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Università Telematica Pegaso L’autotutela
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 DEFINIZIONE E NATURA GIURIDICA -------------------------------------------------------------------------------- 3
2 IL DATO NORMATIVO ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
2.1. L’ART. 68 DEL D.P.R. 287/1992 E L’ART. 2-QUATER DEL D.L. 656/1994 ---------------------------------------------- 4 2.2. IL D.M. N. 37/1997 ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 6 2.3. LEGGE N. 28 DEL 18 FEBBRAIO 1999, ART. 27 ---------------------------------------------------------------------------- 7 2.4. LO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE ---------------------------------------------------------------------------- 7
3 L’AUTOTUTELA TRA DOVERE E FACOLTÀ ----------------------------------------------------------------------- 9
3.1. L’AUTOTUTELA TRA PROCEDIMENTO E PROCESSO -------------------------------------------------------------------- 10 3.2. AUTOTUTELA E RINNOVO DELLA PRETESA IMPOSITIVA --------------------------------------------------------------- 11
4 LE QUESTIONI “APERTE”: L’IMPUGNABILITÀ DEL DINIEGO DI AUTOTUTELA ------------------- 13
4.1. IL PETITUM DEL RICORSO E GLI EFFETTI DELLA SENTENZA DI ACCOGLIMENTO ----------------------------------- 14 4.2. IL SILENZIO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA ------------------------------------------------------------------ 17
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 21
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1 Definizione e natura giuridica
Connaturato al potere di emettere un atto amministrativo è, altresì, quello di ritirarlo ovvero
di emendarlo quando il medesimo appaia viziato alla stessa autorità che l’ha emanato: il potere di
autotutela della pubblica amministrazione, o ius poenitendi, costituisce, dunque, espressione dei
canoni costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento dell’agire amministrativo, rendendo
doverosa la rimozione dei vizi che inficiano un atto1.
Nel diritto amministrativo il potere di autotutela rientra nello stesso potere che ha
determinato l’emanazione dell’atto originario – viziato – e non necessita di espressa previsione
normativa. Oltre a ciò, lo ius poenitendi della Pubblica amministrazione non può fondarsi
esclusivamente sul vizio che affligge l’atto ma richiede, altresì, la sussistenza di un interesse
pubblico alla rimozione dell’atto viziato: non è, quindi, sufficiente il mero interesse al ripristino
della legalità violata. In sostanza, l’autotutela amministrativa si risolve in un potere discrezionale i
cui presupposti indefettibili sono sia la presenza di un vizio di legittimità che affligge l’atto, sia la
ricorrenza di uno specifico interesse pubblico al suo annullamento.
Nonostante l’atto impositivo sia riconducibile al genus degli atti amministrativi, l’autotutela
tributaria si differenzia sensibilmente da quella amministrativa e ciò in ragione della natura
vincolata dell’accertamento tributario. Tuttavia, il fatto che nell’accertamento tributario si esprima
una funzione amministrativa vincolata non fa, tuttavia, venir meno, l’esigenza di garantire la
perequata attuazione dei prelievi tributari e l’efficiente gestione delle risorse pubbliche, in cui si
sostanzia il buon andamento dell’amministrazione ex art. 97 Cost2.
Da qui le “peculiarità” dell’autotutela tributaria, fra le quali spiccano, in primo luogo, una
disciplina normativa espressa (su cui infra, par. 2) e l’assenza di valutazioni di convenienza al fine
del ritiro o della correzione dell’atto viziato: è, dunque, sufficiente l’esigenza di ripristino della
legalità.
1 F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2012, 156.
2 S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2009, 318.
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2 Il dato normativo
2.1. L’art. 68 del d.p.r. 287/1992 e l’art. 2-quater del d.l. 656/1994
In materia tributaria, il potere di autotutela è espressamente riconosciuto e regolato.
L’immediato antecedente “storico” dell’attuale disciplina dell’autotutela tributaria è da
ravvisarsi nell’art. 68, comma 1 del Regolamento 27 marzo 1992, n.287 ai sensi del quale “salvo
che sia intervenuto giudicato, gli uffici della Amministrazione finanziaria possono procedere
all’annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con
provvedimento motivato comunicato al destinatario dell’atto”3.
Successivamente, dopo un lungo iter legislativo, l’articolo 2 quater della legge 30 novembre
1994, n. 656 ha introdotto la possibilità di indicare gli organi dell’Amministrazione finanziaria
competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di
giudizio o nel caso della non impugnabilità dell’ atto ritenuto illegittimo o infondato.
Con il decreto ministeriale datato 11 febbraio 1997, n. 37 - in attuazione della delega
conferita al Governo dal citato art. 2 quater - è stato adottato il “Regolamento recante norme
relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi della Amministrazione
finanziaria”.
Si conferma, così, che il potere di autotutela è un principio generale del nostro
ordinamento, e ciascuna delle norme menzionate contribuisce a delineare il quadro dell’istituto.
In particolare, il legislatore, dopo aver riconosciuto gli organi dell’amministrazione
finanziaria quali titolari del potere di autotutela, prevede che questi ultimi possano attivarlo
allorché, all’esito dei controlli effettuati, la pretesa impositiva già manifestata sia risultata
3 Interessanti precedenti, relativi a forme di intervento favorevoli al contribuente, sono contenuti nell’art. 34 del R. D.
n. 3269 del 1923 (poi abrogato con l’articolo 80 del DPR 26 ottobre 1972 n. 634) ai sensi del quale “sia pure ai soli fini
delle imposte di registro, di successione, di incremento del valore degli immobili e ipotecarie” era possibile l’esercizio
di “un potere di riduzione motivata del valore accertato dopo che erano decorsi i termini di impugnazione dell’atto,
allorquando risulti manchevole o erroneo l’accertamento eseguito” e nell’art. 20 del R.D. 7 agosto del 1936, n.1639
che attribuiva all’ufficio finanziario il potere di revisione dei prezzi e dei valori che risultavano dalle stipule e dalle
denunzie delle parti del trasferimento “in base agli elementi di valutazione” che l’ufficio medesimo possedeva(3).
