L’uso del testimonial nella comunicazione quando il testimonial diventa (s)comodo

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L’USO DEL TESTIMONIAL NELLA COMUNICAZIONE: QUANDO IL TESTIMONIAL DIVENTA (S)COMODO? Alessandro Tesini L’USO DEL TESTIMONIAL NELLA COMUNICAZIONE: QUANDO IL TESTIMONIAL DIVENTA (S)COMODO? 1 di Alessandro Tesini 1. Il paradigma di Ogilvy. ”Rimango sempre più stupito dal fatto che un’intera industria investa milioni di dollari su una libera e, spesso, casuale associazione a volti famosi, dimenticando che il pubblico, di fronte ad un personaggio famoso che fa pubblicità, la prima cosa che percepisce è il fatto che costui, già ricco, si arricchisce ulteriormente.”; così, David Ogilvy, negli anni’60, lapidariamente sembrava liquidare la questione dell’uso del testimonial nella comunicazione pubblicitaria. Sono passati molti anni dal paradigma di Ogilvy e nonostante i grandi cambiamenti epocali nel nostro sistema di relazione sociale e di conseguenza anche all’interno del mondo della comunicazione, attraverso l’affinamento dei suoi molteplici strumenti, la questione dell’uso del personaggio famoso, quale testimonial di marca, è tutt’altro che risolta. Che cosa, dunque, può significare, oggi, la proposizione di Ogilvy, rispetto alla letteratura di marketing e di comunicazione contemporanea? Tentiamo di dare una risposta lungo il corso di questo scritto, procedendo da una case history disciplinare, tratta da un seminario svoltosi presso l’Università IULM di Milano. Partiamo dal titolo della lezione:L’USO DEL TESTIMONIAL NELLA COMUNICAZIONE, QUANDO IL TESTIMONIAL DIVENTA (S)COMODO? E’opportuno sottolineare che gli argomenti trattati, e successivamente inseriti ed adattati alla lezione, sono il risultato di un confronto con l’amico Sergio Mascheroni 2 in merito alle campagne pubblicitarie da lui 1 La case-history disciplinare è tratta da un seminario svoltosi all’Università IULM di Milano, durante l’anno accademico 2011-2012, presso cattedra di Psicologia dei Consumi del Prof. Vincenzo Russo, Corso di Laurea in “Relazioni Pubbliche e Comunicazione d’Impresa”. 2 Sergio Mascheroni è stato, per due lustri, direttore creativo della “ARMANDO TESTA”, sede di Milano. Per una più approfondita conoscenza del suo lavoro potete consultare il sito www.sergiomascgeroni.com 1

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Estratto da manuale di "Psicologia dei consumi", Nadia Olivero - Vincenzo Russo, McGraw-Hill

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L’USO DEL TESTIMONIAL NELLA COMUNICAZIONE: QUANDO IL TESTIMONIAL DIVENTA (S)COMODO? Alessandro Tesini

L’USO DEL TESTIMONIAL NELLA COMUNICAZIONE: QUANDO IL TESTIMONIAL DIVENTA

(S)COMODO?1

di Alessandro Tesini

1. Il paradigma di Ogilvy.

”Rimango sempre più stupito dal fatto che un’intera industria investa

milioni di dollari su una libera e, spesso, casuale associazione a volti

famosi, dimenticando che il pubblico, di fronte ad un personaggio famoso

che fa pubblicità, la prima cosa che percepisce è il fatto che costui,

già ricco, si arricchisce ulteriormente.”; così, David Ogilvy, negli

anni’60, lapidariamente sembrava liquidare la questione dell’uso del

testimonial nella comunicazione pubblicitaria. Sono passati molti anni

dal paradigma di Ogilvy e nonostante i grandi cambiamenti epocali nel

nostro sistema di relazione sociale e di conseguenza anche all’interno

del mondo della comunicazione, attraverso l’affinamento dei suoi

molteplici strumenti, la questione dell’uso del personaggio famoso, quale

testimonial di marca, è tutt’altro che risolta.

Che cosa, dunque, può significare, oggi, la proposizione di Ogilvy,

rispetto alla letteratura di marketing e di comunicazione contemporanea?

Tentiamo di dare una risposta lungo il corso di questo scritto,

procedendo da una case history disciplinare, tratta da un seminario

svoltosi presso l’Università IULM di Milano. Partiamo dal titolo della

lezione:L’USO DEL TESTIMONIAL NELLA COMUNICAZIONE, QUANDO IL TESTIMONIAL

DIVENTA (S)COMODO?

