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LE GUSTOSITÀ V ICENTINE
Collana a cura diVICENZA QUALITÀ
Azienda Speciale della Camera di Commercio di Vicenza
LIQUORI EGRAPPEVICENTINE
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Ricerche e testi: prof. Pierluigi Lovo
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I liquori sono antichissimi ed è diffici-le tracciare una loro storia. Sembra co-munque che i popoli d’Oriente, cheprecedettero gli Europei in tante in-venzioni, facessero già uso dei liquoriallorché Greci e Romani si limitavanoancora al vino schietto o mescolatocon resine e sostanze aromatiche. Nonsi sa se il primato dell’origine della li-quoristica appartenga alla Cina oall’Egitto, ma già nel 3500 a.C. a TepeGaura in Mesopotamia esistevano ap-parecchiature per la distillazione pro-babilmente di profumi e di medicinali.Dioscoride e Plinio descrivono nelleloro opere vari processi di distillazionema la vera e propria produzione dell’al-cool si deve agli Arabi che diffusero
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l’uso dell’alambicco che, portato inEuropa, trovò ampia diffusione tra al-chimisti e conventi, divenendo corre-do comune dei grandi monasteri dovenacquero gli elisir (altra parola araba)con erbe medicinali.Nel XIII secolo Arnaud de Villeneuve,alchimista catalano e medico presso lacorte degli Aragona, dà ai distillati ilnome di acquavite o meglio aqua vitaee aqua vitis, quasi che la vite e la vitafossero un’unica cosa. Ma ancheArnaud non ebbe vita facile: fu scomu-nicato dal Papa Bonifacio VIII per lesue teorie e per secoli gli alchimisti fu-rono visti di cattivo occhio. Una cosaè certa: dall’alchimia nacquero la chi-mica e la liquoreria e alcuni medici co-me il fiorentino Taddeo degli Alderottiscoprivano le virtù salutari dell’acqua-vite, che donava vigore e curava la pel-lagra, l’idropisia, la debolezza di cuore,l’infreddamento e i morsi velenosi edell’acqua vitae si fece largo consumo
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durante le endemiche epidemie che dal 1300 continuarono fino alla fi-ne del 1600 perché si pensava che prevenisse o curasse la “morte nera”.Sotto il regno di Luigi XIV era diventata di gran moda la degustazionedi due liquori che si chiamavano il primo Populo e il secondo Rossolis,vero e proprio antenato del nostro Rosolio, allora fatto con coriando-lo, finocchio, mandorle amare, anice stellato, semi di angelica e melis-sa. Da noi, nel vicentino, i primi a produrre liquori furono i monaci deiconventi di San Felice e Fortunato di Vicenza che avevano il permessodi raccogliere i frutti e le erbe selvatiche per far rimedi contro le ma-lattie. La tradizione dei liquori monastici si perpetuò a lungo, soprat-tutto al Monastero di Sant’Orso, a Santorso, dove eccelse il“Gerolimino”, un liquore che riportava il sapore delle erbe medicinalidel Summano. L’ultimo Gerolimino vero e proprio fu prodotto da PadreFrancesco Gruba di Chaszcyno, Danzica, che visse a Santorso dal 1927al 1969. Dal 1961 il Gerolimino fu prodotto in Santorso da AndreaZanella, che continuò la tradizione finché visse.Ma come possiamo distinguere i liquori che le nostre distillerie e i no-stri liquorifici ancora producono? Li distinguiamo in due settori: liquo-ri dolci, che contengono almeno il 20% di alcool e una quantità varia-bile di zucchero ed erbe aromatiche, e liquori secchi. Discorso a parteva fatto per i distillati veri e propri.Tra i primi annoveriamo l’alchermes, il maraschino, il cordiale, il noci-no, la pruma, la prugna e i vari liquori tipo Strega, di tradizione mila-nese e campana. Più nostrano e prodotto ancor oggi nel nostro