Altre disposizioni che meritano di essere menzionate sono relative alle fattispecie che prevedono il rimborso d’ufficio
delle somme illegittimamente iscritte a ruolo nel caso di errori materiali e di duplicazioni imputabili all’ufficio (art. 41
del DPR 29 settembre 1973, n. 602 e art. 8 del DPR 28 novembre 1980 n.787 per gli errori commessi dal Centro di
Servizio) e l’annullamento d’ufficio delle iscrizioni a ruolo disposte dal Centro di Servizio, a conclusione del controllo
formale delle dichiarazioni eseguito ai sensi dell’art.36 bis del DPR 600/1973.
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illegittima o infondata. Non sono preclusivi, a riguardo, né la proposizione di un ricorso, né la
pendenza di una controversia in qualunque stato e grado del giudizio4.
Suscita, invero, perplessità il riferimento della disposizione de qua all’eventuale
“infondatezza” della pretesa impositiva: i vizi degli atti amministrativi, infatti, sono sempre
annoverabili nella categoria dei vizi di legittimità. Di converso, la nozione di “infondatezza”
fuoriesce dalle classiche classificazioni dei vizi degli atti amministrativi5.
Ad ogni modo, volendo demarcare la linea di confine tra illegittimità e infondatezza, si
può ritenere che la prima designi gli errori di diritto, i vizi attinenti agli aspetti procedimentali
dell’attività istruttoria e quelli relativi alla formale redazione dell’atto (c.d. vizi dell’atto), mentre la
seconda concerne, piuttosto, gli errori sui fatti oggetto di imposizione e l’insieme dei vizi
“sostanziali”, relativi a questioni estimative e alla quantificazione del presupposto imponibile (c.d.
vizi della pretesa).
Secondo tale criterio distintivo, a titolo esemplificativo, l’atto sarebbe “illegittimo” nel caso
di difetto di motivazione, omessa indicazione delle aliquote, omessa sottoscrizione, vizi della
notifica, mancanza dell’autorizzazione richiesta dalla legge per accedere in determinati locali,
acritica ricezione nell’atto di accertamento del p.v.c. ecc. mentre la pretesa sarebbe “infondata”
allorché sia stato commesso un errore sui fatti oggetto d’imposizione, oppure laddove la
quantificazione del presupposto imponibile si riveli erronea per eccesso a causa di una cattiva
valutazione dei fatti6 .
La distinzione, pur valida sotto il profilo concettuale, non presenta rilievo particolare sotto
il profilo applicativo in quanto qualsiasi vizio del provvedimento, formale o sostanziale che sia, è
idoneo a determinare l’annullamento da parte della autorità amministrativa.
L’articolo 2-quater del d.l. n. 564 del 30 settembre 1994 ha contribuito ulteriormente a
definire i tratti dell’autotutela tributaria: l’esercizio del potere può, quindi, dar luogo
all’annullamento o alla revoca dell’atto (a tali poteri, successivamente si aggiungerà quello di
4 Prima della sua emanazione, è stato invece più volte sostenuto che il potere di autotutela poteva essere impedito dalla
azione di proposizione del ricorso e dalla pendenza di una controversia, dato che le parti sarebbero private della
disponibilità del rapporto che è attribuito in modo definitivo al giudice. In tal senso L. GALZERO, Non è ammesso il
rinnovo dell’accertamento impugnato, in Boll. Trib., 1981, pag. 495. 5 P.ROSSI, Il riesame degli atti di accertamento, Contributo allo studio del potere di accertamento d’ufficio a favore del
contribuente, Milano, 2008, pag. 218 ss.
6 D. STEVANATO, L’autotutela dell’ amministrazione finanziaria, Padova, 1996, pag. 135.
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sospensione di cui all’ art. 27 della L. n. 28 del 1999); non è, poi d’ostacolo allo ius poenitendi la
circostanza che vi sia pendenza di giudizio o addirittura la non impugnabilità dell’atto.
2.2. Il d.m. n. 37/1997
Il d.m. 37/1997 rappresenta il fulcro per la pratica attuazione dell’istituto.
Segnatamente, il decreto stabilisce il potere di annullamento o di revoca dell’ atto, ovvero di
rinuncia all’ imposizione, spetta all’ ufficio che lo ha emanato o che, in ogni caso, si rivela
competente per la attività di accertamento dello stesso7.
La norma prevede, poi, anche una competenza sostitutiva, riservata alla Direzione
Regionale o Compartimentale a seconda del tributo di riferimento, a fronte della“grave inerzia”
dell’Ufficio competente. Tale precisazione, dunque, garantisce al contribuente l’esercizio della
autotutela superando in tal modo l’eventuale immobilismo degli uffici. Tuttavia, posto che la “grave
inerzia” è concetto indeterminato, non è chiaro in momento il superiore gerarchico sia legittimato
ad intervenire in via sostitutiva, né quali comportamenti concreti integrino gli estremi della “grave
inerzia”.
Ulteriore profilo che merita di essere segnalato è, altresì, il fatto che il regolamento non pone
alcun limite temporale per l’esercizio del potere di autotutela. Oltre a ciò, vengono individuate
ipotesi classiche – esemplificative – in cui l’Ufficio può attivarsi in autotutela : Errore di persona,
evidente errore logico o di calcolo, errore sulla considerazione del presupposto d’imposta, doppia
imposizione fiscale, mancata considerazione dei pagamenti regolarmente eseguiti dal contribuente,
mancanza di documentazione sanata dalla successiva produzione entro i termini di decadenza8,
presenza dei requisiti per deduzioni, agevolazioni e altri tipi di detrazioni, errore materiale del
contribuente facilmente riconoscibile a suo favore, da parte dell’ Amministrazione9.
