L’Impressionismo- Capitulo 2 Argan

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27 immagini sono cose, e l'artista è colui che le fabbrica. Non le inventa, le costruisce: dà loro la forza di competere, di imporsi come più reali della realtà stessa, perché non Dio ma l'uomo le ha fatte. Dipingere significa dare al quadro un peso, una consistenza maggiori della cosa veduta: in breve, fare ciò che si vede è altra cosa dall'imitare la natura. Qual è il distacco e quale il percorso tra la cosa veduta, che subito scompare, e la stessa cosa dipinta, che resta? Null'altro che la fattura, il lavoro manuale dell'artista (Marx avrebbe detto: forza-lavoro). Così il lavoro dell'artista diventa il paradigma del vero lavoro umano, inteso come presenza attiva o addirittura indistinzione dell'uomo sociale dalla realtà. L'artista è un lavoratore che non ubbidisce all'iniziativa e non serve l'interesse di un padrone, non sottostà alla logica meccanica delle macchine. È insomma il tipo del lavoratore libero, che raggiunge la libertà nella prassi del lavoro stesso. Ecco spiegato perché Courbet, che aveva idee politiche ben chiare, non ha mai messo la sua pittura al loro servizio. Il suo assunto ideologico non condiziona la pittura dall'esterno e non si realizza attraverso, ma nella pittura. Perciò la pittura di Courbet è la cesura al di là della quale si apre tutta una nuova problematica, che non consisterà più nel domandare che cosa l'artista faccia della realtà, ma che cosa faccia nella realtà, per realtà intendendo le circostanze storiche o sociali non meno che la realtà naturale. CAPITOLO SECONDO - LA REALTÀ E LA COSCIENZA L’Impressionismo Fin dal '47 Courbet aveva annunciato il suo programma: realismo integrale, affronto diretto della realtà, indipendentemente da ogni precostituita poetica. Era il superamento simultaneo del "classico" e del "romantico" in quanto poetiche rivolte a mediare, condizionare, orientare il rapporto dell'artista con la realtà. Con ciò Courbet non nega l'importanza della storia, dei grandi maestri del passato, ma afferma che da essi non si eredita né una concezione del mondo, né un sistema di valori, né un'idea dell'arte, ma soltanto l'esperienza dell'affrontare la realtà ed i suoi problemi con i soli mezzi della pittura.

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immagini sono cose, e l'artista è colui che le fabbrica. Non le inventa, le

costruisce: dà loro la forza di competere, di imporsi come più reali della realtà

stessa, perché non Dio ma l'uomo le ha fatte. Dipingere significa dare al quadro

un peso, una consistenza maggiori della cosa veduta: in breve, fare ciò che si

vede è altra cosa dall'imitare la natura. Qual è il distacco e quale il percorso tra la

cosa veduta, che subito scompare, e la stessa cosa dipinta, che resta? Null'altro

che la fattura, il lavoro manuale dell'artista (Marx avrebbe detto: forza-lavoro).

Così il lavoro dell'artista diventa il paradigma del vero lavoro umano, inteso come

presenza attiva o addirittura indistinzione dell'uomo sociale dalla realtà. L'artista

è un lavoratore che non ubbidisce all'iniziativa e non serve l'interesse di un

padrone, non sottostà alla logica meccanica delle macchine. È insomma il tipo

del lavoratore libero, che raggiunge la libertà nella prassi del lavoro stesso. Ecco

spiegato perché Courbet, che aveva idee politiche ben chiare, non ha mai messo

la sua pittura al loro servizio. Il suo assunto ideologico non condiziona la pittura

dall'esterno e non si realizza attraverso, ma nella pittura. Perciò la pittura di

Courbet è la cesura al di là della quale si apre tutta una nuova problematica, che

non consisterà più nel domandare che cosa l'artista faccia della realtà, ma che

cosa faccia nella realtà, per realtà intendendo le circostanze storiche o sociali

non meno che la realtà naturale.