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Altopiano è il kummel, detto ancheKumino. Il kummel è un liquore deli-catamente aromatico, densissimo, tra-sparente, completamente incolore.Quello più rustico assume un colorepiù ambrato. Va bevuto da solo comedigestivo, ma può diventare un ottimodissetante in ghiaccio tritato. Altri li-quori dolci erano il Doppio Anice e laSambuca. Ma vanto dell’Altopiano edel vicentino resta il Kranebet.Registrato per la prima volta comeMarchio dalla Distilleria F.lli Rossi inAsiago nel 1935 era già prodotto pre-cedentemente, ma le imitazioni che giàsi avevano, costrinsero la distilleria aregistrare per ben quattro volte le eti-chette. Quella del 1936 presentava uncaratteristico acquarello riproducenteun aspetto di Asiago. Lo stesso mar-chio fu modificato nel 1948 con un’al-tra etichetta riproducente ancora unaspetto di Asiago e come veniva rica-vato il liquore. Il Kranebet ebbe gran-
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de splendore negli anni ’50 del secolo scorso, allorché si presentava conil motto: “ chi beve Kranebet respira montagna” ed era venduto con laclassica bottiglia a forma di pino.Come amaro bianco il Kranebet si differenzia dagli altri amari e dal ge-nepì valdostano; ha un sapore gradito al palato con profumi e sentoremarcato di erbe salutari ed ha ampie caratteristiche tonico-digestive.Dal 1992 la ditta è stata assorbita dalle Antiche Distillerie Riunite consede a Barbarano Vic.no. La Rossi negli anni ’50 produceva anche laMenta Alpina e il Lampone di Asiago, a metà tra liquore e sciroppo.Altro liquore in uso durante la Belle Epoque e che ora sta riavendo unbuon ritorno è il Maraschino, un liquore dolce, fine, profumato di ma-rasca. La sua storia è la storia della gente dalmata e della famigliaLuxardo che le disgraziate vicende della II Guerra mondiale e il profu-gato portò la fabbrica a Torreglia, ai piedi dei Colli Euganei. IlMaraschino fu imitato e introdotto nella propria gamma da tutti i li-quorifici. Ancor prodotta è la Genziana, ottenuta dalle radici dellapianta alpina, così come gode ancor oggi buona fama un liquore popo-lare per eccellenza, che non mancava mai nelle case dei nostri nonni:la prugna, che si differenziava per gusto e secchezza dalla “pruma”.Anche per questo liquore bisogna risalire ai frati Camaldolesi. È un li-quore il cui procedimento è rimasto immutato. Le prugne mature ven-gono messe a macerare in acquavite di primissima qualità e il liquorepoi fatto invecchiare in fusti di legno pregiato. La prugna è più secca,quasi parente di liquori simili prodotti in Francia; la pruma è più dolce.
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Entrambe si bevono dopo i pasti, an-che se fino agli anni ’50 una prugna eral’aperitivo di facchini e operai soliti afarsi un “cicheto” come colazione.Un discorso a sé meritano gli amari e ilrosolio.Nel dizionario della lingua italiana tro-viamo scritto: “In medicina prendono ilnome di amari molte sostanze per lopiù di origine vegetale caratterizzatedal sapore intensamente amaro”.Segue un elenco di vegetali: china, no-ce vomica, assenzio, arancio amaro, ru-ta, tarassaco,genziana, quassia etc. Gliamari sono parecchi e si differenzianoper ingredienti, gusto e qualità. Vi so-no infatti tre categorie: amari dolcifi-cati, in cui vi è stata aggiunta una per-centuale di zucchero all’alcool, amarisecchi e amarissimi, quasi medicinali.Nella nostra provincia il più antico è laChina Rossi. Il primo ad intuire i valo-ri salubri della china fu il farmacista diAsiago G.B. Rossi, che creò quella che
