando della castagna:

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“E pêder lungagnô, la mêder spinusêla, la fjôla tânta bêla, che tot la vò spusê” (Il padre spilungone, la moglie spinosetta, la figlia tanto bella, che tutti la vogliono sposare)

“Cavè la castâgna da è fog con la zampina de gât”

(Togliere la castagna dal fuoco, con la zampina del gatto: nel senso di fare qualcosa a proprio vantaggio lasciando i particolari agli altri)

“La maténa a culaziô socce e lebbrocce, castagne e marôn. E dé a desné, socce e lebbrocce, castagne e

brusé. E la sira pu da zâna, socce e lebbrocce, castagne e farâna.” (La mattina a colazione, le ballotte, castagne e marroni. Il giorno a desinare, le ballotte, castagne

bruciate. E la sera poi da cena, le ballotte, castagne e polenta) Castagni & Monumenti Essendo la pianta del Castagno molto longeva, si possono ammirare oggi esemplari splendidamente maestosi, la cui circonferenza del tronco supera a volte i 15 metri, divenuti dei veri e propri monumenti da visitare e fotografare, ecco alcuni esempi:

- “Osteria del Bugeon” Monte di Badi (BO). Circonferenza: m 8,65 (m 11,15 alla base). Età: 1800 circa. Tutt’ora all’interno del tronco è stata sistemata una panca che può ospitare 12 persone, un tavolo, ed è quindi stata fatta una porta dal il tronco stesso e una finestrella.

- “L’albero del vino” Granaglione-Lustrola (BO). Circonferenza: m 7,25. Altezza: m 10,00. prende questo nome perché da esso fuoriescono due rubinetti, uno collegato con l’acquedotto e l’altro collegato ad una botte di vino sistemata al suo interno concavo.

- “L’albero secolare” Zocca-Monteombraro (MO). Circonferenza: m 7,80 (m 15,20 alla base). Altezza: m 13. Età: anni 600 circa.

- Castagno di Sestola-Roncoscaglia (MO). Circonferenza: m 8,23. Altezza: m 12,00. Chioma: m 16. Si riesce ad entrare a carponi da una cavità e può contenere 2 persone, veniva usato come rifugio contro i rastrellamenti fascisti.

- Castagno di Montese (MO), circonferenza: m 7,32, anche questo veniva usato per la sua cavità come nascondiglio.

- Castagno di Monchio delle Corti - Trincera(PR), circonferenza: m 7,50, altezza: m 20,00. - Castagno di Corniglio- Sesta (PR), circonferenza: m 10,00, altezza: m 16,00.

“Castagnai & Metato” Parecchi mestieri che avevano come sede il castagneto sono scomparsi nel corso del tempo: i boscaioli (tra loro in particolare i “scamaiatori”: specializzati nella mondatura e acconciatura degli alberi di castagno), i carbonai (coloro che bruciavano legna in mezzo ai boschi per produrre carbone) ed infine i castagnai che si occupavano della raccolta, della essiccazione, della sgusciatura e della cernita del dolce frutto del castagno. Con il sopraggiungere dell’avanzata stagione autunnale i lucenti frutti del castagno cadevano nel sottostante tappeto muschioso, e iniziava così la raccolta del prodotto. Le castagne venivano riposte in appositi cesti dai raccoglitori di ogni età (in prevalenza anziani), venivano provvisoriamente immagazzinate nei “casotti” sparsi nelle radure o al limitare dei boschi; in un secondo tempo, quando il deposito era oramai cospicuo e la raccolta ultimata, il prodotto veniva trasferito al seccatoio, o “metato”(“casone” nel Bolognese) oppure al mercato o direttamente a famiglie di pianura in cambio di frumento e granoturco. Così descrive Alcide Spaggiari il “metato” del Reggiano e l’attività che svolgeva in relazione ad esso: “ I metati erano (sono scomparsi quasi tutti) piccole costruzioni di pietra, qualcuno a conci squadrati, a pianta quadrata o rettangolare, da quattro a sei-sette metri di lato e con circa quattro metri di altezza, con un tetto a piastrelle o, i meno vecchi, a tegole. Erano situati in una radura del castagneto lungo i sentieri o l mulattiere, con la fronte a valle. Sulla facciata c’era la porta bassa con architrave in pietra, spesso scolpita con croce o antichi segni scaramantici (come nelle vecchie case): nel retro c’era una finestrella quadrata. All’interno un solido graticcio di legno divideva

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orizzontalmente il vano e si stendeva dall’architrave della porta alla base della finestra. Dalla finestra si versavano sul graticcio le castagne e, sotto, si accedeva il grande fuoco che durava una ventina di giorni…Tre o quattro uomini in permanenza in ogni metato per alimentare il fuoco e custodire il prezioso raccolto. Dovevano rimanere seduti o accovacciati perché, in piedi, sarebbero stati soffocati dal fumo. Ingannavano le lunghe ore del giorno e della notte, accanto a fiaschi di vino (con frequenti ricambi), giocando a carte e narrandosi quelle vecchie storie e leggende che formavano una trama dei “maggerini” più rinomati per la prossima stagione.” Dopo una ventina di giorni, spento il fuoco, le castagne, tolte dal graticcio, venivano ripulite dagli avanzi del guscio combusto. L’ultima operazione, coinvolgente tutta la famiglia, gli amici e i vicini, era la sistemazione delle castagne nella “vassora”, dove sfilavano ad una a una sotto gli occhi di tutti per essere definitivamente selezionate e, quindi, pronte per la molitura. Nel Modenese i trasporti a spalla, sui monti, si facevano col “corgone”, costituito da un traliccio leggero di rami flessibili di castgno, così da accompagnare il movimento del passo. Particolarmente nel Bolognese si facevano le castagne lessate e affumicate, chiamate in dialetto “ànser” (si usava dire a chi era corto di fiato per aver salito precipitosamente le scale: “Vandet i ànaser?” Vendi gli anseri? Con evidente riferimento all’ansare dell’interessato). L’offerta delle castagne lessate o “bruciate” era simbolo di benvenuto e divenne motivo di feste e sagre popolari. Medicina & cosmesi Per l’alto valore nutritivo se ne consiglia il consumo in caso di carenza di vitamine e delimitazione. Infuso e decotto per affezioni bronchiali e diarrea. Gargarismi con l’infuso delle foglie per infiammazioni, di gola e bocca. L’acqua di cottura delle castagne usata per il risciacquo dopo lo shampoo esalta i riflessi dei capelli biondi; la polpa schiacciata dei frutti può essere impiegata come maschera schiarente ed emolliente. Sconsigliato l’uso del frutto ai diabetici e ai sofferenti di fegato. Dato l’alto contenuto di tannino, non bisogna utilizzare recipienti di ferro per la cottura. Decotto di castagne 150g di carrubo (frutti), 50g di castagne (buccia), 2 dl d’acqua Pestate i frutti di carrubo e la buccia di castagna, macinate il tutto e fate bollire per 5 minuti. Lasciate riposare per 10 minuti, filtrare e somministrate ai bambini 7-8 cucchiaini al giorno per combattere le diarree infantili. Infuso di castagno 1 manciata di castagno(foglie), 1 l d’acqua Ponete a riposare le foglie di castagno in 1 l d’acqua bollente per 20 minuti. Filtrate e fate dei gargarismi più volte nel corso della giornata. Bevete 2 tazze al giorno di questo infuso per combattere la tosse. Riflessane alla castagna L’acqua di bollitura delle bucce delle castagne è un ottimo riflessane dopo shampoo per esaltare i riflessi dorati dei capelli biondi. Cucina & Ricette In cucina trova largo impiego, veniva chiamato “l’albero del pane” per quanto il suo utilizzo fosse importante. Le castagne in svariati modi: “aròs, balôs, castrôn, spasimanti, cuciàrol”(arrosto, lesse, alla brace, passate al setaccio). Confetture di castagne 1kg di castagne (marroni), sbucciate, 700g di zucchero, 1 stecca di vaniglia.

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Incidete la buccia delle castagne e bollitele per qualche minuto; sbucciate ancora calde e mettetele di nuovo in una pentola con acqua a bollore. Cuocete per circa 20 minuti a fuoco basso, quindi passatele nel passaverdura e pesatele. Preparate uno sciroppo sciogliendo lo zucchero in 1 bicchiere d’acqua: sarà pronto quando il cucchiaio formerà in filo di 4-5 cm. A questo punto unite allo sciroppo la purea di castagne e la stecca di vaniglia e cuocete ancora per circa 30 minuti, mescolando. Invasate a caldo, dopo aver eliminato la stecca di vaniglia. Pasta di castagne 2kg di castagne, zucchero Incidete la buccia delle castagne e bollitele per qualche minuto; sbucciatele ancora calde e mettetele di nuovo in pentola con acqua a bollore. Cuocete per circa 20 minuti a fuoco basso, quindi passatele nel passaverdura aiutandovi semmai con un po’ d’acqua di cottura. Pesate il passato e mettete al fuoco l’eguale dose di zucchero sciogliendolo con poca acqua, portate a bollore mescolando con cura per qualche minuto. Unite la purea di castagne allo sciroppo e senza smettere di mescolare fate riprendere bollore. Spegnete dopo alcuni minuti, lasciate intiepidire e conservate in barattoli di piccole dimensioni. Montebianco 600g di castagne, 50g di zucchero, 20g di burro, 1 tuorlo d’uovo, 2 dl di panna, zucchero a velo, latte, un baccello di vaniglia. Praticate un incisione sulla buccia delle castagne e sbollentate poche alla volta per una decina di minuti in modo da riuscire a sbucciarle facilmente (anche della pellicina interna). Ponetele poi al fuoco in una casseruola con lo zucchero e la vaniglia, ricoprendole con il latte; fate cuocere a fiamma molto bassa (aiutatevi con una retina frangifiamma) per circa 40 minuti, comunque il tempo necessario a far assorbire quasi tutto il latte. Togliete la vaniglia e passate le castagne al setaccio; amalgamate a un po’ di latte in modo da ottenere una crema consistente che legherete con il tuorlo d’uovo e il burro ammorbidito e lavorato con un cucchiaio di legno. Aiutandovi con uno schiacciapatate fate scendere il composto di castagne su di un piatto di portata dandogli la forma di “monte”. Montate la panna addolcendola con un po’ di zucchero a velo e usatela per decorare la cima del monte “innevandolo”. Fate raffreddare in frigorifero prima di servire. Crema di castagne e mele 300g di mele sbucciate e private del torsolo, 300g di castagne private della buccia esterna, 100g di uvetta, sale, pinoli lavate e lasciate l’uvetta in ammollo in poca acqua. Nel frattempo bollite le castagne in acqua leggermente salata. Quando sono cotte, privatele della pellicina che ancora le riveste. Quindi cuocete le mele assieme all’uvetta, a fuoco molto lento (non dovrebbe essere necessario aggiungere acqua). A cottura ultimata, lasciate raffreddare e poi frullatele con le castagne. Se la crema vi sembrasse troppo densa, ammorbiditela con un po’ d’acqua e servite in coppette, guarnendo con pinoli. Castagnaccio 300g di farina di castagne, 1 pizzico di sale, 50g di uvetta passa, 30g di pinoli, 1 rametto di rosmarino, olio extravergine d’oliva. Setacciate in una ciotola la farina di castagne, aggiungetevi 1 cucchiaio d’olio e del sale, battete con una frusta e unite lentamente ½ l d’acqua circa, così da ottenere una pastella piuttosto liquida. Lavate l’uvetta, strizzatela e incorporatela all’impasto. Ungete una teglia bassa e larga con poco olio, versatevi l’impasto a uno spessore di 2 cm circa, cospargete i pinoli e gli aghetti di rosmarino, bagnate con l’olio rimanente e infornate a 200 °C per un ora: si formeranno delle piccole crepe in superficie e una croccante crosticina. Servite tiepido oppure freddo. Minestra di latte e castagne 250g di castagne secche senza scorza, 1 l e ½ di latte, pinoli, uvetta, sale.

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Acquistate delle castagne secche e lasciatele riposare per un giorno intero in acqua tiepida. Scolatele, ponetele in una pentola e lessatele in acqua per circa 2 ore, salando poco prima di levarle dal fuoco. Scolatele di nuovo e continuate la cottura nel latte per altri 45 minuti, controllate il sale e aggiungete un cucchiaio di pinoli e uno di uvetta ammorbidita precedentemente in un po’ d’acqua tiepida e strizzata. Alzate per un attimo il bollore e servite senza indugio questa minestra energetica e gustosa. Crema di castagne 200g di castagne bollite e sbucciate, ½ l di latte di soia, 2 cucchiai di amido di mais, 2-3 cucchiai di miele, 1 tazzina di brandy (facoltativo), pinoli. Versate le castagne nel frullatore, aggiungetevi una parte del latte e frullate i tutto, così da ottenere una purea omogenea e soffice. Stemperate in una casseruola l’amido di mais con il latte rimanente, aggiungetevi la purea di castagne e portate a ebollizione dopo aver inserito la retina frangifiamma sotto la casseruola. Mescolate senza sosta e calcolate un paio di minuti di cottura da quando il composto inizia a bollire. Incorporate il miele fuori dal fuoco ed, eventualmente, il liquore; versate in coppette e lasciate raffreddare, decorate con dei pinoli. Castagne in crema di riso 300g di castagne secche, 250g di fiochi di riso, ½ l di latte, un pezzetto di stecca di vaniglia, 2 cucchiai di miele, 1-2 cucchiai di malto di riso, pinoli q.b., marmellata di fichi, sale. Dopo averle lavate, lasciate le castagne secche in ammollo per una notte e cuocetele quindi per circa 45 minuti in acqua leggermente salata. Quando saranno ben morbide scolatele e mescolatele al miele. Nel frattempo avrete preparato una crema mettendo a scaldare il latte e versando i fiocchi di riso e la vaniglia; lasciate cuocere per un quarto d’ora circa su fuoco molto lento e con una retina frangifiamma, mescolando. A fine cottura aggiungete il malto di riso e amalgamate. Servite le castagne tiepide sulle quali avrete versato qualche cucchiaiata di crema di riso, qualche pinolo leggermente tostato e un tocco di marmellata di fichi. Minestra di castagne 400g di castagne secche, 1 mazzetto di menta, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 rametto di rosmarino, 5 foglie di salvia, sale. Lavate le castagne e quindi tritate finemente la menta, il prezzemolo, gli aghetti di rosmarino e la salvia. Versate le erbe aromatiche in una casseruola d’acqua in ebollizione e unitevi le castagne, quindi riportate a bollore, coprite con un coperchio, moderate la fiamma e lasciate cuocere per un paio d’ore. Quando le castagne saranno ben morbide, servite la minestra con delle fette di pane raffermo, abbrustolite in forno. Crostata di marroni e pere volpine 400 gr pasta frolla, 1 Kg marroni, 250 gr zucchero, 500 gr pere volpine, 1 l latte fresco, n.6 uova, 1 cucchiaio di uvetta, 1 cucchiaio di pinoli,½ stecca di vaniglia. Sbollentare i marroni e sbucciarli. Pelare le pere e privarle del torsolo. Cuocere la frutta per circa un’ora in acqua con lo zucchero e la vaniglia passare quindi al setaccio e aggiungere le uova, il latte e la frutta secca. Si otterrà un composto cremoso che verrà versato in una teglia rivestita di pasta frolla e cotto in forno a 160° per circa un’ora. Castagne al rum 1kg di castagne, zucchero, rum. Lessate le castagne in abbondante acqua, scolatele a metà cottura e pulite dalla buccia e dalla pellicina interna con molta delicatezza così da mantenerle intere. Preparate uno sciroppo con uguali dosi di zucchero e acqua e dopo 2-3 minuti di bollore unite le castagne e completate la cottura. Scolatele dallo sciroppo e sistematele nei vasi, quindi coprite bene con il rum. Lasciate riposare per 2-3 mesi in dispensa prima di gustare.

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Mousse di castagne 50 cl d’acqua, 500 g di zucchero, 50 cl di panna, 250 g di crema di marroni, 200 g di castagne sottovuoto. Portare a bollore in una casseruola lo zucchero e l’acqua. Versare i marroni e lasciarli cuocere per 2 ore a fiamma dolce. Lasciarli raffreddare nello sciroppo. Montare la panna e incorporare la crema di marroni. Mettere in frigo per circa un ora. CILIEGIO SELVATICO (Prunus avium L.) Famiglia: Rosaceae Nomi dialettali: S’resa, Calùm, Zambella, Vesra, Z’resa, Z’risa. Etimologia: Il nome specifico deriva dal latino “avis” e significa degli uccelli, perché il frutto è appetito appunto dagli uccelli che ne facilitano la disseminazione.

Coltivato da tempi remoti soprattutto nelle zone a clima temperato, inselvatichito nei boschi montani ove vive sino a 1600 m di altitudine. Originario dell’Asia occidentale, in Italia è presente dappertutto, in Sicilia solo a seguito di coltivazione; preferisce climi temperati e luoghi luminosi. Questo albero ha rami robusti ascendenti che formano una corona ampia piramidale; la corteccia rossobruna si distacca, con l’età, in strisce orizzontali. Le foglie caduche, alterne, ovali-oblunghe, si presentano con margine dentato, nervature evidenti e apice lungo;

presentano delle ghiandole alla base. Hanno colore verde brillante che diviene cremisi in autunno. Sono portate da un picciolo rossastro scanalato. I fiori sono ermafroditi con lunghi peduncoli, riuniti in gruppi da 2 a 6, i 5 petali sono biachi, rotondo-smarginati. Il frutto è globoso, rosso scuro o nero purpureo a maturità, lucido, dolce, con epicarpo aderente alla polpa del nocciolo. Il Ciliegio selvatico viene considerato come il progenitore di tutti i ciliegi coltivati.

Albero a foglie caduche. Fioritura: Marzo-Aprile. Altezza: fino a 30-35 m. Ambiente: montagna ecollina.. Propagazione: per seme se selvatici, per innesto se coltivati.

CILIEGIO A GRAPPOLI o PADO (Prunus padus L.) E’ diffuso in tutta l’Europa centrosettentrionale, arriva sino a 1500 m di quota e cresce di norma in prossimità dei corsi d’acqua. Si presenta come un piccolo pruno alto dai 6 ai 12 m, con tronco ramificato fino alla base , viene usata come pianta ornamentale, poichè presenta dei bei fiori bianchi a grappolo pendente. I frutti sono drupe nere lucenti, simili a ciliegie, raccolte in grappoli come i fiori; presentano buone quantità di tannino (un po’ astringenti), usati nel passato per insaporire acquaviti e liquori. CILIEGIO CANINO (Prunus mahaleb L.) E’ spontaneo in Europa meridionale e presente su tutto il territorio italiano, lo si può trovare in boscaglie cedue collinari, o ai margini delle strade fino a 1500 m. Essendo una specie eliofila sopporta nel periodo estivo anche elevate temperature e una protratta siccità. La sua particolarità è quella di

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essere un utile portainnesto per il ciliegio e l’amareno grazie al suo tronco robusto e all’esteso e forte apparato radicale. Si presenta come un alberello dai 3 ai 10 metri di altezza, le foglie sono caduche, ovali, arrotondate e cordate alla base; i fiori bianchi, contornati di 5 petali, profumati, si raggruppano a 4-5 in racemi corimbosi. Fiorisce da marzo a maggio. I frutti sono drupe rossastre, poi rosso-nerastre, lucide, tondeggianti, di 0,5-1 cm di diametro, di sapore amarognolo. Un uso particolare di questa pianta è sicuramente quello per la costruzione di pipe, per il suo alto contenuto di curarina che è un’aromatizzante del tabacco. AMARENA (Prunus cerasus L.) Chiamato anche: Marasca, Ciliegio Montano, Visciolo. Originario della penisola balcanica, ma oramai diffuso in tutta l’Europa; adattandosi a tutti i tipi di terreno lo si può trovare fino a 1800 m. E’ un piccolo albero che raggiunge talvolta i 10 metri di altezza, con rami speso divaricati e penduli; le foglie caduche, ovoidali-ellittiche hanno margine seghettato, apice appuntito, sono più piccole e con picciolo più breve di quelle del ciliegio. I fiori bianchi si presentano in fascetti e fioriscono in aprile-maggio. Le arosso più o meno cupo, succose e acidule, con nocciolo globoso e liscadoperate soprattutto per confetture, sciroppi e per la produzione delil kirsch. Per quanto riguarda la propagazione, po’ avvenire per semevarietà coltivate, tuttavia la scelta del portainnesto va comunque ambientali del luogo d’impianto; si possono ottenere nuove piante anc MIRABOLANO (Prunus cerasifera Ehrh.) Chiamato anche: Ciliegio susino, Amolo, Rusticano, Ceresa di Spagna. Sempre originario dei Balcani, attualmente diffuso solamente come pianta ornamentale (varietà a foglie e frutti rossi), si trova bene in qualunque terreno, ma non fruttifica nelle zone fredde dell’Europa Settentrionale. Antico ibrido (prime notizie 1839), si presenta come un albero o pianta arbustiva con fogliame deciduo, alto fino a 8 m con chioma globosa espansa di colore verramificato con corteccia di colore bruno-rossiccio, squamata negli escm, scarsamente pubescenti, con lamina ellittica e margine denermafroditi, solitari, peduncolati, con 5 petali di colore bianco e numaprile insieme o dopo le foglie. I frutti sono drupe rotonde di 1-3 cmgiallo (mirabolano), simili alle prugne: eduli, dalla polpa consistentluglio). Quelle sopra descritte diciamo che sono le specie a tutt’oggi oradescritte di seguito, che un tempo venivano coltivate abitualmente, ora

- Ciliegio “Burlat” (Bigarreu Burlat): Varietà di origine fcaratteristiche. Albero di buona vigoria e produttività. Prefruttifica nella prima decade di giugno. Frutti di colore rosconsumo fresco. Polpa soda, di color rosso scuro. Appartienealla mosca della ciliegia.

- Ciliegio “Durone giallo”: fruttifica nella terza decadecaratteristica colorazione gialla ed è ottimo anche per sciroppa

marene sono drupe globose di un io; ricche di vitamina A, vengono

maraschino, il ratafià, il cherry e o innesto su franco per le diverse fatta in relazione alle condizioni he utilizzando i polloni.

de chiaro; tronco eretto, sinuoso, emplari adulti. Foglie lunghe 3-4

tato, picciolo di 5-8 mm. Fiori erosi stami. Spuntano in marzo-

di colore rosso cupo (rusticano) o e e aspra. (fruttifica da giugno a

mai inselvatichite, mentre quelle mai sono introvabili:

rancese fra le migliori per le sue coce nell’entrata in produzione, so scuro, molto apprezzati per il al gruppo delle tenerine e sfugge

di giugno. Il frutto presenta la ti.

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- Ciliegio “Durone di Vignola”: il più famoso durone emiliano dal colore rosso scuro e dal sapore inconfondibile; polpa rossa, soda, abbastanza succosa, zuccherina e di ottimo sapore; matura a metà giugno.

- Ciliegio “Mora di Vignola”: pianta vigorosa e assai fertile il cui frutto, rosso intenso dalla polpa succosa e dolcissima, matura a fine maggio e si conserva a lungo. Appartiene al gruppo delle tenerine.

- Ciliegio “Mora di Diolo”, varietà inclusa nell’elenco delle antiche varietà di ciliegia piacentina; albero molto vigoroso a portamento espanso, i frutti sono di media dimensione, cuoriformi con buccia di colore rosso scuro, sottile e sensibile allo spacco, polpa tenera, succosa, dolce e nocciolo che non si stacca completamente.

- Ciliegio “Fiore di Maggio”, Matura la quarta settimana di maggio, non ha esigenze di clima e terreno. Frutto cuoriforme, buccia rosso vivo, lucente, se ne trovano varie specie nel Forlivese.

- Ciliegio “Progressiflora”: albero poco vigoroso a portamento cascante, fruttifica a metà giugno. E’ la più antica e curiosa varietà di ciliegio acido, caratteristico per la sua fioritura continua e dilazionata nel tempo, così da presentare nello stesso momento fiori e frutti. Uno dei primi ha descriverla e raffigurarla su tavola fu Henry Duhamel du Monceau su “Traitè des arbres fruitiers“ (1768). Successivamente anche Giorgio Gallesio la tratta nel primo volume della sua “Pomona Italica” (1817). Pochi anni dopo compare su “Annale de Pomologie belge et étrangère” (1853-1860).

Tradizione & Ritornelli Nelle zone del Vignolese (valle del Panaro), fitte di ciliegie d’ogni varietà, durante la fioritura è usanza che convergano folle di gitanti dalle città e dai paesi vicini, per ammirare uno degli spettacoli più belli che la natura possa offrire: un mare odoroso di fiori rosati e argentei. Il 14 Aprile 1946, in coincidenza appunto con la fioritura, fu organizzata a Vignola (MO) la “Giornata della Poesia”, di cui resta ricordo in una lapidetta scherzosa sulla parete esterna della “Trattoria della Formica” e che fu proposta invano come una tradizione da continuare. In Romagna, a proposito della ciliegia, era in auge fino a qualche tempo fa, un simpatico indovinello:

“Rosa ruseta, in têvla fo mesa, imprëst-i la gòla, e chêv-i la coda” (Rossa rossetta, in tavola fu messa, prestale la gola e toglile la coda)

Il legno viene impiegato per la fabbricazione di mobili di lusso, mentre dai peduncoli essiccati e dalle drupe si preparano diuretici rinfrescanti. Le foglie contengono una sostanza colorante viola e tracce di acido prussico. Nei miti le ciliegie e i cuculi sono spesso associati: vi è un proverbio tedesco che dice che il cuculo non canta mai finchè non ha mangiato 3 volte ciliegie a sazietà. Medicina & Cosmesi Il frutto contiene vitamine A,B,C, minerali come ferro, calcio, fosforo, zolfo, potassio oltre a zuccheri come il levulosio o fruttosio. I frutti e i loro penducoli, raccolti da maggio a luglio, hanno proprietà rinfrescanti, dissetanti, antiurici e diuretici. Tisana: polpa di 3 ciliegie per tazzetta di acqua bollente, bevanda e per stimolare l’attività dell’intestino. Infuso: Peduncoli tre manciate in recipiente con l’acqua bollente di un litro; dopo 20 minuti colare. A bicchieri è un energico diuretico. Indicato contro nefrite, cistite, calcoli renali e vescicali. Polpa: del frutto, mangiata in forma moderata; mezzo chilo e più nella giornata indicata per uricemici e diabetici. Dieta dimagrante: Nutrendosi di ciliegie gr. 1.500 e latte litri uno e mezzo al giorno per una quindicina di giorni.

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Per l’uso esterno, una pappa di ciliegie schiacciate stesa sulla pelle del viso e del collo, mantiene i tessuti giovani ed elastici; inoltre applicata sulla fronte è utile per combattere le emicranie. Infuso di ciliegio 1 manciata di ciliegio selvatico (peduncoli spezzettati), 1 l d’acqua. Bollite il ciliegio selvatico per 10 minuti. Trascorso questo periodo filtrate. Consumatene 2 tazze al giorno lontano dai pasti per alleviare i disturbi della cistite. Continuate la cura per 15 giorni. Decotto di ciliegio 50 g di ciliegio selvatico (piccioli), 1 l d’acqua. Fate bollire i piccioli di ciliegio selvatico per 10 minuti in 1 l d’acqua. Trascorso questo periodo filtrate. Consumatene 2 tazze al giorno lontano dai pasti per 15 giorni per combattere i dolori reumatici. Cucina & Ricette Le nostre nonne preparavano le amarene sotto spirito, e l’industria dei liquori ne ottiene per fermentazione il maraschino, il ratafià, il cherry e il kirsch. Zuppa di ciliegie 1 kg ciliegie snocciolate, 5 bicchieri di Cagnina (vino dolce nero), 250 g di zucchero, 1 stecca di cannella, 5 chiodi di garofano, la scorza gialla di un limone, pane raffermo. Portate ad ebollizione il vino. Unite lo zucchero, la cannella sbriciolata, i chiodi di garofano e la scorza del limone fate cuocere fino a quando sarà diminuito della metà. A questo punto versate le ciliegie e lasciatele bollire per qualche minuto a fiamma dolce. Disponete sul fondo di una zuppiera il pane tagliato a fettine, togliere gli aromi, e versare il tutto. Lasciate raffreddare prima di servire (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). Zuppa di visciole Questa zuppa si può fare con delle fettine sottili di pane fine arrostito, oppure con pan di Spagna o con savoiardi. Levate il nocciolo a quella quantità di ciliegie visciole che crederete sufficienti e mettetele al fuoco con pochissima acqua e un pezzetto di cannella che poi getterete via. Quando cominciano a bollire aggiungete zucchero quanto basta, mescolate adagio per non guastarle e allorché cominciano a sciroppare assaggiatele se hanno zucchero a sufficienza e levatele dal fuoco quando le avrete aggrinzite ed avranno perduto il crudo. Dopo che avrete leggermente intinto le fette del pane o i savoiardi nel rosolio, collocateli suolo per suolo, insieme con le ciliegie, in un piatto o in un vassoio in modo che facciamo la colma. Potete anche dare a questa zuppa la forma più regolare in uno stampo liscio, e tenerlo in ghiaccio avanti di sformarla, giacchè nella stagione delle ciliegie si comincia a gradire i cibi refrigerati. Un terzo di zucchero del peso lordo delle ciliegie è sufficiente. Ciliegie alla cannella 1 kg di ciliegie, 2 cucchiai di miele, un pizzico di cannella in polvere, 1 chiodo di garofano, ½ tazza d’acqua. Lavate le ciliegie, togliete il picciolo ed eventualmente (ma non è obbligatorio) il nocciolo. Mettetele in una pentola d’acciaio con gli aromi e l’acqua. Cuocetele a fuoco basso, finchè saranno quasi cotte. Aggiungete il miele e continuate la cottura ancora per qualche minuto. Lasciatele raffreddare prima di gustare. Dolce di ciliegie (per4-5 persone) Ciliegie more grammi 200, zucchero a velo grammi 100, pangrattato di segala grammi 50, mandorle dolci grammi 40, uova 4, rosolio cucchiaiate 2, odore di vaniglia o scorza di limone.

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Mancando il pane di segala servitevi del pane comune. Le mandorle sbucciatele, asciugatele e tritatele minutamente per ridurle a metà circa di un chicco di riso. Lavorate prima i rossi d’uovo con lo zucchero finchè siano divenuti spumosi, aggiungete il pangrattato, il rosolio, l’odore e continuate a lavorare ancora un poco il composto. Uniteci le chiare ben montate, mescolando adagio e versatelo in uno stampo liscio che avrete prima ben unto con burro freddo e cosparso tutto, e più nel fondo, con le dette mandorle. Infine buttateci le ciliegie, ma per evitare che queste con il loro peso calino a fondo, mescolate fra il composto le mandorle che vi restano. Cuocetelo al forno e servitelo caldo o freddo. Gelatina di marasche e visciole in gelo Ciliegie marasche o visciole grammi 400, zucchero grammi 200, colla di pesce grammi 20, acqua decilitri 3, rhum tre cucchiaiate, un pezzettino di cannella. Levate il gambo alle ciliegie e disfatele con le mani unendovi qualche nocciolo pestato. Lasciatele così per qualche ora e poi passatene il sugo da un colino fitto, strizzando bene; tenetelo ancora in riposo e poi, ripassatelo più volte per filtrarlo meglio, deve essere il più chiaro possibile. Fate bollir lo zucchero per dieci minuti in due decilitri d’acqua con la cannella dentro, passsate anche questo nel colino e mescolatelo al sugo di ciliegie. Aggiungete la colla di pesce sciolta nel rimanente decilitro d’acqua e per ultimo il rhum. Confettura di amarene 1 kg di amarene pulite, 700 g di zucchero Prendete delle amarene completamente mature. Lavatele, togliete noccioli e piccioli, pesatele e per ogni kg di frutta pulita calcolate 700 g di zucchero. Mescolate frutta e zucchero, lasciando riposare per 12 ore. Poi ponete a cuocere mescolando spesso. Una volta raggiunta la giusta consistenza, versate la confettura nei vasi, lasciatela raffreddare e chiudete ermeticamente. Marmellata di amarene 1 kg di amarene cotte, 800 g di zucchero Levate il gambo e il nocciolo alle amarene. Mettetele al fuoco senz’acqua, mescolate di tanto in tanto e quando il liquido abbondante che avranno mandato fuori si sarà asciugato passatele al setaccio o col passaverdura (toglierete così anche la buccia). Pesate la polpa ottenuta e rimettetela sul fuoco aggiungendo, per ogni kg di frutta passata, 800 g di zucchero. Continuate la cottura finchè la marmellata avrà raggiunto la giusta consistenza. Amarenino 4 dl di alcol a 95°, 500 g di amarene snocciolate, 10 nocciolo di amarene pestati, 10 foglie di amarena, la scorza di 1 limone, 5 chiodi di garofano, 1 cm di cannella, 200 g di zucchero Mettete a macerare in un vaso per un giorno le foglie e gli aromi assieme alle amarene schiacciate e ai noccioli pestati a parte nel mortaio. Aggiungete poi l’alcol e lo zucchero, esponete il vaso al sole per una settimana e ricordatevi di agitarlo 2 volte al giorno. Successivamente spostate il macerato in un luogo fresco e ombroso per 5 giorni, continuando a scuoterlo due volte al giorno. Terminato il periodo di macerazione, filtrate il liquore e fatelo stagionare per 5 mesi prima di consumarlo. Cherry 1 lt di grappa, 1 kg di maraschine mature, 500 g di zucchero Lavate le amarene e privatele dei noccioli, deponetele poi in un grosso vaso di vetro. Cospargete su di esse otto cucchiai di zucchero ed esponete il vaso ben chiuso al sole. Ripetete l’operazione per 3 giorni consecutivi, mescolando le marasche e rinnovando la copertura di zucchero. Lasciate riposare per 15

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giorni in luogo caldo ma non assolato. Filtrate con cura e aggiungete la grappa. Imbottigliate il preparato e fate stagionare un altro mese in cantina prima di assaporare. Grappa liquorosa alle marasche 1 lt di grappa, 300 g di marasche mature, la scorza di ½ limone, 2 chiodi di garofano, 200g di zucchero, 5 dl d’acqua distillata. Ponete in un recipiente le marasche ben pulite. Versate su di esse l’acqua distillata nella quale avrete disciolto a caldo lo zucchero. Aggiungete la grappa, i chiodi di garofano e la scorza di limone, Chiudete ermeticamente il vaso, riponetelo in cantina e lasciate in infusione per 80 giorni, agitando il preparato frequentemente. Filtrate, imbottigliate e coprite il tappo con ceralacca. Fate stagionare altri 4 mesi prima di consumare servendo il liquore ben fresco. Ciliegie al brandy 2 kg di ciliegie nere, 800 g di zucchero, brandy o cognac. Scegliete ciliegie polpose e sode, perfettamente integre. Lavatele, asciugatele e lasciatele esposte all’aria per ½ giornata, quindi accorciate con le forbici il picciolo a pochi millimetri dal frutto. Distribuite le ciliegie nei vasi alternandole con lo zucchero e colmate con il liquore. Esponete i vasi al sole per 3-4 giorni, avendo cura di scuoterli di tanto in tanto per ben amalgamare lo zucchero al liquore, quindi riponete in dispensa. Potrete consumare dopo due mesi. CORBEZZOLO (Arbutus sp.) Famiglia: Ericaceae. Nome dialettale: Arbuso, Corbezzol, Corbezzel (RE), Corbézzul, Albatro, Rossello, Ceraso marino; fu chiamato anche albero d’Italia, perché presenta insieme foglie(verdi), fiori(bianchi) e frutti(rossi); infine in alcuni paesi del litorale viene detto “ciliegia di mare”.