L’unico limite all’autotutela è costituito dai motivi sui quali sia intervenuta sentenza ormai
passata in giudicato favorevole alla stessa Amministrazione Finanziaria. Preme rilevare che neppure
7 V. FICARI , Pregi e difetti della disciplina regolamentare dell’autotutela dell’Amministrazione finanziaria, in Rass.
Trib. 1197,, pag. 346 ss., il quale sostiene che la precisazione effettuata dalla norma risulta superflua in quanto la
titolarità del potere di autotutela spetta chiaramente alla stessa autorità che ha emanato l’atto invalido o, in via solo
eventuale e sussidiaria, al suo superiore gerarchico. 8 Deve segnalarsi, però, che a tal riguardo già la circ. n. 9282 del 12 marzo 1997, emessa dalla Direzione delle Entrate
della Provincia autonoma di Trento, successivamente recepita dal Dipartimento delle Entrate nella circ. 195/E del 8
luglio 1997, aveva previsto tutta una serie di casi di possibile esercizio della autotutela in ambito di controllo formale
delle dichiarazioni, di rimborsi IVA e di imposte indirette. 9 Art. 2 del d. m. 11.2.1997 n. 37 e C.M. 5.8.1994, come modificato dall’ art. 27 della L. 28/1999.
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il giudicato impedisce in assoluto l’autotutela, purché il ritiro dell’atto venga fatto per motivi che
non contraddicono il contenuto della sentenza passata in giudicato.
Ad ogni modo, al di fuori di tale limite, l’utilità pratica dell’autotutela per il contribuente che
abbia ricevuto un atto illegittimo emerge soprattutto quando l’atto è divenuto illegittimo perché non
impugnato o impugnato senza successo.
2.3. Legge n. 28 del 18 febbraio 1999, art. 27
Con la legge 28/1999, il legislatore ha modificato la formulazione originaria dell’art. 2-
quater del d.l. n. 564 del 1994, concedendo all’ amministrazione finanziaria l’ulteriore potere di
sospendere gli effetti dell’atto illegittimo o infondato .
Il potere di autotutela ricomprende, dunque, non il solo potere di annullamento, bensì anche
quello di sospensione degli atti illegittimi.
Giova precisare che la sospensione non implica necessariamente l’annullamento dell’atto.
Infatti, potrebbe accadere che l’Amministrazione finanziaria avverta la necessità di verificare il
fondamento di legittimità o illegittimità dell’atto procedendo dapprima a sospenderne gli effetti e al
tempo stesso, riservandosi di annullarlo10.
Nel quadro normativo testè delineato, si conciliano gli interessi delle parti del procedimento:
da un lato, l’ente impositore non è costretto a riesaminare il provvedimento sospeso nel breve
termine di proposizione del ricorso ( 60 giorni); dall’altro il contribuente potrà proporre il ricorso
allorché l’ente gli notificherà il nuovo provvedimento “emendato”, provvedimento che potrà essere
modificativo o confermativo del precedente11.
2.4. Lo Statuto dei diritti del contribuente
L’art. 7, comma 2, lett. b), dello Statuto dei diritti del contribuente, in tema di chiarezza e
motivazione dei provvedimenti, dispone che gli atti dell’Amministrazione finanziaria e degli agenti
della riscossione devono tassativamente indicare l’organo e l’autorità amministrativa presso i quali
è possibile promuovere il riesame dell’atto. In omaggio, quindi, ai principi di leale collaborazione
10
F. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2009, pag. 76 ss. 11
S. MUSCARA’, Rinnovazione dell’atto impugnato, in Boll. Trib., 1991, pag. 981 ss.
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tra fisco e contribuente, implementati dallo Statuto, l’atto impositivo deve consentire al
contribuente di individuare l’Ufficio competente ad esaminare l’eventuale istanza di autotutela.
Sempre in tale prospettiva si colloca la figura del Garante del Contribuente, di cui all’art. 13
del medesimo Statuto, istituito presso ogni singola Direzione Regionale delle Entrate e presso la
Direzione delle Entrate nelle province autonome12. Tale organo, pur privo di poteri autoritativi,
svolge compiti rilevanti allo scopo di tutelare il contribuente che lamenti disfunzioni, irregolarità,
scorrettezza, prassi amministrativa anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento
suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e Amministrazione finanziaria13.
Per quanto qui di interesse, si segnala la funzione “persuasiva” del Garante nello stimolare
“le procedure di autotutela nei confronti degli atti amministrativi di accertamento o di riscossione
notificati al contribuente”.
Si tratta di un intervento con portata ben più limitata rispetto al potere di autotutela
esercitabile dagli Uffici : non giustifica un intervento diretto del Garante nella procedura, ma la sola
possibilità di sollecitare l’ufficio finanziario ad esaminare tempestivamente l’istanza del
contribuente.
12
P. ROSSI, Il riesame degli atti di accertamento, Milano, 2008, pag. 280 ss. Giova rammentare che il Garante del
contribuente è “organo collegiale operante in piena autonomia”. L’organo è costituito da tre membri scelti e nominati
dal Presidente della commissione tributaria regionale, o di sezione distaccata nella cui circoscrizione è compresa la
direzione generale delle entrate 13
M. CAPOLUPO, Statuto del contribuente e diritto di interpello”, Milano, 2001, pag. 142.
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3 L’autotutela tra dovere e facoltà
In materia tributaria l’autotutela è, dunque, ammessa anche in pendenza di giudizio, nonché
a fronte di atti definitivi e perfino a fronte di una sentenza passata in giudicato, purché sulla base di
motivi diversi da quelli su cui il giudicato si è formato. L’autotutela può riguardare anche gli atti
della riscossione e può avere per oggetto sia lo sgravio, sia la sospensione della riscossione.
Il procedimento può essere instaurato su istanza del contribuente, oppure d’ufficio. A
prescindere da quale sia la modalità di avvio, preme interrogarsi se sussista o meno un dovere di
agire in capo all’ ufficio competente o se quest’ultimo possa, invece, ignorare la segnalazione del
contribuente.
