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Corso di Laurea Magistrale
in Lavoro, cittadinanza sociale, interculturalità
LM- 87 Servizio Sociale e Politiche Sociali
Tesi di Laurea:
Multi-Level governance e il concetto di battleground
nelle politiche per richiedenti asilo e rifugiati: la realtà
trevigiana.
Relatrice
Prof.ssa Francesca Campomori
Laureanda
Valentina Donadel
Matricola 841273
Anno accademico
2018/2019
1
Ringraziamenti
Arrivata a conclusione di questo mio percorso universitario desidero ringraziare alcune
persone senza le quali probabilmente non ce l’avrei fatta.
Non riuscirò mai ad esprimere completamente la gratitudine verso la mia famiglia, che
c’è sempre stata e verso le persone a me più vicine, indispensabili in questo anno:
Elisabetta, Marco e Nicole. Solo: grazie di esserci.
Non posso non ringraziare Noemi, la mia compagna di corso a cui mi sento più legata
dopo aver ripreso gli studi, grazie per l’infinita pazienza e gli ottimi consigli.
Ringrazio e abbraccio le mie ex colleghe di Caritas Tarvisina, donne meravigliose,
Elena, Faustina e Valentina, che mi hanno insegnato molto.
Un particolare grazie va alla mia relatrice, la professoressa Campomori, per avermi
supportato nella stesura di questa tesi, seguendomi con professionalità e gentilezza.
Infine, dedico questo lavoro a Katia, lei sa il perché.
2
Indice
INTRODUZIONE ....................................................................................................................... 4
1. LA MULTI-LEVEL GOVERNANCE E IL CONCETTO DI “BATTLEGROUND”
NELLE POLITICHE DI RICEZIONE DEI RICHIEDENTI ASILO ................................. 10
1.1 Multi-Level Governance come strumento di lettura delle politiche ............................. 10
1.2 L’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Italia ................................................... 12
1.2.1. Italia e Immigrazione ................................................................................................ 12
1.2.2 Politiche e legislazione in materia ............................................................................. 14
1.2.3 Il “Decreto Sicurezza” ............................................................................................... 20
1.3 Mappatura degli attori .................................................................................................... 25
1.3.1 L’Unione Europea ...................................................................................................... 26
1.3.2 Interazioni verticali di governo: livello nazionale e enti locali ................................. 31
1.3.3 Attori “pro-immigrati” .............................................................................................. 33
1.3.4 Attori “anti-immigrati” .............................................................................................. 36
1.3.5 Interazioni tra il piano verticale (poteri pubblici) e società civile (piano orizzontale)
............................................................................................................................................. 37
2. IL VENETO E LA SUBCULTURA BIANCA ................................................................... 39
2.1 Il concetto di subcultura politica .................................................................................... 39
2.2 Il Veneto bianco ............................................................................................................... 41
2.3 Il Veneto che cambia ....................................................................................................... 45
2.4 Treviso e il sindaco “sceriffo” ........................................................................................ 52
2.5 Subcultura che va, principi che restano ........................................................................ 54
3. “BATTLEGROUND” TREVIGIANA ................................................................................. 56
3.1 Ricerca e metodologia ..................................................................................................... 56
3.2 Dimensione verticale: i livelli di governo e il sistema di accoglienza .......................... 59
3.2.1 SPRAR ............................................................................................................................ 59
3.2.2 CAS ................................................................................................................................. 65
3.3 Dimensione orizzontale ................................................................................................... 74
3.3.1 Attori del Terzo Settore: interazioni tra loro e la società civile ................................. 74
3.3.2 Attori organizzati (Associazioni di volontariato, chiese, sindacati etc.) .................... 77
3.3.3 Movimenti sociali: Django ......................................................................................... 81
3.3.4 Gruppi di sostegno e “battitori liberi” ...................................................................... 84
3.3.5 Attori anti-immigrati: movimenti politici di estrema destra ...................................... 85
3
3.4 “Post-accoglienza” ........................................................................................................... 89
3.5 Attori locali e ultime modifiche normative (d.l. 113/2018) .......................................... 91
4. “BATTLEGROUND” TREVIGIANA, UN’ANALISI ........................................................ 94
4.1 Governance verticale: “confini locali” in un sistema in fase di cambiamento ........... 96
4.2 Governance orizzontale: molteplicità di attori e complessità nel fare rete ............... 101
4.3 Post-accoglienza: mancanza delle politiche e tentativi di farvi fronte ...................... 104
4.4 Treviso: interrelazioni tra poteri pubblici e società civile ......................................... 106
4.5 Modifiche normative e cambio di scenario ................................................................. 107
CONCLUSIONE ..................................................................................................................... 110
APPENDICE A: interviste ..................................................................................................... 115
Intervista 1: Comune di Treviso ........................................................................................ 115
Intervista 2: Caritas Tarvisina per la parte CAS ............................................................. 123
Intervista 3: LaEsse per la parte SPRAR ........................................................................ 139
Intervista 4: LaEsse per la parte CAS .............................................................................. 159
Intervista 5: Caritas Tarvisina per il progetto “Rifugiato a casa mia” .......................... 179
Intervista 6: Civico 63 ......................................................................................................... 190
Intervista 7: Talking Hands ................................................................................................ 201
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ....................................................................................... 212
4
INTRODUZIONE
La Multi-Level Governance (MLG): “evoca l’idea di soluzioni sempre più complesse
per giungere a decisioni autorevoli in reti sempre più fitte di attori pubblici e privati,
individuali e collettivi1” (Piattoni 2010, 1).
Tale approccio analitico è nato in ambito europeo per meglio comprendere le politiche
nell’Unione Europea (Marks 1993), considerando che molteplici attori, non unicamente
gli esecutivi degli Stati Membri, come regioni ed enti locali, possono prendere parte alle
politiche comunitarie in tutte le sue fasi.
Più precisamente per MLG si intende un approccio allo studio delle politiche che
riguarda l’analisi di due dimensioni che si incontrano e si intrecciano: quella verticale,
che riguarda i rapporti tra i vari livelli di governo; quella orizzontale, caratterizzata dalla
relazione tra attori pubblici e privati (Campomori F. 2018c, 1).
Le politiche di ricezione e accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, in Italia, sono
oggetto di un sistema articolato di governance che prevede il coinvolgimento di vari
attori nei livelli di governo e un ruolo significativo di una dimensione orizzontale, in cui
si muovono una molteplicità di attori pro e contro l’immigrazione: per questa ragione la
MLG si presenta come approccio adatto a comprende maggiormente i processi di
policymaking in questo tema particolarmente controverso (Ibidem).
Lo scenario attuale, infatti, vede lo Stato Nazione sfidato da processi quasi simultanei di
devoluzione sia verso il livello sovranazionale, sia verso quello subnazionale, nel quale
gli attori del privato sociale hanno assunto ruoli sempre più decisivi
nell’implementazione delle politiche a livello locale.
In realtà, il concetto di MLG va completato, in quanto permette una comprensione
analitica maggiore nella dimensione intergovernativa rispetto al piano orizzontale di
governo, in cui agiscono attori pubblici e privati. Il motivo principale risiede nel fatto
che gli studi sulla MLG si sono concentrati sulle azioni coordinate e l’ordine negoziato
tra livelli.
A livello locale italiano si è lungi dal vedere interazioni guidate dalla coordinazione.
Il primo ingente numero di richiedenti asilo arrivati nel nostro paese risale al 2011 con
la cosiddetta Emergenza Nord Africa. I 62000 immigrati sbarcati prevalentemente a
1 Traduzione mia
5
Lampedusa (Campomori F. 2018c) hanno fatto presagire un sistema di accoglienza
assente. Il governo ha affrontato la crisi utilizzando la Protezione Civile come braccio
operativo, mentre per quanto riguardava le forme di protezione internazionale la gran
parte dei richiedenti asilo ottenne la protezione umanitaria (Ibidem). Il programma che
riguardava il coinvolgimento della Protezione Civile finì, la maggior parte dei profughi
concluse il periodo nelle varie strutture, tranne i più vulnerabili che vennero accolti
negli SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Dall’esperienza
non si sviluppò un processo di policy-making articolato, né una precisa definizione di
ruoli e responsabilità tra i vari livelli di governo (Campomori F. & Feraco M. 2018,
128).
Dopo due anni di arrivi relativamente meno incisivi, lo sbarco di 170000 profughi nel
2014, ha segnato un momento di svolta. L’evento ha spinto il governo a predisporre un
sistema di accoglienza strutturato e non episodico. È stato formalizzato in sede di
Conferenza Unificata un accordo tra enti locali e regioni2, in cui, quest’ultime si
impegnavano ad accogliere un certo numero di richiedenti asilo secondo parametri ben
definiti.3 In quella sede è stato ampliato il sistema SPRAR assegnando per il periodo al
2014-2016 circa 21 mila posti.
A seguito di quel primo significativo momento di coordinamento tra livelli di governo,
nel 2015 è entrato in vigore un decreto (d.lgs. n.142/2015) a ricezione della direttiva
europea sulle condizioni di accoglienza (n. 2013/33/Ue). La norma ha cercato di
strutturare maggiormente il sistema di accoglienza articolandolo in fasi, come già
previsto dall’accordo raggiunto in sede di Conferenza Unificata.
Il sistema di accoglienza è stato progettato affinché il livello nazionale svolgesse un
ruolo di coordinazione ed è diviso in tre fasi: primo soccorso, secondo livello di
accoglienza e integrazione: lo SPRAR sarebbe dovuto diventare il percorso comune per
tutti i richiedenti asilo.
A parte alcuni grandi centri in cui vengono accolti i richiedenti asilo appena arrivati nel
territorio italiano, dal 2016, le politiche di asilo si basano essenzialmente su: SPRAR, 2 Quote regionali necessarie a riequilibrare la presenza dei profughi sul territorio, il 70% di coloro che
venivano accolti erano ripartiti tra Calabria, Sicilia e Puglia (Campomori F & Feraco M. 2018, 131). 3 Percentuale della quota di accesso al Fondo Nazionale per le politiche sociali; esclusione dei comuni
colpiti da terremoti o qualsivoglia emergenza; quote relative all’effettiva permanenza sul territorio e non alle assegnazioni iniziali. http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/sub allegato_n_5_accordo_conferenza_unificata_luglio_2014.pdf
6
un sistema nazionale in cui gli enti locali collaborano con il Ministero dell’Interno
(accoglie 356504 persone), e CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) gestiti
direttamente dal Ministero dell’Interno attraverso la collaborazione di attori privati (es.
ONG, altri attori del terzo settore) che si occupano di accogliere richiedenti asilo
bypassando le autorità locali (137000 persone).
Sebbene, lo SPRAR dovesse essere il luogo di arrivo per tutti i richiedenti asilo e il
sistema preposto ad un reale progetto di integrazione per coloro che vengono accolti, le
cifre testimoniano altro. Nello sviluppo dei progetti SPRAR, infatti, sono emerse forti
criticità a causa di una mancanza di cooperazione a livello nazionale e locale. Si sono
avviati 8705 progetti in 1800
6 comuni a fronte dei quasi 8000 presenti nel territorio
nazionale. Pertanto, la maggior parte dei richiedenti asilo rimane confinata nei CAS
(70%) di fatto distribuiti in tutta Italia, ma che non conferiscono ruoli ben definiti agli
enti locali che li ospitano. Il prefetto (che rappresenta il governo centrale) può decidere
di aprire un centro straordinario quando lo ritiene necessario senza l’approvazione del
comune. A tale merito, molti enti locali hanno protestato contro l’avvio di CAS nei
propri territori, talvolta dopo aver declinato la possibilità di aprire SPRAR dei quali
avrebbero avuto la regia.
Le rimostranze delle autorità locali hanno creato veri e propri conflitti tra livello
nazionale e livello locale. Congiuntamente si è assistito ad un forte aumento di politiche
di esclusione attuate dai comuni che in alcuni casi sono arrivati ad impedire anche
iniziative di solidarietà da parte della società civile locale verso i richiedenti asilo.
All’interno della società civile, Ambrosini (2018), mappa due gruppi di attori che
prendono posizione sulla questione dell’immigrazioni forzate: gli attori pro-
immigrazione (ONG e organizzazioni del terzo settore, altri attori organizzati come
associazioni di volontariato e sindacati, movimenti sociali, gruppi di sostegno e
“battitori liberi”) e attori anti-immigrazione (comitati cittadini contrari all’accoglienza e
partiti di estrema destra).
Il primo gruppo aiuta i richiedenti asilo e rifugiati in molteplici modi, sfidando le
politiche di esclusione indette dal governo locale o nazionale; il secondo gruppo tenta di
ostacolare l’accoglienza. Alla luce di queste interazioni tra i molteplici attori che si
4 https://www.sprar.it/progetti-territoriali-3
5 ibidem
6 ibidem
7
muovono a livello locale si sviluppano le dinamiche di governance, che possono essere
cooperative, a volte competitive e infine conflittuali.
La MLG comprende non solo l’ordine negoziato tra gli attori coinvolti dalle politiche di
ricezione di richiedenti asilo e rifugiati, ma anche forti conflitti dettati dalla molteplicità
di valori e fini che muovono gli attori nel locale, per questa ragione Ambrosini ha
introdotto l’immagine di un “campo di battaglia” (battleground) per spiegare e
completare l’approccio MLG.
Inoltre, l’ultima disposizione di legge (cosiddetto “Decreto Sicurezza” o “Decreto
Salvini” l. n. 113/2018) che è andata a modificare il sistema di asilo, va in direzione
restrittiva rispetto al percorso di accoglienza e crea potenziali conseguenze con ricadute
anche tra le dinamiche multilivello.
Per provare a rafforzare e verificare il potenziale esplicativo del concetto di
“battleground” si è cercato di mappare il campo di battaglia trevigiano.
Per svolgere questa ricerca inizialmente si è ricostruita la tradizione politica veneta,
guardando al concetto di “subcultura7 bianca”; come hanno dimostrato alcune ricerche
(si veda Campomori F. 2008, Campomori F. & Caponio T. 2016) nell’ambito
dell’integrazione degli stranieri i diversi interventi territoriali sono influenzati anche
dalla differenziazione degli stili amministrativi, intesi come stile decisionale prevalente
con cui il governo locale affronta e organizza le issues politiche (Campomori F. 2008,
76). Gli stili amministrativi sono condizionati a loro volta dalle subculture politiche
territoriali e dalla diversa rappresentazione di ognuna riguardo al ruolo del pubblico
nella regolazione politica (Ibidem).
Successivamente si arriva al cuore della ricerca: si sono individuati i vari attori presenti
nel locale, le interazioni tra loro e ciò che queste hanno comportato
nell’implementazione del sistema di accoglienza a Treviso. Sono emersi momenti di
collaborazione tra i livelli inter-governativi e non sono mancati anche momenti di forte
scontro, in particolare relativamente ad un grande hub, un centro di accoglienza
straordinario che a Treviso è arrivato ad accogliere fino a 800 richiedenti asilo (nel
2016). Ci si è concentrati nel tentativo di ricostruire, quindi, il livello verticale di
7 Trigilia definisce la subcultura come: “Un particolare tipo di sistema politico locale, caratterizzato da
un’elevata capacità di aggregazione e mediazione dei diversi interessi locale” (in Campomori 2008, pag.89). Esse in Italia si differenziano in “bianca” e “rossa” nel secondo capitolo verranno declinate in modo più puntuale
8
governo per poi concentrarsi sulla dimensione orizzontale della governance
identificando i gruppi pro-accoglienza e quelli contro.
Struttura del testo
Al fine di comprendere il campo di battaglia trevigiano e le dinamiche tra i vari attori al
suo intero, si è diviso il testo in quattro capitoli: nel primo, si approfondirà il tema della
MLG e del concetto di “battleground” nelle politiche di ricezione e accoglienza di
richiedenti asilo e rifugiati in Italia.
Si vaglierà la parte normativa che ha strutturato il sistema di accoglienza così come
viene inteso, considerando le interazioni tra livelli di governo previste e le recenti
modifiche che sono state apportate a termine dello scorso anno (2018).
Parte del capitolo è dedicata alla mappatura degli attori che a livello locale hanno
un’influenza diretta o indiretta sull’implementazione delle politiche.
Il secondo capitolo è volto a comprendere la subcultura presente nella regione di
appartenenza di Treviso, il Veneto, quella che viene indicata come “subcultura bianca”.
Questa infatti, diviene una cornice valoriale importante che spiega alcuni rapporti tra
società e istituzioni.
Il terzo capitolo cerca di mappare il “campo di battaglia” trevigiano. La metodologia
utilizzata per riuscire a riconoscere gli attori presenti e le interazioni tra loro, ha
riguardato uno studio della stampa locale, dal 2015 ad oggi, congiuntamente ad
interviste qualitative che hanno interessato direttamente alcuni dei soggetti più
significativi.
L’ultimo capitolo rappresenta invece il momento di analisi di quanto si è riuscito a
ricostruire.
Precisazioni
Il testo non prende in considerazione tutte le criticità relative ai minori stranieri non
accompagnati poiché a Treviso non sono emerse realtà che si occupano di accoglierli.
Pertanto, anche nella trattazione delle recenti modifiche normative (d.l.113/2018) non si
è parlato di ciò che riguarda i minori stranieri non accompagnati.
Una seconda precisazione riguarda la consapevolezza che nella fase conclusiva del
presente lavoro di ricerca, il “campo di battaglia” trevigiano è già parzialmente
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cambiato rispetto a quello proposto. Infatti, le interviste sono state fatte a cavallo tra
dicembre 2018 e gennaio 2019, momento in cui stavano per essere attuate le modifiche
introdotte dal “Decreto sicurezza”. Alla luce di questo, in conclusione all’elaborato si
farà un breve accenno ai cambiamenti rilevanti che hanno interessato la città a seguito
della normativa.
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1. LA MULTI-LEVEL GOVERNANCE E IL CONCETTO DI
“BATTLEGROUND” NELLE POLITICHE DI RICEZIONE DEI
RICHIEDENTI ASILO
1.1 Multi-Level Governance come strumento di lettura delle politiche
La “dimensione locale” ha assunto sempre più rilievo nell’implementazione di politiche
sull’immigrazione e integrazione (Caponio T. & Borket M. 2010). Per questa ragione
sono stati studiati maggiormente gli intrecci e l’influenza reciproca tra i diversi livelli di
regolamentazione politica allo scopo di comprenderne il policymaking in tutte le sue
fasi, dalla decisione all’implementazione (Ambrosini M. & Campomori F. 2018).
Nelle scienze politiche sono stati considerati principalmente due studi volti ad
analizzare questo spostamento di responsabilità anche verso attori non statali: da un
lato, ciò che viene chiamato “venue-shopping”, un concetto introdotto da Guiraudon nel
2000 per spiegare il fenomeno per cui i responsabili politici, trovando ostacoli nella loro
“sede politica” tradizionale cercano nuove “sedi” più favorevoli ai loro obiettivi;
dall’altro la Multi-Level Governance (MLG) che a differenza del venue-shopping,
incentrato sulle politiche di controllo, è una prospettiva utilizzata nello studio delle
politiche relative all’integrazione degli immigrati.
Partendo dall’analisi del primo paradigma, Guiraudon ha sostenuto che i funzionari
nazionali hanno iniziato a cooperare in materia di asilo e migrazioni in sede europea,
per evitare ostacoli “domestici” incontrati quando hanno cercato di rafforzare i controlli
sull’immigrazione già nel 1980.
Più precisamente, il “venue-shopping” a livello europeo ha permesso ai responsabili
delle politiche interne di eludere tre tipi di ostacoli che hanno messo a repentaglio il
successo dei loro tentativi di aumentare i controlli sulla migrazione: i vincoli giudiziari,
attori locali “pro-migranti”, e le organizzazioni non governative (Kaunert C., Léonard S.
& Hoffmann U. 2013).
Dall’altro la Multi-Level Governance (MLG) che a differenza del venue-shopping,
incentrato sulle politiche di controllo, è una prospettiva utilizzata nello studio delle
politiche relative all’integrazione degli immigrati.
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Il concetto di MLG è stato formulato per la prima volta da Marks (1993) per spiegare la
rilevanza crescente delle autorità subnazionali in ciò che riguarda i processi decisionali
e di attuazione delle politiche dell’UE (Panizzon M. & Van Riemsdijk M. 2018).
Nel tempo si sono sviluppate molteplici definizioni del termine, tuttavia la più diffusa è
quella di Hooghe e Marks (2001) e Marks e Hooghe (2004) in cui si descrive la MLG
come un insieme di dinamiche volte alla dispersione dell’autorità lontano dal governo
centrale, verso l’alto, coinvolgendo il livello sovranazionale, verso il basso, chiamando
in causa le autorità subnazionali, e lateralmente verso reti private (Ibidem).
L’approccio, dunque, allo studio delle politiche è quello che considera il
coinvolgimento di più autorità sul piano verticale, ossia i livelli di governo (Multi-
Level), in concomitanza con l’analisi del piano orizzontale (governance) che coinvolge
sia attori pubblici che privati, comprendendo le dinamiche che fanno incontrare e
intrecciare i due diversi piani.
Fin ora questa metodologia di studio delle politiche è stata maggiormente utilizzata per
la comprensione dell’integrazione degli immigrati regolari e raramente si è occupata
della immigrazione irregolare e dell’accoglienza di richiedenti asilo (di recente ne
hanno trattato Spencer 2017 e Panizzon M. & Van Riemsdijk M. 2018).
Questo studio, tuttavia, si concentrerà sull’analisi delle politiche destinate alla ricezione
di richiedenti asilo le quali, per natura del fenomeno sfaccettato e complesso sotto più
profili, implicano un’azione di governo ad ampio raggio che impone il coinvolgimento
di diversi stakeholders. Risulta, dunque, interessante studiare le relazioni e le interazioni
che scaturiscono dall’incontro dei diversi attori territoriali.
È importante ricordare che a partire dal 2014 l’incremento di arrivi nel continente, ha
colto l’Europa impreparata alla ricezione dei richiedenti asilo, creando delle concrete
difficoltà di coordinamento tra gli Stati membri causando, anche, tensioni al loro
interno. Il tema dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati rappresenta un ambito in
cui la MLG è segnata da forti scontri poiché, nonostante sia stato un tema imposto con
forza nell’agenda politica sin dal 2014, ad oggi i paesi dell’Unione Europea non hanno
una visione comune rispetto al coordinamento e alla gestione del fenomeno.
Questo ha creato principalmente una “crisi di governance” tra gli stati (Campomori F.
2018b), i quali sono segnati al loro interno da diversi stakeholders che la influenzano e
attraverso il loro agire la determinano.
12
La MLG come prospettiva di analisi si concentra molto sull’ordine negoziato e di
collaborazione tra gli attori, per questa ragione si presta maggiormente alla valutazione
del livello verticale di governance considerando che gli attori in quel caso hanno dei
frames simili o congruenti. Le politiche di integrazione dei richiedenti asilo prevedono
una grande partecipazione di attori pubblici e privati nel locale (soprattutto in Italia) che
al contrario, vivono forti contrasti.
Infatti, dal punto di vista nazionale (soprattutto quelli dell’Europa del sud, considerati
guardie naturali dei confini-come l’Italia), la MLG diviene a livello locale una
“battleground”, un “campo di battaglia” (Ambrosini M. 2018), dove le interazioni tra i
diversi attori sono cruciali per comprendere il policymaking (Ambrosini M &
Campomori F. 2018).
Vi sono, quindi, “un insieme di interazioni e scontri tra forze di globalizzazione,
strategie politiche, interessi interni, valori umanitari, nostalgia di confine e le
aspirazioni, gli interessi e i bisogni delle persone coinvolte8”
(Ambrosini M. 2018, 131).
Queste convergenze determinano le politiche e le condizioni sociali dei richiedenti asilo
e rifugiati.
Il primo capitolo dell’elaborato, dopo avere delineato le politiche destinare alla
ricezione e integrazione dei richiedenti asilo in Italia, si concentra sulla mappatura del
“campo di battaglia” italiano, poiché è il quadro in cui si inserisce la realtà del
trevigiano, cellula embrionale di un sistema tuttavia più ampio che rispecchia in ambito
locale conflitti di natura anche nazionale.
1.2 L’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Italia
1.2.1. Italia e Immigrazione
Per addentrarsi maggiormente nella questione che riguarda il coinvolgimento e talvolta
le resistenze in Italia all’immigrazione è necessario fare un piccolo inciso sulla sua
storia.
L’Italia è uno stato interessato dal fenomeno non da moltissimo tempo, lo sviluppo
economico più favorevole in altri stati europei ha visto, infatti, lo “Stivale” oggetto di
8 Traduzione mia
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tassi di immigrazione considerevoli solo a partire dal 1973-1974, periodo in cui per la
prima volta il saldo migratorio passivo superò quello attivo (Campomori F. 2008).
Pertanto, erano maggiori le persone che arrivavano nel paese rispetto ai cittadini italiani
che si trasferivano altrove.
Fino al 2014 tutto ciò che concerneva l’immigrazione forzata non è stata preso
realmente in considerazione dalle politiche pubbliche italiane poiché fino al 2011 i tassi
di richiedenti asilo erano inferiori rispetto all’Europa settentrionale.
Istituzionalmente il discorso pubblico ha riportato l’immigrazione come un problema
patologico da quando è diventato chiaro che l’Italia ne era interessata (intorno agli anni
90) e legato alla sicurezza. Non a caso è il Ministero dell’Interno ad occuparsene,
quando, in realtà, il tema riguarda politiche non unicamente securitarie ma richiede
riflessioni e atti trasversali in molteplici ambiti.
Il mercato del lavoro invece si è mosso sin dall’inizio in modo diverso, infatti era, ed è,
interessato da meccanismi volti all’”integrazione” economica, ovvero, all’inserimento
degli immigrati anche provenienti da paesi in via di sviluppo, in lavori in piccole o
medie imprese o altri settori non molto interessati da cittadini italiani, come
l’agricoltura, la pesca, l’ambito della ristorazione e il lavoro domestico (Campomori,
2008). Si trattava di inserimenti non formali, riguardanti l’economia sommersa, per poi
essere “sanati”, spesso, tramite l’intervento dei datori di lavoro, quando la legge lo
permetteva. Pertanto, c’è stato sin dall’inizio in questa materia un gap tra politiche e
condizioni concrete di vita degli immigrati.
Il bisogno di manodopera del mercato italiano in ambiti poco forniti di personale, ma
anche la possibilità di averne a basso costo hanno, sovente, bypassato la chiusura
normativa.
In Italia inoltre, le reti tra immigrati sono andate a creare settori in cui era (ed è)
maggiore la presenza di cittadini stranieri proveniente dallo stesso stato nel medesimo
settore professionale perché sono risultate le vie più significative di comunicazione tra
domanda-offerta lavorativa (Ambrosini M. 2018, 80).
L’immigrazione di conseguenza era divisa da due forze: la domanda economica e le
politiche volte alla chiusura (ivi, 79).
I passati trent’anni, quindi, hanno visto lo Stato interessato da decreti flussi volti a
regolarizzare persone già presenti nel territorio, sintomo di politiche non realmente
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funzionali a gestire gli ingressi. È importante sottolineare, inoltre, che le sanatorie non
sono state pensate come uno strumento per garantire un diritto individuale ma piuttosto
un’opportunità di regolarizzare la posizione di un dipendente da parte del datore di
lavoro, consegnando nelle mani dello stesso la possibilità di regolarizzare, o meno, un
cittadino straniero nello stato e farlo, o meno, emergere dall’invisibilità (Ambrosini M.
2018, 81).
L’accoglienza di richiedenti asilo è stata influenzata dall’accettazione sociale
dell’immigrazione legata all’occupazione lavorativa, alle necessità del mercato del
lavoro e le difficoltà di relazionarsi in ambito europeo (ibidem).
Per anni l’Italia è stata una tacita meta di transizione per giungere in paesi dove i
richiedenti asilo avevano reti familiari e amicali. A volte era possibile fermarsi
attraverso la ricerca di un lavoro informale che con sanatorie e un datore di lavoro
disponibile ad ufficializzarne la posizione poteva concludersi in una regolarizzazione a
tutti gli effetti come immigrati economici, qualunque fosse la loro storia, il che gli
permetteva di evitare l’iter per la richiesta d’asilo (Korac 2001; Ambrosini 2014).
Ma dal 2011 con la cosiddetta Emergenza Nord Africa e con maggiore forza nel 2014
(solo in quell’anno sbarcarono 170 000 richiedenti asilo sulle coste italiane), a seguito
della guerra in Siria, non si è più potuto trattare il fenomeno come marginale. Oggi la
chiusura dei porti e il rafforzamento del Trattato di Dublino rende quasi impossibile
passare da un paese ad un altro dell’UE, oltre al fatto che non è possibile accedere al
paese senza essere identificati. Pertanto, richiedere il permesso per richiesta d’asilo è
oggi l’unico mezzo per poter rimanere nel paese legalmente.
1.2.2 Politiche e legislazione in materia
Dal punto di vista normativo in materia, nonostante il diritto d’asilo sia riconosciuto
dalla Costituzione (art.10 comma 3) e l’Italia abbia aderito alla Convenzione di Ginevra,
solo nel 1990 sono state approvate delle leggi per porsi in linea con le scelte legislative
europee riguardanti l’asilo (Ambrosini M. & Campomori F. 2018). In particolare, si
ricorda la legge n.39 (cosiddetta “Legge Martelli”) che introdusse un riferimento
all’asilo ma non predispose un sistema di accoglienza.
Nel 2002 è nato il “Sistema di Protezione dei Rifugiati e Richiedenti Asilo” (SPRAR), a
seguito di un’esperienza nata con l’emergenza dei profughi proveniente del Kosovo
15
(1999) e la nascita del Piano Nazionale Asilo (PNA) infatti, si è previsto il
coinvolgimento degli enti locali per offrire soluzioni abitative ai richiedenti asilo e
servizi quali: i corsi di lingua, l’affiancamento durante l’iter per la richiesta d’asilo,
supporto psicologico e mediatori culturali (l.189/2002).
Il sistema di accoglienza aveva tuttavia limiti e carenze, una tra tutte la poca
disponibilità di posti disponibili.
Nel 2007 è stata inserita una regolazione per la protezione internazionale che prevede in
aggiunta allo status di rifugiato la protezione sussidiaria e quella umanitaria (d. lgs.
N.251 in recezione della Direttiva europea 2004/83).
L’impreparazione a gestire l’arrivo di profughi e la modalità emergenziale per
affrontare l’accoglienza è emersa con forza nel 2011 con “l’Emergenza Nord Africa” e
l’arrivo di 62 000 migranti a Lampedusa (Campomori F. 2018c), come precedentemente
anticipato. L’accoglienza è stata gestita in modo emergenziale dal governo attraverso la
Protezione Civile, che faceva da braccio operativo, mentre per quanto riguarda le
domande di protezione internazionale la maggior parte di coloro che hanno fatto
richiesta d’asilo hanno ottenuto la protezione umanitaria. Quando nel 2013 si è chiuso il
piano che prevedeva l’operatività della Protezione Civile i profughi ancora presenti
nelle strutture allestite sono stati dimessi e coloro che sono stati considerati più
vulnerabili inseriti nel sistema SPRAR. L’esperienza non aveva lasciato al territorio
italiano un sistema organico di accoglienza che facesse fronte anche a nuovi arrivi
consistenti di persone, elemento emerso con forza nelle accoglienze a venire.
Per altri due anni l’Italia è stata oggetto di arrivi relativamente più contenuti ma il 2014
è stato un anno di forte cambiamento, sia per l’inasprimento del conflitto in Siria, sia
per dei focolai di guerra in Africa.
Rispetto al 2011 si è cercato un accordo tra Stato e Regioni che prevedeva una
cooperazione a vari livelli di governo (statale, regionale e locale) per l’accoglienza dei
profughi (Ambrosini M. & Campomori F. 2018). Il 10 luglio 2014 la Conferenza
Unificata Stato-Regioni ha approvato il “Piano nazionale per fronteggiare il flusso
straordinario di cittadini extracomunitari adulti, famiglie e minori stranieri non
accompagnati9”, definendo così un accordo tra Governo, Regioni ed Enti Locali. A
9 http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/sub-
allegato_n_5_accordo_conferenza_unificata_luglio_2014.pdf
16
seguito di queste disposizioni è stata emanato un decreto legislativo n.142/2015 a
ricezione della direttiva europee sulle procedure di riconoscimento degli status
internazionali (n.2013/32/UE) e norme relative all’accoglienza (n.2013/33/UE).
L’insieme di questi atti rappresentava il tentativo di superare l’ottica emergenziale
sviluppando due linee d’azioni: in primo luogo condividere una distribuzione dei
migranti per regioni basandosi sulle quote di accesso al Fondo nazionale per le politiche
sociali; in secondo luogo delineare un sistema di accoglienza che puntasse sulla
collaborazione inter-istituzionale tra livelli di governo (Campomori F. & Feraco M.
2018, 131).
Il decreto ha suddiviso il sistema in fasi, una prima accoglienza da attuarsi nei luoghi di
primo arrivo (in strutture denominate CARA e Hotspot). Dove non c’è la disponibilità
di centri di primo soccorso si possono utilizzare Centri di Accoglienza Straordinari
(CAS), come strutture che dal punto di vista normativo dovrebbero essere temporanee;
una seconda fase nelle strutture SPRAR, volte all’inclusione grazie a progetti
individuali.
La legge definisce anche la governance dell’accoglienza destinando la prima fase a
centri governativi e la seconda al coinvolgimento degli enti locali in tutto il territorio
italiano predisponendo delle quote territoriali. La partecipazione alla rete SPRAR è
volontaria da parte dei comuni, che qualora interessati, partecipano ad un bando
ministeriale dando in seconda battuta la gestione degli spazi e dei servizi ad enti
attuatori del progetto, mantenendone la regia. Come emerge dalla tabella 1 i posti resi
disponibili dalla rete SPRAR non hanno coperto il numero necessario per accogliere
tutte le persone giunte in Italia dal 2014 ad oggi, pertanto sono stati aperti in tutto il
territorio italiano dei CAS dalle prefetture referenti sorpassando le autorità locali con le
quali si sono venute a creare non poche tensioni. Se si osservano con attenzione i dati
(tab. 1) relativi all’inizio del 2017 si può notare come la maggior parte dei cittadini
stranieri presenti nel sistema di accoglienza fosse accolto nei CAS. Non essere riusciti a
incrementare i numeri di accolti nel sistema SPRAR, considerando il bando del 2016
promosso a livello nazionale andato quasi deserto che rispondeva alla necessità di avere
nuovi fondi per attuarli, fa emergere una problematica rilevante: la poca volontà dei
comuni di partecipare al progetto SPRAR. Probabilmente questo tipo di decisione può
essere legata al timore di ricadute elettorali negative (Ibidem), considerando il momento
17
storico segnato da un’opinione pubblica che registra un aumento di diffidenza, legata a
timori per la sicurezza e la perdita dell’Italia del controllo dei propri confini, come
emerge, ad esempio dai sondaggi a cura di IPSOS,10
o dagli episodi di razzismo
individuati da Lunaria11
.
La presenza degli SPRAR in Italia, è disomogenea, sono collocati perlopiù nelle regioni
meridionali e vi è un impegno modesto da parte di regioni che accolgono un numero
significativo di richiedenti asilo, come il Veneto.
Regione CAS Hotspot Centri di
prima
accoglienza
SPRAR Totale
v.a. %
Lombardia 25.128 1.616 26.744 14,3
Campania 15.057 1.800 16.857 9,0
Lazio 12.382 898 3.295 16.575 8,9
Emilia Romagna 12.193 430 1.367 13.990 7,5
Sicilia 6.022 296 3.445 4.090 13.853 7,4
Piemonte 12.453 1.351 13.804 7,4
Veneto 11.210 1.749 652 13.611 7,3
Toscana 11.607 1.146 12.753 6,8
Puglia 7.483 56 2.478 2.559 12.576 6,7
Calabria 4.179 807 2.619 7.605 4,1
Liguria 5.629 578 6.207 3,3
Sardegna 4.942 230 5.172 2,8
Marche 4.317 780 5.097 2,7
Friuli Venezia
Giulia
3.879 862 322 5.063 2,7
Abruzzo 3.950 460 4.410 2,4
Trentino Alto
Adige
3.271 149 3.420 1,8
Molise 2.538 619 3.157 1,7
Umbria 2.666 415 3.081 1,7
Basilicata 2.005 514 2.519 1,4
Valle d’Aosta 328 11 339 0,2
Totale 151.239 352 10.669 24.573 186.833 100,0
Tabella 1 Italia. Cittadini stranieri presenti nel sistema di accoglienza per tipologia di centro e regione,
valori assoluti e percentuali al 01/12/2017 (fonte: Centro Studio e Ricerche IDOS)
10
https://www.ipsos.com/it-it 11
https://www.lunaria.org/cronache-di-ordinario-razzismo-2/
18
Nel 2017 c’è stato un altro intervento del legislatore, che non è andato ad incidere
direttamente sul sistema di accoglienza (se non relativamente alla iscrizione anagrafica
degli “ospiti” e al ruolo di cui sono investiti i responsabili delle strutture – si pensi alla
notificazione del diniego della protezione internazionale che non è più affidata alle
Questure bensì direttamente agli operatori) quanto piuttosto sull’iter della richiesta di
protezione internazionale: con il decreto legge del 17 febbraio 2017, n. 13 - cosiddetto
“Decreto Orlando-Minniti”- sono state emanate le “Disposizioni urgenti per
l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure
per il contrasto dell’immigrazione illegale”, convertite poi nella legge del 13 aprile
2017, n. 46.
Le principali modifiche che ha apportato al sistema previgente, riguardano
principalmente l’art. 35 del d. lgs. del 28 gennaio 2008, n. 25, apponendovi l’art. 35 bis.
I maggiori elementi di novità riguardano: la modifica al primo comma del rito che la
procedura deve seguire, passando dal rito sommario di cognizione al rito camerale; la
non obbligatorietà della fissazione di udienza di comparizione delle parti dinanzi al
Tribunale12
; la non reclamabilità del decreto che conclude il giudizio instaurato, ma la
sola ricorribilità per Cassazione riducendo a 30 giorni il termine per l’impugnazione (a
fronte dei sei mesi previsti per qualsiasi altro tipo di contenzioso instaurato); la non
automatica sospensione del provvedimento amministrativo di diniego fino
all’esaurimento di tutti i gradi di giudizio, qualora, infatti, il primo grado di giudizio si
concluda con un decreto di rigetto, anche se esso non è definitivo ed è dunque in corso
l’impugnazione davanti la Corte di Cassazione, il provvedimento in questione non è
automaticamente sospeso, ma occorre presentare apposita istanza di sospensione dinanzi
allo stesso Tribunale che ha provveduto con il decreto di rigetto della domanda.
Quanto poi agli ex CIE, la denominazione: «centro di identificazione ed espulsione» di
cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, diviene «centro di
12
Comma 10 della norma citata stabilisce che: “E' fissata udienza per la comparizione delle parti esclusivamente quando il giudice: a) visionata la videoregistrazione di cui al comma 8, ritiene necessario disporre l'audizione dell'interessato; b) ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti; c) dispone consulenza tecnica ovvero, anche d'ufficio, l'assunzione di mezzi di prova. 11. L'udienza e' altresi' disposta quando ricorra almeno una delle seguenti ipotesi: a) la videoregistrazione non e' disponibile; b) l'interessato ne abbia fatto motivata richiesta nel ricorso introduttivo e il giudice, sulla base delle motivazioni esposte dal ricorrente, ritenga la trattazione del procedimento in udienza essenziale ai fini della decisione; c) l'impugnazione si fonda su elementi di fatto non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado”.
19
permanenza per i rimpatri». La nuova normativa introduce al c. 5 dell’art. 14 cit. un
ulteriore allungamento del termine massimo di trattenimento di 15 giorni nei casi di
particolare complessità di identificazione e rimpatrio (non stabilendo la casistica né
tantomeno che cosa debba intendersi per complessità). Altra novità rilevante dell’art. 14
al c. 1 è la previsione di una dislocazione capillare su tutto il territorio dei nuovi centri
per la detenzione di immigrati irregolari13
. “Al fine di assicurare la più efficace
esecuzione dei provvedimenti di espulsione dello straniero, il Ministro dell'interno,
d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, adotta le iniziative per garantire
l'ampliamento della rete dei centri di cui all'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286, in modo da assicurare la distribuzione delle strutture sull'intero
territorio nazionale14
” fino ad averne uno per ogni regione, con un totale di 1600 posti15
.
La dislocazione dei centri di nuova istituzione avviene, sentito il presidente della
regione o della provincia autonoma interessata, privilegiando i siti e le aree esterne ai
centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti
strutture di proprietà pubblica che possano essere, anche mediante interventi di
adeguamento o ristrutturazione, resi idonei allo scopo, tenendo conto della necessità di
realizzare strutture di capienza limitata idonee a garantire condizioni di trattenimento
che assicurino l'assoluto rispetto della dignità della persona.
Al d. lgs. 18 agosto 2015, n. 142 è aggiunta alla lett. a dell’art. 5, la lett. a bis con le
relative indicazioni sull’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo accolti nelle strutture
di accoglienza nonché le modifiche nelle comunicazioni relative alla richiesta d’asilo16
.
La possibilità dell’iscrizione anagrafica ha dato modo di poter registrare i richiedenti
asilo all’anagrafe dei comuni in cui erano fino ad allora domiciliati e poter accedere alla
residenza, semplificando la procedura di cancellazione degli stessi qualora lascino il
centro.
13
https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/04/12/decreto-minniti-orlando-legge 14
https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=19&art.versione=1&art.codiceRedazionale=17A02767&art.dataPubblicazioneGazzetta=2017-04-18&art.idGruppo=3&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=0 15
https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/04/12/decreto-minniti-orlando-legge 16
Atti convegno: “Protezione internazionale: procedure e rimedi giurisdizionali dopo le modifiche introdotte dal D.L. n. 13/2017, convertito con emendamenti dalla Legge n. 46 del 13 aprile 2017” Padova, 20 ottobre, a cura di avv. Paolo Cognini del Foro di Ancona,ASGI
20
1.2.3 Il “Decreto Sicurezza”
Il sistema sopra descritto è stato di recente soggetto ad ulteriori modifiche a causa di
una nuova normativa, il cosiddetto “Decreto Sicurezza”, entrato in vigore il 5 ottobre
2018, con il d.l. 113 e convertito nella legge n. 132 il primo dicembre dello stesso anno.
Il Decreto riguarda diverse materie:
1) disposizioni in materia di rilascio di speciali permessi di soggiorno
temporanei per esigenze di carattere umanitario nonché in materia di
protezione internazionale e di immigrazione (artt. 1-15ter);
2) disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al
terrorismo e alla criminalità mafiosa (artt. 16-31ter);
3) disposizioni per la funzionalità del ministero dell'interno nonché
sull'organizzazione e il funzionamento dell'agenzia nazionale per
l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalità organizzata (artt. 32-38bis).
Per quanto la ricezione e l’accoglienza dei richiedenti asilo le principali modifiche
prevedono: l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilascio di
permessi al di fuori della procedura d’asilo, modifiche al sistema di accoglienza, di
iscrizione anagrafica e accesso ai servizi per alcuni titolari di alcune tipologie di
permessi di soggiorno.
Il permesso per motivi umanitari non verrà più rilasciato, tuttavia, la Commissione potrà
decidere di concedere un permesso di soggiorno per “protezione speciali” nei casi in cui
ritenga fondati: “il rischio di persecuzione di cui all’art. 19, c. 1, d.lgs. 286/98, che
stabilisce che: “In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno
Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di
sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel
quale non sia protetto dalla persecuzione”; o il rischio di tortura di cui all’art. 19, c. 1.1,
d.lgs. 286/98, che stabilisce che “Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o
l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere
che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene
conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti
21
umani”; salvo – in entrambi i casi – che possa disporsi l’allontanamento verso uno Stato
che provveda ad accordare una protezione analoga”17
.
Il permesso per “protezione speciale” può essere rilasciato a chi ha fatto domanda di
asilo dopo il 5 ottobre 201818
, se ottenuto ha validità di un anno. Può essere rinnovato
nel caso in cui la Commissione valuti che continuino a persistere i rischi di cui sopra. È
un documento valido a stipulare un contratto di lavoro e può essere convertito in
permesso di lavoro.
Coloro che invece erano in possesso di un permesso di soggiorno per motivi umanitari
valido all’entrata in vigore del Decreto-legge possono convertirlo in permesso di lavoro
subordinato o autonomo se hanno un contratto di lavoro o requisiti richiesti per quello
autonomo e sono in possesso di passaporto e documento analogo valido.
Per coloro che allo scadere del permesso per protezione umanitaria non l’abbiano
trasformato in quello per lavoro verrà interrogata la Commissione territoriale. Se questa
ritiene che la persona sia a rischio di persecuzione o tortura rilascerà il permesso per
“protezione speciale”. Se al contrario la Commissione non concede questo permesso la
persona riceve un diniego e se non vi fa ricorso diventa irregolare sul territorio. Non
vengono disciplinati invece, specificatamente, coloro che al 5 ottobre 2018 aspettavano
il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma l’ASGI suggerisce che
vengano trattati in modo analogo a chi ne era in possesso, quindi avendo la possibilità di
tradurlo in permesso per lavoro o passando nuovamente attraverso la Commissione
territoriale.
17
“Le principali novità sui permessi di soggiorno introdotte dal d.l. 113/18. Scheda per operatori” documento presentato alla formazione ASGI promosso dall’ufficio immigrazione CGIL di Venezia il 6 novembre 2018 18
“La normativa introdotta con il d. l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dall'art. 5, c.6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendo/a con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione. Tuttavia in tale ipotesi, all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dei presupposti esistenti prima dell'entrata in vigore del d. l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura "casi speciali" e soggetto alla disciplina e all'efficacia temporale prevista dall'art. 1, c. 9, di detto decreto legge” Corte di Cassazione, Sez. Prima Civile, Sentenza n. 4890 del 19.02.2019
22
Coloro, invece, ai quali era stata riconosciuta prima del 5 ottobre la protezione
umanitaria ed erano in attesa del rilascio del permesso è stato consegnato un permesso
per “casi speciali” di validità biennale, con la possibilità di conversione a permesso per
lavoro nei termini precedentemente descritti. Se il titolare non provvede alla
conversione ma voglia rinnovare il suo permesso di soggiorno umanitario in permesso
per protezione speciale, allora la sua domanda dovrà essere valutata dalla Commissione
Territoriale per accertare la sussistenza di pericolo di persecuzione o tortura con rilascio
eventuale del permesso di soggiorno per “motivi speciali” o il possibile diniego, che se
non impugnato sancisce lo stato irregolare della persona nel territorio.
Coloro che stavano aspettando il rilascio della protezione umanitaria a seguito della
decisione dell’autorità giudiziaria dovrebbero essere trattati in modo analogo a coloro
che sono appena stati descritti.
Il richiedente asilo potrà fare ricorso in Tribunale a seguito di diniego da parte della
Commissione e manterrà il permesso di soggiorno per richiesta d’asilo fino alla
decisione del Tribunale (se non è all’interno di un centro per il rimpatrio).
Vengono introdotte nuove tipologie di permessi di soggiorno.
Per cure mediche “degli stranieri che versano in condizioni di salute di eccezionale
gravità, accertate mediante idonea documentazione, tali da determinare un irreparabile
pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di
provenienza.”19
Viene richiesto e rilasciato direttamente dal Questore, la sua validità è
pari alla certificazione sanitaria, che non può essere superiore ad un anno, ma può essere
rinnovata finché persistono le gravi condizioni di salute.
Per calamità “quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in
una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il rientro e la
permanenza in condizioni di sicurezza.20
” ha durata di sei mesi, consente di lavorare ma
non può essere trasformato in permesso per lavoro, ed è valido solo nel territorio
nazionale. Viene, inoltre, inserito il permesso di soggiorno per atti di particolare valore
civile che ha validità due anni, permette di lavorare e può essere convertito in permesso
per lavoro. Viene concesso direttamente dal Ministro dell’Interno su proposta del
Prefetto. È destinato a coloro che espongono “la propria vita a manifesto pericolo: per
19
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/10/04/18G00140/sg 20
ibidem
23
salvare persone esposte ad imminente e grave pericolo; per impedire o diminuire il
danno di un grave disastro pubblico e privato; per ristabilire l'ordine pubblico, ove fosse
gravemente turbato, e per mantenere forza alla legge; per arrestare o partecipare
all'arresto di malfattori; per progresso della scienza od in genere per bene dell’umanità;
per tenere alti il nome ed il prestigio della Patria21
”.
Vi sono inoltre disposizioni per cui, tipologie di permessi di soggiorno, già previste dal
d.lgs. 286/98 rilasciate in precedenza per “motivi umanitari” riportino ora la dicitura
“casi speciali.”
Sono i permessi di soggiorno per: protezione sociale, ai sensi dell’art 18, violenza
domestica, ai sensi dell’art.18bis e il permesso di soggiorno per particolare sfruttamento
lavorativo, ai sensi dell’art. 22, co. 12-quater, tutti facenti parte del d.lgs. 286/98.
È necessario fare un breve inciso, tali tipologie di permessi sono per la maggior parte
insufficienti ad assicurare una tutela alle persone che avrebbero diritto ad una protezione
(art.10 Cost.) e non sono focalizzati verso una reale integrazione delle persone nel
territorio considerando che hanno una durata esigua (come sopra descritto possono
essere di un anno, sei mesi etc.) e non tutti possono essere trasformati in permesso per
lavoro (Campomori F. 2018c).
Dal punto di vista del sistema di accoglienza le modifiche attuate da tale Decreto fanno
sì che lo SPRAR possa accogliere: i titolari di protezione internazionale; i minori non
accompagnati; coloro in possesso di permesso di soggiorno per cure mediche, calamità
e atti di particolare valore civile; per casi speciali ai sensi degli art.18, 18 bis, 22, co. 12-
quater del d.lgs. 286/98 nel caso in cui non accendano ai servizi specificatamente
dedicati. Il Servizio Centrale ha inoltre dichiarato che verranno accolti i nuclei familiari
in cui uno dei genitori è in possesso di protezione internazionale.
Possono rimanere all’interno degli SPRAR22
i richiedenti asilo e coloro in possesso di
protezione umanitaria già presenti al 5 ottobre 2018 fino alla scadenza del progetto in
corso.
Il Servizio Centrale ha anche specificato che vi rientrano anche coloro per i quali era
stato predisposto l’inserimento entro il 4 ottobre.
21
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1958-02-03&atto.codiceRedazionale=058U0013&elenco30giorni=false 22
Lo SPRAR a seguito di questa normativa ha assunto la denominazione SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati).
24
Non sarà più possibile entrare all’interno dello SPRAR per: i richiedenti asilo, coloro in
possesso di permesso di soggiorno per motivi umanitari, coloro con un permesso di
soggiorno transitorio dato a seguito dell’ottenimento della protezione umanitaria prima
del 5 ottobre, i titolari di permesso per protezione speciale.
I richiedenti asilo potranno trovare accoglienza solo presso i centri governativi di prima
accoglienza (CAS e CARA), mentre non è prevista nemmeno questa possibilità a coloro
i quali è stata riconosciuta una forma di protezione (per motivi umanitari, casi speciali-
regime transitorio, protezione speciale). Per quanto riguarda i centri la nuova normativa
predilige quelli di dimensioni maggiori a scapito dei progetti di accoglienza diffusa,
stabilendo attraverso i nuovi capitolati che gli enti gestori garantiscano servizi minimi
escludendo tutto ciò che è risultato fino ad ora necessario per una concreta possibilità di
integrazione, dai corsi di lingua alla tutela legale (Campomori F. 2018c).
Un’altra modifica molto rilevante riguarda l’iscrizione anagrafica. Non sarà più
possibile iscriversi all’anagrafe con il permesso di soggiorno per richiesta di asilo.
Tuttavia, questa norma non sarà automaticamente applicata a quei richiedenti asilo che
sono già in possesso della carta d’identità, ma vi sarà la loro cancellazione solo nei casi
previsti dall’art 11 DPR 223/89, quindi per irreperibilità, mancato rinnovo del
permesso, o la non comunicazione del rinnovo, non prima di 6 mesi dalla scadenza del
permesso di soggiorno e non senza comunicarlo alla persona interessata.
Secondo la normativa l’esclusione dall’iscrizione anagrafica dovrebbe comunque
rendere possibile l’accesso ai servizi in base al luogo di domicilio, questo sarà relativo
al centro in cui il richiedente è accolto, che sia di prima accoglienza, un CAS o un CPR,
mentre per tutti gli altri il domicilio è quello indicato dalla Questura alla
formalizzazione della domanda di richiesta asilo.
Il decreto, come sopra indicato, è entrato in vigore il 5 ottobre 2018, ad oggi le
modifiche da esso apportate stanno lentamente facendo presagire le diverse difficoltà
che comporterà la nuova normativa rispetto ad un’integrazione possibile, dal rischio di
un aumento sostanziale delle persone irregolari sul territorio, visto che non è possibile
rimpatriare tutti coloro ai quali viene rigettata la domanda e poiché molte delle nuove
tipologie di permesso non permettono poi la conversione a permesso per lavoro; ad una
possibile conflittualità tra i diversi livelli di governo dettati dalla probabilità che gli
SPRAR, che vedono il coinvolgimento diretto degli enti locali, diminuiscano (la
25
maggior parte dei posti presenti a loro interno interessavano persone con la protezione
umanitaria) mentre i CAS aumentino, che al contrario sono imposti dall’alto ossia dal
governo (Campomori F. 2018c).
1.3 Mappatura degli attori
Per mappare chi è coinvolto nella “battleground” locale italiana sarà necessario
guardare inizialmente alle interazioni verticali tra i livelli di governo, in primis
considerando l’Europa e il suo agire, successivamente analizzando le interazioni tra il
livello di governo nazionale e locale.
A seguito di questo primo quadro istituzionale si cercherà di identificare gli attori che
nel locale svolgono altre parti significative del “combattimento”, rifacendosi alle
distinzioni proposte da Ambrosini e Campomori (in Ambrosini M. & Campomori F.
2018).
Come inizialmente sottolineato non sono solo i poteri pubblici ad agire sulla
governance delle politiche di accoglienza. Vi sono attori pro-migranti che sfidano i vari
livelli di governo per superare politiche di esclusione e possono essere distinti in 5
gruppi.
In primis le ONG o organizzazioni del terzo settore che si occupano di offrire nel
territorio servizi per l’accoglienza, nella maggior parte dei casi in accordo con gli enti
locali attraverso progetti SPRAR e CAS. In altri casi, possono agire, e l’hanno fatto,
anche in contrasto con il governo e le politiche da esso promosse, come si vedrà meglio
nella disputa nata tra governo centrale e ONG che si occupano di salvare vite nel
Mediterraneo.
In seconda battuta ci sono altri attori organizzati formati da professionisti e/o volontari
come i sindacati, le chiese e varie associazioni di volontariato. Questi attori si occupano
di dare sostegno pratico ai richiedenti asilo e rifugiati ed esercitano anche una funzione
di advocacy nel territorio. Possono interagire con i poteri pubblici ma anche fornire
sostegno a persone irregolari nel territorio o con condizione giuridica poco chiara
(Hagan, 2008).
26
Il terzo attore è rappresentato dai movimenti sociali, che portano avanti la battaglia in
difesa dei diritti degli immigrati in parallelo ad altre rivendicazioni come ad esempio la
lotta al capitalismo o contro il governo.
Quarti sono i gruppi di sostegno che nascono spontaneamente in relazione a particolari
località come le zone di frontiera (ad esempio a Ventimiglia), o svolgono attività
ricreative all’interno dei centri di accoglienza. Infine, vi sono i “battitori liberi” che a
carattere individuale offrono aiuto in molteplici modi, ad esempio attraverso
l’elargizione di cibo o denaro, o affiancano i richiedenti asilo nell’apprendimento della
lingua oltre i corsi preposti dai centri.
Contestualmente, nella “battleground” si muovono anche attori anti-migranti,
rappresentati soprattutto da movimenti di estrema destra o talvolta anche da comitati
cittadini sorti contro le aperture di centri di accoglienza.
1.3.1 L’Unione Europea
Per comprendere la dinamica locale è necessario inserirla in un quadro più ampio e
considerare un attore sovranazionale che ha molta importanza per l’agire dei governi
nazionali, l’Unione Europea (UE).
Sono state indicate delle disposizioni generali dall’UE in materia, che si sono talvolta
dimostrate non indenni allo sviluppo di conflittualità nella relativa attuazione nei vari
stati che ne fanno parte.
Per quanto riguarda l’Italia come paese interessato dagli sbarchi, e tutta l’Europa
Meridionale, L’UE, ha trattato nella sua agenda la questione, non relegandola ad un
problema unicamente dei governi nazionali. Ha aumentato il budget per Frontex, e le
operazioni congiunte Triton e Poseidon per aiutare le nazioni coinvolte in difficoltà di
gestione dei confini e per salvare le vite in mare.
Ha cercato, in secondo luogo di ricollocare persone presenti in Italia (e anche Grecia) in
altri paesi dell’UE, immaginando la rivisitazione del Trattato di Dublino, o per lo meno
l’apertura di un dialogo sulla possibilità di cambiarlo nella misura in cui limita la
possibilità di un richiedente asilo di farne domanda nel paese UE in cui vorrebbe stare.
Attualmente, infatti, vi è l’obbligo di istanza d’asilo e conseguente iter, nel primo paese
di arrivo che faccia parte della Comunità Europea creando non pochi problemi ai paesi
di confine dell’Unione e agli immigrati stessi per il loro progetto migratorio.
27
Inoltre, si sono aperti dei corridoi umanitari per far giungere persone in stato di bisogno
nel territorio UE evitando loro di arrivare in clandestinità rischiando la vita, con un
chiaro intento di combattere i trafficanti di esseri umani che costringono le persone a
viaggi rischiosi e illegali. Oltre a ciò sono state stabilite le quote e i fondi destinati a
ciascun paese, poiché valutando il numero di richiedenti asilo e rifugiati nel loro
territorio, alcuni paesi sono più coinvolti di altri.
Il tutto è stato sancito dall’Agenda Europea sulla migrazione stabilita dalla
Commissione Europea nel 2015.
Alcuni paesi hanno già preso una netta posizione di distanza rispetto alle policies
proposte, vi fanno resistenza non solo gli interessati alla questione ma pure coloro che
sono stati coinvolti anche minimamente da tale disposizione. Netta, ad esempio, è stata
la posizione dei paesi del Trattato di Visegrad23
(Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia,
Ungheria).
Ad oggi, con il Consiglio Europeo del 18-19 giugno 2018 si è evidenziato ancora una
volta la netta difficoltà di trovare una visione comune nella governance sulla questione
migratoria. La mancanza di cooperazione è dovuta da molteplici fattori, tra cui le molte
elezioni che vi sono state durante il 2018, le crisi politiche e gli attacchi terroristici.
Tuttavia, come anticipato, l’Agenda aveva provato a definire i punti relativi alle azioni
immediate da compiere.
Ossia, come precedentemente anticipato, “salvare vite umane in mare”24
(Agenda
europea sulla migrazione 2015) triplicando i mezzi delle operazioni congiunte Triton e
Poseidon di Frontex, affinchè “Frontex possa svolgere il suo doppio ruolo: da un lato
coordinare il sostegno operativo alle frontiere degli Stati membri sotto pressione,
dall’altro aiutare a salvare i migranti in mare”25
.
Si propone di combattere le reti di trafficanti attraverso “sistemi operazioni di politica di
sicurezza e di difesa comune (PSDC).”26
Si riconosce altresì che il trattato di Dublino non è adeguato a far fronte agli arrivi,
proponendo la cosiddetta “ricollocazione” definita quale “meccanismo temporaneo per
la distribuzione delle persone con evidente bisogno di protezione internazionale, in
23
https://www.panorama.it/news/esteri/visegrad-chi-sono-cosa-vogliono-paesi-ribelli-europa/ 24
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=GA p.4 25
ibidem 26
ibidem
28
modo da garantire la partecipazione equa ed equilibrata di tutti gli Stati membri allo
sforzo comune.”27
La ridistribuzione è determinata sulla base di “criteri come PIL,
popolazione, tasso di disoccupazione e numero passato di richiedenti asilo e di rifugiati
reinsediati.”28
Invitando, così, tutti gli Stati a dar prova di collaborazione ai paesi in
“prima linea”29
.
Un’ulteriore indicazione viene delineata dalla misura definita “reinsediamento”, in cui
si definisce responsabilità dell’Unione non solo quella di ricollocazione delle persone
presenti nel suolo europeo ma anche l’attivazione di canali legali e sicuri per il
raggiungimento dell’Europa per quelle persone che sono riconosciute bisognose di
protezione internazionale (compito dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati indicarle). A tal fine “L’UNHCR ha approvato per l’UE l’obiettivo del
reinsediamento di 20 000 persone l’anno da qui al 2020”30
.
In questa parte del documento si fa presente che alcuni paesi si impegnano già molto in
questo obiettivo, mentre altri “non offrono nulla, in molti casi neppure un contributo
alternativo in termini di accoglienza e accettazione di richiedenti asilo o di sostegno
finanziario allo sforzo altrui.”31
Per questo si rimanda a futuri criteri di ripartizione tra stati come quelli indicati per la
ricollocazione e vengono promessi fondi europei.
Questi due impegni dell’Agenda sono stati i più difficoltosi da applicare. Alcuni dei
paesi dell’UE hanno affermato di non voler rispettare queste indicazioni, come
Danimarca, Irlanda ed Inghilterra, o hanno manifestato delle difficoltà con queste
politiche, in particolare Polonia ed Ungheria. Tuttavia, implicitamente o esplicitamente,
i paesi dell’UE stanno dichiarando di aderire a queste misure (Ambrosini 2018).
Il documento conclude l’esplicazione di questa prima parte dichiarando che: “Gli Stati
membri dovrebbero inoltre attivare tutti gli altri canali leciti di cui possono disporre le
persone bisognose di protezione, compresi il patrocinio di soggetti privati o non
governativi e i permessi per motivi umanitari e le clausole inerenti al ricongiungimento
familiare.”32
27
Ivi, p.5 28
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=GA p.5 29
ibidem 30
ibidem 31
Ivi, p.6 32
ibidem
29
Se le indicazioni soprariportate risultano le difficili da attuare ma anche le più
innovative, quelle di seguito descritte all’interno dell’Agenda riguardano un approccio
più conservativo.
Si tratta della collaborazione con i paesi di provenienza dei rifugiati e richiedenti asilo
per affrontare a monte l’immigrazione da tali luoghi. A questo scopo sono stati
destinati 30 milioni di euro al Nord Africa e al Corno d’Africa per programmi di
sviluppo locale, anche se tale cifra è stata criticata perché troppo esigua per riuscire a
raggiungere dei cambiamenti significativi nei luoghi a cui è destinata.
Si parla, successivamente, della nascita di un centro polifunzionale in Niger che, grazie
alla collaborazione di agenzie internazionali e nazionali dovrebbe favorire lo scambio di
informazioni, protezione del territorio, e opportunità di nuovi stanziamenti. Questo si
propone di essere il primo di molti centri che avranno il compito, nei paesi di origine o
di transito, di dare ai migranti informazione sulle possibilità di successo del viaggio e
illustrare, eventualmente, la possibilità di un rimpatrio assistito.
Tutte le attività vengono promosse in stretto collegamento “con le più ampie iniziative
politiche di promozione della stabilità33
”.
Si sottolinea l’importanza dell’azione dell’Alto Rappresentante della politica estera
dell’UE e Vice Presidente della Commissione Europea rispetto alla Libia, che si esplica
nel sostegno alle iniziative di cui l’ONU è capofila per incentivare l’iter di formazione
“di un governo di unità nazionale34
”.
Si parla in oltre di sostegno alla Siria per la risoluzione della crisi, supportato da uno
stanziamento di 3,6 miliardi di euro per l’assistenza umanitaria. Non dimenticando
anche ciò che riguarda l’immigrazione da Oriente, implementando le cooperazioni
esistenti in Asia e nei Balcani occidentali.
Si rimanda poi al supporto agli stati in prima linea attraverso l’istituzione di “un nuovo
metodo basato sui “punti di crisi35
”. Gli Stati Membri più coinvolti lavoreranno con
l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), Frontex ed Europol al fine di svolgere
velocemente le operazioni iniziali di “identificazione, registrazione e rilevamento delle
impronte digitali dei migranti in arrivo”. In questo iter EASO avrà il compito di trattare
le domande di asilo più velocemente possibile. Frontex dovrà aiutare gli Stati coinvolti
33 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=GA p.6 34 ibidem 35
Ivi, p.7
30
a rimpatriare coloro a cui viene rigettata la domanda di asilo, e quindi divenuti
irregolari. Europol ed Eurojust cureranno le indagini, con la collaborazione dello Stato
membro ospitante, volte a abbattere la tratta e il traffico di migranti.
Inoltre, la Commissione erogherà 60 milioni di euro per sostenere gli Stati membri
maggiormente coinvolti nell’accoglienza.
Queste le azioni fondamentali ribadite nell’Agenda.