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è ancor oggi conosciuta come China Rossi. Oggi è prodotta dalleAntiche Distillerie Riunite. È un liquore che ha conservato il gusto ti-pico e si beve come corroborante per ritemprare le forze; liscio comedigestivo, allungato con acqua diventa un dissetante, scaldato è megliodi un punch. Logicamente ogni località vicentina aveva il suo “Amaro”.Ecco allora l’Amaro Asiago, un distillato sui 30° ottenuto per infusionedi erbe e radici alpine; l’Amaro di Thiene e l’Amaro Breganzino dellaBoschiero di Thiene; l’Amaro Cimbro della Dall’Olio oggi della Rigoni;l’Amaro Monte Grappa e l’Elisir China della Distilleria Monte Grappadi Fellette; l’Amaro di Lonigo dell’erborista Alberto Cenghialta;l’Amaro Felsina a base di liquirizia, genziana e arancia amara e dolcedella Schiavo; l’Amaro del Palazzone, il Fernet, la China dei f.lliBrunello di Montegalda; il Liquore Rosso, il Bitter, il Rabarbaro e l’Elisirdi China e l’Amaro della Nardini e dopo l’Amaro Montezuma per chiu-dere in bellezza la China, l’Amaretto, il Ferrochina e il Rabarbaro del-la Carlotto di Valdagno.Un discorso a parte meritano il Rosolio e la Tagliatella e i vari zabaio-ni e limoncelli, quest’ultimi non di tradizione vicentina, ma prodottiper la nuova moda esplosa soprattutto tra i giovani.Parliamo dunque del Rosolio di casa Carlotto e poi degli altri rosolipresenti.Il Rosolio in senso generico è conosciuto come un liquore dol-ce, delicatamente profumato, di gradazione moderata e riservato alle si-gnore, anche se poi viene bevuto dagli uomini. Quello di casa Carlotto,a differenza di altri rosoli italiani, non è a base di essenza di mandorla,
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ma a base di essenza di rosa bulgara etale rosolio si beveva in tutti i territoridell’Impero Asburgico. Questo tipo diRosolio si perpetuò sulla base dell’anti-ca ricetta dell’Ottocento di cui laCarlotto ha ancora l’originale, gelosa-mente custodito, lasciato scritto dal bi-snonno Onesto Potepan, di nazionali-tà ungherese, che dopo aver svolto ilservizio militare nel Regno Lombardo-Veneto, conosciuta Veronica Agostanidi Cornedo, aprì una “offelleria” inValdagno. La di lui figlia TeresaPotepan sposerà Girolamo Carlotto,anch’egli liquorista e da loro nasceràl’attuale proprietario della “bottega sto-rica” di Valdagno e logicamente degnoerede dell’antica ricetta. Ma com’è ilRosolio Carlotto? È un liquore dolceche ha come base calcolati, infusi, di-stillati di fiori e frutta di zone a climacentro europeo, amalgamati dall’olio dirosa bulgara. Lo troviamo nell’anticabottega e nei locali più esclusivi d’Italia
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e d’Europa. Curiosità storica: il Rosolio dell’antenato Potepan che ave-va distilleria e bottega a Vienna fu portato in dono dall’ImperatoreFrancesco Giuseppe nella sua visita in Italia a Venezia nel 1875 al reVittorio Emanuele II e qualche anno fa, in onore dei partecipanti al G7,fu servito dopo pranzo, sempre a Venezia, un Rosolio dei Carlotto. E veniamo alla “Tagliatella”, assai più antica: la si ricollega ai terribili in-verni dal 1813 al 1817, allorché a “Paron Bortolo Nardini” i poveri diBassano anziché l’elemosina, chiedevano un “cucheto” (misura per li-quidi di allora, con cui poi si identificò un particolare bicchierino) “dequel che sgiossa dai lambicchi” e negli alambicchi si trovavano grappa,china, prugna o slilovitz: il miscuglio fu soprannominato “tajadela”. Il
successo era tanto che i Nardini cercaronola formula giusta per un nuovo prodottoche raccolse sempre più i consensi genera-li, appunto un cocktail che oggi si ottienecon una base di grappa, essenze d’agrumimisti e marasche. Il colore è rosso rubino,il bouquet intenso con una nuance di ci-liegia matura, il gusto è calibrato, non pre-valendo né il dolce né l’amaro e la grada-zione è sui 35°. Infine i limoncelli. Nonappartengono alla nostra tradizione, maessendovi una forte domanda anche le no-stre distillerie hanno deciso di produrli.