E’opportuno sottolineare che gli argomenti trattati, e successivamente

inseriti ed adattati alla lezione, sono il risultato di un confronto con

l’amico Sergio Mascheroni2 in merito alle campagne pubblicitarie da lui

create alla metà degli anni ’90, per l’azienda Martini e Rossi3. Le

conclusioni tratte, sono derivate dall’analisi dello sviluppo della

1 La case-history disciplinare è tratta da un seminario svoltosi all’Università IULM di Milano, durante l’anno accademico 2011-2012, presso cattedra di Psicologia dei Consumi del Prof. Vincenzo Russo, Corso di Laurea in “Relazioni Pubbliche e Comunicazione d’Impresa”.2 Sergio Mascheroni è stato, per due lustri, direttore creativo della “ARMANDO TESTA”, sede di Milano. Per una più approfondita conoscenza del suo lavoro potete consultare il sito www.sergiomascgeroni.com3 Martini & Rossi è una multinazionale di origine italiana attiva principalmente nella produzione e distribuzione di bevande, celebre principalmente per il marchio Martini e per le sponsorizzazioni sportive e culturali. È attualmente parte integrante del gruppo Bacardi-Martini.

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campagna “No Martini, No Party”, che ebbe in George Clooney il suo

testimonial d’eccellenza.

La necessità di dar vita ad un confronto serrato, tra i concetti di

“opportunità” e di “funzionalità” nel uso del testimonial, è nata in

relazione alla comparazione delle campagne pubblicitarie create per le

marche Martini e Nespresso, marchio, quest’ultimo, appartenente

all’azienda Nestlè4. Come è noto entrambe le pubblicità hanno come

protagonista Clooney.

Durante il seminario, abbiamo posto, in primo piano, il confronto con il

paradigma di Ogilvy ed il concetto di fondo ad esso correlato. E’ stato

il modello di Ogilvy stesso a fornirci il pretesto per la comparazione

delle due campagne pubblicitarie, che differenti per contesto di

prodotto, sono ambivalenti per valore identificativo.

Se l’affermazione, paradigmatica, di Ogilvy è ancora valida oggi, come la

dobbiamo considerare: una matrice disciplinare del marketing, oppure essa

rappresenta solo un possibile termine di paragone, per valore

identificativo di marca?

2. La realizzazione del messaggio nella strategia pubblicitaria.

Tutti sappiamo che, almeno in linea di principio, la realizzazione del

messaggio, durante la pianificazione della strategia pubblicitaria,

consiste nella trasformazione di un’idea in una comunicazione in grado di

sollecitare l’interesse del mercato e dei pubblici di riferimento, che

sono obiettivo specifico di quel mercato5. Ora ri-focalizzandoci

sull’argomento di nostro principale interesse, cioè il testimonial e

l’opportunità del suo utilizzo all’interno della campagna pubblicitaria,

dobbiamo definire l’ambito d’azione e di senso del processo

d’identificazione collegato alla marca, ovvero la credibilità del

testimonial nel tempo. Ecco che a partire dal modello di Ogilvy, la

questione di fondo, che lo stesso pubblicitario ha sollevato, rimane

immutabile nel tempo proprio in funzione della attendibilità del

4 La Nestlé S.A. o Société des Produits Nestlé S.A., con sede a Vevey, in Svizzera, è la più grande azienda mondiale nel settore alimentare.5 Siamo consapevoli che ogni messaggio possa essere presentato con stili esecutivi differenti.

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personaggio/testimonial della comunicazione pubblicitaria, durante tutto

il ciclo di vita della campagna6.

3. La specificità dei contenuti:il focus sulla campagna pubblicitaria,

e le parole chiave.

Trattandosi di un’analisi puntuale di due campagne di comunicazione

pubblicitaria, molto ben costruite e connotate, aventi lo stesso

testimonial, abbiamo puntato sulla discussione di elementi specifici

rispetto al focus contenuto nel titolo della lezione: il testimonial, il

focus sugli spot pubblicitari, i concetti e le parole chiave.

A questo livello della ricerca è irrinunciabile portare in primo piano le

domande fondamentali, che concorrono alla costruzione della strategia di

comunicazione pubblicitaria. Se il nostro obiettivo di fondo è gestire,

correttamente, il rapporto tra la marca ed il testimonial, che ci

rappresenta, dobbiamo chiederci: quando si ottiene il giusto equilibrio

tra testimonial e marca, e quando l’idea è davvero vincente?

Non è facile formulare una risposta che non sia solo il frutto di un

effetto di parola, tipico del linguaggio7 e dei suoi giochi8. La domanda

deve necessariamente costringerci al confronto con l’obiettivo di marca e

quindi con il mercato ed i suoi pubblici di riferimento9.

Nel caso del nostro paradigma, quale termine di comparazione di senso,

rispetto alla domanda originaria10, possiamo partire certamente da qui,

cioè dal fatto che, per gestire correttamente il rapporto tra la marca ed

6 Ne consegue, quindi, che qualsiasi evento negativo rispetto alla perdita di credibilità, innescherebbe invariabilmente una escalation di emergenze rispetto alla marca, ai pubblici di riferimento ed al mercato obiettivo del nostro investimento pubblicitario.