Tuttavia, è ambigua per quanto riguarda, in particolare, l’appoggio e il valorizzare il
reinsediamento come altra scelta possibile ai viaggi pericolosi, sostenendo che gli
“smugglers” sono gli unici veri responsabili di questi. Alcune Agenzie umanitarie e
osservatori indipendenti invece fanno presente che questo fenomeno è l’inevitabile
conseguenza della mancanza di canali legali per raggiungere l’Europa e aumentare i
controlli aggrava le condizioni di trasporto (Ambrosini M. 2018). Rimanendo molto
vaga sulla possibilità di aprire vie legali.
Queste decisioni prese sono state seguite da un controverso accordo con la Turchia in
materia (2016), erigendo questo stato a guardia dei propri confini esterni.
In cambio la Turchia ha ricevuto molti fondi e la promessa di abolire il visto necessario
per entrare in Europa e un’accelerazione nella procedura di adesione all’UE. Questo
accordo permane nonostante il colpo di stato fallito in Turchia e la svolta autoritaria
della presidenza di Erdogan. Gli Stati Europei non condannano apertamente le
limitazioni delle libertà democratiche in Turchia, la finanziano ma rallentano le
procedure promesse.
Diverse ONG hanno criticato l’UE per il tipo di collaborazione instaurata con la Turchia
principalmente perché non vengono svolti controlli per valutare le modalità di
accoglienza dei richiedenti asilo in quello stato, valorizzando come criterio base per
dimostrare l’efficacia dell’accordo unicamente il calo del numero di arrivi in Europa.
Sulla stessa linea si pensa di coinvolgere anche i paesi di origini degli immigrati perché
fungano da controllori esterni, coinvolti in questo anche i paesi dell’Africa come è
emerso nel Summit a Valletta, Novembre 2015.
31
1.3.2 Interazioni verticali di governo: livello nazionale e enti locali
Le autorità locali, in primis, hanno avuto, e hanno tutt’ora, una grande importanza nel
creare o meno confini all’interno della comunità e gli accolti (Ambrosini 2013). Perché
sebbene le politiche in materia siano di competenza nazionale e internazionale, i governi
locali e gli attori politici del territorio hanno una valenza cruciale nell’assecondare
l’accoglienza o creare condizioni di forte esclusione.
Nel 2015 è stata data maggiore struttura al sistema d’accoglienza attraverso la legge
n.142 in cui si è predisposto una ripartizione omogenea dei richiedenti asilo in tutte le
regioni tramite un sistema di quote, volendo favorire anche una maggiore cooperazione
tra le istituzioni coinvolte, nazionali e regionali. Lo stato si è assunto il ruolo di
coordinatore, ma l’integrazione viene di fatto sviluppata a livello locale.
Tuttavia, l’instaurarsi di un progetto SPRAR in un territorio è stato subordinato alla
scelta dell’autorità locale, e di fatti, il progetto prende il via unicamente se l’ente locale
si propone. Questo ha creato delle difficoltà perché solo 180036
comuni si sono resi
disponibili, a fronte dei quasi 8000 presenti in Italia.
Ciò ha fatto nascere la necessità di creare i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria)
per sopperire alla mancanza di posti nell’accoglienza “ordinaria”. L’apertura dei CAS
prevede che il Ministero degli Interni si rivolga ad attori privati (come ONG o privati
convenzionati, come proprietari di alberghi) che gestiscono l’accoglienza di richiedenti
asilo bypassando le autorità locali creando non pochi problemi nelle stesse. Infatti, molti
governi locali dopo aver rifiutato di avviare uno SPRAR si sono ribellati all’instaurarsi
di CAS nel loro territorio, gestiti da privati, su cui, quindi, non avevano nessun potere
formale. Hanno dato vita a politiche di esclusione nella comunità locale o a vere e
proprie manifestazioni contro i nuovi insediamenti. Così facendo alcuni comuni e i
sindaci hanno preso una posizione netta rispetto al governo nazionale, di esclusione.
Le prese di posizione inequivocabili di chiusura non riguardano unicamente comuni nel
nord Italia, come si potrebbe pensare, ma hanno interessato tutta la penisola.
Tra le numerose ragioni di chiusura ed intolleranza nel discorso pubblico di molti
sindaci, si enumerano i potenziali rischi per la salute pubblica, la priorità dei bisogni dei
36
https://www.sprar.it/progetti-territoriali-3 Sono un totale di 875 progetti divisi in: 671 ordinari, 155 per minori non accompagnati (133 MSNA e 24 sempre destinati a MSNA usufruendo di fondi FAMI), 49 per persone con disagio mentale o disabilità
32
cittadini italiani, il rischio per la sicurezza in termini di possibili attentati e crimini
comuni.
Inoltre, c’è un conflitto istituzionale tra poteri, lì dove alcuni sindaci si sono scontrati
con i prefetti perché sentiti surclassati dalla loro autorità, non coinvolti nell’accoglienza.
Viene denunciata la mancanza di luoghi idonei all’ospitalità, e si teme che con l’arrivo
di numerosi richiedenti asilo venga meno l’attrattività di alcuni luoghi turisti. La
cittadinanza denuncia l’indolenza degli accolti dicendo che la loro inattività rappresenta
un pessimo esempio per i giovani. Rimando ad Ambrosini per una raccolta di materiale
su testate giornalistiche a prova di queste prese di posizione da parte di molti enti locali
italiani (Ambrosini M. 2018, 117-121).
Pertanto, lo scontro istituzionale si era concentrato tra i poteri dei comuni e la loro
partecipazione, o meno, all’implementazione dei progetti SPRAR e le Prefetture, che in
caso di necessità hanno aperto grandi centri anche senza l’autorizzazione dei poteri
locali. A seguito delle modifiche al sistema di accoglienza apportate dal cosiddetto
“Decreto sicurezza” ci si è trovati dinnanzi ad altri scontri tra livelli di governo. Alcuni
sindaci, infatti, si sono schierati apertamente contro l’applicazione di questa normativa,
minacciando il Ministero dell’Interno di non applicarla per incostituzionalità, sono circa
un centinaio secondo la mappatura della ricercatrice Cristina Del Baggio37
. Le voci più
forti in contrapposizione con il Ministero dell’Interno sono state quelle del “sindaco di
Palermo Leoluca Orlando e del sindaco di Napoli Luigi De Magistris – che hanno
annunciato di non voler applicare la legge, perché “è un testo inumano che viola i diritti
umani.38
” De Magistris inoltre ha inviato una comunicazione all’ufficio anagrafe del
comune “sia opportuno, ed anzi doveroso, non privare i cittadini stranieri in possesso di
permesso di soggiorno provvisorio rilasciato ai migranti richiedenti asilo, ai sensi
dell’art. 4 comma 1 del d.lvo 142/15, della possibilità di essere inseriti nello schedario
della popolazione temporanea, previsto dall’art. 32 del d.p.r. 223/1989, alle condizioni
ivi contemplate, quale minima misura di tutela dei diritti fondamentali ad essi facenti
capo, ivi compreso il diritto di difesa previsto dalla direttiva UE 2004/83”.39
37
https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/01/09/residenza-anagrafe-decreto-sicurezza 38
Ibidem 39
https://www.meltingpot.org/IMG/pdf/direttiva_sindaco_anagrafe.pdf
33
1.3.3 Attori “pro-immigrati”
Tra gli attori pro-migranti vi sono le ONG che salvano le vite nel Mediterraneo,
screditate dal governo italiano, e non solo, perché renderebbero i confini porosi e
indebolirebbero l’autorità dello stato.
Mai come nello scorso anno le ONG sono state pubblicamente attaccate e accusate di
essere complici dei trafficanti e della mafia italiana.
Le principali accuse mosse sono state quelle che denunciavano il contatto telefonico tra
i trafficanti e le navi delle ONG, l’essere andate troppo vicine alle coste libiche, poca
chiarezza sui finanziamenti per le loro missioni, e riflessioni sui vari interessi economici
nell’arrivo di rifugiati in cui la mafia potrebbe essere coinvolta. Fino ad arrivare a dei
veri e propri attacchi personali verso alcuni membri di queste organizzazioni.
In Italia le accuse sono state portate avanti, e lo sono ancora, in particolare dal Ministro
dell’Interno Matteo Salvini, supportato dall’altro partito di coalizione al governo, il
Movimento 5 Stelle.
Il governo italiano sembra cercare argomentazioni che giustifichino la loro volontà di
maggiore controllo sulle attività delle ONG, prendendo posizioni pubbliche molto
forti «Ci sono alcune procure che indagano sulle ONG che scorrazzano per il
Mediterraneo in cerca di migranti, sono come avvoltoi che stanno al largo delle coste
libiche in attesa dei barconi sgonfi su cui i trafficanti caricano le persone».40
L’Italia ha anche cercato di respingere le navi di ONG straniere al fine di far sbarcare le
persone salvate in altri paesi dell’UE vicini o del paese riferimento delle stesse (ne è un
esempio il caso Sea Watch41
), ma non ha ottenuto nessun appoggio da parte dei paesi
interessati.
A luglio 2017, l’Unione Europea ha supportato l’Italia nella stesura di un codice di
condotta per le ONG42
, che include la possibilità che vi sia un maggiore controllo
governativo sulle loro attività, la presenza di personale della polizia sulle navi, un
controllo dei loro fondi, e il divieto di avvicinarsi troppo alle coste libiche. Queste
misure hanno portato ad un calo degli sbarchi in Italia, ad un maggiore rischio per chi
40
Dichiarazioni rilasciate dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini durante il programma televisivo “Porta a Porta”, https://www.corriere.it/politica/18_giugno_20/salvini-alcune-ong-sono-come-avvoltoi-cerca-migranti-abb25cc2-74b5-11e8-993d-4e6099a1c06b.shtml 41
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/25/sea-watch-salvini-allolanda-prenda-i-migranti-amsterdam-non-spetta-a-noi-di-maio-nave-ha-vostra-bandiera/4922896/ 42
http://www.interno.gov.it/sites/default/files/codice_condotta_ong.pdf
34
attraversa il Mediterraneo e un aumento delle persone all’interno dei centri di
detenzione libici (Ambrosini M. 2018).
Dal punto di vista dell’opinione pubblica si è creata di conseguenza una dilagante
sfiducia nelle ONG.
In alcuni casi hanno avuto anche difficoltà a livello locale, ci si riferisce alle ONG e
organizzazioni del terzo settore che fanno accoglienza nel territorio.
La situazione è stata inasprita da scandali inerenti ad alcuni centri di accoglienza come
quello che ha interessato il CAS “Santa Lucia” nelle strutture a Spezzano Piccolo e a
Camigliatello (Cosenza) gestite dal “Centro giovanile universitario jonico”. Anche se la
cooperativa che gestiva il CAS riceveva 35 euro per migrante, era divenuta “agenzia
interinale” per un caporalato organizzato, mandando i migranti a lavorare nei campi, in
nero e sottopagati.43
Tutto questo non ha fatto altro che peggiorare la situazione e lo stato d’animo politico
contrario alle ONG e alimentando il sospetto e le polemiche nei confronti di moltissime
attività condotte a sostegno dei richiedenti asilo.
Considerando un altro aspetto, le posizioni delle ONG rivelano punti di vista contrari
alle politiche europee sull’immigrazione sempre più restrittive, talvolta si sono
dissociate dai poteri politici, portando le persone in Europa e aiutandole in zone di
confine anche andando contro i poteri locali, e andando oltre la gestione dei confini
vigente, trasgredendo alle limitazioni nelle attività di salvataggio imposte dagli stati,
come l’Italia, dando maggiore valore all’importanza di salvare vite che alla sovranità
statale.
Le ONG e organizzazioni del terzo settore e gli altri attori pro-migranti sopradescritti
(attori organizzati come sindacati e chiese, movimenti sociali, gruppi di sostegno e
“liberi battitori”) offrono, nonostante i vari conflitti in cui operano, principalmente tre
tipi di attività.
In primis un sostegno con l’iter legale, a due livelli: quello politico, in cui associazioni
di volontariato, i sindacati e le associazioni religiose spingano affinché vi siano
congiuntamente maggiore accettazione e supporto ai richiedenti asilo congiuntamente al
salvarli in mare. A livello personale vi sono avvocati e operatori legali che affiancano il
43
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/05/centri-di-accoglienza-sfruttano-migranti-nei-campi-della-sila-arresti-nel-cosentino/3564327/
35
richiedente asilo nelle procedure per presentare domanda d’asilo e li sostengono durante
la fase di ricorso in tribunale a seguito del diniego.
Il secondo gruppo di iniziative riguardano la prestazione di servizi. In particolare, ci si
riferisce a corsi per l’insegnamento della lingua, assistenza sanitaria e le donazioni di
abbigliamento, cibo ai senza fissa dimora e la fruizione di soluzioni abitative. La
condizione di homeless spesso, infatti, interessa richiedenti asilo che non possono
rimanere all’interno dei centri di accoglienza e, sovente, anche rifugiati. Tali servizi
sono generalmente frutto di donazioni private, secondo quello che Belloni (2016)
definisce “benessere dal basso”.
Un altro servizio che può essere messo a disposizione da questi attori riguarda tutto
quello che concerne il sostegno morale (Ambrosini M. & Campomori F. 2018).
In terzo luogo, si trovano tutte quelle attività di advocacy dedicate a creare un’altra
narrazione del fenomeno, contro la criminalizzazione dei richiedenti asilo e le politiche
di esclusione (Ambrosini M. 2018).
Ovviamente all’interno di questo sistema vi sono i richiedenti asilo e rifugiati, da
intendersi come attori attivi: vi sono anche associazioni di immigranti che però hanno
ancora una scarsa influenza politica, ma svilupparne l’importanza è una sfida per gli
attori pro-immigrati.
A volte le tensioni nella “battleground” riguarda anche attori “della stessa squadra”.
Perché come sottolinea Ambrosini “ (…) i movimenti militanti radicali possono usare i
migranti per sostenere le loro battaglie e campagne. Al contrario, come mostrato da
Belloni (2016), migranti e rifugiati non necessariamente condividono i valori politici dei
loro alleati e possono di fatto prendere le distanze dai loro alleati.44
” (Ambrosini 2018,
123)
Ad ogni modo, nonostante alcune criticità, la società civile locale ha importanza, nella
governance dell’immigrazione, in particolare per quello che riguarda l’erigere confini
dentro una comunità e dentro le persone, e può influenzare a sua volta le decisioni delle
autorità locali.
Un ulteriore ambito in cui gli attori pro-migranti giocano un importante ruolo è ciò che
concerne il “post-accoglienza”. Un elemento molto critico delle politiche in questo
campo riguarda i progetti di integrazione terminata l’accoglienza nei centri istituzionali,
44
Traduzione mia
36
tema che fatica a trovare risposta a livello nazionale e anche locale (Campomori F. &
Feraco M.). A fronte di queste lacune il terzo settore il mondo del volontariato in primis
hanno cercato di avviare delle sperimentazioni per rispondere alla necessità di
continuare un progetto di integrazione. Ad esempio, è interessante citare la ONLUS
“Refugees Welcome”. Tale progetto è nato a Berlino del 2014 e si è poi diffuso in 15
altri paesi (in Italia nel 2015) e vede coinvolte famiglie locali che accolgono “a casa
loro” rifugiati (con una particolare attenzione per i neomaggiorenni). Le persone che
entrano a far parte della rete, famiglie e rifugiati, sono seguite dal personale della
ONLUS in tutte le fasi dell’accoglienza. Questa associazione nazionale prevede il
coinvolgimento anche di attivisti locali che si occupano di sensibilizzazione e raccolta
fondi45
. Ad oggi sono 18 le città coinvolte, e 11 regioni. “Refugees Welcome” e altre
sperimentazioni vivono diverse criticità ma sono qui da intendersi come ennesimo
tentativo degli attori pro-migranti di rispondere a necessità che istituzionalmente sono
marginalmente affrontate.
1.3.4 Attori “anti-immigrati”
“Il complesso della vittima è un quadro tipico delle politiche xenofobe perché consente
una costruzione politica di un'opposizione tra "noi", la pacifica e integrata comunità
locale, e "loro", gli alieni, che sono i portatori di pericolo, insicurezza e diminuzione
delle risorse sociali” (Ambrosini 2018, 121)46
.
Tali prese di posizione incoraggiano tensioni che fanno presagire questi arrivi come
attacchi, e invasioni, e la necessità di difendere quindi ciò “che è nostro”. Dove non si
tratta solo delle “nostre” case ma dell’intero locale, che diviene proprietà privata.
Famoso lo slogan della Lega Nord “Padroni a casa nostra” o un manifesto raffigurante
un indiano d’America che recitava “Loro non hanno potuto mettere regole
all’immigrazione ora vivono nelle riserve.”47
.
Gli altri attori “anti-migranti” sono principalmente rappresentati da movimenti di
estrema destra, come CasaPound e Forza Nuova. Castelli Gattinara (2017) sostiene che
gli arrivi di richiedenti asilo e rifugiati abbiano favorito l’aumento di manifestazioni
45
https://refugees-welcome.it/ 46
Traduzione mia 47
https://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2008/03_Marzo/07/pop_lega_pellerossa.shtml
37
anti-immigrati e la politica di strada dei movimenti di estrema destra, anche se ci sono
pochi studi sui temi anti-immigrato e le narrazioni contro i richiedenti asilo di questi
movimenti (Gattinara C. 2017).
Gattinara parla di varie forme di mobilitazione contrarie al fenomeno, dalle
manifestazioni di piazza contrarie all’apertura dei centri di accoglienza e di attività
istituzionali portate avanti dai vari rappresentanti politici. I temi che emergono dal
discorso “anti-immigrati” variano dall’argomentazione mainstream “sull’invasione” ad
altre questioni come un sistema politica corrotto e l’abbondono dei cittadini italiani.
1.3.5 Interazioni tra il piano verticale (poteri pubblici) e società civile
(piano orizzontale)
Si è brevemente considerato come nella “battleground” agiscano poteri pubblici
supportati da attori anti-migranti, al fine di creare politiche di esclusione territoriali. Il
“braccio di ferro” istaurato con il governo nazionale, rappresentato nel locale dalle
Prefetture. A fare da contrappeso, a questa “esclusione istituzionale”, hanno un
importante ruolo gli attori pro-migranti, offrendo loro servizi, come il supporto nell’iter
di richiesta d’asilo e promuovendo progetti innovativi per l’accoglienza nelle famiglie.
Tuttavia nulla è sempre così, ci sono molteplici modalità per società civile e poteri
pubblici di entrare in contatto tra loro, molto dipende dalle forme della società civile e
da come si muovono gli enti locali rispetto alle politiche di ricezione.
Si può, tuttavia, delineare quattro tipologie di relazione tra il piano verticale e quello
orizzontale manifeste nel paino locale (Ambrosini M. & Campomori F. 2018).
1. La chiusura: in cui è possibile notare un’escalation delle politiche di esclusione
da parte dei poteri locali che cercano di limitare, se non ostacolare, la solidarietà
proveniente dalla società civile.
2. Tolleranza: condizione in cui le politiche di esclusione sono di fatto messe in
attori dalle autorità locali ma non si pongono in contrasto con le attività delle
ONG, le accettano silenziosamente.
3. Attivismo istituzionale contro la società civile anti-immigrati: ad esempio
accettando di partecipare ad un progetto SPRAR, un ente locale da un segnale
38
forte al territorio, anche subendo le proteste dei comitati cittadini o gli altri
gruppi non favorevoli all’insediamento.
4. Infine, cooperazione: è un esempio di governance positiva in cui i due piani
sono aperti al dialogo e allo scambio.
Pertanto, il concetto di “campo di battaglia” permette di considerare tutti i frames e le
azioni degli attori in gioco, facendo capire che le politiche dichiarate non danno
localmente sempre il medesimo risultato perché gli attori coinvolti ne possono
influenzare fortemente il peso con le interazioni tra loro (Ambrosini M. & Campomori
F. 2018).
39
2. IL VENETO E LA SUBCULTURA BIANCA
2.1 Il concetto di subcultura politica
È necessario delineare una breve storia politica del Veneto e comprendere il concetto di
“subcultura”, al fine di capire il disegno in cui si inserisce la governance delle politiche
destinate a richiedenti asilo e rifugiati in questo territorio e come questa la influenzi.
Infatti, è importante conoscere la cultura politica di questa regione, ovvero i
comportamenti e atteggiamenti propri dei cittadini, le pratiche sociali e istituzionali i
sistemi di significato. Poiché “la cultura politica va ridefinita come un ambito
relativamente sfuggente di significati condivisi, non catalogabile a priori secondo rigidi
criteri funzionalisti ma piuttosto come un insieme di modelli cognitivi e valutativi
relativi ad aspetti del mondo che assumono, direttamente o indirettamente, rilevanza
politica” (Cartocci R. 2002, pag.25).
Questa consente al cittadino di scegliere e pertanto è importante per i partiti che
altrimenti sarebbero unicamente strumenti intercambiabili. Invece questi si rifanno ad
essa per mostrare profili molto differenti. Vengono creati dei rapporti di fiducia tra
classi dirigenti, militanti o anche simpatizzanti. E la cultura politica è composta da tale
network di rapporti e ideologie condivise in queste interazioni48
, e da ciò che da esse
scaturiscono, dando vita a quello che i membri concretamente fanno.
Pensandola come una dimensione intersoggettiva permette di non porre delle
differenziazioni tra la cultura stessa e il sistema culturale in senso più ampio49
.
Nello specifico il concetto di “subcultura politica” è stato introdotto negli anni Sessanta
dagli studiosi dell’Istituto Cattaneo di Bologna (Galli G. et al. 1968).
La loro ricerca verteva sul funzionamento del sistema politico italiano.50
L’indagine venne svolta attraverso lo studio dei dati elettorali aggregati a livello
comunale o provinciale, dell’organizzazione di partiti, sindacati, associazioni, e
48
http://www.largine.it/index.php/leredita-dei-territori-e-il-futuro-della-politica/ 49
http://www.treccani.it/enciclopedia/subculture-politiche-territoriali-e-capitale-sociale_%28L%27Italia-e-le-sue-Regioni%29/ 50
https://sociologicamente.it/zona-rossa-e-zona-bianca-la-nascita-delle-subculture-politiche-territoriali/
40
interviste ai militanti. All’interno di questa ricerca si svilupparono le analisi sulle
subculture politiche territoriali51
.
Gli studiosi per comprendere i comportamenti elettorali degli italiani, divisero la
penisola in sei zone. Dallo studio emerse che due di queste erano politicamente molto
schierate, la zona del Nord-Est (Veneto, e Friuli-Venezia Giulia) e del centro (Toscana,
Emilia Romagna e nord delle Marche).
La zona del Nord-Est venne definita “zona bianca”, mentre quella del centro “zona
rossa”. In queste aree dell’Italia vi erano due partiti di maggioranza, fortemente
strutturati. La Democrazia Cristiana nella zona bianca, e il Partito Comunista Italiano in
quella rossa.
Questi due partiti erano riusciti a influenzare lo stile di vita di famiglie intere e comunità
locali, attraverso sezioni e organizzazioni collaterali come le parrocchie e le case del
popolo, sviluppando vere e proprie forme di solidarietà legate al locale e reti
istituzionali collegate al partito.
Un altro momento importante dal punto di vista dello studio delle subculture politiche in
Italia è stata l’opera di un politologo americano, Robert D. Putnam, che nel 1993
pubblicò “La tradizione civica nelle regioni italiane”. Questo libro andò a chiarire la
disomogeneità delle scelte politiche per gli italiani ed introdusse il concetto di capitale
sociale. Termine già utilizzato in altri contesti, Putman lo applicò allo studio delle
istituzioni regionali italiane.
La sua ricerca è durata circa vent’anni e ha raccontato come, introdotto lo stesso
modello istituzionale in tutte le regioni, vi fossero nette differenze nel livello di
rendimento. Lo studio evidenzia un forte legame tra il rendimento istituzionale e la
presenza di una specifica cultura politica: la civicness (cultura “civica”) ovvero, un
orientamento diffuso dei cittadini verso la politica, sostenuto da un’estesa fiducia
interpersonale e dalla consuetudine alla cooperazione (Almagisti M. 2016, p.26). E per
Putnam è tale in quanto intrisa di capitale sociale che altro non è che “la fiducia, le
norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che
migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promovendo iniziative prese di
comune accordo” (Putnam R., 1993, p. 196).
51
http://www.treccani.it/enciclopedia/subculture-politiche-territoriali-e-capitale-sociale_%28L%27Italia-e-le-sue-Regioni%29/
41
Il rendimento, come si diceva, risulta differente in base alle zone della penisola a favore
del Centro-Nord. Secondo quanto rilevato da Putnam questa differenziazione sarebbe
data da un diverso capitale sociale che trova origine nella storia dell’Italia, quando
prosperarono i liberi comuni nell’Italia centrosettentrionale a differenza del Meridione
in cui il regno dei Normanni creò un regno centralizzato costituito da eredità
istituzionale bizantina e musulmana. (Almagisti M. 2016, p.27). Quindi il sistema
politico fu caratterizzato da rapporto istituzionale e culturale di tipo “verticale” al Sud, e
“orizzontale” al Nord.
Alla luce di questa breve introduzione e definizione di termini, in questo capitolo si
approfondirà il concetto di “Veneto Bianco” con le forze politiche che l’hanno
caratterizzato e quelle che lo fanno ora, per poi concentrarsi brevemente sulla realtà
trevigiana e la sua storia politica.
2.2 Il Veneto bianco
La subcultura rappresenta il modo di rispondere delle società locali di fronte a processi
potenzialmente destabilizzanti di cui sono promotori Stato e Mercato. Le differenze
presenti in Italia tra le varie subculture sono collegate alle prassi consolidate, agli stili
amministrativi e i valori cardine. Esse trovano forza nelle “linee di frattura” formate nel
processo di creazione dello Stato e della Nazione, perché è lungo queste linee che si
sono organizzate le società locali.
Tali linee di frattura (cleavages) vennero teorizzate dal politologo Rokkan (Rokkan S.
in Almagisti M. 2016) come fondamenti della nascita dei partiti attuali, queste fratture
avrebbero messo in contrasto gruppi sociali, e continuerebbero a farlo. Si identificano
nelle contrapposizioni Centro-Periferia, Città-Campagna, Stato-Chiesa, Capitale-
Lavoro52
.
Analizzandole brevemente, si può tradurre il conflitto Centro-Periferia come lo scontro
a livello territoriale tra alcune zone periferiche che rivendicano le proprie peculiarità, e
il governo centrale che spinge per l’omogeneizzazione di tutto il territorio dal punto di
vista culturale (questa linea di frattura dà vita ai partiti etno-regionalisti). Per la
contrapposizione Città-Campagna ci si riferisce ad un contrasto emerso dopo la
52
https://relazioninternazionali.wordpress.com/2009/11/16/teorie-sulla-nascita-dei-partiti/
42
rivoluzione industriale, che ha favorito una forte urbanizzazione a discapito delle realtà
rurali (partiti agrari). Il contrasto Stato-Chiesa rappresenta un conflitto a livello
ideologico, e viene rappresentato da partiti confessionali che difendono la Chiesa, in
contrasto con partiti liberali che valorizzano lo Stato e la sua indipendenza. Infine,
quella relativa al Capitale-Lavoro che è presente in molte nazioni dal periodo post-
industriale, e nasce con i grandi movimenti di massa operai, e dà vita ai loro partiti.53
La subcultura “bianca” è legata principalmente alle cleavages Stato-Chiesa e Centro-
Periferia. I territori interessati, infatti, vivono nottetempo una forte presenza della
Chiesa nella società e un chiaro localismo antistatalista, con venature di contrasto nei
confronti delle istituzioni centrali54
.
Dai tempi della Serenissima fino ad oggi, il capitale sociale presente nelle zone di
campagna in veneto ha dei tratti caratteristici, ovvero: l’importanza centrale della
famiglia, una forte devozione e rispetto per le autorità clericali, accentuato rispetto verso
l’assetto costituito, ma con l’obbligo ai custodi di questo, di rispettare i primi due
elementi cardine. I sorveglianti del potere devono essere anche garanti dei vincoli
sociali che ne derivano.
La linea di frattura Centro-Periferia trova origine fin dai tempi dell’espansione di
Venezia nella terra ferma. Infatti, dopo un’iniziale capillare presenza nel territorio delle
autorità veneziane senza grosse resistenze su aree in prevalenza contadine, emerge, una
forte contrasto tra comunità rurali e potere centrale.
Comincia, quindi, ad affiorare una forte propensione al localismo e al policentrismo già
a questi tempi, caratteri, che come vedremo, rimangono trasversali nel tempo (Almagisti
M. 2016).
La linea di frattura Stato-Chiesa viene “risolta” nel Settecento, con il tramonto della
Serenissima e l’affermarsi della Chiesa come realtà sempre presente, volta a prendersi
cura della società in contrasto ad istituzioni politiche rispetto alle quali si diviene quasi
estranei (ibidem). Non c’è da chiedersi, quindi, perché diviene elemento strutturale nella
società locale e nello sviluppo dell’identità comune.
Il quadro storico ci dice che il periodo della dominazione napoleonica prima, e
asburgica poi, riaprì nuovamente la frattura Centro-Periferia, il rapporto tra Stato e
53
https://relazioninternazionali.wordpress.com/2009/11/16/teorie-sulla-nascita-dei-partiti/ 54
http://www.largine.it/index.php/leredita-dei-territori-e-il-futuro-della-politica/
43
Chiesa, invece, venne messo in discussione da Napoleone ma risanato successivamente
dall’Impero Asburgico. Roccaforte istituzionale anche nei periodi di diversa
dominazione, la Chiesa nel Nord-Est rimane cruciale fino all’Unificazione del Regno
d’Italia e nei periodi successivi.
L’Italia vede compiersi un percorso di unificazione in tempi brevissimi, tuttavia vi sono
delle difficoltà concrete principalmente legate alle condizioni economiche a termine
delle guerre per raggiungerla. “Si può capire, quindi, che il regime liberale scelga di
comprare la lealtà delle èlites locali disponibili all’accordo utilizzando soprattutto
risorse locali, che abbandoni il costoso progetto di integrazione delle classi subalterne e
che, al contempo, metta le proprie istituzioni al riparo da gruppi sleali” (Zincone G.
1992, 146). Elemento che ha assecondato e da nuova linfa ad un localismo già
preesistente.
Quindi la frattura Stato-Chiesa e Centro-Periferia ritorna fortemente in auge, anche
perché lo Stato Italiano non ha la forza di far fronte a tali questioni, considerando i
problemi di carattere economico dovuti al finanziamento delle guerre per raggiungere
l’Unità, e gli sconvolgimenti sociali a cui far fronte nei primi decenni a seguito
dell’unificazione.
Successivamente, l’avvento del fascismo non fa che accrescere questa situazione sia
antecedente che successiva al suo affermarsi, e quindi la Chiesa è risultato, ancora una
volta, l’unico punto di riferimento in situazioni storiche burrascose.
Tuttavia, si commetterebbe un errore pensando che il Veneto sia sempre stato di una
“cromatura bianca immacolata”. A seguito della prima guerra mondiale infatti si
diffonde anche l’associazionismo di stampo socialista, principalmente presente in area
urbana, rispetto alle campagne caratterizzate dall’elettorato cattolico. Ma sopravvivrà al
fascismo le realtà organizzativa maggiormente diffusa nel territorio, quindi la subcultura
bianca.
Infatti, se fino agli inizi del Novecento l’influenza della Chiesa era maggiore nei
contesti rurali, principalmente nelle province di Verona, Vicenza, Padova e Treviso, nel
periodo fascista, grazie al compromesso con il regime, essa riesce ad aumentare il suo
seguito anche nell’ambiente urbano. Infatti, durante il fascismo vennero cancellate, o
molto ridimensionate, le élite laiche e il ceto medio urbano, mentre la Chiesa era riuscita
a rivolgersi ai ceti medi impiegatizi soprattutto grazie ad associazioni come l’Azione
44
Cattolica, una delle poche non sciolte durante il ventennio fascista. (Almagisti M.
2016).
Questo pone le basi per il vasto consenso che avrà la Democrazia Cristiana (DC), partito
cattolico fondato da Alcide De Gasperi nel secondo dopo guerra.
La Chiesa attraverso la DC si presenta quindi come la forza contraria al comunismo.
In Veneto il grande seguito ottenuto dalla DC, segna un predominio elettorale sul PCI, e
favorisce lo sviluppo industriale di piccola impresa nelle zone rurali.
Il riconoscersi da un punto di vista di identità politica, nella DC, trova fondamento nel
far parte della comunità cattolica, che si esprime nel contesto locale e familiare
controllato dalla Chiesa. La DC diventa, quindi, “garante e interprete della società
locale e il voto è la prova e la misura dell’appartenenza e della condivisione del sistema
di significati e delle prassi prevalenti nella società locale stessa” (Almagisti M. 2016,
p.137).
Fino agli anni Sessanta, predomina una linea politica su basi identitarie, l’importanza
della Chiesa nell’ambito sociale e di orientamento culturale viene rappresentato dal voto
alla DC.
Dagli anni Settanta agli anni Novanta si assiste ad un processo di secolarizzazione e ad
un moltiplicarsi degli attori nella scena politica, e la DC comincia ad avere una certa
autonomia dalla Chiesa. Questo periodo storico viene segnato da una crisi del mondo
cattolico, dallo sviluppo economico e l’indebolirsi della famiglia tradizionale. L’azione
politica non è più guidata dal voler rappresentare l’identità cattolica ma predilige la
mediazione di interessi territoriali e di gruppo, formato da “amministratori e di manager
dell’impresa-Veneto” (ivi, p.139). Inoltre, il processo di laicizzazione apre le strade alla
possibilità di poter rappresentare questa regione anche per partiti politici altri, che nulla
hanno a che fare con il grande partito concorrente, il PCI. Già nel 1983 la Liga Veneta
risulta aver maggiori consensi proprio in quei comuni dove la comunità cattolica locale
è in crisi. Dove, infatti, stava venendo meno la comunità religiosa, sono riemersi altri
principi tipici di questi luoghi, come l’importanza del locale, una certa sfiducia verso lo
Stato, principi quali la Liga si faceva promotrice.
45
2.3 Il Veneto che cambia
La Liga Veneta nasce dalla Società filologica veneta degli anni Settanta, che si
occupava del recupero di fondamenti culturali della società locale, che per i fondatori
erano poco valorizzati, se non ignorati, dal sistema scolastico italiano. Nel 1980 divenne
anche un nuovo attore politico prendendo la denominazione di Liga Veneta, appunto.
Nel 1983, come precedentemente anticipato, ottiene dei buoni risultati come partito
nascente, ottenendo “il 4,2% a livello regionale, con punte del 6-7% nelle province di
Vicenza e Treviso” (Almagisti, 2016, p.171).
Successivamente la Liga Veneta si fonde con il movimento di Umberto Bossi “Lega
Nord” conseguendo buoni risultati elettorali nelle regionali nel 1990, ottenendo il 5,9%,
e aumentando il proprio seguito soprattutto nelle politiche del 92, con il 17,8%.
Negli anni Novanta, quindi, il quadro politico in Veneto cambia. La Democrazia
Cristiana già fortemente in crisi viene travolta da Tangentopoli e si frantuma in diverse
formazioni.
Mentre la Lega Nord aumenta il suo seguito facendosi baluardo dell’importanza della
società locale. Questo valorizzare il locale permette al partito di argomentare la
rokkaniana cleavages Centro-Periferia, spingendo sulla linea di frattura Nord-Sud Italia
studiata da Putnam, alternando argomentazioni antistataliste, a quelle contro il
Meridione, per poi concentrarsi sul tema dell’immigrazione.
Nel 94, l’entrata nella scena politica italiana di Berlusconi, e del neonato partito di
Forza Italia, e le sue alleanza che vedono tra gli attori la Lega Nord, sanciscono la
vittoria del Centro-Destra in Veneto. La sua rappresentanza alla camera è formata da 50
deputati al 80% facenti parte del Polo delle Libertà.
Nella Seconda metà degli anni Novanta il Veneto dal punto di vista di politica regionale
vota a destra (1995), e per la prima volta si trova ad essere non omogeneo rispetto alle
forze al governo nazionale, dove governa l’Ulivo, dal 96 al 2001.
In queste ultime elezioni nazionali, la Lega, essenziale nella vittoria di Berlusconi del
94, decide di concorrere in autonomia non allacciando nessuna alleanza.
Tuttavia, i risultati in queste elezioni rappresentano per la Lega una forte
contraddizione. Da una parte conquista un buon risultato (15 seggi su 37, con il 32,8%).
Dall’altra proprio questo non permette a Bossi di ottenere un ruolo centrale nella
formazione del governo nazionale. Questo comporta una radicalizzazione del discorso
46
politico di Bossi, che rimanda spesso alla linea di frattura Centro-Periferia
promuovendo la secessione.
Il crollo della Democrazia Cristiana non ha solo importanza per il riemergere della
questione Centro-Periferia, ma porta a galla anche quella relativa alla città-campagna.
Poiché secondo i risultati la Lega e l’Ulivo ebbero geografie legate al voto molto
differenti. La Lega venne votata principalmente nelle zone di campagna urbanizzata
mentre l’Ulivo ottenne risultati decisivi nei centri urbani.
Le zone in cui la Lega conquistò più voti rappresentano, inoltre, le aree in cui vi era
maggiore consenso verso la DC, che da subcultura “bianca” divenne quindi “verde”,
principalmente l’area pedemontana. Gli argomenti che vengono assorbiti e riproposti
sono quelli legati all’anticomunismo, all’assenza dello Stato centrale, unito spesse volte
ai temi inerenti alla rivolta fiscale.
Nel discorso politico, il linguaggio utilizzato è essenziale nell’affermazione leghista, la
spinta anti-establishment, gli slogan semplici (es. “Roma ladrona, la Lega non
perdona”), il ricorso al dialetto, sono elementi chiave per il forte richiamo identitario.
Questo permette alla Lega di differenziarsi già negli anni Ottanta dalla DC, che si stava
“meridionalizzando” sia per quanto riguarda i consensi che per i suoi rappresentanti
politici, sia da Forza Italia, alleato prima, rivale poi, negli anni Novanta. Altro elemento,
la delegittimazione del “pubblico”, inoltre, precede la nascita della Lega e ne favorisce
il radicamento. Ed infine la sfiducia verso i partiti tradizionali rendono più forte il
discorso anti-establishment.
I candidati della Lega in Veneto nel 1994 sono quelli che maggiormente danno peso alla
rappresentanza territoriale, sono relativamente giovani, e il 35,5% di loro nei collegi
veneti di Camera e Senato dichiarano di “non aver mai fatto politica”. Dato che cambia
già nel 1996, in cui la percentuale è di 1,9%. Questo elemento insieme ad una certa
staticità nell’organizzazione e nella prassi di reclutamento del personale politico,
conferisce alla Lega dei connotati di un partito che sta diventando “di massa”. Principi
da cui si discosta fortemente rispetto alla DC, e propone un modello di partito a
istituzionalizzazione forte, assolutamente nuovo rispetto alla tradizione passata.
Tuttavia, nessun soggetto politico riesce veramente a sostituire per seguito e fiducia la
DC. Divengono maggiormente importanti i soggetti economici, che vengono percepiti
come più autorevoli, e nei confronti del sistema politico vi è un forte disincanto.
47
A prova di queste vi è una crescita dell’astensionismo nell’arco di tutti gli anni Novanta.
Nel settembre 1995 cominciano ad incontrarsi sindaci di varie città del nord-est, a
seguito di una lettera pubblicata sul Gazzettino da Giorgio Lago, il direttore del
giornale. Questa testata giornalistica in quegli anni diviene essenziale per i riformisti del
“Nord-est”, termine che comincia ad essere politicizzato proprio da questo giornale.
Lago attraverso “Una lettera aperta ad un sindaco del Nord-Est” del settembre 1995
pone delle suggestioni ai sindaci:
“Caro Sindaco, non so quale sia il suo partito, né mi interessa saperlo. Bado al ruolo,
non all’appartenenza politica. In questi anni, nel dare voce al Friuli-Venezia Giulia e al
Veneto, mi sono fatto un’idea del Nord Est, Trentino compreso. […] Questa. Roma
ignora la nostra fame di riforme: non solo nostra beninteso, ma preliminariamente
nostra. […] La ragione è molto semplice. Il modello economico del Nordest, a galassia
senza nucleo, nutre una particolare avversione per la burocrazia, il vincolo, la
manomorta. […] Qui ci vuole un soggetto terzo: i sindaci. Con tutti limiti del ceto
dirigente alla ricerca del tempo perduto, voi rappresentate il meglio che abbiamo […]
Solo con i sindaci si può fare la “rivoluzione”. Abbiamo bisogno di amministrare per
togliere ostacoli al cittadino, non per strozzarlo. Sarei già soddisfatto se il “Gazzettino”
riuscisse a farla riflettere, signor sindaco, su questa sua responsabilità di motore
riformista.” (Lago, 1995)
Da questa scaturisce l’apertura al dialogo tra molti sindaci del Nord-Est, ad essere
promotori dell’iniziativa due sindaci leghisti, quello di Oderzo, Giuseppe Covre, e di
Pordenone, Alfredo Pasini.
“Il movimento dei Sindaci” richiama maggiormente l’attenzione con l’arrivo del
sindaco di Venezia del periodo, Massimo Cacciari, che se ne mette a capo.
Sebbene la grande spinta iniziale, già nel 1996 c’è un forte rallentamento dei lavori del
gruppo, dovuta dalla competizione elettorale. I temi proposti non hanno seguito nel
dibattito elettorale nazionale. Si ritirano, inoltre, i sindaci delle Lega che avevano spinto
per la secessione. Nel 1998 questo movimento si scioglie per molteplici problematiche.
Cacciari dunque fonda “il Movimento del Nord-Est”, che lo vede collaborare con Mario
Carraro, attore attivo nell’ambito dell’industria veneta. L’obiettivo di tale movimento è
quello di essere mediatore tra politica e piccole-medie imprese, e di cercare un
cambiamento del sistema politico di carattere federale.
48
Tuttavia, il progetto in breve termine scema. Le principali cause si possono rintracciare
nella difficoltà di far valere una proposta federalista al governo nazionale, e lo scoglio
di far sentire gli imprenditori rappresentati da un movimento che rimanda al governo
nazionale di centrosinistra. Ed infine, una difficoltà tra Cacciari e Carraro di ben
definire la struttura da dare a questo movimento, dove il primo avrebbe puntato ad un
partito ad istituzionalizzazione debole, mentre il secondo ad istituzionalizzazione forte.
Il non riuscire a trovare un compromesso ne ha sancito la fine.
La Lega nel maggio 1997, viene coinvolta in un fatto che vede protagonisti otto uomini
che a qualche giorno dal bicentenario della caduta della Repubblica di Venezia, occupa
il campanile di San Marco, “armati” in modo artigianale e utilizzando un “carro armato”
che si scopre essere un trattore modificato. L’obiettivo era rivendicare una certa
continuità con la Serenissima facendo riferimento al disegno della Lega legato a
“Costruire la Padania”.
Se inizialmente la Lega prende le distanze da tale fatto, successivamente vedendo che
l’opinione pubblica veneta simpatizzava con questi soggetti, comincia ad avere toni
meno “sconcertati”: successivamente, la scelta di dichiarare la bandiera di San Marco
fuori legge da parte dell’autorità prefettizia regala a Bossi un simbolo che invece faceva
parte della storia nazionale. Questa viene contrapposta alla bandiera tricolore, sebbene il
leone di san marco sia in realtà anche utilizzato dalla marina militare italiana.
La difficoltà di non comprendere i simboli che in realtà fanno parte della tradizione
nazionale e non solo locale, e non riuscire a dare loro il giusto spazio va ad alimentare la
spaccatura Centro-Periferia. Ancora una volta ciò viene usato dalla Lega a suo favore.
Nel 1998, comunque, vi sono dei cambiamenti interni al partito, che portano all’uscita
di diversi dirigenti e militanti. Tutto ciò viene seguito da a scarsi risultati alle europee
del giugno 1999, e alla diminuzione del proprio seguito anche alle regionali di aprile del
2000.
In questo periodo cambia in parte la linea di frattura sulla quale concentrarsi. Se negli
anni Novanta in vista dell’adozione dell’euro Bossi è europeista per contrapporsi al
governo centrale italiano, dichiarando che il passaggio all’euro è possibile solo in
“Padania”. Quando nel maggio 1998 vi è l’effettivo ingresso nell’euro non è più
possibile pensare ad un processo secessionista guardando all’appoggio dell’Europa. Ed
infatti, da “Filoeuropea, fino a che l’Europa le appariva un modo di indebolire le basi
49
degli Stati nazionali e della nazione italiana, [essa] diventa anti-europea.” (Diamanti
2003, 71).
L’antieuropeismo si interseca con un’altra linea di frattura. Quella legata
all’immigrazione.
Anche se tenta di avvicinarsi a leader di movimenti populisti oltre confine, la Lega
comprende che tale scelta politica non è decisiva per aumentare nuovamente il
consenso, quindi si allea ancora con Berlusconi.
Le elezioni di maggio 2001 fanno emergere un Veneto ridisegnato nei suoi colori:
“inabissato il “bianco” del voto cattolico, diluito in molti rivoli, impallidito
ulteriormente il “rosso” delle sinistre, il “verde” della Lega scolorito lasciando lo spazio
all’azzurro di Forza Italia che macchia uniformemente il territorio locale e nazionale”
(Almagisti M. 2016, 219-220).
Infatti, la vittoria del centro-destra non è schiacciante come quella del 96, e la Lega, di
fatto, primo partito in Veneto, perde due terzi degli elettori che passano dal 29,3 al 10,3.
Il Veneto, quindi, risulta perdere la propria peculiarità politica, votando principalmente
Forza Italia come nel resto del paese, tuttavia, il partito di Berlusconi dovrà fare i conti
con le “insidie” di questo territorio.
Forza Italia risulta un partito vincente non sul piano locale, in cui riscontra una certa
differenziazione con l’organizzazione centrale di Forza Italia, per questa ragione ottiene
pessimi risultati nelle elezioni amministrative del 2002 e 2004.
Per quanto riguarda le elezioni politiche del 2006, invece, che vede vincere a livello
nazionale la coalizione di centrosinistra capeggiata da Romano Prodi. Il Veneto rimane
fedele al centro-destra.
Nel giugno 2006 la Lega spinge affinché venga fatto un referendum sulla devolution a
favore degli enti locali, il “no” è maggioritario a livello nazionale con il 61,7%, mentre
in Veneto il “si” ottiene il 55,3%, anche se viene votato principalmente nelle periferie e
province mentre non ottiene buoni risultati in diversi capoluoghi, tra cui Treviso.
Con le nuove elezioni del 2008 il Veneto si conferma ancora votante a destra, facendo
vince la coalizione del Popolo delle Libertà (Berlusconi) con la Lega Nord. La vittoria
arrivò nonostante fosse minacciata dal fatto che Casini con l’UDC aveva deciso di
concorrere da solo, e rappresentava comunque una possibilità sempre valida per ciò che
rimaneva del Veneto “bianco”. Essenziale anche in questo caso è stata la presenza della
50
Lega Nord che aveva ottenuto 16 seggi in tutto il Veneto, con il 28,2%55
nelle province
di Padova, Verona, Vicenza, Rovigo (Veneto1), e il 25,4%56
nelle province di Treviso,
Venezia e Belluno (Veneto2).
L’affluenza, tuttavia, continua a calare, si va dal 87,7% del 2006 all’84,7% del 2008
(dato relativo all’intera regione)57
.
Nello stesso anno Luca Zaia diviene presidente della Regione Veneto per la Lega Nord.
Dal 2010 in poi, sia Forza Italia che la Lega Nord, nella figura delle sue personalità
principali, rispettivamente Berlusconi e Bossi, vengono coinvolte in scandali che vanno
a minare la fiducia della cittadinanza nei loro confronti.
La storia dei due partiti però prende strade diverse.
Il partito di Berlusconi vede nel suo carisma la forza principale, quindi una volta
intaccata la sua credibilità perde di molto, e vede una serie di scissioni al suo interno.
Nelle elezioni del 2013 viene recuperato il nome “Forza Italia” e Berlusconi concorre
ancora con scarsi risultati.
La Lega, invece, che vedeva si, la presenza di una forte leadership, risulta un partito
anche fortemente istituzionalizzato, quindi, trova un nuovo leader in Matteo Salvini che
nello stesso anno ne diviene segretario a dicembre.
A differenza di Bossi il suo discorso politico non spinge più sulla linea di frattura
Centro-Periferia, ma predilige le tematiche antieuropeiste e antimmigrazione.
Questo approccio permette di aprirsi maggiormente all’intera penisola.
Lo stesso anno vede inserirsi in modo significativo nel mondo politico italiano il
Movimento 5 Stelle, guidato da Beppe Grillo. I consensi verso questo movimento
risultano piuttosto omogenei in tutto il territorio. Il discorso politico preme molto sulla
frattura establishment/anti-establishment, la forte critica verso la “casta” ovvero la
classe politica preesistente. A livello locale, invece, viene privilegiata un’attenzione ai
temi legati all’ambiente e ai “beni comuni”.
L’11 novembre 2011 al governo di Berlusconi subentra un governo tecnico guidato da
Mario Monti, un economista che si inserisce in un contesto di crisi economica e politica
che continua dal 2008.
55
https://www.repubblica.it/speciale/2008/elezioni/camera/veneto1.html 56
https://www.repubblica.it/speciale/2008/elezioni/camera/veneto2.html 57
https://www.repubblica.it/speciale/2008/elezioni/camera/veneto1.html
51
Nel 24-25 febbraio 2013 vengono svolte le nuove elezioni. In cui il Movimento 5 Stelle
che concorre da solo risulta il primo partito in Italia ottenendo il 25,558
%. Risulta
maggioritaria la coalizione di centro sinistra guidata da Pierluigi Bersani, segretario del
Partito Democratico (PD), (29,5%), a fronte del 29,1% della coalizione capeggiata da
Silvio Berlusconi.
Dal punto di vista regionale il Veneto è interessato da un ulteriore calo di presenze alle
urne, ma comunque prevale la coalizione guidata da Berlusconi con il 33,1%, nel
Veneto “1”, rispetto al 22,5% per la coalizione di Bersani,59
e con il 29,6% nella zona
del Veneto 2, rispetto al 25,0%60
per Bersani.
Il Veneto, ad ogni modo, si presenta alle urne dopo un lungo periodo di recessione, che
ha visto chiudere diverse imprese, e che purtroppo ha portato con sé anche il suicidio di
molti imprenditori. La Lega ha un risultato medio del 10,5% (Almagisti M. 2016,
p.245), andando a perdere il 16,6% (id.) punti percentuali rispetto al 2008. E anche il
Popolo delle Libertà (Berlusconi) perde l’8,7% punti percentuali. Emergono voti a
movimenti di estrema destra come Forza Nuova e CasaPound, e movimenti
indipendentisti quali “Indipendenza Veneta”.
Successivamente, Bersani perde la Leadership del partito a causa di una mancata
alleanza con il Movimento 5 Stelle, e viene sostituito da Enrico Letta.
Il suo è un governo di “larghe intese” che lascia fuori dai giochi solo M5S, Lega e SEL.
Le primarie del PD dell’8 dicembre 2013 vedono la vittoria, come nuovo segretario, di
Mattero Renzi, sindaco di Firenze e militante della Toscana “bianca”. Si fa promotore di
quella che definisce “rottamazione” della classe politica, riferendosi anche al suo stesso
partito. Sostituisce Enrico Letta nella Presidenza del Consiglio.
Durante le europee del 24 maggio 2014 Renzi dà prova di avere effettivamente, seguito,
anche se vi è molto astensione. Il premier nuovo eletto infatti riesce ad avvicinare a
questo schieramento, il PD, elettori che erano sempre stati poco propensi a votarlo.
Vince a livello nazionale, e anche in Veneto, il PD risulta il favorito con il 37,5%
distanziandosi molto dagli altri partiti. C’è da dire che l’astensione è molta, si passa dal
73,2% dell’affluenza alle europee del 2009 al 63,9%.61
58
http://www.repubblica.it/static/speciale/2013/elezioni/camera/riepilogo_nazionale.html 59
http://www.repubblica.it/static/speciale/2013/elezioni/camera/veneto1.html 60
http://www.repubblica.it/static/speciale/2013/elezioni/camera/veneto2.html 61
http://www.repubblica.it/static/speciale/2014/elezioni/europee/regioni/veneto.html?refresh_cens
52
Renzi riesce ad avere seguito tra coloro che erano stati delusi dagli altri partiti. Tuttavia,
a livello locale non riesce ad attecchire, infatti i risultati delle elezioni regionale del
2015 non sono positivi come quelli delle europee, e in Veneto si riconferma presidente
Luca Zaia, con il 50,08%62
.
Questo a prova che la Lega con la struttura datasi, riesce ad assorbire diverse cleavages.
Dal punto di vista nazionale Matteo Salvini gioca una partita che gli dia credito come
leader nazionale, non unicamente legato a dei localismi, privilegiando discorsi sulla
linea di frattura anti-europeista e antimmigrazione. Non a caso il nome del partito perde
il “Nord” rimanendo semplicemente Lega.
Mentre a livello locale Zaia continua ad avere un profilo autonomo facendosi portavoce
della spinta localista (Almagisti M. 2016).
Alle elezioni del 2018 esce vincente il Centro Destra con il 37%, la Lega risulta il primo
partito di destra con il 17,4%. Il M5S ottiene il 32,7% concorrendo da solo. E in coda
arriva il Centro sinistra con il 22,8%, 18,7% rappresentato dal PD63
.
In tutto il Veneto si predilige la destra, nella zona del “Veneto 1” il risultato è del
46,7%, 31,9% dei quali destinati alla Lega. Segue il M5S con il 25,0%.
Nella zona “Veneto 2” il Centro destra ottiene il 49,0%, 32,3% alla Lega, e anche in
questo caso segue il M5S con il 23,5%64
.
Da queste elezioni emerge un continuo abbassamento della partecipazione politica che
come affluenza passa a livello nazionale dal 75,2% (2013) al 72,9%. In Veneto si passa
dall’81,7% del 2013 al 78,7%.65
Questi risultati vedono nascere a livello nazionale un governo composto da M5S e
Lega.
2.4 Treviso e il sindaco “sceriffo”
Il quadro sopra descritto serviva per contestualizzare il Veneto e le sue caratteristiche di
subcultura “bianca” e i rapporti con il livello nazionale.
Considerando il luogo in cui tale ricerca viene svolta, Treviso, è necessario soffermarsi
brevemente sulla sua storia politica.
62
http://www.repubblica.it/static/speciale/2015/elezioni/regionali/veneto.html 63
https://elezioni.repubblica.it/2018/cameradeideputati 64
https://elezioni.repubblica.it/2018/cameradeideputati/8-veneto-2?refresh_ce 65
http://doc989.consiglioveneto.it/oe/resources/Report_pol2018_finale.pdf
53
A partire dell’instaurazione della Repubblica, i sindaci sono stati quasi tutti appartenenti
alla Democrazia Cristiana, in linea con il Veneto “bianco” precedentemente considerato.
Dai primi anni Novanta le cose cambiano, il partito predominante risulta la Lega Nord.
Ed i sindaci che si sono susseguiti dal 94 al 2013 hanno fatto parte di tale schieramento.
Inizialmente, per due mandati, dal 94 al 98, e successivamente dal 98 al 2003 fa
capolino nella scena politica trevigiana la figura di Giancarlo Gentilini, sindaco
“sceriffo” conosciuto anche oltre i confini nazionali. Gentili è stato un leader molto
carismatico, divenuto famoso per dichiarazioni spesso estreme che oltre a problemi
penali lo fecero talvolta entrare in conflitto anche con il suo partito di appartenenza, la
Lega Nord.
Un esempio su tutti, nel 2014 venne condannato per istigazione all’odio razziale, con
pena pecuniaria di 4000 euro, poiché in comizio nel 2008 aveva dichiarato di voler
pulire le strade “da tutte queste etnie che distruggono il nostro paese. Basta islamici.
Non voglio vedere consiglieri neri, gialli, marroni, grigi...”66
.
Successivamente nel 2003 venne eletto Gianpaolo Gobbo67
.
Gobbo portò a termine il suo mandato nel 2008 e fu eletto anche per il secondo che durò
fino al 2013.68
Gentilini da un punto di vista di opinione pubblica, ma in anche in
qualità di vicesindaco, si fece comunque sentire anche mentre non era formalmente
sindaco.
Nel 2013 Gentilini si è ricandidato con una lista civica in coalizione con Lega Nord e
PDL, ma al ballottaggio ha vinto una coalizione di centro sinistra guidata da Giovanni
Manildo69
.
Le nuove elezioni comunali del 10 giugno 2018 vedono nuovamente la Lega Nord
vincitrice della figura di Mario Conte70
.
66
http://www.trevisotoday.it/cronaca/gentilini-condannato-razzismo-treviso.html 67
http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/elezioni/notizia_18464.html 68
http://www.comune.treviso.it/elezioni-amministrative-2008-proclamazione-sindaco-e-consiglieri-comunali-rettifica/ 69
http://www.repubblica.it/static/speciale/2013/elezioni/comunali/treviso.html 70
https://www.comune.treviso.it/elezioni2018comunali/V30710.htm
54
2.5 Subcultura che va, principi che restano
Se si prendono come linea guida per la definizione di subcultura politica quelle di Carlo
Trigilia (1981), in cui la definisce a partire da quattro elementi:
1. Una certa importanza data al localismo, dovuta alla linea di frattura centro-
periferia;
2. La presenza di una rete associativa ideologicamente orientata;
3. Il perdurare di un senso di appartenenza politica e spaziale e alla rete associativa
ad essi correlata;
4. Una rete istituzionalizzata che gravita attorno alla forza politica dominante,
capace di riassumere i vari interessi presenti a livello locale per poi
rappresentarli anche a livello nazionale;
Risulta difficile parlare ancora di Veneto “bianco”.
Con il crollo della Democrazia Cristiana nessun partito politico è riuscito ad ottenere il
suo seguito. Vi è una predilezione per il centro destra e in particolare per la Lega,
tuttavia, si è potuto comprendere, in base ai dati, che il successo alle elezioni non è stato
sempre ad essi favorevole con vittorie schiaccianti, in particolare dopo il 2013
(Almagisti, 2016, p.250).
Permangono, ad ogni modo, certe caratteristiche di questo territorio, come l’importanza
del localismo, e la bassa fiducia nelle istituzioni, elementi che anche alle ultime elezioni
hanno fatto sì che in tale regione venissero privilegiati i partiti e movimenti anti-
establishment e anti-europeisti.
Treviso, infine, città oggetto di questa ricerca, ingloba in piccolo quello che si è potuto
vedere nel rapporto Veneto-Italia.
È emersa un’iniziale predilezione verso la Democrazia Cristiana e i suoi valori, durata
dai primi anni della Repubblica Italiana fino agli anni 90, terminata con la sua caduta.
Per poi passare dal “bianco” al “verde” facendosi rappresentare dalla Lega Nord.
Seguita da una virata a sinistra, nel periodo di affermazione anche della figura di Matteo
Renzi a livello nazionale, con un ritorno alla Lega nelle ultime elezioni.
Per quali ragioni le subculture possono essere importanti nella governance delle
politiche di integrazione dei richiedenti asilo? Perché la subcultura, o quello che ne
resta, influenza i rapporti tra il pubblico e il privato. Conseguentemente influisce anche
55
sullo stile amministrativo del pubblico, inteso come “lo stile decisionale prevalente con
cui il governo locale affronta e organizza le issues politiche” (Campomori 2008, 76).
Nella visione “veneta” il governo locale non è interventista, quindi il suo apporto alla
regolazione sociale e pressoché minimo, e questo ha trovato sempre una “soluzione”
nella cleavage Stato/Chiesa. Tutto questo ha creato, come più volte ripetuto, un
localismo antistatalista a difesa del privato sociale e in contrapposizione allo Stato
Centrale. Ecco quindi, la conseguente importanza delle reti associative cattoliche con
delega politica alla Democrazia Cristiana (Campomori 2008, 77). I cambiamenti storici
ha poi visto emergere l’importanza delle leghe a seguito della caduta del Comunismo e
il processo di secolarizzazione, questa riformulazione ha dato importanza al privato
economico, mentre la subcultura bianca intesa come quella “cattolica” privilegiava il
privato sociale. Pertanto, la consapevolezza della storia della subcultura bianca e le
conseguenti modifiche a cui è stata sottoposta permettono di comprendere se a Treviso
si può riscontrare nelle politiche di integrazione dei richiedenti asilo l’emergere di
alcuni retaggi ad essa collegati.
56
3. “BATTLEGROUND” TREVIGIANA
3.1 Ricerca e metodologia
Si è cercato di ricostruire il “campo di battaglia” trevigiano a fronte delle considerazioni
fatte sul concetto di Multi-Level governance nelle politiche di ricezione dei richiedenti
asilo e si è tentato di comprendere come questa, a livello locale, possa richiamare
l’immagine di una “battleground” (Ambrosini M. 2018), in cui i vari attori delle
politiche convergono ciascuno con i loro interessi, valori e frames cognitivi
(Campomori F. 2018c).
È stata indagata l’organizzazione del sistema di accoglienza per approfondire quali
attori abbiano un peso rilevante, quali offrano reali servizi ai richiedenti asilo e come
siano i rapporti tra loro.
La provincia di Treviso ha iniziato ad accogliere in un primo frangente nel 2011 con
l’“Emergenza Nord-Africa” e successivamente nel 2014 con l’arrivo dei primi ingenti
numeri di richiedenti asilo. Oggi, il sistema di accoglienza si divide in CAS e SPRAR,
come si vedrà meglio lungo il capitolo. I CAS si suddividono tra quelli strutturalmente
pensati come accoglienza diffusa ed hub.
Il comune conta 8495471
residenti, 1177972
dei quali sono cittadini stranieri. Difficile
quantificare quanti tra i residenti siano richiedenti asilo oggi, considerando le modifiche
apportate all’iscrizione anagrafica dal “Decreto Sicurezza”. Nonostante ciò, secondo
quanto riportato dalla stampa locale ad aprile 2018, si stima che in tutta la provincia di
Treviso fossero 1862, accolti in 92 CAS e 7 SPRAR in tutta la provincia di Treviso73
.
Le interviste rivolte ai principiali attori presenti nel territorio sono state realizzate tra
dicembre 2018 e gennaio 2019, un momento storico complesso considerando il periodo
di passaggio tra il vecchio sistema di accoglienza e l’attuazione delle modifiche
apportate dalla nuova normativa (l.132/2018). Al momento delle interviste il bando di
gara per l’accoglienza nei CAS relativo al 2019 doveva ancora essere emesso. Tuttavia,
quello relativo allo SPRAR era già stato riconfermato nel 2018 per altri due anni, quindi
con termine nel 2020.
71
http://demo.istat.it/pop2018/index.html (dato relativo al primo gennaio 2018) 72
http://demo.istat.it/strasa2018/index.html 73
http://www.trevisotoday.it/cronaca/numeri-richiedenti-asilo-treviso-20-aprile-2018.html
57
La fotografia del campo di battaglia, perciò, è già in parte stata modificata ma si
cercherà, in chiusura dell’elaborato, di comprendere i recenti cambiamenti avvenuti.
Si è tentato di ricostruire i rapporti tra i livelli di governo soprattutto utilizzando le
principali testate giornalistiche e un’intervista fatta ad un funzionario comunale
(referente per lo SPRAR).
Rappresentante ente locale
Responsabile del progetto SPRAR per il Comune di Treviso: intervista 1
Tabella 2
Attori rappresentanti dei livelli di governo
Per comprendere il ruolo degli attori pro-immigrati nel territorio sono stati intervistati i
soggetti riportati nella Tabella 3.
ONG e organizzazioni del Terzo settore
Responsabile area accoglienza migranti di Caritas Tarvisina: intervista 2
Presidente cooperativa LaEsse per l’accoglienza in CAS: intervista 4
Responsabile del progetto SPRAR per i due enti attuatori (coop. LaEsse e Una
Casa Per L’Uomo): intervista 3
Operatore Caritas Tarvisinia del progetto “Rifugiato a casa mia”: intervista 5
Attori organizzati (Associazioni di volontariato, Chiese, Sindacati etc.)
Volontaria associazione Civico 63: intervista 6
Movimenti sociali
Volontario del Centro sociale Django (per progetto Talking Hands): intervista
7
Tabella 3
Attori pro-migranti
Vi sono due gruppi di attori pro-immigrati che non hanno avuto seguito nelle interviste:
i gruppi di sostegno e i “battitori liberi”. Non sono stati individuati, infatti, gruppi di
sostegno nel territorio trevigiano che non avessero rimandi ad associazioni di
volontariato; tuttavia, è emerso dalle interviste che la società civile ha costituito dei
gruppi informali per rispondere ad un bisogno momentaneo sciogliendosi una volta che
questo era stato soddisfatto (ad esempio una raccolta indumenti e carrozzina per una
58
richiedente asilo che stava per diventare madre, intervista 3). Per quanto riguarda i
“battitori liberi” si parlerà di Antonio Silvio Calò che a titolo individuale ha promosso
un vero e proprio sistema di accoglienza che si cercherà di ricostruire tramite le sue
testimonianze scritte o rilasciate ai giornali.