A riguardo, da un lato l’orientamento giurisprudenziale tradizionale ha ritenuto che
l’eventuale istanza del contribuente sia priva di efficacia vincolante in quanto l’Amministrazione
può vantare un’ampia discrezionalità nell’esercizio del potere di riesame, sia pur esercitabile entro i
termini decadenziali14; dall’altro la dottrina ha obiettato che siffatta impostazione confonde due
piani distinti: la cosiddetta discrezionalità sul “se” del provvedimento richiesto non può in alcun
modo riguardare l’obbligatorietà dell’agire, ma soltanto l’emanazione di un provvedimento
positivo. In altre parole, la discrezionalità del funzionario nella determinazione del contenuto del
provvedimento (discrezionalità nel quomodo) non implica necessariamente la libertà di decidere se
emanare o meno il medesimo provvedimento (discrezionalità nell’ an).
Pertanto, ogni qualvolta l’Ufficio viene a conoscenza, direttamente ovvero tramite denunce
o reclami informali o ancora attraverso istanze presentate dai contribuenti interessati, di vizi che
affliggono l’atto emanato, secondo parte della dottrina, ha il potere- dovere di intervenire avviando
il procedimento di riesame15. In conclusione l’ autotutela è per legge, un’attività doverosa in
quanto doveroso è per legge il perseguimento dell’ interesse pubblico16.
Vero è che il dato testuale (“l’Amministrazione finanziaria può procedere …
all’annullamento o alla rinuncia dell’imposizione”) non pare consentire di dedurne l’obbligo di
attivare il riesame in presenza delle fattispecie elencate dal d.m. 37/1997 .
14
Cass. 1710/2006. E. ROSINI, L’ autotutela tributaria: un ricorso in opposizione, in Rass. Trib., 2002, pag. 831. 15
Sul punto P. ROSSI, Il riesame degli atti di accertamento, op. cit., pagina 271 e ss. 16
D. STEVANATO, voce Autotutela (diritto tributario) in Enc. Dir., agg., Milano, 2000, pag. 83 e ss.
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Tuttavia, in ambito dottrinale, sono state delineate ipotesi di vera e propria doverosità di
rimozione dell’atto impositivo17: in primo luogo viene in considerazione il giudicato penale che
accerta l’insussistenza dei fatti posti a fondamento dell’atto impositivo, ancorchè definitivo18; in
secondo luogo emerge il caso del coobbligato solidale che, non avendo impugnato l’atto, invoca
l’art. 1306 c.c..
L’obbligatorietà del riesame è stata, poi, nitidamente affermata dalla giurisprudenza
comunitaria: l’atto amministrativo nazionale, contrario al diritto comunitario, deve necessariamente
essere annullato ad opera dell’Amministrazione statale, sussistendo, a riguardo, un vero e proprio
diritto soggettivo del contribuente alla sua rimozione19.
3.1. L’autotutela tra procedimento e processo
Trattandosi di un potere dell’Amministrazione finanziaria, in ossequio ai canoni di
imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, è evidente l’autotutela possa trovare
applicazione anche nella fase pre-accertativa, allo scopo cioè di evitare l’emanazione di atti di
accertamento illegittimi o infondati. In sostanza, assume, così una funzione “preventiva” di
eventuali contenziosi sull’atto impositivo.
Come anticipato, non costituisce ostacolo all’ autotutela neppure la proposizione del ricorso
da parte del contribuente avverso l’atto che si assume viziato: è, qui, innegabile l’interesse pubblico
a ridurre il contenzioso esistente, evitando l’aggravio delle spese processuali con il protrarsi del
giudizio. Il tempestivo esercizio del potere di autotutela evita, pertanto, defatiganti contenziosi, là
dove sia evidente l’illegittimità dell’atto impositivo.
Nel corso del contenzioso, sono svariate le “occasioni” che l’Amministrazione finanziaria
può cogliere per agire in autotutela, laddove emerga l’ illegittimità e/o l’ infondatezza dell’atto, non
individuate nella precedente fase amministrativa. Il che potrebbe accadere a seguito della
costituzione in giudizio del contribuente, con il deposito di tutti i documenti di causa nella
17
FICARI, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, Milano, 1999. 18
BASILAVECCHIA, Giurisdizione delle commissioni e diniego di autotutela, in Riv. Giur. trib.7/1998, 615,
commento a Corte. Cost., 23 luglio 1997, n. 264. Si tenga presente che l’art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248 allegato
E, dispone che la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di conformarsi al giudicato dei tribunali. A riguardo la Corte
Costituzionale, nella sentenza appena citata, ha statuito che “l’inquadramento sistematico della norma stessa comporta
che al surrichiamato principio di ordine generale l’Amministrazione finanziaria deve comunque uniformarsi, in sede di
autotutela, nell’adozione dei provvedimenti ivi previsti” e che deve essere posto in essere “l’adeguamento della
fattispecie tributaria all’accertamento dei fatti operato dal giudice penale”. 19
Corte di Giustizia, 12 febbraio 2008, C-2/06.
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segreteria della Commissione Tributaria; oppure in caso di richiesta di sospensione cautelare o
conciliazione giudiziale di cui rispettivamente agli artt. 47 e 48 del D.Lgs. 546/92.
Ad ogni modo, se il ritiro dell’atto è totale, il processo si estingue per cessata materia del
contendere (e con possibile condanna alle spese dell’Amministrazione); se il ritiro è parziale, il
processo prosegue limitatamente alle parti dell’atto confermate.
3.2. Autotutela e rinnovo della pretesa impositiva
Come anticipato, l’autotutela può essere totale o parziale, a seconda che consista
nell’annullamento integrale o in parte qua dell’atto viziato. Rileva, poi, la distinzione tra autotutela
positiva o a danno del contribuente, - configurabile allorchè l’atto viziato è sostituito con un nuovo
provvedimento immune da vizi - e autotutela negativa, o a favore del contribuente, quando, invece,
l’Amministrazione procede al mero annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo.