7 Anche il linguaggio pubblicitario sta in questa pratica che è l’effetto della parola.

8 Cfr. P. Hadot, “Wiettgenstein e i limiti del linguaggio”, Bollati Boringhieri, Incipit, Torino – S. Kripke, Wiettgenstein, “Su regole e linguaggio Privato”, Bollati Boringhieri, Saggi, Torino - F. Palmieri, “Wiettgenstein e la Grammatica”, Jaca Book, Lo spoglio dell’occidente, Milano - C. Sini, “Etica della Scrittura”, Mimesis, Volti - L. Wiettgenstein, “Della certezza. L’analisi filosofica del senso comune”, Einaudi, Paperbacks Filosofia, Torino.

9 A nessuno certamente sfugge che il successo o l’insuccesso di un prodotto e la marca ad esso correlata viene determinato da questi pubblici consumatori.

10 Quando il testimonial diventa (s)comodo?

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il testimonial, dobbiamo progettare e sviluppare una strategia di

partenza che esuli dal “volto” del personaggio famoso.

Non dimentichiamo che il testimonial va supportato da un’idea11 e da una

storia sempre12.

4. La strategia contenuta nel messaggio pubblicitario.

Sappiamo che non diciamo nulla di nuovo affermando che la strategia del

messaggio pubblicitario è un argomento di rilievo, in qualunque

pianificazione strategica di marca, dato che il testimonial non è

all’interno del contesto pubblicitario in senso puramente

autoreferenziale.

Il testimonial ha la funzione di supportare la marca, non se stesso; se è

vero che, da un lato, l’obiettivo della pubblicità è di innescare, nei

consumatori di riferimento13, la coscienza del beneficio generato dal

prodotto, dall’altro è vero che, la volontà, non necessariamente resa

esplicita, è di innescare una reazione funzionale alla marca ed al suo

prodotto. Il testimonial, in quanto rappresentazione dello stile di vita

al quale poter aspirare, attraverso il possesso, la fruizione o il

consumo di quel prodotto, di quel bene o servizio, piuttosto incarna la

realizzazione e l’ottenimento del beneficio promesso.

5. La costruzione dell’infrastruttura della strategia di marca/prodotto

nella campagna con testimonial.

Le persone, di norma, reagiscono se motivate da un beneficio reale o

presunto. Pertanto la strategia del messaggio non può esulare dalla

infrastruttura strategica che determina l’individuazione del beneficio

arrecato dalla fruizione del prodotto di marca. Il testimonial deve

essere utilizzato in funzione dell’idea, senza compromessi, altrimenti si

corre il rischio che cannibalizzi la marca.

11 Idea e Storia sono parole chiave se mantenute nel loro contesto originario di fondo, altrimenti

sono solo parole

12 La campagna pubblicitaria di FastWeb è il caso tipico dove il testimonial, manco a dirlo è Clooney, non è supportato da una idea ed una storia coerenti con la marca ma tutto è lasciato nelle “mani” o meglio alla presenza scenica del suo testimonial!

13 Si definiscono i pubblici consumatori di riferimento in ragione del posizionamento di marca rispetto al mercato obiettivo

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6. Lo sviluppo del concetto creativo e la coerenza col messaggio

pubblicitario.

Sviluppare un concetto creativo di modo che esso consenta di attivare e

attuare la strategia di marca, rispetto al beneficio promesso, in modo

distintivo ed indimenticabile è auspicabile sopra ogni cosa. Il concetto

creativo ha come obiettivo, tra gli altri, quello di far rientrare,

nell’uso quotidiano del linguaggio comune il suo claim o “richiamo di

marca”.

Ad esempio, la formulazione del concetto creativo, deve essere coerente

col messaggio pubblicitario, facilmente memorizzabile, anche attraverso

la visualizzazione stessa del messaggio.

Quando l’idea creativa originaria è preminente, il format può poi

proseguire indipendentemente dal testimonial.

7. Il format e la rilevanza di marca: conclusioni.

Quando il testimonial è percepito come richiamo immediato al prodotto

pubblicizzato, il format, più che costituire rilevanza di marca, tende a

registrare il gradimento della pubblicità; è il modo della

rappresentazione, il contesto in cui la rappresentazione si consuma che

rende i pubblici di riferimento, pubblici consumatori del prodotto e

della sua marca.

Il format, che si regge su una idea creativa forte, tende a registrare il

gradimento dello spot nel suo complesso, in quanto l’alchimia degli

elementi, che costituiscono l’evento pubblicitario, si costituiscono in

un perfetto stato d’equilibrio dinamico tra loro.

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