Le interviste sono state qualitative poiché permettono una conoscenza più approfondita
di un fenomeno (Babbie E. 2010). Si è preliminarmente compreso attraverso il lavoro
nel territorio e la lettura della stampa chi fossero gli attori con maggiore peso per poi
contattarli al fine di ottenere un’intervista.
La durata media di ciascun incontro è stata di un’ora e le domande rivolte erano semi-
strutturate; dapprima era stato preparato un canovaccio di quesiti ma, talvolta, non tutti
sono stati affrontati metodicamente e l’interlocutore è stato anche libero di raccontare.
Tutti gli interventi sono stati registrati e in un secondo momento sono stati trascritti.
Nella Tabella 4 vengono riportate, invece, le principali testate giornalistiche da cui si
sono attinte le informazioni destinate ad individuare nel territorio anche gli attori che
non si sono riusciti a raggiungere con le interviste. Gli articoli riguardano un lasso di
tempo che va dal 2015 ad oggi. Nel citare i rimandi alla stampa locale si sono
privilegiati i discorsi diretti degli attori presenti negli articoli.
Principali testate giornalistiche a cui la ricerca ha fatto riferimento:
Corriere del Veneto
La Nuova Venezia
La Tribuna di Treviso
Il Gazzettino
Oggi Treviso
Treviso Today
Tabella 4
Testate giornalistiche
Il capitolo propone una mappatura del contesto trevigiano a partire dalla dimensione
verticale di governance, quella che chiama in causa i poteri istituzionali e il sistema di
accoglienza così com’è ripartito a partire dall’accordo firmato nel 2014 (Conferenza
Stato- regioni) e il decreto approvato nel 2015 (d.lgs. n.142/2015). Tale piano di
governance si affronterà considerando le difficoltà e i rapporti tra istituzioni (Prefettura,
59
enti locale e questura) con i soggetti del terzo settore che sono enti attuatori
dell’accoglienza.
Successivamente l’attenzione verrà rivolta alla dimensione orizzontale: si prenderanno
in esame gli attori pro-immigrati, considerando inizialmente le ONG (cooperative,
soggetti del terzo settore) coinvolte nell’accoglienza concentrandosi sui rapporti tra loro
e la società civile. Si continuerà descrivendo i gruppi di attori organizzati, portando
l’esempio in particolare dell’associazione di volontariato che si è approfondita di più,
Civico 63. Di seguito si tratteranno i movimenti sociali descrivendo il centro sociale
Django, le sue relazioni con il territorio e un progetto destinato in modo specifico a
richiedenti asilo e rifugiati (Talking Hands). Infine, si parlerà dei gruppi di sostegno e
dei “battitori liberi” portando un esempio sui generis del territorio, ovvero l’esperienza
del professore Antonio Silvio Calò. A conclusione della mappatura, si prenderanno in
esame gli attori anti-immigrati che si muovono nel territorio trevigiano.
In chiusura del capitolo si parlerà: sia del “post-accoglienza”, per le difficoltà che esso
comporta, esaminando l’esperienza del progetto “Rifugiato a casa mia”, promosso da
Caritas Tarvisina, attraverso i rapporti con il territorio; sia delle diverse posizioni
emerse dagli attori individuati rispetto all’ultima modifica normativa (d.l.113/2018).
3.2 Dimensione verticale: i livelli di governo e il sistema di accoglienza
3.2.1 SPRAR
Il progetto SPRAR nel comune di Treviso è cominciato a luglio 2016, dopo un lungo
periodo di valutazione da parte dell’ente iniziato a novembre 2015.
L’idea di strutturare questo tipo di accoglienza nasce con la scorsa amministrazione del
Partito Democratico, guidata dal sindaco Giovanni Manildo.
La scelta di avviare un progetto SPRAR è stata voluta:
“perché l’alternativa era comunque subire una situazione che veniva dall’alto. Nel senso
che in quel periodo c’erano tutti quei famosi sbarchi, arrivi, quant’altro, e la Prefettura
ci comunicava uno giorno si, l’altro anche, che arrivava sempre qualcuno da inserire.
L’unico sistema che ancora oggi è valido per avere la regia della situazione è
effettivamente lo SPRAR. Perché è il comune che effettivamente accoglie, senza doverselo
subire dall’alto, come succede magari in altri casi. Quindi la scelta era quella di cercare
60
di avere la regia e cercare di attivare una sorta di integrazione, cosa non facile, ma
insomma..”(intervista 1)
Al momento sono 49 posti (38 uomini e 11 donne), tuttavia, non lo sono stati
dall’inizio “siamo partiti con pochi e siamo arrivati solo a fine del 2016 a raggiungere
questa quota, non è stato facilissimo. Siamo partiti con Treviso e poi ci siamo allargati
con gli altri comuni.” (intervista 1) Infatti, la progettualità era volta a sviluppare la
collaborazione di più comuni.
“A Treviso è nata una rete che ha visto la partecipazione di dieci comuni del territorio.
Poi, in realtà, la rete è stata abbastanza fittizia. Cioè la rete vera è tra i comuni che
accolgono, gli altri comuni hanno cercato all’inizio ma alla fine non sono riusciti a fare
nulla. Però la rete era formata da dieci comuni limitrofi e si voleva un po’ che tutti
mettessero la loro parte, solo che alla fine si è riuscito a farlo solo con alcuni di questi
comuni.” (intervista 1)
Ad oggi 28 posti sono destinati a Treviso (5 dei quali a donne) gli altri sono suddivisi
tra i comuni di Mogliano Veneto, Ponzano Veneto e Monastier.
L’apertura dello SPRAR a Treviso è stata contesa a livello politico solo inizialmente:
“qui la maggioranza era compatta. È cominciata con la Giunta Manildo, l’allora
Assessore Cabino ha portato avanti questa iniziativa. Contestazioni, all’inizio ci sono
state, chiaramente l’opposizione un po’ si è mossa, c’è stata qualche manifestazione
effettivamente anche contraria. Però poi quando tutta la cosa è partita si è disinnescato
un po’ tutto.” (intervista 1)
Ad un certo punto si pensava di aumentare anche i numeri, l’ex sindaco il 5 aprile 2017
dichiarava:
“da parte della Prefettura vi sarà pieno sostegno al percorso amministrativo già
intrapreso con la comunicazione di giunta della scorsa settimana [...] che a breve si
tradurrà in una delibera con la quale l’amministrazione intende richiedere al Ministero
la conversione degli attuali centri CAS in SPRAR. Di qui la possibilità per Treviso di far
scattare la clausola di salvaguardia con la conseguente riduzione a 235 delle persone
accolte e il progressivo svuotamento della caserma Serena.74
” Tuttavia, “[…] non è
stato possibile. Abbiamo fatto questo tentativo quando è entrata in vigore quella specie di
normativa o interpretazione che consentiva la trasformazione di CAS in SPRAR. Però
non è mai stata così semplice da attuare perché comunque non era un passaggio
automatico, bisognava fare le gare, occorreva chiede al Ministero autorizzazioni e
74
http://www.trevisotoday.it/cronaca/treviso-sprar-prefetto-sindaco-5-aprile-2017.html
61
quant’altro. Alla fine, non si è fatto nulla. È intervenuta, poi, anche la circostanza che
sono diminuiti comunque gli arrivi. Questa cosa ci ha un po’ agevolato, però stavamo
pensando anche noi di aumentare, senza dubbio.” (intervista 1)
Interrogati il comune e il coordinatore dell’ente attuatore del progetto, è emerso che le
difficoltà pratiche nell’avviamento dello SPRAR. sono state per il Comune il riuscire a
produrre tutta la documentazione necessaria, mentre per gli enti attuatori ha richiesto
diverso tempo il reperimento di appartamenti idonei.
“Il problema di individuare gli alloggi, è, secondo me, connesso a quanta volontà o
resistenze ci possono essere da parte di una comunità, un quartiere, nel saper che
effettivamente domani, viene aperto un progetto SPRAR, quindi difficilissimo trovare gli
alloggi, non perché non ci sia mercato immobiliare ma perché, vuoi che il proprietario
dell’alloggio non è disposto a mettersi contro i vicini, vuoi perché le agenzie hanno delle
indicazioni da parte dei proprietari di non affittare ad un tipo di persone piuttosto che ad
un altro. Scremato già un po’, rimane una fetta di mercato immobiliare disponibile che
affitterebbe volentieri, anche perché ha tutta una serie di garanzie che lo SPRAR dà,
quindi non si dovrebbe trovare a gestire situazioni di morosità piuttosto che di mancati
pagamenti, però, hai quelle resistenze, quelle paure, e quella rabbia da parte dei vicini,
dei cittadini, che porta sì ad un avvio molto lento. Quindi la difficoltà più grossa è stata,
secondo me, connessa per quello che riguarda l’ente attuatore, al reperimento degli
alloggi, non ad altre dimensioni. Reperimento degli alloggi che sarebbe stato molto più
semplice se non avessimo parlato di un progetto SPRAR quindi di un certo mondo e di un
certo tipo di utenza.” (intervista 3)
Le rimostranze della cittadinanza, dunque, hanno avuto un ruolo sulla scelta di dove
aprire gli appartamenti, in quanto alcuni quartieri della città hanno fatto talmente tanta
resistenza da dissuadere gli enti attuatori ad avviare il progetto in quei luoghi:
“La cooperativa ha avuto un momento di difficoltà per la paura dei vicini, tant’è che poi
abbiamo deciso di non aprire un appartamento […] stavamo aprendo gli alloggi qui a
Treviso, avevamo organizzato un incontro qui con i vicini e in realtà ci siamo trovati con
uno striscione, non mi ricordo bene, con “via i profughi” “no ai profughi”, […] una
cosa di questo genere appeso sui balconi. […] Inserire in quel contesto, in quel momento,
delle persone secondo me sarebbe stato estremamente difficoltoso.” (intervista 3)
62
Indagando sulla stampa locale rispetto a quell’avvenimento si può precisare che il
lenzuolo utilizzato recitava “case alle famiglie non ai profughi vergogna75
” e risale a
luglio 2016 proprio il periodo di avviamento del progetto. In quel episodio, si era fatto
portavoce politico delle resistenze di questo quartiere trevigiano, l’allora capogruppo
della Lega in consiglio comunale a Treviso, oggi sindaco, Mario Conte e l’ex assessore
Mauro Michielon. In un comunicato congiunto si erano lamentati dell’avvio lento del
progetto utilizzando toni meno democratici di quelli usati agli enti attuatori per
descriverli oggi:
“Il progetto SPRAR declamato da Manildo e dalla sinistra trevigiana come “il” modello
per l’accoglienza degli stranieri extracomunitari, è un fallimento su tutta la linea. […]
Dei 50 posti vagheggiati dalla sinistra ad oggi ce ne sono di disponibili solo 10 e soltanto
due Cooperative hanno richiesto di far parte del programma di lavoro. […] è la
dimostrazione della risposta assolutamente negativa che viene dall’opinione pubblica del
nostro territorio, che di fronte al dramma dell’invasione di stranieri solo in minima parte
veri rifugiati meritevoli di tutela e sostegno, volta le spalle a queste politiche folli di finta
accoglienza che in realtà è soltanto una mostruosa sanatoria degli ingressi illegali […]
Ricordiamo le parole del sindaco di Treviso, secondo cui il modello da seguire non è
quello che prevede più controlli a tutela della sicurezza dei cittadini ma
invece l’accoglienza diffusa di tutti indistintamente, sparpagliando in giro persone di
identità e provenienza quantomeno incerta. Bene: quel modello, alla prova dei fatti, è un
fallimento. Le esigenze di chi accoglie e dei pochi che hanno il diritto di essere accolti
non si contemperano, come pensava Manildo, infilando stranieri in giro, ma con severe
verifiche sulle identità e una giusta, doverosa e necessaria suddivisione tra chi ha in
effetti la possibilità di richiedere lo status di rifugiato e chi invece si confonde nei flussi
di coloro che scappano dalla guerra e dalle persecuzioni per entrare illegalmente in
Italia. […] l’ennesima dimostrazione del fatto che “i compagni” vivono sulla luna,
completamente disarticolati dal sentire comune della gente. I cittadini hanno bisogno di
sentirsi sicuri e tutelati, non di trovarsi i quartieri invasi di sconosciuti76
”.
Parole piuttosto dure e in linea con quelle del segretario della Lega Matteo Salvini.
Tuttavia, ente attuatore e comune sono concordi nel rimarcare il fatto che le
problematiche sono legate alla fase di avvio del progetto e con il suo consolidamento
sono venute meno.
75
https://www.trevisotoday.it/cronaca/treviso-via-umbria-profughi-27-luglio-2016.html 76
https://www.trevisotoday.it/cronaca/treviso-via-umbria-profughi-27-luglio-2016.html
63
Gli enti attuatori del progetto sono due, che lavorano in concerto: la Cooperativa sociale
“LaEsse” e “Una Casa per L’uomo”. Entrambe sono realtà, presenti da anni nel
territorio trevigiano, gestiscono anche CAS ma non si occupano unicamente di
richiedenti asilo e rifugiati. Infatti hanno entrambe progetti di housing sociale e di altro
tipo, non inerenti unicamente all’area immigrazione. Il bando, nonostante veda
coinvolti più comuni, è unico e ha come ente capofila il Comune di Treviso. Iniziato,
come precedentemente detto nel 2016, ha visto la proroga del progetto fino a giungo
2018, il progetto è stato poi riconfermato fino al 2020, dall’ex giunta uscente. Nello
stesso periodo Treviso è stato protagonista delle elezioni amministrative che hanno visto
la vittoria di Mario Conte, sindaco della Lega. Interrogati gli enti attuatori sulla
percezione avuta da questo cambiamento è emerso
“[…] la nuova amministrazione se lo è ritrovato. Ma una volta che se lo è ritrovato non
ha ostacolato, non significa che lo stia promuovendo, ma non lo sta ostacolando. Quindi
a noi come ente attuatore non è stato detto, “okay da domani non fate più quello che
avete fatto fino ad adesso”. Anzi devo dire che, so che sembra un pochino un essere
molto in “sintonia con”, ma preferisco essere sincero, proprio dall’amministrazione
attuale è stato sottolineato il tipo di lavoro fatto, che fosse positivo. Quindi in questo
senso non lo trovo ostacolante. […] Il sindaco che dice “vi ringrazio per il lavoro fatto
fin ora, continuiamo questo lavoro qua” nonostante sia di un’amministrazione che non è
quella che ha voluto inizialmente lo SPRAR e nonostante, non so, immagino, la
campagna della Lega sicuramente non sia vicina all’immigrazione, io non ho questo
ritorno. Io parlo con un sindaco che fa parte di una certa corrente politica ma non ho
parlato con una persona che mi ha detto “chiudi lo SPRAR immediatamente o tanto lo
andremo a chiudere” poi magari verrà chiuso per altre motivazioni ma non ho sentito
nessuna azione ostacolante. Questo non significa che sia promuovere un progetto, non
ostacolarlo. E questa è una cosa che ha stupito anche me, perché lo stereotipo forse ce
lo avevo bene in testa anch’io rispetto ad una Lega che blocca in automatico un progetto
SPRAR. Non è quello che è accaduto qui a Treviso, il ché ovviamente, non significa
promuoverlo, sponsorizzarlo, spingerlo a cento” (intervista 3)
Da punto di vista di dichiarazioni pubbliche il sindaco non si espone sullo SPRAR ma
come si vedrà ha una posizione piuttosto netta rispetto all’appoggio al “Decreto
Sicurezza”.
L’accoglienza all’interno dello SPRAR dura sei mesi prorogabile per altri sei, previa
relazione al Servizio Centrale che ne spieghi i motivi e la progettualità che richiede
64
l’allungarsi dei tempi. Vi lavora un’equipe mista di operatori provenienti da Una Casa
Per l’Uomo e di LaEsse con funzioni e ruoli diversi, definiti dal manuale SPRAR. Sono
impiegati 10 operatori più un coordinatore, suddivisi in un’equipe operativa che si
occupa della quotidianità dei beneficiari, un’altra dedicata alla loro integrazione (lavoro,
inserimento, ricerca dell’abitazione), e quella relativa alla “tutela” quindi alle questioni
socio-sanitarie (vulnerabilità psichiatriche, sanitarie, fenomeno di tratta e sfruttamento
lavorativo). A questi si aggiungono 3 insegnanti di italiano, oltre ai corsi seguiti dai
beneficiari al CPIA (Centro Per l’Istruzione Adulti).
Il comune di Treviso è responsabile dal punto di vista amministrativo della gestione
dello SPRAR mentre ciascun comune segue, in modo autonomo, il monitoraggio dei
beneficiari con l’ausilio delle assistenti sociali presenti nell’ente locale.
Lo SPRAR collabora con associazioni, enti e aziende nel territorio al fine di garantire a
tutti gli ospiti tirocini lavorativi e formazione.
Il progetto è in minima parte legato alla Prefettura, che l’ha vista interessata solo per
alcuni tavoli tecnici inerenti a segnalazione di ingressi a favore di persone presenti nel
territorio. Questi tavoli venivano fatti in concerto con gli enti attuatori, i servizi sociali
dell’ente locale e i quelli sanitari, si esplicavano nella riflessione inerente agli
inserimenti quanto più efficaci possibili. Infatti, il tempo di permanenza all’interno del
progetto SPRAR dura sei mesi, quindi per riuscire a fare un buon lavoro, diceva il
coordinatore del progetto, è necessario che vi siano delle minime competenze in entrata,
altrimenti il tempo del progetto risulta insufficiente per sviluppare un buon percorso
individuale. Gli ulteriori rapporti con la Prefettura riguardano lo scambio di
informazioni rispetto alle presenze dei beneficiari, l’andamento del progetto e
l’eventuale apertura di altri appartamenti.
Prefettura e SPRAR, infine, si interfacciano relativamente ai richiedenti asilo presenti
all’interno del progetto (ancora cinque), tuttavia, questa parte della relazione è
evidentemente destinata a scemare. I richiedenti asilo, infatti, non potranno più accedere
allo SPRAR.
La Questura che dimostra, a parere del coordinatore del progetto, massima disponibilità
è chiamata in causa per questioni di carattere burocratico, in cui tutto sommato hanno
sempre avuto modo di confrontarsi, considerando che è stato dato dall’ispettore capo
dell’area immigrazione un numero sempre reperibile per eventuali problematiche. Da un
65
punto di vista di tempistiche e operatività probabilmente qualche scontro c’è stato ma
niente che sia realmente rilevante.
I referenti del progetto, sia del comune che degli enti attuatori, sono entrambi
preoccupati rispetto ai cambiamenti a cui sarà sottoposto, il pericolo, secondo il
coordinatore è che si andrà probabilmente incontro ad una moltitudine di posti vuoti, a
fronte di liste interminabili per farne richiesta risalenti a prima delle ultime modifiche
normative in materia. In altri SPRAR della regione, con cui Treviso collabora, già è
presente questo elemento. Il sistema era considerato efficiente sia per quanto riguarda la
soddisfazione del comune che dell’ente attuatore, le difficoltà non era nemmeno più
legate all’opinione pubblica ma più che altro ai tempi relativamente brevi per riuscire a
fare un buon progetto con la persona accolta. Ora tutto sarà rimesso in discussione,
tuttavia, il fatto che la convenzione terminerà nel 2020 lascia il tempo alla riflessione e
all’effettivo monitoraggio da parte dei soggetti coinvolti.
3.2.2 CAS
La situazione a gennaio 2019 vede gli enti gestori del trevigiano, inclusa non
unicamente la città di Treviso ma l’intera provincia, in proroga del vecchio bando fino
al 30 aprile 2019, con comunicazione del 28 dicembre 2018 a fronte della scadenza del
bando prevista per il 31 dicembre 2018.
Il bando relativo al 2018 era stato pensato per 2886 richiedenti asilo in tutta la provincia
a fronte dei 1085 posti effettivi aggiudicati da 16 enti gestori77
. (Bando prefettizio)
La provincia di Treviso ha iniziato ad aprire i primi CAS ad agosto 2014 tramite
convenzioni stipulate con i singoli enti gestori,78
per poi emanare un bando a fine anno
per un totale di 268 posti79
. All’inizio la partecipazione all’accoglienza interessava 6
enti gestori.
Nel 2015 sono state rinnovate le convenzioni più volte, fino all’emissione del nuovo
bando che aumentava a 810 posti disponibili.
77
http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1238/20180502-001.pdf 78
http://www.prefettura.it/treviso/contenuti/Convenzioni_stipulate_in_via_d_urgenza_2014-157848.htm 79
http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1238/Bando%20di%20Gara%20appalto%20servizi%20accoglienza%20cittadini%20stranieri%20-%20agosto%202014.pdf
66
A novembre 2015 è stato indetto un bando per gestire un grande hub, l’ex Caserma
Serena con numero civico a Treviso, immobile messo a disposizione dalla Prefettura di
Treviso a Nova Facility SRL, per un totale di 437 posti.80
Il bando emesso successivamente inerente all’anno 2016 per tutta la provincia, è stato
per l’accoglienza di 1428 persone81
, per poi pubblicarne un altro ad aprile dello stesso
anno relativo ad altri 83082
posti. Nel 2016 viene aperto il secondo grande hub, ad
Oderzo, l’ex Caserma Zanusso, immobile messo a disposizione dalla stessa Prefettura,
per l’accoglienza di 28083
persone. Appalto valido da novembre 2016 al 31 dicembre
201784
.
Il bando relativo all’anno 2017 è predisposto per l’accoglienza di 214085
persone, dei
quali, però, solo 81786
posti effettivi accolti nei CAS. Rimane inoltre valido il bando
relativo alla ex-Caserma Zanusso mentre non è possibile ricavare dal sito delle
Prefettura di Treviso i posti assegnati all’ex Caserma Serena.
Ad oggi, a parte alcune modifiche in corso relative alla mancata idoneità di alcuni
alloggi e la conseguente diminuzione di persone in alcuni CAS, i posti messi a
disposizione dagli enti gestori sono poco meno dei 1054 effettivamente indicati.
I richiedenti asilo accolti sono raramente persone appena giunte in Italia e sono perlopiù
presenti nel territorio da almeno un anno. Infatti, i tempi per essere chiamati in
commissione, sebbene ne sia stata aperta una sezione a Treviso (nel 2017), si sono
mediamente allungati e lo stesso vale per i tempi dei tribunali con i relativi ricorsi.
Al fine di comprendere meglio le dinamiche presenti all’interno dei CAS, guardando in
particolare a Treviso, sono stati intervistati Caritas Tarvisina una delle prime realtà che
si sono mosse per l’accoglienza in città e la cooperativa LaEsse. Entrambe sono tra le
maggiori protagoniste in termini di voce pubblica a Treviso.
La presidente di LaEsse spiega piuttosto bene l’evoluzione (o involuzione) che c’è stata
nel rapporto con la Prefettura in relazione ai loro CAS. Il tipo di rapporto viene descritto
80
http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1238/Avviso%20pubblico%20TV%202015.pdf 81
http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1238/AVVISO%20PUBBLICO%202016.pdf 82
http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1238/Avviso_pubblico_II_TV_2016_.doc.pdf 83
http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1238/1_-_Avviso_di_Gara_ex_Caserma_Zanusso_2016-2017.pdf 84
ibidem 85
http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1238/1_-Avviso_di_Gara_Accoglienza_diffusa_2017.pdf 86
http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1238/esito_gara_2017.pdf
67
ovviamente come formale in quanto, la Prefettura rappresenta la committenza per l’ente
gestore ed è il soggetto che emana annualmente il bando e valuta le varie offerte.
Tale rapporto ha subito modifiche nel corso di questi anni di accoglienza, legate
ovviamente anche alle disposizioni nazionali. Nei primi tempi dell’accoglienza, la
relazione era meno formalizzata, i primi incarichi (sia per LaEsse sia per Caritas e un
altro paio di realtà) erano fuori gara, stipulando delle convenzioni dirette con questi enti.
Da ricordare che nel 2014, la Prefettura si era trovata a far fronte ad un arrivo
improvviso di richiedenti asilo dovendo, quanto prima, mettere a regime un sistema per
accogliere queste persone. C’era già stato un importante momento di accoglienza nel
2011 a seguito degli arrivi della cosiddetta “Emergenza Nord Africa” legata alle
Primavere Arabe. Nonostante questo primo banco di prova, il territorio risultava
impreparato a dare una risposta rapida ed effettiva ad un crescente numero di persone
che arrivava in Provincia.
“Quindi in quel momento, cosa ha fatto la Prefettura? Ha contattato alcuni soggetti del
territorio, c’eravamo noi, la Caritas e qualche altro soggetto, vari enti gestori, più che
enti gestori soggetti che lavoravano con l’immigrazione all’epoca. E quindi c’è stato
questo contatto in cui ci invitavano ad accogliere i richiedenti asilo. In quel momento, e
per un lasso di tempo che è andato avanti almeno fino all’apertura delle Caserme
Serena, anzi forse un po’ dopo, c’è stata una continua richiesta da parte della Prefettura
di spinta e di pressione affinché noi aprissimo nuovi posti. E anche di fronte al fatto di
dire “ma non riusciamo ad aprire, c’è ostracismo da parte dei comuni” “non vi
preoccupate ci siamo noi che ci interfacciamo con loro.” Questo primo momento la
Prefettura “faceva quasi da partner”. (intervista 4)
Nonostante la Prefettura ricoprisse il ruolo formale di committente, le modalità di
relazione instaurate con gli enti gestori era espressione di un rapporto tra pari.
Successivamente, a seguito dell’apertura degli hub e un po’ per il cambio numerico
degli arrivi, che era cambiato, si è modificata anche la relazione tra committente ed enti
gestori. Relazione segnata da una maggiore asimmetria e una committenza forte. Fino a
giungere ad una “formalizzazione estrema” (intervista 4) del rapporto. All’inizio quindi
le interazioni erano segnate da telefonate a qualsiasi ora per chiedere posti ulteriori al
fine di accogliere altre persone, fino ad arrivare al momento attuale, cominciato più o
meno otto/nove mesi fa, in cui vi sono molti posti vuoti all’interno dei CAS e le persone
accolte sono qui da lunghi periodi, almeno un anno.
68
Anche la presentazione della rendicontazione è cambiata:
“inizialmente […] andava a retta giornaliera, okay, quindi di fatto una retta di qualsiasi
comunità, io ti dico che appunto ci sono i 35 euro comprensivi del pocket money tu devi
stare all’interno di quei costi, ma i controlli eventualmente li fa la guardia di finanza.
Noi fatturavamo, presentavamo alcune pezze giustificative. Fino ad un cambiamento
sostanziale che nell’ultimo capitolato, nell’ultimo bando relativo al 2018 è diventato
molto formalizzato anche in seguito ai controlli che aveva predisposto e chiesto la Corte
dei Conti proprio rispetto ad una mala gestione dei fondi sull’accoglienza fino ad
arrivare a stringere tantissimo. Fino a portare la rendicontazione dei CAS molto simile a
quella degli SPRAR. Noi eravamo abituati in quanto LaEsse appunto gestiva già lo
SPRAR.” (intervista 4)
Quindi, a seguito di un forte scambio iniziale tra ente gestore e Prefettura oggi ci sono
stati dei cambiamenti sostanziali in termini relazionali:
“Attualmente, c’è stato anche il cambio del Prefetto ma non è relativo solo a quello, è
relativo a tutti i cambiamenti in atto in Italia rispetto al tema dell’accoglienza e cioè
difficoltà di interazione. Nel senso che è proprio difficile interagire. Non solo con la
Prefetta con la quale non abbiamo richiesto in tal senso o comunque nell’ultimo periodo
incontri, ma anche con i funzionari e dirigenti. C’è proprio una distanza molto forte, data
probabilmente da una loro forte disorganizzazione al momento perché sono cambiati
tantissimi soggetti all’interno, ma data anche da una certa distanza maggiore che si
vuole tenere. […] Invece, adesso, […] la comunicazione è ad un senso, […] ci arrivano
le circolari della Prefettura, quando noi inviamo pec è difficile avere una risposta. Si, in
questo senso sento che si è deteriorato il rapporto. […] è proprio difficile interloquire e
anche sulla rendicontazione già al loro interno c’è una grossa confusione, nel senso che
ci sono ritardi. […] c’è stato pagato gennaio, febbraio e marzo (2018) al cinquanta
percento, quindi siamo fuori di un anno. Con accesso al credito bancario e quindi cosa
che non viene nemmeno presa in considerazione come spesa in più degli enti gestori. Ma
in realtà gli enti gestori, almeno qua, si stanno facendo carico di un anno di accoglienza,
quindi non solo spese del lavoro, ma anche spese vive dell’accoglienza.” (intervista 4)
Confrontando poi la Prefettura di Treviso con quella più vicina, quella di Venezia, si
possono notare almeno due differenze, importanti. La prima rispetto l’orario di rientro
dei beneficiari in struttura, che nelle accoglienze di Treviso è alle 20, mentre in quelli
del veneziano alle 22. La seconda riguarda il tempo di accoglienza garantito in struttura.
Infatti, fino a marzo 2018 le persone venivano accolte nel trevigiano fino al primo grado
69
di giudizio. Una volta che il Tribunale si esprimeva in senso positivo o negativo
dovevano lasciare la struttura di accoglienza, cosa non prevista nel veneziano in cui
sono accolti per tutto l’iter di richiesta d’asilo.
Tuttavia, con circolare prefettizia n. 21608 del 07/03/2018 si dice che
“a seguito dell’Ordinanza n.18737 del 27/07/2017 della VI Sezione Civile con la quale
la Corte di Cassazione, in tema di sospensione degli effetti del pronunciamento di primo
grado di procedimenti- al di fuori delle ipotesi tassative per le quali è necessaria
un’apposita istanza di sospensione- ha osservato che l’impugnazione del provvedimento
innanzi alla Corte di Appello comporta la sospensione automatica della decisone del
Tribunale, di rigetto della domanda di protezione internazionale. Nel caso di specie,
pertanto, il Ministero dell’Interno ritiene che il richiedente asilo possa beneficiare
dell’accoglienza nel CAS in attesa della conclusione dell’iter procedurale di definizione
dello status di protezione internazionale.87
”
Questo vale anche per coloro che hanno fatto appello prima del D.L. del 17/02/2017
n.13, convertito nella L. 13/04/2017 N.46 che prevede l’eliminazione del secondo grado
di giudizio per i richiedenti asilo ricorrenti.
Se dunque i rapporti tra Prefettura ed enti gestori sono peggiorati nel corso del tempo
(dal punto di vista di quest’ultimi) un altro importante ruolo lo giocano gli enti locali nei
quali venivano aperti i CAS. Le intervistate sono concordanti riguardo la difficoltà
iniziale di aprire i centri, o per amministrazioni locali che facevano resistenze o per
movimenti di cittadini spaventati o poco tolleranti. (intervista 2 e 4)
“ […] la Prefettura aveva il poter di decidere di aprire un centro di accoglienza anche se
il comune non era d’accordo con l’apertura […] Quindi diciamo che i rapporti
inizialmente non sono sempre stati così semplici ecco, con l’amministrazione comunale.
Più che altro perché considerava un po’ un’imposizione da parte della Prefettura la
gestione della accoglienza.” (intervista 2)
Il vero “braccio di ferro” si ebbe, tuttavia, nell’apertura del grande hub, l’ex Caserma
Serena. L’hub è stato aperto a seguito di un gravissimo fatto datato 15 luglio 2015 che
aveva interessato un paese limitrofo a Treviso, Quinto di Treviso. Erano stati
accompagnati 45 profughi a Villorba, altro comune nelle vicinanze, perché venissero
accolti. Il sindaco, appartenente alla Lega Nord, aveva rifiutato l’accoglienza e l’intero
gruppo era stato letteralmente abbandonato davanti alla Prefettura di Treviso, in Piazza
87
Circolare prefettizia n. 21608 del 07/03/2018
70
dei Signori. La Prefettura aveva deciso, quindi, di sistemare i profughi in alcuni
appartamenti sfitti a Quinto. Alcuni residenti della zona delle abitazioni predisposte ad
accogliere i richiedenti hanno dato fuoco ai mobili presenti negli appartamenti88
89
. In
quella circostanza il sindaco di Treviso aveva preso le distanze dal presidente della
regione, Luca Zaia, che si era presentato agli avvenimenti utilizzando toni
particolarmente duri, verso il Prefetto e verso le stesse persone accolte, ma aveva
solidarizzato con il sindaco di Villorba, sottolineando una fatica effettiva dei sindaci nel
sottostare alle regole della Prefettura e anche segnalandone l’inefficacia90
91
. A seguito
di questo fatto è stata aperta l’ex Caserma Serena, debitamente localizzata in una zona
periferica e non particolarmente abitata.
L’avvio dell’ex Caserma Serena è stato, soprattutto nei primi tempi, un vero e proprio
contrasto tra amministrazione comunale di Treviso, in cui la Caserma ha il proprio
indirizzo, il comune di Casier che vede fisicamente parte di questa nel proprio territorio
e la Prefettura di Treviso che aveva la gestione diretta dei numeri al suo interno.
“Nemmeno i sindaci coinvolti di Treviso e Casier sanno che cosa sta accadendo lì
dentro92
”
L’allora sindaco di Casier affermava:
“i ragazzi della società mi dicono che devo chiedere in Prefettura, la Prefetta mi dice
che sono numeri che gestisce lei e che quindi io devo andare avanti a fare il sindaco, e
che quello non è un territorio del comune di Casier[…] io parlo per me, in primis, non ho
mai firmato una convenzione con la Prefettura, credo che nemmeno il sindaco Manildo,
perché altrimenti, visto che in questi giorni stiamo lavorando molto insieme me lo
avrebbe detto, sono certa che la Prefettura non c’ha fatto firmare nulla, anche perché
francamente la Caserma non è nostra, è del Ministero della Difesa passata in due giorni
al Demanio93
” mentre il vicesindaco di Treviso, Roberto Grigoletto dichiarava “ci sono
veramente contorni inquietanti intorno a questa vicenda, e non erano questi gli accordi.
Vogliamo delle risposte molto precise, molto puntuali proprio in ordine alla convenzione
che è stata stipulata con la cooperativa che gestisce l’accoglienza dei profughi all’ex
88
https://www.huffingtonpost.it/2015/07/16/manildo-sindaco-treviso-profughi_n_7809706.html 89
http://www.trevisotoday.it/cronaca/rivolta-residenti-profughi-quinto-treviso.html 90
https://www.huffingtonpost.it/2015/07/16/manildo-sindaco-treviso-profughi_n_7809706.html 91
http://www.oggitreviso.it/manildo-prefettura-inefficace-spese-dei-cittadini-114972 92
https://www.youtube.com/watch?v=bcc_9FcVXVo 93
https://www.youtube.com/watch?v=bcc_9FcVXVo
71
Caserma Serena94
.” “Tutto calato dall’alto insomma, come fosse un altro stato nello
stato.95
”
Tali dichiarazioni risalgono ad agosto 2015, prima che venisse emesso il bando ufficiale
per la gestione del luogo. Da sottolineare che, nel sito della Prefettura non è reperibile
documentazione inerente alla Caserma Serena prima di novembre del medesimo anno,
“La gestione, all’epoca, venne di fatto concessa in via emergenziale, senza bandi né
gare.”96
La società che gestisce la Caserma Serena, Nova Facility, è “guidata da Gian Lorenzo
Marinese, fratello di Vincenzo Marinese, presidente di Confindustria Venezia e Rovigo
– si è allargata alla ex caserma Zanusso di Oderzo (altro bando vinto) diventando il
principale operatore della provincia di Treviso97
.”
Ad agosto 2018 L’ex-Caserma Serena veniva così descritta dalla stampa locale:
“Il numero dei dipendenti rispecchia le richieste ministeriali e il rapporto migranti-
operatori, ma è nel loro impiego che si gioca la differenza: corsi di formazione, lingue,
attività interne ed esterne, iscrizione ai centri per l’impiego, assistenza psicologica. A
queste si associa sport, socialità, gestione del menù in accordo coi migranti, servizi alle
persone e tecnologie. come il software denominato “Poseidon”, consultabile dalle forze
dell’ordine, con le schede aggiornate di ogni ospite della struttura.”98
Tuttavia, vi sono state negli anni molte voci contrastanti inerenti al sistema
d’accoglienza promosso in quella sede. Oltre ad essere stato additato come piazza di
spaccio99
100
, è stato anche protagonista di scioperi e manifestazioni degli stessi
richiedenti asilo accolti101
. Il 23 marzo 2017 è stata pubblicata nel sito del progetto
Melting Pot Europa una lettera destinata a Gian Lorenzo Marinese, il direttore, scritta
dai richiedenti asilo accolti. La manifestazione era dovuta alle lunghe tempistiche per
94
https://www.youtube.com/watch?v=bcc_9FcVXVo 95
ibidem 96
https://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2018/08/22/news/accoglienza-nova-facilty-dopo-l-ex-caserma-e-cona-vince-una-gara-a-pordenone-1.17177848 97
https://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2018/08/22/news/accoglienza-nova-facilty-dopo-l-ex-caserma-e-cona-vince-una-gara-a-pordenone-1.17177848 98
ibidem 99
http://www.trevisotoday.it/cronaca/zaia-mestre-retata-polizia-12-luglio-2018.html 100
https://www.ilgazzettino.it/pay/treviso_pay/eliminata_l_aiuola_dello_spaccio_applausi_anche_dal_sindaco_pd-3868683.html 101
https://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2017/03/28/news/alla-caserma-serena-di-treviso-i-migranti-sono-in-sciopero-1.15103961
72
l’audizione in Commissione Territoriale, ma anche alle condizioni di accoglienza
all’interno dell’hub. Gli accolti hanno scritto:
“[…] Noi richiedenti asilo della Caserma Serena stiamo soffrendo, stiamo passando
molte difficoltà in questo luogo. Perché siamo trattati come animali?
Nel corso dell’ultimo incontro ci hai detto che tu ci hai salvato dal mare, ci hai anche
detto che stiamo sprecando il tuo denaro. Signor Gian Lorenzo sei tu in persona che stai
investendo le tue finanze o è l’Unione Europea?
Noi siamo discriminati e trattati come animali e prigionieri, quali sono i nostri diritti
all’interno della caserma, non dovrebbero esserci i diritti umani?
[…] Il modo in cui le nostre sorelle africane sono trattate all’interno della caserma è
molto brutto. Perché le nostre sorelle sono trattate così?
Perché non vengono portate in ospedale per dei controlli medici e perché i medici interni
al campo fanno le prescrizioni, ma non forniscono i medicinali alle persone ammalate?
Non è forse l’Unione Europea che gestisce le finanze per l’accoglienza?
Perché gli operatori che lavorano in caserma assieme a polizia e carabinieri ci
intimidiscono? Perché qui all’interno della caserma ci vuole tanto tempo per andare in
Commissione? Perché ci sono persone che da oltre un anno e mezzo aspettano senza
risposta? È possibile per un essere umano mangiare per un anno e mezzo solo pasta e
riso in bianco senza avere delle conseguenze sulla salute? […].102
”
Vi sono stati altri subbugli all’interno della Caserma anche tra immigrati accolti.103
Tuttavia, la Prefettura ha definito pubblicamente la Caserma come centro
momentaneamente necessario per allocare le persone in arrivo in vista di una maggiore
accoglienza diffusa in collaborazione con i sindaci della zona che avrebbero, però,
dovuto collaborare maggiormente104
. Nonostante ciò questa “realtà” è ad oggi in
funzione. Sembra tuttavia, che la situazione di stallo momentanea, dovuta al calo degli
arrivi, faccia presagire una linea comune tra volere del sindaco e la nuova Prefetta105
entrata in carica l’anno scorso, ovvero, quella di chiudere il centro:
“La situazione in questo ultimo periodo è in continua evoluzione, difficile capire cosa
potrà accadere in futuro. Se ci sarà una riduzione degli arrivi e i richiedenti asilo
potranno essere smistati in altre strutture, immagino che si possa arrivare a una chiusura
102
https://www.meltingpot.org/Treviso-ex-Caserma-Serena-I-richiedenti-asilo-in-protesta.html#.XEX3VlVKjIU 103
http://www.trevisotoday.it/cronaca/rissa-caserma-serena-africani-3-aprile-2017.html 104
https://www.youtube.com/watch?v=75LgSjE8E-4 105
Dott.ssa Maria Rosaria Laganà che è andata a sostituire dott.ssa Laura Lega: http://www.trevisotoday.it/attualita/maria-rosaria-lagana-prefetto-treviso-7-luglio-2018.html
73
del centro di accoglienza alla Serena. Al momento però è preferibile che siano ospitati in
queste strutture, dove sono accuditi e controllati, piuttosto che lasciare queste persone in
mezzo ad una strada106
”.
Un’ulteriore materia di scontro che ha interessato l’ex giunta del Comune di Treviso
(ed altri comuni limitrofi) e la cooperativa LaEsse sono stati i lavori di pubblica
utilità, fortemente voluti dall’ente locale ma non appoggiati dalla cooperativa. La
presidente giustifica la sua posizione perché non vi vedeva un reale progetto alle
spalle, ma solo un’idea di fondo in cui si volesse mostrare all’opinione pubblica il
fatto che le persone accolte restituissero in qualche modo l’accoglienza ricevuta. E
in alcuni casi, in enti locali limitrofi, il far lavorare i beneficiari alla proloco o nei
lavori di pubblica utilità di manutenzione del verde diventava un vero e proprio
braccio di ferro, in cui il comune (Roncade) asseriva “diamo le carte di identità se
voi lavorate a..”(intervista 4). Quello che l’operatrice definisce “un livello di ricatto
costante.” (intervista 4)
I lavori di pubblica utilità sono infatti stati strumenti di diverse amministrazioni
locali del trevigiano, soprattutto di forze di sinistra, per promuovere un’integrazione
considerata fittizia da LaEsse. Infatti, per la cooperativa non riguardava realmente un
momento d’incontro tra comunità locale e richiedenti asilo, ma solo un dover
restituire ciò che invece gli spetta di diritto e in contrasto magari, con il proprio
progetto migratorio. Manildo il 30 gennaio 2017 affermava ai microfoni di Rete
Veneta: “I richiedenti asilo non possono essere delle persone che rimangono oziose
nelle piazze, ma devono essere delle persone che con le loro energie lavorative
restituiscono del bene alle comunità che li hanno appunto accolti.107
” pensando di
essere portavoce di un desiderio comune “Le comunità che accolgono vogliono
vedere le persone che arrivano impegnate in attività utili alla collettività108
.”
Sia CAS che SPRAR si trovano d’accordo nel definire il rapporto con la Questura in
modo tutto sommato positivo. La Questura cura la formalizzazione della domanda di
asilo (fotosegnalamento, impronte digitali, conferma del modello C3). Rilascia i
permessi di soggiorno per richiesta asilo, si occupa dei conseguenti rinnovi ogni 6 mesi
e del rilascio del permesso di soggiorno nel caso in cui si ottenga una forma di
106
http://www.oggitreviso.it/caserma-serena-chiusa-quando-diminuiranno-le-presenze-dei-migranti-191236 107
https://www.youtube.com/watch?v=XIj60aqUxgs 108
http://www.trevisotoday.it/cronaca/treviso-profughi-manildo-17-gennaio-2017.html
74
protezione. Fino al 10 settembre 2018 si occupava della notifica di convocazione in
commissione e dell’esito dell’audizione. Ma a seguito della nuova normativa, D.L. 17
febbraio 2017 n. 13, convertito in legge 13 aprile 2017 n. 46 (legge Minniti) e dei tempi
di attuazione della stessa è l’ente gestore che notifica, comunicando direttamente con la
Commissione Territoriale. Quindi durante le interviste non è emerso nulla di
particolarmente rilevante.
3.3 Dimensione orizzontale
3.3.1 Attori del Terzo Settore: interazioni tra loro e la società civile
Tra i CAS che si sono proposti di anno in anno sono emerse delle realtà interessanti per
quanto riguarda la rete di collaborazione instauratasi. Infatti, CAS con la stessa mission,
ovvero volti a creare un’accoglienza diffusa e farlo in certo modo, ha dato vita ad una
RTI (Rete Temporanea di Impresa). Il fatto di decidere di creare una rete di
collaborazione tra certi enti, è stata certamente una scelta:
“la nostra relazione si è focalizzata con quei soggetti che facevano accoglienza come noi.
Questo è stato il criterio che ha guidato il nostro livello di collaborazione con i soggetti.
Escludendo, tra virgolette, anche quei soggetti che facevano anche accoglienza diffusa
ma che si muovevano secondo mission completamente diverse. Mi riferisco ad esempio,
anche a chi dentro la Prefettura si è auto-definito “imprenditore dell’immigrazione”
“imprenditore dell’accoglienza”. E quindi comunque, c’è uno spartiacque tra chi fino a
quel momento si era occupato di immigrazione e chi invece ha visto nell’immigrazione un
settore imprenditoriale e basta.” (intervista 4)
Quindi è stata sia una presa di posizione dettata dalla volontà di differenziarsi rispetto
ad altre realtà; sia una scelta per avere maggiore peso politico rispetto alle richieste della
Prefettura, nonché, un confronto legato all’operatività del quotidiano in applicazione
alle modifiche sull’accoglienza:
“L’ottica è quella di avere una condivisione nella gestione dell’accoglienza, quindi con
l’attenzione alla persona, a tutti i percorsi di integrazione nel territorio e un’accoglienza
suddivisa in piccole unità. E avere maggiore peso politico al livello di Prefettura
sicuramente. C’erano due tavoli, uno tecnico a cui partecipavano i referenti dei vari enti,
e un tavolo politico a cui partecipavano i direttori degli enti. Che davano un po’ le linee,
75
magari se era necessario prendere delle posizioni rispetto a linee della Prefettura, o
anche rispetto ad episodi che potevano essere di intolleranza. Il tavolo tecnico era più
legato alla gestione pratica delle varie strutture, sia per la questione amministrativa,
perché si faceva di fatto capo alla cooperativa LaEsse per questo. Sia note tecniche circa
il regolamento della Prefettura, sia problemi specifici riscontrati nei centri, per vedere se
erano stati riscontrati negli altri. Ne facevano parte Caritas Tarvisina, la cooperativa
LaEsse, Una Casa Per l’Uomo, coop. Alternativa, Caritas Vittorio Veneto, le Discepole
del Vangelo, Domus Nostra, la GEA.
Con l’ultimo bando 2018 l’RTI si è sciolta perché di fatto non potevamo più rispondere
in modo unito al bando, ma ogni ente doveva rispondere singolarmente, quindi
presentare da solo la propria offerta. Quindi si è sciolta formalmente nei confronti della
Prefettura, ma si è continuato a portare avanti questi incontri di coordinamento, e la
visione comune dell’accoglienza. Infatti, si è passati da RTI a RAD (Rete Accoglienza
Diffusa) e le modalità restano le stesse, un tavolo politico e uno tecnico in cui vengono
affrontati problemi che magari sono comuni a tutti gli enti gestori. Ad esempio, il
problema dei codici fiscali, anche per capire se si può unitariamente presentare
un’istanza che sia alla Prefettura o all’Agenzia delle Entrate in questo caso. I soggetti
che ne fanno parte sono diminuiti. Non ci sono più le Discepole del Vangelo ad esempio,
perché non hanno più risposto al bando, ma continuano a partecipare alle riunioni
proprio per mantenere quest’ottica sulla accoglienza diffusa, e condivisione di intenti
circa l’accoglienza. E adesso si sta ragionando su cosa succederà di qui in avanti e
come, appunto, aldilà di come singolarmente ogni ente gestore risponderà al nuovo
bando, poter continuare questa promozione e sensibilizzazione del territorio, a fronte del
nuovo decreto. Con la RAD infatti sono stati organizzati anche degli eventi, in occasione
della “Giornata del Rifugiato” come azione di sensibilizzazione a Treviso.” (intervista 2)
Le relazioni tra CAS emerse durante la ricerca, che non siano legate alla RTI, non sono
poi molte, l’operatrice intervistata di LaEsse racconta che sebbene ci siano stati
momenti per interfacciarsi con le altre realtà che accolgono, gli scambi sono stati
minimi:
“la relazione è stata interfacciarsi durante le riunioni in Prefettura ritrovarsi ad alcuni
tavoli, convocati dal comune di Treviso. C’è stato un momento in cui il comune di
Treviso con la precedente amministrazione, […] è stato fatto un tentativo di lavorare con
i vari enti gestori che gestivano l’accoglienza dentro al comune di Treviso perché
provassero a strutturare un progetto unico.” (intervista 4)
76
La collaborazione di LaEsse è stata minima perché non era in linea con gli altri soggetti
fuori dalla RTI, con Gasparetto di Civico 1 (altra realtà che accoglie a Treviso e
provincia) si erano relazionati perché l’imprenditore aveva proposto a loro di seguire
l’accoglienza nei suoi immobili:
“ma non c’erano le condizioni perché noi potessimo farlo e ci siamo tirati indietro. Poi
altri contatti sporadici direi uno/due perché si era trovato a gestire sanzioni della
Prefettura oppure c’erano delle circolari che non capiva, e voleva capire come ci saremo
posti. Però rapporti blandi, sfilacciati. Non potrei dire né collaborativi, né competitivi,
né conflittuali. Proprio freddi, però in particolare da parte nostra. Con Gian Lorenzo
Marinese invece, di Nova Facility, ci teneva tantissimo che Nova Facility e LaEsse
facessero questo progetto che era di riqualificazione di un’area verde a Sant’Antonino di
Treviso, un’area verde scelta a caso, assolutamente a caso, con un obiettivo che non
teneva conto dei bisogni di quel territorio là, ma calati dall’alto […] un centro giochi per
adulti, ma non si capiva. […] siamo stati noi a non voler collaborare. In primis perché
non condividevamo l’approccio all’accoglienza di Nova Facility. Nel senso che, niente
da dire su Nova Facility, promuover il suo tipo di accoglienza, io non sono mai entrata
alle Caserme Serena, quindi non so come la facciano, posso avere delle percezioni di
riflesso che mi arrivano dalle persone che erano accolte là o dagli operatori ma di fatto
non sono mai entrata. Quindi potrebbe farlo nel migliore dei modi. Ciò non toglie una
distanza abissale da noi. Quindi questa collaborazione che era tanto auspicata da loro
non c’è stata ma proprio perché partivamo dal presupposto che sia come gestione
dell’accoglienza, quindi quali sono i criteri che usi e le azioni su cui investi di più, sia
nella gestione e nell’organizzazione delle risorse umane che lavorano dentro queste
strutture eravamo molto diverse, quindi non se ne è fatto niente. […] Con altri enti
gestori anche piccoli, invece, con alcuni nessun tipo di rapporti, invece con cooperative
nate proprio per l’accoglienza c’è stato chiesto un supporto su alcune fasi. […]”
(intervista 4)
La stessa posizione di distacco lo conferma l’operatrice Caritas che dice di essere
entrata in relazione con Caserma Serena e coop. Hilal (altro ente gestore) solo in merito
a richiedenti asilo provenienti dalle loro strutture e spostati presso un CAS di Caritas.
Ad oggi le criticità che sono state sollevate durante i colloqui riguardano il fatto che non
sono stati dati degli indirizzi unitari nella gestione dei CAS e che quindi molto dipende
dalle decisioni del singolo ente gestore. La Prefettura dà delle linee guida, ma di fatto le
accoglienze al loro interno, anche se ubicate nella stessa città, possono essere
77
strutturalmente differenti. Ad esempio, Caritas Tarvisina si è auto-strutturata in prima e
seconda accoglienza. Alcune case erano quindi, destinate alle persone appena arrivate in
Italia, e le attività al loro interno prevedevano l’affiancamento nelle prime procedure
necessarie alla richiesta d’asilo e lo screening sanitario, e l’avviamento ai corsi di
alfabetizzazione. La seconda accoglienza, rappresentata anche da strutture più piccole,
con numeri di accolti più contenuti, spingeva molto di più su tutte le attività di
potenziamento all’inclusione, come corsi di formazione, tirocini lavorativi. Questa
suddivisione è venuta meno, in quanto ormai è da diversi mesi che non ha più nuovi
accolti. Dall’altro canto invece, sembrerebbe, che proprio il fatto di non avere linee
precise sul “cosa promuovere” abbia permesso ad alcune realtà di vedere l’accoglienza
come la possibilità di farne un business (intervista 4).
L’apertura di piccole realtà di accoglienza ha creato contrasti principalmente con la
comunità locale, ad esempio la referente per l’area accoglienza di Caritas Tarvisina
racconta come ad Olmi di San Biagio di Callalta ci sia stata la grande presenza di
stampa e media regionali prima dell’apertura del centro lì ubicato, che riguardava
un’intera palazzina con 4 appartamenti, per un totale di venticinque persone accolte. In
quel caso per quietare il malcontento, che riguardava perlopiù i vicini, è stata importante
la mediazione del parroco locale, con cui si è organizzato un incontro per la
cittadinanza, per chiarire alcuni punti riguardanti l’accoglienza, momento che è stato
l’inizio di un rapporto, quello con il vicinato, costante per gli operatori referenti.
(intervista 2)
Per quanto riguarda la presenza di episodi di esplicita intolleranza o manifestazioni di
solidarietà a seguito dell’apertura delle case, la referente dell’accoglienza in Caritas
Tarvisina testimonia la presenza di atteggiamenti di indifferenza da parte della comunità
locale, la questione non è più sentita a livello di opinione pubblica al pari dei primi anni
(2014-2015).
3.3.2 Attori organizzati (Associazioni di volontariato, chiese, sindacati etc.)
Sono diverse le associazioni di volontariato attive a Treviso, anche per quanto
riguarda l’immigrazione nello specifico, tuttavia cercando di limitare il campo a
quelle dedicate ai richiedenti asilo o rifugiati si nota come difficilmente lavorino in
concerto con i CAS.
78
“[…] il mondo del volontariato è estremamente frammentato e frammentario. È
ricchissimo, vero, visto che si dice continuamente che Treviso ha un’attivazione del
volontariato, veramente…la provincia in particolare, molto attiva. Ma è estremamente
frammentata, sull’immigrazione non sono tantissimi soggetti e gli altri soggetti, quelli
che sono associazioni con altre tipo di mission, molte non vogliono essere neanche
mescolate con questo tema.” (intervista 4)
Tramite le interviste agli operatori che si occupano formalmente dell’accoglienza risulta
complesso riuscire ad avere una mappatura chiara di tutte le associazioni rilevanti.
Tuttavia, sono ricorrenti i riferimenti a: “Auser cittadini del mondo” che propone corsi
di italiano, la Sant’Egidio che si occupa sempre dell’insegnamento della lingua, “Una
casa dei beni comuni” spazio in cui gravitano più associazioni e sviluppa diversi
momenti di sensibilizzazione, il CSV (Centro Servizi di Volontariato) che si è fatto
promotore di alcuni progetti specifici e Civico 63.
Si è deciso di intervistare e conoscere maggiormente quest’ultima associazione
considerando che ha un ruolo di advocacy all’interno della città. Civico 63 è nata nel
2014 e coinvolge volontari e persone senza fissa dimora, inizialmente si è ispirata
all’associazione Piazza Grande di Bologna e punta al coinvolgimento attivo delle
persone. Ad oggi vi fanno parte anche richiedenti asilo che si sono avvicinati
spontaneamente, inizialmente per il progetto “Adotta il verde” che si fa ogni weekend.
Successivamente sono nati progetti interamente dedicati a richiedenti asilo, come, ad
esempio, un laboratorio di scrittura che ha dato vita al libro “Un ponte di parole” e
l’organizzazione di un convegno sul caporalato con il fine di informare sugli aspetti
giuridici e sociali del fenomeno. Sono tutte attività volte all’inclusione sociale e alla
maggior conoscenza del territorio.
La volontaria di Civico 63 intervistata rispetto ai rapporti con gli enti gestori racconta:
“inviamo regolarmente comunicazione dei progetti di volontariato e attività
ricreative/socializzanti da noi organizzate e proposte, affinché gli enti gestori possano
procedere all’invio alla Prefettura delle richieste da parte dei richiedenti asilo. In
qualche (raro) caso riusciamo ad avere rapporti diretti con un operatore sensibile e a
confrontarci sui progetti e sui richiedenti asilo a cui proporli” (intervista 6).
In merito alla competenza delle realtà che accolgono percepita dall’associazione
precisa:
79
“per quanto riguarda i CAS che prevedono l’accoglienza diffusa e gli SPRAR, ci sembra
che in media la competenza degli operatori, la capacità di creare legami con il territorio
e offrire opportunità ai richiedenti asilo sia adeguata. Per quanto riguarda gli altri CAS,
riscontriamo una carenza nell’offerta di attività formative e ricreative e nella
progettualità in generale, oltre che (in alcuni casi) l’intento di ostacolare o non
agevolare il coinvolgimento dei richiedenti asilo nelle attività proposte dalle associazioni
del territorio, oppure una risposta inadeguata quando vengono proposte, ad esempio
suggerendo il coinvolgimento di richiedenti asilo non interessati o non adatti a un
progetto specifico.” (intervista 6)
Tutte le attività di volontariato dei richiedenti asilo e rifugiati accolti in CAS e SPRAR
a Treviso fanno fede ad un protocollo sviluppato nel 2015 e riconfermato fino ad oggi
che ha visto indicate le linee da seguire per svolgere queste attività109
. Affinché un
richiedente asilo o rifugiato divenga volontario in un’associazione o svolga anche i
lavori di pubblica utilità presso un ente locale è necessario inviare una richiesta formale
dello stesso alla Prefettura. Il riconoscimento dell’attività da parte della Prefettura era
più rilevante in sede di ricorso quando talvolta il giudice valutava anche le attività
relative all’integrazione del soggetto. Ad oggi, la volontaria di Civico 63 rispetto ai
rapporti con la Prefettura riferisce: “inviamo progetto (in base al protocollo esistente)
che la Prefettura approva. Stiamo cercando di avviare un dialogo con la Prefettura per
capire come snellire le procedure di richiesta permessi per le attività serali che
coinvolgono i richiedenti asilo.”(intervista 6) Infatti, per tutte le attività che comportano
il rientro nei centri dopo le 20 è necessario che vi sia rilasciato un nullaosta da parte
della Prefettura, che non viene concesso se non ben motivato, e di recente, testimonia la
volontaria dell’associazione vengono visionate le richieste in tempi molto lunghi,
talvolta anche ad evento passato (intervista 6).
109
I soggetti che hanno sottoscritto il protocollo sono: Prefettura di Treviso, Direzione territoriale del lavoro di Treviso, direzione provinciale INPS di Treviso, Direzione provinciale INAIL di Treviso, alcuni comuni della provincia di Treviso (nel protocollo 2015 sono indicati: Treviso, Asolo, Caerano San Marco, Carbonera, Casier, Conegliano, Fonte, Giavera del Montello, Istrana, Maser, Maserada sul Piave, Mogliano Veneto, Motta di Livenza, Paese, Pieve di Soligo, Ponzano Veneto, Povegliano, Preganziol, Roncade, San Biagio di Callalta, Santa Lucia di Piave, Trevignano, Vedelago, Villorba, Vittorio Veneto), Diocesi di Vittorio Veneto e Treviso, Segreterie provinciali CGIL CISL UIL di Treviso, Forum permanente terzo settore del veneto di Padova, Associazione volontari insieme C.S.V. di Treviso, Enti gestori centri di accoglienza provincia di Treviso)
80
Rispetto al rapporto tra associazioni di volontariato che condividono il coinvolgimento
di richiedenti asilo e rifugiati nelle loro attività, la volontaria di Civico 63 riporta:
“C’è un gruppo di lavoro all’interno del CSV, che si chiama “insieme nell’accoglienza”,
che unisce un insieme di associazioni che fanno capo al CSV che si occupano di progetti
in particolare rivolti ai migranti. All’interno di questo gruppo abbiamo gestito un po’ di
fondi che si occupano di progetti che sono in parte professionalizzanti e laboratori più
ricreativi. […] Poi cerchiamo il più possibile di inviare ragazzi presso associazioni di
cui conosciamo le attività. Per esempio, se c’è il laboratorio di conversazione di Auser
due volte a settimana, e arriva qualcuno qui che mi dice di voler fare qualcosa ma non
parla italiano lo indirizzo verso l’altra associazione. Cerchiamo poi di capire a seconda
delle attitudini dei ragazzi dove mandarli, nel senso che magari ci sono persone con
interessi artistici, altre che preferiscono attività pratiche come la pulizia del verde.
Ricordando che sono persone con i propri interessi cerchiamo di rispettare questo e di
inviarli anche ad altri, se c’è un’associazione che fa laboratori di sartoria e arriva qui
una persona che scopro per caso essere sarto, magari lo indirizzo piuttosto che in un
nostro progetto verso qualcun altro che si occupa di quello. È il senso di fare rete. Non
tutte le associazioni sono sensibili a questo, ma alcune magari conoscendo anche noi
come realtà supera la diffidenza e ci prova.”
Per quanto riguarda i rapporti con la società la volontaria conclude dicendo:
“Noi non abbiamo avuti episodi di intolleranza anche se abbiamo avuto timore che i
ragazzi con il giubbino con su scritto “Adotta il verde, comune di Treviso” venissero
scambiati per operatori del comune e partissero i commenti “guarda il comune che da
lavoro agli stranieri”. Quindi abbiamo detto a tutti che nel caso venissero fermati dalla
gente, devono dire che sono volontari di Civico 63 e consegnare il volantino.
Abbiamo visto poi che attraverso le attività di tipo culturale molte persone si sono
avvicinate anche a ragazzi che non avrebbero incontrato, con cui non si sarebbero
fermati a parlare. […] Poi chiaramente c’è anche molta confusione perché la gente non
capisce chi è un richiedente asilo, chi un “clandestino”, chi è uno che fa l’elemosina
davanti al supermercato e fa parte di un giro di criminalità o altro, chi magari è un senza
dimora, ormai c’è così tanta confusione, odio e paura che la gente confonde molto. C’è
un’ignoranza di fondo su chi è chi, chi ha diritto a cosa, chi dovrebbe stare dove. Un
altro elemento su cui vi è ignoranza è la differenza, e lo vedo molto con Adotta il Verde,
tra una cooperativa e un’associazione.”(intervista 6)
Altre realtà presenti citate nelle varie interviste svolte vi sono: sicuramente il CPIA
(Centro per L’insegnamento Adulti), e il CPI (Centro per l’Impiego) della provincia.
81
Quest’ultimo offre aiuto nella stesura del curriculum vitae e corsi, a cui possono
accedere anche richiedenti asilo, di carattere informativo su come presentarsi ad un
colloquio, la stesura di un curriculum vitae efficace etc. inoltre, segue l’avvio di alcuni
tirocini formativi in azienda.
I vari CAS collaborano a titolo individuale, poi, con alcune imprese e aziende del
territorio per tirocini lavorativi o veri e propri inserimenti, questi contatti non sembrano,
però, essere condivisi tra i vari enti gestori. In particolare, Caritas che punta molto sulla
questione lavorativa ha convenzioni con ASCOM e ACLI e ATENA S.P.A tutte realtà
inerenti a formazione professionale e avviamenti di tirocini.
3.3.3 Movimenti sociali: Django
Django è il centro sociale di Treviso. Ad oggi è occupato in una lotta con la nuova
amministrazione110
per riuscire a rimanere aperto, perché la convenzione è a rischio a
causa di problemi di agibilità111
112
dei luoghi che lo ospitano. L’ex Caserma Piave dove
è situato il centro sociale con le sue varie attività, potrebbe essere destinata ad altro.
Nonostante la situazione attuale, il Django fa pressione politica in materia di
immigrazione, ha più volte organizzato manifestazioni di sensibilizzazione del territorio
o di contrapposizione a decisioni nazionali come il “Decreto Sicurezza”, e ha
partecipato come collettivo alla manifestazione di Indivisibili113
svolta a Roma.
Di recente è stato fautore di una manifestazione avvenuta il 24 marzo 2019, giorno in
cui la città ha accolto il Ministro dell’Interno Salvini e Fontana, il Ministro della
Famiglia, che sono intervenuti al “Veneto Fest” festa della Lega in città.
Il Django ha organizzato una manifestazione contraria alla loro presenza sia a causa
delle scelte relative alle politiche sulla famiglia promosse da Fontana, sia per quanto
riguarda il fenomeno dell’immigrazione così come viene affrontato dalla Lega,
dichiarando che “Il ministro dell'interno è il primo artefice di una politica razzista e
110
https://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2019/01/12/news/manifestazione-django-a-treviso-piazza-blindata-1.17646445 111
http://www.oggitreviso.it/conte-contro-djangole-attivit%C3%A0-allex-caserma-sono-abusive-200305 112
http://www.trevisotoday.it/attualita/concerti-django-treviso-davide-visentin-treviso-14-dicembre-2018.html 113
movimento nato a seguito dei fatti che hanno visto chiudersi l’esperienza di accoglienza proposta a Riace
82
xenofoba che mira a creare divisioni e che alimenta i più beceri sentimenti di odio
razziale, giocando senza pudore sulla vita di migranti e stranieri.”114
Le persone presenti in quella occasione sono state circa 600 secondo le stime indicate
dal centro sociale nella sua pagina social.