Etimologia: Il termine genericradici celtiche “ar”aspro, e allusione al sapore aspro delle fonome comune latino, usato da pianta. Tra le piante protagoniste dellaandata acquistando, negli ultimispazio nei giardini, e perfino su

capaci (di almeno cm 60 di diametro, altrimenti bisogna sosvedere. Tanto è vero che oggi è difficile trovare un vivaiocomprenda nel suo catalogo il Corbezzolo; e diversi arrivano adi 40, 50 anni e più, che provengono in genere dalla Spagna alti(anche qualche milione di lire). Fiorisce tra settembre e dicedell’anno successivo, mentre i frutti maturano tra agosto e settem

Grandi arbusti o alberi sempreverdi. Fioritura: IX-XII. Altezza: fino a m 15. Esposizione: sole. Ambiente: Dal livello del mare fino a 900 m. Propagazione: talea basale, margotta o seme.

o ha un’antichissima derivazione dalle “butus”cespuglio, probabilmente in

glie e dei frutti. Il termine specifico è il Plinio, con il quale veniva indicata la

nostra macchia, è forse l’unica che è quarant’anni circa, sempre più favore e i terrazzi dove, coltivato in contenitori

tituirli troppo spesso) fa un bellissimo di una qualche importanza che non nche a proporre esemplari assai annosi, e che vengono venduti a prezzi molto mbre e a volte arriva anche al febbraio bre e se non sono colti, o divorati dagli

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uccelli, spesso si possono vedere sul medesimo albero fiori e frutti contemporaneamente. I frutti sono sia belli che buoni, anche se forse troppo dolci (da qui il termine unedo dal latino “unum edo”: che si mangia una sola volta e se ne ha abbastanza); gustoso è invece il miele che dai suoi fiori viene prodotto in Sardegna, dove la pianta è diffusissima. Il genere Arbutus comprende 14 specie tra arbusti e alberi sempreverdi, diffuse tra l’Europa occidentale, l’Asia minore, il Nordafrica e le Isole Canarie, e infine(alcune poche) nel America settentrionale e centrale. Ancor più rari sono nei nostri giardini, l’Arbutus menziesii (detto nei suoi luoghi d’origine Madrona e introdotto in Europa nel 1825) e l’Arbutus arizonica, nativi dell’America Nordoccidentale, in patria possono arrivare a misurare anche 25 o 30 metri l’uno e 10 15 l’altro, ma in Europa difficilmente superano un quarto di tale altezza, Sulla rusticità della specie gli autori nutrono pareri discordi: secondo R.H.D. l’Arbutus unedo, l’Arbustus andrachne e l’Arbutus andracnoides possono agevolmente sopportare una temperatura invernale che può scendere ai -15°; secondo il Bailey è invece più rustico l’Arbutus menziesii. Tutti sopportano il calcare, fatto piuttosto raro nelle Ericacee, che di solito amano un terreno neutro o acido. Altra loro importante virtù è la buona tolleranza sia della vicinanza del mare sia dell’inquinamento industriale. Non consiglio all’amatore di provare a moltiplicarli, perché la produzione da seme risulta troppo lenta e quella per talea è piuttosto difficoltosa e va generalmente coperta in serra, su letto caldo e sotto campana. Dell’Arbutus unedo esistono in commercio diversi cultivar o forme: compacta, a crescita molto lenta e raccolta; Crispa, dai fiori bianchi e dalle bacche rosso corallo; Integerrima, a crescita lenta, con foglie a margini interi; Quercifolia, foglie a margine dentato grossolanamente, che termina liscio sulla base; Rubra, con fiori rosso-rosa e frutti abbondanti; Mycrophylla, a foglie più minute; Elfin king, nano, molto fiorifero. Specie & Varietà Arbutus andrachne Albero sempreverde, alto fino a m 12; il tronco e i rami maturi si spogliano via via degli strati di corteccia rosso marrone. Ha foglie lunghe fino a cm 10, ovate o oblunghe, verde scuro sulla pagina superiore, più pallide su quella inferiore, glabre, in genere intere. I fiori sono bianco opaco, con pannicoli fogliuti, compatti, eretti. Il frutto è arancione. Originario dell’Europa sudorientale e dell’Asia Minore. Arbutus andrachnoides Ibrido naturale tra l’Arbutus unedo e l’Arbutus andrachne. Grande arbusto o piccolo albero alto fino a 10 m , corteccia rosso intenso. Fiori da avorio a bianco; pannicoli penduli. Frutto globoso, largo cm 1. Fiorisce nel tardo autunno o a primavera. Diffuso nelle medesime aree dell’Arbutus andrachne. Arbutus menziesii Albero fino a m 30; corteccia che si squama in placche sottili. Foglie lunghe fino a cm 15, ellittiche o ellittiche-ovali, ottuse, intere, verde scuro lucido sulla pagina superiore, glaucescenti sull’inferiore. Fiori bianchi, in panicoliterminale subpiramidali lunghi fino a cm 14. Frutto arancione-rosso, globoso, largo cm 1,5. fiorisce nella tarda primavera. Diffuso nel nordovest degli Stati uniti. Abutus unedo (Corbezzolo - Specie presente in Italia) Grande arbusto o piccolo albero, alto fino a m 10, corteccia ruvida squamante. Foglie lunghe fino a cm 10, da oblunghe a obovate, glabre, acute, lucide sulla parte superiore. Fiori bianche tendenti al rosato, raccolti in pannicoli terminali penduli. Il frutto è una bacca piccola, del peso di 4-8 g, di forma variabile da appiattita a globosa, talvolta con ambone evidente. E’ edule, con epidermide aranciata o rossastra, irta di numerosi e piccoli tubercoli ed è ricco di zuccheri e vitamina C. la polpa ambrata è ricca di sclereidi con numero variabile di semi. Fiorisce nel tardo autunno. Diffuso nell’Europa meridionale, nell’Irlanda sudoccidentale e in Asia Minore.

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Le avversità di maggior rilievo interessano le foglie e sono: per quanto riguarda i patogeni fungini Seimatosporium lichenicola, Septoria unedonis, Elsinoe mattirolianum e Cercospora molleriana; mentre gli insetti Euproctis chrysorrhoea e Celerio lineata livornica. Storia & Poesia Il Corbezzolo era una pianta sacra presso i romani, sacra alla dea Cama o Cardea (così il De Gubernanatis), sorella di Apollo, amica di Giano, il guardiano delle porte del cielo. Con un ramo di corbezzolo, la virga janalis, la dea cacciava gli stregoni e le streghe e guariva i bambini malati o colpiti da qualche maleficio. Abbiamo in proposito la testimonianza di Ovidio (Fasti VI, 153-56): Si avvicinò alla culla; piangevano il padre e la madre; “Voi non piangete, disse, lo guarirò io stessa”. Con ramo di corbezzolo tocca tre volte la porta Per ordine e tre volte fa segni sulla soglia. Dell’usanza di deporre rami di corbezzolo sui sepolcri ci dà invece conferma Virgilio(Eneide XI, 64-66): Velocemente intessono un graticcio che faccia da feretro, con verghe di elastico di corbezzolo. Questa specie era ben conosciuta fin dall’antichità: numerosi autori greci e latini, quali Ovidio e Virgilio, ma anche Teofrasto, Plinio e Columella, avevano descritto i numerosi usi della pianta e dei suoi frutti. Il corbezzolo era anche conosciuto con il nome di kòmaros dagli antichi greci che consumavano il frutto sia fresco che fermentato. Marco Polo lo cita così: “Egli è un albero piccolo che fa foglie grandi quasi come cortezze, alcuna cosa più lunghe e più strette”; venne in seguito citato da Boccaccio, Pascoli, Deledda e Calvino. Usi & Costumi I corbezzoli si consumano al naturale o vengono impiegati per preparare gelatine e marmellate, in passato veniva prodotto il “Vino di Corbezzolo” sui 9-10° alcolici e dal sapore simile al Sidro, usanza ancora oggi viva in Corsica e Sardegna. I corbezzoli si possono consumare anche sotto spirito come si fa con le ciliegie. I fiori visitati dalle api rendono un miele saporito e tipicamente scuro. L’acquavite di Corbezzolo ha un gradevole sapore e vanta proprietà digestive. La corteccia contiene una notevole quantità di tannino sfruttato a livello industriale, soprattutto per la produzione di coloranti e per la concia delle pelli. Il corbezzolo, inoltre, rappresenta una fonte alimentare importante per gli animali che vivono nella macchia difatti per la sua rarità è specie protetta a livello regionale. E’ una specie con una grande reazione agli incendi e trova impiego anche nei rimboschimenti e nel consolidamento delle dune. Medicina & Cosmetica Frutto ricco di vitamina C. Dai frutti, foglie e fiori si estraggono principi attivi con proprietà astringenti, antisettiche, antinfiammatorie, antidiuretiche. Le foglie giovani dell’anno contengono un glucoside, l’arbutine, usato come disinfettante del tratto urogenitale. Il decotto di foglie è utile in compresse locali su pelle couperosica. La sua azione schiarente non tarda a comparire. Lo stesso decotto è utile in compresse sulle teangectasie filiformi, presenti talora sulle cosce o sulle gambe. Il decotto delle radici viene impiegato per l’arterioscerosi. L’azione astringente di questa droga è utile anche per normalizzare la pelle grassa, comedonica ed acneica. Il frutto ricco di provitamina A e pigmenti flavonici è particolarmente utile, al pari di altra frutta spontanea e coltivata, per rafforzare l’endotelio dei capillari e per la salute degli epiteli. Il miele di corbezzolo presenta leggere proprietà balsamiche. Cucina & Ricette Marmellata di Corbezzoli

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1 Kg di frutta, 600 g di zucchero Mescolare la frutta e lo zucchero sul fuoco, far bollire lentamente fino a raggiungere la densità desiderata. Far intiepidire e versare nei barattoli di vetro sterilizzati. Si può versare nel contenitore qualche goccia di liquore secondo i gusti. Confettura di Corbezzoli 500 g di corbezzoli, 500 g di zucchero, buccia di mezzo limone. Bollire i corbezzoli per pochi minuti, passarli, raccogliere la polpa e aggiungere lo zucchero più la buccia del limone, lasciare addensare il tutto, invasare e conservare in un luogo fresco (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (Ra) - Chef Fava Katia) Corbezzoli in sciroppo 500 g di corbezzoli, 250 g di zucchero In un vaso ermetico mettere i corbezzoli (circa 500 g di frutti), lo zucchero semolato, le scorze di limone non trattato. Poi si riempie il vaso di alcol. Agitare di tanto in tanto per agevolare il processo di macerazione e lo scioglimento dello zucchero. Dopo qualche mese i corbezzoli possono essere impiegati per guarnire dolci e dessert. Grappa al Corbezzolo 1lt di grappa, 400 g di frutti maturi di corbezzolo. In un mortaio pestate leggermente i frutti di corbezzolo e metteteli in un grosso recipiente. Versate su di essi la grappa, chiudete bene il recipiente e lasciate a infusione al sole per una settimana. Trasferite il vaso in cantina e fate macerare per altre 4 settimane, agitando spesso. Filtrate e lasciate stagionare 4 mesi. CORNIOLO (Cornus) Famiglia: Cornaceae. Nome dialettale: Cornél, Curnél (RE), Cornàl (PC) P’coren, Corgnolo(BO), Curgnôla, Corniello, Cornio. Etimologia: latino tardo “corneolus”, diminutivo di “corneus” di corniolo. Il nome conserva la sua origine latina, la quale probabilmente allude al legno duro e lucido come il corno.

Arbusti e alberi, sempreverdi o a foglia caduca. Esposizione: sole, mezz’ombra. Ambiente: Dal livello del mare fino a 400m, eccezionalmente anche fino a 1800 m. Propagazione: seme, talea, propaggine, innesto (a spacco , a maiorchina, a corona).

Il Corniolo sta diventando verampiù che nel centro è frequente in ssconsiderati disboscamenti l’hannquelle piante misteriose che rappqualcosa che si può chiamare il donon di consumo e il selvaggio sappadri un pegno di un contatto consempre possibile riprendere. Il Cornus è un genere abbastanzaquarantina di specie, diffuse sopra

ente molto raro in Italia. Forse ettentrione dove tuttavia i grandi o certo colpito. Il Corniolo è di resentano per i figli della città no della foresta; con i suoi frutti ore acidulo, è per i figli e per i la natura, interrotto, ma che è

numeroso che comprende una ttutto in Asia e nel Nordamerica;

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è presente nel Messico e con una specie anche in Cile. In Italia è rappresentato da due specie: il Cornus Mas e il Cornus Sanguinea. Il vero trionfo i Cornus l’hanno però avuto nel giardino, specialmente nell’Europa centrale. Ai fini della cultura in giardino è conveniente dividere i C. in 2 gruppi: le specie e varietà che sono coltivate per i fiori, e in realtà si tratta, come nel caso della Bougainvillea, di brattee colorate e vistose; e le specie e varietà interessanti per il colore della corteccia, specialmente durante l’inverno, quando la pianta si spoglia delle foglie. Uno, il C. mas, ha caratteristiche particolari. Come si coltiva Il corniolo, in Italia, è sempre stato considerato come specie spontanea e pertanto non è mai stato coltivato in impianti specializzati, anche se risulta utilizzato nei frutteti famigliari per le sue doti produttive e ornamentali. I metodi di propagazione più diffusi sono la talea semilegnosa e quella erbacea. Le talee danno migliori risultati se raccolte d’estate e trattate con ormoni rizogeni. Il corniolo può essere propagato anche per margotta, generalmente l’innesto si effettua utilizzando come portainnesto un semenzale di due anni di età e come nesto materiale proveniente da piante di buone caratteristiche. Se si vuole propagare il corniolo per seme, questo deve essere sottoposto a stratificazione per alcuni mesi prima di procedere alla semina in primavera. I semenzali richiedono di essere ombreggiati nei primi mesi dopo l’emergenza. La messa a dimora delle piante (di due o tre anni) si esegue in autunno o in primavera, con sesti d’impianto di 2,5-3x4 m. La forma di allevamento che generalmente viene consigliata è il vaso , che permette una buona illuminazione della chioma. La potatura può essere energica durante il periodo giovanile, ma in fase adulta i tagli devono essere ridotti a piccoli interventi per evitare danni alla normale funzionalità della pianta. Il corniolo è autoincompatibile, pertanto si consiglia di consociare a piante innestate piante provenienti da seme, al fine di favorire un’adeguata impollinazione. Una pianta adulta , in piena produzione, può produrre dai 18 ai 60 kg di frutti. La raccolta viene di norma effettuata tra agosto e settembre per scuotimento dei rami due volte la settimana, lasciando cadere i frutti su reti opportunamente adagiate sotto la chioma. Infatti, le corniole sono commestibili quando diventano molli al tasto e cadono a terra; in questo stadio assumono un colore rosso-violaceo molto caratteristico, perdendo parte della lucentezza e della vivacità del rosso dei frutti ancora acerbi. La serbevolezza dei frutti è molto breve; per prolungare la loro conservazione vengono raffreddati in acqua corrente e successivamente consumati freschi, oppure essiccati o surgelati, nonché trasformati. Varietà & Specie Cornus mas, L. ( -Corniolo- ) Arbusto o albero a foglia caduca. Fioritura: III. Altezza: m 8. Originario dell’Europa centrale e orientale, in Italia si trova in tutta la penisola, soprattutto nel settentrione, dove è conosciuto con il nome di Corniolo. Cresce in terreni sassosi, soprattutto su fondo calcareo, specie in collina. Pianta molto longeva. Sopporta temperature invernali anche fino a -25°C, ma può subire danni da freddo nel periodo della fioritura; già a 4-5 °C l’impollinazione e l’allegazione vengono a mancare. Si adatta bene anche a zone calde e soleggiate, ma non sopporta aree siccitose e spazzate da venti caldi. Può essere soggetto ad arresto dello sviluppo vegetativo in caso di temperature troppo elevate, mentre in presenza di siccità prolungata subisce la caduta anticipata delle foglie. Piccolo albero, più spesso arbusto, con chioma non molto compatta. Le foglie sono opposte, ovate, lunghe cm 4-10 e larghe cm 2-3,50 acuminate, verde scuro; i fiori gialli, di cm 0,20 di diametro, sono raccolti in piccole ombrelle circondate alla base da 4 brattee verdognole e compaiono in febbraio-marzo, sui rami nudi prima che spuntino le foglie. I frutti sono drupe, oblunghe (cm 1,50-2) e pendule, rosso vivo, non solo ornamentali ma anche commestibili, infatti a maturazione completa cadono a terra ed è il momento di gustarne il sapore: acidulo ma dolce, splendidamente dissetante, perfetto nel mese più caldo dell’anno. Il C. mas è una delle prime piante che fioriscono alla fine dell’inverno. Oggi nei giardini gli

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si preferiscono altri arbusti, come il Corylopsis, ma a torto. Ne esistono diverse belle varietà: l’aurea elegantissima, con foglie variegate di giallo, verde e rosa; la nana, nana e compatta; la variegata, con foglie bianco crema e verde; la xanthocarpa, con decorativi frutti gialli; l’albocarpa, a frutti bianchi; e la fructu violaceo, con frutti color porpora. Nei vivai Italiani possiamo trovare le varietà: “Golden Glory”, “Variegata”, “Aurea” ed “Elegant”. E’ infine una pianta molto ricercata dalla fauna selvatica. Specie con brattee ornamentali: Cornus capitata, Wall. (sin. Benthamia frangifera, Lindl) Albero e arbusto, sempreverde. Fioritura: VI-VIII. Altezza: m 10-12. Cornus kousa, Buerger Arbusto , a foglia caduca. Fioritura: V. Altezza: m 6. Cornus florida, L. Arbusto a foglia caduca. Fioritura:V. Altezza: m 5-6. Cornus nuttallii, Audubon. Corniolo americano. Arbusto, a foglia caduca. Fioritura: V. Altezza: m 15 circa. Specie con foglia o corteccia ornamentale: Cornus sanguinea, L. ( -Sanguinello-) Arbusto, a foglia caduca. Fioritura: V-VI. Altezza: m 3-4. Originario dell’Europa, spontaneo in Italia, anche nelle isole. Arbusto rigido, eretto, a corteccia rosso scuro, opaca, foglie ovate, acuminate, fiori bianco opaco, poco gradevolmente profumati, portati in racemi di cm 4,50 di diametro, abbastanza significativi visti insieme. I frutti globosi, porpora nero in autunno, sono un cibo preferito dai tordi. Fin dall’inizio del secolo, il legno di questo arbusto, uro e bianco, veniva bruciato come carbonella. Una cronaca del secolo XVII riferisce che da questo legno si ricavano ingranaggi per mulini, pestelli, rocchetti e raggi per ruote. Le drupe, amare e non commestibili, della sanguinella, venivano un tempo usate per estrarne olio da lampade; oggi si usano per le loro qualità tintorie. I rametti si adoperano come tutori nelle colture da orto e della vite e servono anche per la fabbricazione di cesti. Le foglie, in autunno,assumono il tipico colore rossastro che dà il nome della specie: sanguinea. Cornus alba, L. Corniolo tartaro. Arbusto a foglia caduca. Fioritura: prima estate. Altezza: m 3. Propagazione: talea. Cornus canadensis, L. Arbusto a foglia caduca. Fioritura: estate. Altezza: cm 12-15. Propagazione: divisione. Usi & Costumi In alcune zone il corniolo non solo era importante per le caratteristiche dei frutti, ma anche per le buone proprietà foraggere, soprattutto durante il periodo estivo. Il tannino, ricavato dai frutti immaturi, veniva utilizzato per la concia delle pelli. Pregiatissimo invece è stato, e probabilmente lo è tuttora, il legno di corniolo, durissimo e bello, ben levigabile, rossastro all’esterno e bruno nella parte centrale: gli antichi favoleggiarono perfino che fosse servito a costruire il cavallo di Troia. E’ usato specialmente per strumenti scientifici, e in Oriente per giocattoli, scatolette, piatti, bicchieri, caraffe. Storia & Poesia La conoscenza del C. risale a tempi antichissimi: lo nominano Omero e Teofrasto, e anche Virgilio. Approdando in Trancia infatti, il pio Enea sacrifica subito un toro a Venere, e volendo coprire l’ara di fronde:

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“horrendum et dictu video mirabile monstrum nam quae prima solo ruptis radicibus arbos vellitur, huic atro liquuntur sanguine guttae et terram tabo maculant, mihi frigidus horro membra quatti, gelidsque coit formidine sanguis” (e vedo un prodigio orrendo, mirabile, il primo virgulto, strappato alle radici geme gocce di sangue nero e corrotto e imbratta la terra, un freddo orrore mi scuote le membra e il sangue mi si agghiaccia per la paura. Eneide, III, 26-30). Enea ritenta l’esperimento e il cespuglio si mette a parlare e gli dice di non essere altri che Polidoro, inchiodato da un tracio tradimento su quella terra sotto una ferrea messe di giavellotti, fatti appunto con legno(e questo lo aggiungiamo noi) di C. Sanguinea: fu infatti il colore rossastro, sanguigno della corteccia a suggerire a Virgilio o ad altri la favola. Che non è poi l’unica nostra; un’altra ci tocca ancora più da vicino, secondo la quale Romolo, volendo fissare i confini della futura città di Roma, lanciò il suo giavellotto verso il Palatino, e il manico di corniolo, figgendosi nel suolo, radicò e mise rami e foglie, a simboleggiare la futura e vasta diffusione dello stato romano. Il cespuglio sembra fosse in seguito considerato sacro. Di questi C. ad ogni modo gli antichi ne distinguevano due: il C. “maschio” che ancora oggi conserva nel nome latino l’antico appellativo mas, e il C. sanguinea, o “femmina”, che Plinio chiamò Virga sanguinea per i suoi giovani rami rossi e per le foglie che si colorano di rosso nella stagione autunnale. Venne poi da Tommaseo, Quasimodo e dal Mattioli, che lo descrive: “il corniolo è un albero duro; produce il frutto funghetto, quasi simile alle olive. In prima è verde, nel maturarsi di colore di cera e rosso poscia quando è maturo.” Medicina & cosmesi Raccomandata da Dioscoride e Galeno, la corniola, trovava anche in tempi antichi impiego per le sue proprietà farmacologiche. Il Corniolo fu importato nei giardini inglesi nel 1551, e considerato in seguito un albero da frutto; nel XVII secolo era già una pianta ricercata, “both for rarity and delight” e per le proprietà astringenti delle bacche. La voga delle bacche tuttavia tramontò presto, e all’inizio del XIX secolo il C. mas passò dal frutteto al giardino. Sappiamo da uno scritto di Chaucer che le bacche del C. sanguinea erano usate come lassativo (lo riporta Gerard) e sembra che quest’uso durasse fino al XVIII secolo. Secondo il Pomini un decotto di corteccia di C. mas raccolta a primavera avrebbe effetti febbrifughi; il Negri invece sembra non accettare nessuno di questi usi e si limita a dire che coi frutti del C. mas si prepara una gradevole conserva, e che la corteccia del c. sanguinea serve contro gli accessi di paludismo. I frutti del C. mas presentano un alto contenuto di vitamina “C”: da 97,4 a 120mg per 100g di polpa (più di due volte la quantità contenuta negli agrumi); sono inoltre molto ricchi di caroteni, pectine e tannini. Secondo la farmacopea popolare il frutto gode di un ampio effetto astringente, mentre dalla corteccia, contenente l’alcaloide cornina, si può ricavare un decotto con proprietà febbrifughe (conferma quindi la teoria del Pomini). Anche in cosmesi la polpa trova impiego nell’applicazione di maschere astringenti per pelli grasse con pori dilatati. Un’ultima curiosità: i pellerossa fumavano il legno del C. stolonifera e gli eschimesi mangiano i frutti del C. suecica, questa pianta si trova allo stato spontaneo in Inghilterra settentrionale e nella Scozia, ed è chiamata “la pianta dei ghiottoni” perché si ritiene che le sue bacche stimolino l’appetito. Cucina & Ricette I frutti vengono generalmente consumati freschi, direttamente appena raccolti oppure leggermente avvizziti. Le corniole possono essere utilizzate in svariati modi: per marmellate, sciroppi, confetture e gelatine. Si ricava anche una salsa, molto indicata per accompagnare bolliti di carne e pesce, nonché cacciagione. Era tradizione delle aree del Nord Europa, inclusa l’Italia settentrionale, mettere le corniole in infusione in acquavite o nel vino per ricavarne bevande alcoliche e liquorose; se raccolte prima dell’invaiatura si possono conservare anche in salamoia “olive di corniole” e in aceto “olive dei tedeschi”.

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Salsa di corniole 500 g di corniole, 400 g di zucchero. I frutti maturi vengono fatti bollire per alcuni minuti. Passarli a purea e rimetterla sul fuoco e completare la cottura aggiungendo qualche goccia di limone e lo zucchero. A fine cottura aggiungere al buccia grattugiata del limone, invasare ancora calda e capovolgere i vasi (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (Ra) - Chef Fava Katia) Amatriciana di Cornioli (per 4 persone) Il corniolo si presta per questa preparazione perché la sua acidità va a sostituire il pomodoro e l’aromaticità il pepe. Il corniolo però non sopporta le cotture eccessive, quindi procediamo come segue. 400g di cornioli, 200g di guanciale, 100g di pecorino romano, 1 cipolla gialla (150g), 320g di bucatini o rigatoni (ancor meglio) snocciolate i cornioli e raccogliete la polpa e le bucce in un contenitore. Tagliate a listarelle sottili il guanciale. Grattugiate il pecorino romano. Tagliate la cipolla a quadretti molto fini e scottatela in padella con un filo d’olio d’oliva. A fuoco spento aggiungete il guanciale e lasciatelo sudare senza fiamma. Cocete la pasta in acqua salata, prima che la cottura sia ultimata aggiungete anche i cornioli nella padella, scolate la pasta in padella e terminate gli ultimi 30 secondi di cottura lì. Aggiustate di sale unite un filo d’olio crudo appena prima di servire in tavola (si ringrazia il Ristorante “Avion Blu” - Modena - Chef Vignoli Mauro). Sciroppo di Corniole 1 l di succo di corniole ben mature, 1,3kg di zucchero Schiacciare le corniole ben mature, metterle in un recipiente e coprire con un canovaccio. Lasciare riposare per circa una settimana finchè sulla superficie si noterà una specie di muffa o pellicina bianca. Filtrare e rimettere tutto nel recipiente; coprire di nuovo con un canovaccio, lasciando riposare per altri due giorni. Trascorso questo tempo, filtrare usando filtri di carta fino a quando il liquido sarà privo di ogni impurità. Misurare il succo, versarlo in una pentola, aggiungere la giusta quantità di zucchero e portare a ebollizione. Far bollire per 4-5 minuti a fuoco lento e schiumare. Imbottigliare a freddo. Composta di corniole 3-4kg di corniole ben mature, 1 bicchiere di aceto di vino bianco, sale e pepe Schiacciate con cura le corniole per eliminare i noccioli. La polpa si mette in un tegame con l’aceto, il sale e il pepe e si fa bollire per circa un paio d’ore come le marmellate. Il composto viene messo in un vaso di vetro a chiusura ermetica e posto a bollire per circa 10 minuti. Serve per accompagnare carni arrostite. Se ne può preparare una versione con il miele, che risulterà adatta ads accompagnare formaggi freschi o carni bollite. Grappa di corniolo 1l di grappa, 30 drupe mature di corniolo, 2 cucchiai di zucchero Mettete le drupe di corniolo in un vaso, cospargetele con lo zucchero e lasciate macerare per tre giorni. Versate sui frutti la grappa e lasciate in infusione in luogo caldo ma ombreggiato per un mese, agitando spesso il recipiente ben chiuso. Lasciate riposare altre 2 settimane in cantina. Filtrate e fate stagionare 4 mesi al fresco prima di consumare. COTOGNO (Cydonia oblonga) e il sosia del COTOGNO (Chaenomeles)

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- (Chaenomeles) Famiglia: Rosaceae. Etimologia: L’origine del nome Chaenomeles è greca, da “chainein” e “melon”, vorrebbe significare frutto che si fende.

Ancora oggi, tra il genere Chaenomeles e il genere Cydonia regna una certa confusione. Non solo, ma spesso, persino i floricoltori chiamano Pyrus i Chaenomeles. Fu il botanico inglese John Lindley (a799-1865), convinto della superiorità del sistema “naturale” di classificazione delle piante, dovuto ad A.L.jusieu , su quello “artificiale” di Linneo, che nel 1846 nel suo Vegetable Kingdom propose questo nuovo genere.. I Chaenomeles sono originari dell’Asia orientale e se ne conoscono in tutto 4 specie. La prima specie fu trovata da Thunberg sulle montagne

Hakone in Giappone, e fu da lui descritta nel 1784 come Pyrus Japonica. Più tardi Sir Joseph Bank ne introdusse un’altra specie proveniente dalla Cina; a lungo le due piante furono confuse e chiamate con nomi diversi: oggi sono il Chaenomeles Japonica e il Chaenomeles Speciosa (o Legenaria). Nel 1838, secondo la testimonianza di Loudon, il Chaenomeles Speciosa era ormai comune nei giardini inglesi, dove era coltivato come arbusto o come “standard”(cioè il nostro alberello). La pianta ebbe un breve periodo di fortuna nel 1869: un’unica ditta francese ne elencava oltre 40 varietà; oggi se ne coltivano si e no una dozzina. Delle due specie, il Chaenomeles Speciosa è più precoce e più spettacolare perché i suoi rami seminudi e i suoi fiori fanno più effetto di quelli del Chaenomeles Japonica, che sono abbondanti, ma giungono più tardi, quando le foglie sono già folte e vigorose. Tuttavia, il Chaenomeles J. ha una seconda stagione in autunno “quando spesso si copre di frutti giallo-dorati, e a volte di qualche fiore ritardatario”.

Arbusti e alberelli. Esposizione: sole. Propagazione: seme, talea, talea redicale, margotta.

Come si coltiva I C. non presentano particolari difficoltà di coltivazione: prosperano in qualsiasi terreno fertile e amano una posizione soleggiata. Le specie si moltiplicano agevolmente per seme, previo processo di stratificazione. Capita a volte che una pianta arrivi a fiorire così anche al secondo anno di vita. Le forme orticole si moltiplicano invece per margotta e talea. Le talee semilegnose si fanno sottovetro, di solito in autunno. Un altro metodo molto semplice è quello di steccare i polloni radicanti o fare talee radicali, o fissare per mezzo di forcelle i rami più bassi, coprirli di terra e poi steccarli non appena avranno radicato. In Inghilterra si usa coltivare queste piante contro un muro a spalliera, per proteggerle dai venti troppo violenti di Nord-est. Possono essere coltivate anche a cespuglio in mezzo a un prato o per ornare una balaustra. I C. si potano dopo la fioritura: il legno dell’anno può essere accorciato fino a 2 gemme dopo l’attacco. I rami giovani lunghi vanno forzati a prendere una posizione espansa fissandoli al terreno, per dare aria alla chioma, che va sfoltita e liberata da ogni ramo storto o rinsecchito. La potatura è un’operazione importante se si vuole avere cespugli belli; se lasciati a se stessi, i C. diventano troppo fitti e intrigati e fioriscono meno. Sono molte le zone d’Italia a terreno calcareo e a clima secco dove non è consigliabile coltivare Azalee, Rododendri, Kalmie, eriche e altre Ericacee: in tali luoghi i C. potranno offrire una fioritura che, per colori e sfumature, non sarà poi tanto inferiore a quelli dei Rododendri e delle Azalee. E tra l’altro, la cultura dei C. è molto più semplice. Occorrerà solo alternarli a piante sempreverdi perché d’inverno non offrono come ornamento che la ragnatela dei loro rami bruni e spogli. Dato che la scala dei colori va dal rosso cupo al bianco e, dal momento che fioriscono all’epoca dei Mandorli, dei susini e dei Peschi, sarà buona norma piantare i cespugli di C. solo accanto a piante che portino fiori bianchi (qualche macchia gialla di Forsizie non guasterà) per non creare un gran confusione di rossi e rosa.

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I rami del C. tagliati si conservano a lungo in vaso: durano una decina di giorni e anche più. Se uno dei rami accenna a intristirsi va accorciato di cm 5 alla base, avendo cura di compiere l’operazione con un paio di buone forbici da giardino, sott’acqua: vedrete che il ramo tornerà a nuova vita. Specie & Varietà Chaenomeles Japonica, Lindl Fioritura: III-IV. Altezza: fino a m 1,20. Originario del Giappone, è un arbusto basso, espanso in ampiezza, spinoso e ruvido, setoloso allo stadio giovanile. Le foglie sono lunghe cm 3-5, ovate, il più delle volte ottuse , grossolanamente seghettate, glabre. I fiori sono raccolti in racemi di 2-4 fiori color rosso mattone: il diametro della corolla è cm 3. il frutto è giallo dorato, arrotondato, molto aromatico, con diametro di cm 4-5. La varietà alpina (Cydonia sargenti) ha portamento diffuso, giacente, e foglie quasi circolari di soli cm 1-2; fiorisce e fruttifica profusamente. La varietà superba ha fiori di un rosso più intenso. La varietà Tricolor ha dimensioni ridotte, e foglie variegate di rosa e bianco. Chaenomeles Speciosa, Loisel Fioritura: III-IV. Altezza: fino a m 2 circa. Originario della Cina e del Giappone, è un arbusto erette, a rami diffusi e spinosi, glabri. Le foglie sono allungato-ovate, acuminate, seghettate, lucide nella pagina superiore; i fiori sono rosso scarlatto di cm 3-4 di diametro; i frutti rotondo-allungati, lunghi fino a cm 4, sono giallo verdognolo, molto profumati. Ne esistono molte varietà orticole, con tutte le sfumature nel colore dei fiori, dal bianco allo scarlatto acceso, e anche a fiori doppi. Tra le migliori segnaliamo: alba, a fiori bianche, soffusi di rosa; albo-tincta, a fiori bianchi marginati di rosa; albo-rosea, a fiori bianchi, parzialmente rosei; atro-sanguinea-plena, a fiori di uno scarlatto intenso, semidoppi; baltzii, a fiori rosa, molto fiorifera; candida, a fiori bianco puro; eburnea, a fiori bianco puro, piuttosto piccoli; grandiflora, a fioro quasi bianchi, grandi; mallardi, a fiori rosa bordati di bianco; papeleui, a fiori gialli marginati di rosa; pendula, a rami sottili e pendenti; rosea plena, a fiori rossi semidoppi; rubra grandiflora, a fiori grandi, cremisi carico; sanguinea plena, a fiori scarlatti, doppi; serotina, a fiori in mazzi fogliuti, autunnale; sulphurea, a fiori giallastri; umbilicata, a fiori di un rosso roseo e grandi frutti ombelicali all’apice. Chaenomeles cathayensis, Hems Fioritura: III-IV. Altezza: fino a m 3 circa. Originario della Cina centrale. Ha foglie ellittico-lanceolate, sottili e seghettate, lunghe cm 3-10, larghe cm 1-3,50 circa. Il picciolo è peloso, arruffato alla base, lungo cm 1 circa. I fiori sono bianchi, per lo più uniti in gruppi di 2-3, con diametro di cm 3-4 circa. I frutti sono ovali , lunghi cm 10-15, pesanti, con una cavità a ogni capo. E’ leggermente più delicato del Chaenomeles speciosa. La varietà wilsonii (Cydonia mallardi) raggiunge m 6 d’altezza: ha foglie brune tormentose nella pagina inferiore, fiori rosa salmone e frutti grandi: pianta rustica. Chaenomeles x superba Questo ibrido è stato ottenuto verso il 1900 da Froebel di Zurugo incrociando il C. japonica con il C. speciosa. Assomiglia al C. speciosa, ma ha portamento più eretto; i rami tuttavia, allo stato iniziale, sono pelosi; le foglie sono simili a quelle del C. japonica, ma più grandi e sottili e più nettamente seghettate; i fiori sono rosso scuro. Nella varietà alba sono bianchi; nella varietà perfecta rosso scarlatto. Chaenomeles x californica E’ un grosso arbusto creato da Clarke, di San Josè, California, nel 1939, incrociando il C.superba e il cathayensis. Porta i fiori su brevi getti laterali e ha frutti molto grandi.

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Usi & Costumi I frutti di entrambe le specie, oltre al pregio estetico, hanno un altro grosso merito: quello di essere profumati. Tanto che, nel secolo scorso, secondo la testimonianza del Loudon, si usava porli tra gli abiti, come si usa fare ancora oggi con la Lavanda; basta tenere un frutto giallo di C. japonica in una ciotola per profumare tutta una stanza. Crudi questi frutti non si mangiano. Sui loro pregi gastronomici vale tuttavia la pena di riferire un episodio curioso. Durante la prima guerra mondiale, nel 1917, il signor W.J. Bean di Kew offrì i frutti di alcuni arbusti di C. japonica e di 6 varietà differenti di C. speciosa per un esperimento: usando per tutti il medesimo processo, il reverendo J. Jacob del presbiterio di Whitewell, Withchurch, Salop, li ridusse in gelatina. Ogni singola conserva fu poi messa in un barattolo, etichettata e sottoposta alla giuria di un “tea-party” straordinario appositamente organizzato. Fu stabilito per acclamazione che la gelatina di C. japonica era la migliore: buona, secondo il parere del reverendo, come la gelatina di guava delle Indie occidentali. Il gusto della gelatina di C.speciosa mutava di varietà a varietà. In Germania con i frutti della C. japonica si fa una cotognata, più delicata di quella ottenuta dalla Cydonia, che viene consumata nelle feste natalizie. Il defunto signor E.A.Bowles consigliava la gelatina di C .japonica come condimento per la carne. Ibridi & Varietà Grande importanza hanno le forme orticole, gli ibridi che oggi vengono offerti dai floricoltori più spesso delle varietà botaniche. Tra le più note sono: Apricot, bassa, a fiori semidoppi, arancione; Andeken an Carl Ramcke, a portamento diffuso, bassa, a fiori rosso mattone; Baltzii, rosa cremisi; Cardinal, rossa; Coral Sea, rosso corallo, a fioritura molto lunga; Crimson and Gold, rosso cremisi, a stami giallo oro; Falconnet Charlot, a fiori rosa, semidoppia; Firedance, a portamento diffuso cespuglioso, con fiori rosso acceso; Guajardii, porpora; Kermensina semipiena, a fiori semidoppi, rosso cremisi chiaro; Knap Hill Scarlet, a fiori arancio scarlatto; Moerlosii, con bocci esternamente rosso cremisi e fiori rosa pallido; Nivalis, a fiori bianchi anche esternamente; Pink Lady, a fiori rosa puro, precoce; Simonii, a fiori rosso scuro, semidoppia e portamento piatto; Snow, a fiori bianchi, grandi, molto tarda; Stanford Red, arbusto quasi inerme, con fiori dal rosso scuro al rosso geranio. - (Cydonia oblonga) Famiglia: Rosaceae Nome dialettale: Mela cudôgna Etimologia: Deriva dai tempi dei romani, che chiamavano i suoi frutti “mela cydonia”, cioè mele di Bidone, città dell’isola di Creta.