Il problema che emerge, principalmente, è quello dell’eventuale rinnovo della pretesa
impositiva, una volta annullato l’atto viziato. L’orientamento dominante ammette la possibilità del
riesercizio del potere di accertamento, purché nel rispetto dei termini decadenziali di legge e purché
si tratti di vizi di natura formale20 (difetto di motivazione, omessa indicazione del responsabile del
procedimento, incompetenza…).
Più controversa è, invece, la possibilità di procedere al rinnovo dell’atto in caso di vizi
sostanziali. Alcuni ammettono la sostituzione solo in presenza di elementi sopravvenuti, in
analogia con la disciplina dell’accertamento integrativo/modificativo, valorizzando il principio
dell’unicità dell’accertamento21.
La giurisprudenza più recente, tuttavia, ammette con una certa elasticità la riforma dell’atto
impositivo in quanto l’esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere
impositivo, di talché, una volta rimosso l’atto illegittimo o infondato l’Amministrazione finanziaria
conserva la potestà impositiva22. In particolare, il rimedio dell’autotutela sostitutiva differisce
dall’integrazione dell’atto impositivo in quanto quest’ultimo presuppone un precedente valido atto
di imposizione, mentre il primo richiede l’eliminazione del precedente atto illegittimo e/o
20
Cass. 16 luglio 2003, n. 11114. 21
FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 494. 22
Cass. 20 luglio 2007, n. 16115.
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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infondato. La riforma dell’atto impositivo, in conclusione, non è limitata ai soli vizi formali ma si
estende “a tutti gli elementi strutturali dell’atto”23.
Il potere di sostituzione dell’atto impositivo incontra i soli limiti dei termini decadenziali per
la notifica degli avvisi di accertamento ed il divieto di elusione o violazione del giudicato
sostanziale formatosi sull’atto viziato, nonché del diritto di difesa del contribuente24.
23
Cass., 23 febbraio 2010, n. 4272. 24
Cass. 20 ottobre 2011, n. 21719.
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4 Le questioni “aperte”: l’impugnabilità del diniego di autotutela
La procedimentalizzazione del potere di autotutela, la previsione del suo esercizio anche ad
istanza di parte, il carattere non impeditivo della definitività del provvedimento, depongono a
favore della sua sindacabilità in sede giurisdizionale25.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale tradizionale, l’eventuale diniego di autotutela non
poteva essere oggetto di sindacato in sede giurisdizionale, trattandosi di un potere discrezionale26.
Occorre tener presente, sullo sfondo, il fatto che il processo tributario non ammette l’impugnazione
di qualsivoglia atto dell’amministrazione finanziaria, bensì esclusivamente quelli elencati dall’art.
19 del d.lgs. 546/1992. Tra questi, non figura espressamente il diniego di autotutela.
Invero, la Suprema Corte, a partire dal 2004, ha ammesso l’impugnabilità di atti non
espressamente contemplati dal menzionato art. 19, il quale conterrebbe una lista di provvedimenti
che certamente modificano unilateralmente la situazione giuridica dei destinatari e sono, quindi,
suscettibili di immediato sindacato giurisdizionale; al contempo, tuttavia, residuano provvedimenti
non espressamente inclusi nella lista che, ugualmente, esprimono il momento tipico di una
determinata funzione, producendo effetti modificativi nella sfera giuridica del destinatario27.
Donde, progressivamente, è stata ammessa anche l’impugnabilità di tali ulteriori atti, non
annoverati nell’elenco di cui all’art. 19.
La giurisprudenza ha, quindi, ammesso la sindacabilità del rifiuto di autotutela, statuendo il
principio di diritto per il quale “indipendentemente dalla natura e contenuto dell'atto
impugnato, laddove il rapporto controverso verta in materia di tributi di qualunque genere e specie
la cognizione è affidata alla giurisdizione delle Commissioni tributarie ratione materiae.
L'allargamento della giurisdizione tributaria include - attesa l'insussistenza di una riserva
assoluta al giudice amministrativo della tutela degli interessi legittimi - il sindacato del giudice
25
BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2009, 329. 26
Cass. 1710 del 26 gennaio 2007 . Il mancato esercizio da parte dell'Amministrazione del potere di autotutela non è
sindacabile in sede giudiziaria, trattandosi di esercizio di un potere discrezionale e non di un obbligo giuridico
(sarebbe però auspicabile che l'Amministrazione finanziaria, in ipotesi in cui il contribuente lamenta una
duplicazione di imposta avesse la sensibilità, per non dire il dovere, di accertarsi e di verificare la veridicità delle
affermazioni dei cittadini in virtù dei principi, sanciti dalla L. n. 212/2000, dell'affidamento, della buona fede e
della collaborazione che, se pure ratione temporis non applicabili alla fattispecie in esame, dovrebbero sempre
informare tutti i rapporti fra apparato pubblico e contribuenti). 27
Cass., SS. UU., 19854/2004.
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circa il corretto esercizio del potere discrezionale dell'Amministrazione finanziaria prima
ancora dell'esistenza dell'obbligazione tributaria. Nel caso di specie, il giudice tributario
investito del rifiuto dell'Amministrazione finanziaria di adottare un provvedimento di
annullamento in autotutela di un avviso di liquidazione ha facoltà di giudicare sulla legittimità di
tale rifiuto ma non sulla fondatezza della pretesa fiscale che costituirebbe indebita sostituzione
della funzione giurisdizionale a quella amministrativa”28. Il giudice può,quindi, sindacare
l’illegittimità del diniego di autotutela, ma non sostituirsi all’amministrazione finanziaria
addentrandosi nel merito della pretesa.
Con un ulteriore revirement, la Corte di Cassazione ha, poi, nuovamente, negato
l’esperibilità di autonoma tutela giurisdizionale avverso il diniego di autotutela29 e da, ultimo,
invece, ribadito la sua impugnabilità, a condizione, tuttavia, che non costituisca mero atto
confermativo della pretesa originaria, ma atto autonomo, sostitutivo del primo e frutto di autonoma
attività istruttoria30.