Il Django non si occupa unicamente di advocacy tramite manifestazioni e dibattiti
pubblici. Al suo interno è nato un progetto nel 2016, ora indipendente, anche se in
dialogo con i membri del Centro Sociale: “Talking Hands-con le mani mi racconto.”
“Nasce a seguito dell’esperienza della palestra popolare” racconta uno dei promotori del
progetto (intervista 7). In quell’occasione si erano avvicinati, alla palestra organizzata
negli spazi del Django, alcuni richiedenti asilo ospiti di CAS della provincia, con una
“presenza più grossa della Caserma Serena” (intervista 7).
La situazione aveva portato i ragazzi “ad un processo di disattivazione all’interno del
CAS.115
” la palestra è stata un’iniziale occasione di incontro e ri-attivazione, per
“scaricare tensioni116
”. Poi con un gruppo di questi, che contribuivano anche alla
sistemazione del luogo, di circa una decina di persone, c’è stato un momento di
confronto su “Uno, cosa sapevano fare e due, quale era il loro desiderio, cosa avevano
voglia di fare qua e come si potevano poi aiutare nel costruire un’altra attività che
andasse oltre l’esperienza della palestra.117
” In quella occasione sono emerse molte
competenze professionali ed è nata l’idea dell’opificio. Con l’evoluzione del progetto
sono aumentate anche le persone che ne fanno parte anche se non è facile quantificarle
con precisione poiché la presenza è molto fluida, tuttavia si tratta di circa una
cinquantina di persone.
Al momento l’opificio è suddiviso in attività di falegnameria, ricamo e lavorazione del
ferro battuto.
Se si provano ad indagare le relazioni tra il progetto e gli attori coinvolti nella gestione
dell’accoglienza emerge il fatto che non vi sono molte collaborazioni con il territorio, ci
sono stati alcuni incontri con alcune realtà esterne (es. Sant’Egidio) o soggetti
appartenenti ad altre associazioni ma che si recano negli spazi dell’opificio a carattere
individuale.
114
https://www.trevisotoday.it/attualita/treviso-django-salvini-manifestazione-22-marzo-2019.html 115
Ibidem 116
Ibidem 117
Ibidem
83
Non vi sono rapporti strutturati, anche se la scorsa giunta ha concesso il patrocinio del
Comune al progetto, “che non ha comportato un finanziamento, ma in un certo senso è
stato il riconoscimento di un percorso che abbiamo avviato.” (intervista 7)
Ad oggi con la nuova giunta non: “ho mai avvertito […] un’avversione rispetto a
questo progetto, perché di fatto scardina secondo me un po’ un luogo comune molto
caro, ovviamente, al trevigiano, di vedere i ragazzi in strada, bighellonare o stare con il
telefono in mano e queste cose qui, che ovviamente sappiamo benissimo quanto siano
strumentali queste percezioni.” (intervista 7)
Ci sono stati dei tentativi da parte di alcuni CAS di entrare in relazione con questa realtà
per cercare di inserire alcuni loro accolti, ma è stato deciso di non avviare queste
collaborazioni “proprio per una questione di percezione del progetto da parte dei
ragazzi. Il CAS è una cosa, questa deve essere un’altra cosa” (intervista 7)
Il volontario intervistato testimonia come il rapporto di coloro che collaborano
all’opificio con la comunità locale abbia avuto riscontri positivi.
“lo abbiamo misurato con le relazioni che si sono costruite per dire anche solo con il
ferramenta dove andiamo a comprare le viti, sai le prime volte guardati un po’ con
sospetto, magari ci veniva affibbiato un commesso alle costole perché magari avevano
paura che andassimo a rubare […] alla quarta ci avevano messo da parte un trapano
usato che li aveva lasciato un cliente, a Treviso soprattutto, ma credo in Veneto in
generale, il lavoro ha una sua sorta di dignità quasi religiosa, ha aiutato a rompere uno
stereotipo” (intervista 7)
Questo progetto è stato protagonista di moltissime fiere e tutto il ricavato va
nell’acquisto di nuovo materiale e a coloro che vi lavorano. Ha attirato anche la stampa
nazionale comparendo su ELLE118
.
Gli spazi ad esso dedicati non sono solo destinati al lavoro, ma viene descritto come un
luogo d’incontro per richiedenti asilo e rifugiati. La maggior parte di coloro che
partecipano al progetto in modo costante, inoltre, sono ormai fuori dalle accoglienze
quindi, Talking Hands con la collaborazione del Django, stanno tentando di realizzare
una soluzione abitativa in un edificio facente parte degli spazi del Django inizialmente
adibito a dormitorio emergenziale. Il progetto durerà inizialmente sei mesi ed è
destinato a cinque ragazzi titolari di protezione coinvolti attivamente nell’opificio.
118
https://www.elle.com/it/moda/nuovi-talenti/a25778478/integrazione-razziale-progetto-talking-hands/
84
Per quanto riguarda i movimenti sociali, infine, grandi assenti nel dibattito pubblico
sono le associazioni di immigrati nel territorio trevigiano, sicuramente presenti ma non
di facile accesso o che comunque a livello di opinione pubblica non hanno ancora
scaturito importanti riflessioni sul tema.
3.3.4 Gruppi di sostegno e “battitori liberi”
Come anticipato all’inizio di questo capitolo non è possibile mappare i gruppi di
sostegno nel territorio ma attraverso le interviste è stato possibile ricostruire le
dinamiche della creazione di un sistema di aggregazione nato in risposta ad un bisogno
immediato. Una beneficiaria del progetto SPRAR stava per diventare madre e aveva
bisogno di tutto il necessario alle due bambine in arrivo.
“Sul reperimento di tutte le cose che servono ad una persona che sta per diventare
genitore, si è attivato un gruppo di mamme e papà solo con il passaparola di whatsapp
davvero impressionante. Per cui nel giro di una settimana non solo c’era un aiuto
concreto di minima ma c’era un surplus di aiuto, avevamo talmente tanta roba per quelle
bambine che poi sarebbero nate che mi ha lasciato sorpreso. […] Il tutto è nato dal
passaparola attivato da una persona che seguiva questa beneficiaria rispetto alla
maternità, che poi ha parlato con una amica, questa amica ha parlato con amiche”
(intervista 3)
Non è stato testimoniato altro di simile.
Un’esperienza sui generis nel territorio trevigiano è l’idea di un vero e proprio sistema
di accoglienza attuata dal “battitore libero” Antonio Silvio Calò. Anche se si potrebbe
annoverare tra gli enti gestori, è più efficace inserirlo all’interno di questo gruppo di
attori perché ad oggi ha una progettualità che riguarda anche il “Post-accoglienza”
istituzionale. Dal 2015 Antonio Silvio Calò, professore di un liceo del trevigiano ospita
in casa, con l’aiuto di moglie e figli, sei richiedenti asilo (oggi alcuni di loro sono
titolari di forme di protezione)119
. Per la gestione economica dell’accoglienza si è
appoggiato ad una cooperativa della zona120
e ha attivato una rete informale nel comune
in cui abita (Povegliano) volta all’inserimento delle persone accolte nel contesto
119
A testimonianza di questa esperienza di accoglienza è possibile visionare un documentario di Massimo Ferrari dal titolo “Dove vanno le nuvole” 120
Nel sito dedicato alla sua campagna elettorale è possibile leggere il bilancio del progetto di accoglienza da lui sperimentato: https://antoniocalo.eu/per-gli-haters-con-amore/
85
territoriale121
. L’esperienza ha avuto risonanza a livello nazionale e non solo,
considerando che nel 2018 Calò è stato insignito del premio Cittadino Europeo,122
riconoscimento assegnato dal Parlamento Europeo a coloro che si distinguono per
azioni volte a mettere in pratica i principi della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea123
. Di recente ha dichiarato di aver lasciato la casa in cui viveva
con la famiglia ai figli e agli immigrati accolti per trasferirsi con la moglie presso la
canonica di una chiesa di Treviso, scelta di fede dei coniugi.124
Il professore ha giocato un importante ruolo di advocacy nel territorio, è stato tra i
maggiori promotori di “Porto Aperto” marcia organizzata il 16 marzo 2019 a Venezia
per sensibilizzare sul tema dell’accoglienza e non solo.125
Infine si è candidato al
Consiglio europeo per il Partito Democratico alle elezioni del 26 maggio 2019126
.
3.3.5 Attori anti-immigrati: movimenti politici di estrema destra
Di recente, hanno constato tutti gli intervistati, non ci sono state manifestazioni di
stampo politico contro l’accoglienza, se non qualche sporadico cartellone affisso in città
e dichiarazioni rilasciate alla stampa locale.
Gli scontri diretti verso chi accoglieva risalgono ai primi anni (2014, 2015) in cui
movimenti come CasaPound e Forza Nuova erano maggiormente attivi a Treviso.
Al fine di dar loro la giusta voce, e cercare di riportarne con più precisione la posizione
si è cercato di contattare CasaPound nella sede di Treviso (che non ha risposto). Il
partito alle ultime elezioni amministrative (giugno 2018) ha proposto, per la prima volta
in città, una candidata sindaca: Elisabetta Uccello.
La campagna elettorale della candidata sindaca verteva principalmente sui temi legati
all’interruzione delle privatizzazioni di beni e servizi e il blocco dell’immigrazione,
121
Si veda la lettera scritta da Antonio Silvio Calò pubblicata sulla Tribuna di Treviso a ringraziamento di tutti coloro che sono stati coinvolti in questa forma di accoglienza: https://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2015/08/09/news/li-ospito-a-casa-mia-grazie-all-aiuto-di-tutta-la-comunita-1.11909328 122
http://ricerca.gelocal.it/tribunatreviso/archivio/tribunatreviso/2018/09/19/treviso-premio-cittadino-europeo-al-professor-antonio-calo-39.html 123
http://www.europarl.europa.eu/at-your-service/it/be-heard/prizes 124
https://www.repubblica.it/cronaca/2017/12/03/news/treviso_calo_casa_ai_migranti_e_vado_a_vivere_in_canonica-182882186/ 125
https://portoaperto2019.wordpress.com/ 126
Sito dedicato alla campagna elettorale: https://antoniocalo.eu/
86
poiché: "Non possiamo permetterci di accogliere persone che innanzitutto non hanno
una cultura simile alla nostra, perché vengono tutti da una certa fascia del mondo. E
abbiamo anche un grosso problema occupazionale (…) Dobbiamo pensare ai nostri
cittadini127
." Tuttavia, la corsa all’ente locale è durata poco non essendo riusciti a
raccogliere le trecento firme necessarie per partecipare alle elezioni128
129
.
L’attività principale al momento, analizzando le loro pagine social unico riferimento
online che rimandi direttamente alla sezione di Treviso, è relativa alla raccolta di generi
alimentari. Iniziativa svolta mensilmente per le famiglie italiane in difficoltà, questi tipi
di impegni sono sorti in tutta Italia organizzati dal movimento in modo diretto o da
associazioni e realtà collaterali. Secondo Elia Rosati queste azioni solidaristiche
rientrano “all’interno di una precisa strategia metapolitica promossa dai movimenti di
estrema destra il cui obiettivo principale è quello di intercettare e reclutare militanti. Ma
non tra i beneficiari, come istintivamente si è portati a pensare, ma tra i giovani che
vengono invitati ad agire.”130
Infatti Rosati dichiara che non è nella spinta solo
ideologica che si riesce ad aggregare persone, quella che viene dipinta come la
“migliore gioventù italiana” è rappresentata da coloro che salvano la Nazione con gesti
di vicinanza verso il popolo. “La minaccia all’orizzonte è quella portata dalla crisi
economica, dalle forze anti-nazionali, dall’Europa e dall’immigrazione. Una minaccia
cui si risponde con una visione autoctona e xenofoba del welfare e della solidarietà.”131
Treviso non si discosta da questo tipo di discorso politico, a dicembre 2018 per replicare
alla cena di raccolta fondi organizzata da Treviso per Mediterranea, rappresentanti di
CasaPound hanno affisso all’esterno del luogo adibito all’evento un manifesto con su
scritto “Stop business accoglienza fondi ai trevigiani bisognosi.132
" le dichiarazioni
rilasciate da F. T., un esponente di CasaPound Treviso in tale occasione vengono così
riportate dalla stampa locale:
“Questa è l’ennesima prova che la sinistra in Italia non si occupa più dei problemi che
riguardano la popolazione locale ma si spinge oltre i nostri confini incrementando così
127
http://www.trevisotoday.it/video/elisabetta-uccello-candidata-casapound-treviso-7-maggio-2018.html 128
http://www.oggitreviso.it/elezioni-treviso-si-sfidano-sei-candiati-16-liste-186418 129
http://www.trevisotoday.it/cronaca/comunali-2018-casapound-treviso-2018.html 130
https://altreconomia.it/mutualismo-estrema-destra/ 131
ibidem 132
http://www.trevisotoday.it/politica/striscione-casapound-replica-mediterranea-treviso-7-dicembre-2018.html
87
un’immigrazione incontrollata, spinta ancor più dal fatto che chi parte dalle coste del
nord Africa sa di trovare navi come quella di Mediterranea pronte a prenderli a bordo
per continuare il viaggio verso l’Europa con il vero auspicio però di lucrare
successivamente sulla loro pelle.”133
“CasaPound Italia – prosegue F. T. – sta dalla parte delle famiglie trevigiane vessate da
situazioni economiche che le conducono al di sotto della soglia di povertà, alcune delle
quali supportate da tempo dalle nostre raccolte alimentari solidali. Sono queste ad essere
sicuramente più bisognose di raccolte fondi per affrontare con maggiore dignità le
tragiche difficoltà con le quali si scontrano quotidianamente.”134
Castelli Gattinara dice: “Puntano a differenziarsi dai partiti politici tradizionali: invece
di parlare, presentare proposte di cambiamento e promuovere politiche, si presentano
come attori del fare. Che intervengono bypassando lo Stato e qualsiasi altro corpo
intermedio”135
, riflette.” Sempre di F. T. sono le parole “al posto di parlare cerchiamo di
fare”136
ponendo la bandiera italiana sul monumento dedicato ai caduti civili e militari
della prima e seconda guerra mondiale, di cui era sprovvisto, in un comune adiacente a
Treviso. Continua con “se ho fatto qualcosa di illegale denunciatemi pure per eccesso di
patriottismo”137
.
I vari post della pagina dedicata sono un continuo richiamo “al fare” per il cittadino
italiano denunciando la mancanza delle istituzioni preposte, con sporadiche invettive
contro “lo straniero”.
L’altro movimento di estrema destra ancora attivo a Treviso è Forza Nuova. Il 30 marzo
2019 vi è stata l’inaugurazione della nuova sede ad essa dedicata all’interno della città.
Nel corso degli anni hanno attuato saltuarie affissioni di manifesti per esplicitare il loro
completo dissenso verso l’accoglienza. Nel 2016 si trattava di cartelli nella sede di
Caritas Tarvisina con disegnata la bandiera italiana insanguinata con su scritto
“Traditori del popolo italiano”. Nel manifesto venivano citate anche altre realtà che
accoglievano come la cooperativa Servire (ora LaEsse) e cooperativa Alternativa138
139
.
133
http://www.notizieinunclick.it/striscione-di-casapound-treviso-contro-raccolta-fondi-per-nave-ong/ 134
http://www.notizieinunclick.it/striscione-di-casapound-treviso-contro-raccolta-fondi-per-nave-ong/ 135
https://altreconomia.it/mutualismo-estrema-destra/ 136
https://www.facebook.com/federico.toniolo.311/videos/118843872574868/UzpfSTUzNDcwMTY5NjY4OTYxNToxMTkzMDY4OTQ0MTg2MjE3/ 137
ibidem 138
http://www.fascinazione.info/2015/09/profughi-blitz-di-forza-nuova-treviso.html 139
Intervista 4
88
A marzo 2019 davanti al liceo in cui insegna il professor Antonio Silvio Calò, sono
stati attaccati dei manifesti che ritraevano la “famiglia allargata” del professore e
recitava “Immigrato adottato, italiano abbandonato. L’immigrazione non è forza ma
solo business.”140
Nella loro pagina social hanno rivendicato il gesto, ribadendo che
solo loro stanno dalla parte degli italiani. Nicholas Fedato, responsabile provinciale di
Forza Nuova Treviso, tramite un comunicato all’Ufficio Stampa di Forza Nuova ha
dichiarato che sono 3 anni che i Calò hanno accolto sei extra-comunitari, inneggiando al
sospetto che l’abbia fatto quando il Prefetto nel 2105 “cercava alloggi a pagamento per
l’emergenza clandestini.141
” se l’abbiano fatto con l’intento di arricchirsi o per reale
solidarietà non ha importanza, hanno voluto pubblicamente contestare la scelta poiché
sono stati accolti stranieri quando avrebbero potuto dare ospitalità ad italiani indigenti.
In conclusione, ribadisce che loro credono nella “politica nazionalista e identitaria142
”
con lo scopo “di dare dignità, benessere, lavoro, servizi, sostentamento, assistenza e
solidarietà solo agli Italiani!"143
Calò è stato supportato nella difesa da questi attacchi da una rete spontanea tramite
commenti in opposizione al gesto sui social.144
Nessun commento dalla Giunta
Comunale e dal sindaco se non da “Davide Visentin, consigliere comunale di
maggioranza dell’attuale giunta ed ex leader di Forza Nuova: «Condivido il senso del
messaggio: l’immigrazione troppo spesso somiglia a un business che avviene a scapito
di tanti italiani poveri. Ci sono poveri che producono ricchezza e altri no, è comunque
giusto fare il bene ma non se ciò avviene a danno degli italiani»”145
. Il professor Calò ha
quindi mandato tramite le pagine di Repubblica una lettera aperta indirizzata al Ministro
dell’Interno Matteo Salvini affinché le istituzioni prendessero apertamente una
posizione di netta stigmatizzazione dell’evento146
ma non vi è stata risposta.
140
https://corrieredelveneto.corriere.it/treviso/politica/19_marzo_22/treviso-calo-mirino-forza-nuova-5c4b6c8a-4cc0-11e9-9fe7-d2f636eb8dcf.shtml 141
https://www.facebook.com/172473232770040/posts/2606222119395127/ 142
Ibidem 143
ibidem 144
https://corrieredelveneto.corriere.it/treviso/politica/19_marzo_22/treviso-calo-mirino-forza-nuova-5c4b6c8a-4cc0-11e9-9fe7-d2f636eb8dcf.shtml 145
https://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2019/03/23/news/manifesti-contro-il-professor-calo-e-l-accoglienza-affissi-da-forza-nuova-1.30126034 146
https://www.repubblica.it/politica/2019/03/27/news/antonio_silvio_calo_treviso_forza_nuova_lega_matteo_salvini_lettera-222564459/
89
3.4 “Post-accoglienza”
La questione che riguarda la “post-accoglienza”, ovvero ciò che accade a conclusione
dell’accoglienza istituzionale è un grande problema emerso durante tutte le interviste.
Rappresentava una forte criticità di questo sistema, già prima delle modifiche a cui è
stato di recente sottoposto, ma a seguito del “Decreto Sicurezza” le preoccupazioni
degli intervistati sono ulteriormente aumentate.
I dormitori di Treviso sono già fortemente interessati dal fenomeno. Uno è gestito dal
Comune con delega alla cooperativa LaEsse che prevede 22 posti (tutti occupati) e
quello presso Caritas Tarvisina. Di quest’ultimo abbiamo i numeri più specifici rispetto
al tipo di documento degli accolti: sono 18 gli ospiti (tutti i posti sono occupati), 6 sono
titolari di protezione (5 umanitaria e 1 sussidiaria), 6 richiedenti asilo, 4 stranieri con
permesso di lungo periodo e 2 cittadini italiani147
. In più vi sono 13 posti per donne, 8
dei quali occupati ma non si hanno le specifiche sui loro documenti (intervista 2) .
Nel 2017 a Treviso c’è stata una vera e propria criticità che ha visto coinvolti 40 tra
richiedenti asilo e persone titolari di varie forme di protezione che non sapendo dove
andare si sono stabiliti in una zona della città, zona Appiani dormendo all’addiaccio. Il
comune ha risolto con “una forma di ospitalità, non accoglienza” (intervista 1) e
successivamente sembra che queste persone se ne siano andate.
A fronte di queste problematiche il progetto attivo in questo momento sul territorio è
“Rifugiato a casa mia”. L’iniziativa è stata ideata da Caritas Italiana nel 2011 e
implementata anche a Treviso a partire dal 2015.
“Il progetto ha avuto un esperimento pilota a causa dell’emergenza Nord-Africa a cui
però non abbiamo partecipato all’epoca […]. È stato replicato alla fine del 2015, con
una durata di 6 mesi che poi è stata prorogata per un anno. Il progetto era nazionale
promosso da Caritas Italiana ma poi la partecipazione al progetto era facoltativo, e
ciascuna diocesi poteva decidere se parteciparvi o meno” (intervista 5).
A livello diocesano sono state apportate alcune modifiche rispetto a quanto proposto da
Caritas Italiana.
L’iniziativa vede coinvolte parrocchie (12), istituti religiosi (3) o famiglie (17) che
danno la disponibilità di accogliere un rifugiato per sei mesi, eventualmente prorogabili
per altri sei. Tutto il percorso di questa accoglienza “informale” prevede un
147
I dati si riferiscono a dicembre 2018, quando sono state svolte le interviste
90
monitoraggio da parte degli operatori Caritas volto a verificare le condizioni di
accoglienza degli ospiti e mediare, quando necessario, il rapporto tra accolti e comunità
ospitante.
Inizialmente era ammesso che vi potessero accedere anche richiedenti asilo (a
differenza del progetto di Caritas Italiana che non li aveva previsti), ma dal 2018 è
destinato solo a titolari di una qualche protezione.
“Da marzo 2018, come equipe di Rifugiato a Casa Mia abbiamo deciso che vi può
accedere solo chi ha uno status giuridico, la motivazione è semplicissima, che una
comunità e una famiglia non riesce a farsi carico, soprattutto emotivamente, della
sospensione dello status legale. Erano i problemi maggiori e facevano anche fatica a
trovare la motivazione dell’intessere una relazione, aiutare questa persona a costruirsi
un futuro, un progetto di vita qui e magari tutto sarebbe svanito a causa di un “no”.
Quindi abbiamo deciso di destinarlo solo a chi aveva ottenuto una forma di protezione,
oltre al fatto che poi è uscita quella circolare che diceva che si poteva rimanere nei CAS
finché non terminava l’iter di richiesta d’asilo (tutti i gradi di giudizio).”
Un’importante decisione, che risale allo scorso anno, è stata l’apertura del progetto
anche a rifugiati accolti nei CAS degli altri attori dell’RTI.
“Uno perché è partito da un bisogno, quando escono gli accolti dalle cooperative di fatto
non si sa cosa fare, o vanno nei dormitori, oppure sappiamo bene che i marginali stanno
aumentando in città. Due, perché mentre all’inizio avevamo fiumi di ragazzi e poche
famiglie e parrocchie, oggi abbiamo disponibilità di posti ma non abbiamo candidati
perché gli status ultimamente non ci sono. Quindi si parla di poche persone, tutti
probabilmente ne abbiamo poche mentre insieme possiamo dare una risposta alle
necessità che in questo momento ci sono. Anche adesso avremmo posti liberi ma l’equipe
non ha candidati.”
A fronte della domanda del perché il progetto non venga aperto anche ad altre realtà che
accolgono esterne alla RTI e al dormitorio, l’operatrice intervistata ha fatto presente che
per accedere al progetto sono necessarie altre condizioni che richiedono una conoscenza
approfondita del beneficiario, situazione garantita solo dai soggetti appartenenti alla
Rete.
Le criticità che ci sono state rispetto all’ospitalità hanno riguardato perlopiù le
accoglienze in parrocchia, contesto in cui è capitato che si siano verificati scontri o
quanto meno divisioni all’interno della stessa comunità di fedeli, tra chi trovava il senso
all’iniziativa e chi invece si dissociava apertamente. Anche questa forma di accoglienza,
91
quindi, si è dovuta scontrare con un’opinione pubblica non sempre favorevole
(intervista 5). L’intervistata concorda nel dire che questo tipo di esperienza è virtuosa
ma non sufficiente, infatti hanno beneficiato di questo tipo di accoglienze meno di un
centinaio di richiedenti asilo o titolari di una qualche forma di protezione148
.
Dal punto di vista verticale di governo, ossia se questo progetto viene promosso o
interessa alcune istituzioni, l’operatrice ha dichiarato che la Prefettura ne è stata messa
al corrente, ma non è avvenuto nessuno scambio istituzionale volto a scoprirne
effettivamente di più.
“[…] Sul comune non credo ci sia stato un incontro specifico sull’accoglienza migranti
solo con il comune di Treviso. È pubblicizzato nei nostri canali, quindi Bilancio Sociale
che generalmente arriva a tutti i comuni e nel nostro sito. Altra cosa, noi, quando
inizialmente avviavamo un’accoglienza (2015-2016) avvisavamo anche il sindaco di quel
paese. Ora non viene più fatto. Però quasi tutte le parrocchie, in famiglia è difficile, ma i
volontari delle parrocchie la prima cosa che fanno è portare i ragazzi del sindaco. […]
Quindi c’è una consapevolezza dei sindaci dei territori in cui questi ragazzi arrivano,
tramite un progetto Caritas.”
Lo SPRAR dal canto suo, ha provato in passato a far partire un progetto con Refugees
Welcome che, però, ha trovato delle difficoltà di attuazione e al momento è in stallo
(intervista 3).
LaEsse gestisce anche appartamenti di housing sociale e ha deciso di destinarne alcuni
alle persone in uscita dai propri centri. Ciò nonostante, tutti gli intervistati sono
concordi nel dire che queste iniziative non bastano. Il post-accoglienza a Treviso (come
in tutta Italia) anche se può vantare delle esperienze virtuose presenta delle grandi
difficoltà.
3.5 Attori locali e ultime modifiche normative (d.l. 113/2018)
Un recente tema, che ha creato nuove dinamiche all’interno della mappatura degli attori
nel sistema di accoglienza trevigiano, è rappresentato dall’approccio dei vari soggetti
alle modifiche normative in atto.
148
Secondo i bilanci sociali pubblicati da Caritas Tarvisina nel 2016 sono stati accolti 45 immigrati, a fine 2017 erano 66. Nel 2018, secondo quanto riportato dall’intervistata, sono state avviate altre 10 accoglienze
92
In data 14 gennaio 2019 vi è stato un incontro a Roma tra alcuni delegati dell’ANCI e
Presidente del Consiglio Conte. Tra i delegati era presente anche il sindaco di Treviso
Mario Conte che ha espresso piena fiducia nel Decreto Sicurezza:
“Ritengo il Decreto Salvini uno strumento efficace che, a Treviso, ha portato soltanto
benefici. Fra l’altro, la nostra città è stata la prima in Italia in cui tale provvedimento è
stato applicato, con le espulsioni di spacciatori e clandestini. Il Decreto si sta
dimostrando assolutamente irrinunciabile per garantire la sicurezza dei cittadini,
ristabilire l’ordine con strumenti e dotazioni per le Forze dell'ordine e per difendere i
nostri confini dall’incertezza, dai business sulla pelle dei migranti e dalla criminalità.149
”
Nel territorio trevigiano, tuttavia, tutti gli intervistati tra operatori e volontari, temono
molto gli effetti del decreto in termini di rischio dell’aumento degli irregolari e il
conseguente aumento delle persone senza fissa dimora. Lo stesso referente dello
SPRAR all’interno del comune ha sollevato dei dubbi sulla funzionalità di questa nuova
norma. Il responsabile degli enti attuatori ha fatto presente che il “Decreto Sicurezza”
comporterà anche il rischio di mancanza di tutela sanitaria dei beneficiari:
“Chi ha una protezione umanitaria, ad esempio, può essere ritenuto un caso di
vulnerabilità sanitaria, il rischio è che fintantoché non avviene la trasformazione del
permesso da umanitario a permesso nuovo, la persona non possa fare le visite. Nel senso
che me ne tolgono uno e sono in attesa dell’altro ma finché non sono in possesso del
nuovo, e sono una persona con problemi sanitari, io non posso fare nessuna visita, e
questo ci rende un pochino difficile la vita.” (intervista 3)
Cooperative come LaEsse e Caritas hanno già pubblicamente dichiarato i limiti e rischi
di questa normativa. Tuttavia, anche tra i CAS vi è a Treviso una voce discordante in
materia, la rappresenta Gian Lorenzo Marinese che ha proposto di cedere le quote della
propria “azienda” a titolo gratuito ad un ente pubblico per non chiuderla.
“Il Ministro ha ragione, il nuovo Decreto Sicurezza che gli ho visto decantare, in molte
parti mi trova d’accordo, io non ho la tessera di un partito né dell’altro, io sono un
tecnico ritengo che la sua volontà di gestire l’accoglienza a costi certi si possa fare, a
costi bassi si possa fare e si possa fare bene. Pertanto, avrei piacere di poter mettere a
disposizione la realtà da noi creata, le professionalità in essa contenute ad un interesse
pubblico, eliminando, quindi ogni e qualsivoglia polemica […] La nostra realtà già
gestisce da anni a 27 euro e 85 decurtati dal pocket money 25 euro, alcune strutture, tra
149
https://www.trevisotoday.it/attualita/decreto-sicurezza-mario-conte-salvini-treviso-3-gennaio-2019.html
93
cui la Caserma Serena di Treviso e non si è mai fatto un compromesso sui servizi. Noi
riteniamo che il ministro dell’Interno abbia ragione, che si possa fare accoglienza a 25
euro, che, quindi noi l’abbiamo sempre fatta e vorremo continuare a farla150
.”
Infatti, con il nuovo capitolato emesso dal Ministero dell’Interno si passerà da 35 euro
per richiedente asilo accolto ad una forbice che potrà variare da 19 a 26151
euro. Questo
per molte realtà di piccola accoglienza potrebbe significare la chiusura. Anche perché
non c’è più possibilità di fare un progetto valido per la persona, offrendo servizi
dignitosi (intervista 2 e 4). Al termine dell’elaborato si vedrà come effettivamente la
nuova normativa abbia delineato un nuovo scenario delle realtà che accolgono nel
trevigiano.
150
https://www.youtube.com/watch?v=nmMwx3Okmgs 151
https://www.inmigrazione.it/UserFiles/File/Documents/255_Dossier%20taglio%2035%20euro%20Salvini.pdf
94
4. “BATTLEGROUND” TREVIGIANA, UN’ANALISI
La ricerca ha tentato di delineare quali siano i principali attori nel trevigiano e quali
siano le interazioni tra loro, a partire dalla mappatura del “campo di battaglia” locale.
Purtroppo, il fatto di non aver coinvolto più personalità, soprattutto dal punto di vista
politico e istituzionale rende l’inquadramento non completo, anche se, è possibile
leggere questa mancanza di cooperazione come una decisone specifica, una linea ben
chiara da parte delle autorità (la Prefettura) e di alcuni movimenti di destra
(CasaPound).
L’accoglienza a Treviso e zone limitrofe è iniziata nel 2014. I primi due anni sono stati
caratterizzati da un incremento di arrivi notevole, gestiti dalla Prefettura tramite
convenzioni dirette con gli enti gestori. Successivamente sono stati emessi bandi con
indicazioni sempre più stringenti: rispetto alle indicazioni a cui dovevano sottostare gli
enti gestori, ma anche relativamente al tipo di rapporto tra loro e la Prefettura.
Nel 2015 sono stati aperti due grandi hub nella provincia, uno dei quali nel comune di
Treviso, l’ex Caserma Serena, che ha creato non pochi scompigli a livello di opinione
pubblica e scontro con l’amministrazione comunale.
Alcune realtà del trevigiano, che condividevano una mission legata ad accoglienza
diffusa e centralità della persona, si sono costituite in RTI, al fine di aver maggiore peso
nel rapporto con la Prefettura, favorire il confronto di buone prassi e poter sviluppare
maggiormente anche una voce pubblica organizzando eventi di sensibilizzazione in città
con più soggetti coinvolti.
Nel 2016 è stato avviato lo SPRAR a Treviso per volontà dell’ex giunta del Partito
Democratico, inizialmente promuovendo la collaborazione tra comuni che ne prevedeva
il coinvolgimento di dieci, successivamente con l’attivazione solo di alcuni di loro. Il
comune ha rinnovato l’iniziativa fino al 2020, mentre per quanto riguarda i CAS, al
momento delle interviste, si era in attesa del nuovo bando della Prefettura.
L’ambito del volontariato è molto ricco ma frammentato, non ci sono relazioni divenute
scambi virtuosi tra enti gestori e associazioni se non in casi singoli, o principalmente
nello SPRAR. Solo alcune associazioni si confrontano tra loro in ambito locale, tramite
il CSV o per progetti in particolare, mentre ricercano a volte il dialogo con l’esterno
della provincia, come Civico 63 con Piazza Grande a Bologna, e Talking Hands che si
95
confronta con la rete “Veneto Accoglie” e partecipa anche a momenti di
sensibilizzazione e di presa di posizione contro le discriminazioni come “Indivisibili”,
iniziativa che ha coinvolto tutta Italia e nata a seguito dei fatti che hanno sancito la
chiusura del progetto di accoglienza di Riace.
Dal punto di vista di opinione pubblica la questione accoglienza sembra scemata e molti
degli intervistati parlano di un certo disinteresse generale. Sono emersi, altresì, casi
singoli di intolleranza, o al contrario spinte spontanee di solidarietà, da parte di famiglie
anche non facenti parte del mondo dell’associazionismo.
Infine, l’accoglienza che supera il mondo istituzionale, e sopraggiunge a termine
dell’iter per la richiesta d’asilo a Treviso viene rappresentata sostanzialmente da due
realtà, i dormitori pubblici e il progetto di Caritas “Rifugiato a casa mia”. Questo
progetto è destinato a tutti coloro con uno status giuridico che non rientrano nello
SPRAR ma sono stati accolti da uno degli enti della RAD e rispondono ad alcuni criteri.
Interessante osservare che viene testimoniato dall’operatrice che se ne occupa, come
talvolta la scelta di alcune persone di accogliere un rifugiato in casa o di fare
volontariato con loro nella parrocchia ospitante, abbia scaturito l’incrinarsi di alcuni
rapporti di amicizia anche di lunga data facenti parte del mondo cattolico, sempre
sull’onda del non più pubblico scontento, manifestato e palese, ma un sottobosco di
insofferenza e intolleranza a riguardo.
Ci sono stati tentativi di provare ad avviare un’accoglienza promossa da “Refugees
Welcome” ma non è stato possibile cominciarla per una serie di ragioni, rimane
comunque una riflessione aperta per gli operatori dello SPRAR.
Nelle prossime pagine si prenderà prima in esame la governance verticale, osservazioni
volte a chiarire i rapporti tra i livelli di governo, successivamente si tratterà ciò che è
emerso dalla dimensione orizzontale, nel momento di incontro o scontro tra gli attori
presenti che si sono riusciti a mappare. Si chiuderà il capitolo con un breve quadro della
situazione relativa all’accoglienza in chiusura di questo lavoro, poiché si sono attuate
modifiche importanti nello scenario trevigiano. Il nuovo bando in arrivo, ha sancito
un’importante cesura con il sistema preso in esame, modificando la valenza degli attori
nella “battleground” locale.
96
4.1 Governance verticale: “confini locali” in un sistema in fase di
cambiamento
Le dinamiche verticali di governo, che hanno interessato la città di Treviso
nell’implementazione del sistema di accoglienza, si possono definire in linea a quanto
considerato da Ambrosini (2018) rispetto alle tendenze nazionali.
Nella fase iniziali degli arrivi di richiedenti asilo l’ente locale era guidato da una giunta
appartenente al Partito Democratico, dopo tantissimi anni di sindaci della Lega, era stato
fatto un cambio di rotta dal punto di vista politico. A seguito di anni caratterizzati
anche da pubbliche prese di posizione contro l’immigrazione da parte dei sindaci della
città (Gentili e la condanna per istigazione all’odio razziale), ci si poteva domandare
come sarebbe stata introdotta l’accoglienza.
Inizialmente con l’arrivo straordinario gestito direttamente dalla Prefettura ci sono state
tensioni, come testimoniato nel capitolo precedente, tra i comuni di Treviso e Casier
impegnati in un “braccio di ferro” con la Prefettura in particolare rispetto al grande hub
situato nell’ex Caserma Serena. Nella stampa locale vi possono trovare molteplici
dichiarazioni di sindaco e vicesindaco che in quella occasione si schieravano
apertamente contro la Prefettura, “Se la prefettura non riesce a procedere con
accoglienza diffusa lo dica, perché Treviso non darà più nulla. Ha fatto oltremodo.”152
Ciò nonostante vi era una dichiarata volontà di accogliere con modalità diffusa e
impegnandosi come ente locale ad avviare un progetto SPRAR.
Nel 2016, a seguito di una riflessione che ha coinvolto anche altri comuni, Treviso è
stato capofila del progetto SPRAR nella Provincia di Treviso. La scelta è stata fatta
soprattutto per non subire l’imposizione della Prefettura di accogliere richiedenti asilo
nel territorio senza il coinvolgimento dell’ente locale, di fatto in base alle Conferenza
Unificata tutte le regioni dovevano impegnarsi nell’accoglienza, quindi fintanto che il
comune non si attivava in prima persona, il sistema prevedeva unicamente strutture di
accoglienza straordinarie gestite da enti gestori.
Il dialogo tra i responsabili dei CAS e le autorità locali non era d’obbligo ma riguardava
principalmente la policy interna ai soggetti del terzo settore, lasciati liberi di strutturarsi
a loro interno come più credevano una volta soddisfatte i criteri del bando prefettizio.
152
https://www.ilgazzettino.it/nordest/treviso/caserma_serena_richiedenti_asilo_treviso_si_ribella_irritazione_municipio_prefettura_manildo_grigoletto-2287408.html
97
L’apertura dello SPRAR è stata contesa a livello politico per quanto riguarda la
testimonianza dei quotidiani di allora, nonostante questo, la contestazione ha avuto un
impatto minimo sull’ente locale e si è proceduto con l’avvio dell’iniziativa.
Le concrete difficoltà nell’attuazione del progetto si sono sentite maggiormente nella
pragmaticità della gestione del quotidiano da parte degli enti attuatori. Il reperimento
degli appartamenti adatti ha incontrato alcune problematicità relative al trovare
abitazioni adatte e resistenze della cittadinanza residente nei quartieri interessati,
supportate dall’allora capogruppo della Lega in consiglio comunale Mario Conte, oggi
sindaco.
Non è comunque lo SPRAR l’oggetto dei maggiori contrasti, anche ora che il sindaco è
cambiato, il coordinatore del progetto dell’ente attuatore e il referente in comune sono
d’accordo nell’affermare che non vi siano stati ostacoli con la nuova amministrazione e
il progetto continuerà almeno fino al 2020.
È interessante fare una breve osservazione sul fatto che il progetto sia nato all’interno di
una regione che si posiziona sotto la media nazionale di enti locali partecipanti alla rete
SPRAR. Nonostante ci sia una considerevole presenza di cittadini stranieri accolti nel
sistema di accoglienza in tutte le sue tipologie di centri, il numero di progetti SPRAR è
esiguo rispetto al complesso nazionale (si veda tabella 1). Le ragioni forse vanno
indagate nel retaggio di una subcultura bianca in cui il governo locale non è
interventista rispetto alla regolazione sociale (Campomori F. 2008, 77), che è inoltre, da
sempre segnato dalla poca fiducia rispetto allo stato centrale e dalle iniziative da esso
promosse.
Treviso non è riuscita a coinvolgere tutti i comuni che inizialmente si erano resi
partecipi nell’attuare lo SPRAR, e in secondo battuta, a progetto avviato, quando vi era
la volontà di aumentare i numeri degli accolti, questo non è avvenuto a fronte di un
ingente numero di soggetti del terzo settore che sono stati coinvolti negli anni dalla
Prefettura nella gestione dei CAS.
L’ambito CAS rimane la questione più complessa. Se inizialmente il “campo”
prevedeva un patto tacito con la Prefettura relativo ad una sorta di collaborazione volta
soprattutto ad affiancare gli enti gestori anche in realtà dove l’ente locale faceva delle
resistenze, in un secondo momento, fino a raggiungere lo stato attuale delle cose, la
relazione si è formalizzata in una committenza a tutti gli effetti. Anzi, considerando il
98
grande momento di mutamento e l’attesa dell’uscita del nuovo bando, che hanno sancito
il momento storico in cui sono state svolte le intervista, sembrava di percepire un
momento “sospeso” in cui i contatti tra enti gestori e Prefettura si stavano facendo più
complessi.
La comunicazione avveniva “ad un senso”, la Prefettura stava comunicando con gli enti
gestori tramite circolari e all'opposto, i soggetti del terzo settore avevano difficoltà nel
ricevere risposte ai loro quesiti, lo testimonia anche l’impossibilità nel riuscire ad
intervistare chi all’interno dell’istituzione si occupa di questo.
I CAS che fanno riferimento alle realtà intervistate, hanno privilegiato uno stile di
accoglienza diffuso e fortemente inclusivo, caratterizzato da piccoli appartamenti e
orientato a mettere la persona al centro del proprio percorso. Queste realtà, si sono
costituite in RTI, per avere maggior peso politico e riuscire a favorire un confronto in
una materia in continuo mutamento.
Il bando del 2018 non ha permesso di parteciparvi come rete e quindi è rimasta attiva la
RAD, che non ha più valenza nel rapporto con la Prefettura ma rimane terreno di
confronto tra gli enti gestori e chi non lo è di fatto più, per mantenere vivo uno spazio
aperto all’argomento che si fa promotore anche di eventi di sensibilizzazione della
cittadinanza.
Diversi enti gestori si sono ritirati nell’ultimo bando (quello relativo al 2018) e quelli
intervistati sono entrambi in accordo nel dire che probabilmente non si renderanno
disponibili per quello che seguirà, o al massimo manterranno una “piccola
sperimentazione” a causa delle novità introdotte dal “Decreto Sicurezza” e le nuove
modalità di accoglienza previste.
Il fatto di non riuscire ad avere sufficienti mezzi per offrire realmente dei servizi validi a
chi viene accolto è un argomento di confronto sia all’interno degli stessi enti gestori del
territorio, come constatato durante le interviste, sia a livello nazionale. “Per i centri
collettivi con 300 ospiti si scende a 25,25 euro, con un taglio del 28%. Stessa cifra è
stesso taglio per quelli fino a 150 ospiti. Si risale a 26,35 per i centri da 50 e 20 ospiti,
con un taglio del 25%. Pesantemente penalizzata l’accoglienza diffusa in appartamenti,
considerata la più efficiente in termini di integrazione. Ebbene questi Cas diffusi
99
scendono a 21,35 euro a persona al giorno con un taglio addirittura del 39%. Con questi
tagli diventa molto difficile fornire un adeguato servizio.153
”
Questo si può leggere nell’Avvenire, ma anche ritrovare tra le pagine delle interviste a
Treviso, l’unico che ha manifestamente dichiarato di poter fare un’accoglienza e che si
“possa farla bene154
” nonostante i cambiamenti in atto è il gestore dell’ex Caserma
Serena, realtà che invece vorrebbe essere chiusa dall’amministrazione comunale155
tiepidamente appoggiata dalla Prefettura156
. A tale scopo lo stesso sindaco, Mario
Conte ha incontrato direttamente il Ministro dell’interno.157
Proprio a tale livello, quello
ministeriale, si caldeggia la chiusura dei grandi hub, eppure, guardando alle stime
soprariportate saranno i piccoli centri e gli enti gestori ad accoglienza diffusa che
risentiranno maggiormente dei cambiamenti.
Per quanto riguarda, quindi, i CAS a Treviso, possiamo osservare che durante i primi
anni dell’accoglienza la relazione tra i vari livelli di governo ripercorreva delle
dinamiche presenti in molte parti della penisola. Il potere locale, rappresentato
dall’amministrazione comunale si trovava bypassato dalla Prefettura (Ambrosini 2018;
Marchetti 2014) e con essa entrava in contrasto specialmente riguardo la gestione
dell’Ex Caserma Serena. Gli enti gestori non sono mai stati presi, tuttavia,
pubblicamente di mira da parte dell’amministrazione dell’epoca perché anche in questo
venivano oscurati perlopiù dal tema più caldo inerente al grande hub.
C’è stato un momento in cui si è palesata la possibilità di aumentare i posti dello
SPRAR per chiudere i CAS a Treviso158
, iniziativa che non ha avuto seguito, questo era
anche finalizzato a diminuirne i numeri nel territorio comunale.159
Nel 2016 il sindaco aveva preso una posizione contro quei comuni che non intendevano
accogliere, rimarcando che a Treviso non sarebbero dovute arrivare altre persone da
accogliere.160
153
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/accoglienza-e-caos-sui bandi?fbclid=IwAR2XjnQqHAcfrEp9qy16Y1VbLKT5h2wzkMqkxAIskkZaFxaCxLm5NC9YDCM 154
https://www.youtube.com/watch?v=nmMwx3Okmgs 155
https://www.youtube.com/watch?v=f6-7ed3crJ8 156
https://www.ilgazzettino.it/nordest/treviso/profughi_caserme_treviso-3990872.html 157
https://www.youtube.com/watch?v=4AktThAZofc 158
http://www.trevisotoday.it/politica/accoglienza-migranti-treviso-incontro-cabino-enti-gestori-marzo-2017.html 159
http://www.trevisotoday.it/politica/accoglienza-migranti-treviso-incontro-cabino-enti-gestori-marzo-2017.html
100
Questi toni conflittuali, tuttavia, sono scemati a cavallo tra il 2017161
e 2018, fintantoché
la vecchia amministrazione è rimasta in carica, il sindaco ha smorzato i toni, soprattutto
considerando il calo del numero di arrivi e la conseguente diminuzione delle persone
accolto nell’ex Caserma Serena e a seguito della nuova normativa (l.13 aprile 2017
n.46) promossa da Minniti (allora Ministro dell’Interno), cui il primo cittadino
trevigiano ha più volte manifestato la propria solidarietà162
.
A giugno 2018 Treviso è stata protagonista di un nuovo cambio di indirizzo politico a
seguito delle elezioni comunali che hanno visto vincere la Lega. È divenuto sindaco
Mario Conte, già voce pubblica conosciuta sulla tematica dell’accoglienza.
La nuova direzione data si allinea perfettamente con quella nazionale, esempio chiaro
sono le modifiche poste all’accoglienza dal “Decreto Sicurezza” voluto dal Ministro
dell’Interno. Mario Conte ha più volte manifestato il proprio appoggio alle nuove
disposizioni a differenza di alcuni comuni in Italia che si sono pubblicamente dichiarati
contrari manifestando la volontà di resistere alla nuova normativa.163
164
Soffermandosi un istante sul discorso pubblico delle varie forze politiche scese in
campo a Treviso, in materia di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati è interessante
osservare come le due principali fazioni, il Partito Democratico e Lega spingano su temi
differenti.
Il primo sia a Treviso, sia in alcuni comuni limitrofi, predilige la questione lavorativa e
il favorire il superamento dell’inattività delle persone accolte, anche attraverso una
“restituzione alla collettività” quindi sviluppando progetti di lavori di pubblica utilità e
pulizia del verde pubblico (attività che coinvolge associazioni di volontariato più che
realtà che accolgono). In un comune limitrofo in particolare (con giunta appartenente al
PD), i lavori di pubblica utilità sono stati utili ad attivare tutto quanto necessario per
l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, come una moneta di scambio e non un
diritto da dover riconoscere.
160
https://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2016/10/11/news/a-treviso-non-voglio-piu-profughi-1.14233222 161
http://www.trevisotoday.it/cronaca/treviso-manildo-profughi-12-aprile-2018.html 162
https://www.youtube.com/watch?v=XIj60aqUxgs 163
https://www.trevisotoday.it/attualita/decreto-sicurezza-mario-conte-salvini-treviso-3-gennaio-2019.html 164
https://www.trevisotoday.it/attualita/decreto-sicurezza-incontro-premier-conte-treviso-14-gennaio-2019.html
101
L’attuale sindaco, in totale linea con le indicazioni del Ministro dell’Interno predilige i
temi della sicurezza e decoro urbano, pubblicamente prendendo delle linee di chiusura
coerenti con le indicazioni nazionali ma non creando delle difficoltà pratiche sul
progetto SPRAR.
4.2 Governance orizzontale: molteplicità di attori e complessità nel fare
rete
La dimensione orizzontale nell’accoglienza del trevigiano è caratterizzata
principalmente da quattro dei gruppi di attori pro-migranti individuati da Ambrosini e
Campomori (Ambrosini M. & Campomori F. 2018).
I soggetti del terzo settore che attuano l’accoglienza si relazionano tra loro
principalmente quando vengono indetti incontri istituzionali da organi quali Prefettura e
Questura. Alcune realtà hanno collaborato tra loro come RTI, Rete Temporanea
d’impresa, al fine di rispondere insieme al bando di gara indetto dalla Prefettura e
riuscire quindi ad avere maggiore peso anche politico nel territorio, ma oltre a questo
non sono emerse altri network di grande rilevanza.
Alcuni degli enti gestori nei primi anni dell’avvio dei centri di accoglienza (2014 fino al
2016) sono stati coinvolti in scontri con la società civile contraria all’apertura di
strutture nei loro quartieri, si sono verificati momenti di tensione con gli abitanti delle
zone individuate per aprirvi gli appartamenti adibiti all’accoglienza, ma sono difficoltà
che paiono superate.
A titolo personale ciascun soggetto che accoglie ha sviluppato, nel corso degli anni di
accoglienza, relazioni con il gruppo definito “attori organizzati”: associazioni di
volontariato per l’attività di qualche accolto, sindacati o agenzie per il lavoro.
Da ciò che si può intuire nelle interviste, questo tipo di supporto da parte di attori
organizzati non è stato condiviso tra gli enti gestori, ogni realtà gestiva questi contatti al
suo interno e non venivano scambiati, nemmeno all’interno dell’RTI.
Treviso è una realtà piuttosto viva rispetto al mondo del volontariato, ciò nonostante
non sono emerse molte associazioni che si occupano specificatamente di richiedenti
asilo e rifugiati. Alcune di queste fanno parte di un tavolo di lavoro all’interno del CSV
finalizzato non a evitare di riproporre le stesse attività in associazioni diverse, non è
102
infatti emerso un livello di coordinamento sui servizi offerti da ciascuna, ma volto a
proporre iniziative in cui volontari di associazioni diverse collaborino e dialoghino per
proporre laboratori o attività congiuntamente, oltre a ciò che viene proposto
singolarmente da ogni associazione. Sono molto legate al fare, più che al sensibilizzare,
anche se il coinvolgimento di richiedenti asilo e rifugiati alle iniziative vorrebbe
rappresentare esso stesso l’apertura del fenomeno anche alla società civile.
Tutto ciò che viene proposto per coinvolgere i richiedenti asilo e rifugiati che sono
ancora accolti nelle strutture di accoglienza viene vagliato e autorizzato dalla Prefettura,
a fronte di un protocollo avviato nel 2015 che regola le attività di volontariato degli
accolti in CAS e SPRAR.
Il movimento sociale più rilevante a Treviso è rappresentato dal centro sociale Django,
in particolare con il progetto “Talking Hands” volto all’attivazione dei richiedenti asilo
attraverso un opificio. Django è stato anche il principale promotore di manifestazioni
pro-accoglienza nel territorio. Ricostruendo l’attività e le relazioni istaurate da questo
progetto risulta che la rete è assolutamente informale, di soggetti che partecipano alle
attività. La relazione con la società civile è caratterizzata da scambi con la cittadinanza
legati ai negozi di fiducia dove si acquista il materiale e la presenza ad eventi in cui si
vendono i prodotti realizzati. In termini di rete con altre realtà che siano enti gestori o
altri attori organizzati, emerge che non vi è nulla di ben definito, solo interazioni
sporadiche che nella maggior parte dei casi non hanno dato vita a collaborazioni di
qualche tipo.
I gruppi di sostegno e i “battitori liberi” sono stati gli attori pro-migranti più
difficilmente mappabili, sicuramente vi saranno altre persone che in gruppo o a titolo
personale si sono attivati per l’accoglienza e non unicamente ciò che è emerso da questa
ricerca.
Guardando a questo gruppo di soggetti pro-immigrati l’esperienza maggiormente
rilevante, anche a livello nazionale, è rappresentata dall’iniziativa di un soggetto,
Antonio Silvio Calò, che da “battitore libero” ha deciso di implementare un sistema di
accoglienza aprendo la propria casa a sei richiedenti asilo, coinvolgendo l’ente locale,
una cooperativa e la comunità locale del comune vicino Treviso in cui è residente.
Infine, gli attori anti-immigrati sono rappresentati da CasaPound e Forza Nuova che al
momento limitano la manifestazione del proprio dissenso a sporadici cartelli volti a
103
minare o specifiche iniziative (come la raccolta fondi per Mediterranea) o soggetti che
sono pubblicamente a favore dell’accoglienza (Caritas e LaEsse in passato, Antonio
Silvio Calò, nel presente).
CasaPound promuove attività collaterali che non rappresentano attacchi diretti al mondo
dell’accoglienza ma sono inevitabilmente indirizzate a supportare discorsi di stampo
nazionalista e xenofobo sostenendo una visione del welfare e della solidarietà
unicamente verso i cittadini italiani, lasciati soli dalle autorità (Rosati E. 2018). Ci si
riferisce a tutto ciò che concerne la beneficienza alle famiglie italiane in difficoltà,
momenti utili ad agganciare nuovi sostenitori, non tra i beneficiari ma tra i giovani
invitati a riconoscere la solitudine del popolo italiano e quindi ad agire (ibidem). Se si
contestualizzano questo tipo di iniziative a livello nazionale, ci si rende conto che sono
presenti in tutta Italia, come strategia del partito nazionale non unicamente nella sezione
di Treviso.
Da quanto è possibile rilevare attraverso il vario materiale visionato lo scontro attuale
sembrerebbe coinvolgere alcuni attori pro-immigrati che si sono apertamente schierati
contro la nuova normativa e il conseguente nuovo bando emesso dalla Prefettura che
risponde al capitolato del Ministero dell’Interno.
Ad esempio, LaEsse lo ha fatto in diversi modi, tra cui il rilascio di una dichiarazione
del coordinatore progetto CAS al telegiornale regionale del 12 gennaio 2019 in cui parla
del rischio di diventare “custodi di persone, fare guardiania”.
Il presidente del CSV di Treviso ha rilasciato dichiarazioni in cui parla di “una norma
che mette in discussione civiltà e sicurezza stessa.165
” affermazione subito condivisa nei
social da Civico 63, osservazioni fatte anche dalla volontaria intervistata (intervista 6).
Il Django ha manifestato più volte in piazza e sui social a tal proposito166
.
Ci troviamo quindi di fronte, forse, ad un cambio di focus riguardo ai conflitti interni
alla governance delle politiche per richiedenti asilo, o almeno questo fa presagire lo
scenario trevigiano.
Dal punto di vista locale Ambrosini aveva sottolineato come la MLG,
nell’implementazione delle politiche di ricezioni di richiedenti asilo e rifugiati,
165
http://www.oggitreviso.it/volontariato-trevigiano-contro-salvini-decreto-sicurezza-mette-discussione-civilt%C3%A0-202193 166
https://www.facebook.com/csodjangotreviso/posts/mobilitiamoci-subito-contro-il-decreto-dellesclusione-socialerilanciamo-il-repor/2025682764119025/
104
divenisse un “campo di battaglia” tra enti locali che non volevano accogliere e
Prefetture che ne bypassavano l’autorità; la presenza di una moltitudine di soggetti che a
vario titolo favorivano l’accoglienza e movimenti di estrema destra o alcuni comitati
cittadini che manifestavano per la chiusura all’immigrazione poiché non volevano nei
loro quartieri centri o appartamenti destinati a richiedenti asilo. Oggi, che la normativa è
cambiata, si è di fronte a nuove disposizioni all’interno di questo scenario, la Prefettura
non ha più la necessità di aprire centri di accoglienza e gli enti gestori con cui prima
aveva anche un ruolo di appoggio rispetto alle possibili rimostranze delle autorità locali,
vengono lasciati soli con delle condizioni sempre più stringenti in merito ai
finanziamenti per l’accoglienza.
4.3 Post-accoglienza: mancanza delle politiche e tentativi di farvi
fronte
Il post-accoglienza è una questione spinosa in tutta Italia. In realtà, il tema
dell’integrazione degli immigrati è stato problematico sin dagli anni Novanta: la
mancanza di line indicate dal livello nazionale, l’alto grado di decentramento delle
competenze in materia di integrazione degli immigrati al livello locale e regionale (più
precisamente delle politiche sociali in generale) hanno fatto sì che si venisse a creare un
sistema di protezione debole e frammentata (Campomori F. & Caponio T. 2013).
I progetti che riguardano il momento successivo al termine dell’aiuto istituzionale
nascono con l’idea di sopperire ad una mancanza nelle politiche, sono stati attuate
iniziative da vari attori: istituzioni religiose, associazioni di volontariato e da alcuni
comuni che ospitano progetti SPRAR.
Tra le esperienze più innovative si annoverano le accoglienze in famiglia di cui è stato
promotore il Comune di Torino attraverso il progetto SPRAR, iniziato nel 2008. Dal
2015 è stato proposto anche in altre città (Campomori F. & Feraco M. 2018).
Successivamente questo tipo di progettualità è stato promosso da molteplici attori anche
privati, quali Caritas Italiana e la ONLUS “Refugees Welcome”.
I differenti promotori del progetto hanno fatto scaturire diversità nella natura stessa
dell’accoglienza, ad esempio attraverso differenti modalità di finanziamento delle
famiglie che vi partecipano, la durata dell’ospitalità, differenti criteri per accedervi, sia
per quanto riguarda le famiglie, sia per i rifugiati. Ciò nonostante, si possono delineare
105
dei denominatori comuni: da una parte, l’accoglienza all’interno di una famiglia può
favorire la costruzione di una rete utile a chi viene ospitato sia sul piano lavorativo, sia
sociale; dall’altra, si presenta quale possibile momento per generare una narrazione
differente del fenomeno nella società civile, riducendo pregiudizi e generando fiducia
(Ambrosini M. & Campomori F.2018).
Nel territorio trevigiano le esperienze di accoglienza in famiglia riguardano un progetto
di Caritas Tarvisina. Prendendo spunto dall’iniziativa promossa a livello nazionale da
Caritas Italiana, quella diocesana ha proposto il progetto “Rifugiato a Casa Mia”
modificandone in parte la struttura.
Inizialmente potevano accedervi anche richiedenti asilo, è previsto un rimborso spese a
coloro che ospitano se lo richiedono. Il periodo di accoglienza prevede una durata di sei
mesi rinnovabili. Il numero di persone che hanno avuto modo di accedere a questa
proposta ammonta a 77. Sono stati coinvolte non solo famiglie, ma anche parrocchie ed
istituti religiosi.
La criticità in questo momento risulta la difficile reperibilità di titolari di un qualche
status giuridico a fronte di famiglie e parrocchie che si sono rese disponibili. La
possibilità di rientrare tra i beneficiari dell’accoglienza informale è preposta ad alcuni
criteri di selezione sia per quanto riguarda chi accoglie, sia che è accolto. Per questa
ragione fino al termine del 2017 potevano rientrare tra i “selezionati” solo coloro che
risiedeva presso un centro di accoglienza di Caritas, in seconda battuta è stato deciso di
aprire la possibilità di farne parte anche a coloro che sono accolti dalle altre realtà
dell’RTI, che garantiscono una conoscenza approfondita del candidato. Nonostante
questo, una criticità concreta oggi, risulta l’ingente numero di famiglie e realtà che si
sono messe a disposizione ad accogliere, a fronte di nessun candidato individuato.
Un altro punto debole che questo tipo di progetti ha, presente anche nel trevigiano,
risulta la relazione tra gli attori del pubblico e privato. Non vi sono rapporti ufficiali tra
il progetto e le istituzioni trevigiane. Gli operatori di Caritas che se ne occupano
avevano deciso di farsi conoscere dagli enti locali in cui veniva implementata questa
accoglienza, recandosi presso i comuni con i rifugiati partecipanti. In un secondo
momento questa procedura è venuta meno, lasciando alle famiglie o al gruppo dei
volontari nelle parrocchie il compito di svolgere questo momento di conoscenza.
106
Per quanto riguarda l’impatto avuto da “Rifugiato a casa mia” sulla comunità locale,
l’intervistata, operatrice che si occupa attivamente del monitorare gli inserimenti, ha
notato come non si siano mai verificate situazioni particolarmente critiche
nell’implementazione del progetto, malgrado vi siano stati dei momenti di rottura nella
comunità locale. Il “Rifugiato in parrocchia mia”, ovvero l’accoglienza nelle parrocchie,
consiste nell’attivazione di un gruppo di volontari che aiutino i beneficiari ad inserirsi in
quel dato territorio favorendo anche la condivisione di reti locali. Tuttavia, l’attivazione
di alcuni membri hanno palesato che all’interno anche della comunità di fedeli ci sono
delle forti spaccature sul tema, tanto da aver creato tensioni all’interno della comunità
parrocchiale.
Dal canto suo, lo SPRAR ha cercato di rapportarsi con “Refugees Welcome”, ma senza
l’avviamento di ospitalità concrete.
Infine, chi non rientra in questo tipo di progettualità per una molteplici di questioni e
non ha una qualche rete di supporto vede come unica soluzione abitativa l’accoglienza
nei dormitori, che a Treviso sono due. Uno del comune in appalto a LaEsse, l’altro di
Caritas Tarvisina (sia maschile che femminile). I posti previsti, tuttavia, non coprono
tutte le richieste. Questo tipo di soluzioni abitative sono chiaramente temporanee. Non
vi accedono solo richiedenti asilo o titolari di una qualche forma di protezione, sono
servizi messi a disposizione anche a cittadini italiani e immigrati di lungo periodo. Ciò
nonostante, guardando ai dati di coloro che vi sono accolti si può notare, come almeno
per quanto riguarda Caritas, siano in netta prevalenza richiedenti asilo e rifugiati sul
totale complessivo degli accolti.
4.4 Treviso: interrelazioni tra poteri pubblici e società civile
A termine del primo capitolo del presente elaborato, si sono distinti vari modelli in cui è
possibile catalogare le interrelazioni tra i poteri pubblici e la società civile. Ossia:
chiusura, tolleranza, attivismo istituzionale contro una società civile anti-immigrati ed
infine, cooperazione (Ambrosini M. & Campomori F. 2018).
Treviso è stato uno scenario di interrelazioni tra poteri pubblici e società civile che si
possono annoverare tra tutte le tipologie proposte, tranne forse un atteggiamento di forte
chiusura dal punto di vista istituzionale.
107
A Como e Ventimiglia le autorità hanno vietato che privati cittadini elargissero aiuto ai
richiedenti asilo, anche attraverso pasti caldi. A Saronno il Comune si è opposto
all’apertura di un CAS della Caritas, riuscendo a bloccare l’iniziativa (chiusura). Questo
tipo di avvenimenti non si è verificato anche nel trevigiano così platealmente. Ciò
nonostante, la volontaria di Civico 63 ci testimonia un ritardo nelle autorizzazioni da
parte della Prefettura per fare partecipare richiedenti asilo alle iniziative
dell’associazione. Non si crede che sia un atto pubblico di chiusura, ma da un certo
punto di vista la non partecipazione ad iniziative dedicate ai volontari preclude in
qualche modo il maggiore inserimento del soggetto all’interno dell’associazione.
In diverse città del Nord-Italia è nata la rete “Scuole Senza permesso167
” aperte a tutti,
esistenti anche in zone governate dal centro-destra. Si annoverano in questa categoria
anche tutte le esperienze di ambulatori e mense non istituzionalmente costituiti, ma nati
con iniziative promosse dalla società civile (tolleranza). A Treviso esistono tutta una
serie di iniziative promosse dalla società civile, in gruppi organizzati o meno, che
offrono servizi ai richiedenti asilo in modo indipendente rispetto al governo locale
(iniziative di Civico 63, Talking Hands, mensa della Caritas etc.).
Nel trevigiano vi sono stati alcuni episodi di intolleranza della società civile rispetto ad
iniziative del governo locale. Il responsabile per gli enti gestori dello SPRAR di
Treviso, ha raccontato come un quartiere avesse manifestato forte dissenso rispetto
all’apertura di un appartamento destinato al progetto (attivismo istituzionale contro
società civile anti-immigranti) e a tal ragione, si era deciso di aprirlo altrove.
Infine, ci sono stati momenti di collaborazione tra il governo locale, gli enti attuatori e
la cittadinanza (cooperazione). Il progetto SPRAR è stato accolto favorevolmente in
altre parti della città, andando a sviluppare anche relazioni virtuose con il vicinato (es.
raccolta indumenti per beneficiaria incinta).
4.5 Modifiche normative e cambio di scenario
Questo capitolo ha tentato di fare alcune considerazioni da quanto emerso dalla
mappatura del “campo di battaglia” trevigiano.
167
http://www.scuolesenzapermesso.org/
108
Treviso si inserisce con la propria storia nell’attuazione delle politiche per la ricezione e
accoglienza di richiedenti asilo piuttosto in linea con la mappatura che Ambrosini ha
fatto del caso italiano.