Dev’essere per il suo carattere domestico e familiare che il Cotogno(o Cydonia)è scomparso da buona parte dei giardini. Come sono scomparse in Italia perlomeno, le cotognate nei negozi. Il Cotogno, un tempo diffusissimo, è il parente rustico e nostrano del più vago Chaenomeles. La C.o., Mill. (sin. C.vulgaris, Pyrus Cydonia), è infatti originaria dell’Asia, della Transcaucasia, della Persia, del Turkestan e dell’Arabia sud-orientale, ed è un cespuglio o alberello a rami sottili, dalle foglie caduche, ovali ed oblunghe, rotondeggianti, acute, intere, di un bianco grigio e tormentose nella pagina inferiore. I virgulti sono

tormentosi e arruffati. I fiori sono bianchi o rosa chiaro e hanno un diametro di circa 5 cm. I frutti sono grandi gialli, villosi, a forma di pera o rotondeggianti, profumati quando sono maturi, privi di peduncoli

Arbusti e alberelli. Fioritura: V-VI. Altezza: m 3,50-4,50. Esposizione: sole. Ambiente: limitipedoclimatici. Propagazione: talea,innesto margotta.

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e attaccati direttamente a un breve ramoscello fronzuto. Il legno continua la sua crescita per mezzo di un breve getto ascellare della stagione precedente, ed è questo che dà alla pianta il suo affascinante aspetto contorto. I frutti che sono stati molto lodati dai poeti latini, sono usati per fare marmellate, gelatine e per dar profumo a certo dolciumi. Si dice che in Oriente ne esistano varietà il cui frutto è commestibile anche crudo. Come si coltiva Riguardo alla coltivazione va fatta una premessa, che vale per una gran quantità di piante, ma specialmente per quelle che oltre al fiore devono portare un frutto. Bisogna tener presente, che coltivare la C. può essere facilissimo o molto difficile. E’ facilissimo, come dimostra il fatto che la pianta si è inselvatichita in diverse parti del nostro paese; ma può essere assai difficile se si vogliono ottenere frutti più belli, più colorati e più fragranti del comune. La fioritura della C. è abbastanza modesta, soprattutto se paragonata a quella del Chaenomeles. Ma anche i frutti hanno la loro parte in un giardino e il Cotogno può essere considerato una pianta decorativa appunto per questi. Nei luoghi d’origine la C. prospera volentieri in prossimità delle acque correnti, in luoghi freschi, ma ciò non significa che la si debba coltivare in luoghi umidi. Sarà bene darle un terreno non troppo leggero e ben concimato, profondo e caldo. La radice non penetra in profondità, ma si espande in superficie: per questo è importante che il terreno sia fertile ed è pure importante non fare coltivazioni in prossimità dell’albero, per non danneggiare le radici. Il Cotogno è una pianta a crescita lenta, ed è questo forse il suo maggior difetto. Ma un terreno fertile affretta naturalmente lo sviluppo. Coltivato in terreni freddi e umidi, il Cotogno tende a produrre frutti legnosi. E’ bene evitargli le somministrazioni abbondanti di nitrati e abbondare invece con i fosfati e i concimi potassici. Anche il calcio si può somministrare liberamente nei terreni che ne siano poveri. Come per gli altri alberi da frutta, le potature sono necessarie per evitare che la vegetazione diventi troppo densa e per avere una migliore fruttificazione. Se si coltiva il Cotogno solo per la fioritura, la potatura può essere debole; nel caso contrario il tronco deve essere tenuto corto. Lo scopo delle potature è quello di formare una chioma ben aperta e ariosa. Sarà necessario sacrificare qualche cima, ma con giudizio, per non privare la pianta di troppi frutti, dal momento che conosciamo l’abitudine del C. di fruttificare terminalmente. Il frutto, nonostante le apparenze, è molto delicato e deve essere manipolato con riguardo, perché si ammacca e si scalfisce molto facilmente. Gli alberi cominciano a dar frutti il secondo o il terzo anno dopo essere stati piantati, ma la produzione vera e propria inizia dopo il decimo o dodicesimo anno. Dato che si tratta di una pianta facilmente attaccabile dai parassiti, converrà, come misura profilattica, spruzzare l’intero albero durante l’inverno con un polisolfuro nelle dosi di gr 300 di soluzione per 9 litri circa; e, non appena il frutto si sarà ben formato, l’albero andrà trattato di nuovo con poltiglia bordolese, aggiungendo. Kg 1,50 di arseniato di piombo a ogni 180 litri circa. Le malattie più pericolose sono causate dall’Erwina amylovora (Colpo di fuoco batterico) o dai funghi che attaccano le foglie e ne causano la ticchiolatura(es. Monilia che ne colpisce prevalentemente i fiori). Un distruttore è il curculione del Cotogno (Conotrachelus crataegi) che può essere controllato aspergendo le piante con kg 3-4 di arsenicato di piombo ogni 450 litri di acqua. Questa operazione va fatta non appena si vedono i primi curculioni e va ripetuta ogni 10 giorni. Tra gli insetti si ricordano anche la Carpocapsa, sui frutti , e la tignola orientale, sui germogli. Varietà & Specie La varietà pyriformis è la varietà tipica, coi frutti a pera; la lusitanica porta frutti a forma di pera, ha foglie più grandi e cresce con maggior vigore del tipo; la maliformis produce frutti a forma di mela; la pyramidalis ha portamento a piramide; la mormorata ha foglie variegate di bianco e di giallo. Le varietà coltivate per il frutto sono diverse. Prima del 1870 l’unica era l’Orange, che porta frutti grandi, a buccia giallo dorato con sfumature verdi rugginose attorno al picciolo; la stagione di maturazione è tra il settembre e l’ottobre; l’origine è sud-europea. La Champion è una varietà di provenienza americana: ha frutti grandi, a forma di pera, che sull’albero hanno un colore giallo

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verdastro; l’albero è più grande e più alto di quello della varietà precedente. Altre varietà coltivate erano la Bentley, la Fuller, la Rea, la Meech e la Van Deman. Nei vivai italiani si possono trovare queste varietà, divise per la forma dei frutti: Maliformi (Del Portogallo, Mollesca, Ronda, Maliforme Tencara) e piriformi (Di Bazine, Champion,. Gigante di Vrania, Lescovatz, Di Smirne). I portainnesti sono gli stessi impiegati per il pero: EM A, EM C, BA 29. la propagazione avviene: per seme, margotta di ceppaia per l’ottenimento di portinnesti, l’innesto per la parte epigea, a gemma dormiente od a triangolo. Detti & Tradizioni “La cudôgna la fa spadìr i dent e la lighê la boca” infatti se viene assaggiata cruda allappa e lega la bocca. In antichità era il simbolo di felicità coniugale e costanza, per legge di Solone, si faceva tributo agli sposi ateniesi di cotogni e i romani ne decoravano le erme tutelari dei talami nuziali. L’origine probabilmente si deve alla prerogativa di questo frutto di conservare il suo profumo. Nelle vecchie case contadine era diffusa l’abitudine di porre una fila di cotogni sull’armadio della camera da letto per profumare la stanza grazie alla loro fragranza persistente. I contadini Romagnoli utilizzavano le mele cotogne solo nella preparazione del “Savòr” (mosto cotto, con pere, mele, scorze di melone, nocie e cotogni), di confetture e marmellate. Medicina & Cosmesi La polpa è facilmente ossidabile e spesso ricca di sclereidi, poco dolce ed astringente. Il frutto del Cotogno possiede anche proprietà medicinali: le gelatine e gli sciroppi aumentano la tonicità dell’intestino e sono utili per somministrare sostanze tanniche nelle forme di catarro intestinale e nelle enteriti acute. I semi: generalmente numerosi, poligonali, spesso agglutinati tra loro da un evidente straterello di mucillagine; hanno dal punto di vista medico, ancora maggior importanza: seccati al sole sono inodori, ma se poi vengono triturati nell’acqua, emanano un profumo di mandorle amare, di cui hanno il sapore. Contengono amigdalina, emulsina, una certa quantità di sostanze tanniche e di mucillaggine e si usano per decozioni. In particolare: le foglie raccolte in estate hanno proprietà sedative leggere; Infuso: 3% da 2 a 3 tazzette ai nervosi. Per uso esterno(proprietà antileucorreiche): Decotto: una manciata in mezzo litro d’acqua, per irrigazioni vaginali per combattere i fiori bianchi. Il frutto, raccolto a settembre, ha proprietà astringenti e nutrienti. Decotto: di una cotogna spappolata e bollita in un litro d’acqua fino a riduzione alla metà. Da prendere nella giornata nelle infiammazioni dell’intestino. Lo stesso decotto, per uso esterno, è utili per ragadi e prolasso del retto; il succo è lenitivo sulle scottature. Sciroppo: 5-6 cucchiai al giorno nelle enteriti, diaree ed emottisi. Cotognata o marmellata, ottima per convalescenti, deboli e persone anziane, e la Melimela dei romani, cotognata con miele, sono vantaggiose nelle eccessive acidità di stomaco, cataro intestinale, diaree e dissenterie. I semi estratti in autunno possono venire usati nei seguenti modi: Macerato: mezzo pugno di semi in 500 cc. d’acqua per 10-12 ore. Alcune tazzette al giorno. Sciroppo: gr 40-80 al giorno, d’effetto nelle enteriti e catarro bronchiale. Per uso esterno: Decotto:un pugno di semi in ½ litro d’acqua, bolliti fino a riduzione a gr 300, per clistere emolliente. Decotto: due manciate in 1 litro d’acqua, per irrigazioni vaginali nella leucorrea, per impacchi e ragadi del seno e labbra, afte, scottature e gargarismo ammorbidente, ecc… Mucillagine contro le piaghe. Inoltre la gelatina dei semi è indicata nell’acidità di stomaco. Cucina & Ricette In cucina le cotogne si accompagnano alla carne, al maiale o all’oca e rinforzano il sapore di preparati di frutti scipiti. Le cotogne secche entrano nella macedonia e quelle fresche nella pasticceria per l’aroma pregiato.

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Marmellata di Cotogne 10 mele cotogne, 1 kg di zucchero Con un pelapatate sbucciate le mele, togliete loro i semi e tagliatele a pezzi versatele in una pentola capiente con l’acqua e fate bollire. Passatele al passaverdura. Conservate l’acqua della loro cottura. Sciogliete lo zucchero in un po’ dell’acqua per 5 minuti circa. Aggiungete la purea di cotogne, mescolate e fate cuocere a fiamma molto dolce fino a quando la cotogna avrà preso un bel colore rosso granato e la marmellata si è gelificata. Schiumate con la schiumarola. A fine cottura, aggiungere la buccia del limone grattugiato. Invasare ancora calda e capovolgere i vasi (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Kaia). Marmellata di Cotogne 1 kg di cotogne, 750 g di zucchero, il succo di un limone Mondare le mele con un panno pulito per togliere la peluria che le ricopre, tagliarle a spicchi senza togliere la buccia e i semi (la buccia e il torsolo possono servire per fare della gelatina). Versare sui pezzi di mele tanta acqua quanto basta per ricoprirle, aggiungere succo di limone e far bollire finchè le mele non saranno tenere. Poi sbucciare le cotogne e privarle dei semi e delle parti dure eventualmente rimaste, pesare il composto ottenuto aggiungendo per ogni kg di frutta circa 750 g di zucchero. Far cuocere fino ad ottenere la consistenza della marmellata. Cotognata 2 kg di cotogne, ½ kg di zucchero, cannella, cedro candito (facoltativo) Sbucciare le cotogne, tagliarle a pezzi e far cuocere in poca acqua. Passare le mele cotte in un passino a fori piccoli e cuocere di nuovo, aggiungendo lo zucchero. Quando il composto diventa gelatinoso, aggiungere un pizzico di cannella o, eventualmente, di cedro candito. Cotognata 3 kg di mele cotogne, 2 kg di zucchero Mettete al fuoco le mele coperte d’acqua e quando cominciano a screpolare, levatele, sbucciatele e grattatele alla meglio per levarne tutta la polpa che passerete poi al setaccio. Rimettetela sul fuoco con lo zucchero e rimestatela sempre onde si attacchi. 7-8 minuti di bollitura basteranno, se poi presa su con il mestolo, comincia a cadere a stracci, levatela. Se la mettete in vasi potrà servirvi come conserva e fatta in tal modo resterà più chiara, ma con meno fragranza, perché una parte dell’odore particolare di questo frutto si perde nell’acqua. Per ridurla a cotognata distendetela sopra un’asse alla grossezza poco più di uno scudo ed asciugatela al sole coperta di un velo perché le mosche o le vespe ne sono ghittissime. Quando è asciutta di sopra tagliatela in forma di tavolette di cioccolata e passandole sotto un coltello per distaccarla dall’asse rivoltatela dalla parte opposta. Se poi vi piacesse di darle forme bizzarre procuratevi degli stampini di latta vuoti dalle due parti, riempiteli, lisciateli e distaccando la marmellata dagli orli con delicatezza, ponetela egualmente sull’asse ed asciugatela nella stessa maniera. Potete anche crostarla, volendo, e allora mettete a struggere 100 g di zucchero bianco con due cucchiaiate d’acqua e quando avrà bollito tanto da fare un filo (presane una goccia fra due dita) spalmate ogni pezzo con un pennello. Se lo zucchero vi si rappiglia durante l’operazione (che è bene fare in una giornata non umida) rimettetelo al fuoco Cotognata marchigiana 5 l di mosto, 500 g di zucchero, 3 chiodi di garofano, scorza di limone biologico, 2 prese di cannella, 3 kg di mele cotogne Far bollire 5 litri di mosto con gli ingredienti e con le mele cotogne sbucciate e tagliate a grosse fette. La cottura deve avvenire a fuoco molto lento e prolungarsi per circa 4 ore. Verso la fine è necessario mescolare più spesso e, appena il composto sarà ben sciroppato, si toglierà dal fuoco e si lascerà

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raffreddare nello stesso recipiente. La cotognata va conservata in barattoli riposti in ambienti asciutti e freschi. Liquore di Cotogne 1 kg di cotogne, 500 g di zucchero, 1,2 l di alcol, ½ l di rum, qualche mandorla amara, cannella Grattugiare le mele e lasciare riposare per due giorni. Spremere il succo attraverso un panno di lino e aggiungere alcol, rum, cannella e mandorle. Imbottigliare il liquore e lasciarlo riposare per un mese. Gelatina di cotogne Sbucciare con cura le cotogne, gettare i pezzi in poca acqua fredda con qualche goccia di limone. Far bollire per alcuni minuti per intenerire la polpa. Mescolare fino a completo disfacimento e poi passare. Per facilitare la fuoriuscita del succo si può usare un passa patate. Pesare il succo ottenuto, aggiungere la stessa quantità di zucchero e rimettere a cuocere a fuoco basso. Quando la gelatina si è addensata versare nei vasi e chiudere ermeticamente. Dessert alla mela cotogna 150g di gelatina di mele cotogne, 50 ml di sherry, 3 cucchiai di miele, 3 albumi, 250 ml di panna Amalgamare la gelatina con il miele e lo sherry. Montare la panna e gli albumi a parte finchè non sono compatti e aggiungerli alla gelatina. Riempire una terrina e mettere in freezer almeno trenta minuti prima di servire. CRESPINO (Barberis vulgaris L.) Famiglia: Berberidacee Nome dialettale: Craspèin, Crespèin, Gherspèin Etimologia:Il nome apparentemente arabo, “berberys” o “berberis”, usato per il frutto dalla scuola salernitana, deriva dal latino medievale (“acrispinum” dalle foglie acute). Sembra anzi che questo nome, usato da Tournefort e poi da Linneo, sia stato introdotto da un monaco certosinolucentezza delle foglie; così in fenicio “barbar” significa lucen“berberi” si alludeva alla lucida madreperla del guscio delle os

Arbusti sempreverdi a foglia caduca. Fioritura: Maggio-Giugno Altezza: sino a 3 m. Ambiente: la si può trovare in ambienti aridi e caldi, sui suoli limosi e argillosi fino a 2000 m di altitudine. Propagazione: seme, talea, innesto.

Originario e diffuso in tutta nell’Appennino boreale e centa 6, la si trova in Calabria sustriati longitudinalmente e mopicciolo di 2-15 mm, lungoblanceolate-spatolate, verde chiara in quella inferiore, coterminano con una spina apriuniti in gruppi terminali, lpenduli. I frutti sono bacche sino a 8-10 mm, mature in

. In arabo “berberys” si riferirebbe alla te, brillante, mentre in greco con la parola triche.

Europa, in Italia è indigeno nelle Alpi e rale (la varietà calabrica, più alta, da m 3 l monte Pollino). Ha rami eretto-arcuati, lto spinosi. Le foglie sono caduche, con he fino a 4 cm, totalmente glabre,

scuro e lucide nella pagina superiore, più n un margine seghettato e dentelli che

icale.I fiori sono piccoli, gialli, odorosi unghi circa 2 cm, dapprima erettie poi fusiformi, rosso vivo a maturità, lunghe agosto-settembre, dal sapore acidulo. I

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giovani rami sono solcati, all’inizio pubescenti, poi glabri e di colore grigio-bruno. Ne esistono diverse varietà: albo-spicata, con rami giovani di un bianco crema; asperma, varietà che porta frutti senza semi interessante per la produzione di confetture, famosa per francese chiamata”épine vinette”; pururea, molto bella con foglie porpora scuro. Come si coltiva Il crespino non pres enta difficoltà di coltivazione: vegeta bene in terreni acidi e anche calcarei, le specie sempreverdi prediligono un’esposizione a mezz’ombra e un terreno umido, mentre quelle a forma caduca amano il sole pieno. Le specie sono in genere propagate per seme, dopo l’adeguata stratificazione, la germinazione avverrà la primavera seguente. Tuttavia data la facilità di questo generre a ibridarsi, si preferisce moltiplicare per talea:Le talee erbacee vanno recise nella prima quindicinali giugno e messe nella sabbia su un letto caldo ombreggiato. Si possono anche fare talee legnose in autunno, sempre in serra, ma si ottengono risultati inferiori. Usi & Storia Il Crespino era già impiegato per siepi e recinzioni nei primi decenni del XV secolo, anche se il bestiame ne è ghiotto. Ha poi acquistato sempre più favore, per ragioni medicinali e gastronomiche, finchè si è scoperto, tra il 1860 e il 1865, che era il portatore della Puccinia graminea; allora è cominciato lo sterminio. Contro il Crespino , in Francia e in Germania, vennero emessi perfino degli editti che ne imponevano la distruzione. La corteccia, soprattutto quella della radice, è ancora oggi utilizzata per tingere di giallo i tessuti e il cuoio. Citato dal Mattioli: “ E’… il crespino una pianta che cresce su da terra con folti sermenti o vogliamo dire bacchette… tutte dall’alto al basso armate di certe acutissime spine…produce il fiore nel principio di maggio, giallo, in grappoletti.” Medicina & Cosmesi Nella medicina popolare al decotto delle foglie sono attribuite qualità astringenti. La corteccia (specialmente della radice, raccolta ad ottobre) contiene diversi alcaloidi: berberina, oxiacantina, berbamina, berberubina, palmatina; ne conseguono proprietà amaro-colagoga, febbrifuga e vasocostrittrice. Decotto: una manciata di corteccia sminuzzata bollita in acqua un litro per mezz’ora e colare. 2-3 tazzine al giorno. Estratto fluido: gr.2-3 per dose. Questi rimedi si utilizzavano in caso di febbre malarica poiché il Crespino favorisce l’azione della chinina, eccitante dell’appetito e delle secrezioni gastro-intestinali, nelle emorragie interne dei visceri ed organi genitali femminili, attiva la funzione del fegato e della milza, la produzione della bile, ed è utile nei calcoli della cistifellea e nella demorfinizzazione. Il decotto per uso esterno viene usato per il mal di denti e piorrea alveolare. Le bacche, raccolte in autunno, hanno proprietà astringenti e dissetanti. Venivano somministrate sotto forma di sciroppo, cotte con miele o zucchero, per favorire l’orinazione. Il macerato di bacche in acqua restringe i tessuti. Cucina & Ricette Dai frutti può ricavare una marmellata pregiatissima e dal succo dei frutti fermentati col miele si ottengono ottime bibite dissetanti. Nel XVII secolo le bacche acide del Crespino si mettevano sott’aceto e quindi si adoperavano “per decorare e presentare piatti di pesce e carne bollita.. e per molti altri usi.” Come scriveva Prikinson nel 1629. Erano considerate anche stimolanti dell’appetito, e secondo Culpeper, “preparavano lo stomaco alle vivande, rafforzando quelle virtù magnetiche posto sotto il segno di Marte”. Secondo London sono anche un buon surrogato del limone nel punch. Infine le foglie aromatizzano le insalate.

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FICO (Ficus carica L.) Famiglia: Moraceae Nome dialettale: Figh. Etimologia: Ficus, viene dalla radice fik- o suk-, come sýkon la cui origine, certamente mediterranea, si può

collocare a Creta. Dalla stessa radice vientermine che indilinfa, e non il con Il fico è origindell’Asia Minoreda cui deriva il spresente da epoca

Il portamento può essere arbustivo, nei tipi selvatici, mentre ncorto e ramificato, con corteccia liscia, di colore cenerinosoggetto a carie, non pregiato. Il portamento della chioma, ameno assurgente e ramificato; i rami hanno andamento divedella corteccia va dal grigio cenere al verde scuro. Su di pubescenti e hanno, nella stessa pianta, ampiezza e forma eterofillia). Sui rami si trovano gemme a legno (piccole, all’acollaterali a quelle a legno), miste grandi e coniche, generalmnormali, nel fico troviamo molte gemme latenti e avventizie.

Arbusto medio alto. Fioritura: a seconda del tipo di cultivar. Altezza: 10-12 m, 7-8 m se coltivato; vive mediamente 50-90 anni. Esposizione: sole. Ambiente: dal livello del mare a 1.000 m di quota. Propagazione: talea.

Le radici sono robuste ed espanse con elevata capacità di peessere emesse anche radici avventizie. I fiori di fico sono racinfiorescenza (ricettacolo), nella quale rivestono le pareti. Sopolline, sono numerosi nei caprifichi; 2. fiori femminili brevisdi ospitare, nella “galla”, le larve della Blastophaga psennumerosi nei fichi eduli, nei quali stanno da soli o insieme aifrutto) deriva da una infiorescenza che, sviluppata diventa unpossono formare a seguito della fecondazione dei frutti femmfecondazione si formano i veri frutti, che sono gli achenicommestibili e sono detti normalmente “frutti” del fico. La ldalla sferico-appiattita, alla piriforme-allungata e talvolta moltIl fico domestico può dare tre tipi di fruttificazioni: 1. fioroni: agosto: 2. i fòrniti pedagnuoli: maturano da fine luglio a maturano da ottobre-novembre fino alla primavera successivbase al numero di fruttificazioni che le piante portano annualmunifere, bifere o trifere. Il caprifico di solito è trifero: portproficui e infine i mammoni. Come si coltiva

e succo, in latino sucum, linfa. Così è dal ca il (frutto) fico che vengono succo e trario.

ario delle zone tropicali e subtropicali , da una antica regione chiamata Caria, uo nome. Nel bacino del mediterraneo è assai remota. elle forme coltivate è arborea. Il tronco è ; il legno è tenero e chiaro, facilmente seconda della cultivar, può essere più o rsamente curvilineo e contorto, il colore uno stesso ramo, le foglie sono alterne, diverse (fenomeno botanicamente detto

scella delle foglie), a frutto (semisferiche, ente all’apice dei rami); oltre alle gemme

netrazione; dai rami e dal fusto possono chiusi, numerosissimi, all’interno di una

no di tre tipi: 1. fiori maschili: portano il tili: sono numerosi nei caprifichi, in grado es l.; 3. fiori femminili longistili: sono fiori femminili brevistili. Il frutto (falso a infruttescenza, detta siconio. I siconi si inili longistili o per partenocarpia. Se vi è . I siconi delle cultivar femminili sono oro forma varia, a seconda della cultivar, o allungata. maturano dai primi di giugno all’inizio di ottobre inoltrato; 3. i fòrniti cimaruoli: a (prima dei fioroni del nuovo anno). In

ente, possiamo classificare le cultivar in a a maturazione prima le mamme, poi i

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L’impianto può essere effettuato in terreno non scassato, ma direttamente in buche ampie e profonde per garantire, fra l’altro, che non vi sia ristagno idrico. Le talee vengono messe a dimora in primavera, mentre le piante con radici è preferibile metterle a dimora in autunno. La concimazione è assente o molto limitata, così dicesi per l’irrigazione. Le temperature minime invernali al di sotto delle quali la pianta subisce danni sono -7/-8°C; le massime estive risultano dannose quando superano i 40°C. il fico si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, sopportando anche una discreta presenza di calcare e salinità. Preferisce suoli ben drenati, anche tendenzialmente argillosi con buon contenuto di calcio. Le avversità che colpiscono il fico sono diverse, ma quelle potenzialmente gravi sono poche. La cosiddetta virosi (mosaico) è oramai diffusa in tutti i Paesi mediterranei, ma raramente porte a morte la pianta. Dal punto di vista patologico, in Italia, in Francia e Spagna sono molto frequenti gli attacchi di Botrite e Alternaria. Varieta & Co. Le varietà di fico in Italia sono molto numerose, anche nel nostro territorio ne troviamo dei più svariati tipi e forme. Gallesio, nei suoi diari di viaggio, pur individuando molteplici sinonimie ed omonimie, attribuibili gran parte all’influenza che le diverse condizioni ambientali possono avere sul prodotto, ne nomina più di 450. Di seguito quindi riporterò solo alcuni esempi ritrovati sul nostro territorio:

- ALBO (Albaroli), la prima segnalazione bibliografica risale al 1800. L’albero è vigoroso e produttivo; preferisce terreni leggeri, che si scaldano facilmente. È di tipo bifero, cioè produce fioroni e forniti. I fioroni, pronti in luglio, sono di colore giallo vivo canarino, hanno buccia sottile, polpa bianco-rosata e un sapore delicato. I forniti, pronti in agosto-settembre, sono relativamente piccoli, tondeggianti-appiattiti, con peduncolo piccolo e corto. Hanno buccia giallo-verde e polpa bianco-rosata mista ad un miele giallo molto chiaro; hanno un leggero sapore di moscato. È una varietà resistente ai freddi invernali ed il frutto è adatto sia per il consumo fresco che per l’essiccazione.

- CUORE (Rubaldo, Portoghese, Buzzone nero, Fico grosso, Papale, San Pietro). Raffigurato

agli inizi del 1700, nei quadri di Bartolomeo Bimbi e segnato con il nome di Lampas portoghese, la prima segnalazione bibliografica risale al 1892. L’albero è di media vigoria, con rami corti e sottili, e buona produttività. Produce soprattutto fioroni, che sono grossi ed hanno forma di cuore o fiasco col collo lungo e sottile. La buccia è verde giallastra con sfumature rosso-violacee e screpolature longitudinali. La polpa, di colore rosso vivo, è morbida, fine, delicata, assai gradevole. I fioroni maturano all’inizio di luglio. La produzione di forniti è modesta, hanno forma allungata e buccia di colore marroncino violetto; la polpa è rossastra, dolce, delicata, buona. Si raccolgono a fine agosto.

- MADAMA (Ducale, Madonna, Gentile – dei Toscani, Rosso – a Parma, Vezzoso Rosso e

Vezzoso Bianco – a Piacenza, Della resta, Fig dla Madöna), la prima segnalazione bibliografica risale al 1821 ne “I giornali dei viaggi” di Gallesio. Albero poco vigoroso, foglie in genere pentalobate, con lobi molto pronunciati. Frutto abbastanza grosso, un po’ allungato, arrotondato all’attaccatura del picciolo. Buccia verde-chiaro, tendente al giallo a maturità. Polpa rossa, dolce, mielosa, aromatica ed eccellente. Si raccoglie dall’inizio di settembre.

- DOTTATO (Bianco, Binello, Binellone, Buttada, Dattarese, Di Calabria, Fico dalla Goccia,

Gentile, Napoletano, Ottato). Varietà antichissima, ancora oggi è probabilmente la varietà più diffusa in Italia. Il nome deriva probabilmente dal latino “Optatus”. Il monaco vallombrosano Vitale Magazzini scrive su “Coltivazione toscana” – (Venezia 1625) … i veri e buoni fichi daseccare sono gli albi e i dottati, i quali si dovrebbero seccare al sole e non in forno.” Compare

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negli scritti di Pier Antonio Micheli ed è raffigurato, sia come fiorone, sia come fornito, nei quadri di Bartolomeo Bimbi. Entrambi operanti alla corte di Cosimo III dè Medici (1642-1723). Sulla sua origine Giorgio Gallesio, nel I volume della sua opera Pomona Italiana (1817), si spinge molto indietro nel tempo … I Latini lo conoscevano sotto il nome di Ficus Carica (nome botanico della specie), e Plinio il Vecchio lo vanta come uno die più propri a seccare: egli dice che è stato portato da Sorìa da Lucio Vitellio nella Villa di Alba, quando era Legato in quella provincia, negli ultimi anni dell’Imperatore Tiberio. I sinonimi Binello o Binellone sono dovuti alla caratteristica che ha questa varietà a produrre fichi gemelli uniti l’uno all’altro. L’albero è vigoroso, con rami forti e dritti, di grande produttività. Preferisce terreno fertile ed esposizione soleggiata se la zona non è a clima caldo. Ha comunque notevole adattabilità. La produzione di fioroni (che sono pronti ai primi di luglio) è scarsa e la loro qualità è inferiore a quella dei forniti. Questi ultimi sono squisiti; di pezzatura medio-piccola e di forma tondeggiante od ovoidale un po’ compressa, con peduncolo molto corto, hanno buccia verde-giallastra o di color canarino. La polpa è bianco-giallastra, sugosa, fine e delicata. Si raccolgono da metà agosto a metà settembre e sono ottimi anche per l’essiccazione.

- VERDINO (Verdaccio, Verdecc, Verdino, Verdolino – dei Piacentini e Parmigiani), la prima

segnalazione bibliografica risale al 1824, citata dal omologo Gallesio fra i fichi di Bologna. L’albero è di modesta vigoria, quasi nano, con rami corti e sottili. Vuole ambiente con il clima caldo. Produce solo forniti. Il frutto è piccolo, piriforme, con peduncolo corto; la buccia è verde inizialmente presenta delle costolature longitudinali che scompaiono a maturità. La polpa è verdognola sotto la buccia, giallo-chiara all’interno. È di ottimo sapore, resiste all’umidità e non si screpola. Matura dalla fine di agosto a tutto settembre.

Le due varietà che seguono sono state citate da Giorgio Gallesio fin dal 1813, tipiche e molto diffuse in Toscana, sempre più spesso però se ne ritrovano esemplari anche in Emilia-Romagna:

- BRAGIOTTO NERO (Africano, Barnisotto, Bernissou, Bertino, Brogiotto fiorentino, Brosciotto della marca) – Probabilmente coltivato dai Romani che lo importarono dall’Africa. Plinio il Vecchio lo descrive nella sua opera “Historia naturalis” col nome di Fico Africano e, secondo la leggenda, fù la causa della guerra con Cartagine. Nel Rinascimento fù la varie6tà più ritratta, soprattutto nelle nature morte. L’albero ha vigoria elevata ed ottima produttività. Preferisce climi caldi e terreno fertile e fresco. È di tipo unifero. Il frutto è di pezzatura medio-grossa, di caratteristica forma a trottola, con buccia di colore verde cinerino, caratterizzata inizialmente da lievi costolature; a maturità risulta bruno-violacea, un po’ screpolata. La polpa è di colore rosso vinoso, di squisito sapore. Si raccoglie da metà settembre fino alla fine di ottobre. È adatto anche per l’essiccazione.

- MONACO (Ammannato, Batalone, Bianco, Buzzone, Fico di Rimini, Paradiso, San Piero). È

nel 1813 che Giorgio Gallesio, allora prefetto a Pontremoli, descrive il fico Monaco come una delle varietà più coltivate in Lunigiana. L’albero è vigoroso, di grande sviluppo, con rami grossi e dritti, di buona produttività per quanto riguarda sia i fiorono che i forniti. I fioroni sono molto buoni e precoci; maturano infatti a fine maggio-primi di giugno. Sono grossi, hanno forma di pera allungata e buccia gialla con sfumature verdi; la polpa, di ottimo sapore, è ambrata, ma violacea, sotto la buccia. I forniti sono quasi privi di peduncolo, hanno forma a campana, buccia gialla e polpa un po’ rosata, fine e delicata, molto buona. Si raccolgono tra metà agosto e metà settembre e sono ottimi sia per il consumo fresco che per l’essiccazione..

Storia & Tradizione

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“Mettor i figh a dù la lira” Mettere in riga qualcuno, far pagare a qualcuno le conseguenze delle proprie azioni. È noto che fu un fico africano a scatenare la terza guerra punica che comportò la distruzione di Cartagine. “Infiammato da un odio mortale contro Cartagine e preoccupato per la sicurezza dei discendenti”, Catone mostrò un giorno ai senatori un fico fresco: “sappiate” disse “ che è stato colto tre giorni fa a Cartagine. Tanto vicino alle nostre mura abbiamo il nemico”. Il fico è stato coltivato in Grecia fin dall’epoca omerica, come dimostra, nel canto VII dell’Odissea, la descrizione del frutteto di Alcinoo, re dei Feaci: “Alti alberi là dentro, in pieno rigoglio, /peri e granati e meli dai frutti lucenti, / e fichi dolci e floridi ulivi”. Il fico era però considerato un albero impuro, sappiamo attraverso gli atti del collegio sacerdotale degli Arvali, molto arcaico, che questi dovevano fare grande espiazione quando per esempio un fico spuntava per caso sul tempio della dea Dia, antica divinità latina dei campi, assimilata a Cerere (Demetra). Bisognava allora non soltanto estirpare l’albero, ma distruggere il tempio diventato impuro. Plinio e alcuni altri tardi autori latini ritenevano che il motivo di questa distruzione fosse la paura di un crollo del tetto, ma come fa osservare De Gubernatis doveva esistere “una ragione più seria e più grave per portare alla demolizione di tutto il tempio. Bisogna dunque vedere nella comparsa del fico sul tempio servito dalle Vestali la presenza di un essere impuro in mezzo al simbolo stesso della purezza”. In ogni caso per gli antichi l’albero del fico era inquietante. Secondo Microbio, era su un rogo di legno di fico che a Roma si bruciavano i mostri, mentre in Grecia, secondo Luciano, il rogo era riservato ai libri colpevoli di empietà. Plutarco osservava che il fico era considerato un albero caldo; produceva “esalazioni forti e violente” e il suo legno era particolare per la sua “asprezza”; “quando gli si dava fuoco, sprigionava un fumo molto acre e pungente”. Che il fico sia stato considerato malefico, ci è forse dimostrato da un episodio della vita di Timone di Atene, il famoso misantropo “nemico di tutto il genere umano”, come ce lo rifece Plutarco. Un giorno Timone si presentò all’assemblea dove non si recava mai e salì sulla tribuna degli oratori: L’incredibile novità stabilì un silenzio e un’attesa grande, Ed egli disse: “Io ho una piccola area fabbricabile, o cittadini ateniesi, ov’è cresciuto un fico a cui molti abitanti di questa città si sono già impiccati. Siccome sarebbe mia intenzione costruire in tal posto, desidererei preavvertirvi pubblicamente, affinché, se qualcuno di voi volesse impiccarsi, lo faccia prima che il fico sia stato abattuto”. Malgrado fosse per alcuni versi impuro e nefasto, tuttavia il fico era ritenuto un albero oracolatore. Un frammento di Esiodo,mette in rapporto diretto la vita di Calcante, l’indovino della guerra di Troia, con un fico. In mezzo al Foro Romano, nel punto stesso in cui era morto eroicamente Marco Curzio, era “nato per caso” un altro fico. Nel 362 a.C. proprio lì la terra si era aperta improvvisamente, lasciando un baratro spalancato. Poiché gli àuguri avevano dichiarato che l’unico modo per colmarlo sarebbe stato gettarvi il tesoro più prezioso di Roma, il giovane Marco Curzio vi si precipitò a cavallo completamente armato e il baratro immediatamente si richiuse su di lui. Ancora più venerato era il terzo fico che si ergeva nel Foro, nel Comizio. Là erano stati “sotterrati i fulmini”, il fico godeva di una reputazione di arbor felix, che teneva lontano il fulmine. Con il passare del tempo il fico in questione, secondo Tito Livio prese il nome di Romulare, era strettamente legato alla vita dell’Urbe. “Quando si secca” scrive Plinio ”è sempre un presagio, e i sacerdoti hanno cura di piantarne un altro”. Peraltro, il fico era collegato con l’animale consacrato sotto questo profilo al dio: il capro; in occasione di una calamità pubblica, si sacrificavano un uomo o una donna come capri espiatori, l’uomo portava una collana di fichi neri, la donna una collana di fichi bianchi. Durante le Targelie, feste di Apollo e Artemide che si celebravano ad Atene in maggio-giugno, i profani che le avrebbero contaminate con la loro presenza venivano scacciati con rami di fico. È opportuno aggiungere che nel Nordafrica i fichi sono in rapporto non soltanto con la fecondità ma anche con il mondo degli antenati: si mettono dei fichi nei primi solchi al momento dell’aratura e altri se ne abbandonano sulle tombe e nei santuari come “la parte degli Invisibili”; i fichi sono “l’offerta di pregio riservata ai morti”.