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Fino a qualche anno fa la grappa era le-gata soltanto al ricordo degli alpini, al-le immagini di vecchie osterie e rudiboscaioli. Oggi l’antica acquavite nons’identifica solo nelle immagini del “ve-cio alpin” o dell’uomo dei campi, ma èassurta anche a simbolo di progresso edi prodotto tipicamente italiano. Neglianni Sessanta e Settanta del secoloscorso il latte dei montanari, il carbu-rante dei facchini, camionisti e uominidi fatica, arrivò nei salotti bene, dove siincontra la gente che conta. Il boomdella grappa coincise, infatti, col boomindustriale del Nord-Est. Il Veneto e ilFriuli, terre di emigranti e di agricolto-ri fino ad allora, entrò nel novero deigrandi e la grappa prodotto veneto per
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eccellenza divenne un distillato di moda. In quegli anni se ne vendet-tero enormi quantità anche se la qualità non era sempre adeguata, per-ché piaceva, rammentava un mondo arcaico di rami appesi ai camini, dicaratteristici bicchieri noti come “cuchéti”, di prodotti ruspanti e ge-nuini, e nello stesso tempo aveva quel tono ruvido che tanto la distin-gueva dal brandy e dal cognac. Qualcuno diceva, ed ancor dice, che lagrappa è plebea, troppo anonima, mentre la realtà odierna sempre piùli smentisce; altri poi insistono con il dire che la grappa fa male, ma so-no stati smentiti pure essi in un convegno ad Asti dal dott. Sacco Botto:la grappa è più sana di altri prodotti, è più digeribile e certe grappe san-no dare sensazioni indescrivibili. Cenerentola o strega? Per taluni lagrappa è ancora, purtroppo, castigata come una strega medievale e ta-le atteggiamento nasce da quel falso perbenismo che continua a consi-derarla l’anticamera dei vizi più reconditi. Molto si è discusso anchesull’origine del nome “grappa”. Vi sono varie teorie: La prima vuole chederivi dal termine dell’arcaico italiano “grappo” con il quale s’identifi-cava il grappolo d’uva; la seconda che derivi dal termine lombardo-ve-neto arcaico “graspo”, resti del grappolo d’uva; la terza la vuole dal lon-gobardo “krappa”, asserendo che furono i Burgundi nel loro passaggioin Friuli ad aver portato questo ruvido prodotto. Ma sin dal Medio Evoe fino all’Ottocento fu sempre identificata come “acquavite”. Nel vi-centino il termine “grappa” si riscontra per la prima volta nel Dizionariovicentino-italiano scritto da Luigi Pajello nel 1896. La storia della grap-pa s’identifica con la storia della liquoreria fino al 1500 allorchè a
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Venezia furono emanate leggi e regola-menti per la Confraternita degliAcquavitari. Leggi e regolamenti estesianche alla Terraferma come troviamoin un editto del 1618 conservato pres-so la Biblioteca Internazionale “LaVigna” di Vicenza:“che da cantero alcuno non possa lettarStatio o Banco dell’Arte dell’Aqua de Vitase non lontano paisa cento d’ogni altro sta-tio o banchetto, che s’attrovasse dovendo intermini de giorni otto vegnir ogni un a darin nota il loro Statio all’offittio degliIllustrissimi Sopra Provveditori”.Fino al 1700 la produzione della grap-pa era libera, poi fu affidato il control-lo della produzione ad appaltatori spe-cifici, che dovevano controllare il pe-so, la qualità e la non presenza di ac-qua. Ma non vi erano tasse specifichesulla produzione. Nel vicentino la pri-ma grappa fu prodotta dal monasterodel Monte Summano come “aqua devita”, considerata quasi un medicinale,