Il “Decreto Sicurezza” è diventato legge e ha già configurato uno scenario diverso
rispetto a quanto mappato nel caso trevigiano.
Il nuovo bando prefettizio per l’accoglienza nei CAS non vedrà la partecipazione di
alcuni dei 16 enti gestori a cui appartenevano le accoglienze fino ad ora. Non
parteciperanno Caritas Tarvinia, Caritas Vittorio Veneto e alcune delle cooperative, tra
le quali LaEsse. Di fatto coloro che facevano parte della RTI, ormai RAD.
La decisione di non continuare ad accogliere richiedenti asilo riguarda le nuove
disposizioni normative che, secondo questi enti gestori, andrebbero a vanificare
qualsiasi tentativo concreto di inclusione degli accolti, non finanziando tutte quelle
attività volte alla conoscenza del territorio e del contesto socio-culturale.
Questa decisione è stato oggetto di critiche da parte del Ministro dell’Interno, Matteo
Salvini, che attraverso le sue pagine social ha condiviso l’articolo in cui si parla del
passo indietro di questi soggetti, dichiarando: “La MANGIATOIA è finita, chi
speculava con margini altissimi per fare "integrazione", spesso con risultati scarsissimi,
dovrà cambiare mestiere.”168
Il ritiro dalla scena dell’accoglienza istituzionale di questi soggetti porterà i loro accolti
ad essere ricollocati nel territorio della provincia.
La Prefetta Maria Rosaria Laganà ha dichiarato169
che gli accolti nelle strutture degli
enti gestori che si presenteranno al prossimo bando saranno collocati presso le ex-
Caserme Serena e Zanusso (un centinaio). I restanti saranno accolti presso le altre realtà
che hanno deciso di continuare comunque l’accoglienza.
Pertanto, le caserme, i centri che hanno destato più clamore in fatto di opinione pubblica
e scontri tra livelli di governo, rischiano di tornare in auge, nonostante il desiderio
dichiarato del Ministro dell’Interno di andare a chiudere i grandi hub. Il sindaco di
Treviso rispetto a queste nuove disposizioni ha dichiarato: 168
https://www.facebook.com/salviniofficial/posts/10156564101903155 il commento è stato scritto in riferimento alla condivisione da parte del Ministro di articolo di “Oggi Treviso” in cui si faceva presente il passo indietro della Caritas nel bando prefettizio per il 2019. Link articolo: http://www.oggitreviso.it/node/207741?fbclid=IwAR1b3I7yD3bOEGhBeRdEPMh7yAm0r0wO8QzyZ_85SnDQFkqx4yRpFap5o5M 169
https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/politica/19_aprile_30/decreto-salvini-pochi-soldi-associazionia-treviso-migranti-tornano-caserme-29913b28-6b09-11e9-96ee-4a67998c0c14.shtml
109
“Non sarà qualche decina di persone a creare il problema, il processo di svuotamento è
in corso […] Chiuderanno piccoli centri, la Serena garantirà maggiore controllo, i
gestori sono sempre stati disponibili al dialogo. Piuttosto vorrei fare un calcolo di costi e
ricavi, capire quant’era il margine di guadagno per le coop, ricordo che si tratta di una
gestione umanitaria non di un’opportunità di business.”170
La questione ha sollevato anche la riflessione di alcuni sindacati sulla perdita del lavoro
per gli operatori che fino ad allora avevano lavorato nelle accoglienze171
, in linea con
una riflessione nata anche a livello nazionale172
173
(15000 i posti di lavoro a rischio
secondo Oxfam).
Il cambio di scenario va quindi a modificare di fatto ciò che riguarda principalmente
l’accoglienza nei CAS, andando ad aumentare la possibilità che gli scontri tra attori a
favore, e contro gli immigrati, diventino sempre più numerosi e facendo presagire una
lotta tra attori dell’accoglienza locali contro il livello centrale di governo, quello
nazionale.
170
ibidem 171
Ibidem :«Il problema è reale – commenta il segretario della Cgil Mauro Visentin -, l’indotto occupazionale non è marginale, sono a rischio le famiglie». «Il Decreto Sicurezza ci fa fare un passo indietro nell’integrazione per perseguire un mero ideale elettorale – aggiunge la segretaria della Cisl Cinzia Bonan -. I lavoratori vedono vanificare anni di impegno e risultati». 172
http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2019/05/06/oxfam-a-rischio-lavoratori-accoglienza_970c0b90-0d10-4927-93e7-b54de1ea9d17.html 173
È nato a Trieste quello che vorrebbe diventare un percorso di mobilitazione dei lavoratori di CAS allo scopo di difendere il proprio lavoro e un sistema di accoglienza che sia diffuso e inclusivo: https://www.meltingpot.org/Buonisti-un-CAS-in-FVG-nasce-un-percorso-di-mobilitazione.html#.XOQGoVIzbIU
110
CONCLUSIONE
Il presente lavoro di ricerca ha cercato di comprendere come la dimensione verticale e
orizzontale della MLG si articolino e interagiscano tra loro, nell’implementazione delle
politiche di ricezione e accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, nel piano locale.
Le politiche relative all’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo comprendono una
governance che prevede l’interazione di una molteplicità di attori pubblici e privati. Per
questa ragione, il concetto di MLG inteso come studio, unicamente, degli attori a vari
livelli di governo e delle relazioni tra loro va completato e rivisto. Fino ad ora, infatti,
gli studi interessati da questo approccio analitico hanno privilegiato le interazioni nella
dimensione verticale di governance (Ambrosini M. & Campomori F. 2018, 9), pertanto
sembrerebbe più attrezzato per analizzare i rapporti intergovernativi, tra poteri pubblici.
Tali soggetti, infatti, hanno frames simili e ricercano perlopiù un “ordine negoziato”
nelle politiche. Lo studio delle interazioni tra poteri pubblici e società civile
(dimensione orizzontale) non ha avuto la medesima attenzione teorica (Ibidem), gli
attori in questa dimensione sono spinti spesso da frames diversi, agiscono in
cooperazione ma anche in conflitto tra loro.
Ambrosini a tale ragione ha proposto l’immagine di un “campo di battaglia” per definire
come i diversi stakeholders si muovano sul piano locale dell’implementazione delle
politiche di ricezione e accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati.
Le politiche in tale materia acquisiscono una particolare rilevanza a livello locale: la
molteplicità di attori presenti evidentemente condizionano i risultati delle politiche,
perché riguardano anche il risultato delle interconnessioni tra loro.
L’agenda locale viene influenzata sia dai poteri pubblici in questo ambito, costituiti
dall’ente locale e dalle prefetture che rappresentano il Ministero dell’Interno sul piano
locale, sia da gruppi della società civile.
Per questa ragione è possibile individuare cinque gruppi favorevoli all’immigrazione: le
ONG e soggetti del Terzo Settore che si occupano concretamente dell’accoglienza,
attori organizzati (sindacati, associazioni di volontariato etc.), movimenti sociali, gruppi
di sostegno e “battitori liberi” cittadini che a titolo individuale offrono tempo e/o mezzi
a chi viene accolto.
111
Esistono poi attori pubblicamente schierati contro l’immigrazione: movimenti politici di
estrema destra e talvolta comitati cittadini che manifestano a sfavore dell’accoglienza.
In base alle dinamiche che le interazioni tra questi attori scaturiscono si possono
individuare diverse configurazioni dei rapporti tra loro: di chiusura, tolleranza, attivismo
istituzionale contro la società anti-immigrati e cooperazione. Questo tipo di
classificazione può essere ricondotta a tutte le fasi dell’accoglienza dal punto di vista
locale, dall’avviamento di un progetto che sia CAS o SPRAR, fino al termine
dell’accoglienza istituzionale per comprendere le proposte di post-accoglienza e il
difficile decollo delle varie sperimentazioni.
Alla luce di queste riflessioni si è voluto tentare di ricostruire il campo di battaglia
trevigiano. Allo scopo di ricreare le dinamiche presenti in tale luogo sono state svolte
alcune interviste a soggetti che si sono distinti per voce pubblica e iniziative a Treviso.
Coloro i quali non è stato possibile raggiungere per molteplici problematiche, si sono
individuati attraverso lo studio della stampa locale.
Prima di raffigurare il campo di battaglia locale si è fatto un breve excursus sulla storia
politica del Veneto e di Treviso, andando a chiarire il concetto di “subcultura bianca”.
Il concetto di “subcultura” venne introdotto da uno studio promosso dall’Istituto
Cattaneo di Bologna negli anni Sessanta (Galli G. et al. 1968), che indagava i dati
elettorali italiani. Per comprendere i comportamenti elettorali degli italiani gli studiosi
divisero la penisola in sei zone, alcune delle quali risultarono particolarmente schierate:
il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia privilegiavano la Democrazia Cristiana (subcultura
bianca) mentre Toscana ed Emilia il Partito Comunista Italiano (subcultura rossa).
La subcultura bianca è caratterizzata da presenza preponderante della Chiesa nella
società e un localismo antistatalista con poca fiducia dei confronti delle istituzioni
centrali174
.
Per questa ragione dal crollo della Democrazia Cristiana, la Lega ha avuto in questa
regione, ampio seguito, proponendosi come partito anti-establishment e anti-europeista.
Anche se non gode della stessa fiducia incondizionata rivolta alla Democrazia Cristiana
la Lega ha saputo farsi porta voce di alcuni elementi caratterizzanti del territorio quali:
la rilevanza della famiglia, l’importanza delle autorità clericali, la sfiducia verso il
governo centrale e il forte localismo.
174
http://www.largine.it/index.php/leredita-dei-territori-e-il-futuro-della-politica/
112
Treviso dal canto suo, ha sempre risposto alle logiche regionali in fatto di elezioni,
governata da giunte di Democrazia Cristiana fino al suo crollo, ha visto
successivamente l’imperversare di sindaci della Lega con una piccola eccezione dal
2013-2018, in cui vi è stata una giunta del Partito Democratico.
Alla luce del quadro istituzionale proposto si è poi inserita la ricerca vera e propria e la
ricostruzione del campo di battaglia. Di fatto, ciò che ha riguardato il piano locale
trevigiano non si è discostato dall’analisi proposta da Ambrosini e Campomori (2018).
Dopo la “crisi dei rifugiati” del 2014 il sistema di accoglienza è stato maggiormente
strutturato in una precisa divisione di responsabilità tra i livelli di governo (l.142/2015).
Nonostante ciò, sono aumentati i conflitti istituzionali in particolare coinvolgendo il
livello centrale e il livello comunale (Campomori F. 2018c, 10). A Treviso, come in
altre zone d’Italia, si sono verificati scontri tra l’ente pubblico e la Prefettura, per
l’apertura dei CAS. Il comune vedendosi bypassato dalla Prefettura e non coinvolto
nella regia dell’accoglienza, ha più volte manifestato dissenso rispetto a quella modalità
di ricezione dei richiedenti asilo soprattutto in riferimento ad un grande hub, l’ex
Caserma Serena.
La dimensione di governance orizzontale, invece, quella che comprende le relazioni tra
attori pubblici e privati presentano una elevata variabilità riconducibile ai differenti
attori e al loro peso nella scena locale. Ad esempio, è emerso che alcuni soggetti del
terzo settore hanno cercato di lavorare favorendo un approccio di cooperazione tra loro
(RTI) poiché avevano frames simili. Lo stesso per le associazioni di volontariato, che
hanno costituito un tavolo di lavoro presso il CSV per proporre iniziative sul tema e
destinate a richiedenti asilo, ma non coordinandosi tra loro rispetto ai servizi proposti
singolarmente (es. più associazioni si occupano di insegnamento della lingua).
I progetti di post-accoglienza, inoltre, sono prova di un coordinamento tra attori
pubblici e privati che ha la necessità di essere maggiormente implementato,
considerando che l’unico progetto promosso sul territorio è “Rifugiato a Casa Mia”.
Affinché questo tipo di iniziative diano vita ad un nuovo tipo di advocacy, sarebbe
necessario rendere maggiormente efficace la governance “aprire nuovi spazi di
collaborazione in tutta la filiera dell’intervento, dalla progettazione al controllo di
efficacia” (Sgritta in Campomori F & Feraco M. 2018, 154). Caritas ha deciso di aprire
113
la possibilità di parteciparvi anche ai rifugiati non accolti direttamente da loro, ma anche
coloro i quali vivono presso CAS delle altre realtà dell’RTI.
Questo elemento rappresenta di per sé un’apertura verso altri attori, tuttavia, ad oggi ci
sono famiglie e parrocchie disponibili ad accogliere ma nessun candidato.
Non tutti i titolari di status possono accedere al progetto, vi sono dei criteri precisi,
tuttavia, un coordinamento con altre realtà che accolgono e uno scambio di informazioni
funzionale, potrebbero aprire la possibilità di un progetto oltre l’accoglienza
istituzionale ad un maggior numero di beneficiari.
La recente modifica normativa (d.l. 113/2018) riguardo il tema della richiesta d’asilo e
rifugiati sta andando a creare delle nuove dinamiche all’interno del campo di battaglia
qui mappato. Probabilmente questo decreto andrà ad esasperare alcune tensioni già
presenti (Campomori F. 2018c, 10), sia per quanto riguarda la dimensione verticale di
governance che quella orizzontale.
A Treviso alcune conseguenze sono già in atto. Il nuovo capitolato che diminuisce
radicalmente i finanziamenti pro capite (i famosi 35 euro al giorno), andando a
ridimensionare di molto gli standard dell’accoglienza ha fatto desistere alcune delle
esperienze di accoglienza diffusa presenti nel territorio nel continuare i progetti di
accoglienza (Caritas Vittorio Veneto, Caritas Tarvisina e la Cooperativa LaEsse).
Il referente per gli enti attuatori dello SPRAR a Treviso teme che si andrà in contro ad
una possibile presenza di posti vuoti, poiché ora non possono più accedere al servizio
richiedenti asilo né titolari di protezione umanitaria, che è stata abolita.
Queste considerazioni sul piano locale, in cui l’accoglienza viene implementata, si
inserisce in un quadro più ambio di sempre maggior chiusura rispetto al tema. È
necessario tenere conto del progressivo irrigidimento italiano ma anche dell’UE, per
quanto concerne l’accoglienza degli immigrati che molto probabilmente ricadrà, come
sta già succedendo, sulle modifiche apportate al sistema.
Questo lavoro di ricerca lascia aperte alcune questioni: lo studio maggiormente
approfondito delle modifiche del “campo di battaglia” attuale, a seguito della nuova
legge (d.l. 113/2018), e il confronto con altre realtà locali italiane. Infatti, l’inserimento
di quanto emerso nel trevigiano, confrontato con altre realtà, potrebbe dare maggior
vigore al concetto di “campo di battaglia” e verificherebbe il suo potenziale
114
esplicativo175
(Ambrosini M & Campomori F 2018, 9). Paragonando quanto attuato nel
trevigiano con un’altra realtà si potrebbe comprendere meglio come le politiche siano
anche il risultato delle interazioni tra vari attori, in contesti dove i rapporti tra
stakeholders vivono dinamiche diverse rispetto a quelle qui rappresentate le condizioni
di vita dei richiedenti asilo e rifugiati potrebbero essere diverse, nonostante una
normativa nazionale che dovrebbe unificare i sistemi di accoglienza.
175
Traduzione mia
115
APPENDICE A: interviste
Intervista 1: Comune di Treviso
Data: 31 dicembre 2018
“In materia di accoglienza asilo il comune con quali soggetti si relaziona e perché?
Prefettura.. / Questura… / enti gestori.. / Commissione territoriale.. / altri...”
“Sicuramente con la Prefettura che ha la titolarità in materia di immigrazione. Poi
abbiamo gli enti gestori, o meglio il nostro ente gestore che in questo momento è la
Cooperativa Laesse con Una Casa per l’Uomo. Però anche con altre poi ci si confronta
per le problematiche esistenti. Come ad esempio Nova Facility, a suo tempo anche la
realtà che si era creata in via Castellana, Casa Rosa. E poi la provincia però per quanto
attiene agli eventuali inserimenti lavorativi. E alcune cooperative del territorio nostro
prevalentemente. Questi sono gli attori principali, diciamo. E in caso estremo anche con
la questura. Poi ci relazioniamo con il CPIA per l’insegnamento della lingua, che
secondo noi andrebbe potenziata ma quello più o meno era lo standard.”
“Cosa intende per le cooperative nel nostro territorio? Che tipo di cooperative?”
“Le cooperative più che altro per gli inserimenti lavorativi, lo studio dell’italiano, per
diciamo aiuti di questo tipo, in sostanza.”
“Di quali cooperative si parla?”
“Ad esempio, cooperativa Ambiente. Abbiamo anche avuto relazioni con associazioni
del territorio. Abbiamo fatto un protocollo specifico con quella cooperativa che si
occupa di trasporto anche di persone anziani, l’ANTEAS. Prevalentemente queste. Poi
c’è il Centro Per l’Impiego, l’ufficio scolastico.”
“Definirebbe questi rapporti positivi?”
“Si molto.”
“Anche con istituzioni, ovvero Prefettura e Questura?”
“Si. Devo dire che i rapporti sono stati costruttivi con tutti, i risultati non sono sempre
stati, diciamo, soddisfacenti. Però devo dire che problemi di chiusure non ci sono state.”
“Quando è stato attivato lo SPRAR a Treviso?”
“Noi siamo partiti a luglio 2016 con un’attività che però abbiamo iniziato a mettere in
cantiere a novembre 2015, casino boreale, ma insomma. Perché per noi era una cosa
completamente nuova e quindi abbiamo dovuto mettere in piedi tutta la procedura
116
amministrativa per arrivare poi alla rete dei comuni, affidamento dell’incarico e
quant’altro.”
“Come mai è stata fatta questa scelta, di attivare lo SPRAR?”
“Perché l’alternativa era comunque subire una situazione che veniva dall’alto. Nel senso
che in quel periodo c’erano tutti quei famosi sbarchi, arrivi, quant’altro, e la Prefettura
ci comunicava uno giorno si, l’altro anche, che arrivava sempre qualcuno da inserire.
L’unico sistema che ancora oggi è valido per avere la regia della situazione è
effettivamente lo SPRAR. Perché è il comune che effettivamente accoglie, senza
doverselo subire dall’alto, come succede magari in altri casi. Quindi la scelta era quella
di cercare di avere la regia e cercare di attivare una sorta di integrazione, cosa non
facile, ma insomma..”
“Attualmente quanti posti ha?”
“49”
“E sono tutti a Treviso?”
“No, 28 a Treviso. Gli altri sono a Ponzano Veneto, Monastier e Mogliano Veneto. La
gran parte qui a Treviso comunque”
“Ma sono laEsse ed Una Casa per l’Uomo, come enti attuatori, ad aver pensato di
porre appartamenti fuori comune?”
“No, a Treviso è nata una rete che ha visto la partecipazione di dieci comuni del
territorio. Poi, in realtà, la rete è stata abbastanza fittizia. Cioè la rete vera è tra i comuni
che accolgono, gli altri comuni hanno cercato all’inizio, ma alla fine non sono riusciti a
fare nulla. Però la rete era formata da dieci comuni limitrofi e si voleva un po’ che tutti
mettessero la loro parte, solo che alla fine si è riuscito a farlo solo con alcuni di questi
comuni.”
“Quindi di fatto, adesso, i 49 posti vengono gestiti da Una Casa Per L’Uomo,
LaEsse e voi come comune o anche gli altri?”
“sisi anche gli altri comuni, perché al livello sociale ogni comune si occupa dei propri.
Quindi noi seguiamo i 28 posti su Treviso. Poi in realtà è più l’ente gestore in prima
linea, noi interveniamo in caso di problematiche particolari, o questioni amministrative,
rendicontazioni e quant’altro.”
“Sono sempre stati 28 i posti a Treviso o sono cambiati nel corso degli anni?”
117
“No siamo partiti con pochi e siamo arrivati solo a fine del 2016 a raggiungere questa
quota, non è stato facilissimo. Siamo partiti con Treviso e poi ci siamo allargati con gli
altri comuni.”
“C’è mai stata una riflessione politica volta ad aumentare i posti nello SPRAR a
Treviso, o fare come si pensava a Bologna di trasformare tutti i CAS in SPRAR?”
“Si, assolutamente. Però non è stato possibile. Abbiamo fatto questo tentativo quando è
entrata in vigore quella specie di normativa o interpretazione che consentiva la
trasformazione di CAS in SPRAR. Però non è mai stata così semplice da attuare perché
comunque non era un passaggio automatico, bisognava fare le gare, occorreva chiede al
Ministero autorizzazioni e quant’altro. Alla fine, non si è fatto nulla. È intervenuta, poi,
anche la circostanza che sono diminuiti comunque gli arrivi. Questa cosa ci ha un po’
agevolato, però stavamo pensando anche noi di aumentare, senza dubbio.”
“Com’è stato l’avvio della gestione SPRAR dal punto di vista amministrativo e
delle relazioni con gli enti gestori? Adesso com’è la situazione secondo lei: è un
sistema efficiente? Come sono i rapporti tra il comune e gli enti gestori e come si
sono evoluti nel corso degli anni?”
“Le relazioni con gli enti gestori ottime. Dal punto di vista amministrativo non semplice
proprio perché era una cosa nuova. Nel giro di qualche mese ci siamo allineati e poi la
cosa è andata via dritta. Senza problemi. Il sistema è assolutamente efficiente.
Funziona.”
“Che opinione ha delle modifiche a cui sarà sottoposto?”
“Non ho ancora letto molto. Bisognerà vedere le ricadute pratiche ed effettive che ci
spaventano un po’. Bisognerà vedere se effettivamente ci troveremo con un po’ di gente
per la strada o no. Questo è da vedere. Perché quando scadono i famosi tempi per
l’accoglienza, parlo soprattutto di CAS, il rischio è che gli accolti non sappiano dove
andare. La situazione per il momento è sotto controllo, ci parlano di febbraio-marzo,
come periodo in cui potrebbe esserci qualche problematica.”
“i rifugiati con permesso umanitario accolti nello SPRAR, sono stati fatti uscire?”
“Adesso come monitoraggio non abbiamo situazioni di permessi umanitari. Però so che
la questione potrà verificarsi”
“gli enti gestori competenti sono sempre stati LaEsse e Una Casa Per L’Uomo?”
“si”
118
“Avviare lo SPRAR è stata una decisione contesa al livello politico?”
“Qui la maggioranza era compatta. È cominciata con la Giunta Manildo, l’allora
Assessore Cabino ha portato avanti questa iniziativa. Contestazioni, all’inizio ci sono
state, chiaramente l’opposizione un po’ si è mossa, c’è stata qualche manifestazione
effettivamente anche contraria. Però poi quando tutta la cosa è partita si è disinnescato
un po’ tutto.”
“Ma manifestazioni da parte di chi?”
“Da parte dei residenti delle zone in cui c’erano le accoglienze però poca cosa. Quando
sono entrate le persone, siccome son tutte molto controllate, c’è “presenza nostra”, o
comunque dell’ente gestore alla fine non è mai successo nulla.”
“Quali forze politiche sono contrarie e favorevoli allo SPRAR a Treviso?”
“Accademicamente si può dire che la parte della destra è contraria, e la parte della
sinistra è a favore.”
“Ma con la Giunta e sindaco della Lega qualcosa è cambiato?’”
“No. Aldilà delle opinioni al livello amministrativo, la parte che seguo io, non è
cambiato nulla, anche perché c’è un appalto in corso, valido fino al 2020.”
“Quali attori del privato sociale/volontariato/collettivi sono rilevanti riguardo il
sistema di protezione a Treviso, ovvero chi tra di loro suscita un dibattito pubblico
e /o forniscono servizi concreti ai richiedenti asilo?”
“Le cooperative e associazioni di cui ho parlato prima sono tutte apertamente
favorevoli. Anche se sicuramente qualcuna mi sfugge. Anche la CIGL, che prima non
ho nominato, ha avuto e ha un ruolo importante è apertamente a favore. Diversamente
non ho memoria al momento di manifestazioni contrarie, come dire, plateali, o forti.
Prevalentemente le manifestazioni di opinioni riguardano di più i CAS non lo SPRAR.
Lo SPRAR in realtà è sempre rimasto sottotraccia, sia perché i numeri sono bassi, sia
perché di problemi non ce ne sono mai stati.”
“Come si posizione l’opinione pubblica di fronte alla crisi dei rifugiati? Ci sono
stati episodi espliciti di intolleranza o, al contrario, esplicite manifestazioni di
solidarietà?”
“Non ci sono stati né episodi di intolleranza né di solidarietà.”
“Quali sono i problemi più rilevanti per lo SPRAR a suo parere?”
119
“Secondo me è l’effettiva integrazione della persona che abbandona lo SPRAR dopo 6
mesi, che è circa la durata dell’inserimento in SPRAR, poi ognuno deve andare. So che
qualcuno è riuscito effettivamente ad integrarsi con due principali attività lavorative:
quella di cameriere e pizzaiolo. So di qualche altro che si è allontanato da Treviso,
sicuramente con un patrimonio di conoscenze, come la lingua, più corposo rispetto a
quando è arrivato.”
“Che rapporti ci sono tra il comune e gli enti gestori dei CAS: li definirebbe di
positiva collaborazione o conflittuali?”
“C’erano più rapporti quando c’era effettivamente l’emergenza degli arrivi. Comunque
ci sono stati e ci sono, in genere poi fa da mediazione la Prefettura, che convoca
abbastanza spesso dei tavoli a cui vengono quasi tutti. Quindi nessun problema nei
rapporti. Tra i CAS con cui ci è capitato di confrontarci di più Nova Facility per la
Caserma Serena, Casa Rosa, poi HILAL che il Ferro Hotel, LaEsse che gestisce alcuni
CAS, Caritas.”
“Quindi quando ci sono state le residenze da fare di Nova Facility si sono rivolti a
voi?”
“Si per tutto quello che riguarda le procedure amministrative si sono rivolti a noi. Poi
per carità è interessata anche la zona di Casier come posizione della Caserma”
“Secondo voi gli enti gestori sono competenti?”
“Alcuni si, altri meno.”
“che tipo di problematiche sono insorte?”
“Da parte nostra nessuna, da parte della Prefettura qualcuna, che ha dato il via ad
ispezioni e verifiche”
“Quindi dialogate costantemente con la Prefettura?”
“Assolutamente”
“Quindi i rapporti soprattutto in quest’anno (2018) non sono stati difficili?”
“Da parte nostra no, perché siamo sempre stati un comune collaborativo con qualche
altro comune c’è stato qualche problema. Parlo della Prefettura con la vecchia gestione,
non so ora che la Prefetta e alcuni dirigenti sono cambiati. Il problema si è un po’
sgonfiato, ed è più facile da gestire. Ma due anni fa non lo era.”
“C’è una forma di coordinamento tra voi e la prefettura rispetto all’attivazione dei
CAS?”
120
“No. Un tempo venivano coinvolti i comuni per vedere se riuscivano a collocare i nuovi
arrivati senza che la Prefettura dovesse attivare nuovi CAS. Questa era la specie di
trattative che veniva intavolata. Nel senso che si diceva “Guardate che se voi non
accogliete, queste persone arrivano io le devo mettere da qualche parte.”
“Esiste una riflessione nel comune con/ o negli enti gestori riguardo ai percorsi di
post accoglienza?”
“Ci sono percorsi, i rapporti vengono mantenuti anche dopo i sei mesi tranquillamente,
anche se poi formalmente decade l’ospitalità vera e propria. Però comunque i rapporti
vengono mantenuti. Non con tutti, con qualcuno si.”
“Può stimare quanto dura in media un’accoglienza nello SPRAR a Treviso e chi vi
accede?”
“6 mesi, meno nel caso in cui la persona decida di andare via”
“Sono solo uomini?”
“No anche donne. Abbiamo 11 donne. 5 a Treviso.”
“In che tempi ci si aggiornerà alla legge 1 dicembre 2018, n.132 (Decreto
Sicurezza)?”
“Febbraio, marzo”
“Lei cosa pensa del funzionamento dello SPRAR così com’è ora? E che opinione ha
dei cambiamenti a cui sarà sottoposto?”
“Non posso che avere un’opinione positiva. Sicuramente è una forma di accoglienza
impegnativa. Più impegnativa rispetto al CAS però con dei risultati migliori. Posso
anche dire che magari è costosa. Però effettivamente il problema c’era e quindi
rappresenta una risposta che doveva essere data. Come comune non c’è nessun costo,
ma come cittadino ci sono tasse alla fin fine. Per i cambiamenti a cui sarà sottoposto il
sistema d’accoglienza, sono preoccupato di più per le persone in uscita dai CAS, che
rischiano maggiormente di trovarsi in una situazione di irregolarità. Per quanto riguarda
lo SPRAR il futuro non è particolarmente roseo, ma abbiamo ancora due anni davanti,
vedremo come va.”
“Riuscite ad offrire un tirocinio lavorativo ai richiedenti asilo dello SPRAR? Se si,
avete convenzioni/relazioni con realtà in particolare? Il centro per l’impiego
aiuta?”
121
“Si. CGIL, ANTEAS, CSV, I CARE, associazioni del territorio in pratica che si
occupano di volontariato ma che offrono anche qualche inserimento lavorativo, o stage.
Con La Provincia tramite il Centro per l’impiego si attivano inserimenti lavorativi che
non tutti poi si trasformano in attività vere e proprie. Ma c’è una parte formativa. Quello
si.”
“Quante persone ci sono fuori dall’accoglienza e perché secondo lei?”
“Non saprei dirle. C’ è stato solo un caso di due ragazze, che sono state ri-assorbite
dentro un ulteriore CAS. Non avevano titolo, sono uscite, si sono appoggiate al
dormitorio della Caritas per un mese, e poi re-inserite in un altro CAS.”
“L’area emergenze (senza fissa dimora) del comune è interessata da richiedenti
asilo e rifugiati usciti dalle accoglienze? Da quando Treviso accoglie (2014) ha visto
un incrementarsi dell’area emergenze?”
“Qualche contatto in più sicuramente c’è stato, non un cambiamento esponenziale ma
qualche accesso in più si, sicuramente, per informazioni, qualche richiesta vaga di
contributo economico. Non qualcosa di preoccupante però. Quello sicuramente,
specialmente nel momento che va dall’uscita ad una nuova destinazione.”
“Ora non è più possibile fare la carta d’identità?”
“Si”
“Ma invece quello che ha riguardato la zona Appiani, erano tutti rifugiati o
richiedenti asilo?”
“Si, abbiamo avuto qualche problema l’anno scorso, abbiamo risolto con una forma di
ospitalità, per così dire, non accoglienza, per i mesi invernali, poi teoricamente se ne
sono anche andati da quello che ne so.”
“Di quante persone parliamo”
“Quaranta”
“Non poche per una zona come Treviso, pensando ai numeri disponibili nei
dormitori”
“Sono tanti. Ed erano quelli usciti o boh, situazioni un po’ strane, non avevamo una
mappatura precisa. Fatto sta che effettivamente tra il freddo e tutto, erano lì sotto che
dormivano. Già la situazione non era particolarmente igienica, c’era il pericolo che
qualcuno stesse male.”
“Non ci sono adesso situazioni simili?”
122
“No. Almeno per ora, dopo non so. Vediamo l’impatto di questo decreto ma cose così
no”
“Il cambiamento di Giunta non ha cambiato l’aria che si respira in città da questo
punto di vista?”
“Forse un po’, nel senso che c’è maggiore attenzione ai comportamenti in città. Però è
anche vero che le persone sono dimezzate rispetto a quelle che c’erano un tempo. Anche
la stessa Caserma ha dei numeri molto inferiori. Il fenomeno quindi è più controllabile
rispetto ad un tempo. Però se vogliamo c’è maggiore attenzione al rispetto delle regole
di convivenza.”
“So che di recente è stata attuata l’ordinanza per il decoro urbano”
“Si contro i bivacchi, le soste moleste, non l’abbiamo fatta noi come ufficio, ma l’ho
letta. Vale per tutti ovviamente, perché in certe zone della città, e non si tratta solo di
profughi o richiedenti asilo, c’era qualche assembramento di persone che bevevano o
simili, e so che lì hanno cercato di mettere un po’ d’ordine. Non so con che risultati.
Qualcuno è stato pizzicato.”
“Movimenti come Casapound e Forza Nuova sono attivi a Treviso?”
“che sappia io no. Mai stati nemmeno in precedenza.”
“c’è stata anche una candidata sindaca alle ultime elezioni. Lei direbbe in ogni
caso che c’è un po’ di indifferenza a riguardo?”
“Sì, o anche accettazione. Nel senso che il problema esiste. Piuttosto che vedere la gente
in giro si preferisce che siano da qualche parte. Per lo meno sono controllati, monitorati
etc. per come la vedo io. Perché alternative, francamente, non ce ne erano a suo tempo.
In realtà non è che il comune chiedeva “potete inviare 300 profughi?” No. Arrivano
direttamente da Roma in Prefettura. Mi ricordo le corriere, perché andavano a Villorba.
Poi tornavano indietro. Non era una situazione molto simpatica. Mi ricordo i primi anni,
ancora prima che attivassimo lo SPRAR, era successo quel fatto, che era arrivata in
piazza Duomo una corriera, di circa 25 profughi, che non sapevano dove andare. Lì
fermi.”
123
Intervista 2: Caritas Tarvisina per la parte CAS
Data: 3 dicembre 2018
“In materia di accoglienza asilo i CAS con quali soggetti si relazionano e perché?
(Che tipo di scambi sia formali che informali)
1. Prefettura..”
“Ovviamente è un rapporto formale, nel senso che essendo l’istituzione deputata per
l’accoglienza richiedenti asilo. Di fatto demanda a noi la gestione diretta tramite il
bando di gara pubblicato annualmente per la gestione dei CAS. Rapporti formali nel
senso che dalla Prefettura ci arrivano tutte le indicazioni circa il regolamento e le norme
a cui dobbiamo tendere all’interno dei centri accoglienza, le indicazioni per la
rendicontazione e insomma tutto quello che concerne un po’ la vita più istituzionale,
mettiamola così, all’interno dei Centri di accoglienza.”
“Si sa niente per il nuovo anno’”
“No c’è ancora grande incertezza. E un grande punto di domanda, perché anche la
settimana scorsa ero ad una riunione con le altre cooperative al posto di don Davide
(direttore di Caritas Tarvisina). E si. C’è un grande punto di domanda. Nel senso che
non si sa come sarà il bando. Si parla di un bando nazionale uguale per tutte le
prefetture. Sulla cifra non si sa ancora, cosa che, penso, con oggi si sbloccherà
qualcosa.”
“Quindi voi accogliete nei CAS con lo status quo finché non uscirà il nuovo bando”
“Chiaro, si andrà in proroga per il prossimo anno. Perché di fatto siamo al 3 dicembre e
non è ancora uscito niente e i tempi delle prefetture…ora che emanino il bando, aprano
le buste etc. Hanno i loro tempi”
“Con che personalità vi relazionate”
“La dott.ssa Nicotra dirigente aria 4. Dott.ssa Soligo che è una collaboratrice e la
dott.ssa Tartaglia che ha cominciato ad occuparsi dello Sprar. E la De Santi fa da
supervisore delle relazioni inviate mensilmente”
2. Questura…
“Con la questura ci relazioniamo per quanto riguarda sempre rapporti formali. Con il
capo dell’ufficio immigrazione la dott.ssa Serrao e tre/quattro funzionari che sono
dedicati all’area immigrazione. Ci relazioniamo per quanto riguarda tutto quello che
concerne l’iter per la richiesta d’asilo: dalla formalizzazione della domanda, quindi con
124
il fotosegnalamento, impronte digitali e poi con la conferma del modello C3. Al rilascio
dei permessi di soggiorno per richiesta asilo, quindi per motivi temporanei. Nel caso ci
siano particolari urgenze nel rinnovo dei permessi di soggiorno e poi nel caso di
ottenimento della protezione per quanto riguarda il rilascio del documento elettronico. È
saltata, adesso la parte riguardante la commissione e la notifica delle convocazioni e
degli esiti. Perché appunto da adesso. Dal 10 settembre (2018) siamo direttamente noi
enti gestori a notificare. Quindi la commissione invia direttamente a noi sia la lettera di
convocazione, sia il decreto.”
3. Comune
“Con il comune non ci sono grandi interazioni di fatto se non per quanto riguarda la
questione delle residenze. Ovvero la richiesta di iscrizione anagrafica, diciamo.
Un po’ più di collaborazione c’è con il comune di Istrana dove c’è l’altro CAS. In
quanto fino al precedente sindaco, quindi fino a qualche mese fa insomma, c’era un
rapporto abbastanza stretto. Nel senso che al comune di Istrana vengono inviate
annualmente delle relazioni, anche di più, due volte l’anno. Delle relazioni di
aggiornamento circa l’andamento del centro. A Treviso no.
“Al momento c’è la prima accoglienza ad Istrana che ha 20 posti e poi a Treviso?”
“Si a Treviso, una sola casa da 10 posti. Poi di fatto è caduta un po’ la divisione prima-
seconda accoglienza perché i ragazzi che abbiamo sono qui da minimo un anno. Nel
senso che da ottobre dell’anno scorso non abbiamo più avuto nuovi invii da sbarchi”
4. Enti gestori che non facciano parte dell’RTI o RAD
“No.”
“Caserma Serena?”
“No. Rapporti minimi solo quando ci sono stati degli invii per gli anni passati di ospiti,
di accolti presso la Caserma Serena trasferiti presso i nostri centri, come per la
cooperativa Hilal stessa cosa. Ma oltre a questo niente.
5. Altri...
“Centro per l’impiego e la Città dei Mestieri per quello che riguarda l’iscrizione di fatto,
la firma del patto di servizio. Quindi l’accesso ai servizi che loro offrono. Per quanto
riguarda il CPI e la Città dei Mestieri è stata più una collaborazione, che continua
ancora, per quanto riguarda la formazione che loro fanno per la ricerca attiva lavoro. La
125
Città dei Mestieri invia settimanalmente, circa, un resoconto dei corsi in partenza
finanziati dalla Regione Veneto o insomma da altri enti e istituti.
Poi con le ACLI ormai è da tre anni che è stato attivato un progetto per la vendemmia;
di cui le ACLI erano un po’ il capofila quindi sono stati inseriti dei richiedenti asilo
all’interno. Sono stati inseriti alcuni anche all’interno del bilancio di competenze. Per
degli ospiti accolti negli anni passati sono stati fatti proprio degli incontri con un
impiegato di fatto delle ACLI sul bilancio di competenze e qualcosina anche sulla
questione del 7 e 30, modello unico, per chi lavorava. Ci hanno supportato. Sono stati
casi singoli ma di fatto è una collaborazione attiva.
ASCOM abbiamo una collaborazione circa tirocini formativi nel senso che alcune
aziende iscritte all’ASCOM si appoggiano per attivare dei tirocini formativi, quindi
l’ASCOM diventa il referente e la parte che fa parte del tutoraggio. Anche il CPI, stessa
cosa.
Con l’agenzia Atena SPA abbiamo una collaborazione, ci informano di eventuali loro
corsi in partenza, in particolare sulla sicurezza sul lavoro gratuiti. In cui abbiamo
inserito alcuni ospiti. È una agenzia per il lavoro e anche formazione. Stessa cosa per i
corsi sulla sicurezza sul lavoro con il CSV che attiva dei corsi con la Confartigianato di
Treviso.
CPIA per l’italiano. Attualmente ci sono 8 ospiti che frequentano la scuola di italiano
due volte a settimana con il CPIA e fanno 4 ore circa. E fanno altre 4 ore, circa, con una
insegnante (Con contratto di prestazione occasionale) qui in Caritas con gruppi divisi
per livello. Principalmente A1 e A2. All’interno delle strutture ci sono poi dei volontari
che vanno a potenziare l’italiano. E abbiamo altri 4 ragazzi iscritti alla terza media.
CPIA quindi per tutto ciò che riguarda l’insegnamento della lingua italiana.”
“Rapporti con associazioni di volontariato tipo Civico 63?”
“Non diretti. Qualche ospite (pochi in realtà) può essere che vadano a quello che
organizzano ma a titolo individuale. Non partecipiamo come ente gestore. Stessa cosa
anche per Talking Hands e il Django.”
“Mi ricordo di una formazione con l’OIM (2017) avvenuta in Caritas Tarvisina
per quanto riguarda il rimpatrio assistito…avete rapporti costanti ancora aperti?”
“Costanti no, ma il rapporto rimane. Con l’OIM e anche con il progetto Nave per quanto
riguarda la questione della tratta e dello sfruttamento in misura minore. E abbiamo
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attivato qualche settimana fa una collaborazione con un’associazione di poliziotti in
pensione per una formazione sull’educazione stradale.” (Corso di educazione stradale e
civica per richiedenti asilo con l’associazione IPA International Police Association.
Delegazione del veneto)
“Aperto a tutti i CAS o solo a Caritas?”
“Allora loro stanno girando diversi CAS. Sono in convenzione, penso, con la Prefettura
di Treviso e anche con il Comune hanno fatto corsi in Caserma Serena e mi sembra
anche alla Zanusso. Quindi stanno girando nelle zone. Noi poi abbiamo fatto un accordo
con loro e hanno fatto un incontro teorico e uno pratico nei CAS, si ipotizza di farlo
anche per la marginalità.”
“Questi rapporti si possono considerare di positiva collaborazione o conflittuali?”
“In generale questi sono tutti rapporti positivi, in linea di massima. Ovvio che con la
Prefettura a volte…le linee che detta la Prefettura non sono le linee che vorremmo
adottare all’interno delle nostre accoglienze. Ora ancora di più, vedremo cosa succederà
con il nuovo bando. Però di fatto l’ottica della Prefettura è sempre stata quella di uno
stretto controllo. Molto puntata alla sicurezza. E per noi invece contano molto le attività
di integrazione e inserimento nel territorio che a volte sono limitate dal regolamento
della Prefettura. Non rapporti conflittuali ma a volte si, Ci sono un po’ di divergenze di
prospettiva. Però collaborazione proficua. Nel senso che per eventi extra c’è sempre
stata, ci ha appoggiato. Tra le collaborazioni citerei anche la Treviso Atletica, per
quanto riguarda la Treviso in Rosa.”
“Quando sono stati aperti i CAS di Caritas? Quanti erano all’inizio e quanti sono
ora? Perché sono diminuiti?”
“Primo CAS è stato aperto nel 2014 ad Istrana. Tra marzo e aprile. Diciamo che un po’
la storia dell’accoglienza in Caritas nasce nel 2011 con una prima forma di accoglienza
a seguito delle Primavere Arabe e del conflitto in Libia. Con l’Emergenza Nord Africa.
Le persone, in quel caso, sono state accolte proprio qui, nella sede di Caritas in una
parte di Casa della Carità. Sono stati accolti 39 ospiti arrivati appunto dalla Libia, ma di
origine dell’Africa Sub-sahariana. 39 ospiti più una famiglia. È stata un’esperienza di
circa un anno e mezzo e poi si è conclusa anche a seguito di una sanatoria con cui tutti
avevano ottenuto un permesso di soggiorno e hanno preso le loro strade. Dopo quella
pausa lì, si è ri-attivata l’accoglienza, appunto, nel 2014 con l’apertura di Istrana. E tra il
127
2015 e il 2016 sono andati a crescere le strutture di accoglienza proprio a fronte di un
forte numero di arrivi in Italia, e di una forte emergenza nella primissima accoglienza
non si sapeva dove ospitare queste persone. Quindi Istrana, poi tra fine 2014 inizio 2015
sono stati aperti il CAS di Viale Verdi (Treviso) e Frescada (Preganziol) e di Maser. A
luglio 2015 sono stati aperti i CAS di Olmi di San Biagio Di Callalta e di Onè di Fonte.
E verso la fine del 2015 (ottobre-dicembre) i CAS di Paderno e Povegliano. Fine 2014-
inizio 2015 anche il Pio X (Treviso). Quindi a fine 2015 eravamo arrivati ad avere in
accoglienza circa 200 persone, poco meno. 190 mi sembra. Dopodiché, per questioni
logistiche sono stati chiusi a fine 2015-inizio 2016 i due CAS di Onè di Fonte e di
Maser e aperta la struttura di Oblati (Treviso). E diciamo che per il 2016 e tutto il 2017
quella è stata la situazione, con quegli 8 centri di accoglienza. 150/130 persone. In quel
periodo lì, si è deciso di strutturare l’accoglienza in prima e seconda accoglienza.
Quindi tre CAS (Istrana, Viale Verdi, Olmi) dedicati alla prima accoglienza. Quindi a
tutta una fase iniziale che riguarda la prima fase di accoglienza per chi arrivava dagli
sbarchi. O eventualmente per chi arrivava, in misura molto minore, dalla rotta balcanica.
E quindi si parla proprio della primissima accoglienza: l’avvio dell’iter della richiesta
d’asilo, corsi di italiano, primo inserimento nel tessuto del territorio. A seguito poi di un
percorso positivo all’interno del centro accoglienza, da parte anche dell’ospite di
un’acquisizione di un certo grado di autonomia, sia nella lingua, sia di accesso ai
servizi, si poteva ipotizzare il trasferimento presso le strutture di seconda accoglienza.
Frescada, S. Pio X, Paderno, Povegliano, Oblati. La seconda accoglienza più orientata
appunto, sempre sul potenziamento dell’italiano, con corsi di terza media o
eventualmente con corsi di istruzione superiore. E dall’altra parte corsi di formazione
professionale o di inserimento nel mondo del lavoro. quindi quello step in più.”
“Per il passaggio dalla prima alla seconda non era necessario uno status
giuridico?”
“No, anche perché una volta ottenuto solo nel caso dell’umanitaria (avevi trenta giorni)
potevi rimanere all’interno delle accoglienze. Altrimenti in caso contrario, una volta
ottenuta la protezione dovevi uscire dall’accoglienza. E all’epoca era prevista
l’accoglienza fino al ricorso. Se in ricorso la persona otteneva la protezione doveva
uscire dal centro. Se otteneva il diniego e decideva di fare appello doveva uscire
dall’accoglienza. Questa cosa è stata cambiata ad inizio 2018 dove la Prefettura ha
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emanato una circolare in cui diceva che l’accoglienza era estesa anche a coloro che
facevano appello. Fino alla Cassazione, con riserva, mi sembra.”
“E poi si è deciso di chiudere alcune case, quali e perché”
“Con il bando del 2018, entrato in vigore il 1° maggio del 2018. Si è deciso appunto di
andare a chiudere una serie di strutture d’accoglienza per due motivi principali.
Perché nel territorio erano cresciute altre esperienze di altri enti gestori che si erano
attivati nella accoglienza richiedenti asilo. Se negli ultimi anni c’era un’effettiva
emergenza di posti e di non saper collocare le persone che arrivavano dalla rotta
mediterranea o balcanica, due anni dopo questa emergenza non c’era più, proprio perché
si era creata una rete di accoglienza con modi diversi (per carità) ma dove veniva
assicurata l’accoglienza a chi arrivava dagli sbarchi. E questa è una prima scelta. Non
più effettiva emergenza di collocare chi arriva in Italia.
Dovuta al fatto che l’emergenza attuale, appunto, non è tanto più di accogliere chi arriva
dagli sbarchi, perché c’è stata una diminuzione degli arrivi anche in maniera abbastanza
drastica, ma riguarda la questione del post accoglienza. Ossia di chi esce dai centri di
accoglienza, o perché ha ottenuto la protezione, o per altri motivi, insomma ecco, e di
fatto non ha acquisito quegli strumenti, o comunque non ha una situazione stabile anche
al livello lavorativo che gli permette di stare nel territorio e va ad ingrandire tutta quella
fascia di marginalità, di senza dimore etc. Quindi l’ottica è un po’ quella di investire più
su questa emergenza che si è visto che sta crescendo.
E quindi sono andate a chiudere le strutture di Povegliano, Paderno, Frescada, Viale
Verdi. Chiuse definitivamente. Olmi è andata in gestione alla cooperativa Alternativa,
ha proseguito quindi con un altro ente gestore. Il S.Pio X non è più struttura in bando di
gara. Ma è una struttura dedicata…cuscinetto, diciamo, per quelle persone che hanno
ottenuto una protezione e stanno aspettando di rientrale nel progetto di Rifugiato a Casa
Mia o per quelle persone che appunto escono dai centri accoglienza per altri motivi ed è
quindi una struttura di ultimo sgancio.
Con il nuovo bando 2018 rimane la struttura di Oblati (Treviso) con 10 persone e
Istrana con 20. Con tutti posti occupati. Cade quindi la divisione prima e seconda
accoglienza perché i tempi per la Commissione si sono allungati, attualmente siamo
appunto sui due anni di attesa dalla convocazione alla formalizzazione del C3. Di fatto
anche il tempo di permanenza all’interno dei centri si sta dilatando in maniera forte,
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ecco. E quindi il lavoro con solo due centri accoglienza fa cadere questa divisione
proprio perché con questa lunga permanenza cade un po’ il lavoro proprio perché non si
riesce a dare quel ricambio dalla prima alla seconda. Proprio perché dalla seconda poi
non escono perché sono fermi. Tempi lunghi per la Commissione e tempi lunghi per i
ricorsi. Anche per i ricorsi si parla di un anno e mezzo- due anni. La Commissione è
sempre quella di Treviso, aperta a novembre 2016, partita nel 2017.
Nei CAS attualmente lavorano 3 operatori, due Istrana (operatore diurno e uno
notturno) e ad Oblati un operatore diurno. Con reperibilità dinamica notturna anche a
Oblati per verificare la presenza dopo le 20 degli ospiti.”
“Quanti volontari di Caritas sono impegnati in questo momento?”
“Oblati due volontari. Nella struttura di Istrana, 8. Principalmente si occupano della
lingua e cultura italiana. Soprattutto per Oblati, dove un volontario adesso segue uno dei
due ragazzi che sta facendo la terza media. L’altro fa attività più generale sulla cultura,
come ad esempio leggere la Costituzione, varia diciamo.”
“Al Pio invece?”
“Al Pio non ci sono volontari”
“Com’è stato l’avvio dei CAS dal punto di vista amministrativo e delle relazioni
con il territorio? Ed è stata una decisione contesa al livello politico?”
“Abbastanza. Ci sono, secondo me, due aspetti da considerare, l’aspetto Prefettura e
l’aspetto poi dell’amministrazione comunale dove veniva aperto il CAS. Essendo
appunto centri di accoglienza straordinaria, all’epoca la Prefettura aveva il potere di
decidere di aprire un centro di accoglienza anche se il comune non era d’accordo con
l’apertura. Essendo i CAS di diretta gestione da parte della Prefettura a differenza degli
SPRAR che vede il coinvolgimento anche dell’ente comunale. Quindi diciamo che i
rapporti inizialmente non sono sempre stati così semplici ecco, con l’amministrazione
comunale, più che altro perché considerava un po’ un’imposizione da parte della
Prefettura la gestione della accoglienza. Ti posso fare l’esempio specifico di Olmi visto
che l’ho seguita, nel senso che all’inizio c’è stato molto fermento, a livello politico e di
media anche. Nel senso che sono state fatte anche più volte interviste e servizi circa
l’apertura del nuovo centro di accoglienza anche intervistando i diretti vicini della
struttura che non erano per nulla d’accordo con la decisone presa. E proprio per questo è
stata fatta una riunione prima dell’apertura del centro di accoglienza con la comunità,
130
grazie all’apporto del parroco. È stata fatta questa riunione in cui si sono andati a
chiarire alcuni aspetti e un po’ anche a rassicurare il vicinato soprattutto, più
direttamente coinvolto dall’apertura del centro. e dopo è stato un lavoro constante,
negli anni di rapporto, di relazione, con i vicini della struttura.”
“A Treviso invece in particolare”
“Credo non ci siano state particolari difficoltà, nel senso che Treviso era già molto presa
dalla questione della Caserma Serena, e quindi che io ricordi, o che io sappia, non ci
sono state particolari difficoltà con l’amministrazione anche perché era
un’amministrazione diversa rispetto a quella attuale.”
“Dicendo che “Treviso era già molto presa dalla questione della Caserma Serena”,
si intende che comunque l’opinione pubblica è più concentrata su quel CAS lì?”
“Si perché ha dei numeri molto alti, creava difficoltà, creava insicurezza in chi viveva
attorno lì, anche malumore a chi abitava vicino anche perché i numeri erano molto alti
c’era la percezione che non ci fosse un controllo insomma. Che queste persone fossero
lasciate a sé stesse anche da parte della popolazione che viveva lì vicino. E lo stesso per
la Zanusso ad Oderzo.
“Quindi la decisione di Caritas di avere a che fare con numeri relativamente
piccoli è legata sia ad una questione di opinione pubblica sia ad una particolare
idea di accoglienza?”
È legata ad una visione di accoglienza diffusa in cui si è nel territorio, non grandi
concentrazioni, non tanto per renderle “invisibili” alla popolazione, alla comunità, ma
proprio per cercare di inserire al meglio queste persone nel territorio e cercare una
collaborazione da parte della comunità stessa. E quindi cercare proprio quel rapporto di
vicinanza con la comunità dove veniva aperto il centro di accoglienza. In modo che
piano piano, con la conoscenza si andassero un po’ a rompere quei muri, quei pregiudizi
che c’erano, giustamente anche, al momento dell’apertura di una casa accoglienza e
cercare, un po’, di fare attivare la comunità stessa. Cosicché la comunità stessa
prendesse coscienza del problema, della questione migranti.”
“Adesso com’è la situazione secondo lei: è un sistema efficiente? E che opinione ha
dei cambiamenti a cui sarà sottoposto, ne immagina le tempistiche?”
“Per quanto riguarda la gestione dell’accoglienza a livello nazionale, dal mio punto di
vista, non è un sistema efficiente. Nel senso che per quanto riguarda i CAS non c’è un
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orientamento specifico nella promozione e integrazione, o meglio nell’inserimento nel
territorio, perché l’integrazione è uno step successivo. Viene lasciato molto ai singoli
enti gestori, nel senso che anche il bando stesso della Prefettura dà delle linee, degli
obblighi, a cui l’ente gestore deve adempiere ma sui servizi in senso stretto viene
lasciato margine all’ente gestore di cosa promuovere e cosa no. E quindi andiamo dai
casi delle cooperative che hanno fatto letteralmente business sull’accoglienza, ai casi di
enti gestori che hanno cercato, con le risorse che venivano date, di potenziare al meglio
questo periodo. Questa è la mia idea. E dall’altra parte è un sistema che non affronta il
“dopo”. C’è un grande buco nel “dopo”. Questo sia per chi ottiene la protezione, sia per
chi ottenuto il diniego dalla Commissione, all’epoca, non poteva più rimanere
all’interno delle strutture di accoglienza. Adesso questo è stato tolto, ma le circolari
arrivano sempre dopo rispetto all’emergenza. Quindi rimane questo grande punto di
domanda sul “dopo”, e l’assurdità che persone che ottengono un riconoscimento siano
di fatto per strada se non riescono ad entrare nella rete SPRAR. Che con il nuovo
decreto è ulteriormente limitato. A livello di Caritas credo che si sia sempre spesa molto
per quanto riguarda i corsi di italiano e anche per la formazione professionale, quindi
credo che sia un sistema buono. Probabilmente non è il migliore nel senso che ha i suoi
punti deboli, però sicuramente l’attenzione alla persona in funzione anche a cercare di
attivarla e farle acquisire strumenti soprattutto in vista del “dopo”, sia alta.”
“E questa è stata una scelta di Caritas giusto? Cioè non c’era nulla di specifico nel
bando?”
“Negli ultimi bandi no, nell’ultimo bando del 2018, è stato quello più specifico anche in
termini di servizi da offrire. Però tanto è lasciato all’ente gestore. Anche il
finanziamento di alcuni corsi di formazione specifici, ad esempio, è stata una scelta
lasciata a noi.”
“Che riflessione c’è sul Decreto Sicurezza e le relative tempistiche?”
“La riflessione c’è. Riguardo alle tempistiche c’è un punto di domanda per quanto
riguarda il nuovo bando. Stiamo cercando di capire come sarà formulato e che senso
può avere continuare a starci come Caritas, per quanto riguarda l’accoglienza in senso
stretto. Per quanto riguarda in generale le modifiche introdotte dal “Decreto Sicurezza”
c’è grande preoccupazione a tutti i livelli. Leggevo anche ieri un commento da parte di
Oliviero Forti, che è il responsabile di Caritas Italiana per quanto riguarda le migrazioni
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e la richiesta d’asilo, che il rischio alto è che la fetta della marginalità si vada ad
ingrandire ancora di più. Perché viene tolta la protezione umanitaria, che era quella che
in percentuale veniva riconosciuta maggiormente a chi faceva richiesta d’asilo, anche se
la percentuale maggiore sono dinieghi, di fatto. E l’altra grande preoccupazione è che le
nuove protezioni non permettano la conversione per motivi di lavoro. Quindi c’è una
forte preoccupazione circa gli sviluppi che avrà questo decreto. Fatalità, circolare di
venerdì della Prefettura di Treviso che specifica che nella rete SPRAR non potranno più
essere inseriti i titolari di protezione umanitaria. Il decreto è attivo, insomma, e si
iniziano a vedere le prime conseguenze.”
“Voi vi coordinate con Caritas Italiana per l’accoglienza?”
“Si, c’è un rapporto diretto con Caritas Italiana, perché indica le linee, poi di fatto ogni
Caritas diocesana in base alla sua storia e alle sue forze decide come metterle in atto.
Caritas Italiana ha un forte peso, il suo lavoro è anche quello di fare advocacy al livello
governativo. Un esempio: quando sono partite l’avvio delle notifiche da parte degli enti
gestori, Caritas Italiana aveva dato delle line guida su come farle. Infatti, vedremo anche
che indicazioni arriveranno da Caritas Italiana circa i nuovi bandi per la gestione dei
CAS.”
“La decisione di aprire i CAS sul territorio in qualche modo è stata suggerita d
Caritas Italiana o è stata una decisione a livello diocesano?”
“Da parte di Caritas Italiana non lo so, ma da parte del Vescovo di Treviso era stato
fatto un appello per quanto riguarda l’attenzione all’accoglienza considerando
l’emergenza che stava crescendo nel 2015, rivolto non solo a Caritas ma in particolare
alle comunità e alle parrocchie. In linea anche con il mandato di Papa Francesco.”
“Quali sono i problemi più rilevanti per i CAS in questo territorio, a suo parere?”
“Se nel 2015 c’era un’opposizione abbastanza dichiarata rispetto all’accoglienza e
all’apertura di nuovi centri di accoglienza, ci sono state alcune rimostranze da parte di
CasaPound che hanno coinvolto anche Caritas stessa, attualmente la percezione è di
un’indifferenza, parlo soprattutto per le piccole strutture. Quindi, non c’è attualmente
un’opposizione da parte delle persone, lo notavano anche i colleghi di “Rifugiato”, un
po’ una separazione, anche nelle comunità stesse, tra chi è totalmente contrario, quindi
segue un po’ la linea di Salvini adesso, ma iniziata già con Minniti l’anno scorso, e
parte della comunità che è a favore e cerca di spendersi in questo. Un esempio: quando
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a gennaio è stata svolta l’iniziativa “Accogli un migrante a pranzo”, la risposta è stata
altissima di famiglie che, sia giovani che non giovani, con figli etc. hanno deciso di
aprire le porte e accogliere per una giornata gli ospiti dei centri di accoglienza. Quindi
c’è questa doppia posizione a livello di territorio.
Dal punto di vista pratico della gestione dell’accoglienza, per esempio, a seguito delle
modifiche apportate dall’Orlando-Minniti, sono state attuate quasi un anno dopo. Per
quanto riguarda i cambiamenti relativi a chi fa le varie notifiche spetta al direttore. È
stata fatta una mediazione con gli ospiti circa questa nuova modalità e tutto sommato,
abbiamo recentemente notificato due decreti negativi da parte della commissione, ma
per quanto ci riguarda non abbiamo avuto particolari difficoltà.
Anche se abbiamo sempre avuto un po’ di difficoltà nell’essere la doppia faccia di una
stessa medaglia. Da una parte sono colui che ti accompagna, dall’altra chi può
notificarti qualcosa di negativo. Rimane questa diatriba.
Una difficoltà che rimane è quella rispetto ai codici fiscali numerici, e la non
conversione in alfanumerici, fintanto che non viene presa una decisione da parte della
Commissione Territoriale. In questo i nostri ospiti incontrano difficoltà soprattutto per
quanto riguarda l’accesso ad alcuni corsi di formazione e la sottoscrizione di contratti di
lavoro con agenzie interinali, in quanto non riconoscono i codici numerici come codici
fiscali a tutti gli effetti. Questo problema è stato fatto presente più volte all’Agenzia
dell’Entrate ma al momento non abbiamo risposte.”
“Quali forze politiche sono contrarie e favorevoli ai CAS a Treviso?”
“A sfavore l’attuale sindaco e di conseguenza la Giunta, come hanno apertamente
dichiarato durante la campagna. L’obiettivo è quello di andare a chiudere almeno i
centri grandi come Caserma Serena, e Zanusso. Vedremo come sarà il nuovo bando e
linee che arriveranno da Roma. Lo SPRAR comunque è stato rinnovato fino al 2020 e
quindi il progetto continua. Manifestamente contrario a questo no.
Invece figure o partiti politici apertamente a favore non ne percepisco, non vivendo qui.
Ci sono però associazioni come Talking Hands, Civico 63, Binario 1 che cercano di fare
emergere anche quelle che potrebbero essere le conseguenze dell’attuale “Decreto
Sicurezza”. Però è più una forza di opposizione che nasce dal basso. Quello che
abbiamo notato è che con la nuova Giunta c’è, aldilà della considerazione circa
l’accoglienza, c’è un po’ di astio, diciamo così, nei confronti dei migranti in generale.
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Tanto che il sindaco di Treviso ha dato mandato di applicare un articolo specifico del
regolamento della polizia locale di Treviso, che riguarda il decoro urbano. Quindi
evitare di bivaccare, anche semplicemente di sedersi in luoghi che non siano le
panchine. Tanto che hanno iniziato a fioccare multe. Un nostro accolto ne ha presa una,
ma ho sentito anche alcuni del dormitorio che l’hanno presa perché erano seduti sul
muretto di un ponte quest’estate. Di 50 euro, subito, senza un primo avviso. La
domanda è: se questo trattamento è destinato a tutti indiscriminatamente.”
“Quali attori del privato sociale/volontariato/collettivi sono rilevanti riguardo il
sistema di protezione a Treviso, ovvero chi tra di loro suscita un dibattito pubblico
e /o fornisce servizi concreti ai richiedenti asilo (compresi quelli fuori dai percorsi
di accoglienza)?”
“Civico 63 che organizzano corsi di italiano con volontari, in più sono legati agli
Avvocati di Strada. Quindi anche con consulenza legale gratuita una domenica al mese.
Talking Hands con laboratori, e una sorta di imprenditorialità in senso molto ampio, da
parte dei richiedenti asilo. Loro partono dall’idea che tutte le decisioni vengono prese
insieme tra volontari italiani e richiedenti asilo che ne fanno parte. Un processo
decisionale interessante rispetto alla linea comune. Poi Binario 1, che è legato a Civico
63 e agli Avvocati di Strada. Mani Tese nel passato. E queste associazioni coinvolgono
anche persone fuori dalle accoglienze.”
“Ma hanno voce politica secondo lei”
“Talking Hands come progetto che nasce nello spazio del Django. Civico meno, forse
più Binario 1 che è legato anche al movimento studentesco e quindi ha una reazione a
più ampio raggio. Poi secondo me anche a livello di informazione e sensibilizzazione.”
“Come si posiziona l’opinione pubblica di fronte alla crisi dei rifugiati? Ci sono
stati episodi espliciti di intolleranza o, al contrario, esplicite manifestazioni di
solidarietà?”
“Attualmente, come dicevo prima, siamo nell’indifferenza, “non è una cosa che mi
tocca” e non è più un’emergenza come poteva esserlo nel 2015 e quindi quasi si ignora.
All’interno delle comunità c’è una spaccatura tra chi è apertamente contrario e chi si
attiva “per”, appunto con manifestazioni di solidarietà e quant’altro, con
l’organizzazione di momenti cui possono partecipare richiedenti asilo o iniziative a cui
possono partecipare gli ospiti di Rifugiato a Casa Mia. C’è questo doppio binario. Un
135
esempio è la società Treviso Atletica che all’interno di una manifestazione grossa come
può essere la Treviso in Rosa, che ha un bacino di migliaia di donne che partecipano, e
sui mass-media ha una ricaduta forte negli ultimi due anni ha deciso di chiedere il
coinvolgimento per i punti ristoro di alcuni dei nostri richiedenti asilo. Magari
indirettamente, ma è una presa di posizione di fronte a delle altre logiche di esclusione.
Da parte loro massimo supporto rispetto a quello che facciamo.
Per quanto riguarda manifestazioni di intolleranza, anche se non eravamo direttamente
coinvolti, nel 2015, a Quinto di Treviso dovevano appunto arrivare un centinaio, forse
anche meno, di richiedenti asilo, all’interno di appartamenti e c’è stata un’opposizione
netta, hanno bloccato l’arrivo, e sono stati incendiati parte dei mobili degli
appartamenti.