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Nel passato le foglie di fico sono state anche utilizzate per “censurare” in quadri e affreschi le parti intime di figure nude, mentre il legno di fico egiziano è stato usato per la costruzione dei sarcofaghi dei faraoni. Medicina & Cosmesi I fichi presentano un valore nutritivo molto particolare: grazie alle sostanze pectiche contenute, sono utili nel prevenire l’occlusione delle vene; nell’alimentazione infantile forniscono calcio ai bambini che hanno allergie nei confronti del latte, per la loro ricchezza in fibre hanno effetti lassativi, sono infine caratterizzati da un elevato e vario contenuto in sali minerali. Una dieta a base di fichi può prevenire il cancro al colon e rallentare lo sviluppo dei calcinomi. In particolare: il frutto, raccolto da agosto a settembre, ha proprietà pettorali, lassative e antistitiche. - Decotto: 2-3 fichi nell’acqua o latte di una tazzina, bollire un quarto d’ora e passare attraverso un colino fine. Diverse nella giornata, utile contro raucedine, catarro bronchiale e della viscica, evacuante intestinale. - Sciroppo emolliente: Dattero frutto gr. 20, Giuggiolo gr. 20, Fico frutti secchi gr. 20, Uva passa gr. 20, Carrubo bacello gr. 20; a macero in una quantità bastante di acqua per 5-6 ore; bollire spappolando ed aggiungere il medesimo peso di zucchero. Da prendere a cucchiai. Per uso esterno: - Decotto: concentrato per gargarismi nelle angine, afte ed irritazioni della bocca. Cataplasma di secchi per coprire forme purulente, ghiandole ingrossate, ecc… - Latice: (che fuoriesce quando si spezza una foglia o un ramo) acre bruciante per far scomparire lentiggini, macchie, porri e verruche. Attenzione le grandi foglie possono indurre reazioni allergiche al solo contatto con la pelle. Cucina & Ricette Dall’antichità la pianta di fico è utilizzata per l’alimentazione umana con i suoi frutti freschi, dolci e rinfrescanti, e con i frutti secchi, serbevoli. Molto noti e rappresentativi sono i cestini di frutti freschi, di cultivar tra loro differenti, raffigurati nei dipinti di Ercolano e Pompei; è testimoniata la tecnica in uso presso i Romani nell’attuale Puglia per conservare a lungo i fichi essiccati, pressandoli opportunamente in otri di terracotta. Spiedini sfiziosi 18 fichi maturi, 2 william, 100 gr. di salame, 100 gr. di prosciutto Tagliare i fichi e le pere a pezzetti come il salame e il prosciutto. Formare degli spiedini alternando i pezzetti di fichi con i pezzetti di prosciutto, di pera e di salame (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Kaia). Fagiano Ai Fichi Freschi 1 Faraona, 24 fichi maturi, 100g Uvetta, 1 Limone, 50g Burro, Sale, Pepe. Salare, pepare e ungere la faraona internamente ed esternamente. Cuocerla in forno a 180° per 1 ora circa, girarlo di tanto in tanto. Mettere a bagno l'uvetta in poca acqua e passarla al mixer con l'acqua in cui era stata in ammollo. Tagliare i fichi e metteteli ad insaporire sul fuoco con un po' di burro, unire l'uva frullata, aggiungere il succo del limone.Versare sulla faraona. Servire su un piatto da portata con 2 fichi freschi tagliati in quattro (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Kaia). Liquore dolce ai fichi 6 dl di alcol a 95°, 6 fichi neri ben maturi, zucchero, acqua distillata. Sospendete i fichi nel vaso col metodo della garza (vedi sotto) e versare su di essi l’alcol, facendo giungere il suo livello a tre-quattro centimetri dai frutti. Chiudere ermeticamente il recipiente e lasciate macerare per 70 giorni in cantina. Eliminate i fichi e assaggiate il preparato; aggiungete poi acqua distillata e zucchero a piacere. Lasciate stagionare in cantina per tre mesi.

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(Metodo della garza: stendete la garza sull’imboccatura del recipiente facendola ricadere all’interno a formare una profonda sacca. Fissate con un cordino la garza all’imboccature del vaso. Deponete i frutti all’interno della sacca. Aggiungete l’alcol versandolo sui frutti e fate giungere il suo livello a 3 cm dalla garza. Chiudete ermeticamente il vaso.) Grappa al miele e fichi 1 l di grappa, 4 fichi maturi, la scorza di 1 limone, 1 chiodo di garofano, cannella, 4 cucchiai di miele. Deponete in un recipiente i fichi interi, un pezzetto di cannella, il chiodo di garofano, la scorza di limone (solo la parte gialla) e il miele. Coprite il tutto con la grappa e fate macerare in luogo caldo, ma al riparo dal sole, per 45 giorni. Filtrate l’infuso e lasciatelo stabilizzare in cantina per un mese prima di assaggiarlo.

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FRANGOLA (Rhamnus frangula L.) Famiglia: Rhamnacee Etimologia: voce toscana, deriva assai probabilmente dall’aggettivo “frangolo”, in quanto si stritola facilmente. Nomi dialettali: Frangla.

E diffuso in Europa, in Africa nordoccidentale, in Asia Minore finonel settentrione. Questo piccolo albarbustiva. Il tronco è eretto, con ndipartono spesso fin alla base, la chcorteccia è di colore bruno-rossastrolenticelle chiare e allungate. Le fogliperfettamente intere. I fiori sono

ascellari che si sviluppano al momento dell’emissione delle foglverdastro. I frutti sono drupe sferiche di 7-8 mm, dapprima verdi,quando giungono a maturazione. Contengono 2-3 noccioli avvolti in u

Arbusto o alberetto. Fioritura: Aprile-agosto. Altezza: fino a 3-4 m. Ambiente: Dal livello del mare fino a 1800 metri. Propagazione: per divisione di getti.

Usi & Tradizioni Veniva usato per lavori di tornitura e per fabbricare cerchi di botte. Vi sottoboschi nei rimboschimenti lungo i corsi d’acqua, su terreni acidIn Romagna è detta “êrba cagarela” per la sua drastica azione lassagricoltori stavano molto attenti che gli animali domestici non la mandosi, poteva essere mortale. Citata dal Mattioli: “è adunque la frangola, così chiamata per essemediocre grandezza, con foglie quasi come di corniolo.” Medicina & Cosmesi Varie parti dell’intera pianta venivano usate come lassativi. Infatti inè uno dei lassativi più usati nella medicina attuale, agiscono per “irritin maniera energica le pareti intestinali (irritandole) e favorendo quinabuso di questi prodotti erboristici può causare seri danni alla parete inLa corteccia (raccolta da marzo a maggio) del fusto veniva usata dPolvere: gr. 1-2 al giorno , in ragione di mezzo grammo prima dei pcorteccia sminuzzata, bollita 25 minuti in acqua gr. 150; lasciare a zuccherare. Alla sera prima di coricarsi per avere il beneficio senza per dose alla sera. Tintura: 1 a 5, a cucchiaini. Il decotto veniva usato Decotto di gramigna e frangola 15g di gramigna(rizoma), 15g di frangola (rizoma), 1 l d’acqua. Fate bollire per 10 minuti nell’acqua i rizomi, poi filtrate. Assumetendi 3 settimane, ripetendo la cura periodicamente, in caso di insufficien Decotto di iberico e frangola 25g di fieno greco, 25g di frangola, 10g di ortica (foglie), 10g di betachillea, 10g di centaurea minore.

alla Persia, in Italia è frequente ero si presenta spesso in forma umerosi rami assurgenti che si ioma è irregolare e globosa. La

, ricoperta da un gran numero di e sono obovate-acute o cuspidate ermafroditi, raccolti in fascette ie, con petali di colore bianco- poi rosse ed infine nere-violette na polpa carnosa.

iene anche utilizzata per rinfoltire i e poveri. ativa e irritante dell’intestino. Gli giassero, perché se ingerita in forti

re molto frangibile, un albero di

sieme a senna (cassia) e rabarbaro azione intestinale”, stimolano cioè di l’espulsione del bolo fecale; un testinale. opo l’essiccazione ad 80-100°C.

asti. Decotto: un pizzico o due di macero per 4-6 ore, indi colare e irritazioni. Estratto fluido: gr. 1-4 per esterno contro scabbia e tigna.

e 3 tazze al giorno per un periodo za renale.

ulla(foglie), 10g di iberico, 10g di

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Fate bollire per 10 minuti 1 cucchiaio di miscela in 2 tazze e ½ di acqua e consumatene 1 tazza al giorno, ha effetti depurativi. Decotto depurativo al sambuco e vischio 20g di sambuco(fiori), 20g di vischio (foglie), 20g di frangola (corteccia), 10g di ginepro(bacche), 2dl d’acqua. Fate bollire per 10 minuti nell’acqua 1 cucchiaio (10g) di una miscela precedentemente preparata con sambuco, vischio, frangola e ginepro. Ne prenderete 1 tazza al giorno per almeno 20 giorni per depurare l’organismo. L’uso di questo decotto particolarmente indicato nei cambi di stagione. Decotto di sambuco 10g di sambuco(fiori), 10g di paritaria (parte aerea), 5g di rabarbaro(rizoma essiccato e pelato), 10g di gramigna (rizoma), 5g di frangola (foglie), 20g di salsapariglia 8radice), 2,5dl d’acqua. Mescolate in maniera omogenea a secco gli ingredienti, dosate 1 cucchiaino e ponetelo a bollire per 2 minuti in 2,5 dl d’acqua. Consumatene 2 tazze al giorno lontano dai pasti per combattere l’acne. GELSO (Morus) Famiglia: Moraceae Nomi dialettali: Mor, Mur(RE), Moròn (PC); Mor, Zels, Môra (Romagna). Etimologia: Il nome del genere, è quello che usavano abitualmente i romani. Al genere Morus appartengono diverse specie tra le quali le più note nel m-M. alba L. -M. nigra L. -M. rubra L. (detto anche Gelso rosso) -M. multicaulis Loud. (frutto nero) -M. kagayamae Koidz. (frutto nero) tutte comunemente indicate col nome di gelso e talvolta di moro. Di segdue varietà presenti in Emilia-Romagna. GELSO COMUNE, GELSO BIANCO ( Morus alba L

Albero, a foglia caduca. Fioritura: Aprile-Maggio. Altezza: 18-20 m.. Ambiente: dalla pianura alla bassa collina, coltivato raramente, subspontaneo

Originario della Cina e della Coralto sino a 15-20 metri, con il trochioma è densa e arrotondata versgiovani la corteccia è di colore gfessurata. Le foglie caduche e

odo sono:

uito segue la descrizione delle

.)

ea, si presenta come un albero nco irregolare e ramificato; la o la sommità. Sugli esemplari

rigio, per poi divenire bruna e alterne sono portate da un

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picciolo scanalato. Generalmente la loro forma è ovato-acuta, ma può essere anche cuoriforme, i margini sono dentati. Entrambe le pagine sono glabre e verdi chiaro. Le foglie dei polloni sono tipicamente tripartite. I fiori maschili presentano infiorescenze ad amento di forma cilindrica, quelli femminili sono peduncolati. I frutti sorosi ovato-arrotondati, (lunghi 1-3 cm), sono costituiti da un insieme di unità carnose contenenti ciascuna un vero frutto (nucula), sono di colore bianco giallognolo o rosato. Sono simili a more, portati da un breve picciolo; sono commestibili, la loro polpa è dolciastra già prima della maturazione. GELSO NERO (Morus nigra L.)

Albero, originario dell’Asia minore, con fogliame deciduo, chioma globosa espansa, densa di un colore verde scuro; tronco corto, massiccio e ramificato, la corteccia è brunastra, screpolata e reticolata, tendente a desquamarsi. Le

sula CLdpbeeddicacclvaa TI“appXaa

Albero a foglia caduca. Fioritura: Aprile-maggio. Altezza: fino a 10 metri. Ambiente: dalla pianura fino a 600metri.

foglie sono multiformi con margine dentato, ruvide e verdi cure sulla pagina superiore, pubescenti e più chiare su quella inferiore. I fiori sono sia ermafroditi che nisessuali, si presentano in amenti cilindrici giallo-verdastri di 2-4 cm. I frutti si mostrano in grappoli unghi 2-2,5 cm, di colore porpora-nerastro, abbastanza simili alle more di rovo, sono però aciduli cerbi, mentre più dolci alla maturazione (Agosto-Settembre).

ome si coltiva a coltivazione del gelso non presenta grosse difficoltà; le piante che attualmente vengono messe a imora servono più che latro per ornamento o per ombra; esistono anche delle varietà a portamento iangente assai decorative. La propagazione avviene per talea. Se si vuole propagare il gelso per seme isogna attendere anche 10 anni prima di avere i primi frutti; i semi vanno seminati subito dopo averli stratti dai frutti o dopo alcuni mesi di stratificazione nel caso di Morus alba e i semenzali devono ssere ombreggiati nei primi mesi dopo l’emergenza. La propagazione per talea legnosa, semilegnosa e i radice è preferibile alla moltiplicazione per seme; le talee legnose danno migliori risultati se raccolte ’estate e trattate con ormoni rizogeni. Bisogna tenere conto che tra Morus alba e Morus nigra c’è ncompatibilità d’innesto. Una volta che le brache del gelso hanno raggiunto una struttura robusta non è hiesta lacuna potatura, se non per eliminare il legno secco e per sfoltire la chioma. Il gelso è sensibile lla Cicoria caranculoides che causa la cosiddetta malattia del popcorn, per cui i frutti appaiono gonfi ome i popcorn; il patogeno si può controllare con la distruzione dei frutti infetti. Altri parassiti possono ausare sul gelso cancri e seccumi, in particolare sulle giovani piante. La raccolta delle more di gelso è unga e difficoltosa a causa delle piccole dimensioni dei frutti, della scolarità della maturazione, della egetazione intensa e della delicatezza dei frutti. Un albero adulto in piena produzione può produrre nche 200 kg di more durante tutto il periodo di maturazione annuale. I frutti possono essere conservati l fresco, in vaschette ricoperte con cellophane, per almeno quattro giorni senza subire danni.

radizione & Curiosità l Gelso nero anticamente era coltivato solo per il suo frutto mangereccio (Plinio il Giovane nelle Lettere”, nomina questa pianta, riportando che la sua villa era circondata da una vasto giardino in cui bbondavano le piante di Gelso), mentre quello rosso veniva utilizzato per colorare le stoffe che rovenivano dall’Oriente. Alla fine del primo millennio l’importanza di questo albero si legò sempre di iù all’allevamento del baco da seta, al quale forniva nutrimento tramite le foglie. Affiancato poi, nel II sec., dal Gelso Bianco importato da Ruggero di Sicilia. Fino ad un secolo fa ogni famiglia colonica

llevava bachi da seta e disponeva di un notevole numero di gelsi. In Francia, durante il 19° secolo gli gricoltori piantavano il Morus nigra vicino al pollaio per nutrire il pollame.

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Secondo una leggenda ambientata a Babilonia e narrata da Ovidio (nelle “Metamorfosi”), il frutto del gelso era originariamente bianco, ma venne arrossato dal sangue dei tragici amanti Piramo e Tisbe.

Nella cultura popolare le more (non si sa se quelle di rovo o di gelso) entrano in un famoso detto: “asptêr al môr d’maz”,(aspettare le more a maggio)

vale a dire aspettare chi non viene o attendere inutilmente. Il giorno dell’Ascensione si usava portare in processione un ramo di gelso, intendendo così esporre alla benedizione del Signore tutte le foglie ti tale specie di albero, per la prosperità dei bachi da seta di cui erano il nutrimento. Una vecchia credenza Modenese e Reggiana sul Môr, (che significa “Moro”, ma può anche significare “muoio” o “muori”), metteva poi in guardia chiunque dal piantare questi frutti vicino a casa, perché si pensava agisse in modo negativo sugli uomini e gli animali. Alcuni popoli dell’Himalaya utilizzano le more secche nel periodo invernale per ottenere una farina da mescolare con farina di mandorle. Nel Libano i frutti sono consumati freschi o trasformati in sciroppo o succo. Si usano anche come aroma per gelati, conferendo un colore blu-violetto. Questo albero può vivere fino a 150 anni, ne troviamo un esempio a Piacenza in località Moronaso, il suo diametro è di 4,08 metri ed è molto vecchio. Medicina & Cosmesi Orazio ne consigliava il consumo per le proprietà medicinali e nutritive grazie al forte potere energetico; mentre Gargilio Marziale insegnava a trarre dal frutto un potente medicamento contro i mali della bocca, dei denti, delle fauci e delle arterie. Le more del gelso presentano un buon contenuto di zuccheri, in vitamine C, B e carotenoidi; hanno sapore dolce, acidulo e rinfrescante. È possibile ricavarne uno sciroppo, molto ricercato per mitigare le infiammazioni della gola e, previa fermentazione, una grappa ad alto contenuto alcolico. Possiedono molte proprietà medicamentose, tra cui: espettorante, depurativa, lassativa, rinfrescante e tonica; un tempo non molto lontano venivano indicate per lenire afta, angina, astenia, stipsi e stomatite. Lo stesso infuso di foglie ha proprietà antibiotiche. In cosmesi la polpa viene usata per maschere lenitive di pelli secche; il succo trova uso in lozioni idratanti. Le foglie, le radici e la corteccia di gelso possono essere utilizzate per scopi medicinali. In Giappone sono state estratte delle molecole (sangenoni, kuwanoli, furani) con potere ipotensivo; dalla corteccia delle radici e del fusto e dalle foglie sono state estratte molecole fungicide e battericide. Da gelsi inoculati con Fusarium solani var. mori è stata estratta la fitoalessina chalcomoracine, un antifungo che inibisce lo sviluppo di Fusarium roseum e del Bibolaris Ieersiae. L’etil b-resorcilato estratto dalle radici di gelso ha proprietà antimicrobiche verso alcuni funghi e batteri. La medicina popolare consigliava invece, lo sciroppo di more quando era necessaria un’azione astringente ed antinfiammatoria, mentre le foglie avevano proprietà febbrifughe. Cucina & Ricette Questi alberi oltre alle foglie, fornivano i loro frutti, i quali venivano consumati freschi o per conserve e sciroppi ed anche vini di frutta; nel medioevo se ne ricavava appunto, un vino: il Vinum Moratum. I frutti di Gelso bianco, più piccoli e meno saporiti, venivano essiccati per ricavarne una farina dolcificante. Oggi vengono utilizzati per ottenere marmellate, gelatine, confetture, sorbetti, dolci, nel savor, con il rhum o il vino rosso, in salse rosse; ottimo l’uso dei frutti in macedonia, con miglioramento del sapore e del profumo. Le more nere a succo rosso hanno un’intensa colorazione che può essere sfruttata come colorante naturale, risvegliando l’interesse dell’industria alimentare verso questa specie. Salsa di more di gelso 500g di frutta , 1 bicchiere di aceto di vino rosso, 1 bicchiere di vino rosso Mettete tutto a bollire mescolando frequentemente. La cottura verrà protratta fino a quando la salsa risulterà addensata. Serve per accompagnare carni bianche e insaporire pesci bolliti.

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Marmellata di more di gelso 1 kg di more di gelso, 600 g. di zucchero Lavare le more in acqua fredda e metterle a cuocere in una pentola per lameno 15 minuti. Poi aggiungere lo zucchero e continuare a cuocere per un ora e mezza. A fine cottura, aggiungere la buccia del limone grattugiato. Invasare ancora calda e capovolgere i vasi (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Kaia). Grappa di morar 1 l di grappa, 100 g di more di gelso (Morus nigra), 2 cucchiai di zucchero Cospargete le more di gelso con lo zucchero e lasciatele macerare per un giorno in un recipiente capiente. Versate sui frutti la grappa e chiudete il vaso. Lasciate in infusione per 15 giorni in luogo caldo, ma non soleggiato, agitando spesso. Trasferite in cantina e lasciate riposare per altri 15 giorni. Filtrate bene e lasciate stagionare per 2 mesi prima di consumare. P.S: Anche le more di Morus Alba possono essere usate per la preparazione di questa grappa, la quale risulterà profumata ma priva di colorazione. GINEPRO COMUNE (Juniperus communis L.) Famiglia: Cupressacee Nome dialettale: Z’nèver, Z’nèveir, Z’nèvar, Zanèvar, Baracocla Etimologia: Il nome ha conservato la sua origine latina.

Il Ginepro comugeografica: è presNordamerica all’AMediterraneo; in Appennini. In Svequasi 20 m. Solita

stretto di colore verde chiaro, può essere anche cespuglioso corteccia di colore grigio-rossastro che si sfalda in strisce longisono aghiformi pungenti lunghe da 1 a 18 mm, in serie, raggrupdi bianco quella inferiore di grigio. E’ una pianta dioica converdastri all’ascella dei ramuli, portati in piante separate. I fcarnose; derivano dall’ingrossamento delle tre squame fertili verdastre per poi diventare nel secondo anno blu-scure e pruinassai ben resistente al caldo e al freddo, è importante per la sua di preparare il suolo per la ricostruzione del bosco. Il legno èutilizzato in falegnameria e per la lavorazione al tornio. Questa anni.

Arbusto, alberello sempreverde a crescita lenta. Fioritura: febbraio-giugno. Altezza: fino a 5-6 anche 12 m. Ambiente: dal mare fino a 2300 m.

Essendo considerata una delle conifere più rustiche è disponibilecon forma colonnare nana, a crescita lenta, indicata per i gcolonnare larga, branche ascendenti e rami con estremità ripiega

ne ha una larghissima distribuzione ente in tutto l’emisfero boreale, dal sia sudoccidentale e dalla Siberia al Italia è diffuso sulle Alpi e sugli zia ne sono stati segnalati alcuni alti

mente si presenta con la chioma a cono o strisciante. I rami sono ascendenti e tudinali con margini ondulati. Le foglie pate per tre; la pagina superiore è striata fiori maschili gialli e fiori femminili rutti sono bacche sferiche di 4-8 mm, del fiore femminile. Sono verdi o blu-ose. Indifferente alla natura del suolo è capacità di ricoprire i suoli deforestati e duro, compatto e a grana fine; viene specie è molto longeva, vive circa 600

in diverse varietà coltivate: compressa, iardini rocciosi; cracovia, con forma te; depressa portamento basso, espanso

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fino a 6 m, forma grandi macchie; rami ascendenti ricoperti di foglie relativamente larghe, gialle o verde-brunastre, argentate e color bronzo sulla pagina superiore nel corso dell’inverno; depressa aurea, con foglie e rami giovani color giallo oro all’inizio dell’estate; hibernica, con forma compatta, densa, colonnare fino a 3-5 m di altezza; hornibrookii, portamento nano, foglie relativamente piccole, erette e appuntite, bianco-argentate nella pagina inferiore. Esiste anche il Juniperus nana Wild, che molti chiamano Ginepro nano, perché è prostrato al suolo con rami orizzontali, più o meno di forma emisferica. Foglie più corte 10-12 mm, e più ravvicinate. Fiorisce in maggio-luglio, è particolarmente adatta ai climi più rigidi e ventosi d’alta montagna (Sul monte Rosa vegeta fino a 3.500 m. Vorrei fare un particolare riferimento ad altri tipi di Ginepro, per distinguerli tra loro: Juniperus oxycedrus L. Detto: Ginepro rosso, ossicedro, coccolone, appeggi. Si distingue dal precedente per il portamento più elevato, spesso arboreo, le foglie più lunghe e le bacche di colore bruno rossiccio alla maturazione. La sua particolarità sta nell’essere molto resistente alla siccità e alla salsedine è quindi la specie che si avvicina di più alla costa. Il legno duro è ottimo per la produzione di carbone. Può vivere circa 200 anni. Juniperus phoenicea L. Detto: Ginepro fenicio, Cedro licio. Si distingue per avere le foglie squamiformi strettamente aderenti ai rami laterali che assumono perciò l’aspetto di corde. I frutti sono bacche di colore rosso vivo. Il legno è di ottima qualità e un tempo era molto utilizzato per piccoli lavori di intarsio. La raccolta indiscriminata ne ha ridotto il numero. Cresce lentamente ed è molto longevo, circa 1000 anni. Juniperus sabina L. Detto: Ginepro sabino, sabina I frutti hanno un colore bluastro e sono ricoperti da una pruina cerosa gluacescente, il loro diametro è di 7-8 mm e sono portati da un peduncolo ricurvo. Contiene sostanze molto tossiche: un olio essenziale con sabinene, sabinolo, turione, ecc..., un glucoside (pinipicrina) e altro. Soprattutto un tempo venivano utilizzate nelle campagne, in modo incosciente o criminale, a scopo abortivo; infatti le conseguenze sono sempre gravi e spesso mortali sia per a madre sia per il feto. Si osservano manifestazioni come nefriti emorragiche, coliche e infiammazioni violente del tubo digerente, vomito, diarrea, peritonite e perforazioni intestinali, crampi diffusi, emorragie retiniche, paralisi. La morte avviene in buona parte dei casi (ovviamente in relazione alla quantità di vegetale ingerito) dopo mezza giornata o a distanza di qualche gorno, in condizioni di incoscienza. Veniva adoperato nei riti funebri dei romani, quale simbolo dell’immortalità, al posto dell’incenso. Juniperus thurifera L. Detto: Ginepro turifero, spagnolo E’ sensibile al freddo anche se raggiunge i 3000 m. I frutti sono galbuli di circa un centimetro di colore blu nero e pruinosi a maturità. In Nordafrica il fogliame serve da foraggio per le capre e il legno è utilizzato per diversi scopi, dopo la distallazzione a nche come antisettico esterno. Le foglie e i frutti sono tossici. Tradizione & Folklore Il ginepro è un arbusto apotropaico per eccellenza (che serviva cioè ad allontanare e scongiurare gli influssi malefici); la sera della vigilia di Natale, nel Bolognese, veniva gettato dalla famiglia riunita sul

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ceppo ardente del camino per suscitare un fumo aromatico che avrebbe scacciato dalla casa e dai dintorni le serpi. Nel Modenese veniva tradizionalmente usato per accendere il fuoco del ceppo natalizio e appeso alle travi delle stalle per tenere lontane le epidemie del bestiame; posto in casa un ramoscello di ginepro portava fortuna attirando le benedizioni di Gesù e di Maria (vuole la tradizione che la Sacra Famiglia sia stata salvata da un cespuglio di ginepro durante la famigerata strage degli innocenti, proprio in quell’occasione dopo la benedizione di Gesù, sulle bacche dell’arbusto provvidenziale apparvero delle piccole croci ancora oggi riscontrabili. A Granaglione, a Badi, a Castel di Casio e in altri paesi della montagna bolognese, la sera della Vigilia di Natale si accendevano i falò di ginepro sull’aia dei casolari, mentre uomini, donne e bambini si disponevano in girotondo cantanto “Viva Gesù Bambino”. Nel Piacentino si eseguiva un rituale pagano il “Parfum” (profumo), che si effettuava in funzione profilattica per gli animali da lavoro, da latte e da carne con secchi e scaldini pieni di braci, in cui bruciavano in eterogenea promiscuità bacche di ginepro, semi di finocchio, elleboro e vecchie scarpe: le fumigazioni venivano eseguite girando tre volte intorno alla stalla e non dimenticando di entrarvi ogni volta. Citato sulle Sacre Scritture, da Petrarca, Boiardo, Ariosto, Sederini, Tassoni, Pascoli e D’Annunzio. Medicina & Cosmetica Ricco di resina, olio essenziale, acido ossalico e malico, è balsamico, diaforetico, tonico, emmenagogo, antireumatico. Essenza, infuso, vino e macerato per meteorismo, bruciori di stomaco, problemi diuretici e mestruazioni irregolari; frizioni con olio per dolori; fumigazioni per raffreddore; bagni e lavaggi per reumatismi e irritazione della pelle. Poiché l’olio essenziale è ricco di terpeni, in dosi elevate le bacche possono provocare irritazioni all’apparato urinario e renale. Non va somministrato a chi soffre di disturbi ai reni o al tubo digerente, né alle donne in gravidanza. Frizioni di Ginepro 50g di ginepro (coccole schiacciate), 10 g di rosmarino(foglie), 1 bicchiere di alcol denaturato, 25 g di olio di ricino. Ponete le coccole schiacciate di ginepro e le foglie di rosmarino in 1 bicchiere di alcol. Lasciate riposare per 15 giorni prima di filtrare con una tela. Al filtrato aggiungete l’olio di ricino. Utilizzate per frizionare le parti indolenzite dai dolori reumatici. Dopo la frizione ricoprite con un panno di lana. Infuso di ginepro 15g di ginepro (bacche contuse), 1 l d’acqua. Ponete le bacche contuse a riposare per 4-5 minuti in 1 l d’acqua bollente. Consumatene due tazze al giorno come regolatore delle mestruazioni. Infuso digestivo Fiori di camomilla, semi di finocchio, foglie di melissa, foglie di menta, bacche di ginepro. Miscelate i componenti in parti uguali. Ponetene un cucchiaio in infusione in una tazza d’acqua bollente per 10 minuti. Filtrate e bevete, dopo i pasti, senza dolcificare. Vino di ginepro 15g di ginepro (bacche schiacciate), 1 limone (scorza, solo la parte gialla), 1 l di vino bianco secco ad alta gradazione. Ponete a macerare le bacche schiacciate e la scorza di limone nel vino bianco secco ad alta gradazione per 15 giorni. Trascorso questo periodo filtrare e conservare in bottiglia. Consumate due bicchierini al giorno. Il vino di ginepro è un ottimo tonico, diuretico e digestivo. Si consiglia a quanti soffrono di gotta, inappetenza e reumatismi.

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Liquore calmante 10g di ginepro (bacche), 10g di anice stellato, 8g di cumino, 25g di camomilla (fiori), 20g di limone (scorza, solo la parte gialla), 20g d’arancia (scorza, solo la parte gialla), 15g di calamo aromatico, 2 l di grappa secca, 250g di zucchero, 2,5 dl d’acqua. Per confezionare questo liquore ponete a macerare per 15 giorni in 2 l di grappa secca le bacche di ginepro, l’anice stellato, il cumino, i fiori di camomilla, le scorze di limone e di arancia e il calamo aromatico, avendo cura di muovere il vaso chiuso 1 volta al giorno. Trascorso questo periodo fare sciroppare lo zucchero in 2,5 dl d’acqua calda aggiungetelo al macerato. Attendete qualche ora, filtrate e imbottigliate. Questo liquore aromatico e invogliante è anche un buon rimedio conro lo stress, nel qual caso potrete berne ½ bicchierino dopo i pasti principali. In dettaglio, il legno duro, raccolto in autunno presenta ottime proprietà sudorifere- in decotto: polvere mezza manciata in acqua un terzo di litro, e colare. 2-3 tazze al dì. –vino: polvere 1-2 pungi a macero in vino bianco un litro per 10 giorni e filtrare. Da 2 a 3 bicchierini. Veniva usato questo decotto, in uso esterno, per bagni antigottosi. Le foglie, raccolte dalla primavera all’autunno, hanno proprietà diuretiche e antieczematose- in decotto: una manciata per l’acqua di un litro, 2 o 3 tazze al giorno prese fra i pasti. Per uso esterno si preparava un altro decotto, 2-3 manciate di foglie per litro d’acqua diventavano un buon detersivo di piaghe; foglie e ramoscelli bruciati, erano buoni disinfettanti e deodoranti inoltre utili per fumigazioni nei mal di gola e delle vie respiratorie. Un altro decotto concentrato 10 e più per cento era impiegato in bagni contro il reumatismo, l’artrite ed il rachitismo. I frutti del secondo e terzo anno, raccolti da settembre a novembre, possiedono proprietà aromatiche, balsamiche, sudorifere, stimolanti, digestive e diuretiche- in infuso: frutti schiacciati mezzo pugno in un recipiente con l’acqua bollente di un litro; coprire e dopo un’ora passare al setaccio fine. Una tazzetta ogni due ore per i catarri bronchiali e della vescica, diuretico nella gotta e nella blenorragia e leucorrea. – infuso: 20 frutti pestati in una tazzetta d’acqua, da bere alla sera dei giorni precedenti le mestruazioni. –estratto fluido: gr. 4-8 al giorno. – vino: frutti gr. 60 a macero 8-10 giorni in vino bianco un litro rinforzato da gr. 80 di alcole; agitare e filtrare. Gr. 100 nelle 24 ore in due volte come diuretico (anche per :asma, bronchiti, catarri, nefrite, renella, cistite, uricemia, perdite notturne di orina, gonorrea, idropisia). – bacche: 6-8 al giorno masticate confer5iscono buon odore all’alito e preservano dai contagi. Per uso esterno, i frutti venivano impiegati in suffumigi nell’abbassamento della voce, laringiti e catarri della gola. Bruciati su tizzoni accesi, disinfettavano e profumavano gli ambienti. Cucina&Ricette Tutta la pianta è molto ricca di resina ed emana un gradevolissimo odore: in particolare le coccole hanno un sapore amaro, ma molto gradevole, e odore marcato. Le bacche e i getti di ginepro sono ottimi per aromattizare pietanze a base di carne e verdure cotte (crauti, patate ecc…). Inoltre il suo legno è indispensabile nelle operazioni di affumicatura dei cibi. Marinata aromatica per grigliata 1 bicchiere di olio extravergine d’oliva, 2 cucchiai di aceto aromatico, 2 foglie di alloro, 1 cucchiaio di bacche di ginepro, sale, 1 peperoncino rosso. Emulsionate l’olio con l’aceto e un pizzico di sale. Unite alla salsina le bacche di ginepro, l’alloro e il peperoncino sminuzzati. Lasciate riposare la carne per circa 30-40 minuti nella marinata prima di cuocerla alla griglia. Durante la cottura spennellate con il condimento in modo che rimanga morbida. Olio alle erbe e ginepro 500 gr. Olio D'oliva Extra-vergine, 1 Mazzetto Erbe (salvia, Rosmarino, Basilico), 12 Bacche Ginepro Pulire le erbe e asciugarle all'aria. Inserirle nella bottiglia d'olio con le bacche e lasciare aromatizzare per circa 30 giorni (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia).

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Zuppa Di Carote Al Ginepro 6 Carote, 1 Cipolla, 5 Bacche Di Ginepro, 2 Cucchiai Olio D'oliva Extra-vergine, 100 cl di brodo vegetale, Sale pepe. Rosolare nell'olio la cipolla tritata. Pelare e lavare le carote e tagliarle fini. Unirle al soffritto pepare e salare, unire il brodo. E le bacche di ginepro pestate nel mortaio Portare ad ebollizione e far cuocere 20 minuti, frullare il tutto (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). Grappa al ginepro 3-5 coccole fresche di ginepro comune, 1 l di buona grappa. Disponete a piacere le coccole fresche di ginepro comune su un foglio di carta e lasciatele asciugare per circa 3 giorni all’ombra (il numero delle coccole deve essere ben calcolato perché influisce molto sul sapore9. pestatele poi leggermente in un mortaio, mettetele in un vaso con 1 l di buona grappa e lasciatele macerare per circa 2 settimane, quindi filtrate e mettete a stagionare il più a lungo possibile. Chi preferisce un aroma meno penetrante può sostituire le coccole con un pezzetto legnoso della pianta, in questo caso l’infusione va fatta in bottiglia, e si può controllare con facilità l’intensità del sapore di ginepro. Una volta ottenuto l’equilibrio desiderato, basta estrarre dalla bottiglia il bastoncino. Frà ginepro 1 l di vino bianco, 5g di bacche di ginepro, 15g di calzaya (pianta peruviana con corteccia aromatica), 15g di cassia amara, 1 l di sciroppo di arancia amara. Mettete in infusone nel vino bianco, per 2 giorni, le bacche di ginepro, la calzaya e la cassia amara. Filtrate il liquido e mescolate con lo sciroppo di arancia amara. Si tratta di un liquore dal sapore molto particolare, che piacerà a chi preferisce gli aromi forti. Gineprino 5dl di alcool a 95°, una manciata di bacche di ginepro, zucchero, 5dl d’acqua distillata Fate essiccare per 3 giorni all’ombra le bacche di ginepro mature su un foglio di carta assorbente da cucina. Pestatele poi leggermente in un mortaio e versatele in un vaso che richiuderete dopo averle cosparse con tre cucchiai di zucchero. Dopo 3 giorni versate sulle bacche l’alcol e lasciate macerare per un mese all’ombra. Filtrate e aggiungete l’acqua distillata nella quale avrete sciolto a caldo 200 grammi di zucchero. Lasciate riposare in cantina almeno fino alla fine dell’inverno. Liquore di Ginepro 100g di alcol a 75°, 1l di vino bianco ad alta gradazione, 15 bacche di ginepro, 2 scorze di arancia le bacche mature, o coccole, del ginepro, sono l’ingrediente giusto per preparare questo liquore benefico per lo stomaco. Schiacciate le bacche e mettetele poi a macerare con la scorza di arancia (solo la parte gialla) nell’alcol e nel vino bianco per 15 giorni. Agitate ogni tanto, quindi, trascorso il tempo di riposo, filtrate e consumate il liquore fresco. Mezzo bicchierino al dì dopo i pasti sarà utile per espellere gli acidi urici. Grappa al ginepro 1l di grappa, 15 bacche di ginepro, 20g di zucchero ponete a macerare in una bottiglia la grappa, il ginepro e lo zucchero, avendo l’accortezza di schiacciare le bacche con le dita per facilitare l’aromatizzazione del liquore. Esponete la bottiglia tappata al sole per 40 giorni curando di rimestare ogni tanto. Al termine del periodo filtrate e consumate. GIUGGIOLO (Ziziphus jujuba Mill.)