CAPITOLO SECONDO - LA REALTÀ E LA COSCIENZA

L’Impressionismo Fin dal '47 Courbet aveva annunciato il suo programma: realismo integrale,

affronto diretto della realtà, indipendentemente da ogni precostituita poetica. Era

il superamento simultaneo del "classico" e del "romantico" in quanto poetiche

rivolte a mediare, condizionare, orientare il rapporto dell'artista con la realtà. Con

ciò Courbet non nega l'importanza della storia, dei grandi maestri del passato,

ma afferma che da essi non si eredita né una concezione del mondo, né un

sistema di valori, né un'idea dell'arte, ma soltanto l'esperienza dell'affrontare la

realtà ed i suoi problemi con i soli mezzi della pittura.

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Al di là della rottura con le poetiche opposte e complementari del "classico" e del

"romantico" il problema che si poneva era quello di affrontare la realtà senza il

loro sostegno, di liberare la sensazione visiva da ogni esperienza o nozione

acquisita e da ogni atteggiamento preordinato che ne potesse pregiudicare

l'immediatezza, e l'operazione pittorica da ogni regola o consuetudine tecnica

che ne potesse compromettere la resa mediante i colori.

Il movimento impressionista, che ha decisamente bruciato i ponti col passato ed

aperto la via alla ricerca artistica moderna, si è formato a Parigi tra il 1860 e il

1870: si è presentato per la prima volta al pubblico nel 1874 con una mostra di

artisti "indipendenti" nello studio del fotografo Nadar.

Difficile dire se fosse maggiore l'interesse del fotografo per quei pittori o dei pittori

per la fotografia; è certo comunque che uno dei moventi della riforma della pittura

fu il bisogno di ridefinirne l'essenza e le finalità in rapporto al nuovo strumento di

ripresa meccanica della realtà.

La definizione si fa risalire al commento ironico di un critico su un quadro di

Monet intitolato Impression, soleil levant, ma è stata adottata dagli artisti, quasi

per sfida, nelle successive mostre. Le figure emergenti del gruppo sono:

MONET, RENOIR, DEGAS, CÉZANNE, PISSARRO, SISLEY. Alla prima fase

della ricerca aveva partecipato anche un amico di Monet, J. F. BAZILLE (1841-

1870), caduto combattendo nella guerra franco-prussiana. Non faceva parte del

gruppo, di cui però era considerato un precursore, MANET: di fatto questo artista

più anziano e già noto aveva sviluppato in senso essenzialmente visivo la

tendenza realista discostandosi però dall'integralismo di Courbet e richiamando i

pittori moderni all'esperienza di maestri del passato molto lontani dal classicismo

accademico: Velázquez, Rubens, Franz Hals. Ricusa lo scontro brutale con la

realtà, proponendosi invece di liberare la percezione da ogni pregiudizio o

convenzionalità per manifestarla nella sua pienezza di atto conoscitivo. Il ritorno

a una scelta di valori, che invece Courbet escludeva, l'ha senza dubbio

allontanato dall'oltranzismo rivoluzionario (Courbet aderirà impetuosamente alla

Comune) ed avvicinato invece a letterati e poeti (fu amico di Baudelaire e poi di

Mallarmé). Dopo il '70, sempre più si è accostato all'Impressionismo eliminando il

chiaroscuro e i toni intermedi e risolvendo i rapporti tonali in rapporti cromatici.

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Alla prima mostra nello studio del fotografo Nadar altre ne seguirono: 1877,

1878, 1880, 1881, 1882, 1886, sempre suscitando scandalizzate reazioni nella

critica ufficiale e nel pubblico benpensante. I soli critici che capirono l'importanza

del movimento furono Duret e Duranty nonché, non senza riserve, lo scrittore

Emile Zola, amico di Cézanne. Nessun comune interesse ideologico o politico

collegava tra loro i giovani "rivoluzionari" dell'arte: Pissarro era di sinistra, Degas

conservatore, altri indifferenti.