Noi abbiamo avuto all’ingresso, sempre nel 2015, uno striscione appeso, da parte di
CasaPound. Queste aperte manifestazioni di intolleranza riguardano appunto quell’anno,
in cui l’opinione pubblica e le comunità si sono trovate sbattute in faccia questa nuova
emergenza. Con già problematiche a livello italiano, difficoltà nel lavoro etc.”
“Avete mai considerato di far parte della rete SPRAR?”
“Era una riflessione degli anni passati in Caritas, ma non è stata portata avanti. Perché
entrarvi comporta una serie di figure e obblighi, linee da rispettare che non riusciamo a
seguire.”
“Perché la scelta di far nascere l’RTI? Come vi coordinavate? Quali realtà ne
facevano parte? Come è cambiata ad oggi?”
“L’RTI letteralmente è Rete Temporanea d’Impresa, era nata con l’idea di rispondere ai
bandi della Prefettura in questa rete. Con un’unica proposta da avanzare alla Prefettura
circa l’accoglienza che poi veniva gestita dai vari enti che ne facevano parte. L’ottica è
quella di avere una condivisione nella gestione dell’accoglienza, quindi con l’attenzione
alla persona, a tutti i percorsi di integrazione nel territorio, e un’accoglienza suddivisa in
piccole unità. E avere maggiore peso politico e al livello di Prefettura sicuramente.
C’erano due tavoli, uno tecnico a cui partecipavano i referenti dei vari enti, e un tavolo
politico a cui partecipavano i direttori degli enti. Che davano un po’ le linee, magari se
era necessario prendere delle posizioni rispetto a linee della Prefettura, o anche rispetto
ad episodi che potevano essere di intolleranza. Il tavolo tecnico era più legato alla
gestione pratica delle varie strutture, sia per la questione amministrativa, perché si
136
faceva di fatto capo alla cooperativa LaEsse per questo, sia note tecniche circa il
regolamento della Prefettura, sia problemi specifici riscontrati nei centri, per vedere se
erano stati riscontrati dagli altri della Rete. Ne facevano parte Caritas Tarvisina, la
cooperativa LaEsse, Una Casa Per l’Uomo, cooperativa Alternativa, Caritas Vittorio
Veneto, le Discepole del Vangelo, Domus Nostra, la GEA. Con l’ultimo bando 2018
l’RTI si è sciolta perché di fatto non potevamo più rispondere in modo unito al bando,
ma ogni ente doveva rispondere singolarmente, quindi presentare da solo la propria
offerta. Perciò si è sciolta formalmente nei confronti della Prefettura, ma si è continuato
a portare avanti questi incontri di coordinamento, e la visione comune dell’accoglienza.
Infatti, si è passati da RTI a RAD (Rete Accoglienza Diffusa) e le modalità restano le
stesse, un tavolo politico e uno tecnico, in cui vengono affrontati problemi che magari
sono comuni a tutti gli enti gestori. Ad esempio, il problema dei codici fiscali, anche per
capire se si può unitariamente presentare un’istanza che sia alla Prefettura o all’Agenzia
delle Entrate in questo caso. I soggetti che ne fanno parte sono diminuiti. Non ci sono
più le Discepole del Vangelo ad esempio, perché non hanno più risposto al bando, ma
continuano a partecipare alle riunioni proprio per mantenere quest’ottica sulla
accoglienza diffusa, e condivisione di intenti circa l’accoglienza. E adesso si sta
ragionando su cosa succederà di qui in avanti e come, appunto, aldilà di come
singolarmente ogni ente gestore risponderà al nuovo bando, poter continuare questa
promozione e sensibilizzazione del territorio, a fronte del nuovo decreto. Con la RAD
infatti sono stati organizzati degli eventi, in occasione anche della Giornata del
Rifugiato come azione di sensibilizzazione a Treviso. Quest’anno è stato proposto uno
spettacolo teatrale preparato in un nostro CAS, l’anno scorso era stato invitato
Mohammed Bah. Si cerca con vari eventi di sensibilizzare sulla tematica.”
“Può stimare quanto dura in media un’accoglienza in CAS a Treviso?”
“Due anni, due anni e mezzo”
“Riuscite ad offrire un tirocinio lavorativo ai richiedenti asilo nei CAS sebbene
non sia prettamente nel bando? Se si, avete convenzioni/relazioni con realtà in
particolare (Centro per l’impiego, ACLI etc.)?”
Le convenzioni si. ACLI per quanto riguarda la questione della vendemmia e
l’ASCOM. Il tirocinio lavorativo non è offerto a tutti i richiedenti asilo ma diversi,
anche attualmente, o stanno lavorando, magari tramite contatti che noi raccogliamo o
137
iniziativa personale. Altri stanno facendo un tirocinio professionale, abbiamo notato che
c’è un buon numero di ragazzi che stanno facendo un tirocinio lavorativo. Più o meno
lungo.
“I tirocini con il CPI si sono trasformati in qualche caso in lavoro?”
“In alcuni casi si, in altri si sono conclusi.”
“Quante persone ci sono fuori dall’accoglienza e perché secondo lei? Nel
dormitorio di Caritas quanti rifugiati o richiedenti asilo sono accolti? Per accedere
ad un posto letto le persone si rivolgono direttamente a voi o vengono segnalate dal
Comune o altre realtà?”
“Non saprei quantificare le persone fuori dall’accoglienza. Succede spesso che alcuni
lasciano il territorio perché vengono ingaggiati in qualche lavoro più o meno legale, non
illegale in sé ma legalmente riconosciuto, e magari ritornano qui al momento del
rinnovo del permesso di soggiorno e non hanno un posto in cui stare. Difficile
quantificare le persone fuori. Nel dormitorio di Caritas si, c’è una bella fetta di
richiedenti asilo, stessa cosa vale per il dormitorio di via Pasubio, gestito dalla
cooperativa LaEsse tramite mandato del Comune. Qui per accedervi devono rivolgersi
al nostro centro di Ascolto e fare un colloquio con gli operatori dell’area marginalità.
Poco dialogo con il pubblico per questo, ma capita talvolta che ci contatti la Prefettura.
Ad esempio, scorsa settimana mi hanno chiamata dicendo che erano stati trovati tre
pakistani in un camion e ci chiedevano, se non riuscivamo ad accoglierli, almeno di dare
loro un pasto caldo. Qualcuno segnalato dal comune da altre realtà, soprattutto per
quanto riguarda il dormitorio femminile, in cui vi sono richiedenti asilo. Il dormitorio di
Cairtas ha 18 posti per uomini (tutti occupati), e 13 per donne (8 occupati). Gli uomini 6
sono titolari di protezione (5 umanitaria e 1 sussidiaria), 6 sono richiedenti asilo, 4
stranieri con permesso di lungo periodo e 2 cittadini italiani. Tutte stanze singole,
perché abbiano uno spazio intimo.
Il comune segnala per via Pasubio. E quindi abbiamo anche rapporto per quanto
riguarda la marginalità con la cooperativa LaEsse. Fintantoché sono qui fanno colloqui
di accompagnamento con i nostri operatori, anche per quanto riguarda eventuali
segnalazioni allo SPRAR, e scuola e lavoro, ovviamente molto meno rispetto a quelli
all’interno del CAS perché è molto più temporaneo e limitato (possono stare due mesi).
La lista d’attesa si sta allungando. C’è già una ventina di persone in lista d’attesa.”
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“Esiste una riflessione riguardo ai percorsi di post accoglienza in Caritas oltre a
Rifugiato a Casa Mia?”
Con la RAD è in fase embrionale la gestione di una sorta di sportello informativo
soprattutto legato al “Decreto Sicurezza” per informare in particolare chi è fuori dalle
strutture rispetto alle modifiche che ci saranno. In particolare, per chi ha una protezione
umanitaria attiva, che potrebbe diventare altro. Si parte da un’emergenza concreta che
potrebbe però diventare segno sia di una rete che continua ad essere presente nel
territorio, sia ad una sensibilizzazione ad una problematica che diventerà sempre più
grande. Quindi si, c’è una riflessione in Caritas anche, a fronte di come sarà il nuovo
bando. Ci sono varie idee, ma quello di fare qualcosa nel post, le modalità, le capiremo
con il nuovo bando che ci permetterà di capire come starci, se starci, e di conseguenza
come gestire il post. Una delle idee è quella di riservare il CAS di Treviso come una
sorta di braccio del dormitorio qui, una marginalità dedicata ai richiedenti asilo o
rifugiati. Ma sono idee embrionali, che dipendono da come sarà il nuovo bando.”
139
Intervista 3: LaEsse per la parte SPRAR
Data: 11 gennaio 2019
“In materia di accoglienza asilo il comune con quali soggetti si relaziona e perché?
Prefettura.. / Questura… / enti gestori.. (secondo voi sono competenti?) /
Commissione territoriale.. / altri...”
“Lo SPRAR si relaziona senza ombra di dubbio con tutta una serie di soggetti
istituzionali, in primis i comuni, e quindi tutte le realtà che hanno nello specifico aderito
affinché potesse nascere il progetto SPRAR all’interno dei territori di Treviso. Parlo di
4 comuni. Quello di Treviso come ente capofila, il comune di Ponzano Veneto, il
comune di Mogliano Veneto e il comune di Maserada sul Piave. Quindi il rapporto tra
noi come organizzazione LaEsse, e Una Casa Per l’Uomo che è l’altro ente attuatore
che gestisce lo SPRAR di Treviso con noi e i comuni, è quotidiano, programmato nel
tempo e ben definito rispetto ai contenuti di incontri, di attività da fare, obiettivi da
raggiungere. Altri soggetti con cui ci relazioniamo sono sì la Prefettura, direi,
leggermente meno perché lo SPRAR, specialmente adesso con i cambiamenti del
“Decreto Sicurezza” non va ad accogliere richiedenti asilo.
La differenza tra CAS e SPRAR è che i CAS rispondo proprio a bandi prefettizi, dove la
Prefettura è effettivamente il committente, mentre lo SPRAR nasce su base volontaria il
comune sceglie se aderire o meno. Il rapporto con la Prefettura c’è ma direi meno, per le
130 persone che abbiamo accolto da quando abbiamo iniziato il rapporto c’è, ma non è
poi così impattante, quotidiano, costante o continuativo come può esserlo in un CAS.
Semmai solo per alcuni richiedenti asilo accolti, che comunque sono stati pochissimi
all’interno degli SPRAR, rispetto a titolari delle varie protezioni, e su questioni
veramente di minima. Lo vedo come un soggetto, sì presente, ma non particolarmente
significativo rispetto alla quotidianità. Diversa è invece è la relazione con la Questura
che è fortissima e positiva, e con i servizi sanitari locali, intendo dire in generale le ASL
con tutti i vari poi reparti, da CSM al Centro Antidiabetico o altro. Quindi ci sono stati
anche durante il corso di questi anni di lavoro diversi incontri con il Comune presente,
Ente Attuatore presente, in questo caso anche la Prefettura presente, anche i servizi
sociali presenti, servizi sanitari presenti, si è avuto modo di prendere in esame alcune
situazioni specifiche e lavorare in una maniera abbastanza congiunta, e devo dire
proficua. Quindi tornando ancora una volta alla domanda, sicuramente Questura,
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sicuramente servizi sanitari, sicuramente servizi sociali, poi ci sono tutta un’altra serie
di soggetti del territorio che magari hanno una minor valenza istituzionale ma sono
comunque realtà significative, come tutto il mondo dell’associazionismo, piuttosto che
del volontariato. Sicuramente le forze dell’ordine e l’ufficio anagrafe. Queste le realtà
principali. E l’altro soggetto significativo, ovviamente con cui ci confrontiamo è il
Servizio Centrale. Quindi SPRAR Roma, lo SPRAR fa riferimento al Ministero
dell’Interno che ha il suo interno un organismo chiamato Servizio Centrale che è
composto da diversi uffici con cui tutti i progetti SPRAR a livello nazionale si
confrontano. Il Servizio Centrale ha nel caso dello SPRAR di Treviso un tutor, che è
una figura appunto, esterna all’equipe, che fa parte del Servizio Centrale e che, rispetto
alla dimensione della quotidianità, operativa, tecnica, progettuale, è chiamata a darci un
supporto e fare un affiancamento anche significativo al progetto, oltre che a valutarlo.
Nel senso che tutti i progetti SPRAR hanno diversi livelli di controllo. Un livello di
controllo iniziale rispetto a come vengono utilizzati i soldi, la rendicontazione, un
livello di controllo successivo, che è legato a tutta una gestione di banca dati dove
vengono indicati effettivamente i servizi che sono stati erogati, poi c’è un terzo livello
di controllo, ovverosia, dei monitoraggi che sono annuali e a sorpresa, non definiti. Non
programmati in anticipo, in questo momento può venire qualcuno del Servizio Centrale
per vedere come sono le strutture, cosa stanno facendo le persone accolte, come
funzioniamo noi come equipe, che tipo di politiche si stanno sviluppando rispetto al
progetto SPRAR, com’è l’attivazione dell’ente locale etc..”
“Per quanto riguarda le associazioni: quali del territorio?”
“Due senza ombra di dubbio significative. Poi, prima di dimenticaro anche il CPIA è un
altro dei soggetti fondamentali con cui ovviamente ci connettiamo. Uno “Una Casa per i
beni comuni” attiva da sempre nell’ambito delle politiche sulla marginalità, ma non
soltanto, anche per i diritti e la cittadinanza attiva. Per lo SPRAR è stato una risorsa
preziosissima, ci sono state diverse attività legate alla sensibilizzazione del territorio, la
promozione del progetto sul territorio, in cui “Una casa per i beni comuni” ha offerto
sedi, in termini di risorse di persone, di esserci, di darci una mano. Ha organizzato
concretamente cose per lo SPRAR, faccio un esempio: i corsi di italiano,
esclusivamente per donne. Piuttosto che momenti in cui sono state coinvolte le scuole,
lo SPRAR, i beneficiari, che tendenzialmente vengono organizzati ogni anno. Abbiamo
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provato un pochino a far conoscere agli studenti delle scuole medie quello che è il
progetto, che cosa significa effettivamente lo SPRAR, che cosa significa inclusione, con
tutta una serie di attività. Quindi, loro senza ombra di dubbio, altre realtà iper-
significative: l’Auser, che sono stati significativi per una buona evoluzione del progetto,
anche qui con attività concrete e mirate, tendenzialmente legate all’alfabetizzazione
delle persone. Non dei generici corsi di italiano, a fronte dei bisogni specifici portati da
alcuni ospiti, che potevano essere difficoltà di apprendimento o nella letto-scrittura, si
sono proprio spesi in prima persona “per”. Altre associazioni coinvolte, Libera con sede
amministrativa a Ponzano Veneto e fa riferimento a tutta una serie di realtà del
territorio, c’è il gruppo MOMI che non credo sia un’associazione che ha uno statuo, ma
sono cittadini di questo quartiere che si sono attivati indipendentemente dallo SPRAR,
con cui però collaboriamo per dei momenti di conversazione, piuttosto che
nell’inserimento di supporto socio-economico delle persone. Si tratta di cittadini di
Treviso che in maniera spontanea hanno deciso di dedicare del tempo e diverse energie
rispetto al tema dell’inclusione. Qui nel territorio la comunità di Sant’Egidio, è uno dei
soggetti significativi con cui ci siamo rapportati. Queste quattro-cinque realtà le vedo
sicuramente come le più significative. Poi, per esempio, se guardo a Mogliano abbiamo
altre realtà, lì ospitiamo 5 beneficiarie. Altre realtà forse legate a gruppi di cittadini che
hanno saputo della nascita dello SPRAR e hanno cercato di coinvolgere le persone
all’interno del mondo dell’associazionismo a Mogliano che è veramente acceso in senso
positivo. Non ho un’idea di solitudine rispetto al progetto. Non penso che il progetto sia
totalmente solo e non abbia nessuna possibilità di integrazione con le altre realtà che già
esistono. Il CSV è un altro dei soggetti con cui ci siamo rapportati diverse volte in
maniera proficua.”
“Questi rapporti si possono considerare di positiva collaborazione o conflittuali?”
“I rapporti con le associazioni sono comunque una possibilità, uno, per dare più
opportunità ai beneficiari perché si crea rete, “x” beneficiario conosce tale persona che
magari può effettivamente aiutarlo rispetto al suo percorso di inserimento sociale. Ma è
positivo il rapporto con le associazioni anche ad un livello più macro, che ha a che fare
con la possibilità di far sì che un’accoglienza e una reale occasione di inserimento ci sia,
quindi le attività, penso a quelle con le scuole, piuttosto che anche ad alcune serate di
promozione del progetto che sono state fatte con l’aiuto delle associazioni. Devo dire
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che questo aiuta il progetto ad essere il più possibile fuori, in un momento in cui è
estremamente difficile cercare di comunicare, narrare quello che viene fatto all’interno
di un progetto SPRAR, il senso, il valore, che ci sta dietro. Quindi assolutamente
positivo, sia nel micro, soggetti che si prendono in carico alcune persone per un piccolo
pezzettino di attività, con, certo, delle fatiche che sono anche legate al momento attuale
a come l’opinione pubblica percepisce il tema dell’accoglienza; sia a livello macro.
Quindi, secondo me, proviamo ad uscire dalla nostra “bella casa”, lo SPRAR è una
bellissima casa, e proviamo il territorio, fuori, l’esterno, se qualcosina riusciamo un
pochino a spezzarla in termini di stereotipo, di preoccupazione, di resistenza e se in
qualche modo riusciamo a far sì che le persone non si fermino al colore dei capelli, ma
possano un pochino dire altro. Perché spesso poi succede questo. Le associazioni sono
state anche utili, più di altre, rispetto anche al momento di apertura degli SPRAR per
cui, inserire un gruppo di quattro cinque persone all’interno di un appartamento in un
condominio vissuto, come nei nostri casi, tendenzialmente, solo da persone italiane,
crea delle resistenze. Però, sapere che è un progetto del comune, che nasce su base
volontaria, che ci sono delle associazioni che comunque lavorano in qualche modo
affianco del progetto è un po’ un modo per poter vivere il fatto di sentirsi dire: “okay”,
da domani hai 5 persone che non conosci che vivranno nell’appartamento affianco al
tuo, se c’è magari un’associazione del territorio, locale, che comunque ha una sede qui e
ha un’attività storica qui, nel trevigiano diventa un pochino meno difficile.”
“E con le istituzioni invece i rapporti sono positivi o ci sono state delle
conflittualità”
“Se per istituzioni intendiamo i comuni, io chiaramente non ho partecipato al momento
che ha portato poi alla nascita dello SPRAR. Nel senso che lo SPRAR a Treviso è nato
a seguito di un lavoro molto forte di progettazione che è stato promosso dall’assessore,
che ormai non è più assessore, Cabino, che aveva coinvolto una rete di dieci comuni,
oltre ai 4 che hanno effettivamente aderito, avevamo altri enti locali, cioè Preganziol,
Casier, Carbonera, Silea, Monastier e qualche altro che sicuramente mi sfugge. Lì l’idea
era: proviamo a non subire passivamente il fenomeno ma diventiamo protagonisti attivi
di questo e cerchiamo di gestire noi in primis l’accoglienza. Non so cosa sia successo in
quella fase tra le diverse componenti, enti locali, può essere che delle conflittualità ci
siano state ma io non le conosco. Però rispetto al rapporto tra Ente attuatore e ente
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capofila, comune di Treviso e gli altri tre, io non ho nessuna sottolineatura in negativo
da fare. Le persone che poi alla fine sono rimaste, le istituzioni che sono rimaste, ed
hanno creduto effettivamente allo SPRAR hanno dimostrato una costanza e una
continuità rispetto al progetto che non è stata non significativa, anzi. Non direi che ci
sono state conflittualità o se ci sono state, io per il mio livello che è molto tecnico,
operativo e di regia sul progetto, non le ho mai registrate, questo non significa che dal
mio punto di vista un’amministrazione non abbia comunque vissuto delle conflittualità
rispetto a dover dire ai propri cittadini “vi apriamo uno SPRAR, ci sono delle persone
straniere che abiteranno vicino a casa vostra” può essere successo anche alla luce di
tutto quello che è stato il pre- no, quindi i grossissimi flussi, l’arrivo di persone, il fatto
di dire che adesso anche il comune si mette a promuovere uno SPRAR può lasciare un
pochino senza parole i cittadini. Ma io non ho presente momenti di grosse conflittualità
né tra i quattro componenti, né tra i componenti e gli enti attuatori da riportare. Non ho
nessun grosso ostacolo, anzi, se penso ad esempio a Ponzano e al comune e
all’assessore che è attualmente ancora in carica, rispetto, ad esempio, ai percorsi di
italiano quando abbiamo trovato un momento di stallo con il CPIA, lui è stato
assolutamente un elemento agevolante che ha velocizzato moltissimo che i nostri
beneficiari potessero essere iscritti ai corsi.”
“Con la Prefettura e Questura’”
“Come dicevo prima, con la Prefettura il rapporto è, dal mio punto di vista, raro, perché
abbiamo veramente pochissimi richiedenti asilo. Attualmente avremo, mi posso
sbagliare di 1-2 persone, 5 persone su 49. E queste persone erano entrate prima del
“Decreto Sicurezza”. E i numeri quindi sono ovviamente destinati a diminuire. Noi con
la Prefettura ci rapportiamo tendenzialmente solo per i richiedenti asilo, e su questo lo
SPRAR ha un rapporto in particolare con una figura all’interno della Prefettura, le si
dice come sta andando il progetto, le presenze, e l’eventuale apertura di appartamenti,
ma niente di particolare rispetto alle persone in accoglienza. Un’altra occasione di
confronto, che comunque è stata positiva, è rispetto alle presenze sul territorio,
ovverosia, ci sono nel territorio persone che hanno ottenuto il permesso che possono
fare richiesta per il posto SPRAR, questo accadeva soprattutto prima del “Decreto
Sicurezza”, perché adesso chiaramente il bacino si è ridotto, allora sono stati organizzati
dei tavoli a cui era presente anche la Prefettura, noi come ente attuatore, i servizi sociali,
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sanitari, e lì si ragionava insieme su quanto fosse opportuno o meno procedere con una
segnalazione per “x” persona o no. Nei casi, quindi, di valutazione dello SPRAR come
possibile risposta del territorio per persone che in questo momento si trovano in una
situazione di emergenza abitativa il rapporto è stato positivo. Non c’è stata una forzatura
della Prefettura, su “no, dobbiamo per forza far inserire x persona”, anzi, in alcuni casi
si è valutato che gli obiettivi del progetto erano talmente specifici e alti che una persona
magari senza nessuna competenza all’ingresso, magari promossa dalla Prefettura, non
aveva senso che la si proponesse perché sarebbe stato un po’ tempo perso. Nel senso
che noi abbiamo 6 mesi, e in questo tempo inserire una persona che veramente non sa
nulla di italiano, che magari ha un problema psicologico importante, una vulnerabilità
significativa, voleva dire fare veramente un processo di accompagnamento alla persona
molto assistenzialistico e probabilmente finiti i sei mesi, sì, probabilmente abbiamo dato
qualcosina in più in termini di primi passettini fatti, ma poi siamo, secondo me, punto a
capo di nuovo. Quindi no, rapporto con la Prefettura raro, nelle poche volte in cui si è
realizzato è stato positivo. Con la Questura i problemi che ci possono essere non sono a
livello di dinamiche relazionali, anzi, ci tengo a sottolineare che il rapporto ad esempio
con il commissario capo dell’ufficio immigrazione è estremamente funzionale; nel
senso che difficoltà burocratiche, amministrative, di carte che non riusciamo in qualche
modo a far girare sono sempre state affrontate anche in momenti, devo dire, in cui ci
poteva anche stare un rallentamento. Avere sempre un numero di reperibilità, per dire,
da parte del commissario capo è chiaramente un indice della fortissima disponibilità che
la Questura ha rispetto al progetto. Almeno lo immagino, perché essendo coordinatore
non seguo tutta l’operatività che qualche occasione di scontro può aver visto, rispetto a
come mai questa carta non è stata ancora sistemata etc.. Ma se siamo ancora sulle
difficoltà significative nella dinamica della dimensione relazionale no, sarebbe
veramente ipocrita da parte mia dirlo, assolutamente no.”
“Quando è stato attivato lo SPRAR a Treviso?”
“Parte ufficialmente a luglio 2016. La progettazione che ha portato a luglio 2016 è
iniziata però molto prima. Sicuramente i primi ragionamenti condivisi con i vari
soggetti del territorio e promossi dal comune di Treviso e dagli altri comuni che hanno
aderito, sono iniziati secondo me a ottobre 2015. E le prime persone sono entrate nel
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progetto a settembre 2016. Quindi, ufficialmente la data di inizio è luglio 2016, le prime
accoglienze concrete sono avvenute a settembre 2016.”
“Sono partiti in tutti i comuni nello stesso momento?”
“No, il primo comune è stato chiaramente Treviso dove sono partiti in maniera graduale
tutti gli appartamenti. Poi più o meno parallelamente, verso dicembre 2016 è partito
Ponzano quindi con altri due appartamenti e 10 persone accolte. Subito dopo, siamo in
febbraio 2017, è partito Maserada, il territorio in particolare è quello di Candelù con un
appartamento. E poi, invece, ecco il più lento da avviare è stato Mogliano, per tutta una
serie di cose legate anche alla reperibilità dell’alloggio che parte a settembre 2017.”
“Com’è stato l’avvio della gestione SPRAR dal punto di vista amministrativo?
Adesso com’è la situazione secondo lei: è un sistema efficiente? Come sono i
rapporti tra il comune e gli enti gestori e come si sono evoluti nel corso degli
anni?”
“Chiaramente lo SPRAR è un progetto che richiede una quantità di attenzione alle
dimensioni burocratiche amministrative, nell’avvio di carte da fare, comunque,
altissimo. Quindi ci vuole una preparazione comunque molto molto alta per poter, non
solo nella fase di avvio reperire tutta la documentazione che serve, gli alloggi, avviare il
progetto, ma anche poi dopo nella fase di monitoraggio e di verifica. Poi tolto questo
livello su cui sento che però avevamo una buona preparazione anche in base
all’esperienza che la Cooperativa LaEsse aveva maturato non soltanto nella gestione di
richiedenti asilo con i CAS, ma anche storicamente quando eravamo divisi in due realtà,
Servire e Sestante, da sempre più o meno noi abbiamo gestito progetti
sull’immigrazione, quindi da sempre noi avevamo una buona preparazione anche
rispetto al tema della rendicontazione, della documentazione, delle buste
amministrative, tecniche da preparare. La difficoltà di cui parlava il referente in comune
è l’individuare gli alloggi.
Il problema di individuare gli alloggi, è, secondo me, connesso a quanta volontà o
resistenze ci possono essere da parte di una comunità, un quartiere, nel saper che
effettivamente domani, viene aperto un progetto SPRAR, quindi difficilissimo trovare
gli alloggi, non perché non ci sia mercato immobiliare ma perché, vuoi che il
proprietario dell’alloggio non è disposto a mettersi contro i vicini, vuoi perché le
agenzie hanno delle indicazioni da parte dei proprietari di non affittare ad un tipo di
146
persone piuttosto che ad un altro. Scremato già un po’, rimane una fetta di mercato
immobiliare disponibile che affitterebbe volentieri, anche perché ha tutta una serie di
garanzie che lo SPRAR dà, quindi non si dovrebbe trovare a gestire situazioni di
morosità piuttosto che di mancati pagamenti, però, hai quelle resistenze, quelle paure, e
quella rabbia da parte dei vicini, dei cittadini, che porta sì ad un avvio molto lento.
Quindi la difficoltà più grossa è stata, secondo me, connessa per quello che riguarda
l’ente attuatore, al reperimento degli alloggi, non ad altre dimensioni. Reperimento degli
alloggi che sarebbe stato molto più semplice se non avessimo parlato di un progetto
SPRAR quindi di un certo mondo e di un certo tipo di utenza. Io sento questa come
condizione che ha portato ad un lento avvio, tant’è vero che Mogliano poi, parte ad un
anno di distanza, parte a settembre 2017 quando le prime accoglienze a Treviso sono
state fatte a settembre 2016. E le difficoltà sono state quelle, quindi il reperimento degli
alloggi, in come il mio quartiere, la mia comunità percepisce questo fenomeno qua.”
“Avviare lo SPRAR è stata una decisione contesa al livello politico?”
“Io non ho partecipato ai tavoli politici in quanto noi siamo l’ente attuatore, e siamo
rimasti fuori da questa parte di confronto. Per quel che ricordo dai giornali, sicuramente
diverse forze politiche potevano essere più o meno in linea con un’apertura di un
progetto SPRAR. Immagino, ma ricordo anche da quello che ho letto nei giornali, che
degli scontri ci fossero. È vero che la forza dell’amministrazione che ha spinto perché
venisse aperto lo SPRAR era molto legata a temi “proviamo noi a diventare protagonisti
rispetto alla gestione dell’accoglienza”. Quindi piuttosto di stare sul solito discorso
Prefettura-CAS e quindi “ce li mandano, e poi siamo costretti ad accogliere tutti”
diventa un po’ diverso se come comune dico anche ai miei cittadini “occhio che adesso
sono io a sapere chi c’è dentro lo SPRAR, io gestisco i fondi, io garantisco rispetto a
come è stato individuato l’ente attuatore”. Questo è un po’ quello che ha dato una
direzione. Immagino, e sono quasi certo, che degli scontri ci siano stati, il cambio
dell’amministrazione non ha bloccato il progetto SPRAR su questo anticipo la
domanda, quindi l’amministrazione è cambiata e si è trovata chiaramente con un
progetto che era stato voluto, a cui l’amministrazione precedente ha molto creduto. Io
non ho elementi per poter dire che l’amministrazione di adesso ci creda o non ci creda.
Il dato oggettivo che ho è che anche a fronte di incontri fatti con il sindaco attuale non
c’è stata nessuna richiesta di bloccare il progetto, anzi.”
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“Ma il progetto era stato riconfermato prima del cambio di Giunta?”
“Si, quindi avevamo, andando a memoria, una scadenza a dicembre 2017, proroga fino
a giugno 2018, poi lì c’è stato un nuovo bando. Quindi verissimo quello che dice lei, la
nuova amministrazione se lo è ritrovato. Ma una volta che se lo è ritrovato non ha
ostacolato, non significa che lo stia promuovendo, ma non lo sta ostacolando. Quindi a
noi come ente attuatore non è stato detto, “okay da domani non fate più quello che avete
fatto fino ad adesso”. Anzi devo dire che, so che sembra un pochino un essere molto in
sintonia “con”, ma preferisco essere sincero, proprio dall’amministrazione attuale è
stato sottolineato il tipo di lavoro fatto, che fosse positivo. Quindi in questo senso non lo
trovo ostacolante.”
“Ma in che contesto?”
“In un contesto formale, pubblico, tra ente attuatore e sindaco e altre figure. Il sindaco
che dice “vi ringrazio per il lavoro fatto fin ora, continuiamo questo lavoro qua”
nonostante sia di un’amministrazione che non è quella che ha voluto inizialmente lo
SPRAR e nonostante, non so, immagino, la campagna della Lega sicuramente non sia
vicina all’immigrazione, io non ho questo ritorno. Io parlo con un sindaco che fa parte
di una certa corrente politica ma non ho parlato con una persona che mi ha detto “chiudi
lo SPRAR immediatamente o tanto lo andremo a chiudere” poi magari verrà chiuso per
altre motivazioni, ma non ho sentito nessuna azione ostacolante. Questo non significa
che sia promuovere un progetto, non ostacolarlo. E questa è una cosa che ha stupito
anche me, perché lo stereotipo forse ce lo avevo bene in testa anch’io rispetto ad una
Lega che blocca in automatico un progetto SPRAR. Non è quello che è accaduto qui a
Treviso, il ché ovviamente, non significa promuoverlo, sponsorizzarlo, spingerlo a
cento.”
“A suo tempo è stata una delle forze politiche che aveva fatto propaganda contro?”
“Io rispetto al sindaco, appunto, che è titolare di questo progetto non ho molti elementi
per poter rispondere a questo. Risponderei più in generale pensando a quello che
succede adesso a livello nazionale però. Quindi una Lega che tenta il più possibile di
promuovere una connessione con la cittadinanza su certi temi -prima gli italiani- che
spinge e riesce a portare avanti un “Decreto Sicurezza” che assolutamente non è così
tanto semplificante e accogliente rispetto alle persone che si spostano e arrivano in
Italia. Quindi se guardo a livello nazionale direi che assolutamente è un problema. Se
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guardo a Salvini una parte di me dice si, fomenta l’odio, lo penso. O forse non è
nemmeno tanto interessato a fomentare l’odio ma ha trovato un modo per stare lì dov’è,
fa leva sulla paura, secondo me, sull’angoscia di molte persone, comprensibile o no,
comunque su tutto quello che di negativo hanno le persone lo tira fuori, invade i social
network in una maniera impressionante, quindi certo, sta lì grazie a questo. Che questo
venga fatto da parte di tutte le figure che fanno riferimento alla Lega, non lo so, non è
quello che ho sentito io rispetto al comune di Treviso. Quindi io ho sentito altro.”
“La mia domanda era più legata al momento dell’apertura degli SPRAR, la Lega
aveva fatto opposizione?”
“Sicuramente si, e anche altre forze di estrema destra che farei fatica ad identificare.
Però poi nel concreto, ritrovandoselo, il discorso è un po’ cambiato. Poi quando
effettivamente si capisce lo SPRAR, le potenzialità che ha questo progetto, almeno su
carta, forse si riflette un po’ di più, non si parla solamente per stereotipi per cui io
penserò sempre della Lega robe negative, e viceversa Salvini della Lega, o chiunque
altro, sarà sempre a prescindere contro l’immigrazione. Anche questo mettendo a
tavolino le possibilità che si possono avere, come un’amministrazione con un progetto
può gestire parte di questo fenomeno, secondo me il discorso cambia. All’epoca, è
passato tanto tempo, lo SPRAR non è stato molto sui giornali, nella fase iniziale si,
all’epoca era uno dei grandi campi di battaglia tra forze che facevano riferimento alla
fascia di sinistra, se vogliamo usare questo termine, e altre più legate alla destra.”
“CasaPound e Forza Nuova sono attivi a Treviso?”
“Io non vivo a Treviso, quindi non ho idea di questo nello specifico, immagino di si, che
ci siano focolai di questo tipo. Ho dei forti ricordi rispetto alla dimensione dei CAS
dove all’epoca, due/tre annetti fa, vado a memoria, sono stati affissi di fronte alla nostra
sede cartelloni con scritto “traditori dello stato” o una cosa simile.”
“Quali attori del privato sociale/volontariato/collettivi sono rilevanti riguardo il
sistema di protezione a Treviso, ovvero chi tra di loro suscita un dibattito pubblico
e /o forniscono servizi concreti ai richiedenti asilo?”
“Caritas sicuramente è un soggetto collettivo che comunque ha una identità fortissima,
specifica, e secondo me un’autonomia, un’autorevolezza, per cui può suscitare e ha
suscitato dibattito su diversi livelli, anche sul piano strategico-politico. Se sto più
sull’associazionismo le realtà che ruotano intorno ad “Una Casa dei beni comuni” sono
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delle realtà che hanno assolutamente il potere e la voglia di suscitare e di fare
movimento e lo hanno fatto. Guardando il mondo delle cooperative, ma mi fermerei
qua, credo anche nel loro piccolo l’RTI-RAD rispetto all’accoglienza qualcosa hanno
fatto, nel suo piccolissimo anche LaEsse. Non con la forza di Caritas, che ha una
dimensione maggiore. Anche la comunità di Sant’Egidio credo che porti movimento.”
“Voi collaborate con Una Casa Per l’Uomo in che modalità?”
“Lo SPRAR è unico, lo chiamiamo SPRAR Treviso, ma in realtà allo SPRAR di
Treviso fanno riferimento anche i comuni sopracitati. Si tratta di un unico bando. 49
persone lo stesso bando. Con due enti attuatori che hanno formato una RTI. Coordino
tutte le figure che provengono sia da LaEsse che Una Casa Per l’Uomo. Quindi c’è
un’equipe mista di operatori di Una Casa Per l’Uomo e di LaEsse, con funzioni e ruoli
diversi, secondo quanto previsto dal manuale SPRAR. 50/50 come ripartizione di
coordinamento e responsabilità. Siamo 10 e in più io, come equipe strettamente
operativa, che significa che ci sono dei colleghi che seguono più la fase dell’accoglienza
e quotidianità dei beneficiari, dei colleghi che seguono tutta l’aspetto dell’integrazione,
quindi ricerca attiva del lavoro, l’inserimento sociale, la ricerca abitativa e
l’insegnamento della lingua italiana. e poi abbiamo due figure che formano l’equipe
tutela, all’interno sempre di questi dieci, una incaricata di seguire tutta la questione
legale, l’altra invece incaricata della dimensione della tutela psico-socio-sanitaria,
quindi dalle vulnerabilità psichiatriche, a quelle sanitarie al fenomeno di tratta, e
sfruttamento lavorativo. Questa è la parte più operativa, poi abbiamo 3 insegnanti di
italiano, divise per conoscenza della lingua, scuola interna oltre il CPIA, e quindi siamo
a 14, due etno-psico-terapeute. Quindi figure incaricate, qualora il beneficiario/a lo
volesse, di fare dei percorsi proprio di etno-psico-terapia. E poi c’è tutto il personale
amministrativo, legato alla rendicontazione del progetto che è veramente pesantissima,
nel senso che è molto impegnativa e puntuale, 3 persone che la seguono. Questa è
l’equipe globale e poi ci sono le figure dell’ente locale, quindi le assistenti sociali che
hanno un compito specifico, che è quello di monitorare il percorso dei beneficiari,
quindi avremo la referente area emergenze sociale, il responsabile amministrativo
dell’ente comune dello SPRAR e guardano agli altri comuni altre tre assistenti sociali,
una per comune di riferimento. Il maggior peso ce l’ha l’assistente sociale di Treviso
perché segue tot persone. Abbiamo a Maserada 5 uomini, a Mogliano 5 donne, a
150
Ponzano 10 uomini e tutto il resto è a Treviso con 5 donne. Le persone devono essere
tutte adulte, tendenzialmente con nessun problema di natura psicologica o sanitaria
importante. Detto che sul sanitario più volte lo SPRAR ha fatto tantissime eccezioni,
proprio per venire incontro ad alcune esigenze, ma sarebbe un progetto definito per
ordinari, quindi le persone dovrebbero avere una buona competenza linguistica e non
presentare vulnerabilità significative.”
“Diceva che tra questi 5 sono ancora richiedenti asilo”
“Si”
“E c’è poi chi è titolare di una protezione umanitaria?”
“Da luglio 2016 potevano entrare sia richiedenti asilo che rifugiati. “Decreto Sicurezza”
entra in vigore il 5 ottobre dell’anno scorso, chi aveva una protezione umanitaria non
può più accedervi. Le persone che però avevamo ancora in accoglienza restano
indipendentemente dal “Decreto Sicurezza”, quindi ho ancora persone con protezione
umanitaria. E ci restano fintantoché il percorso non verrà concluso. Ipoteticamente
hanno 6 mesi di tempo, finiti i quali abbiamo la possibilità di chiedere una proroga a
fronte di una relazione che documenti il perché si chieda.”
“State facendo una riflessione per loro?”
“Questo è una dimensione che segue il collega dell’equipe tutela che riguarda la parte
legale. Si sta cercando di capire con loro se convertire il permesso di soggiorno in casi
speciali oppure cure mediche. Perché alcune persone potrebbero ritrovarsi senza più il
diritto di stare qui. Però sì, dal momento in cui è entrato in vigore, l’equipe tutela si è
attivata per capire rispetto alle persone con protezione umanitaria, come fare, come
procedere, sia a livello informativo, quindi tutti i beneficiari sono stati informati con
workshop organizzati da noi sul decreto, cosa significava e su che possibilità avere.”
“Quindi di fatto lo SPRAR ha già sentito il cambiamento”
“Il decreto è operativo dal 5 ottobre, i cambiamenti ci sono stati. Non per le persone
dentro. Direi che per loro i cambiamenti sono stati nulli, fintantoché sono dentro. Non è
vero che il 5 ottobre chi aveva l’umanitaria è uscito dallo SPRAR, non è vero questa
cosa che ho letto. Secondo me il cambiamento più grosso l’ha creato rispetto all’esterno.
Io sento una differenza importante, e lo sarà sempre di più, in termini quantitativi per
esempio rispetto all’accesso. Non solo le persone che sono fuori con protezione
umanitaria non possono più, a differenza di quello che succedeva prima del 4 di ottobre,
151
chiedere l’ingresso in SPRAR. Ma diminuirà anche la possibilità di mantenere un
sistema di un certo livello anche in termini numerici, la protezione umanitaria era quella
maggiormente riconosciuta. Nel momento in cui questa protezione non esiste più, è vero
che ci sono delle nuove forme di protezione, ma io ipotizzo che pian pianino si
esauriranno le richieste, data a tutti per ipotesi la possibilità di entrare, ai rifugiati, a
coloro con la protezione sussidiaria e casi speciali, comunque avremo una quantità di
posti che rimarrà vuoto. Quindi hai tantissimi progetti SPRAR a livello nazionale,
tantissimi posti, ma potenzialmente tra un anno non serviranno più tutti quei posti
perché, nonostante oggettivamente servirebbero, non avremo più quella richiesta che
avevamo all’inizio. A Treviso non l’abbiamo ancora sentita questa cosa dei posti vuoti,
perché comunque c’è ancora tanta gente, vuoi per le Caserme, vuoi per altro, così tanta
gente per strada, in situazione di emergenza abitativa, e i posti non sono nemmeno tanti
per un territorio come il nostro che se alla fine non c’è tutto questo vuoto, in termini di
posti. Però immagino che a breve si sentirà questo anche da noi. Prima per entrare in un
posto SPRAR a Treviso ce ne voleva di tempo, adesso non ci vuole tanto tempo.”
“Quindi attualmente sono tutti pieni i posti?”
“Attualmente, siamo tutti pieni, ma ci sono stati una-due settimane con dei posti vuoti,
mentre questo prima non succedeva. La lista era infinita, che adesso si è ridotta, perché i
criteri di accesso ovviamente sono cambiati. Quindi questo il cambiamento più
significativo, ed è un’assurdità perché oggettivamente lo SPRAR, se gestito bene,
potrebbe aiutare moltissime persone e dare competenze a persone che non possono più
entrare perché hanno la protezione umanitaria. Non gliela diamo nemmeno più questa
possibilità. In realtà in altri territori dove c’erano molti più posti, questo lo so perché lo
SPRAR di Treviso fa anche parte di una comunità pratica sul diritto d’asilo in Veneto,
quindi si confronta con tutti gli altri SPRAR del territorio, sia con enti titolari che
associazioni, però ci sono altri SPRAR con numeri ben diversi da quello di Treviso,
quindi con numeri molto alti, che hanno tantissimi posti vuoti, che significa 30 su 200.
Che prima non succedeva.”
“Che idea ha del sistema prima del Decreto, era efficiente?”
“Io credo che sicuramente delle pecche ci sono, nel senso che forse sarebbe utile,
nonostante il Servizio Centrale sia estremamente elastico su questo, non credere che in 6
mesi di tempo riesci a rendere autonoma una persona. Il ché significa che dovresti
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riuscire a dare degli strumenti per la ricerca attiva del lavoro, della casa, per
l’inserimento sociale, in sei mesi, questo mi sembra molto, alla luce dei tre anni passati
ci vuole più tempo, anche perché se non si rispetta il criterio in entrata di competenze
buone, allora è impossibile in 6 mesi riuscire a cambiare la vita di una persona. Questo è
un limite legato ad una dimensione temporale, è vero anche che rispetto alle proroghe il
Servizio Centrale le valuta in maniera molto attenta ed è estremamente raro il diniego a
seguito di uno stimolo territoriale di richiesta di proroga se motivata. Non sono mai 6
mesi. Altri limiti io non ne vedo, anche perché un comune può scegliere di utilizzare
quelle risorse che sono state date come vuole, si fa carico del percorso delle persone,
decide, quindi di fargli fare un tirocinio, di investire sull’apprendimento della lingua
italiana, o sulla possibilità che ha una persona di iscriversi alla scuola guida, tutto
questo lo può fare, ha la possibilità di scegliere all’interno di un contenitore economico
molto ampio cosa fare, senza renderne conto, se non al Servizio Centrale. Quindi io
limiti sullo SPRAR non ne vedo, se non il tempo, si quello è troppo breve, 6 mesi sono
pochissimi, soprattutto se prima non è stato fatto un buon lavoro. Adesso lo vedo un
pochino più in crisi lo SPRAR, a livello nazionale, a livello politico, è vero che
continuerà ad esistere, ma io ho il dubbio che tutti questi posti regionali e nazionali
rischino di essere davvero tanti rispetto alle richieste. Però non credo sia un progetto
con delle pecche grossissime. Forse è troppo impegnativo a livello di documentazione,
ma lo trovo sensato, perché effettivamente l’euro speso deve aver lo “scontrino” che
giustifica perché lo hai speso. Ma la quantità di carte, di documenti da produrre, fatture
etc., questo potrebbe portare un comune o un ente attuatore a non volerlo fare, perché
quella sezione è molto impegnativa. Quindi queste due cose mi viene da dire, la
dimensione temporale per cui però il Servizio Centrale spesso ci viene in supporto, e
sicuramente la parte amministrativa complessa da gestire. Sul dopo il decreto, mi
interrogo su come possano coniugarsi un progetto che fa dell’accoglienza, della
cittadinanza, dell’inclusione delle persone il suo punto di forza con delle politiche,
stiamo sul nazionale, che non sono molto vicine a questo. Quel progetto nasce “iper
aperto”, stiamo sul territorio, proviamo a creare rete, legami, connessione, all’interno di
un panorama in cui c’è una disconnessione totale. È come se ci fosse una cosa
bellissima dentro una stanza buia e quindi si rischia di non vederla più, e forse ad un
certo punto nessuno la vedrà più. E quindi è un modello oggettivamente stimato anche a
153
livello europeo ed è stato messo tanto sotto attacco, per delle questioni che sono
squisitamente politiche. “Non facciamo accoglienza, non vogliamo lavorare con queste
persone, non le vogliamo tra i piedi, non guardiamoli neanche, siamo ben contenti che
Salvini abbia fatto quello che ha fatto, Salvini per modo di dire poi, e quindi che
muoiano pure in mare”. Forse adesso rischia di essere un progetto totalmente fuori
fuoco, fuori fase, che morirà perché la direzione in cui stiamo andando come cittadini
italiani è tremenda, o forse no, spero.”
“Con la passata amministrazione si era pensato di aumentare i posti?”
“Mi ricordo in alcuni momenti era stato fatto un ragionamento con Vittorio Veneto, ma
poi non si è tradotto, non per mancata voglia del comune, ma per difficoltà di trovare
alloggi idonei. Si parlava di una decina di persone.”
“La proroga dei 6 mesi, può eventualmente essere fatta una volta sola?”
“Tolti i richiedenti asilo che ancora abbiamo in accoglienza e sono loro gli ultimi,
dopodiché una volta usciti, non ne avremo più e loro sono seguiti per tutto l’iter,
nell’eventualità che abbiano ottenuto una risposta positiva, possono restare dal
momento della notifica, altri sei mesi, mentre per la maggioranza dei casi hanno tutti sei
mesi rinnovabili, di norma, una volta. Se ci sono degli elementi oggettivi, testimoniati
ad esempio dalla relazione dell’etno-psicoterapeuta piuttosto che da parte dell’equipe o
dell’ente locale, di difficoltà della persona, che per miliardi di ragioni non si riesce ad
inserire, nonostante anche abbia moltissime competenze non riesce a trovare nessuna
soluzione, si può valutare di avere un altro periodo di tempo. La rigidità sui sei mesi
non è fortissima ma va motivato, il perché si chiede di poter proseguire deve essere
relazionato, sia rispetto ai servizi che sono stati erogati alla persona fino a quel
momento, sia un piccolo progettino su quello che sarà il futuro. Valutano cosa si vuole
fare. Quindi non si possono chiedere sei mesi perché non sa dove andare, no, bisogna
motivare. C’è un rigore rispetto ai sei mesi non una rigidità, anche se indicativamente i
sei mesi dovrebbero essere il termine massimo di ospitalità in uno SPRAR, però si può
andare avanti. E di media è un anno. La proroga viene fatta spesso, ma secondo me
questa è una specificità di Treviso che ha comunque accolto, per disponibilità dei
comuni, anche persone con delle difficoltà significative in ingresso, sanitarie importanti,
anche linguistiche, gravissimi casi di analfabetismo, come dei casi di tratta. Quindi
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oggettivamente le condizioni di ingresso non erano conciliabili con i 6 mesi. Però credo
che sia tanto un’eccezione del territorio, massimo un anno però.”
“Tornando ai richiedenti asilo invece loro venivano seguiti per tutti i gradi di
appello?”
“Si, anzi ogni volta, per ogni grado, è fondamentale riprogettare con il comune. Cosa
possiamo fare e cosa non possiamo fare.”
“Come si posizione l’opinione pubblica di fronte alla crisi dei rifugiati? Ci sono
stati episodi espliciti di intolleranza o, al contrario, esplicite manifestazioni di
solidarietà?”
“Parto da quello più lampante che è positivo. Che sono contento di dirlo perché per me
era inatteso. A fronte di una situazione molto difficile di una beneficiaria che poi è
riuscita a trovare delle soluzioni alternative, beneficiaria che aveva un compagno qui ed
è diventata mamma qui. Sul reperimento di tutte le cose che servono ad una persona che
sta per diventare genitore, si è attivato un gruppo di mamme e papà, solo con il
passaparola di whatsapp, davvero impressionante. Per cui nel giro di una settimana non
solo c’era un aiuto concreto di minima ma c’era un surplus di aiuto, avevamo talmente
tanta roba per quelle bambine, che poi sarebbero nate, che mi ha lasciato sorpreso. Forse
non è vero che tutte le persone sono così lontane e resistenti, forse è vero nel momento
che si va aldilà dei colori dei capelli e ci si ferma a parlare e si vede la persona, scatta
un meccanismo per cui cambia tutto, in questo caso l’attivazione di un circuito di
mamme e di papà è stata rapidissima e di un’efficacia incredibile. Senza supporto delle
associazioni che non avevamo coinvolto. Il tutto è nato dal passaparola attivato da una
persona che seguiva questa beneficiaria rispetto alla maternità, che poi ha parlato con
una amica, questa amica ha parlato con amiche. Una rete spontanea bellissima, e
attualmente la beneficiaria ha trovato una sua casa, ha un alloggio ed è stata una cosa
che ha stupito anche me.
Gli episodi di intolleranza rispetto alla cooperativa ci sono stati, prima gliene citavo
uno. La cooperativa ha avuto un momento di difficoltà per la paura dei vicini, tant’è che
poi abbiamo deciso di non aprire un appartamento, che però mi ricordo è uscito nei
giornali, stavamo aprendo gli alloggi qui a Treviso, avevamo organizzato un incontro
qui con i vicini e in realtà ci siamo trovati con uno striscione, non mi ricordo bene, con
“via i profughi” “ no ai profughi”, adesso non ricordo bene, una cosa di questo genere
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appeso, sui balconi. Poi l’incontro lo facemmo comunque alla luce di cosa era successo
durante l’incontro che sintetizzando erano vicini molto spaventati, o forse con
tantissime resistenze, tantissime paure comprensibili o meno con alcuni stereotipi,
secondo me si. Inserire in quel contesto in quel momento delle persone secondo me
sarebbe stato estremamente difficoltoso. Però credo che se ci fosse stata quella fase di
conoscenza, quelle stesse persone avrebbero cambiato idea. Quartiere San Paolo, San
Liberale una via di mezzo. Stesso quartiere che ha accolto poi a pochi metri di distanza.
Quindi c’è una variabilità altissima. Credo che forse lo SPRAR sia stato anche protetto
come progetto, non credo abbia ricevuto grandi critiche in modo così forte. Episodi di
intolleranza nella fase iniziale rispetto alla paura sempre di trovarsi persone che non si
conoscono accanto, delle persone di colore, musulmane, quello che è, quindi telefonate
di un certo tipo, certo tipo significa aggressive da parte di alcuni cittadini, o molto
aggressive, che chiamavano me come coordinatore, ma non parlo di così tante, un paio
di occasioni, stesse persone che poi però, in quel caso noi siamo rimasti, e conosciuti i
beneficiari hanno totalmente cambiato idea. Quindi telefonata “venite qui a portare i
profughi, ci guadagnate una marea di soldi”, cosa che, ribadisco con lo SPRAR non è
assolutamente possibile fare, perché è un progetto reale, quindi non si guadagna proprio
nulla, sei rimborsato per le spese che dimostri di aver fatto. Stop. Con un tono molto
pesante, molto aggressivo, poi però la stessa persona, vengo a sapere da uno dei
beneficiari, era la persona che ha dato una mano a uno dei beneficiari accolti una volta
conosciuti. Quindi partite a pallone etc. ma poi c’è sempre la cosa per cui si dice “e ma
lui è diverso, lui è buono, non è come gli altri” il problema è che tutti potrebbero
diventare “non come gli altri” nella misura in cui veramente riuscissimo a conoscerci un
pochino di più.”
“Riuscite ad offrire un tirocinio lavorativo ai richiedenti asilo dello SPRAR? Se si,
avete convenzioni/relazioni con realtà in particolare? Il centro per l’impiego
aiuta?”
“Si con i fondi dello SPRAR, chiaro che deve essere un tirocinio sensato, chiaro che se
una persona non sa parlare l’italiano può essere che sia bravissima a fare l’agricoltore
qui abbiamo un rapporto con delle aziende penso Rio Selva, per citarne una, ma ce ne
sono diverse, quindi una persona che non sa parlare bene l’italiano ma magari lo
parlicchia o parla bene l’inglese, riusciamo a fargli fare un tirocinio, magari primissimo
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contatto con il mondo del lavoro ed è fine a sé stesso. Però i tirocini allo SPRAR
vengono fatti inizialmente con i fondi dello SPRAR, poi la prospettiva è quella
dell’assunzione, quindi o l’azienda ci sta in questa ottica, come spesso è successo,
oppure non portiamo avanti il tirocinio. Se ci rendiamo conto che o il tirocinio è andato
male, o l’azienda non è seria, e vuole solo qualcuno gratis, dopo due mesi sospendiamo.
Ci sono stati diversi casi estremamente positivi, Da Vittorino, un pub ad Olmi, due
tirocini fatti, due assunzioni fatte, persone inserite in SPRAR sono uscite e hanno il loro
appartamento e il loro lavoro. Quindi ci sono anche delle realtà serissime se hanno una
persona interessante in termini di competenze. Hanno anche il vantaggio di dire hai un
comune e uno SPRAR che ti paga il tirocinio, magari dopo due mesi non sei convito
della persona, ti facciamo un altro mese e questo è sì, un vantaggio significativo. Da
pino, specialmente all’inizio, panificio Bosco, poi azienda Siga mi pare, a Castelfranco
queste, in ambito industriale,
Tra i tirocini attualmente in corso a Silea con il cinema, con un rapporto molto positivo.
Attualmente devo dire che l’attivazione dei tirocini è inferiore perché abbiamo un certo
numero di beneficiari che hanno trovato lavoro, riescono con la loro rete di contatti a
trovarlo, specialmente nel settore della ristorazione, e dell’edilizia. Ma ne stiamo
attivando meno perché tendenzialmente le persone arrivano e già in un mesetto in un
modo molto autonomo riescono a trovare una soluzione lavorativa.”
“Il Centro Per l’Impiego aiuta?”
“Ha assolutamente un ruolo buono, lo faceva prima, lo continua a fare anche adesso, fa
quello che è previsto che faccia, se ci sono delle domande- offerta ci aiuta, a fronte,
però, di una buona conoscenza della lingua italiana. ci sono stati dei corsi aperti a tutti
su come ci si presenta, il cv, come riuscire a fare un buon colloquio di lavoro, e quindi
la disponibilità anche da parte loro c’è.”
“Vi relazionate con i CAS del territorio?”
“Si per quanto riguarda le occasioni di inserimento, per cui molto spesso sono i CAS a
fare le segnalazioni al Servizio Centrale e se sono CAS di Treviso e dintorni è evidente
che il primo scambio ce l’hanno tendenzialmente con me, referente di struttura e come
coordinatore. Sugli inserimenti si, su altro, aldilà dei CAS della RAD , non direi.”
“Dal punto di vista di assistenza sanitaria è cambiato qualcosa dopo il “Decreto
Sicurezza”?”
157
“Chi ha una protezione umanitaria, ad esempio, può essere ritenuto un caso di
vulnerabilità sanitaria, il rischio è che fintantoché non avviene la trasformazione del
permesso da umanitario a permesso nuovo, la persona non possa fare le visite. Nel
senso che me ne tolgono uno e sono in attesa dell’altro ma finché non sono in possesso
del nuovo, e sono una persona con problemi sanitari io non posso fare nessuna visita, e
questo ci rende un pochino difficile la vita.”
“Esiste una riflessione nel comune con/ o negli enti gestori riguardo ai percorsi di
post accoglienza o con altri attori?”
“Era stata aperta, anche qui nel periodo novembre 2017- giugno 2018 una riflessione.
Questo più o meno è stato il tempo del processo che ci ha portato a dire che non
riuscivamo a farcela, in quel momento, in cui si provava a fare un ragionamento tra ente
locale, ente attuatori e Refugees Welcome per cercare di immaginarci una accoglienza
ulteriore dopo lo SPRAR. È stato un ragionamento lunghissimo, non siamo riusciti poi a
chiudere la riflessione secondo me più per una questione di mancata possibilità di
riconoscere anche delle risorse economiche dello SPRAR a Refugees Welcome, perché
altri motivi non ne individuo, LaEsse potesse investire anche alcuni dei suoi operatori
nel supporto anche all’individuazione delle famiglie e al loro sostegno, c’erano delle
famiglie disponibili a Treviso. L’idea era: lo SPRAR mette a disposizione le sue risorse
di persone e di tempo, mentre il patrimonio di contatti lo mette Refugees Welcome.
Almeno all’inizio LaEsse può dare anche una sala per fare le attività, il comune in
quanto titolare dello SPRAR lo coinvolgiamo ma poi però non abbiamo avuto la
possibilità di riconoscere a livello burocratico un tot di risorse che andavano a Refugees
Welcome e quindi questa cosa è un po’ morta e speriamo di riprenderla. Sul resto
invece, oltre a questo, sulle riflessioni sul dopo no, vengono sempre fatte sulla singola
persona che sta per uscire, capiamo se il comune ha delle risorse che può eventualmente
spendere, capiamo se ci sono altre associazioni del territorio utili, ma non direi che in
questo momento ci sia una riflessione strutturata.”
“Quante persone da quando avete iniziato?”
“134, quindi da settembre 2016”
“Perché non minori?”
“Perché il progetto è stato pensato solo per adulti, la gestione di uno SPRAR per minori
richiede delle strutture certificate anche per minori, necessita della presenza h24 nelle
158
strutture, che in uno SPRAR per adulti non è richiesto e ha tutto un altro tipo di
implicazioni in termini di tempi, complessivi da gestire rispetto ad uno SPRAR per
adulti. Ed è il primo SPRAR a Treviso, quindi partiamo da una cosa un po’ meno
difficoltosa.
159
Intervista 4: LaEsse per la parte CAS
Data: 19 dicembre 2018
“In materia di accoglienza asilo i CAS con quali soggetti si relazionano e perché?
(Che tipo di scambi sia formali che informali)
1. Prefettura..”
“Con la Prefettura, il tipo di relazione è assolutamente formale nel senso che la
Prefettura per noi è la committenza. Il committente. Per cui è il soggetto con cui
stabiliamo, convenzione del contratto annuale, che emana annualmente perché di fatto i
bandi durano, al massimo un anno.
Quindi annualmente emana il bando, di fatto fin dall’inizio noi abbiamo avuto una
relazione formalizzata con la Prefettura. Una relazione, però, che si è anche modificata
nel tempo, in base al tipo di esigenze legate al movimento migratorio. Quindi da prima,
era paradossalmente meno formalizzata, nel senso che il primo incarico che abbiamo
avuto era un incarico fuori bando, fuori gara. In cui si è firmato comunque un contratto,
però non c’è stato un bando all’inizio. Ma semplicemente la Prefettura si era trovata a
gestire l’accoglienza improvvisa, ti parlo del 2014, di richiedenti asilo, si parlava quindi
anche se io non la definisco così ed è raccapricciante di “seconda ondata migratoria”
rispetto alla crisi del Nord Africa del 2011.
Quindi in quel momento, cosa ha fatto la Prefettura? Ha contattato alcuni soggetti del
territorio, c’eravamo noi, la Caritas e qualche altro soggetto, vari enti gestori, più che
enti gestori soggetti che lavoravano con l’immigrazione all’epoca. E quindi c’è stato
questo contatto in cui ci invitavano ad accogliere i richiedenti asilo. In quel momento, e
per un lasso di tempo che è andato avanti almeno fino all’apertura delle Caserme
Serena, anzi forse un po’ dopo, c’è stata una continua richiesta da parte della Prefettura
di spinta e di pressione affinché noi aprissimo nuovi posti. E anche di fronte al fatto di
dire “ma non riusciamo ad aprire, c’è ostracismo da parte dei comuni” “non vi
preoccupate ci siamo noi” che ci interfacciamo con loro.” Questo primo momento la
Prefettura “faceva quasi da partner”.
Cioè era una committente, ma si poneva come nel rapporto, ti chiedeva collaborazione,
e quindi quasi ti faceva intuire una relazione più paritaria. Dopodiché, un po’ perché la
pressione è cambiata, sia perché loro hanno deciso per l’apertura di grossi hub. Questo
ha decompresso, diciamo, la situazione e ha anche modificato il tipo di relazione.
160
Quindi ci ha fatto diventare di più soggetti in una relazione asimmetrica con una
committenza anche molto forte. Fino ad una formalizzazione estrema, che quindi da un
lato appunto è cambiato nel tempo il livello di pressione. Tant’è che partivamo all’inizio
da una fase centrale in cui ci chiedevano l’overbooking, dovete aumentare i posti. E
tutte le porte che chiudevamo, loro ci facevano notare questo, c’erano telefonate alle
otto di sera nel weekend e situazioni anche estreme, in cui ci chiedevano di aumentare il
numero di posti. Dopodiché il paradosso: è venuto il momento in cui, che è anche il
momento attuale, iniziato ormai otto-nove mesi fa, con molti posti vuoti, nonostante ci
fosse stata questa forte pressione. Inizialmente una rendicontazione che andava a retta
giornaliera, okay, quindi di fatto una retta di qualsiasi comunità, io ti dico che appunto
ci sono i 35 euro comprensivi del pocket money, tu devi stare all’interno di quei costi,
ma i controlli eventualmente li fa la guardia di finanza. Noi fatturavamo, presentavamo
alcune pezze giustificative. Fino ad un cambiamento sostanziale che nell’ultimo
capitolato, nell’ultimo bando relativo al 2018 è diventato molto formalizzato anche in
seguito ai controlli che aveva predisposto e chiesto la Corte dei Conti proprio rispetto ad
una mala gestione dei fondi sull’accoglienza, fino ad arrivare a stringere tantissimo.
Fino a portare la rendicontazione dei CAS molto simile a quella degli SPRAR. Noi
eravamo abituati in quanto LaEsse, appunto, gestiva già lo SPRAR. Certo è che non è
facile cambiare in corsa tutto, soprattutto quando i termini erano diversi inizialmente.
Questo per spiegare il cambiamento sia in termini di relazione, sia in termini di
formalizzazione della rendicontazione. Anche nella relazione tra enti gestori e Prefettura
c’è stato un periodo in cui, come responsabili degli enti gestori, avevamo facilità di
relazione con il Prefetto, in una forte dialettica, forse anche fittizia. Nel senso che il
potere era sempre dalla loro parte, però c’era dialettica su alcuni temi o alcuni problemi,
bisogni. Attualmente, c’è stato anche il cambio del Prefetto ma non è relativo solo a
quello, è relativo a tutti i cambiamenti in atto in Italia rispetto al tema dell’accoglienza e
c’è difficoltà di interazione. Nel senso che è proprio difficile interagire. Non solo con la
Prefetta con la quale non abbiamo richiesto in tal senso o comunque nell’ultimo periodo
incontri, ma anche con i funzionari e dirigenti. C’è proprio una distanza molto forte,
data probabilmente da una loro forte disorganizzazione al momento perché sono
cambiati tantissimi soggetti all’interno, ma data anche da una certa distanza maggiore
che si vuole tenere. Non che prima ci fosse una vicinanza, nel senso che prima era tutto
161
formalizzato, non sapevamo niente, le ispezioni venivano fatte, giustamente, a sorpresa
nelle strutture e tutta una serie di cose che comunque..però in sede di programmazione
dell’accoglienza era possibile parlare di più, insomma, confrontarsi di più. Come
succede con tutti gli altri committenti, che magari ricalibri le cose. Invece, adesso, è
completamente…la comunicazione è ad un senso, nel senso che ci arrivano le circolari
della Prefettura, quando noi inviamo pec è difficile avere una risposta. Si in questo
senso sento che si è deteriorato il rapporto. Deteriorato nel senso che è proprio difficile
interloquire e anche sulla rendicontazione, già al loro interno, c’è una grossa
confusione, nel senso che ci sono ritardi. Noi siamo fermi a… c’è stato pagato gennaio,
febbraio e marzo (2018) al cinquanta percento, quindi siamo fuori di un anno. Con
accesso al credito bancario e quindi cosa che non viene nemmeno presa in
considerazione come spesa in più degli enti gestori. Ma in realtà gli enti gestori, almeno
qua, si stanno facendo carico di un anno di accoglienza, quindi non solo spese del
lavoro, ma anche spese vive dell’accoglienza.”