4.1. Il petitum del ricorso e gli effetti della sentenza di accoglimento
Ove si ammetta l’impugnabilità del diniego di autotutela, diviene centrale interrogarsi
sull’oggetto del giudizio così instaurato, ovvero su “cosa” il contribuente può chiedere ed ottenere
dal giudice adito.
Giova , a riguardo, tenere mente che, in base ai principi generali del processo tributario,
l’oggetto del giudizio deve essere circoscritto ai vizi propri del provvedimento di riesame, senza
poter incidere sugli atti (di primo grado) in relazione ai quali è stato sollecitato lo ius poenitendi
dell’Amministrazione.
La giurisprudenza di legittimità appare piuttosto univoca nel negare che l’oggetto del
sindacato giurisdizionale possa estendersi alla fondatezza della pretesa tributaria, in quanto si
determinerebbe “un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa”31, in violazione
dei limiti posti dall’art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E.
28
Cass., SS.UU., del 6 febbraio 2007, n. 7388. Si vedano anche la n. 3608/2006 e la n. 1710/2007. 29
Cass., SS. UU., 2870/2009. 30
Cass. 16 maggio 2012, n. 7697. 31
Cass., SS.UU. civ., del 6 febbraio 2007, n. 7388, citata testualmente da, Cass., SS.UU..civ., 23 aprile 2009, n. 9669.
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Sulla scorta di tale premessa, pertanto, il giudice potrà valutare il “corretto esercizio del
potere discrezionale dall’Amministrazione, nei limiti e nei modi in cui l’esercizio di tale potere può
essere suscettibile di controllo giurisdizionale”, ovvero arrestandosi alla verifica della legittimità del
rifiuto.
Di conseguenza, la sentenza di accoglimento del ricorso non potrà tenere luogo del
provvedimento di autotutela, né condannare l’Amministrazione ad un facere, limitandosi a
censurare l’illegittimità del diniego. Ne discende così una tutela piuttosto ridotta per il
contribuente32, il quale non potrà ottenere una pronuncia pienamente satisfattiva che annulli l’atto
impositivo originario33, ma si dovrà accontentare di una statuizione sulla semplice
irragionevolezza, arbitrarietà o sul difetto di motivazione del rifiuto ad agire in autotutela.
La ratio che anima tale impostazione è l’esigenza di evitare una duplicazione di tutela34: se,
a monte, il provvedimento impositivo non è stato tempestivamente impugnato, non può poi –
surrettiziamente - divenire oggetto del processo instaurato nei confronti di un diverso
provvedimento (ovvero il diniego di autotutela)35. Diversamente opinando, si finirebbe per
scardinare il sistema di preclusioni che scandiscono il processo tributario, oltre che il regime
d’impugnabilità degli atti per vizi propri: com’è noto, il giudice è chiamato a pronunciarsi sulla
legittimità dell’atto impugnato sulla base delle specifiche censure sollevate dal ricorrente, senza
poter dilatare la propria cognizione ad atti prodromici rispetto a quello oggetto di ricorso36.
Questo percorso argomentativo, tutto sommato lineare, deve però essere arricchito con
un’ulteriore precisazione che si rinviene nella giurisprudenza di legittimità.
Segnatamente, quest’ultima ha statuito che “ove l’atto di rifiuto dell’annullamento d’ufficio
contenga una conferma della fondatezza della pretesa tributaria, e tale fondatezza sia esclusa dal
giudice, l’Amministrazione finanziaria dovrà adeguarsi a tale pronuncia. In difetto, potrà essere
esperito il rimedio del ricorso inottemperanza di cui all’art. 70 del d.lgs. 546 del 1992, con
32
S. MUSCARA’, Autotutela (V diritto tributario), in Enciclopedia giuridica, Roma, 2004, 7. L’A. , che afferma la
sussistenza dell giurisdizione amministrativa, suggerisce, per una maggior tutela del contribuente, la possibilità che il
giudice amministrativo, accompagni la sentenza di annullamento del diniego con un dispositivo ordinatorio, rivolto alla
stessa amministrazione, affinchè si pronunci nuovamente sulla fattispecie. 33
F. TESAURO, Riesame degli atti impositivi e tutela del contribuente, in AA.VV. Profili autoritativi e consensuali del
diritto tributario, a cura di La Rosa, Milano, 2008, 148. 34
R. LUPI, La nuova normativa sull’annullamento d’ufficio degli atti impositivi illegittimi: spunti per una discussione,
in Boll. Trib., 23, 1992, 1799. 35
S. MUSCARA’, Autotutela, cit., 6. 36
G. RAMPAZZO, Presupposti e limiti del giudizio sull’autotutela tributaria: per la giurisprudenza di merito esiste
quantomeno il dovere di riesame, in Giur. merito, 2009, 5, 1422.
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l’avvertenza che tale norma, a differenza di quanto previsto per l’analogo rimedio dinanzi al giudice
amministrativo ex art. 27 n. 4) del Testo unico sul Consiglio di Stato (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054),
non attribuisce alle Commissioni tributarie una giurisdizione estesa al merito”37.
Un simile affermazione, a quanto consta isolata, sembra adombrare la distinzione tra il
diniego “secco” – a fronte del quale il sindacato giurisdizione si deve arrestare al vaglio di
legittimità – e il diniego contenente statuizioni sulla fondatezza della pretesa tributaria38.
In quest’ultima ipotesi il giudice potrebbe spingersi ad escludere la fondatezza della pretesa
e l’Amministrazione sarebbe tenuta ad uniformarsi al decisum. In sostanza, ove il rifiuto di
autotutela ribadisca nel merito le ragioni che fondano la sussistenza del credito fiscale, si aprirebbe
il varco ad un sindacato giurisdizionale sulla fondatezza della pretesa39. Parrebbe, quindi, che il
giudice, in accoglimento del ricorso presentato dal contribuente, possa non solo annullare il diniego
ma anche, di fatto, anticipare il contenuto dell’emanando provvedimento di riesame.
Dal canto suo, l’Amministrazione dovrebbe ottemperare alla pronuncia (sul merito),
rischiando, altrimenti, di subire il ricorso in ottemperanza.