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alla stregua degli altri liquori, ancor nel Quattrocento, ma diventa pro-tagonista della nostra storia a partire dal 1779. In quell’anno, infatti, ar-rivarono da Segonzano, nella trentina Val di Cembra, a Bassano, iNardini. In quella lontana primavera Bortolo Nardini comprò quellache si chiamava “l’Osteria del Ponte”. Vi sistemò i suoi alambicchi e ini-ziò la distillazione di una grappa inconfondibile, che divenne ben pre-sto celebre anche a Venezia, portata dagli zattieri del Brenta, che spes-so la ricevevano come premio per il difficile trasporto del legname dal-la Calà del Sasso a Fusine. Gli occupanti Francesi nel 1806 perseguiro-no con pene severe ogni tipo di distillazione e le multe severissime ser-vivano per finanziare la Grande Armée. Più equa fu l’occupazione au-
striaca che cercò di portare ordine nella distil-lazione e nella vendita di “spiriti e liquori”, tas-se furono emesse sulla distillazione solo dopoil 1848. Il peggio arrivò con il nuovo Regnod’Italia che impose dazi molto elevati sia sulladistillazione che sulla vendita, costringendo iVeneti e i Friulani a distillare clandestinamen-te. La “sgnapa” divenne nota come la “furba”,la “stellina” la “brinosa”, “la sgneve”, insommaun prodotto carbonaro e rude che molto con-tribuì alla cattiva fama e per certi versi all’al-colismo di fine ottocento. Tuttavia i distillato-ri seri migliorarono sia la qualità che le tecni-
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che di lavorazione e di rettificazione evengono introdotti distillatori evoluticome il Villard-Rottner e si sperimentala nuova tecnica del bagnomaria, piùefficace di quella a fuoco diretto. La prima distilleria, ancor vivente, do-po la Nardini, sorta sotto il RegnoLombardo-Veneto nel 1840, fu laMarzari, che più tardi attraverso matri-monio, diverrà f.lli Brunello. Sotto ilRegno d’Italia nascono la Chiarello aSarego, la Dalla Vecchia a Malo, laDistilleria Sociale di Schio, tutte nel1870; la Rossi d’Asiago nel 1865 per laChina e nel 1870 per la grappa; nel1887 a Costabissara nasce la Schiavo,nel 1895 a Thiene la Fabris e nel 1898a Schiavon la Poli. Nel 1901, a Schio,si tenne una Mostra Ortagricola Dis-trettuale a cui parteciparono alcune di-stillerie tra cui quella dei padriGirolomini di Santorso, la LuigiBertoldo di Malo e la DistilleriaSociale di Schio. Fino alla Prima
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Guerra Mondiale fu un pullulare di di-stillerie artigiane e la grappa fu spessoconforto alle truppe italiane nelle fred-de giornate nelle trincee o fedele costi-tuente durante la febbre spagnola e uneccitante prima dell’assalto alla baio-netta. La Prima Guerra mondiale fececonoscere la grappa a tutti gli Italianial fronte, soprattutto a quelli del cen-tro-Sud, che non l’avevano mai bevutaprima. Finita la guerra nacquero daglianni ’20 agli anni 30 del Novecento,fra le altre, la Distilleria Dal Toso, chepoi si suddivise in vari rami, laBattistello a Breganze, la f.lli Boschieroa Thiene, senza contare le tante osteriedistillatrici in Vicenza città come laSantagiuliana in Corso San Felice eFortunato e, singolare, la distilleria an-nessa alla latteria sociale in San Vito diLeguzzano. Agli anni ’30 è ascrivibileun marchio caro ai nostri amanti dellagrappa: la “Cavallina Bianca” deiZanini di Zugliano. Con la Seconda
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L I Q U O R I E G R A P P E V I C E N T I N E 23