2. Questura…
Rapporti più blandi come responsabile della cooperativa. Certo che con la Questura, a
parte alcuni incontri all’interno di tavoli della Prefettura, non ho avuto grandi contatti.
Mentre, c’è una relazione costante tra il nostro operatore legale e la Questura. Prima
appunto si interfacciava tutta l’equipe con la Questura, in questo momento in particolare
l’operatore legale lo fa, che lavora sia dentro il CAS che dentro lo SPRAR, con questo
ruolo e di fatto ci si interfaccia per tutta la documentazione iniziale, ma adesso abbiamo
dentro tutte persone da tanto. Mi pare che la relazione, a parte con alcuni singoli
soggetti che lavorano dentro, sia abbastanza buona, anche con la dirigente del settore
immigrazione della Questura. Quindi la relazione è buona, all’interno di quei parametri
istituzionali, che fanno già da limite, da confine, mi pare che fino ad ora, in termini di
collaborazione da quel punto di vista è stata abbastanza efficace, insomma. All’interno
di quello che ci si poteva aspettare all’interno di quel contesto lì.
“Quindi velocità nelle procedure?”
“Nei tempi loro, però per esempio c’è sempre stato il problema del rilascio del permesso
di soggiorno per la carta prepagata. Per il pocket money noi utilizziamo una carta tipo la
PostePay, che mi pare sia di banca etica. Quando il permesso di soggiorno scade, è un
problema, perché la carta scade e là dobbiamo comunque rispettare i tempi della
162
Questura. Quindi non ci sono favoritismi perché arrivi prima e penso che va così. Però
una relazione funzionale ai limiti dell’accoglienza”
3. enti gestori..
“Noi facciamo accoglienza diffusa. Quindi noi abbiamo un modello di accoglienza che
è, o per piccoli appartamenti, o appartamenti o comunque per piccole strutture. Quindi
sin da subito la nostra relazione si è focalizzata con quei soggetti che facevano
accoglienza come noi. Questo è stato il criterio che ha guidato il nostro livello di
collaborazione con i soggetti. Escludendo tra virgolette, anche quei soggetti che
facevano anche accoglienza diffusa ma che si muovevano secondo mission
completamente diverse. Mi riferisco ad esempio, anche a chi dentro la Prefettura si è
auto-definito “imprenditore dell’immigrazione” “imprenditore dell’accoglienza”. E
quindi comunque, c’è uno spartiacque tra chi fino a quel momento si era occupato di
immigrazione e chi invece ha visto nell’immigrazione un settore imprenditoriale e basta.
La nostra reazione è stata approfondire la nostra relazione con Caritas Treviso, Vittorio,
alcune cooperative della zona, quindi Una Casa per l’Uomo, Alternativa, GEA. Poi
magari ci entriamo di più nei passaggi dell’RTI o RAD, e alcuni enti religiosi che erano
stati sollecitati dalla Caritas tipo Domus Nostra o le Discepole del Vangelo. Ed infine, il
consorzio Restituire che era entrato. Quindi ci siamo mossi all’interno di quella rosa di
enti gestori che promuoveva un’accoglienza non in hub super numerosi, che credevano
in qualche modo nell’inserimento delle persone accolte nel tessuto sociale e produttivo
della zona. Queste sono le relazioni che abbiamo avuto positive, collaborative con
alcuni soggetti. Gli altri soggetti la relazione è stata interfacciarsi durante le riunioni in
Prefettura, ritrovarsi ad alcuni tavoli, convocati dal comune di Treviso. C’è stato un
momento in cui il comune di Treviso con la precedente amministrazione, e l’assessorato
all’immigrazione di allora che era la Cabino, in cui è stato fatto un tentativo di lavorare
con i vari enti gestori che gestivano l’accoglienza dentro al comune di Treviso perché
provassero a strutturare un progetto unico. In quel momento lì non nascondo che il
nostro apporto è stato pari a zero. Nel senso che abbiamo fatto notare come la difficoltà
di questi progetti non era tanto la difficoltà in entrata, non era tanto il non trovare
somiglianze o punti di connessione con questi altri soggetti. Questi altri soggetti che
erano per intenderci, Gasparetto (Civico 1), Marinese di Nova Facility, in quel frangente
lì devo dire la verità. Mentre Gasparetto si era tirato abbastanza indietro io con
163
Gasparetto, le uniche connessioni che ho avuto, ha chiamato quando aveva iniziato ad
occuparsene, abbiamo fatto un incontro perché voleva che fossimo noi la cooperativa
che supportasse l’accoglienza all’interno delle sue strutture ma non c’erano le
condizioni perché noi potessimo farlo e ci siamo tirati indietro. Poi altri contatti
sporadici direi uno/due perché si era trovato a gestire sanzioni della Prefettura oppure
c’erano delle circolari che non capiva, e voleva capire come ci saremo posti. Però
rapporti blandi, sfilacciati. Non potrei dire né collaborativi, né competitivi, né
conflittuali. Proprio freddi, però in particolare da parte nostra. Con Gianlorenzo
Marinese invece, di Nova Facility, ci teneva tantissimo che Nova Facility e LaEsse
facessero questo progetto che era di riqualificazione di un’area verde a Sant’Antonino di
Treviso, un’area verde scelta a caso, assolutamente a caso, con un obiettivo che non
teneva conto dei bisogni di quel territorio di là, ma calati dall’alto, “facciamo un centro
giochi per adulti”, ma non si capiva. La ratio erano i lavori di pubblica utilità e quindi
noi avremmo dovuto gestire l’inserimento delle nostre persone accolte all’interno di
questo progetto insieme a Nova Facility, noi in quel momento lì, devo dire, siamo stati
noi a non voler collaborare. In primis perché non condividevamo l’approccio
all’accoglienza di Nova Facility. Nel senso che, niente da dire su Nova Facility,
promuove il suo tipo di accoglienza, io non sono mai entrata alle Caserme Serena,
quindi non so come la facciano, posso avere delle percezioni di riflesso che mi arrivano
dalle persone che erano accolte là o dagli operatori, ma di fatto non sono mai entrata.
Quindi potrebbe farlo nel migliore dei modi. Ciò non toglie una distanza abissale da noi.
Quindi questa collaborazione che era tanto auspicata da loro non c’è stata ma proprio
perché partivamo dal presupposto che sia come gestione dell’accoglienza, quindi quali
sono i criteri che usi e le azioni su cui investi di più, sia nella gestione e
nell’organizzazione delle risorse umane che lavorano dentro queste strutture, eravamo
molto diversi, quindi non se ne è fatto niente. Quindi ecco, la realtà è questa. Con altri
enti gestori nessun tipo di rapporti, invece con cooperative nate proprio per
l’accoglienza c’è stato chiesto un supporto su alcune fasi, ma gratuito, semplicemente
un confronto e noi lo abbiamo sempre dato ma nell’ottica di sostenere le altre
cooperative che ci sembravano muoversi dentro una cornice etica in alcuni casi
condivisibile, accettabile.”
164
4. Altri come associazioni di volontariato o movimenti politici
“Movimenti prettamente politici no, se non in una fase iniziale in cui come rete di
soggetti ci affacciavamo rispetto all’accoglienza. Ti parlo dei primi mesi, primi anni,
pensavamo che per poter scalfire la chiusura del territorio di quei comuni che
assolutamente non volevano fare accoglienza dovessimo in qualche modo fare anche
una pressione politica e avere dalla nostra parte alcuni soggetti che ci sembravano
soggetti forti politicamente. Quindi c’è stata una forte connessione da parte nostra con
alcuni parlamentari del PD, quindi dell’area del centro sinistra. In cui noi chiedevamo
che ci fosse una presa di posizione forte da parte di quell’ala politica, ma semplicemente
non perché noi, e la Caritas, fossimo del partito, ma sentivamo che poteva essere una
sponda favorevole. Perché ci fosse una loro assunzione, una loro spinta, in termini
proprio di che narrazione si potesse fare sull’immigrazione, parlando dell’accoglienza
richiedenti asilo non come emergenza, ma come normalizzazione di un fenomeno
sociale che sta capitando e quindi va affrontato. Volevamo quindi qualcuno che
sponsorizzasse, promuovesse, difendesse, anche a livelli istituzionali un certo tipo di
operato e in particolare un certo tipo di accoglienza. Ci sono stati dei contatti iniziali
anche delle aperture ma poi…”
“Ma politici di Treviso e zone limitrofe?”
“No, ti parlo di parlamentari, avevamo parlato con Puppato, Casellato, Rubinato. Cioè ti
parlo di soggetti politici. Avevano partecipato anche ad un nostro incontro in Caritas.
Non pretendevamo niente, volevamo solo intavolare una riflessione che si spostasse
dalla gestione quotidiana e che andasse a costruire una prospettiva di accoglienza nel
territorio. E quindi di questa prospettiva noi volevamo dare alcuni criteri di come
avrebbe dovuto essere e che spingesse con le proprie giunte o a livello di territorio e a
livello centrale. La cosa non è andata avanti. Uno, perché nessuna parte politica ha un
pensiero sull’immigrazione, quindi loro non ce l’avevano. E se non ce l’avevano era
difficile. Erano molto aperti, ci stavano anche in una riflessione, ma poi non si andava
avanti. Un po’ anche perché la Prefettura non ha mai incentivato che ci fossero
connessioni altre, anche l’RTI stesso era un problema per la Prefettura in termini di
connessione, era vantaggioso solo in termini di rendicontazione. Perché rendicontavamo
noi LaEsse per tutti, passavano attraverso di noi le fatture e quindi quello era comodo,
non era comodo il fatto che diventassimo un soggetto di massa critica, che facessimo
165
massa critica. E in qualche modo questo non è stato incentivato. Però abbiamo tentato
quella carta, abbiamo tentato anche un contatto più forte con il mondo del volontariato,
ma non con le singole associazioni, ma con il mondo del volontariato in generale, anche
la un po’ è andato a vuoto. Anche là, perché il mondo del volontariato è estremamente
frammentato e frammentario. È ricchissimo, vero, visto che si dice continuamente che
Treviso ha un’attivazione del volontariato, veramente…la provincia in particolare,
molto attiva. Ma è estremamente frammentata, sull’immigrazione non sono tantissimi
soggetti e gli altri soggetti, quelli che sono associazioni con altre tipo di mission molte
non vogliono essere neanche mescolate con questo tema. Invece c’è stata una buona
relazione con delle singole associazioni, quindi laboratori di cooperazione, alcune
associazioni anche religiose tipo la Sant’Egidio, altre associazioni singole tipo I CARE.
Quindi con singole associazioni noi siamo riusciti a lavorare bene su progetti specifici,
su laboratorio occupazione/cooperazione, ad esempio, avevamo fatto tutto il laboratorio
sull’agricoltura, per, appunto, sostenere i ragazzi nell’aumentare le competenze in
agricoltura. Quindi avevamo fatto gli orti solidali qui a San Paolo, con l’associazione
degli orti di San Paolo in cui i nostri ragazzi di Viale della Repubblica facevano l’orto
con gli abitanti del quartiere. Quindi come dire, ci sono state relazioni estremamente
positive, e nei singoli casi, mi viene in mente la Sant’Egidio, con cui c’è un mondo di
differenza da noi, la loro attenzione verso alcune persone è stata estremamente positiva
per noi. Invece l’aspetto più problematico è stato per noi almeno, a differenza di Caritas
che è capillare perché ha le parrocchie, noi siamo una cooperativa e per quanto
facciamo lavoro nei territori però rimaniamo tale, quindi il “dopo accoglienza” rimane
un problema. Abbiamo alcuni posti nei nostri appartamenti di housing sociale dedicati
ad alcune persone uscite dal progetto di accoglienza, ma non abbiamo un progetto
strutturato di questo tipo. Quindi nel momento in cui le persone uscivano, o anche in
altri momenti in cui è stato chiesto alle associazioni di volontariato dateci una mano ad
individuare degli altri posti, degli altri appartamenti, questo tipo di risposta invece non
c’è stata, non abbiamo trovato grande potenzialità di attivazione su momenti pratici.
Mentre Binario 1 piuttosto che Auser, e tutte queste associazioni si sono sempre mosse
bene in termini di sostegno all’alfabetizzazione, o rispetto alla socializzazione. Con
alcune invece la relazione non è stata positivissima perché si partiva da istanze diverse.
Ad esempio, noi i lavori di pubblica utilità gli abbiamo sempre considerati svilenti, non
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perché lo siano in sé e per sé, ma perché partivano dal presupposto, questo paradigma:
devi restituire qualcosa. Noi questo l’abbiamo sempre sentito svilente perché il chiedere
a delle persone che avevano in mente un progetto migratori che prevedeva arrivare in un
altro paese, cercare di regolarizzarsi per accedere ad un lavoro e quindi anche inserite
all’interno di un percorso che è un limbo temporale lunghissimo in cui la motivazione
anche dei più forti può essere messa a dura prova, chiedergli di lavorare gratuitamente
in attività che quasi sempre non prevedevano una relazione costante con italiani e quindi
erano attività fortemente stigmatizzanti. Perché un conto è fare attività di operatore
ecologico in Italia, e va benissimo, è il mio lavoro, è un lavoro riconosciuto come tutti
gli altri. Ma vedere dieci/quindici ragazzi africani o pakistani con una casacchina lungo
le strade a raccogliere le foglie, perché quello devono fare per restituire, ma perché non
è l’attività in sé che umilia ma il pensiero che ci sta dietro. Noi ci siamo scontrati
fortemente anche con forze politiche progressiste perché per loro era diventato il cavallo
di battaglia, la sicurezza e i lavori di pubblica utilità, quando noi chiedevamo di
strutturarli, ad esempio. Dobbiamo dipingere una scuola? Facciamolo, perché non
coinvolgere anche giovani e persone delle istituzioni? A Roncade ci abbiamo provato
tantissimo, in alcuni casi ci siamo riusciti. In altri casi per mantenere un livello di non
conflitto in quel territorio, siamo dovuti scendere a patti e offrire i nostri ragazzi perché
facessero lavori di pubblica utilità perché così andava bene, almeno li avrebbero visti
fare qualcosa. Quindi ecco che con alcune associazioni con cui abbiamo collaborato e
che erano estremamente rigide nel rapportarsi a queste persone, io ricordo ragazzi che,
non faccio il nome dell’associazione, dopo un’esperienza con loro mi hanno detto, non
voglio più andare, alcuni dei ragazzi, tra l’altro inseriti nel modo migliore nei nostri
progetti e strutture, quindi non la persona che magari è estremamente conflittuale o che
fa fatica ad inserirsi, si sentivano umiliati, perché venivano ignorati per strada ma non
solo dalle persone incontrate per caso, ma dagli stessi volontari che dovevano
accompagnarli. Oppure per il fatto che non nascesse nessun tipo di contatto e di
interazione e quindi mentre sono là mi dici cosa fare, mentre ti incontro in un altro
frangente e a momenti non mi saluti. Quindi con le associazioni abbiamo avuto, con
alcuni, rapporti molto positivi, con altre invece un’idea proprio diversa. Quindi abbiamo
qualche socio volontario dentro alla cooperativa ma al momento non impegnati. È vero
anche che in alcuni territori, ad esempio a Giavera del Montello, dove siamo in una
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struttura della diocesi, in cui da una parte ci sono richiedenti asilo e dall’altra sono
immigrati di lungo corso, oppure usciti anche dal percorso di accoglienza che lavorano e
che quindi pagano il loro canone mensile, là invece abbiamo attivato un gruppo di
volontari e famiglie volontarie piuttosto forte. Nel senso che lì la realtà è forte. Si è
creato un gruppo di giovani che oltre ai percorsi di alfabetizzazione che facciamo o
dentro la cooperativa con l’insegnante di italiano o con i CPIA c’è un gruppo di giovani
che si incontra una sera a settimana anche di più, che fa conversazione, con i quali si
struttura un’attività. I ragazzi la domenica vanno a mangiare per tutto il mese di
dicembre ma anche in altri periodi presso una stessa famiglia e fanno cose insieme, tipo
andare al cinema così. Piccoli segnali che per noi spingono tantissimo anche sul fronte
della relazione con le famiglie perché vanno accompagnate ma sono anche molto forti e
stanno crescendo tanto. Siamo in una fase in cui in alcuni contesti non siamo riusciti a
smuovere niente in termini di relazione con il territorio perché c’è stato detto non potete
farlo, in alcuni casi un po’ mediato dal parroco di riferimento, un po’ perché siamo
riusciti a smuovere contesti in cui il lavoro di inserimento sociale è molto forte.”
“Treviso come si posiziona?”
“A Treviso c’è stato un lavoro istituzionale forte quando c’era la Cabino in termini di
riconoscimento della carta d’identità e anche per tutta una serie di cose. La Cabino era
una persona estremamente aperta, benché io abbia lavorato sempre bene con lei, scontri
tra me e lei sulla questione dei lavori di pubblica utilità ci sono stati, perché lei diceva
che era l’unico strumento che avevano loro del centro sinistra, invece a mio parere è uno
scimmiottamento di…un adeguamento a.. e lei ad esempio sul fronte istituzionale c’era
tanto, ma a Treviso è stato difficile costruire, con associazioni formali anche si, ma con
il tessuto non tanto. Non abbiamo esperienze, solo singoli ragazzi che magari con la
Sant’Egidio o con altri tipi di realtà hanno fatto un percorso. Treviso però aveva la
potenzialità che sei centrale, più possibilità di accesso al lavoro, hai corsi istituzionali,
mentre su Giavera più difficile, perché sei in mezzo alle colline. Roncade e Casier
problematico. Un po’ perché le strutture sono in zone periferiche, zona industriale, ma
non solo per quello ma perché l’indirizzo dei comuni era, Roncade lavori di pubblica
utilità tutta la vita, proloco, “ma facciamoli lavorare, che vedano, che lavorino”. Con
tutto il conflitto sociale che innesca, con chi si occupava della manutenzione delle aree
verdi che dice che gli mi stanno scippando il lavoro. Oppure il lavoro alla proloco per la
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sagra, anche con piccoli risultati ma sempre con questo ricatto, diamo le carte di identità
se voi “lavorate a”. Un livello di ricatto costante in cui stare come ente gestore che cerca
di promuovere alcuni processi, ma che sei schiacciato tra i bisogni e le richieste dei
ragazzi, legittime, e le richieste o i confini e i paletti che ti pone un ente locale. Che in
quel caso non è il committente ma per starci in quel territorio…è stato veramente
difficile, nel senso che sei schiacciato, da una parte e dall’altra ed è veramente difficile
riuscire a gestire la situazione anche se fino ad ora l’abbiamo gestita. A Casier invece
c’era grande timore da parte dell’ente locale, anche quando eravamo l’unico centro di
accoglienza, non c’erano le Caserme Serena. L’atteggiamento era “noi lavoriamo per i
nostri, non vogliamo assolutamente confonderci”. Abbiamo provato a metterli di fronte
al fatto che dovevano continuare a lavorare per i loro cittadini tutti, ma niente vietava
che potessimo fare degli incontri.
Bisogna dire che inizialmente avevamo proposto degli incontri ed era venuta Forza
Nuova che all’epoca era ancora attiva, vero che c’era un clima un po’ bruttino. Ma
anche lì non si è riusciti a fare un lavoro costante con il territorio, in cui i ragazzi erano
degli “alieni” nel territorio. Quando è arrivata la Caserma Serena ancora di più. Quindi
tutti i nostri sforzi sono stati di costruire connessioni altrove o puntare tantissimo sulle
loro competenze o sul fatto che vivano altri contesti.”
“Siete riusciti a fare le carte d’identità alla fine?”
“si siamo riusciti dappertutto mi pare”
“Quando sono stati aperti i CAS di LaEsse? Quanti erano all’inizio e quanti sono
ora?”
“Aperti nel 2014 con convenzione, senza bando. Era per affidamento diretto e poi
invece abbiamo iniziato a partecipare ai bandi.”
“Quante persone accogliete e solo uomini?”
“Si solo uomini. I numeri sono cresciuti all’inizio, metti che avessimo inizialmente 30
persone circa, non hanno mai superato i 90 posti. Per assestarsi ora sui 78 posti, pieni
68. Siamo su Casier, Roncade, Giavera e Treviso. C’è stato un periodo in cui eravamo
in più comuni perché abbiamo gestito per l’emergenza nel 2015, poco prima che
aprissero le caserme, il dormitorio di via Pasubio, d’estate quando non era ancora
dormitorio, lì vi erano una trentina di persone. Quando abbiamo dovuto riaprirlo come
dormitorio per i mesi invernali la Prefettura ovviamente ci ha detto “eh beh” adesso ci
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pensate voi a sistemarli. Quindi è stata un’estate da incubo in cui abbiamo dovuto
cercare soluzioni. 30 persone da inserire in appartamenti non sono facili, quindi
abbiamo avuto l’aiuto della parrocchia di Candelù, di Don Riccardo che ci aveva
ospitato in parte, e l’altra metà a casa Milaico sul Montello. Prima che aprissimo la
struttura di Treviso. I nostri 30 posti su via Pasubio sono 30 posti che noi non avevamo
proprio contemplato di aprire, e ci siamo trovati ad aprire per questo motivo qua. A
Treviso ci sono 15 posti. Noi abbiamo sia a Roncade, sia Treviso e Casier appartamenti,
i più numerosi sono a Treviso che è una palazzina con tre appartamenti da 5 persone,
tutti gli altri vanno da due a tre, a Roncade da 2-3-4 persone. Tutti dotati di cucina e del
necessario per essere autonomi. Loro fanno vita di appartamento. Mentre a Giavera una
struttura di una trentina di posti neanche. Inizialmente erano di meno poi siamo andati a
crescere. Abbiamo iniziato ad aprire altre strutture, ma ci siamo sempre posti un limite
numerico di posti per la nostra gestione. Perché noi abbiamo diversi settori in
cooperativa non volevamo che diventasse l’unico settore più grosso e preponderante
anche perché ipotizzavamo che comunque la gestione dell’accoglienza sarebbe
cambiata. Non sono gli arrivi che cambiano magari o la spinta migratoria, ma magari la
gestione si. In vista di questo cambio di gestione abbiamo sempre preferito per non
sovra-strutturarci mantenerci sotto le 100 unità.”
“Com’è stato l’avvio dei CAS dal punto di vista amministrativo e delle relazioni
con il territorio? Ed è stata una decisione contesa al livello politico?”
“Nessuno ci ha aperto le porte, Giavera va beh, sebbene abbia una Giunta della Lega,
ma era già un centro di accoglienza per immigrati, quindi è stata abbastanza morbida
come cosa. L’importante era non andare in giro a sbandierare. Su Casier e Roncade ho
raccontato un po’ come erano, con Giunte di centro sinistra. Su questi comuni è centrale
l’idea dell’invisibilità, non creare problemi. Telefonate innumerevoli anche da parte
dell’amministrazione di Casier tipo “una signora mi ha scritto che ha visto uno che
stava mangiando uno yogurt con il dito fuori da un supermercato” e li fai fatica. Oppure
“hanno rubato degli stivali da donna in una casa” noi non abbiamo donne. Un livello di
tensione constante in cui sembrava che qualsiasi cosa avvenisse, ma non atti importanti
ma banali, contro il decoro, e sicurezza riguardassero gli accolti, parole costanti anche
da parte del centro. Mentre nella gestione di situazioni anche critiche, noi abbiamo
avuto ad esempio una situazione di una persona che ha avuto una sofferenza psicologica
170
importante, lì invece noi estremamente chiari, abbiamo avvisato subito e c’è stata
collaborazione. Però ecco nella normalità sempre questa difficoltà di far passare alcuni
messaggi, di permettere che ci fosse un’accoglienza vera.”
“Adesso com’è la situazione secondo lei: è un sistema efficiente? E che opinione ha
dei cambiamenti a cui sarà sottoposto, ne immagina le tempistiche?”
“Noi basiamo le nostre scelte su una base di decisioni partecipate. La prima cosa che
abbiamo fatto quest’estate, in cui si parlava del “Decreto Sicurezza” e iniziavano ad
uscire a stralci quelle circolari che presentavano elementi che si sono concretizzati nel
decreto, abbiamo iniziato a parlarne prima con l’equipe del CAS. È un’equipe costituita
da 18 persone circa, e poi con il settore intero di accoglienza e inclusione che racchiude
anche lo SPRAR marginalità e housing sociale. E successivamente con l’assemblea
proprio dei soci, perché volevamo che qualsiasi direzione si prendesse fosse in qualche
modo condivisa. Perché la decisione tocca aspetti progettuali etici ma anche aspetti che
poi, essendo noi una cooperativa sociale, hanno a che fare con il lavoro delle persone
impiegate nel settore, quindi avevamo bisogno di condividere largamente la direzione
che si intendeva prendere. In particolare, due elementi sostanziali che poi ricadono a
cascata su tutto il resto: l’abolizione della protezione umanitaria e l’eliminazione nel
progetto di accoglienza di tutte le azioni relative all’inserimento sociale, linguistico,
lavorativo delle persone. Quindi tutto quello che ha a che fare con l’integrazione,
l’inserimento, processo di inclusione. Per noi ci sono due elementi che eticamente
stridono con il modello di lavoro che abbiamo cercato di darci in questi anni. Ti dico
questo perché parallelamente cosa è successo in questi anni? Abbiamo aumentato un po’
i posti, ma in particolare è stato importante dotare l’equipe di un forte supporto in
termini formativi e progettuali, perché l’equipe CAS riuscisse a costruire un progetto in
cui, nonostante tutti i confini dati dalla Prefettura e da quei bandi, gli operatori,
innanzitutto, non si sentissero soli a lavorare ma all’interno di un gruppo di lavoro che
si supportava e sapesse individuare le strategie migliori per mettere in atto gli obiettivi
che ci si dava. Questo vuol dire che noi abbiamo, un’equipe di Giavera costituita da tre
persone. Un’equipe di Roncade da 5, a Treviso 3 persone, a Casier 4 operatori più
l’operatore notturno che raccoglieva anche le firme e girava. Poi un operatore
amministrativo più un coordinatore a 38 ore. Tutte queste micro equipe lavorano da sole
sul progetto territoriale e si vedono una volta ogni 15 giorni in equipe plenaria. Un
171
lavoro molto forte perché sei molto sollecitato in un progetto di questo tipo, bisogna
individuare delle strategie operative e progettuali che consentano a queste persone di
inserirsi. Quindi tirocini, percorsi lavorativi, supporto in caso di fragilità psicologica,
socializzazione, insegnamento dell’italiano, a tal proposito faremo un corso con
ASINITAS a gennaio. Oltre il CPIA abbiamo cercato di attivare tutta una serie di azioni
per l’insegnamento dell’italiano che per noi è un pilastro per inserirsi. Con questo non
voglio dire che noi abbiamo raggiunto il miglior progetto dell’accoglienza e che siamo i
più bravi, lungi da noi. Se non altro abbiamo provato a strutturare negli anni un progetto
che fosse una progettualità e non un servizio solo di accoglienza che dava un pasto, un
letto, etc. ma che lavorasse a 360 gradi,. Quindi il fatto di aver spinto tantissimo e di
aver investito sempre di più come cooperativa sul fatto di lavorare su un’equipe che
aumentasse le proprie competenze ma anche le proprie capacità di reggere i colpi
dall’esterno e di mettersi in connessione anche empatica con le persone, ha permesso
che il decreto arrivasse come un’onda tremenda. Perché l’abbiamo visto cozzare
fortissimamente. Ecco perché la prima cosa su cui abbiamo insistito non è stato ma i 35
euro diventeranno 20 o 25, ma la consapevolezza che cozzasse con il nostro modello di
inclusione sociale dei richiedenti asilo. Sul fatto che non riconosca appunto alle persone
una dignità e il compimento dei propri diritti. Adesso sono usciti anche degli stralci
rispetto al capitolato e cosa economicamente cambierà, siamo in una fase di
orientamento verso una non partecipazione al bando, o al massimo il mantenere una
piccola sperimentazione di pochi posti, andando ad integrare quel progetto con altre
risorse che ci consentano di mantenere un livello alto rispetto all’integrazione delle
persone. Così com’è non è sostenibile economicamente per noi se vogliamo mantenere
quel livello di competenze di lavoro con le persone. E in più l’altro effetto è stato: ma se
loro tolgono l’azione dell’alfabetizzazione piuttosto che di inserimento sociale, vuol
dire che magari metteranno anche dei paletti per cui le persone non potranno accedere
ad una serie di servizi. Quindi il problema non è solo: “non ti do i soldi per poterlo fare”
ma se noi decidiamo di farlo e i limiti sono anche altri? Oppure riescono effettivamente
un pochino ad accorciare i tempi, allora le persone stranamente in struttura stanno tre
mesi e poi le spostano da un’altra parte...che cosa puoi fare in tre mesi con una persona?
Gli effetti deleteri che vediamo, a parte questi, saranno l’aumento dell’irregolarità,
quindi ci saranno sempre più irregolari soprattutto tra le persone che non riusciranno a
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convertire in permesso di lavoro il loro permesso umanitario, e quindi dobbiamo fare un
forte lavoro anche in tal senso, per poter informarli e sostenerli perché possano farlo.
Gli altri comunque rimarranno nell’ombra, nel territorio italiano, lavoreranno in nero,
dovranno scappare, non farsi vedere, vivere in condizioni precarissime abitative e
sociali. Rimpatri stesso livello, con un effetto deleterio dal punto di vista del tessuto
sociale invece. Nel senso che noi abbiamo sempre sentito nei mesi, in particolare
nell’ultimo anno, un aumentare degli elementi, ed episodi di intolleranza. Ma non solo
con i ragazzi accolti da noi, ma anche in altre situazioni. Al supermercato in cui c’è il
ragazzo che ti vuole prendere il carrello e magari becchi la collega che si occupa di
comunicazione in cooperativa, e mi dice disperata: “sai che quella persona ha insultato
questo ragazzo in modo pesante?” Quindi noi sentiamo che è aumentata la
stigmatizzazione dei richiedenti asilo e di chi se ne occupa. Questa cosa si percepisce
anche qua al livello territoriale, non solo nazionale, questo stringersi, sentirsi in colpa, o
perché sei in una situazione di fragilità o perché vuoi stare accanto alle persone con
fragilità.
Un primo effetto del decreto per noi è arrivato con una circolare, che ci diceva che i
vulnerabili che erano ancora all’interno dei vostri CAS dovevano uscire perché dopo
l’ottenimento dello status di rifugiato uno doveva uscire dalla struttura. Nel caso dei
vulnerabili che magari erano in attesa di entrare dentro uno SPRAR o che magari non
potevano uscire c’era stato concesso di tenerli dentro. Noi abbiamo nello specifico un
ragazzo con ritardo cognitivo che non si sa come sia arrivato in Italia, o meglio, lo
sappiamo ed è andato incontro ad una serie di maltrattamenti da quando è nato per poi
passare in Libia, adesso ha 24 anni, quindi una storia tristissima però lui ha
effettivamente un ritardo cognitivo. E abbiamo deciso, comunque di tenerlo all’interno
delle nostre strutture che la Prefettura ci paghi o no. L’altro ragazzo invece è un ragazzo
con un problema renale importante, ed è in lista per il trapianto di reni. Per cui il primo
aveva ottenuto lo status di rifugiato, invece il secondo ha un’umanitaria. C’è stato detto
che dovevano uscire, invece ieri hanno iniziato a rallentare su questa cosa qua, a livello
proprio nazionale. Probabilmente sull’onda del fatto che son state buttate fuori anche
mamme con neonati probabilmente ha mosso l’opinione pubblica. Questa cosa è stata
positiva per noi, perché il fatto che a livello nazionale si sia iniziato a parlare di questa
cosa ha spinto delle famiglie a chiamare per chiederci se abbiamo dei soggetti che
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potrebbero ospitare. Per noi è stato uno scatto di umanità perché quello che stiamo
percependo in questo periodo, e che probabilmente è quello che ci urta di più, è che, già
prima i richiedenti asilo erano visti come reietti, ma ancora di più adesso, guardati come
quelli che rubano, ledono i tuoi diritti…invece il fatto che delle famiglie abbiano chiesto
di ospitare, una famiglia a scuola di mia figlia, mi ha colpito. Una famiglia che
probabilmente a livello valoriale è già vicina a questo, ma che non se ne è mai occupata,
con dei figli piccoli alle elementari, mi ha commosso perché è da mesi che questo
decreto e tutto quello che c’è di propaganda su questo, ci sta veramente urtando. Non
sono persone che fanno parte dei circuiti classici, né dell’associazionismo, né delle
parrocchie. Per noi questo è un segnale che probabilmente di fronte anche all’acuirsi di
certe tematiche e di un certo linguaggio violento, probabilmente suscita anche una
reazione contraria di qualcuno che dice: “non ci sto”.”
“Quali sono i problemi più rilevanti per i CAS in questo territorio, a suo parere?”
“Poco inserimento, difficoltà anche per le carte d’identità, è stata una lotta. Sono visti
proprio come un tumore dentro. Non si riesce a vederli come qualcuno con cui entrare
in contatto.”
“Quali forze politiche sono contrarie e quali favorevoli ai CAS a Treviso?”
“Contrarie sappiamo benissimo, la Lega e le forze di destra. La Lega ha fatto un
ostracismo fortissimo rispetto a questo, quindi si è schierata apertamente. La cosa,
secondo me, meno immaginabile è la paura delle parti progressiste, delle forze politiche
progressiste. La paura, il timore, il fatto di dover stare neutrali, di aver paura che
comunque si venga accusati dai propri cittadini, quindi penso che sia stato proprio
questo a deteriorare il dibattito nazionale. Il centro sinistra ha anche cercato di fare suoi,
magari modificandoli, alcuni temi del centro destra, tipo quello della sicurezza, aprendo
un processo che poi è diventato di chiusura (Orlando-Minniti). Non hanno chiuso i porti
qui, ma quelli di partenza si, con accordi, secondo me, terrificanti. A livello territoriale,
poi, ho visto una forte incapacità di esporsi, anche positivamente, al massimo sono stati
aperti dibattiti ma sempre “in difesa” e nascondendo le cose. Piuttosto l’idea era che non
se ne parlasse affatto. Perciò non c’era una volontà da parte di queste forze, di aprire
veramente un dialogo con la cittadinanza, anche per far capire alcune cose. Quindi
credo che in questo territorio, ma è lo specchio del livello nazionale, sia stata questa la
questione più problematica.”
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“Quali attori del privato sociale/volontariato/collettivi sono rilevanti riguardo il
sistema di protezione a Treviso, ovvero chi tra di loro suscita un dibattito pubblico
e /o fornisce servizi concreti ai richiedenti asilo (compresi quelli fuori dai percorsi
di accoglienza)?”
“Credo che il Django con Talking Hands sia un’esperienza anche molto positiva di chi è
riuscito a fare un lavoro, magari è perché può permetterselo, perché ha un ruolo
informale, non è un soggetto come una cooperativa o un ente religioso, è riuscito a
supportare tantissimo, è riuscito a lavorare con una nicchia di irregolari, oppure anche a
supplire ad alcune carenze dei grossi centri. Poi la Caritas, che secondo me gioca un
ruolo importante anche a termine dell’accoglienza “istituzionale” sia con Rifugiato a
Casa Mia, sia con altri servizi di supporto, ha dato tanto.
A livello istituzionale il dormitorio di via Pasubio è diventato quasi a maggioranza di
richiedenti asilo usciti dai progetti di accoglienza. Ci sono pochi senza fissa dimora
italiani. Sant’Egidio, Caritas con un ruolo fortissimo, Django, altre associazioni di
volontariato tipo Binario 1 o Civico 63, alcune realtà con cui condivido i metodi, in
alcuni casi no, comunque hanno saputo supportare le persone.
Invece pochissimi suscitano un dibattito pubblico, non sento un gran dibattito pubblico
qui. Credo che anche noi, soggetti impegnati nell’accoglienza, tranne sporadiche
esternazioni, abbiamo avuto tanta paura di esporci. Noi considerando che lavoriamo in
vari progetti, abbiamo deciso che esprimiamo, quindi manifestiamo anche il nostro
dissenso quando lo riteniamo opportuno. L’uscire sui giornali va bene, ma perché noi
lavoriamo in questo ambito, e la pensiamo in un certo modo. Il ché non vuol dire che
diciamo cose tremende su Salvini, significa che non siamo d’accordo con quel decreto
lì. Quindi vuol dire che per noi non è condivisibile.
In generale si ha paura di esporsi. È proprio una cosa che qui è forte. Non c’è un gran
dibattito pubblico. I sindacati con i quali ci siamo interfacciati più volte, attraverso il
loro lavoro, i loro patronati, fanno un’azione formativa forte con i richiedenti asilo. In
particolare, con quelli usciti dai percorsi di accoglienza, che magari hanno già il
permesso. Ma non si è mai riusciti a fare fronte comune, un po’ perché siamo tutti
gelosi della nostra identità, quindi si ha paura che qualcuno possa accaparrarsi il ruolo
di custode della verità rispetto a questa cosa, un po’ perché è rischioso essere assimilati
ad alcuni soggetti, un po’ perché c’è un livello di “democristiano dentro”, per cui si
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fanno le cose, magari si fanno anche bene, ma perché dirle? A volte, però, è più
importante dirle che solamente farle, per cui, ecco, dibattito pubblico non ce n’è
tantissimo.”
“Da quando avete deciso di far anche parte della rete SPRAR?”
Iniziato a parlarne nel 2015, e lo gestiamo dal 2016 con Una Casa Per l’Uomo.
“Perché la scelta di far nascere l’RTI? Come vi coordinavate? Quali realtà ne
facevano parte? Come è cambiata ad oggi?”
“Visione comune sulla accoglienza diffusa, noi come soggetti abbiamo sempre lavorato
insieme, abbiamo cercato di lavorare sugli elementi comuni, ma poi ciascun soggetto ha
portato avanti il proprio modello di accoglienza. L’elemento comune era l’accoglienza e
una certa centralità della persona, quindi non come numero per far cassa, ma come
persona da accogliere. L’RTI, il tavolo tecnico, è poi rimasto RAD, rete accoglienza
diffusa, il tavolo politico. La questione era fare massa critica anche in termini di
promozione all’esterno, quindi provare a sensibilizzare il territorio e in questo senso
abbiamo dato vita ad un evento annuale che si fa nella Giornata Mondiale del Rifugiato.
Inoltre si cercava di non essere soggetti singoli di fronte alle richieste della Prefettura o
anche ai nodi progettuali che incrociavamo, si tentava di promuovere un confronto. C’è
sempre stato un confronto sia in sede di ripresentazione del bando, sia davanti alle
difficoltà. All’inizio l’RTI coinvolgeva Caritas Vittorio e Treviso, le Discepole del
Vangelo, Domus, Alternativa, Una Casa Per l’Uomo, noi e consorzio Restituire.
Con il tempo, invece, l’RTI si è sciolta, nel bando 2018 ognuno ha partecipato per sé
perché diventava non economico e problematico partecipare insieme. Però è rimasta la
RAD a cui al suo interno è entrata anche la cooperativa GEA. Io sono presidente di
questa rete, cerchiamo di tenere le fila, perché è una rete formalizzata, abbiamo fatto un
protocollo tra noi. Abbiamo uno statuto, esiste come soggetto ma non ha struttura che si
basa sulle nostre. Attualmente dobbiamo capire che cosa mettiamo nella RAD,
decidessimo di non partecipare più al bando, cosa vogliamo fare? Nel senso che alcuni
di questi soggetti continueranno a lavorare nel campo dell’immigrazione e quindi capire
come coordinarci.”
“Può stimare quanto dura in media un’accoglienza in CAS a Treviso?”
“Tra i 18 mesi e due anni.”
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“Riuscite ad offrire un tirocinio lavorativo ai richiedenti asilo nei CAS sebbene
non sia prettamente nel bando? Se si, avete convenzioni/relazioni con realtà in
particolare (Centro per l’impiego, ACLI etc.)?”
“Abbiamo fatto dei tirocini, ci sono relazioni privilegiate con alcuni datori di lavoro,
molte persone trovano lavoro da sole, molte persone accompagnate da noi. Quello che
cerchiamo di fare, anche nel caso delle persone che l’hanno trovato da sole, è quello di
andare verso una regolarizzazione della posizione. Il paradosso che stiamo vedendo
adesso: quest’estate, con un nostro accolto, avevamo fatto un buonissimo lavoro con
un’impresa, ed era stato assunto come saldatore, eravamo felicissimi, erano stati
soddisfatti i bisogni del ragazzo e quelli dell’azienda, non è arrivata l’umanitaria, che
noi speravamo arrivasse proprio per la questione dell’integrazione e questo ha
determinato per noi un gran spaesamento, ma erano le avvisaglie del decreto. In quella
situazione non c’ha perso solo la persona in termini di diritti, ha perso anche il territorio
e anche l’imprenditore che ha formato quella persona. Questo decreto non danneggerà
solo le persone ma anche il nostro territorio, anche dal punto di vista produttivo e per
quanto riguarda l’irregolarità sappiamo benissimo che è un canale molto più privilegiato
per entrare nella micro criminalità, quindi anche in termini di insicurezza sociale
comunque avrà un importo.”
“Quante persone ci sono fuori dall’accoglienza e perché secondo lei? Nel
dormitorio di Via Pasubio quanti rifugiati o richiedenti asilo sono accolti? Per
accedere ad un posto letto le persone si rivolgono direttamente a voi o vengono
segnalate dal Comune o altre realtà?”
“Le persone si rivolgono all’ufficio del comune, e attraverso quello viene data la
possibilità di entrare o no, anche alcune associazioni possono segnalare però l’entrata è
istituzionale. Non so dirti quante persone ci siano fuori dall’accoglienza, anche perché è
un numero difficilissimo da dare rispetto al nostro territorio, perché andrebbero
conteggiate le persone uscite dai circuiti dell’accoglienza, uscite per ottenimento di uno
status, o chi è uscito perché non l’ha ottenuto e le persone buttate fuori dai centri, ma
non è detto che si fermino tutte qua. Ad ogni modo sono abbastanza certa che siano
aumentati i richiedenti asilo e rifugiati nel dormitorio, a scapito dei senza fissa dimora
di lunga data. C’è un innalzamento di persone per strada lo si capisce anche dalla
presenza nei card o cerd, che secondo me sono un indicatore di quanto alcune cose,
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sfuggano al controllo. Le persone vanno in quei luoghi a reperire rifiuti per venderli. A
parte che molto probabilmente fanno parte di una rete e non sono soggetti singoli,
vengono mandati lì. In minima parte sono ancora accolti, in massima parte persone
fuori, e per loro diventa l’unica fonte di sostentamento. Questo fenomeno sta
diventando importante come numero, e ha un impatto sociale non da poco, di
conflittualità, secondo me anche a livello simbolico ha valenza, persone considerate
rifiuti della società che vanno ad accaparrarsi rifiuti è terrificante, anche
nell’immaginario collettivo. Poniamo il caso che io nel mio paesino non abbia alcun
contatto con richiedenti asilo e rifugiati e il mio unico contatto avviene al card perché
porto un portatile da buttare e nel momento in cui lo butto mi viene portato via, o
chiesto in malo molo, da un ragazzo africano che è lì, a livello di percezione di
insicurezza, è deleterio. È quello che sta accadendo, l’ho sperimentato, e non è il card
peggiore. Non so darti numeri, ma sono indicatori importanti. Ce ne sono sempre di più,
e aumenta il livello di conflittualità che si innesca, litigano tra loro, non hanno niente da
perdere. Che cosa abbiamo combinato. Innanzitutto, sono persone, arrivano qui con una
loro individualità, magari si portano dietro in termini collettivi i problemi del loro paese,
della loro zona di origine, che ha spinto il loro progetto migratorio, supponi che
vengano da una zona dove c’è guerra o carestia, o magari non c’è lavoro e vogliono
migliorare. Quindi si portano il loro bagaglio culturale, nazionale, le loro caratteristiche
personali che vanno da persona in gamba a meno in gamba, ed entrano in questa
pozzanghera di due anni, in cui può andare bene o andare male.. Cosa viene offerto
loro? Cosa percepiscono, non solo dentro al CAS ma anche fuori, come ne escono? È
una macchina che ha prodotto in questi 4 anni tanta marginalità ma con il nuovo decreto
rischia di produrne il doppio. Ecco perché dico, le persone che escono dall’accoglienza
istituzionale se non sono inserite bene, o non si è riusciti a lavorare bene, sono nuovi
marginali”
“Esiste una riflessione riguardo ai percorsi di post accoglienza oltre a Rifugiato a
casa mia?”
“C’è il progetto “Rifugiato a Casa Mia” che ora è aperto alla RAD. In termini di
riflessione mi viene da dire che abbiamo destinato alcuni posti letto nei nostri
appartamento dei progetti di housing sociale a chi esce dalle accoglienze. Non c’è una
riflessione comune e istituzionale.”
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“Movimenti come Casapound e Forza Nuova attivi a Treviso?”
“Inizialmente quando noi abbiamo aperto a Casier loro si sono presentati agli incontri
aperti alla cittadinanza, sono anche intervenuti. In un altro episodio sia io, sia don
Davide siamo stati presi di mira. I nostri nomi sono finiti in un loro comunicato su
facebook e in più avevano appeso in Caritas la bandiera insanguinata, con il mio nome e
il nome della cooperativa e con su scritto “nemici del popolo italiano”. Si trattava di
un’azione di Forza Nuova, molto vicina a CasaPound. Credo fosse il 2015. Dopodiché
Forza Nuova si era sfaldata a Treviso e aveva dato vita a due realtà che poi si sono
riaccorpate, quindi hanno avuto un momento un po’ di tracollo. Non c’è più stato
nessun attacco diretto. Invece quando dovevamo aprire lo SPRAR, siccome avevamo
scelto un appartamento a San Liberale, rispetto a quell’appartamento c’è stato un
movimento dei cittadini sostenuti dalla Lega che ne ha impedito l’apertura, ti parlo del
2016.”
“Rapporti con associazioni di immigrati?”
“Pochissimi. Come cooperativa LaEsse abbiamo promosso tanto le relazioni fuori
territorio ma quelle con associazioni di immigrati per noi è stata sempre una criticità. Ci
stiamo riflettendo molto come cooperativa, ovvero come possiamo fare in modo che gli
immigrati, non solo richiedenti asilo, possano costituirsi in associazioni per poi
promuovere un confronto, una riflessione. In più c’è l’aggravante che in alcuni casi
sentiamo proprio uno spartiacque tra i vecchi immigrati e i nuovi richiedenti asilo. Nel
senso che gli immigrati storici hanno preferito tirare un muro tra loro e i nuovi arrivati.
C’è la guerra dei poveri negli ultimi anni e in questo periodo ancora di più.
Come dicevo abbiamo, poi, avviato contatti fuori dal trevigiano, per vedere se c’erano
realtà a livello nazionale che promuovessero l’accoglienza diffusa e un certo tipo di
lavoro. C’è stata una connessione sia con Bologna, alcune realtà tra cui Piazza Grande
con cui collaboriamo per la marginalità, che si stavano interrogando su come lavorare.
Tant’è che abbiamo partecipato ad un corso FAMI nazionale, con altre realtà di altre
regioni, proprio perché ci pareva che mantenere il livello solo su Treviso fosse un po’
asfittico, come ad esempio con ASINITAS. Ciò che facciamo qui non è per forza la
migliore cosa possibile, gli altri possono portarci nuovi stimoli.”
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Intervista 5: Caritas Tarvisina per il progetto “Rifugiato a casa mia”
Data: 3 dicembre 2018
“Da che anno è attivo il progetto a livello nazionale? In cosa consiste e qual è il suo
obiettivo?”
“Il progetto a livello nazionale ha avuto una sperimentazione pilota a seguito
dell’Emergenza Nord-Africa quindi nel 2011. Non aveva avuto grandi numeri, era
proprio un’esperienza pilota cui non abbiamo partecipato. È stato replicato a livello
nazionale a fine del 2015, con una durata che doveva essere di 6 mesi che poi è stata
prorogata per un anno. Un anno complessivo. Il progetto nazionale, quindi proposto da
Caritas italiana, era assolutamente facoltativo e ciascuna diocesi poteva decidere di
aderirvi o meno. Quindi diciamo che la Caritas di Treviso dopo aver fatto un suo
discernimento interno e dopo, soprattutto, aver avuto il parere favorevole del vescovo
che è comunque fondamentale, in questo caso ha scelto di porre questo segno, anche
perché eravamo alle porte dell’anno giubilare della misericordia, quindi voleva essere
proprio un porre un segno sull’integrazione e che fosse di respiro diocesano. Io sono
molto sincera nel dirti che il progetto a livello nazionale aveva delle caratteristiche ben
precise anche abbastanza strette. Noi da subito siamo stati abbastanza chiari con la
Caritas nazionale nel dire che comunque avremo voluto declinare la sperimentazione
nazionale su un territorio particolare. Per cui da subito abbiamo stabilito delle procedure
interne che di fatto si discostavano dal progetto nazionale. Loro ci hanno comunque
permesso di farvi parte, e il farvi parte per noi era fondamentale perché ci permetteva
comunque di partecipare come operatori (eravamo in tre) ad una formazione nazionale,
che è stata anche abbastanza intensa e che ci ha fornito anche strumenti. Da una parte
perché il confronto con le altre diocesi è sempre arricchente ma dall’altra, perché di
fatto ci sono stati dati dei contenuti di formazione che ci sono stati utili sia nella
formazione con le parrocchie, sia anche per capire un po’ di più la dinamica
dell’integrazione e dell’accoglienza.”
“Che differenza c’è con il progetto di Caritas italiana?”
“Caritas italiana proponeva un’accoglienza soprattutto in famiglia di 6 mesi, non c’era
la proroga degli altri 6. Non era prevista la forma del monitoraggio, come noi abbiamo
inteso. Era sostanzialmente un’accoglienza finalizzata all’integrazione per dare una
prospettiva a persone che non potevano più rimanere all’interno di un sistema di
180
accoglienza tradizionale. Tant’è che il progetto di Caritas Italiana da subito prevedeva
che potevano accedere a questo progetto solo i titolari di uno status giuridico. Quindi la
prima grande differenza è che noi abbiamo scelto da subito di diversificare accoglienza
in famiglia e accoglienza in parrocchia con due percorsi, che sono paralleli ma
presentano delle caratteristiche molto differenti. Dopodiché i 6 mesi per noi erano la
durata minima del progetto ai termini dei quali c’era un momento di verifica e che
comunque poteva prevedere la proroga di altri 6 mesi, per un totale di un anno. L’anno
comunque per noi è una scadenza inderogabile su cui volevamo mantenere un tassello
forte su questo progetto. Noi abbiamo scelto che ogni famiglia e parrocchia fosse
affianca da un operatore Caritas. Questa scelta nel corso degli anni è stata modificata
perché inizialmente l’operatore era uno, dopodiché, dopo circa un anno, con le nuove
accoglienze, abbiamo deciso che l’affiancamento sarebbe sempre stato fatto in coppia.
Quindi non un operatore Caritas, ma due, per ogni famiglia o parrocchia. Se possibile
anche un maschio e una femmina, proprio per diversificare. La nostra modalità era che
per accedere al progetto fosse obbligatorio partecipare ad un corso di formazione di 4
incontri, che per noi era propedeutico all’accoglienza. Uno, perché in questi quattro
incontri ci conoscevamo, spiegavamo bene il progetto, spiegavamo anche bene tutta una
serie di situazioni poi che la famiglia o la parrocchia avrebbe potuto vivere, riscontrare,
due, perché al termine del corso avrebbero anche potuto dire “no, non è quello che ci
immaginiamo”. Caritas italiana non prevedeva questo, rispondeva a disponibilità, quindi
anche la scelta delle tematiche di questi 4 incontri, il fatto di decidere che fossero 4, è
stata proprio una nostra scelta.
Ad un certo punto poi, Caritas Italiana dice a chi viveva o voleva viere questa forma di
accoglienza di farlo in modo gratuito, quindi non prevedeva più il rimborso spese che
c’era nella sperimentazione pilota del 2011. Quando abbiamo chiesto spiegazioni su
questo abbiamo avvertito che non era tanto una scelta educativa, ma che i fondi che
erano stati stanziati sono venuti meno, solo che era già stato sponsorizzato il progetto,
quindi bisognava comunque andare avanti. Noi come Treviso, dopo un confronto con il
vescovo si è deciso di lasciare questa scelta a chi viveva l’esperienza. Quindi noi come
Caritas avremo comunque garantito il pocket money di 75 euro al migrante e la famiglia,
o parrocchia, poteva decidere in base alla propria condizione economica se vivere nella
gratuità l’esperienza o se chiedere un rimborso spese. I primi sono partiti tutti con il
181
rimborso spese, quelli del primo anno, nelle successive edizioni, sarà che noi già nel
corso di formazione affrontavamo il capitolo della sostenibilità economica, ci sono state
sia parrocchie che famiglie che hanno deciso di vivere la cosa nella gratuità. Proprio in
un’ottica di co-responsabilità perché rispetto all’inizio che erano più famiglie che
parrocchie, gli anni successivi è cambiata la dinamica. Sono più parrocchie delle
famiglie, quindi quando andavamo già a proporre il progetto uno degli argomenti su cui
chiedevamo che il gruppo si confrontasse era se la parrocchia sceglieva di porre un
segno nel proprio territorio ed era anche disposta a farsene carico economicamente.
Lasciavamo che il parroco, insieme al consiglio pastorale e al gruppo che poi avrebbe
seguito l’accoglienza, capissero come vivere questa cosa, perché di fatto tutto bello ma
se poi una parrocchia non riesce a farsi carico di due persone che vanno a vivere nel
proprio territorio a noi rimaneva il punto di domanda, perché bella la disponibilità e il
volontariato ma le persone devono vivere e hanno delle spese. I rimborsi spese eventuali
erano, per le parrocchie di 125 euro a migrante, alle famiglie 225. Ma perché in famiglia
andava solo uno. Quindi visto che in parrocchia andavano almeno in due c’era già una
base di 250 euro tendenzialmente. Solo una delle famiglie che attualmente lo stanno
facendo ha deciso per la gratuità. Nelle parrocchie tendenzialmente, chi deve partire
proprio da zero e non ha ancora vissuto l’esperienza chiede il contributo per avviare la
cosa, e dopo i primi mesi può essere che cambino decisione. Dicono “okay ci siamo
arrangiati” perché magari o istituiscono una cassetta in chiesa o il consiglio pastorale
destina una quota e quindi di fatto chi deve fare le spese o pagare le bollette ha questi
soldi in cassa, e quindi ci dicono “okay, ci siamo arrangiati, basta”. Parrocchie storiche
che ormai ripropongono l’esperienza ciclicamente ogni anno la vivono gratuitamente.
Ogni percorso è molto personalizzato e vissuto in modo proprio. Mi viene da dire che
alcune parrocchie chiedono il contributo, non li spendono tutti i soldi e decidono magari
di destinarli ad altro o fanno un’offerta alla Caritas, in questo momento storico la
componente economica non è così forte come all’inizio.”
“Quanti beneficiari in tutto, tra passati e presenti?”
“Dato del bilancio sociale, a fine 2017 erano 65 i migranti accolti, ovvero chi aveva
vissuto l’esperienza. Considera che nel 2018 sono partiti un’altra decina di
accoglienze.”
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“Quali sono i criteri per accedervi? Solo rifugiati o anche richiedenti asilo?”
“Da marzo 2018, come equipe di Rifugiato a Casa Mia abbiamo deciso che vi può
accedere solo chi ha uno status giuridico, la motivazione è semplicissima, che una
comunità e una famiglia non riesce a farsi carico, soprattutto emotivamente, della
sospensione dello status legale. Erano i problemi maggiori e facevano anche fatica a
trovare la motivazione dell’intessere una relazione, aiutare questa persona a costruirsi
un futuro, un progetto di vita qui e magari tutto sarebbe svanito a causa di un “no”.
Quindi abbiamo deciso di destinarlo solo a chi aveva ottenuto una forma di protezione,
oltre al fatto che poi è uscita quella circolare che diceva che si poteva rimanere nei CAS
finché non terminava l’iter di richiesta d’asilo (tutti i gradi di giudizio).
Altra grossa novità, da quest’estate abbiamo iniziato una riflessione con la RAD, che è
il gruppo politico che unisce sostanzialmente tutte le esperienze che vivono il modello
di accoglienza diffusa, con cui quindi collaboriamo dall’inizio. Abbiamo aperto un
tavolo di condivisione per estendere il progetto di Rifugiato a Casa Mia anche ai loro
beneficiari purché abbiano dei criteri che sono stati decisi insieme. Questi criteri sono
sostanzialmente tre, ovvero, lo status riconosciuto, e i secondi due che non si possono
scrivere per motivi di privacy.”
“Quali località sono state, e sono tuttora, coinvolte? Ci sono persone accolte in
città? Se si, in prevalenza da famiglie o altre realtà?”
“Tutta la zona che si estende a confine tra la diocesi di Treviso e Padova è molto attiva,
perché hanno accolto Camposampiero, Piombino, Loreggia, Trebaseleghe e Scorzè.
Crea di Spinea. Poi abbiamo avuto Salvarosa, San Zenone degli Ezzelini, Cavaso del
Tomba, quindi molta periferia della diocesi, Breda di Piave e San Zeno a Treviso. A
Treviso, nello specifico, una parrocchia, San Zeno, un istituto religioso frati francescani
che hanno replicato l’esperienza per due volte, non famiglie in città. Prima periferia si,
come ad esempio Mogliano, Paese, ma Treviso città no.”
“Secondo lei perché?”
“Ho in mente persone che con le famiglia hanno fatto il corso di formazione che poi
hanno deciso di non aderire al progetto perché non era quello che loro immaginavano.
Non credo sia un motivo di tenore di vita. Le parrocchie del centro città credo che stiano
già facendo diverse cose, a favore anche dei marginali, ad esempio seguono con gli
operatori di strada San Martino, i senza fissa di mora. La parrocchia di Santa Maria Sul
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Sile e Sant’Angelo che è prima periferia che hanno il dormitorio di via Pasubio. Non è
una “non attenzione”, ma secondo me sono già impegnati su altri fronti.”
“Quali sono i criteri per poter essere una realtà ospitante?”
“A posteriori abbiamo dei suggerimenti da fare, non neghiamo un primo ascolto e gli
incontri di formazione a nessuno. Raramente non abbiamo accettato l’accoglienza. Ad
oggi possiamo dire che secondo noi chi si rivolge a noi ed è single, o donna sola o uomo
solo, difficilmente può vivere questo tipo di esperienza. Non perché non siamo aperti
ma perché come concetto di famiglia, e quindi pluralità di soggetti che accolgono una
persona e fanno spazio nella loro quotidianità funziona in un certo modo. Invece la
relazione una a uno può, non in tutti i casi, rischiare di diventare affettivamente
importante e questo progetto non prevedrebbe questo coinvolgimento affettivo. Non è
un’adozione, non è un affido. Per cui non è un farsi carico di un figlio. L’altra cosa che
noi crediamo sia fondamentale è che qualora arrivi una famiglia, tutti i componenti della
famiglia devono essere d’accordo. Ad esempio, se arriva una donna con le figlie che
vogliono fare questa esperienza ma il marito non si presenta al colloquio, per noi è già
un campanello d’allarme. Per noi è fondamentale che sia una scelta condivisa. perché a
lungo andare il vivere poi fisicamente insieme, comporta delle fatiche. Noi come
operatori non entriamo nelle dinamiche familiari o di coppia, non siamo esperti in
questo, per cui non potremo accompagnarli in questo. In alcuni casi è stato molto
faticoso. Così come quando arrivano marito e moglie che vogliono accogliere ma i figli
non sono d’accordo. Quindi se arrivano questi tipi di profili mettiamo seriamente in
discussione l’accoglienza. Per il resto, ti dico la verità, chi arriva qua, essendo
comunque in minoranza (non abbiamo numeri che parlano di folle) è comunque spinto
da motivazioni e anche da una cultura familiare, di origine, una sensibilità, o magari
un’appartenenza magari al mondo dell’associazionismo o del volontariato, per cui non
abbiamo avuto casi faticosi da risolvere o da respingere. Per quanto riguarda le
parrocchie invece, per noi è fondamentale che la scelta non sia di un gruppetto di amici,
ma che la scelta venga decisa dal consiglio pastorale. Quindi non dal gruppo Caritas
parrocchiale. Il nostro interlocutore deve essere il consiglio pastorale, perché presenta
una pluralità di componenti che generalmente rappresentano tutti i settori della
pastorale, quindi c’è il catechista, l’ACR, il gruppo di animazione liturgica, quelli della
sagra etc. quindi persone molto diverse che spesso sono in disaccordo sull’accoglienza,
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e infatti noi abbiamo incontrato tantissimi consigli pastorali, ma ad oggi sono massimo
15 le parrocchie in cui è stata aperta l’accoglienza, proprio perché questo argomento
divide le comunità. Anche all’interno dei credenti.”
“Perché è stato aperto anche alla RAD?”
“Uno perché è partito da un bisogno, quando escono gli accolti dalle cooperative di fatto
non si sa cosa fare, o vanno nei dormitori, oppure sappiamo bene che i marginali stanno
aumentando in città. Due, perché mentre all’inizio avevamo fiumi di ragazzi e poche
famiglie e parrocchie, oggi abbiamo disponibilità di posti ma non abbiamo candidati
perché gli status ultimamente non ci sono. Quindi si parla di poche persone, tutti
probabilmente ne abbiamo poche, mentre insieme possiamo dare una risposta alle
necessità che in questo momento ci sono. Anche adesso avremmo posti liberi ma
l’equipe non ha candidati.”
“Anche rifugiati del dormitorio?”
“È stata una sperimentazione molto caldeggiata dai colleghi del dormitorio. Adesso non
stiamo prendendo in considerazione questo. Ci chiamano o arrivano qui diversi ragazzi
seguiti dalla Caserma o da altre strutture che non fanno parte della RAD che siccome
c’è un passaparola tra amici, chiedono di parteciparvi. Ma non stiamo prendendo in
considerazione le domande perché non c’è criterio per la conoscenza. Stiamo valutando
se darci un altro metodo per conoscerci, magari per alcuni mesi e capire se sono
candidati possibili, perché comunque non avendo una collaborazione con la Caserma
non puoi avere dei feedback di un percorso fatto. E noi abbiamo a cuore sia il bene dei
ragazzi, sia altrettanto a cuore, il bene di una comunità o di una famiglia. Cioè noi non
possiamo permetterci di commettere errori inserendo una persona sbagliata in una
comunità o in una famiglia. Quello che tu vai a creare con un’esperienza negativa
distrugge di più del bene che hanno fatto tutti gli altri. Perché essendo il tema molto
caldo nei nostri territori, qualcosa che non funziona distrugge.”
“Per quanto riguardo un inserimento lavorativo, le persone che fanno parte del
progetto vengono affiancate nella ricerca? Se si, avete convenzioni/relazioni con
soggetti in particolare (Centro per l’impiego, ACLI etc.)?”
“C’era un’operatrice che seguiva tutta questa parte, e la seguiva molto bene. Si tratta di
relazioni instaurate non solo con il CPI di Treviso ma anche delle altre zone di cui fa
parte la Diocesi per competenza territoriale. Avevamo un rapporto con le ACLI,
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ASCOM, UNINDUSTRIA, nonché con alcune aziende. Si sono istaurate collaborazioni
forti, per cui si fidano di noi e quando hanno dei bisogni ci chiamano. L’esperienza
secondo me più bella, che c’è stata ultimamente, è che abbiamo partecipato su
sollecitazione di un’azienda del territorio, ad un progetto europeo. C’è stata, quindi,
l’accordata UNINDUSTRIA, Caritas e questa azienda che ha partecipato a questo bando
europeo per la formazione di 12 o 15 candidati con un corso di saldatura, figura molto
richiesta. Il corso era retribuito con i fondi europei in base alle ore di frequenza, c’è
stato uno stage per tutti e poi sono stati selezionati 2 o 3 a cui è stato fatto un contratto.
Quindi si sono messi in atto secondo me, delle cose virtuose molto belle. È ovvio che
ora che l’operatrice che curava questa parte se ne è andata, attualmente nessuno ha il
mandato prettamente lavorativo per cui ci stiamo un po’ chiedendo se Caritas sia
chiamata a spingersi così tanto sul fronte del lavoro. Cioè è giusto che un’azienda
chiami qui, e non chiami altri interlocutori se ha bisogno di manodopera qualificata?