Non avevano un programma preciso. Nelle discussioni al caffè Guerbois si erano

però trovati d'accordo su alcuni punti: 1) l'avversione per l'arte accademica dei

Salons ufficiali; 2) l'orientamento realista; 3) il disinteresse totale per il soggetto;

la preferenza per il paesaggio e la natura morta; 4) il rifiuto delle consuetudini di

atelier nel disporre e illuminare i modelli, nel principiare col disegnare al tratto per

poi passare al chiaroscuro e al colore; 5) il lavoro en plein-air, lo studio delle

ombre colorate e dei rapporti tra colori complementari. Circa quest'ultimo punto è

certo il riferimento alla teoria ottica di Chevreul sui contrasti simultanei: un

deliberato tentativo di fondare la pittura sulle leggi scientifiche della visione si

avrà soltanto nel 1886 con il Neo-impressionismo di SEURAT e SIGNAC.

Anche prima della mostra del '74 i moventi e gli interessi dei vari componenti del

gruppo non sono identici. Monet, Renoir, Sisley, Pissarro compiono uno studio

diretto, sperimentale sul vero: lavorando di preferenza sulle rive della Senna, si

propongono di rendere nel modo più immediato con tecnica rapida e senza

ritocchi, l'impressione luminosa e la trasparenza dell'atmosfera e dell'acqua con

pure note cromatiche, indipendentemente da ogni graduazione chiaroscurale ed

evitando di adoperare il nero per rendere scuri i colori in ombra. Occupandosi

esclusivamente della sensazione visiva, rifuggono dalla "poeticità" del motivo,

dall'emozione e dalla commozione romantiche. Cézanne e Degas, invece,

considerano lo studio storico non meno importante che quello della natura:

Cézanne, specialmente, dedica molto tempo a studiare al Louvre, facendo

schizzi e copie interpretative, le opere dei grandi maestri.

È persuaso che, per mettere in chiaro la sostanza della operazione pittorica, si

debba riesaminare la sua storia; ma poiché anche Monet e gli altri mirano allo

stesso scopo attraverso la verifica delle possibilità tecniche attuali, i due processi

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convergono ad un medesimo fine: dimostrare che l'esperienza della realtà che si

compie con la pittura è una esperienza piena e legittima, che non può essere

sostituita con esperienze altrimenti compiute. La tecnica pittorica è dunque una

tecnica di conoscenzache non può essere esclusa dal sistema culturale del

mondo moderno, eminentemente scientifico. Non sostengono che, in un'epoca

scientifica, l'arte debba fingersi scientifica: si chiedono quali possano essere il

carattere e la funzione dell'arte in un'epoca scientifica, e come debba

trasformarsi la tecnica dell'arte per essere una tecnica rigorosa come la tecnica

industriale che dipende dalla scienza. In questo senso si può dimostrare che la

ricerca impressionista è, in pittura, il parallelo della ricerca strutturale degli

ingegneri nel campo della costruzione. E non soltanto la polemica degli

impressionisti contro gli accademici è simile a quella dei costruttori contro gli

architetti-decoratori, ma vi sono chiare analogie tra lo spazio pittorico degli

impressionisti e lo spazio costruttivo della nuova architettura in ferro.

Nell'uno e nell'altro caso, infatti, non si parte da una precostituita concezione

dello spazio: lo spazio si determina nell'opera dal rapporto dei suoi elementi

costitutivi.

La fotografia Il problema del rapporto tra le tecniche artistiche e le nuove tecniche industriali si

concreta, specialmente per la pittura, nel problema del diverso significato e

valore delle immagini prodotte dall'arte e di quelle prodotte dalla fotografia. La

sua invenzione (1839), il rapido progresso tecnico che riduce i tempi di posa e

permette di raggiungere la massima precisione, i tentativi di fotografia "artistica",

le prime applicazioni del mezzo alla registrazione di movimenti (fotografia

stroboscopica, cinematografia), ma soprattutto la produzione industriale degli

apparecchi ed i grandi mutamenti che l'impiego generalizzato della fotografia

determinano nella psicologia della visione hanno avuto, nella seconda metà del

secolo scorso, una profonda influenza sull'orientamento della pittura e sullo

sviluppo delle correnti artistiche, collegate con l'Impressionismo.

Col diffondersi della fotografia molte prestazioni sociali passano dal pittore al

fotografo (ritratti, vedute di città e di paese, reportage, illustrazioni ecc.). La crisi