Guerra Mondiale alcune grappe, come quella dei Dal Toso, accompa-gnarono i nostri alpini nelle fredde steppe della Russia, tanti come ilbeato Don Gnocchi superarono il congelamento e lo sfinimento graziealla grappa nella lunga marcia per tornare a “baita”. Dopo la II Guerramondiale fino agli anni ’60 assistiamo alla morte di alcune distillerie ealla nascita di altre, spariscono le distillerie artigiane delle osterie e siperfezionano i metodi di distillazione ottenendo grappe migliori e piùprofumate. Nascono la Bassanina, la Monte Grappa, la Lovato con lastorica Giorgina, e la LI.DI.A. di Villaga. È il “Rinascimento della grap-pa” che viene pubblicizzata anche alla TV e sempre più italiani comin-ciano a berla e ad apprezzarla. Persino il grande scrittore Hemingwaynei suoi soggiorni a Venezia era solito farsi una grappa, che spesso mi-scelava per un suo tipo di cocktail. Mitterand, presidente francese de-gli anni settanta, a Venezia era solito chiudere i suoi pranzi con unagrappa e quando il Presidente Saragat venne a Vicenza gli fu servita unanostra grappa, che egli, piemontese, gradì moltissimo. Ma ecco poi l’in-toppo della legge sugli scarichi inquinanti che costrinse molte ditte anon più distillare, a ridursi a marchio commerciale o a chiudere defini-tivamente, perché i figli non volevano seguire le orme dei padri. Ma lagrappa non decadde, anzi migliorò ancor più, affinandosi e dando ori-gine alle grappe di monovitigno e alla sorella minore: l’acquavite d’uva.La grappa vicentina si distingue per qualità e lo dimostra anche il suc-cesso delle “Distillerie Aperte” che si tiene ogni anno in autunno e i nu-merosi premi vinti dalle distillerie vicentine alla Douja d’Oro di Asti.
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Dorate la salsiccia (senza pellicina) in un tegame con 20 gr. diburro, unite la carne di vitello macinata, girate accuratamentee lasciate rosolare leggermente, quindi, togliete il tutto dalfuoco. A parte, sbucciate le cipolle e fatele quocere per 15 mi-nuti in acqua bollente leggermente salata. Dopo averle scola-te con cura, mettetele sopra un canovaccio e tagliatele a me-tà. Una parte la tenete fuori, la tritate finemente e la unite al-la carne e alla salsiccia. Amalgamate il tutto con un uovo in-tero, sale, pepe e noce moscata, quattro cucchiai di stravec-chio di malga e le lingue di gatto pestate. Riempite le altremezze cipolle con il composto e mettetele in una pirofila im-burrata. Spruzzatele con un po’ di grappa, pennellatele conl’uovo sbattuto e polverizzatele con il pan biscotto grattug-giato e miscelatele con il resto dello stravecchio di malga.Disponete sopra le mezze cipolle un fiocchetto di burro,quindi, passatele al forno ben caldo e lasciatele cuocere per 45min. fino alla formazione di una crosticina dorata.
Mettete sulla tavola la pasta brisè che avete già preparato oscongelata. Lessate gli asparagi di Bassano scegliendo i piùpiccoli e stretti (si possono usare anche asparagi selvatici obruscandoli). Scolateli e poneteli a pezzetti (metà) in un te-game e fateli insaporire nel burro. Spianate la pasta foderan-do per bene la teglia unta, ponete sul fondo gli asparagi, rico-priteli con fette di Morlacco giovane tagliato sottile e versa-tevi sopra le uova sbattute e un bicchiere di latte. Salate, ver-sate mezzo bicchiere di grappa monovitigno di Cabernet deiColli Berici e ponete in forno caldo a 175° per 45 minuti.Servite caldo, decorando con altre punte d’asparagi.Vini consigliati: Pinot Grigio, Vespaiolo di Breganze oDurello.