Noi di fatto non siamo un’agenzia di lavoro, non è nella nostra identità, però capiamo,
probabilmente, che le esperienze positive fatte portano a contatti e collaborazione. Ma è
un punto di domanda.
Le relazioni con le aziende a suo tempo sono nate dalla capacità dell’operatrice
referente di chiamare, bussare, etc. e dalle relazioni che si sono venute a creare tra la
rete delle famiglie e volontari di quelle parrocchie e le aziende di quei territori, per cui
adesso la collaborazione è costante. Un’altra azienda grossa è a Trabaseleghe dove c’è
l’esperienza di Rifugiato a Casa Mia ma anche in tutto il circondario. Per cui se
quell’azienda ha bisogno sa che può chiamare. Ma lì è stato un lavoro anche con i
volontari di quella zona che hanno creato rete, non solo nostro.”
“Per quanto riguarda invece le collaborazioni con il CPI ci sono state esperienze
che poi sono divenute effettivamente un lavoro?”
“Nella maggior parte dei casi sono stati tirocini.”
“Questo progetto è stato presentato anche alla Prefettura e al Comune?”
“Sui tavoli istituzionali della Prefettura sicuramente si, nel senso che è stato presentato
come il nostro modello, quindi prima, seconda accoglienza e Rifugiato A Casa Mia. In
comune non credo ci sia stato un incontro specifico sull’accoglienza migranti solo con il
comune di Treviso. È pubblicizzato nei nostri canali, quindi Bilancio Sociale che
generalmente arriva a tutti i comuni e nel nostro sito. Altra cosa, noi, quando
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inizialmente avviavamo un’accoglienza (2015-2016) avvisavamo anche il sindaco di
quel paese. Ora non viene più fatto. Però quasi tutte le parrocchie, in famiglia è difficile,
ma i volontari delle parrocchie la prima cosa che fanno è portare i ragazzi dal sindaco.
Quindi, non ci siamo più noi a chiamare ma sono loro che chiedono di avere un
incontro. Quindi c’è una consapevolezza dei sindaci dei territori in cui questi ragazzi
arrivano, tramite un progetto Caritas.”
“È un progetto unicamente di Caritas o ha altri partners istituzionali e non?”
“Solo soggetti del privato sociale, del terzo settore, quelli della RAD”
“Ci sono state criticità nei vari inserimenti? Se si, quali?”
“Noi possiamo dire dal nostro osservatorio che il problema principale è di tipo
relazionale. Non è tanto rispondere ai bisogni che questa persona ha, quindi vitto,
alloggio maturare nella sua autonomia con la lingua, eventualmente trovare un lavoro,
ma è di tipo relazionale cioè la difficoltà dei volontari e della famiglia è accontentarsi di
accompagnare e non proiettare le proprie aspettative su questi ragazzi. Ci siamo accorti
che il rischio è che solo perché “offriamo un tetto, possiamo determinare il tuo futuro,
quindi: devi studiare l’italiano, devi fare questo lavoro, devi essere puntuale” non viene
mai chiesto il parere dell’altro. Noi stiamo lavorando molto su questo. I monitoraggi
servono principalmente a questo, su come l’accogliere non basta più se non siamo
disposti ad accettare l’altro così com’è. Quindi una libertà anche di, probabilmente,
farlo sbagliare, una libertà anche di non farlo frequentare il corso di lingua perché vuole
puntare tutto sul lavoro, e magari a distanza di un anno ha capito che era fondamentale
continuare con l’italiano. Ma lasciare libera la persona di fare il suo percorso e quindi
non frustrazioni che magari uno può avere con un figlio, un nipote. Qui secondo me c’è
tutto l’idea del Veneto: siccome io sto dedicando il mio tempo a te tu devi fare come
dico io. Questo è proprio faticosissimo, la buona volontà si sbatte con questa pretesa “di
voler” oppure l’altra questione è sulle abitudini “qui si mangia la pasta, qui si fa il letto
così, etc.” diventano pungoli e i ragazzi si stufano, “cosa cambia se ci facciamo il riso
etc.” quindi anche questo viene affrontato molto nei monitoraggi, nonostante se ne parli
un sacco durante il corso. L’integrazione viene fatta anche non volendo omologare
queste persone nella nostra abitudine ma di fargli conoscere come viviamo e di fargli
rispettare ciò, ma lasciandoli liberi di continuare a sentirsi a casa nelle loro abitudini.”
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“A livello di comunità ci sono mai state manifestazioni contrarie?”
“No, pubbliche no. Sempre più i volontari stanno dicendo, e su questo stiamo facendo
tutto un lavoro di accompagnamento, che da quando fanno questo tipo di servizio si
sono inclinate delle relazioni amicali cioè amicizie di famiglie di lunga data sono
vacillate perché qualcuno, anche in parrocchia, fa volontariato per un progetto di questo
tipo. Questo ci sta molto interrogando.”
“In cosa consiste l’affiancamento ai soggetti coinvolti e monitoraggio del
progetto?”
“All’inizio il monitoraggio viene fatto ogni 10 giorni, per il primo mese, dopodiché si
possono diradare, ogni venti giorni, dipende molto da caso a caso.
Dipende molto dalle relazioni che si instaura, ci sono situazioni in cui il monitoraggio
può essere una volta al mese in un clima molto disteso, proprio perché, soprattutto nei
casi in cui i ragazzi lavorano, va molto bene. In altri casi in cui la questione lavoro non
parte, i volontari stanno molto con loro, e quindi c’è una quotidianità molto intensa e
siamo chiamati molte volte. Quindi intervieni anche con più frequenza.
Nello specifico con le parrocchie il monitoraggio viene fatto con i tutor nominati dal
consiglio pastorale. Noi ci troviamo sempre con i tutor, ma l’incontro è aperto anche
agli altri membri del gruppetto che li accompagna. In alcune parrocchie lo facciamo
solo con i tutor in altre invece si può anche essere in dieci volontari, impegnativo, ma lo
facciamo. A volte nelle parrocchie dobbiamo alternare monitoraggi dove incontriamo
solo i ragazzi, o solo i volontari, proprio perché c’è da mettere d’accordo i volontari che
spesso hanno iniziative private nei confronti dei ragazzi che però non sono in linea con
tutto il gruppo.”
“Prevede un lavoro di comunità (incontri di sensibilizzazione/ momenti mirati per
presentare alla comunità/ al quartiere le persone accolte etc.)?”
“Nel 2015 tutte le accoglienze avevano avuto questo tipo di incontri, sia parrocchiale
che aperti alla cittadinanza. Siamo fermi probabilmente per questa questione politica, di
instabilità, ci stiamo interrogando se è necessario a tappeto rincontrare le comunità su
questo tema. Non solo sull’accoglienza di Rifugiato a Casa Mia, quindi, ma su questo
tema. Poi ovvio che se parte un’accoglienza in una realtà nuova è il parroco che indice
un’assemblea pubblica che viene gestita da loro o magari chiamano Don Davide perché
vogliono un incontro più generale sul fenomeno, o noi operatori per spiegare il progetto.
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I ragazzi, generalmente, dopo un mesetto che sono arrivati vengono presentati durante le
messe, anche se, magari, sono mussulmani non è stato un problema. Poi c’è l’incontro
con i sindaci. Spesso, poi vengono inseriti in alcuni appuntamenti della parrocchia
formativi, o vengono chiamati per testimonianze e su questo non c’è mai stato
problema. I ragazzi sono molto liberi, e comunque abituati a fare testimonianze che
venivano fatte anche durante le accoglienze in CAS. Per cui poi loro partecipano alla
vita di comunità, non raccontando la propria storia che cerchiamo di tutelare, ma
raccontando perché ora che hanno ottenuto uno status scelgono di rimanere in Italia e
come immaginano il futuro qui.”
“Secondo la sua opinione che risultati ha dato in termini di autonomia e progetto
di vita di coloro che ne sono stati beneficiari? Si sono inseriti maggiormente nel
territorio (autonomia abitativa e economica) rispetto a coloro che sono stati accolti
nei CAS di Caritas senza parteciparvi?”
“Si, e non è dovuto alla bravura della Caritas ma al fatto che comunque una piccola
comunità o una famiglia nel nostro territorio ha una rete intorno a sé e il ragazzo entra a
far parte di questa rete. E oggi come oggi la rete di conoscenze, per quanto riguarda
soprattutto il lavoro, consente di avere ancora delle opportunità. Loro si collocano su dei
lavori che noi non vogliamo più fare, però di fatto c’è una fascia di lavoro scoperta:
agricoltura, ristorazione e saldatura. Noi venerdì scorso abbiamo portato due ragazzi in
un’azienda, venerdì mattina stavano già facendo la prova perché erano tutti e due
saldatori e perché li c’è bisogno di saldatori. Quindi secondo me chi partecipa al
progetto ha delle change in più, ma ripeto, non grazie a noi, ma grazie alla rete che il
progetto riesce a creare.”
“Per quanto riguarda il momento della conclusione del progetto è sempre questa
rete che si occupa del lavoro e abitazione, o Caritas ha parte in questo o viene detto
al ragazzo questo è il progetto, dura massimo un anno, al termine del quale devi
essere autonomo?”
“C’è un accompagnamento anche nella chiusura, gli attori restano comunque tutti attivi,
si compartecipa soprattutto perché se quando siamo partiti l’emergenza sembrava il
lavoro, ora come ora la nuova emergenza, o che c’è sempre stata ma non l’avevamo
capita, è quella abitativa. Infatti ci stiamo interrogando anche su questo, ovvero, oggi
come oggi anche se un ragazzo ha un lavoro di lunga durata, e molti di loro hanno
189
l’apprendistato, sono conosciuti e inseriti in una comunità e vorrebbero un
appartamento in affitto, nessuno affitta. Nemmeno se chiama il parroco. Quindi lo
sgancio per quanto riguarda l’autonomia abitativa rimane il problema principale, ancora
di più del lavoro. Questo non l’avremo mai pensato inizialmente. Quindi, o subentra
ancora una volta che un parrocchiano ha un appartamento o è veramente difficile che
affittino a ragazzi in prevalenza africani. Quindi l’accompagnamento abitativo è
cruciale, o le parrocchie lasciano loro il luogo in cui erano e supportano fino alla fine la
ricerca di un alloggio. Ad oggi i ragazzi che hanno un contratto di lavoro hanno provato
a chiamare agenzie per vedere appartamenti ma nessuno è mai riuscito ad ottenerlo.”
“Qual è il futuro del progetto?”
“Il futuro del progetto è il 2.0. L’idea è che non si chiami più Rifugiato a Casa Mia
anche se siamo in una fase “pensatoio” ma che diventi Comunità Accoglienti. Quindi
indirizzarci sempre di più sul porre segni attraverso le parrocchie e non le famiglie, non
perché non abbiamo la stessa importanza ma come Caritas vorremo che in questo
momento le comunità parrocchiali si facessero carico di un problema che è grande, che
è diffuso e di fatto deve riguardare in prima persona i cristiani. Che la comunità dei
fedeli si faccia carico, per cui l’idea è di offrire dei momenti di sensibilizzazione e
confronto a livello di collaborazioni pastorali, quindi non si ragiona più per singole
parrocchie. Le collaborazioni pastorali sono state istituite dal vescovo e sono 48 in
diocesi e quindi prevedono più parrocchie che si uniscono insieme, anche a fronte
dell’anno sinodale, e capire se in ogni collaborazione può essere posto un segno di
accoglienza. Non necessariamente a favore di in questo caso persone che hanno ottenuto
uno status e che erano di fatto richiedenti asilo, ma che potrebbero essere persone in
difficoltà, in marginalità, e hanno bisogno di un’accoglienza. O addirittura farlo misto.
Non ci siamo dati dei tempi proprio perché fino a giugno c’è il camino sinodale, e tutte
le collaborazioni sono invitate a fare una scelta intorno a tre ambiti presenti, che sono
stati decisi a livello diocesano e sono l’ambito degli stili di vita, delle famiglie e dei
poveri. Probabilmente cominceremo a lavorare con chi già sceglie di lavorare con
l’ambito dei poveri.”
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Intervista 6: Civico 63
Data: 21 dicembre 2018
“Da che anno è attiva la vostra associazione?”
“L’abbiamo fondata nel 2014. È nata tra un incontro di alcuni volontari che si
occupavano di varie cose per i senza dimora, e che magari facevano i volontari anche in
altri contesti, e alcune persone senza dimora o in svantaggio sociale perché c’era il
desiderio di fare qualcosa di concreto assieme, che fosse davvero con le persone.
Mettersi alla pari, progettare qualcosa assieme, trovare un modo alternativo al servizio
assistenzialistico per cambiare un po’ le regole, cambiare un po’ il contesto. Quindi è
nata così, inizialmente coinvolgendo persone senza dimora. Siamo nati come ONLUS
perché uno dei nostri obiettivi era anche quello di permettere alle persone senza dimora,
non solo di diventare soci, ma diciamo attraverso la Onlus potevamo potenzialmente
avere dei soci che fossero contemporaneamente beneficiari di qualche progetto
dell’associazione. Ci tenevamo molto a questa cosa e ci siamo ispirati allo statuto di
Piazza Grande a Bologna. Questa cosa è sempre stato un nostro cavallo di battaglia,
quello di rendere soci, perché esserlo alla pari ha un significato sia simbolico sia
concreto per l’inclusione.”
“Da che anno avete pensato a progettualità che coinvolgano anche richiedenti
asilo?”
“Più o meno da un anno e mezzo, perché sono arrivati in maniera spontanea. Nel senso
che, soprattutto per il Progetto Adotta il Verde, andiamo tutte le settimane a pulire il
giardino in zona Sant’Andrea. Abbiamo inizialmente adottato in convenzione con il
comune di Treviso. Il comune ad un certo punto, la Giunta Manildo, ha approvato
questa convenzione per cui un singolo, o un’associazione può adottare un pezzo di
verde pubblico. Noi abbiamo visto questa cosa e abbiamo deciso di prendere
Sant’Andrea, che è il posto più degradato, quindi un significato simbolico, se prendiamo
quello e lo puliamo assieme alle persone che sono associate al degrado e a quelli che la
devastano ha un significato. Lì passavano alcuni richiedenti asilo che hanno cominciato
a fermarsi a chiedere chi eravamo e cosa facevamo e hanno cominciato a venire
spontaneamente. L’anno scorso avevamo la copertura INAIL per i soggetti che facevano
le attività socialmente utili, avevamo una maniera abbastanza facile la copertura
assicurativa, per cui era abbastanza semplice coinvolgerli in quel progetto, che è
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“facile” nel senso che pulizia e diserbo manuale, perché abbiamo preso in convenzione
anche le strade del centro storico. Per cui facciamo diserbo manuale in tutto il centro
storico e alcune strade fuori mura sempre con un’altra convenzione con il comune che
abbiamo attivato in seguito. Comunque, inizialmente sono arrivati per questo progetto,
poi nel tempo, conoscendo i ragazzi e questa nuova realtà, abbiamo cercato di attivare
progetti ad hoc, per coinvolgerli che trattasse di integrazione e inclusione.”
“Quanti volontari ha?”
“In questo momento direi circa una trentina, è difficile sempre da dire perché ci sono
persone che vanno e vengono, sia tra i soci locali sia tra i senza dimora e migranti.
Perché magari viene trasferito, o ottiene i documenti e se ne va, le situazioni si
evolvono, quindi direi che almeno una trentina è una buona media, ma è sempre in
evoluzione.”
“I senza dimora sono anche rifugiati o richiedenti asilo?”
“Adesso si, ce ne sono alcuni. Magari ci sono ragazzi che sono con noi da un po’ di
tempo e li abbiamo visti un po’ in tutti “gli stadi”, li abbiamo visti quando erano
richiedenti asilo poi magari hanno avuto i documenti ma non l’ingresso allo SPRAR,
quindi sono rimasti un po’ in dormitorio, un po’ in giro. Tanti ragazzi migranti che
hanno situazioni precarie per vari motivi sono i “nuovi senza fissa dimora”. Ce ne sono
alcuni, poi la situazione è sempre in evoluzione, che hanno cambiato città perché hanno
avuto lo SPRAR, o altri percorsi e ci sentiamo ogni tanto ma non sono più sul
territorio.”
“Come e perché sono stati coinvolti anche rifugiati e richiedenti asilo?
“Molti sono stati coinvolti con il passaparola, ad un certo punto abbiamo avuto anche
una situazione difficile da gestire perché ogni volta che facevamo attività c’era qualcuno
che diceva “c’è un mio amico che vuole venire”. Non è così immediato riuscire a
coinvolgere tutti, soprattutto in cose che non sono adatte a loro. Ad un certo punto
abbiamo cominciato a fare, anche in modo piuttosto spontaneo, dei colloqui informali
per capire se i ragazzi avevano qualche attitudine particolare, e cercare di indirizzarli
anche in alcuni laboratori che vengono attivati ogni tanto con altre associazioni. Ad
esempio, ci sono laboratori di conversazione per migliorare l’italiano, e molte altre
attività, noi avevamo molti ragazzi che venivano e abbiamo cercato di indirizzarli da
una parte o dall’altra. Diciamo che comunque sono tutti soggetti che per noi rientrano,
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purtroppo per loro, come persone in svantaggio sociale. Perché anche se non tutti sono
senza fissa dimora in senso stretto, sono persone che vivono una condizione di
svantaggio per vari motivi, emarginazione o altro. Comunque, rientrano, quindi, nel
nostro target di riferimento.”
“Con quali soggetti vi relazionate e perché? (Che tipo di scambi sia formali che
informali)”
Prefettura..
“Con la Prefettura abbiamo dei rapporti formali perché in base al protocollo per le
attività di volontariato che è stato fatto l’anno scorso (2017). È stato firmato dal CSV,
Prefettura e una serie di enti gestori, sindacati e altri soggetti credo. In base a questo,
dunque, noi inviamo dei progetti di volontariato che poi approvano. Abbiamo avviato,
inoltre, di recente, un dialogo per cercare di capire come snellire tutte le questioni
relative alle autorizzazioni. Perché al momento la situazione è abbastanza complessa,
perché se abbiamo ospiti di strutture diverse noi mandiamo a loro le richieste perché
formalmente sono sempre le strutture a doversi interfacciare con la Prefettura. Però
magari arrivano tre pec per un’attività che magari dura due serate. Tutto molto
farraginoso, quindi tramite il CSV stiamo cercando di aprire un dialogo per capire come
snellire tutto questo e rendere tutto un po’ più semplice. Anche perché ci siamo resi
conto che noi e pochi altri facciamo attività che coinvolgano richiedenti asilo, perché
tutta questa burocrazia e complicazioni inibisce le associazioni, che ci pensano un po’
prima di dire mi imbarco in questa attività. Poi in Prefettura si avvicendano i dirigenti
per cui alcune cose nel tempo anche cambiano, non è semplice insomma, ma sono
abbastanza fiduciosa, perché dall’ultimo incontro che abbiamo avuto tramite il CSV, mi
è sembrato che ci fosse una disponibilità in questo senso (due settimane fa).”
“Ma le autorizzazioni vengono richieste solo per il rientro posticipato dei CAS dei
richiedenti asilo o anche per altre ragioni?”
“Ci sono i progetti di volontariato che devono essere approvati indipendentemente dal
fatto che le attività siano diurne o serali. Devono comunque essere tutti mandati tutte le
schede-progetto. Oltre a questo, ci sono alcuni progetti che hanno delle attività serali
connesse, per cui noi chiediamo un’autorizzazione per i ragazzi che fanno parte di quel
progetto per una serie di sere. Poi ci sono delle altre autorizzazioni serali che esulano
dai progetti. Esempio, c’è il cinema estivo, scegliamo tre film che secondo noi sono
193
comprensibili per i ragazzi e che parlano di tematiche interessanti. Invitiamo una serie
di ragazzi a partecipare insieme a noi volontari a queste attività e per quel evento
ricreativo e socializzante inviamo un’autorizzazione perché ci va di farlo. Alcune
autorizzazioni sono connesse ai progetti, altre sono “indipendenti”, finalizzate a far
conoscere ai ragazzi la cultura del territorio. Tutte queste cose devono passare per la
Prefettura ma attraverso le strutture. Quindi allo stato attuale delle cose un’associazione
non può chiedere direttamente alla Prefettura un’autorizzazione ma deve per forza
passare per le strutture.”
“Questura…”
“Come associazione non abbiamo rapporti diretti con la Questura.”
“Comune..”
“Abbiamo rapporti con il servizio del Verde Urbano per Adotta il verde ormai da anni,
di tipo collaborativo. Per cui noi “facciamo il nostro” e ci sentiamo con il Comune se ci
sono difficoltà, loro a volte hanno segnalazioni di alcune strade con l’erba alta e ci
mandano una mail, quindi collaborazione. Abbiamo, anche, rapporti con il servizio
sociale perché a volte segnaliamo delle situazioni di cui siamo a conoscenza e capendo
magari se possiamo dare anche un supporto a qualche progettualità esistente, dove
possibile cerchiamo di lavorare insieme. Perché ci sono diverse situazioni in cui ci sono
percorsi in atto e diamo un supporto considerando che a volte conosciamo le persone un
po’ meglio.”
“È cambiato qualcosa nel rapporto con il Comune da quanto si è istaurata la
nuova Giunta?”
“Noi in realtà non l’abbiamo sentito. Noi abbiamo una convenzione che rinnoviamo
ormai da qualche anno per Adotta il verde, ma per il resto non abbiamo presentato
progetti direttamente al Comune quest’anno (2018). Abbiamo fatto diverse attività ma
nessuna che coinvolgesse direttamente il Comune.”
“Enti gestori..”
“Per le attività di volontariato e le richieste di autorizzazione dobbiamo interfacciarci
con loro e quindi lo facciamo. Quindi noi scriviamo la scheda del progetto e la inviamo
alla Prefettura, quando questa risponde approvandola, noi specifichiamo agli enti gestori
quali sono i partecipanti. Gli enti gestori fanno firmare ai ragazzi la scheda di
disponibilità e successivamente inoltrano le richieste sia per le attività di volontariato,
194
sia per altre attività. Diciamo che in generale, in tutti quelli che fanno accoglienza
diffusa e lo SPRAR, tendenzialmente la disponibilità degli operatori e anche il desiderio
di far integrare i ragazzi e far conoscere loro il territorio è molto alta in percentuale,
rispetto ai CAS che hanno un gran numero di persone. Questo è un elemento sostanziale
secondo me. Poi molto spesso la differenza la fa l’operatore singolo, perché ci sono
delle strutture in cui magari non ci sono direttive o interesse particolare nel far fare
attività di volontariato ai ragazzi, ma magari c’è “l’operatore illuminato” che a titolo
non personale perché è un operatore, ma magari conoscendo alcuni ragazzi che hanno
voglia di fare, ce li segnala e ce li manda. Però questi sono casi abbastanza rari. Poi è
anche vero che ci sono alcune strutture, che benché siano CAS, hanno direttori più
sensibili, telefonicamente li si informa delle attività promosse, quindi non sono
convenzioni ufficiali ma c’è un rapporto di collaborazione. Per cui se c’è un problema,
un bisogno, ci si può confrontare.”
“Altre associazioni di volontariato nel territorio…”
“C’è un gruppo di lavoro all’interno del CSV, che si chiama “Insieme
nell’Accoglienza”, che unisce un insieme di associazioni che fanno capo al CSV che si
occupano di progetti in particolare rivolti ai migranti. All’interno di questo gruppo
abbiamo gestito un po’ di fondi che si occupano di progetti che sono in parte
professionalizzanti e laboratori più ricreativi. Io personalmente ho seguito tre laboratori
di video-making dove i ragazzi hanno imparato le basi della ripresa e del montaggio e
hanno ripreso alcuni altri progetti che venivano fatti, ad esempio quello di
panificazione, riparazione biciclette fatti da altri loro “colleghi”. L’ultimo laboratorio
era di tema musicale, quindi hanno filmato i laboratori di percussioni. Hanno fatto un
video sperimentale in cui hanno ripreso alcuni loro amici che suonano sul tema della
musica.
Poi cerchiamo il più possibile di inviare i ragazzi presso associazioni di cui conosciamo
le attività. Per esempio, se c’è il laboratorio di conversazione di Auser due volte a
settimana, e arriva qualcuno qui che mi dice di voler fare qualcosa ma non parla italiano
lo indirizzo verso l’altra associazione. Cerchiamo poi di capire a seconda delle attitudini
dei ragazzi dove mandarli, nel senso che magari ci sono persone con interessi artistici,
altre che preferiscono attività pratiche come la pulizia del verde. Ricordando che sono
persone con i propri interessi cerchiamo di rispettare questo e di inviarli anche ad altri,
195
se c’è un’associazione che fa laboratori di sartoria e arriva qui una persona che scopro
per caso essere sarto, magari lo indirizzo piuttosto che in un nostro progetto verso
qualcun altro che si occupa di quello. È il senso di fare rete. Non tutte le associazioni
sono sensibili a questo, ma alcune magari conoscendo anche noi come realtà superano la
diffidenza e ci provano.”
“Arte migrante è uno dei vostri progetti?”
“Non esattamente, è un gruppo informale che si è costituito a maggio (2018), di cui
anche io faccio parte. Si basa molto anche sulla rete attiva delle associazioni, nel senso
che coinvolgere il più possibile, e fare inclusione significa anche fare rete con le altre
associazioni con progetti nel territorio. Perché l ’idea è di coinvolgere veramente tutti,
quindi ci può essere il senza fissa dimora, il ragazzo migrante, la mamma straniera qui
da molto tempo, persone diversamente abili. Quindi all’inizio partendo ci siamo anche
appoggiati alle realtà già presenti, abbiamo messo tutto assieme per creare inclusione.
Anche lì servono autorizzazioni perché è serale, due volte al mese per i richiedenti asilo.
Precisamente Arte Migrante è nato come gruppo informale a Bologna, poi lì hanno
fondato un’associazione, nel frattempo sono nati un sacco di altri gruppi in tutta Italia
che non sono formalizzati in qualche modo, quindi hanno lo stesso approccio, stessa
metodologia però sono informali e indipendenti. Quindi c’è un’unica associazione a
Bologna a cui fare riferimento se c’è qualcosa a cui aderire formalmente, come un
bando. Poi ha un coordinamento nazionale di cui fanno parte una o due persone per ogni
città in ci è presente Arte Migrante, anche questo è molto aperto e “orizzontale” e
abbastanza informale.”
“altri...”
“A parte il CSV, abbiamo cercato di avviare un progetto che non è andato in porto con
la Camera di Commercio però poi si è perso nel tempo, sia per motivi burocratici che
altro. Era un progetto di inserimento in tirocini. Loro pensavano che fosse una cosa più
facile da attuare, sostanzialmente, però poi ci sono state una serie di questioni
burocratiche che non sono state risolte in modo tempestivo quindi è rimasto lì. Può
essere che magari lo riprenderemo più avanti. Anche perché le energie sono sempre
poche rispetto alla quantità di cose che si vorrebbero fare.”
196
“Secondo voi quali attori del privato sociale/volontariato/collettivi sono rilevanti
riguardo il sistema di protezione a Treviso, ovvero chi tra di loro suscita un
dibattito pubblico e /o forniscono servizi concreti ai richiedenti asilo?”
“Dal punto di vista di servizi concreti penso alle associazioni che promuovono attività
come laboratori di conversazione, o di altro tipo. Ci sono soggetti che svolgono attività
concrete con cui noi ci siamo relazionati di più. Altri soggetti non saprei. Il Django è
condivisibile su alcune cose, altre sono un po’ estremi. Ma ognuno ha il suo stile.
Queste riflessioni non le ho condivise con i miei soci quindi non vorrei dire qualcosa di
inadeguato. Loro sicuramente dal punto di vista politico hanno sollevato il dibattito.”
“Secondo voi gli enti gestori sono competenti?”
“Variano moltissimo da un soggetto all’altro. Diciamo che pur essendo consapevoli che
ci sono diverse limitazioni, diverse difficoltà anche per un ente nella gestione, ce ne
sono alcuni che veramente danno l’impressione, come dire, non di incompetenza, ma
mancanza di voglia di risolvere alcune cose o di farle in maniera più puntuale o di
stimolare la partecipazione dei richiedenti asilo alle attività in generale. Noi non
abbiamo praticamente ma ricevuto, una telefonata da un ente gestore in cui ci diceva di
aver saputo delle nostre attività e di fare qualcosa insieme. Questo lo trovo un po’
surreale. Perché penso che se lavorassi in un ente gestore e sapessi che c’è
un’associazione che fa attività gratis sul territorio un contatto lo cercherei. Invece non ci
capita. Chiaramente un gestore ha moltissime cose da gestire, capisco che possa non
essere la priorità, ma tutto sommato dopo un anno e mezzo non c’è stato un rapporto
formale per attivare una collaborazione o un progetto. Anche perché i gestori hanno dei
budget che noi non abbiamo quindi avrebbero molte più possibilità per fare progetti,
quelle che non abbiamo noi. Considerando che la maggior parte dei soci sono senza
fissa dimora o richiedenti asilo.”
“Come si posiziona l’opinione pubblica a Treviso di fronte alla crisi dei rifugiati?
Ci sono stati episodi espliciti di intolleranza o, al contrario, esplicite manifestazioni
di solidarietà?”
“Noi non abbiamo avuto episodi di intolleranza anche se abbiamo avuto timore che i
ragazzi con il giubbino con su scritto “Adotta il verde, comune di Treviso” venissero
scambiati per operatori del comune e partissero i commenti “guarda il comune che dà
197
lavoro agli stranieri”. Quindi abbiamo detto a tutti che nel caso venissero fermati dalla
gente, devono dire che sono volontari di Civico 63 e consegnare il volantino.
Abbiamo visto poi che attraverso le attività di tipo culturale, molte persone si sono
avvicinate anche a ragazzi che non avrebbero incontrato, con cui non si sarebbero
fermati a parlare. Io mi ricordo al “Sole e Luna Festival” l’anno scorso (2017) una
signora che si è avvicinata e mi fa “scusi, scusi ma questi ragazzi stranieri c’è qualcuno
di Caserma Serena?”. E allora ho presentato a lei un ragazzo proveniente dal Senegal,
molto educato che parlava bene italiano, e sono rimasti lì a fare due chiacchere. La
signora gli ha fatto delle domande su chi fosse e cosa facesse. Sono piccole cose ma
piano piano possono cambiare la cultura. Piano piano a volte attraverso il volontariato si
creano delle occasioni di incontro che altrimenti non ci sarebbero. Poi chiaramente c’è
anche molta confusione perché la gente non capisce chi è un richiedente asilo, chi un
“clandestino”, chi è uno che fa l’elemosina davanti al supermercato e fa parte di un giro
di criminalità o altro, chi magari è un senza dimora, ormai c’è così tanta confusione,
odio e paura che la gente confonde molto. C’è un’ignoranza di fondo su chi è chi, chi ha
diritto a cosa, chi dovrebbe stare dove. Un altro elemento su cui vi è ignoranza è la
differenza, e lo vedo molto con Adotta il Verde, tra una cooperativa e un’associazione.
Premesso che ci sono cooperative che vanno bene e altre male, come le associazioni, c’è
una differenza di fondo sostanziale, e anche in questo c’è molta confusione
nell’opinione pubblica secondo me. Poi c’è un razzismo da parte di alcuni di coloro che
sono qui da molto tempo verso coloro che sono arrivati “l’altro ieri”. Qualche persona,
non so, di origine albanese o marocchina, qui da dieci anni magari, anche se a sua volta
in una situazione di precarietà, ha dei sentimenti di razzismo nei confronti di chi è
arrivato da poco. L’abbiamo notato in un paio di nostri soci. Ma l’abbiamo visto
soprattutto nel momento in cui abbiamo organizzato delle attività in cui magari vi erano
più richiedenti asilo, tendevano a venire meno i senza fissa dimora o immigrati di lungo
corso. C’è un razzismo interno. Un po’ la guerra dei poveri, ma noi lo sentiamo.”
“Movimenti come Forza Nuova e CasaPound sono attivi a Treviso? Se si, avete mai
avuto a che fare con loro?”
“Noi abbiamo attività molto tranquille, non ci siamo mai messi in situazioni particolari
che favorissero, come dire, uno scontro con movimenti come CasaPound o Forza
Nuova. Non siamo gente che organizza manifestazioni e non abbiamo una presa politica
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forte come magari possono avere altri. Forse per questo non abbiamo mai avuto a che
fare. Quando c’è stata la cena per la raccolta fondi “Treviso per Mediterranea” è stato
affisso uno striscione con su scritto “Stop business accoglienza fondi ai trevigiani
bisognosi”. E qualcuno di noi vi aveva partecipato. Ma tranne in questo episodio non
abbiamo avuto rapporti diretti. Sappiamo che ci sono. Nell’occasione relativa al
manifesto poi, mi sono alterata con la testata Treviso Today perché avevano scritto un
titolo inadeguato, io lavoro nella comunicazione, diceva “CasaPound contro
l’associazione che favorisce l’immigrazione clandestina” poi l’hanno cambiato perché
ho scritto loro. Perché puoi avere la posizione che vuoi, ma non è un titolo, mi hanno
risposto dicendo che era un virgolettato, ma poi l’hanno cambiato con “La protesta…”.”
“Che posizione avete come associazione (se ne avete una) rispetto al sistema attuale
dell’accoglienza. È un sistema efficiente a vostro avviso? E che opinione avete
rispetto ai cambiamenti a cui sarà sottoposto?”
“Ti rispondo genericamente perché non abbiamo ancora una posizione netta perché
molte cose sono in evoluzione. Sicuramente il sistema attuale aveva/ha tante lacune
rispetto all’erogazione di alcuni servizi e noi questo l’abbiamo visto empiricamente, ad
esempio conoscendo persone che sono in un CAS sul territorio e magari parlano due
parole di italiano… può essere che qualche ragazzo non abbia l’attitudine, o non sia
andato a scuola perché non aveva voglia, però sono veramente diversi. Quindi questo fa
pensare che alcuni servizi vengano erogati in modo approssimativo o non adeguato, o
che ci siano pochi controlli sulla qualità dei servizi. Poi ora che cambierà tutto il sistema
bisognerà capire, perché è probabile che il volontariato dovrà cercare di sopperire, cosa
che faceva prima ma adesso ancora di più, ad alcuni servizi che vengono soppressi.
Quindi questa è una preoccupazione che riguarda noi come tutto il mondo del
volontariato. Quindi che si creino dei vuoti in tutto ciò in cui noi operiamo, inclusione,
etc. Per cui adesso stiamo a vedere quel che succede, chiaramente bisognerà un po’
attivarsi in questo senso e cercheremo di capire come. Rispetto al nuovo sistema
capiremo come avverrà l’attuazione, siamo preoccupati per le persone che finiranno o
direttamente per strada, o in condizioni di precarietà ed emarginazione sempre
maggiore. Altro non aggiungerei perché dobbiamo ancora un po’ capire come andrà.”
“Quante persone ci sono fuori dall’accoglienza a Treviso e perché secondo voi?”
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“Anche oggi ho chiesto ad un’altra socia se abbiamo dei dati a riguardo, ma non ne
abbiamo. Sappiamo di alcune persone a cui è stata revocata l’accoglienza, o qualcuno
che ha trovato lavoro e magari ha deciso di spostarsi anche se avrebbe potuto continuare
ad usufruire dell’accoglienza però non abbiamo dei dati su questo.”
“Secondo la vostra opinione ha dato dei benefici ai richiedenti asilo e rifugiati il
fatto di far parte della vostra associazione? (in termini di: maggiore inserimento
nel territorio, sviluppo di legami d’amicizia con gli altri volontari, etc.)”
“Sicuramente li ha aiutati dal punto di vista dell’integrazione perché abbiamo viso dei
ragazzi veramente cambiare, sono passati dal rimanere chiusi tutto il giorno in un CAS a
partecipare a un progetto anche magari breve, hanno avuto la possibilità di avvicinarsi a
persone italiane, farsi conoscere, praticare la lingua, conoscere degli italiani che non
sono solo operatori in un CAS, ma cittadini che frequentano eventi culturali, che fanno
volontariato. Poi sicuramente è stato aiutato dai certificati fatti rispetto alle attività
svolte, che sono stati potenzialmente utili per l’ottenimento dell’umanitaria. Quindi ci
sono stati ragazzi che abbiamo visto particolarmente volenterosi a cui abbiamo proposto
tante attività diverse che sono andate poi a comporre il loro “profilo”. Poi coloro magari
caratterialmente più predisposti sono riusciti a sfruttare, in senso positivo, le relazioni
sviluppate per trovare lavoro o magari per essere aiutati in altre cose. Si, sicuramente
possiamo dire tranquillamente che è successo a molti. Poi chiaramente alcuni non sono
più nel territorio, altri sono andati “persi”. Poi dal punto di vista del “dopo”
l’accoglienza, alcuni, sono stati avvantaggiati dal fatto di aver fatto attività al di fuori
dei centri di accoglienza. Poi c’è sempre qualcuno che fa le cose perché alla fine diamo
l’attestato, però indirettamente anche senza averne una piena consapevolezza,
comunque acquisiscono capacità di relazione o altro, di cui non sono pienamente
consapevoli sul momento. Poi ci sono dei progetti che nascono da workshop in cui i
partecipanti continuano a fare altre cose, creando relazioni anche nel tempo. Niente è
fine a sé stesso, molte attività hanno un follow-up si creano relazioni, altri progetti, etc.”
“Che futuro vedete e vorreste per la vostra associazione?”
“Ci teniamo ad essere per e con le persone. Quindi aldilà degli scenari che possono
cambiare noi rimarremo fedeli a questo. Anche nella modalità di progettare resteremo
aperti a collaborazioni di ogni tipo e spero che rimarremo così.”
200
“Come vi finanziate?”
“Quasi non ci finanziamo, nel senso che abbiamo donazioni saltuarie però per il resto
diciamo che non abbiamo fonti di finanziamento particolare di qualche ente o altro.
Facciamo quasi tutto a budget zero. Cosa che ci rende orgogliosi da una parte, e
dall’altra ci mette anche un po’ in difficoltà e avere qualche soldo in più per qualche
progetto non sarebbe male. Ma penso che facciamo molto rispetto al budget quasi nullo,
c’è molta più organizzazione e collaborazione piuttosto che soldi nelle nostre attività."
201
Intervista 7: Talking Hands
Data: 10 dicembre 2018
“Da che anno è attivo questo progetto?”
“Il progetto è attivo dal 2016.”
“Come mai avete deciso di attivarlo? E in che modo, se lo fa, parla al Django?”
“Il rapporto è stato abbastanza naturale, nel senso che l’esperienza di Talking Hands è
stata preceduta dall’esperienza della palestra popolare. Che ha avuto un ruolo
abbastanza importante. Moltissimi dei ragazzi all’epoca, perché adesso la situazione è
radicalmente mutata, erano ospiti all’interno dei vari centri di accoglienza straordinaria
della provincia, con una presenza poi più grossa delle Caserme Serena. Si potrebbe dire
moltissimo sulle condizioni in cui i ragazzi vivevano all’interno del CAS ma non voglio
dilungarmi, però l’aspetto più tremendo era proprio questo processo di disattivazione
che i ragazzi subiscono all’interno di queste istituzioni che sappiamo che sono
esclusive, nel senso che non gli consentono poi un rapporto con la popolazione locale.
Vieni regimentato da un sistema di regole più o meno arbitrario in base ai precetti della
Prefettura o delle società appunto che gestiscono i centri. Molti dei ragazzi, di un’età
compresa tra i 20 e 30 anni, nel pieno delle loro energie, della loro voglia di fare, si
trovano in questa sorta di tempo sospeso in cui meno fanno, meno rompono i coglioni
meno poi la stessa società dava come servizi. 4 ore di scuola la settimana, orientamento
legale che io sappia, quasi inesistente, preparazione alla Commissione zero. Quindi,
appunto, la palestra ha avuto questa funzione, attraverso l’attività fisica, principalmente
ginnastico corpo libero, poi molti dei ragazzi amano fare pesistica, in parte scaricare,
perché ci sono ragazzi che hanno proprio un bisogno fisico di scaricare tensioni anche
che hanno accumulato attraverso l’esperienza del viaggio ma anche per rimettersi in
moto, di riattivarsi. Quindi diciamo che se questo percorso della palestra è servita ad
una riattivazione poi con un gruppo, diciamo di quelli che erano più fidelizzati
all’esperienza della palestra e che poi contribuivano al prendersi cura del luogo. Perché
ovviamente alle persone si cerca sempre di offrire dei servizi nei quali siano anche
coinvolti attivamente, quindi alla fine della lezione dalle cose più semplici, sistemare un
po’ lo spazio, rimettere apposto gli strumenti queste cose qua. Quindi con un primo
gruppo, di circa una decina di persone, è nato un momento di confronto di tipo molto
orizzontale, in cui io ho fatto la domanda che più mi sembra normale da fare. Cioè uno,
202
cosa sapevano fare, e due, quale era il loro desiderio, che cosa avevano voglia di fare
qua e come li si poteva poi aiutare a costruire questa ideale altra attività che andasse
oltre l’esperienza della palestra. Lì è emerso un quadro estremamente ricco di
professioni e conoscenze artigiane che spaziavano dal ricamo alla sartoria, c’erano dei
falegnami, muratori, imbianchini, saldatori, artigiani abituati a lavorare anche i metalli,
il ferro battuto. Quindi da questo è nata l’idea dell’opificio, che ha un rimando quasi
rinascimentale della bottega, luogo dove si fanno delle cose e si producono delle cose.”
“Di cosa si occupa e quanti volontari ha?”
“Qui è molto fluida la situazione, noi ovviamente crediamo molto nel progetto
dell’opificio, è importante. Ora come ora i ragazzi che vengono qui non sono più
all’interno dei centri di accoglienza, quindi è un luogo di lavoro ma anche uno spazio
rifugio, chiamiamolo così. Nel senso che i ragazzi vengono qui per caricare il telefono,
stare insieme, socializzare, per scaldarsi, abbandonarci qualche valigia, pacchi, quando
magari si spostano etc., e poi magari hanno interesse a partecipare alle varie filiere di
prodotto che si sono create all’interno dell’atelier, al momento c’è la falegnameria, il
lavoro più di smaltatura, di finitura degli artefatti, il ricamo e il lavoro del ferro battuto.
Queste sono le filiere di prodotto principali. L’attività lavorativa intesa come persone
che vengono qui quotidianamente per lavorare, salvo ovviamente i giorni in cui vanno a
scuola, riguarda circa una decina di persone, poi abbiamo anche un giro più fluido in cui
ci sono persone che se ne vanno poi tornano, siamo nell’ordine di circa 50 persone, che
attraversano lo spazio quotidianamente.
Per il resto ci sono persone che vengono da fuori, direttamente legate all’esperienza del
Django in questo momento non ci sono persone oltre me che sono coinvolto
quotidianamente nelle attività dell’atelier. Ci sono altre persone che fanno parte magari
di altre esperienze, qualche persona di un’associazione che nasce come costola di Una
Casa per l’Uomo appassionata di tessuti del progetto che compra qualche pezzo.
Abbiamo un giro di persone affezionate al progetto che vengono settimanalmente a
trovarci. Poi ci sono le persone curiose, i ragazzi che magari seguono la pagina che ogni
tanto si prenotano per passare a vedere le collezioni e poi abbiamo tutto il giro dei
ragazzi che partecipano, con cui veramente non vorrei fare una distinzione, è
un’autogestione vera. I ragazzi sono volontari non è che ci sia una suddivisione tra
quello che è il mio ruolo e quello che è il loro ruolo, cerchiamo di costruire il più
203
possibile un percorso che sia inclusivo, ma dal primo giorno, con tutte le difficoltà che
possono conseguire. Adesso li lascerei non solo le chiavi di questo posto, che hanno dal
primo giorno, ma anche le chiavi di casa mia, al gruppo di ragazzi che partecipano
quotidianamente.”
“Con quali soggetti vi relazionate e perché? (Che tipo di scambi sia formali che
informali) Prefettura/Questura/Comune/enti gestori”
“Abbiamo avuto contatti con il comune, con la Giunta precedente, nel senso che
abbiamo anche ottenuto il patrocinio del comune, che in sostanza è la possibilità di
inserire il marchio del comune nei nostri stampati, non è che questo patrocinio abbia
sottinteso una qualche forma di supporto e finanziamento concreto però in un certo
senso è stato un riconoscimento di un percorso che abbiamo avviato.
Nessuna relazione con la Prefettura.
C’è stato qualche tentativo di contatto con alcuni CAS, che erano anche interessati a
mandare alcune persone qui perché magari possiamo rientrare in quelle che possono
essere attività curriculari, ma poi per una serie di motivi, ho deciso di interrompere tutti
i rapporti con i vari centri di accoglienza, anche proprio per una questione di percezione
del progetto da parte dei ragazzi. Il CAS è una cosa, questa deve essere un’altra cosa.
A tutti viene fatto un “malloppone” che non è il classico attestato di partecipazione ma è
proprio una scheda personale, che racconta da quando è arrivato, cosa ha realizzato, con
tanto di materiale fotografico, rassegna stampa, insomma un bel fascicolo che non è il
classico attestato, viene fatto su misura per ogni persona, come un abito. È stato quasi
sempre inserito agli atti, a discrezione immagino dei giudici se ritenerlo uno strumento
valido per la valutazione, però è sempre stato acquisito per lo meno.”
“Con la nuova Giunta?”
“Per il momento nulla. Abbiamo avuto un primo incontro in comune in cui c’è stato un
confronto collettivo. Erano presenti tutte le varie progettualità e relativi soggetti
giuridici a cui fanno capo con avvocato De Checchi, il sindaco Conte. Non ho mai
percepito un’avversione verso questo progetto.
Questo progetto secondo me scardina un po’ anche un luogo comune, molto caro al
trevigiano, che è quello di vedere i ragazzi in strada, a bighellonare, o stare con il
telefono in mano, ovviamente sappiamo benissimo quanto siano strumentali anche
queste percezioni, però, il fatto che i ragazzi siano attivi, lavorino, si rimettano in gioco,
204
l’abbiamo veramente misurato anche poi nelle relazioni che si sono instaurate anche
solo con il ferramenta in cui andiamo a comprare le viti. Sai le prime volte guardati un
po’ con sospetto, ci veniva affibbiato un commesso alle costole perché magari avevano
paura che andassimo a rubare, la seconda volta ti chiedono, la terza ti domandano cosa
stai facendo, la quarta ci hanno messo da parte un trapano usato che gli aveva lasciato lì
un cliente. A Treviso, soprattutto ma credo in Veneto in generale, il lavoro ha una sua
sorta di dignità quasi religiosa. Nel senso che questo ha aiutato sicuramente a rompere
un luogo comune, uno stereotipo. Idem al mercato, quando andiamo nelle mercerie dove
ci sono le nonne che comprano i filati, arrivano dodici ragazzoni a comprare cerchielli
per fare il ricamo, questo li spiazza e li fa ragionare in termini diversi rispetto anche al
fenomeno dei flussi migratori.”
“Ma rispetto allo spazio invece? Avete delle convenzioni con il Comune?”
“Noi abbiamo fatto tutto il percorso, siamo stati i primi ad aprire la CILA per fare tutti i
lavori, anche quello un percorso accompagnato a dei professionisti però in gran parte
realizzato dai ragazzi stessi, si sono occupati ovviamente di tirare le linee, abbiamo
rifatto tutto l’impianto elettrico a norma, abbiamo fatto addirittura anche il massetto,
perché questi edifici qui non hanno le fondamenta per cui avevamo un sacco di freddo
che veniva su dal pavimento, abbiamo fatto l’isolamento termico e la gettata di cemento
per alzare un pochino la soletta. Attraverso un tavolo di concertazione che c’è stato con
l’ASL abbiamo risposto attraverso tutte quelle indicazioni che c’erano state date per
mettere diciamo, a norma, l’ambiente. È stato seguito da uno studio di architettura, da
professionisti che ovviamente ci hanno certificato gli impianti. Abbiamo registrato il
contratto, c’è stato un ulteriore up-date di quello che è stato il riconoscimento di questo
accordo di comodato con il comune attraverso la regione del Veneto che ha avvallato,
ovviamente il percorso, la sperimentazione che aveva avuto inizio appunto grazie a
questo percorso di progettazione partecipata con lo IUAV, il comune, queste cose qui,
penso che da questo punto di vista siamo abbastanza blindati, dall’altro ci sarebbero
altre migliorie da fare, non di quelle che c’erano richieste come premessa per iniziare le
attività che sono state fatte tutte, ma per renderlo un luogo più caldo.”
“Altre associazioni di volontariato nel territorio?”
“Con la Sant’Egidio abbiamo cominciato un dialogo, credo che loro siano per loro
natura o mission, non so come definirla, più attenti ad un intervento di tipo
205
emergenziale, quindi di strada, sicuramente, possono esserci dei punti di contatto, come
ad esempio per questo “osservatorio” privilegiato che è questo luogo. Perché qui i
ragazzi passano, ci sono molte forme naturali di mutualismo tra di loro, in cui magari
uno che è in un appartamento magari lava i vestiti ad un altro, quindi passaggio di
borse, ma lo stesso fatto di poter cucinare queste cose qui, meriterebbero di essere
aiutate, l’ho detto al volontario della Sant’Egidio, accompagnate, sviluppate piuttosto
che il sacchettino con i cracker e l’aiuto sull’immediato. Nel senso che io credo molto a
questo tipo di percorso di autogestione, in cui siano loro stessi ad auto aiutarsi.
Sappiamo poi che quei meccanismi lì, che sia la mensa o altri tipi di servizi alla persona
che ti vengono dati per quanto fondamentali, producono meccanismi non sempre
virtuosi, e rischiano di cronicizzare un certo status, come la stessa situazione abitativa. Il
dormitorio non è una soluzione, per un mese- due mesi, impedisce magari di farli morir
di freddo, ma non è una soluzione nel medio e lungo termine. Si sta cercando di
sperimentare, perché nessuno in questo momento ha la soluzione in tasca, delle altre
modalità in cui poi si crei un senso di comunità, e all’interno di questa comunità si
producano questi meccanismi di mutuo aiuto che sono quelli in cui io credo, insomma
uno si sente anche più consapevole di quello che sta facendo piuttosto che rivolgersi ad
un servizio, che è importante che ci sia, non voglio dire il contrario, ma ci dovrebbe
essere poi un po’ una evoluzione.”
“Altri...”
“Con Binario 1 abbiamo fatto un po’ di presentazioni assieme, ogni tanto c’è Ambra,
associazione di Montebelluna che si occupa principalmente di questioni legate alle
donne. Sono nate inizialmente con un’esperienza residenziale protetta per donne
sottratte al racket e adesso stanno facendo un altro percorso ai compiti, però insieme
alle mamme. Quindi anche quello è una cosa molto bella. La stessa volontaria con cui ci
siamo interfacciati fa parte anche di Auser, e organizza attività di conversazione presso
Binario 1 e so che diversi ragazzi hanno frequentato anche i gruppi di conversazione al
Binario 1. Con il Civico ad un certo punto avevo avuto dei contatti ma più per una
questione di tipo legale, per avere delle piccole consulenze, ma lì riguardo ad un caso di
un ragazzo tornato dal foggiano, volevano convincerlo a fare un rimpatrio assistito e ha
chiamato me per convincere lui. Perché secondo loro non aveva altre chance, ma
nemmeno se gli punti una pistola in testa tornano a casa dopo tutto quello che hanno
206
passato. E lì si sono un po’ interrotte le relazioni. Senza che sia successo in realtà niente
ma così.”
“Secondo voi quali attori del privato sociale/volontariato/collettivi sono rilevanti
riguardo il sistema di protezione a Treviso, ovvero chi tra di loro suscita un
dibattito pubblico e /o forniscono servizi concreti ai richiedenti asilo?”
“Che sta dando un segno secondo me diverso, è il mondo cattolico,
dell’associazionismo cattolico di base per ragioni storiche, anche di dogmi di cui poi
sono fatte un po’ tutte le religioni. La cosa interessante, è che in questo momento questo
non è solo una scelta “etica” mi sembra che stia prendendo uno spessore di tipo politico
nel lavoro di inchiesta, per esempio, che è stato fatto. Il quotidiano l’Avvenire, l’estate
scorsa, ha fatto tutto questo lavoro sul caporalato nel sud che è, secondo me, un lavoro
importante che non aveva fatto nessuno se non forse qualcosa l’Osservatorio Placido
Rizzotto. Ma lì principalmente a livello di numeri di quelle che sono le stime di quante
persone effettivamente lavorano nei campi ma anche sulle mortalità non ci sono dei
numeri esatti. C’è un problema anche di “desaparecidos” nei campi del sud. Credo
molto il mondo cattolico, su quello io con loro mi sono, non dico scontrato, ma gli ho
un po’ stimolati anche al bisogno di raccontare certe esperienze perché poi c’è questa
“abitudine” che non so se sia legata tanto al mondo cattolico, forse al mondo del
volontariato in generale, che va bene fare del bene ma raccontarlo poi è “un po’ brutto”,
come dire, certe cose bisogna farle, se le racconti sembra che sei quello che le fa per
raccontarle. Invece no, io credo che in questo momento sia fondamentale produrre delle
contro narrazioni, o narrazioni altre, rispetto a quelle che leggiamo quotidianamente nei
giornali e nei rotocalchi, alla televisione. In questo Talking Hands forse è stato più
bravo di altri a raccontarsi, ma non è che siamo gli unici, anzi. Ci sono molte esperienze
interessanti nel paese in questo momento, non parlo solo di Treviso ma come unicità del
caso italiano rispetto ad altri paesi, vuoi per un welfare in Italia più scricchiolante, vuoi
per una cultura diciamo, appunto, secolare legata ad una cultura cattolica, vuoi per
“un’arte dell’arrangiarsi” in questo momento rispetto a quello che è il panorama
europeo, l’Italia è ricchissima di esperienze di questo tipo che meriterebbero di essere
promosse, raccontate e supportate nel senso che poi sono dei percorsi sperimentali che
necessitano di quel supporto per metterli a sistema, farli diventare esperienze di
cooperative sociali, o altre forme di auto-aiuto.”
207
“Secondo voi gli enti gestori sono competenti?”
“Ci sono probabilmente soggetti che potrebbero esprimere un giudizio meglio di me
perché poi ovviamente non ho io tutti questi rapporti con Prefettura o altri sportelli, tipo
sportello lavoro e simili. Quello che posso dire, non legato a questa esperienza ma
legato ad un altro lavoro che ho fatto anni fa che riguarda una campagna informativa sui
servizi indirizzati ai cittadini provenienti da paesi terzi, quindi immigrati, la Lega ha
questa doppia faccia. Nel senso che predica male ma razzola anche bene, nel senso che
a Treviso lo sportello lavoro in provincia ha funzionato anche bene ci sono i ragazzi
stessi qui, rispetto altri comuni come ad esempio Venezia, gli è stata data la carta
d’identità e il codice fiscale, che sono documenti importanti che ti permettono di
accedere anche ai servizi sanitari, in altri CAS non veniva fatto questo passaggio. Io
credo che tutto sommato non è una città che poi, a parte le sparate ignobili e razziste, sul
concreto non ci sia. Credo che tutto sommato alcuni servizi funzionino, come anche il
servizio medico-ospedaliero, qui alcuni ragazzi hanno avuto modo di avere dei ricoveri,
o di essere seguiti anche per malattie infettive anche per patologie abbastanza gravi, io
devo dire che ho visto persone serie e competenti che li hanno trattati come qualunque
essere umano.”
“Ma i ragazzi che partecipano al progetto, si diceva, erano in Caserma Serena?”
“Non più, ormai sono quasi tutti fuori, tranne due. Erano la maggior parte di Caserma
ma abbiamo avuto un po’ di tutto, Casa Rosa, Hilal, tutti i vari centri della zona, una
loro rappresentanza qui c’è stata. Però è una fase proprio superata quella del CAS,
ormai sono una minoranza, anche una “minoranza anomala” perché ad esempio uno dei
ragazzi è più di tre anni che è dentro Caserma Serena, ha avuto la sentenza solo di primo
grado sta aspettando la data per fare l’appello che gli è stata posticipata a dicembre del
2019. Quindi vuole dire che farà dai quattro ai cinque anni dentro la Caserma infatti sta
“sbarellando”.”
“Come si posiziona l’opinione pubblica a Treviso di fronte alla crisi dei rifugiati?
Ci sono stati episodi espliciti di intolleranza o, al contrario, esplicite manifestazioni
di solidarietà?”
“Questo dovresti chiederlo a loro perché poi non me le raccontano, sono sempre
abbastanza discreti, quello che posso dire io è che ci sono delle difficoltà a livello
materiale normale, quotidiano, per esempio, mancano alcune figure nelle farmacie,
208
basterebbero delle figure in una farmacia della città in cui c’è qualcuno che parla un
paio di lingue, allora tante volte per una forma di auto tutela, non voglio dire che sia
razzismo, magari trattando dei farmaci è importante capirsi con il farmacista però
quando uno va a chiedere un normale anti-dolorifico, o un’aspirina, o un farmaco da
banco e li viene detto torna con l’impegnativa del medico, questa cosa per loro è un
grosso problema. Tanti ragazzi hanno mal di denti, il fatto che non ti diano un
analgesico diventa un grande problema. O tutte le malattie anche stagionali, dalle
influenze a simili. Questo è un problema reale che affrontano, non voglio dargli una
connotazione politica o ideologica, però alle volte vedo che viene meno anche quel
piccolo sforzo che basterebbe per capirsi. Sono ragazzi che qualche parola in italiano la
parlano. Poi dal punto di vista istituzionale, motivo per cui poi passano la giornata in
questo luogo, che poi diviene anche una sorta di rifugio, è che ci sono continui controlli
dei documenti da parte della polizia soprattutto nelle zone maggiormente frequentate dai
migranti, che sono via Roma e la stazione, quelle zone lì, per loro farsi controllare i
documenti anche due o più volte lo stesso giorno è un “pain in the arse” come si dice,
quindi alla fine questa roba qua li porta a trovarsi dei luoghi in cui non subiscono questi
controlli continui, spesso anche arroganti, li fanno svuotare gli zaini, le tasche per terra,
e questa cosa la vivono male. Quindi vengono qui anche perché sanno che qui nessuno
chiede i documenti.
Questa storia dei controlli costanti è una “spada di Damocle” che preclude loro
l’accesso al centro della città, di fatto crea una barriera spaziale rispetto a quella che è la
città a loro “concessa” e la città “accessibile”. Questo produce nel territorio delle vere e
proprie barriere spaziali. Loro nel centro storico non ci vanno mai, io ho organizzato
l’estate scorsa di andare a vederci delle mostre, siamo stati all’Archivio Salce, ai Musei
Civici, chi me l’ha chiesto a fare la tessera della biblioteca. Però loro hanno proprio una
paura di accedere, poi è culturale probabilmente, qualcosa nasce da loro stessi, e
qualcosa nasce da quello che gli succede quando attraversano questi spazi.”
“Movimenti come Forza Nuova e CasaPound sono attivi a Treviso? Se si, avete mai
avuto a che fare con loro?”
“Con questo progetto nello specifico no. Secondo me in questo momento sono
completamente allo sbando, non vedo, da parte loro un’azione politica, come magari
veniva fatta in passato, o magari hanno altre priorità o “si stanno curando”.”
209
“Che posizione avete come associazione (se ne avete una) rispetto al sistema attuale
dell’accoglienza. È un sistema efficiente a vostro avviso? E che opinione avete
rispetto ai cambiamenti a cui sarà sottoposto?”
“Fin da subito abbiamo cercato di informare sul contenuto del decreto anche con dei
materiali multilingua, perché poi molto spesso c’è un dibattito in corso e poi magari loro
sono gli ultimi a saperlo, Lì è stato importante soprattutto fare informazione, una
prevenzione, riguardo a certi reati sul consumo di sostanze, molti ragazzi fumano, non
per forza di cose spacciano, ma anche la questione del consumo in questo momento con
le nuove leggi rischiano che venga negata anche la domanda stessa o rischiano lo status
giuridico acquisito. Ero preoccupato per un ragazzo che ha forma di diabete molto
aggressiva ed ha ottenuto un’umanitaria e si trova all’interno dello SPRAR, ma mi
sembra che al momento sia stata fatta una marcia indietro e lo tengono. Perché in una
prima fase sembrava che non avesse più diritto ma sembra che sia stata bloccata la cosa.
Per il resto, un’analisi generale sul decreto, credo di costituzionale quel decreto abbiamo
solo la punteggiatura, è un disastro che produrrà ancora più emarginazione e difficoltà
di rientrare in un percorso non solo giuridico, ma anche di lavoro nella legalità. Quindi
questa alimenterà, nelle migliori delle ipotesi, quel dramma che è il caporalato nel sud,
in cui non ti viene richiesto nessun documento. Nella peggiore delle ipotesi sacche di
nuovi poveri, ragazzi giovanissimi allo sbando, e sicuramente aiuterà l’economia extra
legale. Quindi il piccolo spaccio e simili. Il decreto-legge è disastroso. Ci siamo
ovviamente relazionati a tutti quelli che sono i percorsi attivati per produrre una critica
al decreto. Abbiamo partecipato alla marcia dei centomila di Roma. Talking Hands ha
anche questa cosa qui, ha sempre cercato di costruire delle relazioni non solo con altre
realtà territoriali, ma anche con quelle che sono un po’ delle nuove piattaforme politiche
che si battono per i diritti per tutti. Perché il decreto-legge non attacca solo i diritti dei
migranti, ma attacca i diritti del dissenso, vedi anche la questione dei blocchi stradali e
delle occupazioni che erano già state interessate dal Decreto Lupi, ma adesso non sono
solo multabili ma anche divenute reati con pene fino ai 4 anni di reclusione per
un’occupazione abitativa. Poi sappiamo che è stato fatto un ragionamento anche molto
preciso su quelle che sono le problematiche maggiori, perché una di queste è proprio la
questione abitativa, questa cosa qui di non avere un luogo dove stare e la possibilità di
occupare un luogo autogestito, ovviamente taglia fuori questa possibilità. Ma anche
210
semplicemente la possibilità di protestare perché anche la resistenza a pubblico ufficiale
è stato inserito come elemento di preclusione al diritto d’asilo. Quindi è un pacchetto
perfetto per produrre emarginazione e un emarginato che non può nemmeno protestare.
Quindi abbiamo partecipato a questo movimento che era Veneto Accoglie, una
piattaforma molto allargata in cui vi era tutto il mondo dell’associazionismo cattolico di
base. Abbiamo costruito insieme alla Casa di Ahmadou, realtà di Mestre, un percorso
politico. Ma anche con Melting Pot Europa. In questo momento c’è questo nuovo
soggetto che è “Gli Indivisibili” che è nato con questa “levata di scudi” dopo l’arresto di
Mimmo Lucano, poi è tutto un po’ un divenire. Però abbiamo cercato il più possibile di
stare dentro a tutti i vari percorsi che si sono attivati sia a livello nazionale che
territoriale.”
“Diceva che la maggior parte delle persone che partecipano al progetto oggi sono
fuori dalla accoglienza, ma dove stanno?”
“Caritas, Via Pasubio e strada.”
“Quante persone ci sono fuori dall’accoglienza a Treviso e perché secondo voi?”
“Adesso stanno rientrando tutti quelli che hanno finito la stagione giù, che sono partiti
verso maggio- giugno, perché hanno fatto la piantumazione, la raccolta, poi le olive che
si sono appena concluse e adesso stanno rientrando. Io prevedo che di qui a breve
potremo avere in città una cinquantina-centinaio di senza fissa dimora.
Qui dovrebbe iniziare a breve, un nuovo esperimento che è l’edificio di fronte a noi.
Che per un periodo ha ospitato un dormitorio emergenziale che era stato aperto nei mesi
più freddi e aveva nove posti letto. Con i numeri che ti ho detto ovviamente era una
goccia nell’oceano. Se andava bene riuscivi a far dormire una persona un giorno la
settimana che non era una soluzione né per lui, né per l’enorme sforzo che richiedeva la
gestione, perché c’erano sempre almeno due volontari a dormire qui, per non parlare di
spese e tutto. Quindi questa cosa qui ha prodotto una riflessione sul ripensare ad una
nuova destinazione d’uso di quella casa, che diventerà adesso, mi auguro tra una
settimana, una casa per un primo gruppo di cinque ragazzi che vivranno lì per 6 mesi,
non solo per dormire ma una casa a tutti gli effetti. Ovviamente in questo periodo, che
potrebbe essere anche rinnovato, dovranno essere accompagnati in quello che è un
percorso di orientamento nel loro iter giuridico e nella ricerca del lavoro e tutto quel che
ne consegue. Sono ragazzi che partecipano qui alle attività con cui si è costruito un
211
rapporto di fiducia, perché si ha bisogno di persone responsabili e con i quali si ha un
dialogo attivo e aperto. Hanno tutte i documenti ma abbiamo deliberatamente scelto di
non indicarlo nel progetto. Nel senso che poi le condizioni che produrrà il nuovo
decreto-legge in materia di sicurezza e immigrazione di Salvini produrrà un’enorme
massa di persone che non avranno i documenti e credo che sia una scelta anche politica,
assumersi la responsabilità di obbedire a quella che sono delle regole morali ed etiche
rispetto a lasciare un ragazzo in strada perché non ha i documenti.”
212
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