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Famiglia: Rhamnaceae Nomi dialettali: Zôzla, Zézula. Etimologia: deriva dalla denominazione araba del giuggiolo di Barberia, “zizifous”, da cui per assonanza proviene la denominazione comune di giuggiolo

Il giuggiolo è originario della Cina e dell’Asia centrale. E’ stato introdotto in Italia verso la fine dell’Impero di Augusto e da molto tempo si è naturalizzato nel bacino del Mediterraneo, in particolare nelle regioni dell’Italia centro-meridionale; non esistono cultivar selezionate, ma solo dei tipi indicati genericamente: a frutto lungo o a frutto tondo, entrambe dotate di buone caratteristiche organolettiche e buona

produttività.

Fioritura: giugno-luglio. Altezza: fino a 8 metri. Ambiente: pianura e bassa collina. Propagazione: polloni, seme, talea, innesto (a gemma, a pezza, a spacco, a triangolo).

Albero, ma più spesso arbusto con fogliame deciduo, con chioma ovata, rada, di colore verde chiaro; il tronco eretto, sinuoso, presto ramificato, con rami spinosi a zig zag (ogni nodo presenta una coppia di piccole spine); corteccia grigio-brunastra sul tronco, rossastra sui rami, in entrambi i casi rotta in piccole placche. Le foglie sono regolarmente alternate, con lamina obovata e margine finemente seghettato; la pagina superiore è lucida di colore verde intenso, la pagina inferiore i più chiara e opaca. I fiori sono biancastri, o meglio giallo-verdognoli, piccoli, disposti in densi glomeruli ascellari. I frutti si presentano come drupe ovoidali di 2-3 cm, con seme duro, giallo-brunastre a maturità, dette giuggiole o zizzole, vano raccolte da settembre a ottobre. Quando la maturazione è avanzata, la buccia raggrinzisce sempre più e la polpa si riduce di spessore. Il contenuto di zuccheri raggiunge valori del 25% nei frutti freschi e arriva al 60% in quelli essiccati. Questa pianta è in grado di adattarsi a vari tipi di terreno, resiste a situazioni di forte aridità grazie ad un apparato radicale molto sviluppato in profondità; predilige i suoli leggeri, non umidi, neutri o sub-alcalini. Vive in zone con climi temperati con minime invernali non inferiori a 10° C e con estati lunghe e calde. Il giuggiolo può subire danni da gelate precoci nel periodo autunnale, per cui in ambienti settentrionali la coltivazione è possibile solo sotto particolari microclimi come in prossimità dei laghi o in colline ben esposte al sole. Come si coltiva La forma di allevamento più comune in Italia è quella ad alberello o libera. Le lavorazioni e le concimazioni sono utili prevalentemente nella fase giovanile, quando l’apporto di fertilizzanti favorisce la crescita. A parte la potatura di allevamento, vengono eseguiti solo interventi cesori per eliminare i rami troppo bassi o per diradare la chioma troppo folta. La raccolta viene effettuata quando i frutti sono maturi, la produttività del giuggiolo varia a seconda dell’andamento pluviometrico(una pianta può produrre sui 30-50 Kg di frutti). Le giuggiole possono essere conservate per 70 giorni a 10°c o per 30 giorni a 20°C; temperature inferiori a 2°C durante la conservazione provocano seri danni. Nell’area mediterranea non sono stati riscontrati parassiti particolarmente dannosi. Tuttavia dove la coltivazione è più estesa abbiamo notizie di: fra i patogeni il Gleosporium spp che provoca sui frutti delle piccole macchie scure; la Botrytis cinerea Pers. che provoca marciume e avvizzimento fogliare; la Phakopsora zizyphi vulgaris Diet. detta anche ruggine del giuggiolo; tra gli insetti: la Carpomya vesuviana (Costa) e C. incompleta (Beck), due mosche molto simili presenti in Italia. Tradizione & Folklore Ogni casa colonica aveva un giuggiolo e per tradizione gli abitanti della casa, al sorgere e al calar del sole, lo onoravano con il segno della croce. Questo frutto era elencato anche tra quegli alberi che con il loro ciclo vegetativo scandivano l’andamento delle stagioni:

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“Quanno se veste, tu te spoi, quanno se spoia tu te vesti” “Smante quand us amana è zozle, e amante quand ch’us se smana”

“E zôzêl l’è l’ultum a vistis e l’è prèm a spuiès” in riferimento alla caratteristica dell’albero, poiché è l’ultimo a cui spuntano le foglie in primavera e il primo a perderle in autunno. Un altro detto, che indicava il periodo giusto per raccogliere questo frutto, recita:

“Par San Michèl, la zôzla ‘te panir.” “Per San Michele, la giuggiola nel paniere.”

Tutt’oggi viene impiegato anche per rimboschimenti data la sua robustezza; come integratore alimentare, per gli animali al pascolo in alcuni periodi dell’anno e vista la durezza del suo legno è molto apprezzato in ebanisteria. Un’ultima curiosità: da questa pianta si ottiene l’hennè. Soderini: Il giuggiolo negli ultimi tempi di Cesare Augusto, fu portato dall’Africa da Papinio, seminato nel campo, grandemente compariscente nelle trincee.” Venne citato anche da Davanzati, Pascoli e Deledda. Medicina & Cosmesi Un tempo le giuggiole erano considerate uno dei quattro frutti “pettorali” (con fichi, datteri e uvette), e non c’era ricetta antitosse che non ne contenesse. Per il loro effetto lenitivo e antinfiammatorio ( vitamina PP,B1, B2 e C) vengono utilizzate per la preparazione di decotti espettoranti ed emollienti. In cosmesi si usano per maschere emollienti ed idratanti per pelli secche; i semi contengo composti organici con proprietà sedative; i frutti contengono acido oleanolico e acido ursolico, principi attivi che inibiscono la formazione di glucani insolubili prodotti da batteri cariogenici. Cucina & Ricette I frutti vengono consumati freschi, direttamente appena raccolti oppure leggermente avvizziti. Inoltre si utilizzano per la preparazione di marmellate, sciroppi, confetture, gelatine, canditi, dolci e bevande alcoliche e liquorose (brodo di giuggiole). Si possono conservare anche in salamoia, in alcol e aceto. In Cina si essiccano dopo averli snocciolati e si utilizzano per la preparazione di dolciumi o bolliti in sciroppo con riso e miele. Risotto alle giuggiole con baccalà (per 4 persone) Questa ricetta prende la fila dal famoso bordo di giuggiole che tante volte incappa nei nostri modi di dire. Brodo di verdura, 250g di riso arboreo, 80g di burro, un pugno di Parmigiano, 500g di giuggiole, 400g di baccalà già bagnato, aglio, prezzemolo Mettete 200g di giuggiole nel brodo di verdura, pulite le restanti dal nocciolo e mettete i noccioli nel resto del brodo stesso. Mettete un pizzico di sale nel brodo e fatelo andare. Filtratelo. Tostate il riso in una casseruola, quando sarà ben tostato sfumate con un mestolo di brodo. Continuate ad aggiungere brodo fino ad ultimare la cottura. Poco prima di terminarla prendete 4 pezzetti di baccalà e cuoceteli in una padella con uno spicchio d’aglio, senza bruciarlo, per pochi muniti, e coprite con il coperchio. Appena il risotto è cotto aggiungete le giuggiole snocciolate il burro e il parmigiano e mantecate per un minuto. Servite nei piatti il risotto con sopra un trancetto di baccalà e una spolverata di prezzemolo (si ringrazia il Ristorante “Avion Blu”- Modena - Chef Vignoli Enrico) Salsa di giuggiole 500g di frutta, 2 bicchieri di vino bianco, 2 bicchieri di aceto bianco Le giuggiole mature vengono lavate e poi bollite con vino bianco e aceto di vino bianco in proporzioni uguali. Dopo una breve bollitura frullare il composto ottenuto e poi filtrare per eliminare i noccioli. Salare e aggiungere pepe. Questa salsa si usa per accompagnare carni bianche e bolliti.

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Brodo di giuggiole 1 kg di giuggiole, 500g di zucchero In diverse versioni, era usato sin dall’antichità per curare la tosse. Il decotto viene preparato in questo modo: si scelgono delle giuggiole ben mature, dopo averle lavate e asciugate si mettono in vaso sterilizzato di vetro, si aggiunge lo zucchero, si aggiunge lo zucchero, si chiude ermeticamente e si ripone in un locale buio a temperatura ambiente. Il tutto va agitato ogni giorno sino a completo dissolvimento dello zucchero. Dopo 20-30 giorni è pronto all’uso. Brodo di giuggiole (dose per 5-6 vasetti) 1kg di giuggiole, 1 kg di zucchero, 2 grappoli di uva, possibilmente albana, 1 bicchiere di albana dolce, 2 mele cotogne sbucciate e tagliate sottilmente, buccia grattugiata di un limone, acqua q.b. Lasciate appassire le giuggiole non sbucciare. Metterle in una pentola e ricoprirle d’acqua. Aggiungere l’uva sgranata e lo zucchero, cuocete un’ora a fiamma dolce. Aggiungere le mele e l’albana, far evaporare il vino. A fine cottura, aggiungere la buccia del limone grattugiato, invasare ancora calda e capovolgere i vasi (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). Marmellata di giuggiole La frutta viene cotta con l’aggiunta di un po’ di zucchero sino a completo distacco della polpa dal nocciolo. Rimescolare continuamente per evitare qualsiasi bruciatura. Far evaporare e passare per eliminare i noccioli ed eventuali cuticole residue. Poi conservare in contenitori di vetro.

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KAKI-MELA e KAKI-VANIGLIA (derivano dal: Diospyros kaki L.) Famiglia: Ebenaceae Etimologia: il nome della specie deriva da quello giapponese dato alla pianta: “kaki no ki” Nomi dialettali: Diospiro, Loto, Pomo o Mela d’Oriente.

È un albero con fogliame deciduo, con chioma globosa, densa di colore verde cupo; il tronco è eretto con corteccia bruna, che tende a distaccarsi in piccole placche ruvide. Le foglie sono intere, ovali-ellittiche, coriacee, verde scuro e lucido sulla pagina superiore, spesso pubescenti su quella inferiore, di circa 15 cm di lunghezza, e divengono rosse prima di cadere. Essendo una pianta monoica, i fiori sono solitari, disposti tra foglie e ramo con corolla giallo

verdastra, con calice persistente, formato da quattro lacinie. Il frutto è una bacca, la cui forma varia da molto piatta a molto allungata con prevalenza della forma arrotondata. Il colore della buccia a maturazione di raccolta è giallo più o meno aranciato nella maggior parte delle cultivar, mentre diviene rossastro in altre. In sezione trasversale sono evidenti otto logge ovariche che possono essere provviste di semi (uno per loggia), in numero variabile a seconda del grado di fecondazione raggiunto. Il colore della polpa va dal giallo-aranciato, talvolta anche rossastro, nei frutti partenocarpici delle cultivar variabili alla fecondazione e in quelli sia fecondati che partenocarpici delle cultivar costanti alla fecondazione, al rosso-marrone o bronzeo in quelli fecondati nelle cultivar variabili alla fecondazione. Il kaki può essere considerato specie per climi temperato-caldi, adattandosi molto bene alle condizioni ambientali mediterranee. Tuttavia nei riguardi del clima i diversi gruppi podologici hanno comportamenti differenti; le cultivar costantemente non astringenti sono le più esigenti in fatto di luce e di calore prolungati in autunno, e maggiormente sensibili alle basse temperature invernali; mentre le cultivar costantemente astringenti sono le più resistenti ai freddi invernali. È sensibile ai forti venti soprattutto in estate e autunno, quando il peso della produzione può provocare scosciature del tronco e lesioni ai frutti. Il kaki si adatta bene ai diversi terreni, tollerando anche quelli piuttosto argillosi, meglio se coltivato in terreni profondi, ben drenati e di medio impasto.

Albero spogliante. Fioritura: fine giugno. Altezza: fino a 12 m. Ambiente: fino a 600 m. Propagazione: per seme, per mantenere la particolarità di queste varietà è sempre meglio l’innesto.

Come si coltiva L’apparato radicale del kaki si sviluppa prevalentemente negli strati superficiali del terreno; pertanto si consigliano almeno due lavorazioni all’anno, una relativamente profonda in autunno e una o più lavorazioni superficiali in primavera. Normalmente vengono somministrati concimi ternari al fine di ottenere un equilibrato sviluppo della pianta, alle dosi medie di 200 unità di azoto, 150 di fosforo, 180 di potassio, talora con aggiunta di 120 unità di magnesio. È importante nella fase della fioritura, di allegazione e nel periodo di accrescimento dei frutti, una buona irrigazione. Le forme di allevamento più utilizzate sono la palmetta, la piramide e il vaso. La palmetta è la forma di allevamento più moderna, presente negli impianti intensivi, soprattutto nell’Emilia-Romagna, in quanto consente di meccanizzare le principali operazioni colturali. La potatura di produzione deve essere orientata verso un rinnovo equilibrato della vegetazione e all’omogenea distribuzione della fruttificazione nella chioma, tenendo presente che il kaki fruttifica sui rami dell’anno. Essendo una specie molto rustica poche sono le avversità che possono causare danni di una certa gravità. Tra queste si cita la sesia (o rodiscorza) e la mosca della frutta.

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Specie & Varietà Le varietà ricercate sono il kaki-vaniglia, il kaki-mela e il kaki-cioccolatino; di seguito verrano descritti in modo più completo: Kaki – Mela ( Hana Fuyu) Cultivar CFNA, edule alla raccolta. Albero di vigoria elevata e produttività media. Il frutto è di pezzatura medio- grossa, di forma sferoidale appiattito quadrangolare, con buccia di colore giallo arancione, polpa aranciata, di sapore ottimo. L’epoca di raccolta è precoce. Kaki – Vaniglia (Hachiya) Cultivar CFNA, non edule alla raccolta. Albero di vigoria elevata e produttività medio-elevata. Il frutto è di pezzatura grossa, di forma conico arrotondata, con buccia di colore arancio e polpa giallo aranciata, di sapore ottimo. L’epoca di raccolta è intermedia. I frutti si conservano ottimamente e sono adatti anche per usi industriali. Kaki – Cioccolatino (Mercatelli) Cultivar VFNA, edule alla raccolta, utilizzata come impollinatore. Albero di vigoria media e produttività elevata. Il frutto è di pezzatura medio-piccola, di forma sferoidale arrotondata, con buccia di colore giallo aranciato e polpa arancio bronzea, di discreto sapore. L’epoca di raccolta è inetermedia. Storia & Co. Originario dell’Oriente, una prima descrizione di questa pianta è apparsa alcuni secoli avanti Cristo e sono stati trovati documenti del V-VI secolo sulla coltura del kaki; la sua introduzione nei Paesi europei del bacino del Mediterraneo è piuttosto remota: gli antichi Romani conoscevano il loto già nell’età di Plinio. In Italia i primi impianti risalgono al 1916, diffusi nel salernitano e in altre province campane; in tali zone la coltura industriale del diospiro raggiunse notevole diffusione negli anni 40. da qui si diffusero gradatamente in altre regioni: Liguria, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto,Abruzzo, Molise, Puglia e Calabria. Cucina & Ricette Il frutto del kaki presenta un basso tenore di acidità, un alto contenuto di zuccheri e di polifenoli viene utilizzato essiccato sotto forma di fette o anche di cubetti, oppure per la preparazione di succhi e confetture. In alcune regioni dell’ex Unione Sovietica viene prodotto succo di kaki in scatola. La cultivar Hachiya viene usata per la produzione di una purea congelata di buon colore e aroma; tale purea in Usa viene impiegata in pasticceria e gelateria. In Giappone vengono utilizzati per la produzione di una bevanda a bassa gradazione alcolica (8%); da questo prodotto fermentato può essere ricavato un distillato dal buoquet gradevole; l’aroma e il sapore del distillato si differenziano nettamente da quelli dell’acquavite di vino e di vinaccia e dagli altri distillati più comuni. Ancora in Giappone il succo di kaki, ricco di tannini, opportunamente miscelato con proteine e poi essiccato, viene largamente usato per chiarificare il sakè.

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LAMPONE (Rubus idaeus L.) Famiglia: Rosaceae Nomi dialettali: Frambos, Framboa, Razza da mori

E’ una specie distribuita in l’Europa centrale e settentrionale, nell’Asia nsettentrionale. Arbusto stolonifemuoiono dopo la fruttificazionovato-lanceolate. Il lembo è den

fiori solitari hanno color bianco, con calice a 5 lacinie lungheobovati e bianchi, lunghi circa 5 mm. Il frutto sub-globoso, rossoruscelli, ai margini dei boschi, nei luoghi incolti, in ampie colonradice prima della fioritura, sradicandola e facendo attenzione a condotta su una parte della colonia, in modo che nell’arco di poch

Piccolo arbusto. Fioritura: giugno-agosto. Altezza: fino a 2 m. Ambiente: media montagna Propagazione: polloni.

Medicina & Cosmesi Sono presenti tannino, pectina, zucchero. Veniva usato nella moftalmico, vulnerario. Contro la febbre, la nefrite. Cucina & Ricette Sorbetto di lamponi 500 g di purea di lamponi, 250 g di sciropposucco di 1 limone Mescolare tutti gli ingredienti, lasciare riposare in frigorifero per dRistorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). Grappa al Lampone 1 l di grappa, 200g di lamponi, 2 cucchiai di zucchero. Raccogliete i lamponi, utilizzando come contenitore un cesto di Introducete i frutti in un recipiente e cospargeteli con lo zuccheIrrogate i lamponi con la grappa e lasciate in infusione per 1soleggiato. Agitate spesso il recipiente, trasferite in cantina e lasconsumare senza filtrare. MANDORLO (Prunus dulcis Mill.) Famiglia: Rosaceae Nomi dialettali: Amandarl, Mandurl, Amandl, Mandulena. Etimologia: il nome ha conservato la sua origine latina.

tutta

ord-occidentale e nell’America ro con molti fusti e rami aculeati, che e, le foglie sono alterne e composte, tato e la pagina inferiore biancastra. I

e sottili, patenti o riflesse; petali 5, , dolce e succoso. Frequente vicino ai ie. Fiorisce in estate. Si raccoglie la

non romperla. La raccolta può essere i anni sia riformata.

edicina popolare come astringente,

di zucchero, 1 bicchiere di acqua, il

ue ore e poi mantecare (si ringrazia il

vimini per preservarne la freschezza. ro. Lasciate macerare per un giorno. 5 giorni, in un luogo caldo ma non ciate riposare altri 15 giorni prima di

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Originario dell’Asia sudoccidentale e del Nordafrica, introdotto in Europa tra il VI e il V secolo a.C., in Italia è presente in tutto il territorio talvolta viene coltivato con olivi e viti. Questo albero dal fusto tortuoso presenta una chioma globosa espansa di colore verde chiaro, mentre la corteccia è scura fessurata con piccole scaglie; i rami sono spesso induriti all’apice

o spinosi. Le foglie sono lunghe fino a 12 cm, con lamina lanceolata, hanno margine a denti fitti e smussati e sono lungamente picciolate. I fiori inseriti a 2, compaiono prima delle foglie, sono bianco-rosei, subsessili, i petali presentano una macchia più scura alla base. I frutti, verde-giallastro, sono drupe ovali e tormentose, leggermente solcate da un lato: racchiudono un grande nocciolo oblungo detto comunemente guscio, perché in esso sono contenuti 1 o 2 semi commestibili (mandorle) avvolti da un sottile tegumento color cannella e contenenti acido prussico che, a seconda del sapore del seme, si possono distinguere in due gruppi: dolci e amare. Di queste specie si mangiano i semi non i frutti.

Albero a foglia decidua. Fioritura: Febbraio-marzo. Altezza: fino a 10 m. Ambiente: fino a 800 m. Propagazione: per seme a dimora, per innesto.

Può essere piantato in luoghi aperti, caldi, anche in pieno sole, in terreni ben drenati; cresce bene in terreno sia acido sia calcareo, teme i geli, specie se tardivi e i venti. La stagione migliore per l’impianto è l’autunno. Storia & Tradizione Presso molti popoli era considerato una pianta quasi sacra. “E Mosè collocò le verghe nella tenda della testimonianza ed ecco che la verga di Aaron della casa di Levi era fiorita e aveva emesso le gemme, aperto i fiori e maturato le mandorle” (Numeri 17, 22-23). Ancora oggi si fa uso di simbolici rami di Mandorlo in alcune cerimonie ebraiche. Un tempo in Romagna si trovavano le Mandorle di Santa Caterina (Catera), le Mandorle Premici (Schiacciamani) e le Mandorle Ambrogine.

“ E’ prem frot l’è la mandulena, l’ùltum l’è la nispulena” (Il primo frutto pronto da raccolgiere è la mandorlina, l’ultimo la nespolina)

Medicina & Cosmesi I semi del mandorlo contengono trigliceridi con fortissima presenza di insaturi, emulsina, vitamina A e B, protidi e polisaccaridi, sali minerali. L’olio di mandorle dolci, con il suo contenuto di benzaldeide e acido idrocianico, veniva usato come blando lassativo, tutt’oggi viene usato come lubrificante, lenitivo. . L’acqua di mandorle amare, “amândli marzosi”, si usava a bassissime dosi negli adulti, come sedativo delle tossi convulsive, asma, laringoplasmo, gastrite acuta, calcolosi epatica, blefarospasmo (localmente), laringiti (inalazioni) e come correttore del sapore. La varietà amara oggi ha largo impiego in medicina e profumeria: vengono per pelli secche, arrossate, delicate, in prodotti per la prevenzione delle smagliature in gravidanza e delle ragadi al seno, per ottenere un latte detergente e rinfrescante. La pasta di mandorle è ottima contro le mani screpolate anche la farina è ammorbidente dell’epidermide ed è utile per pelli sensibili e aczemantose. Latte di mandorle 50g di mandorle, acqua Il latte di mandorle oltre a essere un latte di pulizia è anche buono da bere. Pelate 50g di mandorle sgusciatele, sminuzzatele, quindi pestatele e impastatele bene con poca acqua fredda. Così ottenuta la pasta di mandorle, stemperatela in acqua leggermente tiepida nella quantità da 200 ml a 0,5 l, a seconda della concentrazione desiderata. E’ particolarmente indicata per chi ha la pelle del viso secca e delicata. Oli essenziali

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Dalle mandorle amare e dolci si estrae per progressione l’olio di mandorle. Dal colore giallo chiaro, l’olio è costituito prevalentemente da gliceridi dell’acido oleico e viene largamente usato come commestibile, come lassativo, come emolliente per uso esterno. Dal pannello residuato dall’estrazione di quest’olio, con aggiunta di mandorle amare pestate, si ottiene, per distillazione, l’olio essenziale di mandorle amare, liquido incolore che si usa in profumeria, specie nella preparazione dei saponi. Cucina & Ricette Cotoletta di pollo alle mandorle 6 petti di pollo, 2 uova, ½ bicchiere di olio d’oliva, 250 g di mandorle sgusciate, sale q.b. Pestate le mandorle fino a ridurle in poltiglia. Battete leggermente la carne immergendola nelle uova sbattute e salate. Passatela quindi nelle mandorle tritate e friggetela nell’olio precedentemente riscaldato, da entrambi i lati. Servitela ben calda (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). Tortina di mandorle e cioccolato 150 g di farina di mandorle, 8 chiare d’uovo, 150 g di zucchero semolato, Per la ganache di cioccolato: 800 g di cioccolato fondente, ¼ di panna fresca, 2 cucchiai di rhum. Montare bianchi d’uovo a neve, aggiungere lo zucchero sempre mescolando e per ultima la farina di mandorle. Stendere l’impasto sopra a una teglia leggermente imburrata e infarinata e cuocere in forno. Fondere il cioccolato, fare bollire la panna e versarla sopra al cioccolato aggiungervi i due cucchiai di rhum mescolando con una frusta. Stendere sul fondo di uno stampo alternando con uno strato di biscotto, ripetere l’operazione terminando con il cioccolato (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). Croccante 120 g. di mandorle dolci, 100 g. di zucchero in polvere Sbucciate le mandorle, distaccatene i lobi, cioè le due parti nelle quali sono naturalmente congiunte, e tagliate ognuno dei lobi in filetti o per il lungo o per traverso come più vi piace. Ponete queste mandorle così tagliate al fuoco ad asciugare fino al punto di far loro prendere il colore gialliccio, senza però arrostirle. Frattanto ponete lo zucchero al fuoco in una casseruola possibilmente non stagnata e quando sarà perfettamente liquefatto, versatevi dentro le mandorle ben calde, e mescolate. Onde il croccante non vi prenda l’amaro, passando di cottura, il punto preciso della quale si conosce dal color cannella che acquista il croccante. Allora versatelo a poco a poco per volta in uno stampo qualunque, unto prima con burro o olio e, pigiandolo con un limone contro le pareti, distendetelo sottile quanto più potete. Sformatelo diaccio e se ciò vi riuscisse difficile, immergete lo stampo nell’acqua bollente. Su usa anche seccar le mandorle al sole, trattarle fini con la lunetta, unendovi un pezzo di burro quando sono nello zucchero. MELOGRANO (Punica granatum L.) Famiglia: Punicacee Nomi dialettali: Melograna, Mèl garnìda, Mèl garnì.

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Etimologia: Il nome deriva dal latino “punicus”, cartaginese; Plinio la chiamò Malum punicum, mela di Cartagine, equivocando sulla sua origine.

Originario dell’Asia sudoccidentale, fino alle regioni Himalaiane. Questa pianta ha spesso un portamento arbustivo, il tronco è contorto, molto ramificato, con rami glabri, angolosi con spine acuminate. Nei rami più giovani la corteccia è rossiccia, in quelli più vecchi diviene grigiastra. Le foglie sono oblunghe, verde lucido, intere. I fiori terminali a forma di imbuto, sono grandi 3-4 cm, di colore rosso corallo intenso, i petali sono increspati con numerosi stami. I frutti si

presentano come grosse bacche dette balauste; esse sono globose, con la buccia coriacea (il frutto maturo è giallo-verde, con aree rossastre che a volte occupano l’intera superficie del frutto) ornata dai residui persistenti del calice, a guisa di corona. Internamente sono divise in logge contenenti molti semi legnosi, protetti da un arillo rosso e succoso. A maturità si lacerano liberando i semi, dispersi soprattutto dagli uccelli.

Alberello o arbusto a foglie caduche. Fioritura: aprile-maggio. Altezza: fino a 6 metri. Ambiente: prospera in tutta la zona degliagrumi e dell’ulivo; in climi più freddirichiede riparo d’inverno. Propagazione: per seme o per taleelegnose a fine inverno.

Come si coltiva E’ una pianta che non richiede grandi cure o un terreno particolare; è in grado di sopportare lunghi periodi siccitosi. Il melograno si può allevare nelle forme a cespuglio, a vaso o a spalliera. La forma preferita dalla pianta è tuttavia la prima. Il metodo principale di propagazione è l’innesto; si usano le varietà acide e su queste si innesta generalmente a spacco. Si usano anche la divisione dei ceppi, dall’autunno alla primavera, l’estirpazione dei polloni radicati, la propaggine e la margotta. Nella fase di allevamento vengono scelte 4-5 branche primarie e favorite nel loro accrescimento. Queste andranno a formare l’impalcatura principale. In inverno questi assi dovranno essere accorciati per 3/5 della loro lunghezza. Alla ripresa vegetativa verranno scelti 3-4 germogli per costituire in futuro le branche secondarie. I polloni si dovranno tenere eliminati; la potatura di produzione, una volta che l’impalcatura è formata, dovrà limitarsi a mantenere la forma, evitando grossi tagli e accorciamenti eccessivi, poiché la produzione dei frutti avviene nella parte terminale dei rami. Per accelerare la produzione del frutteto si può ricorrere all’irrigazione ( nel primo anno: fino a 3-4 volte al mese). Concimazioni azotate eccessive favoriscono lo sviluppo di secchioni e di rami a legno. Si tratta di piante a sviluppo lentissimo, la fruttificazione inizia al quarto anno dall’impianto. La raccolta dei frutti si esegue quando essi sono maturi preferibilmente tagliando il peduncolo; il frutto raccolto immaturo tende ad appassire velocemente, presentando un’elevata acidità. I frutti raccolti si possono conservare a temperatura ambiente per un periodo di 15 giorni, oppure a temperature di 0°C per 2 mesi e a 4°C per 1 mese, tuttavia con l temperatura di 0°C i granuli possono sbiancare. Piante & Varietà Il melograno può essere classificato in base all’acidità dei suoi frutti: acido, agro-dolce o dolce. Alcune cultivar producono semi duri, tanto da rendere i frutti non eduli e soltanto alcune varietà sono classificate a seme soffice e quindi commerciabile. In Italia si conoscono le seguenti: Dente di cavallo, Nei rana, Profeta Partanna, Selinunte, Ragana e Racalmuto, tutte agro-dolci o dolci, adatte per il consumo fresco. Dal punto di vista ornamentale si distinguono gli esemplari con branche o tronchi contorti, utilizzati in parchi e giardini come piante singole o a gruppi, oppure per siepi e bordure. Storia & Co.

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Fu importato nel Mediterraneo in tempi antichissimi; in Italia si è diffuso soprattutto al Sud , dove spesso è sfuggito alle coltivazioni e si è naturalizzato.. I Fenici furono probabilmente i primi coltivatori a Cartagine, per cui i romani lo credettero originario di quei luoghi. In realtà per le sue apprezzate qualità, il melograno era conosciuto e coltivato dai popoli delle più antiche civiltà mediterranee; gli Egizi (almeno 2500 anni prima di Cristo) lo onoravano come albero sacro; per gli Ebrei era simbolo di amicizia e concordia; per i popoli greci di fertilità e amore. Anche per gli Arabi era una pianta importante, tanto che contribuirono alla loro diffusione anche in Spagna. Da un trattato del XVIII secolo i “pomi granati” venivano usati come calmante della febbre, inoltre negli scavi di Pompei era presenti in molti affreschi e mosaici. Sappiamo, ancora, dal Turner che nel 1548 veniva coltivato nel giardino del duca di Somerset a Syon House, ma è probabile che fosse precedentemente coltivato da alcune comunità monastiche per le sue virtù medicinali. Prima del 1618 John Tradescant ne introdusse nel continente una varietà doppia a fiori “grandi come una rosa doppia della Provenza”, cremisi Tradizione & Ritornelli La melograna o il melograno, per forma e per contenuto (una specie di favo di acini rossi e aciduli) dà l’immagine della raccolta, della unione e quindi è simbolo della Chiesa di Cristo ed anche del popolo congregato. Per questo gli araldici usano la melograna come simbolo di concordia. Il fiore di melograno, in cui si condensavano tutti gli incendi del solleone, è considerato simbolo di amore, forse è per questo che il regno di Granada portava nel suo scudo un melograno rosso in campo d’argento.

“Aj o una scatulena ‘d rumena, ch’l’è ben vera ch’ la j è ben fena, e l’à tant e bel udor, chi l’indvena l’è un dutur.”

(Ho una scatolina di robina, che è ben vero che è ben fina, e ha tanto un bell’odore, che chi indovina è un dottore.)

“Cento fre che ven da Roma, jè vistid tot d’una soma, jè vistid tot d’un culor…

chi j’indvena ai dagh un fior.” (Cento frati che vengon da Roma, sono vestiti tutti di un colore, …chi indovina gli do un fiore.)

“Grôs cum’na pagnoca, stil cum ‘na garnêla d’gran, dòlz cum e mèl, amêr cum e fel”.

(Grosso come una pagnotta, sottile come un chicco di grano, dolce come il miele, amaro come il fiele.) Questa pianta da sempre è stata caricata di simboli e di sogni, gli antichi la nominarono nei poemi, la dipinsero sui vasi, sulle stoffe, la intagliarono nel legno e nel metallo. Ne esistono raffigurazioni in tombe egiziane che risalgono al 2500 a.C., e i suo frutto è nominato anche nei papiri dell’epoca di Tuthmonsis I (1547 a.C.) e di Amenofi IV (1375 a.C.); nelle camere sepolcrali di Ramsete IV sono stati trovati perfino degli autentici frutti di melograno seccati. La pianta aveva grande importanza nei riti siri e fenici. Molti sono i riferimenti al melograno nel Vecchio Testamento, soprattutto frequenti nel Cantico dei Cantici. Dice l’amante: “…come uno spicchio di melograno le tue guance sotto il tuo velo” (4,3;6,7), “…i toui germogli formano un giardino di Melograni, con frutti squisitissimi” (4,13)”…ti offrirei vino profumato, di mosto dolcissimo del mio Melograno” (8,2). I greci favoleggiavano che fosse stata Afrodite a piantare il Melograno nell’isola di Cipro. E il melograno compare anche nell’Odissea, nel giardino del re dei Feaci; dice Alcinoo: “ivi crescono tra gli altri alberi verdi il Pero e il Melograno”(canto VII, v. 150). In un racconto indiano del re Vikramaditya, i genitori di una giovane principessa fanno custodire il giardino in modo che nessuno possa entrarvi, ma nel medesimo tempo annunciano che chi riuscirà a varcare la soglia e a portar via 3 melograni su cui dormono la principessa e le sue ancelle, avrà in sposa la giovane. Secondo certe tradizioni il pomo offerto da Eva ad Adamo era la melagrana , e così quello donato da Paride a Venere. Per il sangue che sembra colare dal suo frutto maturo, il melograno come il Corniolo e il Ciliegio, è stato associato a miti cruenti. Si tramanda che sia stato piantato sulla tomba di Eteocle, dove continua a

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stillare sangue per l’eternità; e che sia nato dal sangue di Menoeceo suicida. In Turchia invece, un usanza di origine ellenica, pone il melograno come simbolo di fecondità, infatti la giovane sposa getta a terra uno di questi frutti maturi, si dice che avrà tanti figli quanti semi usciranno dal frutto spezzatosi contro il suolo. Medicina &Cosmesi Le virtù mediche di questo frutto erano già note fin da tempi antichissimi, Catone ne parla per le sue proprietà vermifughe. Il farmaco è contenuto nella corteccia della radice, che si estrae dal terreno in autunno ne può essere conservata allo stato semifresco nella sabbia, ma che viene generalmente essiccata, nel minor tempo possibile, all’aria o all’ombra. Ha un odore debole e un sapore astringente, acerbo, non troppo amaro; masticata, rende la saliva gialla. Questa corteccia contiene diversi alcaloidi, sostanze resinose e peptiche, mannite, amido. Ha azione paralizzante sui platelminti, perciò dopo che il paziente ha bevuto una porzione di g 60-90 di corteccia macerata in 2 bicchieri d’acqua, ridotta con l’ebollizione alla metà del suo volume, è bene fargli prendere un energico purgante per espellere il parassita. La corteccia dei rami e del tronco e la buccia del frutto hanno le medesime proprietà, ma in misura molto minore; sembra che il melograno a fiori bianchi sia più potente di quello a fiori rossi. I fiori, che contengono tannino e colorano la lingua di violetto, sono usati, in infuso, come astringenti; e così la corteccia e la radice, specialmente nei casi di emorragie intestinali o vaginali. I semi servono per correggere il sapore di alcuni sciroppi, ma soprattutto per la preparazione della granatina. (Granatina: 110 g di frutticini spremuti, 200 g di zucchero). La corteccia dei frutti acerbi, ricca di tannino, è stata utilizzata per molto tempo nella fabbricazione di una tintura rossa, usata soprattutto per la concia del marocchino e nell’artigianato degli arazzi nei Paesi Arabi. Infine dal pericarpo del frutto si estraeva in passato un ottimo inchiostro. A dimostrare che il melograno possiede virtù salutari e medicamentose basta ricordate che per indicare ed esultare le virtù di una donna in salute si dice: “L’è ‘na mèla garnìda”. Cucina & Ricette I semi del melograno vengono generalmente consumati freschi e sono usati per preparare bibite ghiacciate (“sherbet”, “sorbet”, “granatina”); in alcuni paesi i frutti sono usati per le decorazioni di macedonie servite in apposite coppe. I frutti inoltre possono essere utilizzati nell’industria conserviera per la produzione di succhi, marmellate, sciroppi e sciroppati. Il succo di melograno era utilizzato anche come condimento di pesci e carni in alternativa al limone. Sciroppo di melagrane 20-40 frutti maturi (da cui si ottiene in media 1l di succo), 500g di zucchero. Schiacciate le melagrane ben mature, privatele dei semi e della pellicina, che è amara. Passare i grani spremendoli energicamente. Far riposare il tutto per 24 ore in un luogo fresco per permettere alla parte liquida di separarsi dalla componente mucillaginosa. Filtrare e raccogliere il succo in una casseruola pesata in precedenza. Controllare il peso togliendo la tara e per ogni 200g di succo aggiungere 500g di zucchero. Versare lo sciroppo raffreddato in bottiglie sterilizzate, Chiudere ermeticamente e conservare in luogo fresco. Granatina di melagrane Bevanda analcolica che si prepara con 1l di succo di melagrana, 800g di zucchero, 5 limoni e un bastoncino di cannella. I frutti maturi vengono spremuti e il succo va versato in una pentola assieme allo zucchero. Far sciogliere a fiamma bassa. Mescolare con un cucchiaio di legno e dopo aver tolto dal fuoco aggiungere succo di limone. Mescolare, togliere la cannella, filtrare se necessario, e poi imbottigliare. Bere la granatina allungata con acqua. Gelatina di melagrana

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5 dl di succo di melagrane, 500 g di zucchero grezzo di canna, 1 scorza di arancia scegliete melegrane ben mature,apritele ed estraetene i semi, pulendoli bene dalla pellicola bianca che li tiene raccolti. Schiacciateli con uno schiacciapatate e premete bene per ottenere la maggior quantità possibile di succo, che comunque, non è mai tantissimo. Pesatelo e unitevi dello zucchero nelle proporzioni indicate (potete anche diminuire la quantità in base ai vostri gusti). Aggiungetevi un po’ di scorza di arancia grattugiata (non la parte bianca) e mettete sul fuoco. Dopo aver portato a ebollizione, lasciate cuocere a fuoco piuttosto vivace fino a quando, versando una goccia su un piatto freddo, vedrete che il succo si rapprende velocemente. A questo punto togliete dal fuco, invasate la gelatina e chiudete ermeticamente prima di riporre in dispensa per la conservazione. MORA DI ROVO (Rubus ulmifolius Schott – fruticosus L. – saxatilis L.) Famiglia: Rosaceae Nomi dialettali: Mora de spèn, Raza, Rov, Spi, Arvigh, Arvid, Ragia. Etimologia: dal latino “mora”, “morum” frutto del rovo o del gelso.