Cipolle rosse di Bassanoalla grappa
Tortino vicentino agli asparagi
I N G R E D I E N T I
Ricetta per 4 persone:4/6 cipolle di Bassano
30 gr di salsiccia o “luganega”150 gr di vitello macinato
30 gr di burro5 cucchiai di stravecchio di
malga grattuggiato2 uova
1 bicchierino di grappa di Bassano del Grappa
1 oncia di noce moscatapepesale
1 panetto di pan biscotto vi-centino grattuggiato
1 o 2 lingue di gatto pestate
I N G R E D I E N T I
Ricetta per 4 persone:Pasta brisè
500 gr asparagi bianchi diBassano
250 gr di burro150 gr formaggio Morlacco
giovane3 uova
1 bicchiere di lattesale
1/2 bicchiere di grappa mo-novitigno di Cabernet dei
Colli Berici
Ricette con
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In un tegame, fate dorare nel burro le cipolle, la rapa, le caro-te e il sedano di Rubbio tagliato a julienne, aggiungete il prez-zemolo, il dragoncello, lo spicchio d’aglio, l’asparago, il cer-foglio e alcune foglie di radicchio rosso ben tritati, quindi, ag-giungete la trippa e la cotenna.Alzate il fuoco in modo da rosolare il tutto e, aggiungete su-bito il vino e il brodo, salate, pepate con le spezie e aggiun-gete il mazzetto di erbe composto da salvia, rosmarino, basi-lico e uno spicchio d’aglio (non usare mai l’aglio dell’Europaorientale, è troppo forte). Aggiustate di sale e pepe e versateun bicchierino di grappa delle distillerie vicentine riscaldata.Date fuoco al composto e servite con una grattuggiata diAsiago Stravecchio.Vino consigliato: Breganze Cabernet.
Fatte lessare le patate di Rotzo con la buccia immerse nell’ac-qua fredda abbondante e leggermente salata. Quando sonogiustamente tenere (non stracotte), scolatele, pelatele e passa-tele allo schiacciapatate (meglio se manuale). Unite al passa-to la farina e l’uovo leggermente sbattuto, salate, aggiungeteun’oncia di noce moscata, l’olio e la grappa.Impastate velocemente fino ad ottenere un composto a pallasodo, formate dei “rotolini”, tagliateli a pezzetti, passateli sul-la “gratacasola” premendo leggermente con la punta delle di-ta, lasciateli cadere su una tovaglia cosparsa di farina.Cuoceteli in abbondante acqua salata, quando affiorano sco-lateli delicatamente ponendoli caldi nel sugo di carne o burroe salvia preparati a parte. Ottimi con il sugo di anitra.Vino consigliato: Tocai Rosso o Barbarano dei Colli Berici.
Gnocchi di patate di Rotzo
Trippa secondo il pensiero deipittori vicentino del Novecento
I N G R E D I E N T I
Ricetta per 4 persone:1 kg di trippa2 cipolle rosse di Bassano2 carote1 rapaburrosedano di Rubbioprezzemolo dragoncello1 spicchio d’aglio1 cespo di radicchio rosso1 grossa fetta di cotenna1/2 litro di Breganze Bianco1 litro di brodo1 noce moscata, 1 chiodo digarofano, 1 mazzetto d’erbe,1 cespo di cerfoglio1 asparago bianco diBassanoGrappa vicentina
I N G R E D I E N T I
Ricetta per 4 persone:1 kg di patate di Rotzo250 gr di farina 001 “ciucheto” di grappa vi-centina1 cucchiaio di olio extraver-gine di oliva di Pove delGrappa1 oncia di noce moscata
la grappa
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Si ringrazia la Biblioteca “La Vigna” per il materiale storico messo a disposizione.
V I C E N Z A Q U A L I T À
Via E. Fermi, 134 - 36100 VICENZA - Tel. 0444 994750 - Fax 0444 994769E-mail: [email protected]
Visita i nostri siti:
potrai trovare informazioni sui prodotti tipici vicentini.
www.vicenzaqualita.orgwww.madeinvicenza.it
www.vicenzagrifood.it
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