Tale impostazione ha suscitato perplessità nella dottrina, posto che ove mai il giudice si
pronunci sul rapporto d’imposta, la sentenza può incidere sul diniego ma non certo sull’atto
originario40. Ove infatti si ammettesse l’invasione, da parte del giudice, nella discrezionalità
propria del potere di autotutela, si sconfinerebbe dai limiti esterni della giurisdizione tributaria41.
A tal proposito, è il caso di osservare che, più recentemente, la Suprema Corte si è rivelata
maggiormente rigorosa circa la possibilità che il giudice adito si addentri nel merito della
fondatezza della pretesa42: la sentenza 23 aprile 2009, n. 9669, pur richiamando il principio di
diritto affermato nel precedente del 2007, omette di far propria il distinguo, testè citato, sul diniego
contenente valutazioni in ordine alla pretesa. L’ultimo orientamento, pertanto, ribadisce che il
sindacato del giudice deve aver ad oggetto esclusivamente la legittimità del provvedimento di
diniego.
37
Cass., SS.UU. civ., del 6 febbraio 2007, n. 7388. 38
M. BASILAVECCHIA, L’Istituto di ricerca DCEC interviene sul riesame degli atti impositivi, in Corr. Trib., 1,
2009, 67. 39
A. STAGNARO, Sull’impugnabilità del provvedimento di diniego di annullamento in autotutela dinanzi alle
Commissioni tributarie, in Dir. Prat. Trib., 2, 2008, 371. 40
F. TESAURO, Riesame degli atti impositivi, cit., 147. 41
Si veda quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, ex plurimis Cons.St. sentenze nn. 6758
e 7287 del 2004. 42
S. GIANONCELLI, Diniego di autotutela e impugnazione “per vizi propri”, in Dir. Prat. Trib., 6, 2009, 1251 in
nota.
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Giova rammentare che la sezione tributaria della Corte di legittimità43, aveva difeso la
necessità che l’oggetto del giudizio non verta sulla fattispecie impositiva dell’accertamento,
ammettendo la possibilità di dedurre vizi in grado di incidere sulla pretesa, a condizione, però, che
si tratti di fatti sopravvenuti. Il sindacato sulla fondatezza della pretesa sarebbe, stando a tale
lettura, ammissibile solo ove il contribuente denunci eventi sopravvenuti alla notifica dell’atto
impositivo e, ciononostante, l’ente persista nel negare l’autotutela.
Si tenga presente che l’art. 2 del d.m. 11 novembre 1997, n. 37, contempla tra i vizi
dell’atto idonei ad innescare l’esercizio del riesame, anche vizi prettamente sostanziali, quali
l’errore di persona, l’errore sul presupposto d’imposta, la sussistenza dei requisiti per fruire di
regimi agevolativi, ovvero la sussistenza di una doppia imposizione.
4.2. Il silenzio dell’Amministrazione finanziaria
L’ipotesi del silenzio dell’Amministrazione44, a fronte dell’istanza di autotutela del privato,
non è riconducibile ad alcuna previsione dell’art. 19 del D. lgs. 546/1992, il quale stabilisce il
novero degli atti direttamente impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie.
Occorre, pertanto, interrogarsi circa la configurabilità di un silenzio giuridicamente
qualificato, in modo da legittimarne l’impugnazione. Ciò pone il problema della doverosità di una
risposta da parte dell’Amministrazione, a fronte dell‘istanza del contribuente.
La giurisprudenza di legittimità, incidentalmente, aveva riconosciuto la sussistenza della
giurisdizione tributaria “in ordine alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto espresso o tacito
dell’Amministrazione a procedere ad autotutela”45, lasciando intravedere la possibilità di
qualificare l’inerzia dell’Amministrazione come fattispecie omissiva qualificata.
Più recentemente, invece, la Suprema Corte46, ha fatto discendere dal carattere
discrezionale del ricorso all’autotutela l’inapplicabilità dell’istituto del silenzio rifiuto47, chiudendo
così ogni spiraglio di tutela.
43
Cass., sez.. trib., 20 febbraio 2006, n. 3608. 44
Per una panoramica sul tema del silenzio in materia tributaria, SCALINCI, Silenzio e inazione nel procedimento e nel
processo dei tributi, in Giur. merito, n. 7/8, 2008, 177. 45
Cass, SS.UU. civ., del 9 giugno 2005, n. 16776. 46
Cass., SS.UU. civ., del 6 febbraio 2007, n. 7388. 47
A. STAGNARO, Sull’impugnabilità del provvedimento di diniego, cit., 373.
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L’esame del dato positivo consente, tuttavia, di pervenire ad una diversa conclusione, non
essendovi inconciliabilità tra il carattere discrezionale del potere di riesame e la doverosità di
pronunciarsi in modo espresso sull’istanza del contribuente.
Parte della dottrina, individua la fonte dell’obbligo incombente sull’Amministrazione di dare
riscontro dell’istanza del contribuente nella disciplina48 che ha procedimentalizzato le modalità di
presentazione dell’istanza49, prevedendo che la presentazione dell’istanza a organo incompetente fa
sorgere l’obbligo di trasmetterla a quello competente50; l’inerzia dell’ufficio adito determina
l’intervento sostitutivo della Direzione Regionale delle Entrate. A ciò si aggiunga quanto disposto
dallo Statuto dei diritti del contribuente, ove consente al Garante di esercitare un potere d’impulso
del procedimento di riesame (art. 13 L. 212/2000), e ove prescrive che gli atti
dell’Amministrazione e dei concessionari della riscossione indichino l’organo o l’autorità
amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede
di autotutela (art. 7).
Se da un lato pare condivisibile l’intento di rinvenire nella stessa materia tributaria il
fondamento dell’obbligo di rispondere all’istanza dell’interessato; dall’altro ciò non è sufficiente a
garantire tutela giurisdizionale a fronte del silenzio dell’Amministrazione, mancando il sostrato
giuridico per equiparare il silenzio ad un provvedimento tacito di diniego.