Pianta spinosa. Fioritura: Maggio-giugno. Altezza: alta fino a 2,5 m. Ambiente: dalla pianura alla montagna (fino a 1100 m). Propagazione: polloni.

Frutice con radice grossa e numerosi fusti luposati, spinosi. Le foglie sono alterne, palmdentate. I fiori in grappoli composti, sono biariflessi all’antesi, e 5 petali rosei o, di rado, prima rosse poi nere, a maturità dolci. Si trostrade, fra le macerie dove forma ampie colofino alle zone di alta montagna. Fioriscraccolgono le radici prima della fioritura datenere.

Ritornelli & Co.

“Quand ch’lè fat al mor di spen, tot al ser è filarèn“Quando le more sono mature, tutte le sere si farà l’am

Il “filarèn” in Romagnolo significa filarino, moroso, fidanzato, quindi tutte leci sono tanti modi per interpretarlo!

“Aver a che fèr con un quèl, com’e znèr cun al mor“Avere a che fare con qualcosa come il gennaio con le m

“T’an vèl niach quatèr mor gels” “Non vali neanche quattro more di gelso”

La mora venne citata da : Boccaccio, Mattioli, Soderini, Durante, Conti, D’A Medicina & Cosmesi Questo frutto detto “mora” contiene tannino, acido ossalico, zucchero, sovitamina A – C tracce di vitamina B1-PP-B2. si usa come astringente, depuraccolte in estate, hanno proprietà astringenti – decotto: foglie tritate una mlitro sino a riduzione alla metà colare. A cucchiai al mattino o 2-3 tazzin

nghi svariati metri, eretti o ate, con 5 o 7 foglie ovali nchi o rosati, con 5 sepali,

bianchi. I frutti sono drupe va in ogni luogo, lungo le nie, al margine dei boschi

e in tarda primavera. Si piante recenti e le foglie

” ore” sere verrà il fidanzato, ma

” ore”

nnunzio e Davanzati.

stanza colorante, essenza, rativa e tonica. Le foglie,

anciata bollita in acqua un e al giorno nelle diarree,

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dissenterie e mestruazioni prolungate e irregolari. Le foglie fresche schiacciate venivano usate su piaghe ed ulcere. – decotto: uguale al precedente, ma addolcito con miele, veniva usato su le afte della bocca e nelle infiammazioni delle gengive, lingua ed in gargarismi della gola. Anche per irrigazioni vaginali nelle perdite bianche e per l’uretra nello scolo mucoso. I frutti, raccolti da luglio a settembre, hanno proprietà antiscorbutiche, diuretiche, dissetanti e temperanti. – sciroppo: si prepara con una parte di succo di more cotte e due di zucchero, e se ne può assumere a volontà, come anche conserva e marmellata delle stesse more. La medicina popolare consigliava lo sciroppo di more per le sue proprietà antinfiammatorie, la marmellata di more veniva somministrata ai bambini afflitti dal mal di gola. Nel libro del 1583 “Trattato dé cibi et del bere” del medico Baldassare Pisanelli, troviamo numerosi consigli dietetici, tra i quali: “Le more che siano negre, grosse, ben mature, non toccate da animali, e si colgano al levar del sole. Levano via tutte le asprezze della gola, levano la sete, libricino il corpo e smorzano il colera, e fanno venire l’appetito. L’acerbe stringono il corpo”. Cucina & Ricette Gelatina di more 5dl di succo di more, 350g di zucchero Prendete delle more mature, mettetele al fuoco con tanta acqua che basti a coprirle e fatele cuocere completamente. Versate il tutto in una garza di line e fatene colare il succo per 12 ore. Quindi pesate il succo, aggiungetevi lo zucchero nelle proporzioni indicate e fate bollire il tutto finchè la gelatina non raggiunge la giusta consistenza; quindi invasatela in barattoli di vetro a chiusura ermetica. Dolce di more 250 gr. di farina, 150 gr. di burro, 150 gr. di zucchero, 2 tuorli d'uovo, 1 pizzico di sale, 1 mela, 200 gr. di More, 50 gr. di zucchero a velo. Impastare la farina e lo zucchero con il burro tagliato a pezzi, i tuorli d'uovo e il sale. Amalgamare tutti gli ingredienti e formate una palla, lasciarla riposare per circa ½ ora. Mettere le more in una terrina con 2 cucchiai di zucchero.Mettere a macerare le more con lo zucchero. Sbucciare e affettare la mela. Imburrare una tortiera e stendere dentro la pasta. Disporre le fettine di mele disposte a piacere, infornate per 15 minuti circa a 180°. Quando la torta sarà dorata toglierla dal forno e lasciarla raffreddare. riempirla con le more. cospargere la torta con lo zucchero a velo (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia) Conserva di more 1kg di more, 200g di zucchero Disfate con le mani le more, precedentemente lavate, e mettetele a bollire per circa dieci minuti. Poi passatele al setaccio e rimettetele al fuoco con lo zucchero, cuocetele fino a ridurle a consistenza desiderata. Grappa alle More 1l di grappa, 200g di more di rovo, la scorza di ½ limone, cannella. Versate sui frutti la grappa, aggiungete la scorza di limone, un pezzetto di cannella e tappate bene il vaso, fate macerare al sole per 2 settimane. Trasferite il recipiente in cantina e lasciate riposare per altre 3 settimane. Filtrate accuratamente per eliminare i residui di peluria ed eventuali spine. Lasciate stagionare per 2 mesi in cantina prima di consumare.

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NESPOLO (Mespilus germanica L.) Famiglia: Rosacee Nomi dialettali: Nespi, Nespel, Nesper, Barbèin, Nêspla, Nêspula. Etimologia: dal latino “mespilus”, con dissimulazione dim. In N.

Originario dell’Europa sudorienzone, sfuggendo fin da tempnostro paese lo si trova un po’ s1000 metri. Questo alberello si presenta spespontaneo. Il tronco è breve, sini rami hanno spine diritte. Lsolcata, tende a sfogliarsi in Presenta foglie caduche, altepicciolo. Sono ellittico-lanceol

cuneata; il margine è interno o finemente seghettato. La pagina superioè verde cinerea, con nervature evidenti. I fiori ermafroditi, solitari o a c5 petali rotondi, bianchi. Gli stami sono numerosi con antere rosse. I depresse(da 3 a 5 cm), di colore brunastro, circondate all’apice da cinqu

Piccolo albero, a foglia caduca. Fioritura: Maggio-Giugno. Altezza: sino a 6 m. Ambiente: Collina e bassa montagna. Propagazione: seme, innesto(a spacco, a triangolo, a gemma, a maiorchina, a occhio dormiente), talea.

Il legno, di colore bruno-giallognolo, è molto duro e come tale ricercapure un ottimo carbone. La corteccia e le foglie sono ricche di tanninocome stringenti. Come si coltiva Il nespolo cresce bene nei climi miti e temperati, è molto resistente al nelle zone calde e siccitose. Preferisce terreni freschi con sostanza oracqua. Concimazione e irrigazione costituiscono la buona crescita della Viene normalmente allevato lasciando la sua forma naturale di crescita.pianta un’impostazione a vaso o a palmetta, non necessità quindi dtagliare le ramificazioni esaurite e rinsecchite, oppure sfoltire la operazioni si svolgono quasi sempre in inverno. I rami che hanno fruttifaccorciati e quelli produttivi, quando non sono dotati di sufficienti riportati verso il basso. Il nespolo tende ad allontanare progressivameramo. Il nespolo è una specie piuttosto rustica, che richiede limitate cure colparassiti. Tra i patogeni, attualmente il più temibile è il colpo di fuocoche tra le Rosaceae colpisce anche il nespolo, al quale sono state estese alla limitazione della diffusione di questa batteriosi. Altri parassiti che plepidottero minatore fogliare Lithocolletis blancardella l. e, tra i ffructigena) che può danneggiare i germogli e frutti, e il mal bianco (Pod Detti & Indovinelli

“Zëqv el e zëqv ös, al ne böni d’saltè e fò(Cinque ali e cinque ossa-semi, non sono capaci di saltare un fosso), la

sette sepali-ali e cinque ossi-semi.

tale, dell’Asia Minore e di altre i remoti alle coltivazioni. Nel u tutto il territorio al di sotto dei

sso come arbusto, soprattutto se uoso e ramificato sin dalla base; a corteccia è grigio-brunastra, placche, la chioma è espansa. rne, portate da un semplice

ate , con la base arrotondata o re è verde scuro, quella inferiore oppie, presentano la corolla con frutti, le nespole, sono globoso-e “baffetti”. to per i lavori al tornio; fornisce e si usano talora per la concia e

freddo, mentre stenta a crescere ganica, sciolti senza ristagni di pianta. E’ comunque possibile dare alla i potature molto forti. Basterà

chioma se troppo fitta, queste icato l’anno precedente vengono ramificazioni laterali, vengono

nte la produzione dalla base del

turali e risulta sensibile a pochi batterico (Erwinia amylovora), le norme fitosanitarie indirizzate ossono colpire la coltura sono il unghi, la moniliosi (Monilinia osphaera clandestina).

s” versione originale doveva essere

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“E prem frot lè la mandulâna, l’ultum lè la nespulâna.” (Il primo frutto che matura è la mandorlina, l’ultimo è la nespolina)

“Par San Martèn, nèspul e bon vèn” (Per san Martino(11 novembre), nespole e buon vino)

“Par San Simon, la nèspla la s’arpon” (Per San Simone, la nespola si ripone)

“Quando vedi le nespole, tu piangi, perché è l’ultimo frutto che mangi” “El nespolo primo afiorir, l’ultimo a ,madurir”

(In Veneto, si dice: Il nespolo è il primo a fiorire, l’ultimo a maturare) “Al nespul agl’indvana l’arcolt”

(Le nespole presagiscono il raccolto) nel senso che sarebbe stato buono se fossero state abbondanti. Le nespole vennero citate da Palladio, Mattioli, Pirandello, Targioni, Tozzetti e Villani. Medicina & Cosmesi La nespola già conosciuta in epoca romana ebbe la massima diffusione nel Medio Evo, quando entrò a far parte della farmacopea domestica, come febbrifugo, astringente, regolatrice delle funzioni intestinali oltre che diuretico e attiva sull’apparato epato-biliare. Ciò grazie ai suoi componenti: tannino, sostanze peptiche, vari acidi organici (malico, acetico, citrico, formico e tartarico), zuccheri e vitamina C. Il nespolo pian piano scomparì dalle campagne, sopravvisse negli hortus conclusus dei conventi, dove ancora oggi vengono coltivati assieme ad altre piante che servono per preparare elisir e tonificanti che sono caratteristici delle erboristerie dei monasteri e delle abbazie. In cosmesi la polpa riesce a normalizzare le pelli grasse. Decotto di nespole Far bollire circa 30 grammi di polpa di bucce, in 100gr. Di acqua per 15 minuti. Bere 3 o 4 bicchieri nel corso della giornata per disinfettare l’apparato intestinale e facilitare la diuresi. Cucina & Ricette I frutti si colgono nel tardo autunno, ma prima di essere consumati devono essere riposti sulla paglia in un luogo fresco e asciutto, per raggiungere la corretta maturazione (gennaio-febbraio).

“…con il tempo e con la paglia maturano le nespole.” La polpa è bianco-rosata , compatta al momento della raccolta, per poi divenire morbida e di colore giallo-arancio intenso. Tanto più il frutto è acerbo tanto più è alta la quantità di tannini, molecole ad azione antiossidante, che danno la sensazione di asciutto in bocca e provocano un effetto astringente sull’intestino. Al contrario , nel frutto maturo i tannini si trasformano in zuccheri e il frutto diventa un blando lassativo. La nespola contiene anche una certa quantità di acido formico, acetico, che determinano il gusto acidulo, oltre a fibra alimentare solubile che distende le pareti dello stomaco riempiendolo d’acqua per un maggior senso di sazietà. E’ ricca inoltre di potassio, magnesio e caroteni per cui è da consigliarsi per chi fa attività fisica per ore e che quindi ha bisogno di recuperare acqua, Sali minerali, antiossidanti. Il frutto ammezzito viene in genere consumato per dessert, ma può essere utilizzato anche per marmellate, gelatine, salse e numerose preparazioni culinarie; negli ultimi anni le nespole sono frequentemente impiegate per a produzione di bevande alcoliche, quali brandy, liquori, Schnaps. Infine i frutti immaturi sono stati anche utilizzare per chiarificare il vino e sidro. Salsa per carni rosse Si prendono le nespole mature, si eliminano i noccioli, si passa la polpa al setaccio si pone quindi in una casseruola con l’ombra dello zucchero di canna e si porta all’ebollizione. Si uniscono 100g di mandorle, spellate e tagliate a listarelle per ogni 500g di polpa, si lascia sbollire fino alla consistenza voluta. Nespole caramellate e gelato al the di gelsomino

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300 cl latte fresco, 300 cl di panna fresca, 200 gr di zucchero, 1 cucchiaino di the al gelsomino, 16 nespole mature, zucchero grezzo Riscaldare il latte senza farlo bollire, aggiungere il the e lasciarlo in infusione per 5 minuti. Filtrare, aggiungere lo zucchero e la panna, poi preparare il gelato seguendo le istruzioni della gelateria. Intanto pelate le nespole, snocciolarle, cospargerle di zucchero e farle caramellare in forno caldo per 5 minuti. Servirle ancora calde con il gelato. Conserva di nespole 500gr di nespole, 150gr di zucchero, cotti in 250gr di acqua per un’ora. Si crea una conserva da consumare la mattina a digiuno a scopo depurativo e per regolarizzare le funzioni intestinali. Liquore di nespole (Nespolino) 6 noccioli freschi di nespole, 6 nespole mature pelate, alcol, zucchero. In un mortaio pestare le nespole e i noccioli, poi travasare il composto in una terrina, ricoprire con mezzo litro di alcol e lasciare macerare per due giorni, poi filtrare. A parte preparare uno sciroppo facendo sciogliere a freddo 350gr di zucchero con 160gr di acqua, e poi incorporare al macerato. Mescolare il tutto, lasciare riposare per una giornata, quindi filtrare e imbottigliare. Conservare in un luogo fresco e al buio. Liquore alle nespole 15 nespole, 600g di zucchero, 1l di alcool a 90°, 1l di acqua Lavate e asciugate le nespole. Mettetele in un vaso, a chiusura ermetica, insieme all’alcool. Chiudete ermeticamente il vaso e lasciate macerare per 21 giorni. Quindi fate bollire l’acqua con lo zucchero, mescolate bene e lasciate raffreddare. Versate lo sciroppo nel vaso con le nespole, richiudete, agitate energicamente e lasciate riposare per altri 7 giorni. Filtrate il composto in un recipiente, schiacciando bene i frutti nel colino. Lasciate depositare il tutto e filtrate nuovamente, imbottigliate, tappate e lasciate in cantina per almeno 2 mesi (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). NOCCIOLO (Corylus avellana) Famiglia: Corylacee Nomi dialettali: Nizöl (PR), Clür (BO), Nizzola (MO), Volana (RE), Avullèn – Avulâna (Romagna), Ninsulon (PR), Nole, Nosèle, nocella, Necellaro, Nuciddrara, Nuciddara, Nenzolàr, ninzolàr, Nizzolàr, nosella, Olana, Avelàn, Olanàr (Verona). Etimologia: Il nome deriva dal greco “Kòris”, elmo, in allusione afrutto. Il nome avellana deriva invece dal nome di una città campancelebre fin dai tempi dei Romani per la produzione di nocciole.

Arbusto o alberello a foglie caduche. Fioritura: Agosto - settembre. Altezza: fino a 6-8 metri. Ambiente:dalla fascia collinare a quella montana inferiore. Propagazione: per seme o per polloni radicati

E’ una pianta molto comumediterranea a quella monlatifoglie e si presta bene a

ll’involucro fogliaceo che ricopre il a (Abella, in provincia di Avellino),

ne in tutta l’Europa, dalla zona tana Costituisce boschi misti di lla colonizzazione di suoli nudi e

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franosi. La sua corteccia di colore marrone è squamosa e lenticellata. I rami sono eretti, quelli giovani ripiegati. Le foglie quasi orbicolari, acuminate, doppiamente seghettate, cordate alla base, a volte vagamente lobate. Essendo questa pianta monoica, i fiori maschili sono raccolti in infiorescenze ad amento, cilindriche, pendule a gruppi di 2-4; compaiono in autunno. Quelli femminili compaiono in inverno prima delle foglie; sono sessili, eretti, minuscoli, con stigmi piumosi rossi evidenti. I frutti sono acheni globosi, solitari o a gruppi di 2-4, protetti parzialmente da un involucro campanelliforme, erbaceo, con dentature così irregolari da conferire loro un aspetto sfrangiato. Specie mediamente lucivaga, abbastanza frugale; adattabile al substrato, preferisce terreni profondi e sciolti, rifuggendo da quelli troppo compatti. L’impianto si esegue raramente per semina; più frequentemente collocando a dimora da novembre a febbraio i polloni radicati; questo sistema è usato anche negli impianti specializzati da frutto, in cui si collocano a dimora 3-4 polloni per buca, allevati poi a cespuglio. Usi & Tradizioni È coltivato come pianta da frutto, le nocciole hanno un seme commestibile, ricco d’olio, usato nell’alimentazione e in profumeria. Rami e fusti possono essere utilizzati per stuoie e cesti. Sono frutti consumati fin dall’antichità: ricchi di proteine vegetali e zuccheri, ottimi sostituti della carne. Una dispensa alla quale si poteva attingere per tutto l’inverno, grazie alla loro facile e lunga conservazione.

“Annata di noccioli, annata di figlioli” Si usava dire un tempo.

“L’è la fôla dla bèla avulâna; dâtre l’è brotta e fôra l’è sana.” (Si usava dire alle persone di bell’aspetto ma di animo cattivo!)

Nell’ora che precede la mezzanotte avanti il 24 giugno (giorno di San Giovanni Battista) i rabdomanti tagliano dai noccioli i rami per la loro piccola verga divinatoria da utilizzare nella ricerca delle falde acquifere. Nei paesi nordici il ramo di nocciolo sostituisce quello dell’ulivo e della Palma nel rito Cristiano della Domenica delle Palme. Medicina & Cosmetica Le nocciole unite ai frutti di finocchio sono raccomandate per i diabetici e se tostate, sono più appetibili e digeribili. Nell’uso esterno, la pasta di nocciole rende la pelle liscia, mentre l’olio entra in creme emollienti e nutrienti per pelli secche ed avvizzite. Le nocciole sono inoltre utili per una buona abbronzatura, contro anestetismi cutanei come gli eczemi e gli herpes, come prevenzione ai crampi, alla ipertrofia prostatica; riequilibranti in menopausa. In dettaglio: le foglie, raccolte da luglio ad agosto, presentano proprietà depurative Infuso: una manciata di foglie tritate in un recipiente dentro il quale si versa un litro di acqua bollente; dopo mezz’ora passare al setaccio. A tazzine nelle malattie della pelle. Uso esterno: impacchi delle foglie decotto o infuso cicatrizzante cutaneo. Guanciali pieni di foglie conciliano il sonno. I fiori maschili, raccolti ad aprile, sono sudoriferi – Infuso: un pizzico per l’acqua bollente di una tazzetta; lasciare a riposo per 20 minuti prima di colare. Alcune tazzette al giorno nelle affezioni febbrili dell’apparato respiratorio. I frutti, raccolti da agosto a settembre, sono nutrienti ed emollienti – Pasta: dei semi a discrezione nelle tossi ribelli. Cucina & Ricette Budino di nocciole 7 dl di latte, 6 uova, 200 g di nocciole sgusciate, 180 g di zucchero, 150 g di Savoiardi, 20 g di burro, odore di vaniglia. (dosi per 9-10 persone)

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Sbucciate le nocciole nell’acqua calda ed asciugatele bene al sole o al fuoco; quindi pestatele finissime nel mortaio con lo zucchero versato poco per volta. Mettete il latte al fuoco e quando sarà entrato in bollore sminuzzatevi dentro i savoiardi e fateli bollire per cinque minuti, aggiungendovi il burro. Passate il composto al setaccio e rimettetelo al fuoco con le nocciole pestate per sciogliervi dentro lo zucchero. Lasciatelo poi ghiacciare per aggiungervi le uova, prima i rossi, dopo le chiare montate; versatelo in uno stampo unto di burro e spolverizzato di pangrattato, che non venga del tutto pieno, cuocetelo in forno o nel fornello e servitelo freddo. NOCE (Juglans regia L.) Famiglia: Juglandacee Etimologia: Il suo nome “juglans”, che significa “Ghianda di Giove”, ci mostra quanto questa pianta fosse apprezzata anche tempi passati, inoltre l’attributo, deriva dal latino “regius”, reale, la superiorità dei suoi frutti rispetto ad altre specie. Nomi dialettali: Nos, Nusa, Nus, Nòsa, Cocla.

Non si può ricostruire con precisioprobabilmente deriva dalla penisoltutto il territorio italiano. Alberocolore verde chiaro; il tronco ramodi colore grigio crema chiaro, lisFoglie imparipennate, lunghe 15-2ovali ellittiche, con margine liscio,l’apice, con foglia terminale più gra

verde chiaro. E’ una pianta monoica, i fiori maschili si presentaascellari, disposti sui ramuli dell’anno precedente, di colore verde gruppi di 2-5, disposti all’ascella delle foglie terminali dei ramuli nunoci, sono drupe globose di 4-5 cm di diametro. La parte esterna colore verde, diventa poi nera decomponendosi e lascia comparirrugoso e legnoso, che contiene il seme (gheriglio).

Albero a foglie caduche. Fioritura: Aprile-maggio. Altezza: fino a 30 metri. Ambiente: dalla pianura fino a 1200 m. Propagazione: per seme.

Come si coltiva L’impianto si effettua per semina a dimora; meno frequentemente sdi 3-4 anni, poiché la radice fittonante ostacola il trapianto. Peprocedere in vivaio all’innesto, a spacco, a gemma o a zufolo, su plegno di noce è molto ricercato per questo motivo si stanno attuandultimi le piante sono distanziate di 6-7 m; per la produzione del frum. Le piante richiedono potature per impostare l’impalcatura decrescere naturalmente; si avvantaggiano di concimazioni organiche alle colture consociate. La durata media economica di un noceto peranni; per la produzione del legno si adotta un turno di 60-90 anni

nei per

ne il suo luogo d’origine anche se a balcanica, comune in Europa e in con chioma espansa, globosa, di so, diviso da branche, con corteccia cia, flessurata sulle piante vecchie. 5 cm, composte da 5-9 foglioline progressivamente più grandi verso nde; dapprima di colore bronzo, poi no come infiorescenze ad amento, brunastro. Quelli femminili sono in ovi, il loro colore è verde. I frutti, le (mallo) è poco spessa, carnosa e di e il nocciolo (endocarpo), piuttosto

i ricorre alla piantagione di piantine r le piante da frutto, è necessario iantine di 5-12 anni. Ultimamente il o anche impianti da legno, in questi tto si adottano invece distanze di 10 lla chioma e vengono poi lasciate e minerali e di tutte le cure pratiche la produzione del frutto è di 90-100 . Per la produzione del legno viene

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anche coltivato il noce nero (Juglans nigra), specie esotica proveniente dall’America settentrionale e caratterizzata da un rapido accrescimento, anche se la pianta è più esigente del noce comune. Tradizioni & Indovinelli Il noce era fra il popolo oggetto d’avversione perché si credeva che le streghe tenessero intorno ad esso i loro conciliaboli culminati nelle fantastiche tregende (danze scomposte e demoniache). Nel Modenese si raccontava che quando le Streghe avevano compiuto una delle loro nefande imprese, si raccoglievano sui noci e sui salici schiamazzando come uccelli maligni; ma se qualcuno riusciva a conficcare un’accetta nell’albero esse vi restavano intrappolate sotto le spoglie di gatti fino a che l’arnese fatale non veniva tolto. Nel Parmense e nel Modenese durante la notte di San Giovanni (23-24 giugno) si raccoglievano, e si raccolgono ancora, le noci immature che vengono spaccate in quattro parti, ancora rivestite del mallo e poi infuse per 40 giorni nell’alcool per ottenere quello squisito tonico aromatico che è il “nocino”. Con noci, cipolla e sale gli antichi confezionavano un impasto contro il morso dei cani idrofobi.

“Trè còs l’è inòtil fèr: spalèr la nèiv, scusèr al nus, amazèr la zant”

Tre cose è inutile fare: spalare la neve(che se ne andrà d sola), scuotere le noci(che cadranno dall’albero quando è il momento) e ammazzare la gente (prima o poi morirà).

“Pân e nus, un magnè da spus”

Pane e noci, un mangiare da sposi.

“Nus e pân, un magnè da cân.” Noci e pane, un mangiare da cani.

“Viver d’gos d’colca”

Viver di nulla.

“Se piov e dè d’Santa Cros, è va falì al nos” Se piove il giorno di Santa Croce, le noci non legano.

“Ad lôi, ogni nus la fa è garôi”

In luglio, ogni noce fa il gheriglio.

“Par san Lurenz la colca t’la pô stachè, parchè l’è fata da magnè” Per San Lorenzo puoi staccare la noce, perché è pronta da mangiare.

“Se e dè d San Lurenz è garôôt’magnarè, divuzion t’aquisterè”

Se per san Lorenzo mangerai la noce, devozione acquisterai.

“Verde verde com’è la verdura, e venti e acqua non mi fan paura, s’à m’chèv e mi vstì da dôs, la pèl l’avânza dura com l’ô”

Verde, verde come la verdura, e venti e acqua non mi fan paura, se mi tolgo tutti i vestiti da dosso, la pelle rimane dura come l’osso.

“Ona nus ‘te sac, la fa poc armôr”

Si diceva a chi protestava invano senza essere ascoltato.

“Quând che al nôs al ven a quartar, ujè de pân par tot al matar.” Quando le noci sono raggruppate per quattro, c’è del pane in tutte le madie.)

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“Quând che al nôs la fa è castlèt, quei ch’i ha dè grân ch’i ‘l tegna stret.” Quando la noce fa il castelletto, quelli che hanno il grano lo tengano stretto.

Medicina & Cosmesi Ricco di vitamina A, PP e gruppo B, oli e tannino; è nutritivo, tonico, stimolante, stomachico, blandamente lassativo (la corteccia). Viene usato come infuso, sciroppo o vino per anemia e stanchezza, rachitismo, digestione difficile e depurazione dell’organismo. Fra gli usi esterni ricordiamo: succo del mallo contro le verruche; cataplasma delle foglie per ulcere cutanee; irrigazioni di decotto contro leucorrea e infiammazioni vaginali; gargarismi con l’infuso per infiammazioni di bocca e gola o impacchi e lavaggi per crosta lattea, irritazioni della pelle, infiammazioni degli occhi. Tra gli usi cosmetici: infuso per lavare i capelli contro forfora e caduta; nell’acqua del bagno per tonificare e ammorbidire la pelle. Va ricordato che non si deve associare la noce con altri rimedi, se non dietro prescrizione medica. E’ infatti incompatibile con taluni vegetali. Inoltre, le noci e l’olio di noce non vanno conservati a lungo perché sono soggetti a irrancidimento. Dal gheriglio di noce si ricava un olio (ne contengono fino al 60%) impiegato come alimentare e nell’industria delle vernici, dei colori e in profumeria. Estratti di mallo, ricco di vitamina C, sono utilizzati nell’industria di cosmetici in qualità di abbronzanti. In dettaglio: il mallo o copertura del frutto immaturo, raccolto da luglio ad agosto, presenta proprietà amaro-astringente, antiscofoloso, antisudorifero – Macerato: mallo in polvere un pizzico in alcole un decilitro. A cucchiai prima dei pasti aperitivo. – Infuso: foglie tritate una manciata in recipiente con acqua bollente un litro; dopo un quarto d’ora colare ed addolcire con miele. Bere da 2 a 4 tazzette al giorno nella scrofola, linfatismo e lue. Un bicchiere al mattino ed uno alla sera nell’itterizia e nel diabete. – Estratto fluido: gr. 1-2 per dose, 3-4 volte al dì, negli stati linfatici, catarri intestinali, diarree, emorragie. Presenta proprietà antileucorreico ed astringente nell’uso esterno – Decotto: un pugno di foglie bollite per mezz’ora in un litro d’acqua. Sciacqui per bocca, gargarismi, irrigazioni del naso e uretra e vagina (per perdite bianche, emorragie uterine, catarri degli organi femminili), lavacri alle palpebre colpite da blefarite, erpete, geloni, eczemi ed eruzioni cutanee. Bagni vivificanti e contro i sudor dei piedi. –Foglie: fresche pestate su piaghe, ulceri e raccolte edematose. – Mallo: non maturo a macero per 10 giorni per tingere i capelli. Olio di gheriglio un cucchiaio contro i vermi intestinali, oppure per la cura delle bruciature da sole e l’impetigine. Vino con le foglie di noce 50g di foglie essiccate di noce, 1 l di vino bianco secco. Fate macerare nel vino per 12 giorni le foglie essiccate. Potete prenderne un bicchierino dopo ogni pasto per migliorare la digestione e stimolare il fegato. Infuso di iberico, romice, noce 2,5 cucchiai di romice, 1,5 cucchiai di noce(foglie), 4,5 cucchiai di iberico (sommità), 1 ciotola d’acqua. Miscelate bene i cucchiai di romice con le foglie di noce e l’iperico. Versate su 1 cucchiaio di misela una ciotola d’acqua bollente. Lasciate riposare il tutto per 20 minuti prima di filtrare. Bevete 1 tazzina di infuso al mattino ppena svegli e 1 tazzina la sera prima di coricarsi, eventualmente addolcendo con miele, per combattere l’enuresi notturna. Decotto per la foruncolosi 10g di noce(foglie), 10g di menta, 10g di betulla, 1 tazza d’acqua. Miscelate insieme le foglie di noce, la menta e la betulla. Dosate 5g di miscela e fatela bollire in 1 tazza d’acqua per 5 minuti. Il decotto si prepara di volta in volta, e ne va bevuta 1 tazza ogni sera per 4-6 settimane, durante i cambi di stagione, per curare i casi di foruncolosi.

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Grappa stomachica 1 l di grappa, 200 g di zucchero, 4 grossi cucchiai di malli di noci fresche. Mettete in una bottiglia contenete la grappa i malli di noci e lo zucchero. Quindi tappate la bottiglia ed esponetela al sole sopra una finestra per 6 settimane. Trascorso il periodo di macerazione filtrate ed imbottigliate. Avrete confezionato un liquore tonico, ottimo per lenire i dolori di stomaco e dell’intestino. Cucina & Ricette Il gheriglio di noce è un alimento quasi completo, con calorie pari alla carne, ma inadatto agli stomaci deboli e cagionevoli. In cucina le noci entrano in molte preparazioni salate dolci, in salse, conserve e liquori. Il più famoso dei quali è il nocino, prodotto con le noci acerbe, raccolte la mattina di San Giovanni, quando sono ancora bagnate dalla rugiada caduta la notte magica del 24 giugno. Pane alle noci 300g di farina di frumento, 600g di latte intero, 4 uova, la scorza grattugiata di 1 limone, 300g di miele vergine integrale, 400g di gherigli di noce, 25g di lievito secco o birra, sale. Mescolate tra di loro tutti gli ingredienti e lavorateli fino ad ottenere un impasto omogeneo. Dividete la massa in tanti panini che disporrete su di una placca da forno leggermente unta di olio e infarinata e lasciateli riposare in un luogo riparato per 30 minuti circa, in modo che completino la lievitazione. Infornate i pani in forno ben caldo 8attorno ai 200°C) lasciando cuocere per 40 minuti circa. Spaghetti con le noci 400g di spaghetti, 400g di noci, 1 spicchio di aglio, una manciata di mollica di pane, 100g di panna, olio extra vergine d’oliva, sale, noce moscata. Sgusciate le noci e, volendo, privatele della pellicina che ricopre i gherigli tuffandole per qualche istante in acqua bollente. Pestatele in un mortaio, insieme con lo spicchio d’aglio, amalgamandole poi (utilizzando il pestello come cucchiaio) con la mollica del pane, prima bagnata in un po’ d’acqua (o latte) e strizzata, e una presa di sale. Quando avrete ottenuto una cremina omogenea, mettetela al fuoco in un tegamino su fiamma moderata, diluitela con la panna e qualche cucchiaio d’olio; lasciate scaldare (non bollire), quindi spegnete immediatamente. Scolate gli spaghetti al dente e conditeli con la salsa alle noci insaporendoli con un poco di noce moscata grattugiata. Penette con limone e noci 400g di penette, 2 limoni, un ciuffo di prezzemolo, 20g di gherigli di noci, 100g di grana, olio extravergine di oliva, sale peperoncino rosso. Aiutandovi con un coltello dalla lama affilata sbucciate i limoni facendo attenzione ad asportare solo la scorza gialla(non la parte amara bianca), che triterete poi finemente insieme al prezzemolo. Lessate la pasta in abbondante acqua salata, scolatela al dente e versatela in una zuppiera in cui avrete emulsionato qualche cucchiaio di olio con succo di limone e un pizzico di peperoncino. Mescolate per bene unendo anche il trito di scorza di limone e prezzemolo, le noci tritate grossolanamente e una spolverata di Parmigiano. Torta di noci 30g di lievito di birra fresco, 400g di farina integrale di frumento, 100g di uvetta passa, 250g di noci sgusciate, ½ stecca di vaniglia, 1 uovo, 2 cucchiai di malto di riso, 2 cucchiai di olio di mais giallo, 1 tazza di infuso di anice dolcificato con un cucchiaino di miele, 100g di farina di mais, 1 pizzico di sale, olio extravergine d’oliva, farina di frumento. Sbriciolate il lievito di birra, scioglietelo con un po’ d’acqua tiepida, formate una pastella incorporandovi 1 cucchiaio di farina di frumento e lasciate riposare per mezz’ora circa. Nel frattempo mettete in ammollo l’uvetta lavata, tritate le noci e tagliate a pezzi la vaglia. Sbattete in una terrina l’uovo, il malto e l’olio e incorporatevi la farina di frumento aiutandovi con l’infuso di anice. Lavorate

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l’impasto per un po’ e aggiungete la pastella lievitata, amalgamando per bene. Unite poi gli altri ingredienti, aggiungendo se necessario, altro infuso tiepido o acqua in modo che l’impasto risulti consistente ma cremoso, poi versate in una teglia unta con olio e infarinata e mettete a lievitare per 2 ore circa, finchè raddoppia il volume. Cuocete infine a forno caldo (200°C) per 45 minuti. Polvere di Venezia Mallo di alcune noci, salvia, ruta. Seccate il mallo di alcune noci, la salvia e la ruta, miscelate in eguali quantità e macinate finemente. Conservate in un barattolo di vetro al riparo dall’umidità e dalla luce. Usate questa polvere sugli arrosti, sulle verdure o sui sughi al posto del pepe. Liquore alle noci 1 l di alcool a 95°, 30 malli di noce verde, chiodi di garofano, cannella, anice stellato, zucchero, acqua distillata. Ponete i malli di noce a macerare nell’alcol e aggiungete 500 grammi di zucchero. Le noci possono essere lasciate intere o tagliate a metà per il lungo. Nel secondo modo si ottiene un preparato di colore più intenso. Se volete, potete aromatizzare ulteriormente il liquore on le dosi minime di cannella, chiodi di garofano e anice stellato. Chiudete il vaso e lasciate macerare in cantina per 60-70 giorni. Filtrate e allungate a piacere con acqua distillata, aggiungendo anche zucchero se il vostro palato lo richiede. Lasciate a stagionare in cantina almeno fino alle prime sere d’inverno. Nocino 30 noci con il mallo, 1 e ½ litri di alcool, 750g di zucchero in polvere, 2g di cannella tritata, 10 chiodi di garofano interi, 4 dl di acqua, la corteccia di un limone a pezzetti. Tagliate le noci in quattro spicchi e mettetele in infusione con tutti i suddetti ingredienti in una damigiana od un fiasco della capacità di quattro o cinque litri. Chiudetelo bene e tenetelo per quaranta giorni in un luogo caldo scuotendo ogni tanto. Colatelo su di un panno e poi, per averlo ben chiaro, passatelo per cotone o per carta, ma qualche giorno prima assaggiatelo perché se vi paresse troppo alcolico potete aggiungervi dell’acqua (un bicchiere). Grappa alle noci 1 l di grappa, 7 noci ancora verdi e piuttosto piccole, 125 g di zucchero, acqua distillata. Dividete in quattro spicchi ciascuna delle noci e ponetele a macerare in un vaso di vetro assieme alla grappa per una quarantina di giorni in un luogo caldo, agitando di tanto in tanto. Trascorso questo tempo filtrate accuratamente e aggiungete al filtrato lo zucchero che avrete sciolto a bagnomaria in un po’ d’acqua distillata. Lasciate raffreddare e quindi imbottigliate. Attendete qualche mese prima di assaporare questa grappa. A piacimento si possono far macerare assieme alle noci un pizzico di corteccia di cannella frantumata e duo o tre chiodi di garofano. Anche la quantità di zucchero può essere variata a proprio gusto. OLIVELLO SPINOSO (Hippophaë rhamnoides L.) Famiglia: Elaeagnaceae Nomi dialettali: Bozzéin, Spin da berléida, Spin maréin, Ulivella (RE), Spino olivastro, Brella (BO), Spin da berléda (MO).