Tale “lacuna” ha indotto altra parte della dottrina ad incentrare l’obbligo di pronuncia51
sull’art. 2, L. 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui “ove il procedimento consegua obbligatoriamente
ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di
concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”. Nulla, infatti, osta all’applicazione
analogica della disposizione, in quanto la materia tributaria è espressamente esclusa dall’operatività
della legge sul procedimento amministrativo solo con riferimento alla partecipazione del privato al
procedimento52. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 2, commi 3 e 8, della L. n. 241/1990, se il
48
Si veda il D.M. 11 febbraio 1997, n. 37. 49
S. MUSCARA’, Autotutela, cit., 5. 50
P. ROSSI, Autotutela su atti definitivi: evoluzione della giurisprudenza ed un’ipotesi ricostruttiva, in Riv. dir. trib.,
2002, I, 473. 51
D. STEVANATO, L’autotutela, cit. l’A. ritiene che, in omaggio ai principi di economicità ed efficienza dell’azione
amministrativa, non sussiste un obbligo di pronuncia generalizzato, bensì limitato alle sole istanze circostanziate; V.
FICARI, Autotutela e riesame;U. PERRUCCI, Il regolamento sull’autotutela, in Boll. trib. , 1997, 1765; T. TASSANI,
L’annullamento d’ufficio dell’Amministrazione finanziaria tra teoria ed applicazione pratica, in Rass. trib., 2000, 1189;
M.V. SERRANO’, Sul recente contrasto tra Cassazione e Consiglio di Stato a proposito dell’impugnabilità del
diniego, in Boll. trib., 2006, 207. 52
D. STEVANATO, L’autotutela, cit.
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procedimento non si conclude nel termine di trenta giorni, si forma il silenzio – inadempimento53
che dà l’accesso alla tutela giurisdizionale54.
Tuttavia, rimane irrisolto il problema concernente la mancata menzione del silenzio
nell’elenco degli atti autonomamente impugnabili di cui all’art. 19 del D.lgs. 546/1992. Da qui
l’orientamento dottrinale che ne afferma l’impugnabilità in via differita, congiuntamente al
successivo atto lesivo55, fermo restando che i motivi per cui si può impugnare il silenzio devono
essere i motivi che riguardano il comportamento inerte dell’Amministrazione e non certo i vizi
dell’atto impositivo.
Altra parte della dottrina56, invece, propende per l’applicazione integrale dell’art. 2 della
legge sul procedimento amministrativo, traendo inequivocabile conferma di ciò dal D.M. 19 ottobre
1994, n. 678 , espressamente titolato “regolamento di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7
agosto 1990, n. 241”: il decreto ha provveduto a disciplinare analiticamente il regime dei termini
entro i quali si devono concludere i procedimenti tributari, in ossequio a quanto previsto dalla legge
sul procedimento amministrativo. Tuttavia, nulla è stato disposto per l’ipotesi in cui il contribuente
presenti istanza di autotutela. Donde, trova applicazione il termine di trenta giorni previsto in via
residuale dall’art. 2, comma 2, della L. 241/1990, riconoscendo in capo al contribuente il diritto ad
impugnare direttamente il silenzio dell’amministrazione in presenza di una specifica denuncia del
contribuente.
In ogni caso, il giudice adito si limiterà alla declaratoria di illegittimità del comportamento
inerte dell’Amministrazione finanziaria la quale conserva sì piena discrezionalità del potere di
autotutela, ma, in caso di presentazione dell’istanza da parte del contribuente, ha un obbligo di
risposta (motivata). Anche ammettendo l’accesso alla tutela giurisdizionale, pertanto, si deve
constatare una possibilità di tutela alquanto circoscritta per il contribuente il quale non potrà
53
In generale, sul tema del silenzio nell’ordinamento amministrativo, F. G. SCOCA, Il silenzio della pubblica
amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, in Dir. proc. amm., 2002, 02, 239. 54
E. MANONI, Il rifiuto espresso o tacito di autotutela e l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni
tributarie, in Dir. Prat. Trib., 1, 2009, 155. 55
F. TESAURO, Riesame degli atti impositivi, cit., 142; A. RENDA, L’inerzia a fronte della richiesta di riesame non
esclude l’accesso alla giurisdizione tributaria, in Giust. Trib., 2, 2009, 207. 56
L. DEL FEDERICO, Giurisdizione tributaria e procedure concorsuali: i profili processuali della transazione fiscale,
in La giurisdizione tributaria nell’ordinamento giurisdizionale, Atti del convegno di Teramo 22 e 23 novembre 2007, a
cura di Tabet, Basilavecchia, Bologna, 2009, in riferimento all’istanza di transazione fiscale di cui all’art. 182 ter della
legge fallimentare.
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chiedere una sentenza sostitutiva dell’autotutela, bensì l’accertamento dell’illegittimo contegno
(omissivo) dell’Amministrazione57.
57
Si tenga presente che il mancato esercizio dell’autotutela può determinare la responsabilità dell’erario, e quindi fa
scattare la tutela risarcitoria, come riconosciuto, da ultimo, da Cass., sez III, 19 gennaio 2010, n. 698. In dottrina, si
veda G. BOLETTO, Responsabilità per danni dell’amministrazione finanziaria, in Riv. Dir. Trib., 2003, 87.
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CAPOLUPO, Statuto del contribuente e diritto di interpello”, Milano, 2001
DEL FEDERICO, Giurisdizione tributaria e procedure concorsuali: i profili processuali
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del convegno di Teramo 22 e 23 novembre 2007 cura di Tabet, Basilavecchia, Bologna,
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MANONI, Il rifiuto espresso o tacito di autotutela e l’autonoma impugnabilità davanti alle
commissioni tributarie, in Dir. Prat. Trib., 1, 2009, 155.
MUSCARA’, Autotutela (V diritto tributario), in Enciclopedia giuridica, Roma, 2004, 7
MUSCARA’, Rinnovazione dell’atto impugnato, in Boll. Trib., 1991, pag. 981 ss.
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