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Etimologia: Il nome botanico deriva dal fatto che un tempo le drupe arancioni di questo frutto venivano utilizzate per lucidare il manto dei cavalli.

E’ una specie termofila e xerotollerante fortemente lucivaga; preferisce sub strati sciolti ma is adatta anche a quelli argillosi e pietrosi. E’ in grado di fissare l’azoto atmosferico grazie alla simbiosi radicale con un Attinomicete. E’ una specie caratteristica dei paesi temperati o caldi. Si trova dall’Europa e Asia temperate e nell’Italia settentrionale e centrale. Le foglie sono lineari-lanceolate con una pagina inferiore ricoperta di scaglie argentee e ferruginose, ricordano quelle dell’olivo. I fiori sono piccoli, bruno verdastri, unisessuali e portati da piante differenti: quelli

maschili sono riuniti in piccoli amenti, i femminili sono solitari. Il frutto è una drupa globosa od ovoidale di colore arancione, con succo acidulo. Questa pianta è idonea al consolidameto di frane e pendici detritiche

Arbusto spinoso dioico. Fioritura: Aprile-giugno. Altezza: da 1 a 6 metri. Ambiente: Dal livello del mare fino a 700 metri. Propagazione: Per seme, talee radicali e margotte.

Cucina & Ricette I frutti sono ricchissimi di vitamina C. Aspretto di olivello spinoso 500g di bacche di olivello, 100g di zucchero, 3dl di aceto bianco, 1-2 stecche di cannella, 4 chiodi di garofano, la buccia di ½ limone, la buccia di ½ arancia, sale e pepe. In una casseruola fate bollire tutti gli ingredienti tranne le bacche di olivello. Lasciate cuocere fino a ridurre il liquido a metà: filtratelo, quindi unite le bacche e fate cuocere per 20 minuti. A cottura ultimata passate al setaccio, mettete in vasi a chiusura ermetica e conservate in frigorifero. Ottima salsa per bolliti e prosciutti di selvaggina. Yougurt all’olivello spinoso 1-2 cucchiai di polpa di bacche di olivello, 1 vasetto di yougurt al naturale. Mescolare il tutto, ottimo come prima colazione o merenda. Merenda all’olivello spinoso 1 tazza di latte intero, 2 cucchiai di polpa di bacche di olivello, 1 banana, 1 tuorlo d’uovo, 1 cucchiaio di panna. Frullate bene il tutto e bevetelo come frullato o dessert.

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PESCO (Prunus Persica, Batsch.) Famiglia: Rosaceae Il pesco è originario della Cina ed è coltivato fin dai tempi antichi. È un albero molto ramificato, a foglie lanceolate, lunghe cm 7-15, larghe cm 2-4, appuntite, dentate; i fiori, generalmente solitari, sulla vegetazione dell’anno precedente, sono rosa pallido, del diametro di cm 2,50-4. I frutti sono drupe molto carnose, globose, vellutate, di svariati colori dal rosso cupo al giallognolo. Medicina & Cosmesi Le foglie, raccolte da maggio a giugno, presentano proprietà: sudorifInfuso: una manciata di foglie in mezzo litro di acqua calda, coprire, dopgiornata 4-5 tazzine, utile nelle malattie delle vie urinarie e per aumentesterno: foglie contuse in cataplasma nelle eruzioni cutanee e dolori localI fiori non completamente sbocciati, raccolti da marzo ad aprile, hannblande. – Infuso: uno o due pizzichi per cc. 100 di latte o acqua calda, copsetaccio. A cucchiai nella stitichezza abituale infantile. – Estratto fluido: I frutti, raccolti da giugno ad agosto, hanno proprietà rinfrescanti, dissetindicata ai sanguigni nei calori estivi, ma occorre mangiarne con mdebolezza e gonfiore di stomaco. – Uso esterno: polpa gialla applicata apelle. Attenzione! Non accumulare i noccioli per servirsi dei semi in dolciumacido cianidrico). Evitare inoltre massicce assunzioni d’acqua in occasion Varietà & Innesti Bella di Cesena (Caravan Rossa) CVarietà selezionata nel 1927 dall’agricoltore Pieri a Cesena. Citata in punegli anni ’50 e ’60 questa varietà rappresentava la pesca a pasta biancesenate. Successivamente abbandonata poiché poco resistente alle mfrutto, di colore verdastro con sovaccolore rosso, ha un ottimo sapoconsumato maturo Buco incavato (Massese tardiva, di Massalombarda, MassesLa sua origine è incerta, probabilmente emiliana o veneta; in Vento era cMassalombarda. Diffusa negli anni Trenta. L’albero è di grande sviluppoIl frutto è di forma irregolare, costoluto, di buona pezzatura. La buccia èsu di un fono verdastro, discretamente tormentosa (pelosa); quando i buccia si strappa dal picciolo rendendo il frutto più ensibile alla discretamente consistente, spicca, molto profumata, di buon sapore. Magosto. Il nome deriva dalla forma del frutto, incavato all’apice. Piatta a polpa bianca ( Platicarpa) Selezione di antichissime varietà spontanee già allevate nella Cina settCristo. Oggi è ancora sparutamente coltivata per i mercati locali in Sicipiccolo, molto appiattito. Buccia color verde-chiaro in buona parte ricopestacca facilmente. Polpa bianca, tenera, fondente, succosa, dolce, nonNocciolo piccolo, tondo e non spicco. Pianta molto vigorosa e

ere, diuretiche e purgative. – o 10 minuto colare, bere nella

are la traspirazione. – Per uso i. o proprietà lassative, sedative rire e dopo 5 minuti passare al gr. 1-2 per dose e 5 al giorno. anti e diuretici. – La polpa: è oderazione, poiché provoca

l viso rende opaca e fresca la

i perché velenosi (contengono e di scorpacciate di pesche.

bblicazioni tecniche del 1935, ca più coltivata nel territorio anipolazioni e ai trasporti. Il re e profumo soprattutto se

e, Di Massa) onosciuta anche come pesca di , ma di produttività incostante. spessa, di colore rosso chiaro frutti si staccano dal ramo la monilia. La polpa è bianca, atura nella seconda decade di

entrionale 1500 anni prima di lia e in Spagna. Frutto medio-rta di rosso, pelosa, fine, che si acidula, aromatica, squisita.

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produttiva. Sensibile alla monilia. Raccolta verso la fine di luglio, primi di agosto. Sant’Anna Balducci o di Cesena È una vecchia varietà ottenuta in Emilia Romagna e diffusa poi in altre parti d’Italia negli anni Sessanta. L’albero è di media vigoria e di buona produttività, specialmente nei terreni particolarmente vocati alla coltivazione del pesco. Il frutto è di pezzatura medio-grossa e di forma rotonda. La buccia è di colore verde chiaro con sovracolore rosso pallido marezzato, mediamente tormentosa (pelosa). La polpa è bianca, verdastra vicino al nocciolo, succosa, spicca, di ottimo sapore. Matura alla terza decade di luglio. Cucina & Ricette Gelatina di pesche 5 dl di succo di pesche, 500 g di zucchero Scegliete delle pesche sugose, taglietele senza togliere la buccia e fatele cuocere finchè si saranno completamente disfatte. Versate quindi la polpa in una garza di lino e fatene colare il succo per 12 ore. Pesate il succo ottenuto e mettetelo al fuoco con lo zucchero nelle proporzioni indicate, facendo cuocere finchè la gelatina non avrò raggiunto la giusta consistenza. Grappa alla pesca 1 l di grappa, 40 g di zucchero, 1 pesca grossa matura. Ponete la pesca privata del nocciolo e tagliata in quattro spicchi a macerare con un quarto di ottima grappa per 20 giorni dentro un vaso chiuso. Filtrate e aggiungete il resto della grappa nella quale avrete sciolto lo zucchero a bagnomaria. Lasciate riposare per un giorno e imbottigliate. Prendetene due bicchierini lontano dai pasti per sfruttare le proprietà diuretica e rinfrescante. Crostata di pesche e albicocche 250 gr di farina 00, 50 gr di zucchero, 200 gr di burro, 2 uova; Per la farcitura: 4 pesche percoca, 10 albicocche reale di Imola,100 gr di burro, 50 gr di farina, 3 uova, 50 gr di zucchero vanigliato, 10 cl di liquore di pesche, lievito vanigliato. Impastare la farina con le uova, lo zucchero, il burro aggiungendo, se necessario, un po' di acqua. Fare una con l'impasto,infarinarlo leggermente e metterlo in frigo per 1 ora circa. Sbucciare le pesche, lavare e asciugare le albicocche;dividere a metà tutta la frutta ed eliminate i noccioli. Stendere la pasta su una spianatoia infarinata, foderare uno stampo 25 cm circa imburrato e infarinato. Con i ritagli preparare dei nastri usando la rotella ondulata tagliapasta. Distribuire nella tortiera la frutta, alternando pesche e albicocche. Lavorare il burro e la farina in una ciotola incorporare il lievito vanigliato. Unire alla crema ottenuta le uova uno alla volta, quindi tutto lo zucchero, aggiungere il liquore di pesche al composto. Mescolare bene, quindi versare il tutto nella tortiera. Livellare in superficie e decorate con i nastri di pasta disposti a piacere. Infornate. Cuocere per 30 minuti circa in forno riscaldato a 190° C (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). Dolce di panna e pesche 8 pesche nettarine, 1 bicchiere di liquore alla pesca diluito con succo di frutta ( possibilmente alla pesca, 300g di biscotti tipo savojardi, 500g di panna fresca, 80g zucchero semolato. Montare la panna e zuccherarla. Foderare uno stampo con biscotti tipo savoiardi bagnati con liquore alla pesca diluito. Sovrapporre uno strato di savoiardi inzuppati brevemente. Fatto ciò mettere delle pesche tagliate a cubetti sui biscotti e poi stendete un abbondante strato di panna; continuare con un altro strato di savoiardi sempre inzuppati nel liquido poi altre pesche e panna, ancora biscotti e coprire con la restante panna e decorare con fettine di pesche passate in poco succo di limone (per non farle annerire).Riporre in frigo per qualche ora (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia).

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PRUGNOLO (Prunus spinosa L.) Famiglia: Rosaceae Nomi dialettali: Bergnol, Boch nigher(RE), Brugnò, Brugnol slavadegh(RA), Spen burzol, Brugnol(MO), Prugnôl d’zaeda, Prugnû(BO). Etimologia: diminutivo di prugno da “prunus”.

Si può trovare in quasi tutta Europa,non è presente nell’Europa Nordorieminore e al Caucaso; è presente incompreso il Nordafrica: ha quindi udovuta al fatto che può vivere sia neboschi idrofili e radi. In Italia lo pcespuglietti e siepi, fino ad alte altitudSi presenta come un arbusto o piccompatta, molto ramificato. La chiocolore verde spento; le foglie sono p

picciolate e con margine dentato, opache nella pagina superiore e pusono bianchi, del diametro di circa 1 cm, isolati su corti penducoli mdelle foglie. Il frutto, da agosto a settembre, è una drupa tondeggiantematurazione, contenete un nocciolo duro e ricoperta da una pruincommestibile solo a maturità completa per la sua asprezza.

Arbusto spinoso e caducifoglio. Fioritura: Marzo-Aprile. Altezza: fino a 5 m. Ambiente: fino a 1500 m. Propagazione: .per pollone, per innesto, per seme.

Il Prugnolo si riproduce facilmente per seme anche eseguendo la setecnica utilizzata è l’impiego da talee legnose, lunghe 10-15 cm, predell’inverno o di talee semilegnose, nel mese di luglio e messe a radtorba in parti uguali con umidità controllata. Le talee radicate si potdopo due anni mettere a dimora. Trattamenti & Cure Bio Difficilmente vi sono avversità nello stato spontaneo più frequentemparassitari e fungini nelle varietà da fiore. Usi & Co. Ora vengono coltivati per la decorazioni di parchi e giardini carattcolorazione diversa dei fiori e delle foglie. Di questa pianta si raccolgautunno (subito dopo la prima gelata notturna), i fiori prima che schiuseccate e leggermente tostate (un tempo venivano fumate mescolate acorteccia. Inoltre dai frutti di Prugnolo, si ricava un tipo di gin e un’ecIl prugnolo venne citato da Crescenzi, Manzoni, Tommaseo, Landolfi Medicina & Cosmesi

verso est raggiunge il Volga, ma ntale. Si estende inoltre all’Asia tutte le zone del Mediterraneo na notevole ampiezza ecologica

gli ambienti esposti al sole sia nei ossiamo trovare in boschi cedui, ini.

colo alberello, spinoso, di forma ma è intricata e irregolare di u iccole, obovate-ellittiche, alterne, bescenti in quella inferiore. I fiori a in gruppi numerosissimi prima

dapprima verde quindi blu scura a a cerosa; la polpa è molto aspra

mina in autunno all’aperto. Altra levate dalle piante madri alla fine icare in un miscuglio di sabbia e ranno trapiantare in vivaio e solo

ente troviamo presenze di attacchi

eristici per la lunga fioritura e la ono i frutti a maturazione in tardo dano e le foglie in primavera, poi l tabacco); raramente si preleva la cellente confettura. e Pavese.

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La presenza di tannino e sostanza amara ne fa un efficace astringente, antiemorragico, antitermico, febbrifugo (corteccia). Il decotto dei frutti viene utilizzato contro la diarrea e la sudorazione eccessiva, anche per la febbre; l’infuso dei fiori ha un effetto lassativo. L’infuso dei frutti da utilizzare per gargarismi e sciacqui è ottimo per le gengive, piorrea, stomatite e mal di gola; mentre lavande e irrigazioni vaginali con l’infuso di foglie sono utili per la leucorrea. La polpa dei frutti applicata al viso ha un effetto astringente. La corteccia, le foglie e i fiori producono una sostanza che origina acido cianidrico, quindi vanno somministrati solo dietro prescrizione medica, rispettando scrupolosamente le dosi. Tisana di Prugnolo Foglie di prugnolo, acqua calda, zucchero a piacere. Tostate le foglie del prugnolo. Da questa operazione dipende il miglioramento e l’esaltazione del sapore. Se tutto è stato condotto bene, otterrete un’infusione che ricorda il tè usuale, ma con una vena diversa e gradita. E’ senz’altro corroborante. Bisogna tenere conto che la concentrazione esalta fino a un certo punto le caratteristiche, poi rende il preparato sgradevole. Dosate 1 cucchiaino di foglioline tostate per 1 tazza di acqua calda. Viene gradita anche con limone o latte. Infuso di Prugnolo 20g di prugnolo(frutti), 1 l d’acqua Ponete a riposare i frutti nell’acqua bollente per 15 minuti. Filtrate e utilizzate per fare gargarismi contro il mal di gola. Decotto di Prugnolo 5g di prugnolo(corteccia), 1 dl d’acqua Preparate un decotto con la corteccia e 1 dl d’acqua. Fate lavaggi e bagni parziali. Utilizzate per lavare il viso con pori dilatati. Decotto alla calendula e Prugnolo 30g di calendula(fiori senza l’involucro verde), 30g di prugnolo (frutti), 20g di salvia (foglie), 1 l d’acqua. Per contrastare la foruncolosi mescolate in maniera omogenea i fiori di calendula, i frutti di prugnolo e la salvia. Dosatene 40g e poneteli a bollire per 7-8 minuti in 1 l d’acqua. Trascorso questo periodo lasciate riposare 15 minuti e filtrate. Consumatene 1-2 tazze al giorno, prese lontano dai pasti, per 15 giorni. Cucina & Ricette In cucina i frutti maturi vengono impiegati in marmellate e sciroppi, oltre che in grappe aromatiche. Freschi o essiccati vengono aggiunti alla marinatura della selvaggina o per insaporire gli arrosti. Sciroppo di prugnole 300g di prugnole, 300g di zucchero I frutti lavati e asciugati vengono chiusi in vaso ermetico con zucchero. Il vaso viene collocato in un luogo tiepido (in passato accanto al camino) e scosso di tanto in tanto fino al completo scioglimento dello zucchero. Dopo diversi mesi viene filtrato e imbottigliato. Ratafià di prugnole 1 kg di prugnole, 2 l di buona grappa, 1 pezzetto di cannella, 3 chiodi di garofano, 500 g di zucchero, 1 dl d’acqua, una scorza di limone non trattato e privato della parte bianca, 10 noccioli schiacciati. In un vaso di vetro si mettono a macerare per circa tre mesi le prugnole con la grappa, il limone, la cannella, i chiodi di garofano e i noccioli schiacciati, scuotendo ogni tanto. Filtrate il prodotto

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strizzando le prugnole per recuperare al massimo il loro succo. A parte si prepara lo sciroppo con acqua e zucchero portato a ebollizione e si lascia raffreddare. Unire il liquido filtrato, far riposare per 4-5 mesi e poi travasare. E’ un eccellente liquore che può essere servito per accompagnare dolci a temperatura ambiente in inverno o freddi in estate. Prugnolo (Grappa al) 5 dl di alcol a 95°, 20 drupe di prugnolo, 3 chiodi di garofano, zucchero, acqua distillata. Raccogliete le drupe e ponetele ad asciugare per almeno un giorno su un foglio di carta assorbente da cucina steso all’ombra. Mettete poi i frutti in un vaso e cospargeteli con cinque cucchiai di zucchero. Fate macerare per 2 giorni. Coprite con l’alcol, aggiungete i chiodi di garofano e lasciate in infusione per 15 giorni al caldo. Spostate quindi il recipiente in cantina e lasciatevelo ancora per un mese e mezzo. Filtrate bene e aggiungete acqua distillata e zucchero all’occorrenza. Fate stagionare in cantina per 6 mesi prima di consumare. ROSA CANINA (Rosa canina L.) Famiglia: Rosaceae Nomi dialettali: Patelenga, Potlèing, Pizincùl, Raza, Rosa mata, Rosa salvadga.

Diffusa in Europa, verso nord, finpresente anche in Asia occidentale margine dei sentieri e dei boschi, nprati, nei campi, nei vigneti. Mette raRiesce a raggiungere i 1500 m di quo Questo arbusto si presente in modo dise la pianta è isolata tende a espandforma rotondeggiante, mentre in mez

tende a svilupparsi verso l’alto. E’ una pianta perenne e rami e ramericurva; la corteccia è scura. Le foglie da alterne a sparse, con picciostipole, margine irregolarmente seghettato; superiormente sono verchiare. I fiori si presentano solitari o a gruppi all’apice di corti ramicirca 1-2 cm, 5 petali di colore rosa da pallido a intenso, con numersulla pianta dopo la fioritura sono in realtà dei falsi frutti detti cinorrcarnoso, rosso, di forma ovale, glabro, contenente i veri frutti (acheni)

Arbusto spinoso e caducifoglio. Fioritura: Maggio-luglio. Altezza: fino a 3 m. Esposizione: sole. Ambiente: dalla pianura alla collina e oltre. Propagazione: talea, innesto, seme.

Come si coltiva La Rosa Canina essendo una specie selvatica, è di per se una rosa foranche se predilige i luoghi soleggiati. Quanto al terreno, deve essmoderatamente calcareo e ben concimato. Il miglior concime è loautunno. Solitamente lo si dispone in generoso quantitativo, attornmigliore d’impianto è il tardo autunno, da ottobre a novembre. Le rospenetrano profondamente nel suolo: occorre quindi preparare buche b

o alla Scandinavia meridionale; e in Nordafrica. La si trova al elle macchie negli arbusteti, nei

dici in profondità e ricerca la luce. ta.

verso a secondo di dove è ubicata: ersi e a ramificare assumendo al zo ad altri alberi ramifica poco e

tti portano numerosi spini a forma lo alato per la con crescenza delle de scuro, inferiormente sono più fogliosi. Hanno un peduncolo di osi stami. Quelli che si osservano odonti, costituiti da un ricettacolo di colore scuro.

te, si adatta a diverse condizioni, ere piuttosto pesante e compatto, stallatico, da dare alle piante in o al pedale della pianta. L’epoca e hanno poche radici a fittone, che en profonde, atte ad accogliere le

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radici ben distese. Sono piante vigorose e di rapido sviluppo, che danno risultati immediati; sono molto resistenti al gelo e generalmente preferiscono il freddo al caldo intenso. Hanno bisogno di acqua durante il periodo caldo, ma non soffrono neanche eccessivamente la siccità. Sia che vengano coltivate in modo sarmentoso, ad alberello o ad arbusto hanno bisogno di energiche potature. Essa serve a regolarizzare lo sviluppo di ogni pianta, e se fatta come si deve, serve anche a prolungare la vita alla pianta. L’epoca della potatura è la primavera, precisamente quando le gemme cominciano a gonfiarsi. Si lasciano i tralci di 2-3 anni di età, che sono quelli che portano i fiori. Si provvederà eventualmente all’eliminazione dei rami molto vecchi, senza disturbare l’equilibrio della pianta, mentre i getti laterali si tagliano lasciando 2-3 gemme. La Rosa canina viene da sempre usata come portainnesto per le Rose ornamentali. Anche le piante più vigorose sono facile preda di diverse malattie crittogamiche e da virus, è sempre meglio prevenire piuttosto che curare. Se poi le piante sono già deboli, perché male impiantate, non sufficientemente nutrite o coltivate in terreni disadatti è più facile che subiscano attacchi di virus. Storia & Tradizioni Röslein, Röslein, Röslein rot Röslein auf der Heiden. (Goethe) (Rosellina, Rosellina, Rosellina rossa/Rosellina nella landa.) Rose, qui en naissant, à rebours imites les lenteurs de la mort. Ton innombrable ètat te fait-il connaître dans un mèlange où tout se confond cet ineffable accord du nèant et de l’être Que nous ignorons ? (Rilke) Per tradizione, la rosa canina è una di quelle piante che i nostri nonni amavano proporre ai bambini con il raffreddore, perché “…la fà bè, la t’fa pasè e’fradur”. Un tempo si credeva che fosse efficace anche contro l’idrofobia. Nel Reggiano i bambini usavano per gioco le “paterlenghe”(le bacche di rosa canina), forandole da parte a parte e utilizzandole come perle per fare le collane. La storia ci riporta poi il ruolo importante che questa pianta ha avuto durante la seconda guerra mondiale, fornendo ai bambini vitamina C, in’alternativa agli agrumi. Citata da Pietro Ispano, Verga, Alemanni, Tommaseo, Guerrazzi. “Rosa di macchia, che dall’irta rama ridi non vista a quella montanina, che stornellando passa e che ti chiama rosa canina.” Pascoli “Cogli una rosa di macchia e guardala contro il sole, vedrai un rosso più ardente che quello dei rubini.” Papini Medicina &… Possono essere impiegate tutte le parti della pianta. Per esempio le foglie e i fiori vengono usati in farmacopea per la preparazione di infusi e tisane; con i semi vengono preparati anche antiparassitari; con i petali dei fiori, infine, viene preparato il miele rosato. La parte più importante è sicuramente il “frutto”, il concentrato totale del principio attivo è ottenuto dai cinorroidi di rosa canina mediante estrazione a freddo (per evitare l’alterazione delle vitamine contenute che sono tremolabili) e

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concentrazione dello stesso. Ha un alto contenuto di vitamina C, se usata assieme ad altri fitoterapici ne facilita l’assorbimento; contiene anche bioflavonoidi, ovvero fitoe strogeni. I piccoli cinorrodonti di rosa canina risultano essere i più concentrati di Vitamina C che qualsiasi altro frutto, questa vitamina è presente fino a 50-100 volte superiore rispetto agli agrumi tradizionali (arance e limoni) e per questo in grado di contribuire al rafforzamento delle difese naturali dell’organismo. (100grammi di cinnorrodonti contengono la stessa quantità di vitamina C o acido ascorbico contenuta in 1 chilo di agrumi). I Bioflavonoidi, presenti nelle polpa e nella buccia di numerosi frutti, esercitano un’azione sinergica alla Vitamina C, favorendone l’assorbimento da parte dell’organismo. Oltre alla vitamina C, la rosa canina possiede altri principi attivi: tannini, pectine, carotenoidi, acidi organici, polifenoli ( vitamine A, B, B2, E, P, K, PP); ne risultano le seguenti proprietà: vitaminizzante, antinfiammatoria, ottimizza al circolazione del sangue, antiallergica (è di stimolo alle difese immunitarie a livello respiratorio in modo particolare del biotipo allergico. In questi soggetti, il macerato idroetanolglicerico di Rosa canina ripristina al capacità a dare risposte immunitarie positive. Ha un’importanza azione farmacologia nelle flogosi acute che comportano alterazioni delle mucose, soprattutto quando siano associate delle componenti allergico-asmatiche. Per tali proprietà è un rimedio importante soprattutto nella prevenzione delle allergie respiratorie. Stimola, inoltre, l’eliminazione delle tossine tramite l’urina (azione diuretica) senza irritare i reni. Viene raccomandata per infiammazioni dei reni o della vescica. Eliminando le accumulazioni di acido urico, aiuta anche la gotta e i reumatismi. La sua azione astringente è dovuta alla presenza di tannini, risulta quindi efficace contro le diarree. Secondo il Premio Nobel Linus Pauling, assunta in forti dosi, previene e combatte, in caso di malattia, ala crescita cancerogena. Più precisamente le foglie, raccolte da maggio a luglio, per la loro proprietà astringente, vengono usate: -Infuso: una manciata di foglie sminuzzate in recipiente con acqua bollente un litro; dopo 20 minuti filtrare. Consumare a piccole tazzine nelle diarree e calcoli renali e della vescica. I petali dei fiori, raccolti nello stesso periodo, per le proprietà lassative e rinfrescanti, vengono usati in : -Infuso: mettere un pizzico di petali in una tazzina d’acqua bollente, lasciare a riposo 5 minuti e filtrare. – Estratto fluido: gr. 2-8 al giorno. Questi per le diarree croniche infantili. –Infuso (per uso esterno): procedere come sopra, ma usato per gargarismi alla gola e lavature nelle malattie degli occhi. I frutti, raccolti da agosto a settembre, sono astringenti, correttivi e come abbiamo detto più volte vitaminici, vengono usati: -Conserva: da prendere a cucchiai, nei casi di diarree. – Liquore: frutti spezzettati gr. 500 a macero per 2 settimane in alcole a 70° mezzo litro, passare al setaccio ed aggiungere gr. 300 di sciroppo. Da consumare a bicchierini. …& Cosmesi Raccomandato a chi vuole prevenire rughe, invecchiamento della pelle, eritemi solari: poiche la rosa canina contiene beta-cherotene o provitamina A, è quindi un naturale antiossidante e antiradicali liberi. Maschera di rosa canina Cinorrodonti freschi di rosa canina. Frullare i cinorrodonti freschi di rosa canina, precedentemente tagliati, svuotati con cura e lavati più volte per eliminare i piccoli peli aguzzi che possono conficcarsi nella pelle, e applicate come una maschera. E’ una delle più efficaci maschere per il suo effetto schiarente, levigante e tonificante della pelle. Infuso di rosa canina 10g di rosa canina (petali), ½ l d’acqua Ponete a riposare i petali di rosa canina nell’acqua bollente per 10 minuti, quindi filtrate e utilizzate 1-2 tazze al giorno prima dei pasti. E’ un ottimo tonico contro l’affaticamento. Tisana di rosa canina Foglie di rosa canina, acqua calda, miele a piacere.

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Fate seccare le foglie all’ombra e conservatele in un luogo privo di umidità. L’infusione non va protratta a lungo per non modificare troppo il gusto delicato e molto piacevole. E’ sufficiente lasciare in infusione 1-2- cucchiaini per ottenere 1 tazza di delicatissima tisana. Un po’ di miele esalta la preparazione. Cucina & Ricette I cinorrodonti sono ricchi di peli interni: prima di utilizzarli è ben aprirli e pulirli accuratamente.

“La verginella è simile alla rosa, ch’in bel giardin sulla nativa spina mentre sola e sicura si riposa, né gregge né pastor se le avvicina: l’aura soave e l’alba rugiadosa, l’acqua, la terra al suo favor s’inchina; giovani vaghi e donne innamorate amano averne e seni e tempie ornate. Ma non si tosto dal materno stelo Rimossa viene, e dal suo ceppo verde, che quando avea dagli uomini e dal cielo favor, grazia e bellezza, tutto perde. La vergine che ‘l fior, di che più zelo Che de’ begli occhi e della vita aver de’, lascia altrui corre, il pregio ch’avea innanti perde nel cor di tutti gli altri amanti.” (Ariosto) Marmellata di rose 1 kg di mele renette, 250g di petali di rose profumate, 1 limone, 300g di zucchero. Sbucciate le mele, tagliatele a pezzettini, mettetele in una terrina mescolandole con la scorza grattugiata (solo la parte gialla) e il succo del limone e i petali di rosa puliti; lasciatele macerare per un’ora. Mettete il tutto al fuoco e mescolate su fiamma moderata sin quando le mele non si saranno disfatte; se fosse necessario schiumate di tanto in tanto. Passate il composto attraverso un setaccio aiutandovi con una spatola di legno, quindi rimettetevi al fuoco amalgamandovi lo zucchero. Cuocete sinchè la marmellata non avrà preso consistenza. Marmellata di bacche di rosa canina 1kg di polpa di bacche di rosa canina, 600g di zucchero, la scorza di un limone Private le bacche del gambo e della peluria scura, mettetele in una pentola. Ricopritele di acqua fredda, portatele a ebollizione e fatele poi sobbollire a fuoco molto moderato per circa 45 minuti. Quindi scolatele e passatele al setaccio. Rimettetele sul fuoco, aggiungendo poca acqua bollente e cuocete per un quarto d’ora. Ripassate di nuovo al setaccio, pesate la polpa ottenuta e per ogni kg di polpa calcolate 600g di zucchero. Fate cuocere la polpa con lo zucchero per circa mezz’ora a fuoco basso. Pochi minuti prima di togliere la marmellata dal fuoco, unite la buccia finemente grattugiata del limone. Quando la marmellata avrà raggiunto la giusta consistenza versatela ancora calda nei vasetti di vetro perfettamente puliti. Chiudeteli subito con la marmellata ancora calda e conservate in luogo asciutto e buio. Marmellata di bacche di rosa canina Dose per 5-6 vasetti 1 kg di polpa di bacche di rosa canina, 500 g di zucchero, buccia grattugiata di 1 limone, ½ litro di vino bianco.

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Private del gambo le bacche, lavatele bene spaccatele e togliete i semi e la peluria interna, mettetele in una pentola, ricopritele col vino, fatele bollire a fiamma dolce per circa 35/40 minuti. Scolatele e passatele ad un setaccio schiacciandole bene. Rimettete il composto sul fuoco aggiungendo poca acqua lo zucchero e fatelo restringere. A fine cottura, aggiungere la buccia del limone grattugiato. Invasare ancora calda e capovolgere i vasi (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). Elisir di rose 400g di alcol a 95°, 350g d’acqua, 350g di zucchero, 15g di petali di rosa. Ponete i petali in un mortaio con una manciata di zucchero e pestateli fino ad ottenere una pasta che porrete a macerare per una decina di giorni in un vaso di vetro ermeticamente chiuso, nel quale avrete versato anche l’alcol. Durante questo periodo dovrete aver cura di agitare moderatamente una volta al giorno il vaso con il suo contenuto. Trascorso il tempo previsto per la sua macerazione, aggiungete l’acqua e il rimanente zucchero. Lasciate macerare ancora nel vaso per una settimana agitando ogni tanto e , trascorso il tempo, filtrate attraverso una tela, imbottigliate e tappate con un sughero a ceralacca. Aspettate almeno 2 mesi prima di consumarlo. Grappa di rosa canina 1l di grappa. 10 cinorrodi di rosa canina. Raccogliete i cinorrodi ben maturi (dopo i primi geli), apriteli ed eliminate gli acheni e la peluria, cercando di preservare la maggior parte della polpa. Deponete quindi i cinorrodi in un recipiente e copriteli con la grappa. Lasciate in infusione in un luogo caldo per una ventina di giorni. Fate riposare in cantina per altre 2 settimane, filtrate e attendete altri 3 mesi prima di consumare. Per la preparazione dei liquori è possibile utilizzare anche i frutti di un’altra rosa selvatica, Rosa Rugosa, presente nei boschi assieme alla più comune Rosa Canina.

Gruppo: SORBO Inquadramento: Il genere Sorbus comprende un centinaio di specie distribuite in tutto l’emisfero settentrionale, distinte nelle sezioni: Aria, Sorbus, Cormus, Torminaria e Chamaemespilus, che

rappresentano probabilmente cinque distinte linee di evoluzione (McAllister, 1998). Oltre al sorbo domestico (l’unico appartenente alla sezione Cormus) altre specie in Italia sono: il sorbo degli uccellatori (S. Aucuparia L.), il sorbo ciavardello (S. Torminalis L. Crantz), il sorbo montano o

farinaccio (S. Aria L. Crantz) e il sorbo alpino (S. Chamaemespilus L. Crantz). SORBO MONTANO (Sorbus aria L. Crantz.) Famiglia: Rosaceae Nomi dialettali: Metal (PR); Lazzeruolo di montagna Farinaccio o Sorbo Bianco (RA). Etimologia:Il nome deriva dal latino “sorbum”, con il si indicavano il frutto del sorbo domestico.

(BO);

quale

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Si può localizzare nell’intera Europa, ma in modo sporadico. E’ una pianta eliofila, predilige terreni subcalcarei e vive prevalentemente in regioni con climi umidi e caldi, ma ha una notevole adattabilità e tollera anche aridità e basse temperature. Stiamo parlando di un alberello con chioma globosa espansa di colore verde-grigio, proprio per la colorazione della pagina inferiore delle foglie veniva chiamato “Sorbo bianco”; il tronco eretto è spesso ramoso fin dalla base con rami orientati verso l’alto e rami giovani pubescenti; corteccia grigia, liscia. Le foglie caduche, ellittiche, lunghe 6-12 cm, con margine doppiamente dentato e apice appuntito; sono presenti 9-12

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Piccolo albero a foglie decidue. Fioritura: Maggio-giugno. Altezza: non più di 20 metri. Ambiente: dalla pianurafino a 1600 m di altitudine. Propagazione: talea, seme.

paia di nervature parallele. Quando si schiudono sono ricoperte da una eluria bianca; la pagina superiore perde questa lanugine e assume colore verde lucente, mentre quella nferiore resta tormentosa e bianca. In autunno diventano giallo oro prima di cadere. Sono portate da un ungo picciolo. I fiori si presentano in corimbi eretti larghi fino a 8-10 cm con fiori bianchi di 1,2 cm. Il rutto è subgloboso (15 mm di diametro), rosso arancio o scarlatto, a polpa gialla e farinosa, edule e olciastro, contiene 2 semi.

si & Co. uesti frutti venivano anche usati per fare una salsa da usare come condimento per la cacciagione; ppure in conserve e gelatine abbinato alle mele. In tempi di carestia venivano addirittura seccati per ssere mescolati alla farina per il pane (da cui il nome volgare “Sorbo farinaccio”). Infine i Celti onsideravano il suo frutto come amuleto contro fulmini e sortilegi, e come cibo degli dei. al punto di vista medico, questo frutto ha proprietà astringenti, un tempo veniva somministrato sotto

orma di sciroppo.

ORBO ALPINO (Sorbus Chamaemespilus L. Crantz) amiglia: Rosaceae

ioritura: Giugno mbiente : Specie alpina che vive nelle brughiere oltre i 1500 m di altitudine, molto rara in Emilia-omagna. Le sole segnalazioni riguardano il crinale appenninico, dal reggiano al piacentino.

iccolo arbusto con corteccia scura e lenticelle longitudinali più chiare ; foglie semplici, lunghe circa 6 m, con lamina ellittica e margine seghettato, glabre su entrambi i lati, scure e lucide di sopra. Frutto osso, globoso, di circa 1 cm di diametro. Fruttificazione : Luglio-Agosto.

ORBO CIAVARDELLO (Sorbus torminalis L. Crantz – yrus Torminalis Ehrh.) amiglia: Rosaceae

omi dialettali: Baccarello, Pero Cerbone , Pèr Zerbò (RA); Matadot, orbaster (RE); Pitar (BO).

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Etimologia:Il nome deriva dal latino “sorbum”, con il quale si indicavano il frutto del sorbo domestico.

Si può trovare questa specie in buona parte dell’Europa, escludendo quelle settentrionali, la si trova anche in Nordafrica e in parte dell’Asia. Predilige i boschi di latifoglie, soprattutto querce e le pendici soleggiate. Albero con chioma allungata da giovane che diviene a cupola espansa successivamente, di colore verde brillante; tronco eretto e corteccia grigio chiaro o bruno nerastra; tende a fessurarsi in piccole squame che poi si distaccano. I rami giovani sono bruni e lucenti. Le foglie alterne, semplici, con picciolo da 2 a 5 cm, hanno lamina ovato-lombata con 3-4 paia di lobi via via meno profondi verso l’apice e margine

irregolarmente dentato. Sono di colore verde scuro lucente superiormente, verde-giallastro inferiormente. Fiori ermafroditi, infiorescenza eretta e molto aperta, hanno il calice peloso con 5 lacinie triangolari e caduche; la corolla a 5 petali bianchi subrotondi; stami numerosi e lunghi come i petali, di colore giallo. I frutti sono pomi ovoidali del diametro di 1-1,5 cm, di colore bruno cuoio, punteggiati da lenticelle, in piccoli grappoli con lungo pendutolo; essi contengono dai 2 a 4 semi rosso-bruni.

Albero a foglie decidue. Fioritura: Maggio-giugno. Altezza: fino a 25 m. Ambiente: su terrenicalcarei, fino a 800 m. Propagazione: talea,seme.

Usi & Co. La sua particolarità sta nella forma delle foglie, dissimili da quelle di un sorbo, più assomiglianti a quelle degli aceri. I frutti di questa pianta, dal gusto un po’ acido perché ricchissimi di tannini, possiedono proprietà curative (per il contenuto di acidi organici e di acido malico in particolare) tanto che un tempo venivano usati per curare le coliche e come tutte le varietà dei sorbi per la dissenteria. Il legno tuttora è molto ricercato in quanto si presta alla lavorazione e alla lucidatura, indicato per lavori di ebanisteria e strumenti musicali. SORBO DEGLI UCELLATORI (Sorbus aucuparia L. – Pyrus aucuparia Gaerth.) Famiglia: Rosaceae Nomi dialettali: Sorba, Cherbella (RE); Corbella, Sorvo (MO); Pomarièl (Romagna). Etimologia:Il nome specifico deriva dal latino “aucupor”, andare a caccia di uccelli, formato da “avis” uccello e “capio” prendere. Albero a foglie decidue.

Fioritura: ;Maggio-luglio. Altezza: fino a 15 m. Ambiente: su terreni acidi e umidi, da 600 fino a 2000 m . Propagazione: talea, seme.

Pianta diffusa in Europa e Africasu tutto il territorio esclusa la Romagna si trova sporadico nei margini di queste. Specie eliofiltrovare anche sotto forma di arbuIl tronco è sottile e ramificato, la le foglie sono caduche, alterne, c

settentrionale; in Italia è presente Sardegna; nella Regione Emilia-boschi di faggio ed in radure e ai a indifferente al substrato, si può sto in pendici desertiche e sassose. chioma rada è ovale e arrotondata; omposte da 4-9 paia di foglioline

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imparipennate, di forma oblungo-lanceolata, lunghe fino a 80 cm. Hanno apice acuto, margini interi nella pagina inferiore, seghettati in quella superiore. La pagina superiore è verde scura, quella inferiore è leggermente pelosa, verde-azzurra. Emanano un cattivo odore e in autunno assumono un colore rossastro. I fiori si presentano in densi corimbi fino a 15 cm di diametro formati da fiori di 1 cm, bianchi e molti profumati con 5 petali. I frutti simli a pomi, sono di colore giallo, arancione, rosso o bruno-rossastro a seconda della varietà; hanno forma sferica con diametro di circa 1 cm. Sono portati da lunghi penducoli e raccolti in gruppi pendenti. Usi & Co. Viene coltivata sempre più frequentemente come pianta ornamentale, specialmente nei paesi di montagna, per lo splendido aspetto decorativo delle foglie pennate, dei fiori e dei frutti scarlatti. I frutti sono acidi , ma ricchi di tannino; venivano impiegati in salse per i piatti di selvaggina. I legno viene utilizzato per lavori al tornio e intaglio. Il nome di sorbo degli uccellatori, deriva poi dal fatto che una volta dalla polpa dei frutti si ricavava una sostanza vischiosa che serviva a catturare gli uccelli. La tradizione vuole che venisse piantato anche per tenere lontane le streghe. Liquore alle sorbe 7 dl di alcol a 95°, 3 grappoli di frutti di sorbo degli uccellatori, la scorza di un limone, 3 chiodi di garofano, cannella, 5 cucchiai di zucchero Raccogliete nel periodo appropriato i grappoli maturi. Deponeteli in un recipiente a imboccatura larga e cospargeteli con lo zucchero. Lasciate macerare, a recipiente chiuso, per 3 giorni. Aggiungete quindi la scorza di limone, un pezzetto di cannella e i chiodi di garofano. Versate l’alcol e tappate bene; lasciate in infusione per 2 mesi in cantina agitando spesso. Filtrate bene e attendete 4 mesi prima di consumare. SORBO DOMESTICO (Sorbus domestica L.) Famiglia: Rosaceae Nomi dialettali: Sorbè(RE), sorb, Sorvola(BO), Corbello, Cherbella(MO), Sorbel, Sorb (RA).

Etimologia:Il nome deriva dal latino “sorbum”, con il quale si indicavano il frutto del sorbo domestsor - acido. Originario dell’Europa meridionale e d

presente su tutto il territorio, ma più raro al nord. Si trova spontaneo nei bosdella fascia submediterranea e di quella sub montana; è una specie eliofila e ben drenati.

Albero a foglie decidue. Fioritura: Maggio. Altezza: fino a 20 m. Ambiente: in boschi di latifoglie, bassa e media collina. Propagazione: talea, seme.

Albero con rami espansi e ascendenti, tronco diritto con corteccia grigio verde si fessura in tante piccole placche irregolari. Le gemme sono allungate e unalterne ed imperimpennate, sono lunghe fino a 20 cm, con 6-10 paia di fsessili, a margine intero nel terzo prossimale ed acutamente dentato nel restriuniti in ampi corimbi posti al termine dei rametti; tutta l’infiorescenza è ricoe lanoso; il calice è composto da cinque sepali triangolari più lunghi che lpetali bianchi più o meno rotondi con base cuneata. I frutti sono subglobosi

ico; la sua radice celtica è

el Nordamerica, in Italia è chi di querce caducifoglie preferisce suoli profondi e

astra, diventa poi più scura po’ attaccaticce. Le foglie, oglioline ovate lanceolate, o; apice acuto. I fiori sono perta da un tomento denso

arghi; la corolla ha cinque a forma di pera (Pyrifera

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Hayne) o piccola sfera (Pomifera Hayne), lunghi da 20 a 40 mm, prima giallo rossiccio e punteggiato, poi via via che si raggiunge la maturazione diventa bruno. Il sorbo domestico è una specie rustica, tollerante al freddo e la siccità. Durante il pieno riposo invernale può resistere fino a temperature – 30°. Specie eliofila, predilige posizioni soleggiate. Come il S. Aria cresce su terreni aridi e calcarei, ma minifesta maggiore tolleranza vero i suoli pesante e argillosi; può crescere anche su suoli acidi, al pari del S. Torminalis. Grazie alla fioritura tardiva (fine aprile-maggio) non teme in genere le gelate primaverili. Come si coltiva Il sorbo domestico viene propagato per seme o per innesto. La riproduzione per seme è la forma di propagazione utilizzata per l’uso forestale. La germinazione avviene in natura dopo 18 mesi dalla maturazione. La stratificazione per 3-9 mesi a 0-3°C ha fornito risultati soddisfacenti per interrompere la dormienza. È probabile che l’estrazione dei semi dal frutto appena raccolto e la semina tempestiva possano favorire una più pronta germinazione, come riscontrato per S. torminalis. L’innesto è preferito nella vivaistica ornamentale e nelle frutticoltura amatoriale, soprattutto per accelerare l’entrata in produzione, che nelle piante da seme si verifica dopo circa 15 anni. Le specie utilizzate come portinnesti sono il franco (S. domestica), il cotogno (Cydonia oblonga Miller.) e il biancospino (Crataegus monogyna L.). Cotogno e biancospino favoriscono una più rapida entrata in produzione e una minor vigoria della pianta rispetto al franco, ma possono causare fenomeni di disaffinità e una minore longevità. Gli innesti che si sono dimostrati più efficienti sono il doppi spacco inglese e il triangolo, eseguiti a fine inverno, e il “chip budding” (scheggia) nell’estate. Il sorbo domestico è stato propagato anche per polloni radicali, talee radicali e in vitro, sia partendo da materiale in stadio giovanile che da espianti di piante adulte. Per quanto riguarda la biologia fiorale e la fruttificazione, il sorbo domestico è considerato autoincompatibile in larga misura e non sarebbe in grado di autofecondarsi. La difficoltà di fecondazione potrebbe essere una delle cause dello scarso numero di semi o dell’assenza di semi vitali generalmente osservato nelle sorbe di esemplari isolati. Anche se mancano dati sperimentali a supporto di queste osservazioni, è quindi consigliabile la presenza di varietà diversa per favorire l’impollinazione incrociata. Il sorbo può essere colpito, al pari di altre Rosaceae, dal colpo di fuoco batterico (Erwinia amylovora). La ticchiolatura (Venturia inaequalis), causa danni a foglie e frutti, determinando in alcuni casi la caduta delle foglie e dei frutticini. Tradizioni & Co. Il legno di sorbo è ed era molto apprezzato per le sue caratteristiche: duro e compatto, alta resistenza e stabilità una volta seccato; un tempo veniva utilizzato per fabbricare ingranaggi, cunei, pezzi soggetti ad attrito, manici di utensili, calci di fucili, oltre che per strumenti musicali, statue e strumenti di misura. ..”Il legno di sorbo è il migliore, il più duro quello che ha meno nodi ed è quindi facile da lavorare. Una volta lo usavano per fare, oltre che agli attrezzi comuni, anche le bocce da gioco che risultavano quasi indistruttibili dal gran che erano compatte.” Dal punto di vista simbolico la pianta del sorbo rappresenta la prudenza a causa della sua prerogativa, simile a quella del nespolo, di crescere lentamente, ma robustamente, cioè con prudenza. C’è, poi, chi associa al simbolo della prudenza, quello della pazienza, per il modo lento di maturazione delle sorbe.

“Elt elt coma ‘na cisa, ros ros com’na zrisa, dôlz dôlz com’e mèl, mêr mêr com’e fel.”

“Alto alto come una chiesa, rosso rosso come una ciliegia, dolce dolce come il miele, amaro amaro come il fiele”

“Con il tempo e con la paglia maturano le sorbe e la canaglia.”

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Questi frutti , come le nespole, erano immangiabili appena raccolti ed era necessario attendere il momento in cui cominciavano a decomporsi: venivano infatti stesi sopra la paglia in stanzoni ben

arieggiati e in poco tempo diventavano commestibili e di sapore gradevole. “Sì, la frutta la si raccoglieva da terra di solito, perché le piante erano troppo alte e pericolose…poi si

lasciavano maturare per qualche mese, così come per le nespole, e poi si mangiavano.” In una frazione del comune di Sorbolo (PR), precisamente a Coenzo, si stà riscoprendo il vecchio sidro di sorbe, qui chiamato “Sorbolino”. Sono state ritrovate tracce di questa preziosa bevanda in documenti fin dal Seicento, alla Corte dei Gonzaga di Mantova, dove veniva considerato un liquore nobile, da servire agli ospiti di riguardo nei castelli e nei palazzi dei signori, tant’è che figura al banchetto che il marchese Gonzaga fece preparare in onore della regina Cristina di Svezia. Venne citato da Dante, Boccaccio, Leonardo, Ariosto, Soderini, Manzoni e Pascoli. Medicina & Cosmesi Le sorbe essiccate entravano nella farmacopea popolare della prima metà del secolo in Austria, per la cura della dissenteria. La pianta è importante in “gemmoterapia” per l’attività di regolazione della circolazione venosa (Sorbus domestica 1DH Gemme: 50 gocce, diluite in poca acqua, due volte al giorno- in fitoterapia contro le varici alle gambe). I frutti sono stati usati fin dall’antichità per la loro azione astringente, tonica, diuretica, colagoga, grazie al sorbitolo, e antiemorragica. Rimedi contro i bruciori di stomaco: sorbo selvatico: frutti freschi gr. 20-50 al giorno oppure decotto: un pugno e mezzo di frutti nell’acqua di un litro, se ne beve fino a tre tazze nelle 24 ore. Cucina & Ricette Nell’antichità le sorbe, Galli e Celti furono i primi ad usarle, venivano fatte fermentare con il grano, ottenendo una bevanda simile al sidro chiamata Cerevisia, citata da Virgilio nelle “Georgiche”. Fino alla seconda guerra mondiale anche nell’Appenino Romagnolo si produceva questo sidro, In alcuni Paesi i sidri di sorbe sono utilizzati anche per correggere quelli di mele; la riscoperta dei “frutti dimenticati”, ha stimolato la riproposta di vecchie ricette, salse, liquori e grappe. Le sorbe possono essere anche utilizzate per la produzione di un aceto particolare e per l’estrazione dell’acido malico; in alcune zone d’Italia venivano tagliate a fette e infilate in collane, a seccare, per mantenerle tutto l’inverno. Salsa di sorbe (pe accompagnare la faraona arrosto) Schiacciare le sorbe ben mature (300g) con poco sale, qualche cucchiaio d’acqua e metterle a cucinare per 7-8 minuti, poi snocciolare, passarle al setaccio e unire lo zucchero (120g) far cuocere il composto fino al giusto addensamento e servire a lato della faraona arrosto. Souffle di sorbe 500 gr di sorbe mature, 50 gr di burro, 150 gr di zucchero, 4 uova, 50 gr mandorle tritate finemente, biscotti tritati finemente,1 bicchiere di albana amabile Fate cuocere le sorbe con lo zucchero ed il vino, passateli quindi al setaccio e mescolate la polpa con i tuorli, le mandorle, un cucchiaio di pan grattato. Montate gli albumi a neve ed uniteli delicatamente al composto che verserete poi in uno stampo imburrato e cosparso con i biscotti tritati. Cuocete per trenta m inuti in forno a 200° e servite ancora caldo. Liquore di sorbe 400 gr di sorbe, 300gr di zucchero, 3 chiodi di garofano, buccia di 1 limone, 1 cm di cannella, ½ l di alcool 95°

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Lavare e asciugare le sorbe, poi metterle in vaso a chiusura ermetica insieme a tutti gli altri ingredienti. Lasciare il vaso al sole per la prima settimana, poi ritirarlo in cantina per sei mesi. Passato questo periodo filtrare il liquore, imbottigliare e far invecchiare altri quattro mesi prima di servirlo. SPINOCERVINO (Rhamnus catharticus L.) Famiglia: Ramnaceae Nomi dialettali: Spen sarzol, Spen zerven (Romagna); Spe zarven (BO). Etimologia: nome composto da spino e cervino, da ricercare nelle reciproche origini.

Si trova in boschi e siepi dell’otemperate dell’Europa e dell’Asia. si trova anche in Sicilia. Questospinescenti, con foglie lunghe 20-70con 2-4 paia di nervi, secondari coo più o meno pubescenti. I fiori sriuniti in fascetti. I frutti sono delle

venivano usati nella medicina popolare come purgante drastico, hproprietà tintorie.

Alberetto o arbusto. Fioritura: aprile-giugno. Altezza: da 1 a 5 metri. Ambiente: collina emontagna da 400m a1400.

Usi & Co. Le drupe di Spino Cervino e di Frangola si usavano per ottenere Spino o il Giallo Santo) e il verde vescica, soprattutto peò vepurgarsi. Nella campagna Bolognese per un uomo con la barba troppo ispida “C’l’ avèva una bèerba d’spein zarvein” . Citato dal Mattioli, Soderini, Durante e Lasti: “Il ranno catartico, ose si colgono il luglio, quando son verdi, servono a tinger giallo; sequando sono appena mature, tingono in verde; se in ottobre, quvioletto.” Dal Vocabolario di Agricoltura: “bacche di questo medicinale efficace contro la cachessia e artritude.” SUSINO (Prunus domestica L.: Susino europeo) – (Pruninsititia L.: Damaschine, Mirabelle e San giuliane) Famiglia: Rosaceae

rizzonte sub montano nelle zone In Italia è distribuito ampiamente e alberello presenta i rami vecchi mm, subopposte ovali, penninervie

nvergenti verso l’apice, sono glabre ono piccoli, di colore verdastro, e drupe nere lucenti a maturità, essi anno inoltre assieme alla corteccia

coloranti quali il giallo (il Giallo si nivano utilizzate in decozione per

si diceva:

ssia lo spino cervino, le cui bacche, in agosto ed a’ primi di settembre,

ando sono strafatte, danno il color arboscello danno un succo d’uso

us

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Nomi dialettali: Brugna, Brugnon, Progna, Prun. Etimologia: Il nome Prunus deriva dal nome latino della pianta. Il Prungo è originario delle regioni dell’europa orientale e dell’Asia occidentale. Si presenta come un piccolo albero a ramificazioni erette che cresce fino all’altezza di 6-7 m. Le foglie sono alternate, ovali, di color verde scuro e piuttosto spesse con la pagina inferiore leggermente pelosa. I fiori sono bianchi-avorio, a 5 petali, sbocciano tra Aprile e Maggio e sono impollinati da insetti. Le gemme a fiore si formano in prevalenza a mazzetto. Il frutto è una drupa, piccola, rotonda, generalmente ovaliforme e ha una buccia (epicarpo), con colore che varia dal giallo, al verde, al rosso fino al viola blu, che presenta esternamente una patina più o meno spessa di cere. La polpa può essere pastosa o succosa. Il seme rinchiuso in un nocciolo (endocarpo) talvolta piuttosto appuntito presenta dimensioni variabili tra le specie e talvolta si stacca molto bene dalla polpa (spicca). Medicina & Cosmesi La corteccia, raccolta da febbraio a marzo, presenta proprietà astringente e febbrifuga. –Decotto: una manciata di corteccia sminuzzata cotta per mezz’ora in un litro d’acqua e quindi passare al setaccio. Da 3 a 5 bicchierini al giorno nelle febbri intermittenti. I fiori, raccolti ad aprile, hanno proprietà lassativa. – Infuso: un pugno per un litro di acqua calda e dopo 10 minuti colare. Da 3 a 4 tazzine al giorno nelle stipsi ostinate. Si rinforza con l’aggiunta di mannite gr. 0,5 per anno ai bambini, gr. 8-15 agli adulti, oppure un pizzichino di foglie di Sena. I frutti, raccolti ad agosto, presentano proprietà lassative ottime, quando sono secchi e vitaminiche, quando sono freschi. – Decotto: macerare gr. 50 di susine secche dimezzate in gr. 200 di acqua, un giorno per l’altro cambiando l’acqua se si vuol eliminare zucchero ed acidi e poi bollire 3 o 4 ore. Il decotto da bere a tazze al mattino a digiuno e la polpa mangiata calda e bagnata al principio dei pasti nella stitichezza dei deboli, bambini e vecchi. Conserva o polpa a cucchiai per affezioni dell’aparato digestivo, enterite cronica, malattie della pelle. Varietà & Innesti Generalmente i susini, soprattutto quelli europei, cioè i susini domestici che producono le prugne, non hanno problemi di impollinazione per poter produrre perché possono autofecondarsi. Quindi è possibile avere intere coltivazioni di una sola cultivar autofertile per ottenere buone produzioni, anche se la presenza di diverse cultivar in generale aumenta notevolmente la quantità di frutti da raccogliere. L’impollinazione dei fiori per questi fruttiferi, cioè il trasporto del polline sullo stigma dei fiori, è entomofila, cioè realizzata per mezzo degli insetti pronubi. In molti casi i susini dopo la fioritura, producono molti frutti che a maturazione potrebbero risultare di piccola pezzatura. Per questa ragione, se si vuole raccogliere frutti di grosse dimensioni, è consigliato il diradamento dei frutticini, cioè l’eliminazione di una certa quantità quando sono ancora piuttosto piccoli. Negli impianti razionali le piante sono innestate e come portainesto viene spesso usato il Mirabolano che dà alla pianta un notevole sviluppo e una buona longevità. Di seguito sono descritte alcune delle varietà antiche, presenti sul nostro territorio: Favorita del Sultano (Borsa del bricco, Fiascona, Borsa d’brecca) Cultivar di origine sconosciuta da tempo coltivata in Emilia-Romagna. Frutto grosso, allungato, degradante in un collo verso l'attaccatura del picciolo. Buccia aranciata, sfumata di rosso-viola. Polpa

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gialla, di media consistenza, aderente al nocciolo. Molto vigoroso, a portamento espanso, di elevata produttività. . Autofertile. L'epoca di fioritura è intermedia, si raccoglie a luglio. Grossa di Felisio Chiamata anche “Big egg” (grande uovo) o “Empress” per la dimensione notevole dei frutti, matura a metà agosto, ed ha quindi susini di grossa pezzatura, saporitissime, dalla forma allungata. Pisera Il nome deriva dal colore tipico di questa prugna e dalla sua forma allungata. Il frutto si presenta appunto di forma ellissoidale, di colore giallo dorato, con polpa soda, di colore giallo ambrato e di sapore ottimo. Matura a fine Luglio, primi di Agosto, per consumo fresco. Regina Claudia d’Althan (Regina Claudia Violetta) Rinvenuta in Ungheria nel 1860. L’albero è di medio elevata vigoria è di produttività scarsa. Ha portamento assurgente. Il frutto è di grossa pezzatura e di forma sferica. La buccia ha un colore di fondo giallastro con sopraccolore rosso violaceo sul 90% della superficie, rivestita di abbondante pruina. La polpa è di colore giallo rossastro, discretamente soda, spicca, di sapore ottimo. È autosterile, matura nella terza decade di luglio, primadecade di agosto. Regina Claudia mostruosa,o d’Oullins Conosciuta fin dal 1800, l’albero è di buona vigoria, con portamento assurgente, di buona produttività anche se tarda a mettersi in produzione. Il frutto è di buona pezzatura e di forma sferoidale. La buccia è molto pruinosa, di colore verde che tende ad ingiallire a maturità e nelle parti esposte al sole. La polpa è di colore giallo verdastro, mediamente soda, spicca, di sapore ottimo. È autofertile, ma si giova dell’impollinazione di Regina Claudia trasparente. Matura nella terza decade di luglio, prima di agosto. Regina Claudia trasparente (o diafana, o gialla) Rinvenuta in Francia nel 1835. Albero di buona vigoria e dal portamento assurgente (i rami cioè tendono ad essere rivolti verso l’alto) di buona e costante produttività, anche se di lenta messa a frutto. Il frutto è di pezzatura media, di forma sferoidale leggermente appiatita ai poli. La buccia è molto pruinosa, si stacca facilmente dalla polpa ed è di colore giallo rosato o giallo verdastro nei frutti meno esposti alla luce. La polpa è giallo verdognola, di consistenza media, aromatica, spicca, di sapore ottimo. È autofertile, matura alla fine della terza decade di luglio, primi di agosto. Regina Caludia verde Coltivata in Francia fin dal 1500, una tra le susine sicuramente più antica, probabilmente la madredi tutte le altre “Regine Claudie”. L’albero è di ottimo vigore, portamento espanso,di discreta produttività. Il frutto è di pezzatura medio piccola, di forma leggermente oblata, cioè schiacciata ai poli, e asimmetrico. La buccia è di colore verde chiaro, diventa rosato nelle parti esposte al sole. La polpa è di colore giallo verdastro, mediamente soda, spicca, di sapore ottimo. È autosterile, matura nella prima decade del mese di agosto. San Pietro (san Piero) Di probabile origine toscana. Deve il nome periodo di maturazione (29 giugno, festa di S. Pietro e Paolo). Frutto medio, di forma ellissoidale, allungato, con apice arrotondato. Buccia molto pruinosa, viola-scuro con riflessi rossastri. Polpa gialla, soda, molto dolce, aromatica, spicca, di buon sapore. Albero molto vigoroso, di produttività medioelevata, a portamento assurgente. Mediamente autofertile. L'epoca di fioritura è intermedia. Raccolta a fine giugno, primi di luglio. Spiccalosso

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Il nome deriva dalla facilità con cui il nocciolo si stacca dalla polpa. Il frutto si presenta di forma ellissoidale, di colore viola rossastro, con polpa di colore giallo intenso, soda, di sapore mediocre. Matura ad agosto, si consuma allo stato fresco. Zucchella, gruppo (Mischina Bianca e Nera, Mazzucchella, Damaschine, Collenghine, Scanarde, Cervellate) Tanti nomi per definire varietà molto simili tra loro e presenti, ma non solo, nelle campagne del parmense e del piacentino, infatti susine con un nome simile 8”Brogne Mischine” sono segnalate anche in Vallecamonica. Zucchella è il termine con cui queste susine sono conosciute nel parmense, “Collenghina” e “Mischina” sono usati nel piacentino e reggiano. Il nome “Mischina” è il termine dialettale derivato da “Susina Damaschina” che indicava l’origine asiatica di questa varietà. Il frutto è ricco di antiossidanti che proteggono dall’invecchiamento e di fibre che hanno effetto lassativo, oltre che di elementi minerali come potassio, magnesio e ferro. Si tratta spesso di esemplari originati da seme o da pollone, sono più rustici rispetto alle varietò innestate e risentono eno dei marciumi radicali e di alcune malattie che attaccano frutti e foglie. Spesso fruttificano abbondantemente un anno, per essere quasi prive di frutti l’anno successivo (alternanza di produzione). Per favorire la produzione dei frutti le potature devono essere limitate al diradamento dei rami di un anno ed alla eliminazione, graduale, delle brachette di quattro o più anni che con il tempo riducono la loro produzione. Sono varietà autofertili, quindi non necessitano di un’altra varietà per la fecondazione. Questa susina si adatta a diversi tipi di terreno, e cresce fino alla media montagna. Fiorisce a primavera inoltrata e questo consente alla pianta di resistere abbastanza bene alle gelate tardive. Quando si raccolgono i frutti è meglio iniziare da quelli posti in cima alla pianta, o sui rami più esterni, meglio esposti al ole, e raccogliere più tardi quelli che si trovano sui rami più interni. Il frutto si presenta di forma ellissoidale, più o meno allungata, con buccia violacea (esiste anche una varietà “bianca”, di colore giallo-verde o giallo dorato, che però è meno pregiata), il frutto è coperto da una patina cerosa. La polpa è va da un colore giallo verdastro all’ambrato, di consistenza soda, sapore ottimo e intensamente profumato; si raccoglie a Luglio – Agosto. Le zucchelle vengono utilizzate fresche, da essiccare, da marmellata o sciroppate. Cucina & Ricette “Antigh c’me ‘l brugnj” (Antico come le prugne) I tenori usavano fare gargarismi con decotti di foglie di susino per schiarire la voce. Le susine o le prugne oltre ad essere consumate fresche, vengono utilizzate in cucina per la produzione di marmellate e gelatine ed in alcuni casi (le prugne) vengono essiccate per poterle conservare. Questi frutti sono inoltre una componente importante nella “Frutta in guazzo”, un modo di conservare la frutta, che durava in questo modo per tutto l’anno, infatti man mano che maturavano tipi diversi di frutta venivano messi sotto spirito, così come viene indicato nella ricetta di Artusi: “A chi piace la frutta in guazzo, puà riuscire gradito il seguente modo di confezionarle. Cominciate dalle prime che appariscono in primavera, cioè: dalle fragole, dal ribes e dai lamponi, e ponete in un vaso 50 o 100 grammi per sorta; copritele con la metà del loro peso, di zucchero e tanta acquavite o cognac che le sommerga. Poi proseguite con le ciliegie, le susine, le albicocche, le pesche, tutte private del nocciolo e, all’infuori delle ciliegie, tagliatele a fettine, aggiungendo sempre in proporzione zucchero ed acquavite. Potete mettervi anche uva spina, uva salamanna e qualche pera gentile; ma poi assaggiate il liquido per aggiungere zucchero o acquavite, a tenore del vostro gusto. Formato il vaso, lasciatelo in riposo per qualche mese prima di servirvene.” Lombo scaloppato alla Regina Claudia d’Althan 800 gr. di lombo di maiale disossato, 300 gr. di susine regina claudia d’althan senza nocciolo, 1 bicchiere di vino bianco, 50 gr. di burro, 80 gr. di salsa di pomodoro, 2 cucchiai di farina, Prezzemolo tritato, sale, pepe.

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Tagliare la carne a fette, salare, pepare, passarle nella farina e fatele dorare nel burro. cuocere le prugne nel vino; poi mettetele sopra alla carne, con il loro sugo e fare cuocere aggiungendo la salsa di pomodoro, prima di servire spolverizzare con il prezzemolo tritato (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (RA) - Chef Fava Katia). Grappa alla Prugna 5 dl di alcol al 95°, 6 susine mature o 4 prunge, la scorza di limone, 4 chiodi di garofano, cannella, zucchero, acqua distillata Avvolgete i frutti nella garza e sospendeteli in un recipiente dall’imboccatura larga. Versate su di essi l’alcol, aggiungete la scorza di limone, un pezzetto di cannella e chiodi di garofano. Chiudete bene il vaso e mettte in cantina a macerare per 45 giorni. Eliminate i frutti e assagiate il preparato; aggiungete acqua distillata e zucchero a piacere. Richiudete il recipiente e fate stagionare 4 mesi in cantina prima di consumare. UVA SPINA (Ribes uva- crispa/grossularia L.) Famiglia: Sassifragaceae Nomi dialettali: uva spêna

Etimologia: il nome della Famiglia deriva latino “saxum” (pietra) e “frango” (rompqueste piante che solo die si abbarbicano con leinfrangerle.

Presenta foglie lunghe 2-4 cm, a 3-5 lobi dentati, glabre o pubescenti. fiori bisessuali, solitari o riuniti a 2-3, con petali bianco-verdognoli ogiallo-dorata, inizialmente ispida, poi glabra a maturità.

Arbusto spinescente. Fioritura: Giugno-Agosto. Altezza: 1-2 m. Esposizione: mezz’ombra. Ambiente: specie sporadica che vive in radure e margini di boschi freschi della fascia collinare, montana. Propagazione: talea, divisione, seme

Questa pianta preferisce in genere il freddo al caldo, terreni umidi ed euna potatura di contenimento alla fine dell’inverno e di cimature veSubito dopo l’impianto seguirà una potatura di allevamento per stimolarportamento a vegetazione corta e fitta per formare siepi o arbusti isolacimatura verde nel mese di maggio-giugno per accorciare i getti lateraterminale) affinché le gemme ascellari fogliari al di sotto del taglio si ifioritura, prima, e alla fruttificazione poi nell’anno seguente. Le bacche vanno raccolte in luglio, stimolano l’appetito e aiutano la diglassative. Sottoforma di sciroppo era utilizzata per le cure dei nervd’acqua). Fate attenzione ai frutti acerbi poichè ingeriti in discrete quan Cucina & Ricette I frutti dell’uva spina venivano e vengono utilizzati tuttora per aromati

dal

o), si intende la natura tenace di roccia e pietra sembrano vivere radici ad esse, fino, si crede, a

Picciolo lungo quanto la lamina, porporini. Il frutto è una bacca

sposizioni fresche. Necessita di rdi durante il ciclo vegetativo. e la pianta ad assumere un certo ti. L’uva spina necessita di una li di una branca (anche la parte nturgidiscano e si preparino alla

estione, sono inoltre diuretiche e i (1-2 cucchiaini per bicchiere tità possono recare disturbi.

zzare condimenti e carni.

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Gelatina di mirtilli e uva spina 700g di mirtilli, 300g di uva spina, zucchero. Pulite con delicatezza i mirtilli e l’uva spina, metteteli al fuoco in una casseruola con 1 bicchiere e ½ di acqua; portate a bollore e cuocete 6-8 minuti. Togliete la frutta dal fuoco, versatela su un setaccio fine e filtrate. Unite al succo ottenuto una pari quantità (o anche minore, a seconda dei gusti) di zucchero, mescolate bene. Mettete a cuocere su fuoco allegro e, quando lo sciroppo si addenserà, versatelo nei vasi e coprite. Delizia dell’uva spina 1l di grappa, 20 bacche mature di uva spina, 2 foglie fresche di basilico, la scorza di ½ limone, 4 cucchiai di zucchero. Deponete le bacche di uva spina ben mature in un recipiente e, dopo averle cosparse con lo zucchero, lasciatele riposare per 2 giorni. Versate quindi sui frutti la grappa, aggiungete le foglie di basilico e la scorza di limone. Fate macerare, in luogo caldo ma soleggiato, per 3 settimane, agitando spesso. Trasferite il recipiente in cantina e lasciate riposare altre 2 settimane. Filtrate, recuperate le bacche e rituffatele nella grappa. Fate riposare un altro mese in cantina prima di consumare.

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- “Pum e pumme: Meli e mele nel Biellese.” – MARCO MAFFEO – Bielbi Editrice – 2000 - “I Frutti minori in Europa.” – ELVIO BELLINI – Edizioni l’Informatore Agrario – 2002 - “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene.” – PELLEGRINO ARTUSI – Newton Compton

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Ceccarelli – 2005 - “Pomona Italiana” – GALLESIO - “Il museo della frutta – La collezione Garnier Valletti e la Frutticoltura storica piemontese.” –

Casa Editrice Umberto Allemandi & C. – Torino – 1996

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Ringraziamenti Per la realizzazione di questo manuale ho avuto bisogno di tanta collaborazione, vorrei pertanto ringraziare:

- in primo luogo la mia Famiglia, per l’appoggio e gli insegnamenti dati fin’ora,

- in particolare la mia carissima Nonna, fonte di sapere e saggezza, che non smetterò mai di ringraziare,

- mio Marito, per l’appoggio a continuare questa ricerca. Vorrei inoltre ringraziare vivamente: - l’Assessorato all’Agricoltura e alimentazione di Modena, nella persona

dell’Assessore Poggioli Graziano, - l’Associazione Prora, nella persona di Negroni Gian Piero, per le

informazioni dirette al territorio di Modena, - il C.R.P.V. di Forli-Cesena, che ha reso possibile la creazione di questo CD, - la signorina Scaglioni Giulia, che ha contribuito con la sua “Tesi sui frutti

antichi in provincia di Modena” - l’Associazione “La Pomposa di Modena”, nella persona di Gino Pennica, il

primo a sostenere questa iniziativa. - il Ristorante “Fava” di Casola Valsenio, nella persona di Fava Katia, che

mi ha fornito tante preziose ricette, - il Ristorante “Avion Blu” di Modena, nella persona di Enrico Vignoli, che

ha anche lui contribuito con le sue ricette, - Infine tutti quelli che in tutti questi anni mi hanno dato tante piccole

informazione tali da creare questo volume

Katia Agide